INSONNIA Settembre 2017

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mensile di confronto e ironia

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Insonnia n° 95 Settembre 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Lo scontro, presunto o dichiarato, fra l’informazione tradizionale e quella veicolata sul web si ripresenta periodicamente: tra fake news, interrogativi sul futuro dei giornali stampati e del giornalismo in generale, si sono versati (e si continuano a versare) fiumi di inchiostro e di parole. Il dibattito si concentra spesso sulla competizione che, è evidente, l’informazione online rappresenta per quella tradizionale: è sempre più raro, tanto più per chi ha meno di 35-40 anni, che si acquisti un giornale in edicola, e sempre più spesso alle notizie si accede tramite i social network, Facebook in testa. Uno scenario che, ormai da anni, ha posto i giornali di fronte alla necessità di adeguarsi e di andare incontro alle nuove modalità di fruizione del pubblico, potenziando le redazioni online, assumendo specialisti dei social network e creando contenuti il più possibile accattivanti e di facile fruizione per gli utenti del web. Il risultato è stata una polarizzazione netta tra la "trascrizione" in digitale del giornalismo tradizionale, e una deriva compiacente del lettore, alla ricerca di “click". E spesso le due cose convivono sulla stessa pagina. I siti sono un mix di informazioni di natura generale e personale - spazi in cui le notizie e i "contenuti" di interesse particolare hanno uguale valore. Il lettore, in questo schema, è di volta in volta l'interlocutore, l'ispiratore, ma anche il consumatore, e, non ultimo, l'editore reale, che con i suoi click decide la vita e la morte di una testata. Con il risultato che se nella tradizione il lettore era un essere a rischio di totale passività, nell'era del web rischia di essere un soggetto a rischio di totale lusinga.

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Montagnaterapia e richiedenti asilo

Una esperienza pilota in Piemonte che coinvolge i volontari di Racconigi di Domenico Alessio

Dei due termini quello più conosciuto è sicuramente il secondo: tutti sanno chi sono i migranti, in tanti dicono di conoscerli, anche quelli che non hanno mai scambiato con loro nemmeno una parola.

Montagnaterapia è invece un termine, oltre che conosciuto da pochi, anche parecchio brutto: terapia in genere vuol dire cura e quindi principalmente medicina.

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EPITAFFIO DELLA SPERANZA di Alessia Cerchia

Ho sempre pensato che ciò che distingue una persona morta da una persona viva sia la speranza che ne illumina il cuore ed i progetti che ne conseguono. Non a caso i primi anni di vita dovrebbero essere contraddistinti da grandi sogni ad occhi aperti, da un costante rafforzamento delle proprie speranze e da un inarrestabile lavoro perché esse si trasformino, nel corso della vita, in progetti che illuminano il cammino. Ho sempre pensato che si può essere fisicamente vivi ma spiritualmente morti o, al contrario, fisicamente vicini alla fine ma ancora estremamente vivi.

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IN MEMORIA DI GIUSEPPE PARUCCIA

Lo scorso 18 luglio è scomparso Giuseppe Paruccia, nostro concittadino e nostro lettore. Negli anni passati avete trovato sul giornale alcuni suoi racconti; oggi lo ricordariamo dedicandogli questo scritto e pubblicando un suo racconto breve. di Guido Piovano

Caro Beppe, ero lontano da Racconigi quando ho saputo che te n’eri andato. Mi è mancato non poterti dare l'ultimo saluto, non essere in quel mare di persone che ti hanno accompagnato per l'ultima volta. Subito la mia mente è andata alle lunghe chiacchierate che di tanto in tanto facevamo nella tua bella casa di via Oddone. Ultimamente venivi con un po' di difficoltà alla porta e ti vedevo contento di incontrarmi. Sapevo di avere la tua stima da quando ti avevo conosciuto come insegnante di tre dei tuoi quattro figli e penso che tu sapessi di avere da me incondizionato affetto e grande rispetto. Ci sedevamo in sala, mi offrivi un gianduiotto, la tua cara Maddalena mi portava un caffè; trovavi sempre uno spunto perché il nostro incontro fosse ricco di sostanza per me. Imparavo sempre qualcosa da te.

segue pag. 8 Viabilità

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Testamento biologico pag. 4-5

Tutti al Parco

Raccontami IL BACIO

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La viabilità di Carmagnola Il colpo che ti cambierà tocca anche Racconigi la vita di Rodolfo Allasia

Sono anni che sentiamo parlare della lotta dei carmagnolesi contro la viabilità del loro territorio che fa loro subire un assurdo transito di veicoli: circa 19.000 al giorno di cui 1000 sono mezzi pesanti (!) in una via ad alta densità abitativa!

ticolarmente strano. E invece così il traffico in Carmagnola continua ad essere sempre lo stesso e a provocare i danni di sempre. Elenchiamoli: Inquinamento da gas di scarico (si potrebbe chiedere uno studio all’ASL, quale

Speravamo anche noi che con la costruzione della tangenziale Est-Ovest il problema fosse risolto, il traffico diretto e proveniente da Torino si sarebbe incanalato nella autostrada a sud di Carmagnola favorendo così anche coloro che da Racconigi sono destinati a Torino. Ma non è stato così, dopo anni di lavori per quella nuova arteria (per chi percorre la statale 20 da Racconigi la incrocia poco prima del torrente Melletta con una maestosa rotonda) ora chi ha provato a percorrerla non ha capito a che cosa serve perché ci disperde nei campi su strade che portano a Sommariva, Ceresole d’Alba o nei Roeri! L’innesto sulla autostrada A21 Torino-Savona non c’è. Come mai? Probabilmente è SOLO una questione di interessi. Se non ci fosse più il vecchio casello di Carmagnola la Società Verdemare magari si è fatta i conti e ha deciso che non ci guadagna come sperava; tutto il traffico che ora passa dentro la città transiterebbe su questo nuovo tratto di autostrada e la concessionaria dovrebbe rinunciare ad una “entrata” nelle proprie casse costituita dai pedaggi di coloro che ora escono a Carmagnola? Mettere due caselli a così poca distanza è un costo non indifferente oltre che un assurdo. E se si chiudesse del tutto il casello di Carmagnola Nord? Il traffico proveniente da Torino uscirebbe al “nuovo” casello sud e i veicoli che devono recarsi a Carmagnola non dovrebbero che ritornare di 2/3 Km, nulla di par-

è la situazione tumori in queste zone), l’inquinamento acustico, le vibrazioni continue sul manto stradale si ripercuotono sulle case con crepe nei muri e lievi ma significativi movimenti sulle coperture (esattamente dello stesso tipo che ha subìto qui a Racconigi la famiglia Tible che ha visto cadere una parte del cornicione della propria casa nel bivio Murello-Cavallerleone a causa delle continue sollecitazioni derivate dal passaggio dei numerosi mezzi pesanti), il traffico così intenso rovina il manto stradale, i tombini e i cordoli obbligando le amministrazioni a continui e costosi interventi di manutenzione o a lasciare le strade interessate in uno stato di forte degrado, il condizionamento della popolazione che vive in questi borghi con i pericoli connessi è forte (su queste strade si affacciano scuole, chiese, esercizi pubblici). Anche per noi che non viviamo a Carmagnola, una liberalizzazione, gratuita, dell’attuale casello di Carmagnola e/o lo spostamento dello stesso più a sud, verso Racconigi, consentirebbe ai viaggiatori di arrivare a Torino con un notevole risparmio di tempo. Questa volta ci troviamo d’accordo con la costruzione di una tangenziale efficace (tra l’altro ormai terminata e circolabile) che andrebbe ad evitare, se fosse completato l’allacciamento con l’Autostrada TO-SV, un traffico molto pericoloso in una parte importante della città di Carmagnola ma che diminuirebbe sicuramente anche il traffico in Racconigi.

di Luciano Fico

L’automobile correva tranquilla, seguendo le dolci curve della strada, che attraversava la pianura (-chissà poi perché fanno le curve anche in pianura - pensava Augusto). La sua guida era sempre prudente, dettata più dalla paura della velocità, che dal buon senso. Siccome la strada l’aveva percorsa centinaia di volte, la guida entrò ben presto in quella modalità automatica e solo minimamente cosciente, che permette alla mente di sganciarsi per fare le sue scorribande nel passato, nel futuro e nella fantasia… Augusto era una persona molto ben ancorata alla realtà, badava al sodo nella sua vita e lo faceva con metodo e costanza. Ora stava proprio ripercorrendo nella sua testa i preventivi per ristrutturare la casa che si era comprato come rifugio: era un piccolo cascinale protetto dall’ombra di un vecchio bosco in cima ad una collina. Ecco, bisogna dirlo: lui era concreto, ma ogni tanto doveva lasciarsi rapire da un sogno. Quella casetta sperduta era stata il suo ultimo sogno: come già suo padre prima di lui, superati i cinquant’anni, cedette al fascino di un luogo che lo riportasse ad una vita agreste, fuori dal mondo degli altri, isolata ed immersa nei suoni e negli odori del bosco. La mente saltò immediatamente alle immagini di Anna, la donna che amava ormai da anni, ma che non aveva accolto con grande entusiasmo quell’acquisto: avrebbe preferito un paio di stanze in qualche paesino di mare, dove potersi rifugiare quando gli anni avrebbero reso insopportabili gli inverni umidi e freddi della pianura piemontese. Improvviso arrivò il ricordo di una richiesta che lei gli aveva fatto quella mattina stessa…ma quale era la richiesta? Maledetta memoria, ogni giorno più rarefatta!!! Dalla radio arrivavano le notizie dell’ennesimo attentato con morti, feriti e goffi tentativi di spiegazione. Ad Augusto venne subito

da pensare che lui non aveva fatto nulla di veramente importante nella sua vita per rendere questo povero mondo più vivibile. Certo aveva gestito la sua officina in modo onesto e puntuale, aveva garantito una vita dignitosa a suo figlio e alle donne con cui si era accompagnato, ma di fronte a quelle notizie terribili sentiva di non aver saputo toccare il cuore della vita. E se ne rammaricava. Molto. Magari avesse fatto un colpaccio, una volta, al SuperEnalotto… certamente sarebbe stato capace di realizzare qualcosa di veramente speciale! Qui bisogna ammetterlo: Augusto nutriva i sogni anche con quell’irrazionale ricorso all’illusione del gioco. Niente di illegale, per carità, ma la sua schedina al SuperEnalotto l’aveva compilata ogni settimana negli ultimi vent’anni. Naturalmente non aveva mai vinto e naturalmente era andato a documentarsi: il 6 aveva una probabilità su 622.614.630, il 5 una su 1.235.346,48!!! Sapeva che era praticamente impossibile una vincita, eppure non aveva mai smesso di giocare: chi può dire che nella vita, per una volta, non capiti l’impossibile… Il sibilo non lo distolse dai suoi pensieri, fu come un disturbo tenuto distante… Lo schianto fu un misto tra un rumore assordante ed un dolore insopportabile. Seguì una serie di immagini, rapide e nitide, che si scolpirono nella coscienza, prima che questa si spegnesse. Le probabilità di essere colpiti da un meteorite sono una su 1.600.000. Augusto non ha mai fatto 6 al SuperEnalotto e neppure 5, ma questa volta gli era successa una cosa veramente speciale, che lo rese famoso per le successive due settimane. Talvolta si vincono lotterie di cui non sappiamo di avere il biglietto…


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Montagnaterapia e richiedenti asilo

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Una esperienza pilota in Piemonte che coinvolge i volontari di Racconigi segue dalla prima

In realtà è una medicina, gratuita, della quale tutti possono usufruire; basta andare verso le nostre belle montagne - l’altitudine non è poi così importante - e poi fare quattro passi, meglio se in compagnia, per gustare della bellezza che ci circonda. Da non molti anni (una ventina?) i medici, specialmente quelli che dicono di curare la “mente”, hanno scoperto che questa medicina fa molto bene a chi la mente l’adopera in modo un po’ bizzarro; ma non solo: fa bene a tutti quelli che in genere vengono definiti “disabili”; ora si arriva a dire che fa bene anche a chi, magari in passato, ha fatto uso di sostanze e a chi sta uscendo dal tunnel di malattie importanti tipo tumore! Quindi fa bene a tutti! Cosa c’entrano i richiedenti asilo con la Montagnaterapia? Bella domanda: ce la siamo posta io, Pier e Bruno quando siamo andati da Matteo la prima volta, per segnalare la nostra disponibilità a coinvolgere qualche ragazzo del Carlo Alberto nelle uscite in montagna programmate per i disabili. Dal colloquio sono scaturiti due pensieri: integrazione ed aiuto. Integrazione, perché camminando con tante persone, in un ambiente sereno, il colloquio viene spontaneo, si impara la lingua italiana, le reciproche abitudini, ci si conosce, ci si “integra”. Aiuto: dai disabili verso i migranti, mettendoli a proprio agio, e ringraziandoli della loro presenza a volte semplicemente con un abbraccio o un sorriso; dai migranti verso i disabili: fin dalle prime uscite abbiamo evidenziato la loro spontanea disponibilità a porgere la mano

per percorrere un tratto di sentiero accidentato, a spingere una carrozzina, ecc. Dall’autunno scorso - primo incontro con Matteo - ad ora - estate 2017 - tanta acqua è passata sotto il ponte di Maira, pur essendo in un periodo di siccità; le prime uscite sono state programmate per permettere essenzialmente ad un gruppetto di richiedenti asilo di avere, di tanto in tanto, una giornata un po’ diversa dal tran tran quotidiano fatto di … attesa di chissà cosa, in camera al Carlo Alberto. L’integrazione era a livello di reciproca conoscenza, non facile per la difficoltà che i ragazzi avevano di capire la lingua italiana, tanto più noi la loro! Poi è subentrato l’aiuto: un servizio per persone disabili del Chierese (il Punto Rete Tabasso) ha accettato volentieri la presenza dei

nostri ragazzi alle proprie uscite e grazie a loro è stato possibile offrire ad un numero maggiore di utenti la possibilità di “vivere” la montagna; da segnalare anche che il “gruppo”, in primavera, aveva collaborato, con dei volontari locali, al ripristino dell’agibilità di sentieri nel Monferrato. Nel frattempo alcuni migranti hanno incominciato a fare lavori vari in Racconigi, collaborando con associazioni, dipingendo i muri a Villa Tanzi, pulendo la banchina sulla tangenziale e sulla statale, ecc. Siamo arrivati così all’estate: la disponibilità dei primi ragazzi che hanno partecipato alle uscite di montagnaterapia è drasticamente diminuita: la maggior parte dei residenti al Carlo Alberto lavora, specialmente in campagna e nella raccolta della frutta. Ne sono però subentrati altri, qualcuno arrivato

in Italia da poco, che si sono subito messi in gioco. Alcuni ragazzi si sono “specializzati”: con un corso molto accelerato più pratico che teorico, tenutosi nel Parco delle Vallere a Moncalieri, sono diventati provetti conduttori di joelette, un mezzo che permette alle persone non deambulanti di percorrere qualsiasi sentiero di montagna. Dimenticavo: il problema della lingua è sempre meno importante; la frequenza della scuola attivata grazie alla disponibilità di insegnanti volontarie, ha portato quasi tutti a capire, parlare ed anche a scrivere discretamente l’italiano. La specializzazione a condurre joelette ha permesso l’accompagnamento di Dario, un ragazzo con disabilità fisica, (peso più di 90 Kg. digiuno!), domenica 23 luglio da Chianale al lago Blu. L’aiuto dei “nostri ragazzi” è stato fondamentale per la riuscita dell’”impresa”: la fatica è stata tanta, ma la soddisfazione dell’incontro con un gruppo francese, con il quale avevamo appuntamento, unito al panorama delle nostre montagne in alta quota sono stati impagabili! Indimenticabile poi il sorriso con cui Dario ha espresso la sua felicità e gratitudine nei confronti dei compagni di avventura! Conclusione: in questi ultimi nove mesi sono venuto a conoscenza di un mondo che, senza il contatto con queste persone, non avrei mai immaginato; ragazzi educati, rispettosi, sempre contenti e disponibili a fornire il proprio aiuto per qualsiasi necessità. Per conoscere a fondo nuove realtà che ci arricchiscono non è proprio “mai troppo tardi!”

…TRA CIELO E TERRA… lettera ai figli di Gianfranco Ghiberti Cari Alessandro e Alberto, la notizia della scomparsa del vostro papà ci è arrivata come un pugno allo stomaco, a me e ad Agnese, ad Andora in visita al nostro nipotino Alberto. La mia mente corre ad appena sette giorni prima (lunedì 17 luglio) quando per caso e con sorpresa ci siamo incontrati con lui sul sentiero che da St. Anna di Bellino porta al Colle di Vers, avvolti dalla nebbia mattutina, io e il mio amico Vittorio in cammino verso la Rocca Marchisa e il vostro papà verso Costa Sturana. Inatteso e piacevole l’incontro. La breve sosta è uno scambio di ricordi e di dialogo: delle gite fatte insieme in montagna, con la sua immancabile macchina fotografica, sulla situazione politica attuale, la classe dirigente incapace e corrotta, sull’accanimento terapeutico, sulla medicina priva del sentimento essenziale: la pietà! Sono sue dirette e ferme affermazioni. E ancora sul caso pietoso del bimbo inglese per il quale la medicina impotente richiede pietà mentre invece i mas media, presidenti, enti e associazioni si fanno promotori come salvatori, magari indifferenti davanti alla morte di migliaia di bimbi sotto le bombe o annegati nel Mediterraneo. Ascoltare queste affermazioni da parte di un medico, lassù oltre i duemilacinquecento metri con il sole che forza la nebbia, l’emozione è intensa e capisco quanto grande e illuminata sia la persona che mi sta davanti. Ci salutiamo con l’intenzione di combinare insieme delle gite…, noi continu-

iamo il cammino verso la vetta e lui inizierà la discesa a breve. Pochi metri, ci saluta ancora con una affermazione: “chi viene in montagna è in pace, perché la montagna stessa è pace!”. Non dimenticherò questo incontro tra le nebbie del Colle di Vers così come non dimenticherò quel dialogo e quelle sue parole, espresse come fosse un testamento.

Andora, 25 luglio 2017 Bruno Crippa


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EPITAFFIO DELLA SPERANZA

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segue dalla prima

Nel corso degli anni mi sono sempre più convinta che ciò che distingue queste due situazioni sia proprio la scintilla che illumina il cuore dell’uomo, e la sua mente, di speranza. Ho sempre nutrito le mie speranze e lavorato per trasformarle in progetti: progetti di vita, progetti di lavoro, progetti sportivi, progetti, progetti, progetti… In quest’ultimo anno ho però dovuto – mio malgrado – fare i conti con questa radicata convinzione e scoprire che, in realtà, talvolta è necessario agire “uccidendo” la propria speranza al solo scopo di “fare la cosa giusta”. Mi sono così ritrovata a riflettere sui tanti libri letti sulla vita (e la morte) degli antichi samurai, quelle storie che mi accompagnano e mi affascinano da tanto tempo ma che, lo confesso senza troppi problemi, parlano di uomini e donne che hanno agito secondo principi e logiche che non sono mai riuscita a capire fino in fondo. Mi sono sempre chiesta, in particolare, che cosa possa spingere qualcuno – samurai, cavaliere o

persona comune – ad affrontare la morte senza speranza di sopravvivere. Quale poteva essere la causa scatenante di duelli in cui uno dei contendenti sapeva di essere destinato a guardare in faccia la propria fine? Lo traduco in termini più moderni e decisamente meno tragici: che senso ha confrontarsi con un ostacolo insormontabile, dare inizio ad un’impresa il cui esito scontato è rappresentato dalla propria sconfitta? Una follia. Eppure in questa follia mi ci sono ritrovata, senza quasi accorgermene, e tutto ha assunto un senso ed un significato profondo che non avrei potuto raggiungere se non con la sperimentazione diretta e personale. Non vi racconterò con quale impresa disperata mi sono cimentata. Non ha molta importanza. Posso aggiungere che si tratta di un fantasma del mio passato con il quale pensavo di aver chiuso tanto tempo fa. Un fantasma con il quale avevo scelto di non combattere più, di non considerare più – come se non esistesse

- nella speranza che mi lasciasse in pace, evitando così di raggiungere la piena consapevolezza del dolore della mia resa. Un fantasma che, nonostante tutto, nonostante me, è tornato alla carica più e più volte con diversi modi e sotto varie vesti. E così nel corso dell’ultimo assalto ho compreso: dovevo scegliere di scendere in battaglia pur sapendo di non avere speranze di uscirne vincitrice. Solo così avrei potuto vincere. Così ho fatto. Mi sono preparata al meglio delle mie forze attuali, sotto il costante controllo del mio avversario, senza mai dargli la soddisfazione di cedere alla speranza di avere la meglio. Come in una di quelle tante storie di samurai che attendono il duello in uno stato di pace totale e irreale, guardando in faccia la morte senza paura. Sono scesa sul campo di battaglia e tra migliaia di persone che si agitavano e delle quali percepivo in modo tangibile la paura, io ero tranquilla. Ho combattuto la mia battaglia e ho finalmente guardato in faccia il mio nemico, così ho capito. Il mio avversario era la mia

speranza. La mia battaglia è stata vinta quando ho scelto di uccidere la speranza che illuminava quel mio particolare progetto e ho iniziato ad agire come se nulla avesse più importanza dell’azione stessa, della lotta, indipendentemente dal risultato. Ho capito che la speranza è (e deve essere) il motore più potente dell’uomo, ma che può anche esserne la zavorra più insidiosa. Che cos’è il timore del fallimento se non l’estrema paura di perdere la speranza nutrita per mesi o per anni? Un peso che spinge molti a scegliere di non agire semplicemente per “non vedere come va a finire”, per il timore di non essere all’altezza delle proprie speranze. E allora ecco la chiave di chi ormai ha fatto i conti con sé stesso, le proprie speranze e i propri progetti: scegliere di uccidere la propria speranza per poter agire libero da pesi e impedimenti, scegliere di agire non per il successo dell’impresa ma semplicemente perché “è la cosa giusta”.

TESTAMENTO BIOLOGICO: COME SI COMPILA?

Pubblichiamo il modulo predisposto dalla associazione Luca Coscioni per la redazione della Dichiarazione di volontà anticipata per i trattamenti sanitari (Testamento Biologico), che può essere scaricato dal sito https://www.associazionelucacoscioni.it. Esistono comunque altri modelli di testamento biologico predisposti da diverse associazioni e organizzazioni, che possono essere trovati attraverso una ricerca su internet. Ricordiamo che presso il Comune di Racconigi è istituito un Registro dei Testamenti Biologici e che i residenti a Racconigi che lo desiderano possono depositare in Comune il loro testamento biologico, secondo le modalità spiegate nel numero di luglio di Insonnia.


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Le storie di Mario...

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I persi d’autin e le bar-tte ‘d l’uva di Mario Monasterolo

D’autunno, chi ne aveva la fortuna seguiva il nonno (o qualche “barba”) che andava all’autin (ché ancora ce n’era) a raccogliere quell’uva non così sgradevole a tavola, ma dalla quale ci si ostinava ancora (retaggio di un passato lontano) a ricavare del vino. Tra queste tipologie d’uve, una produceva il clintu, bevanda aspra che già nel nome evocava la potenza della sua bellicosa gradazione alcolica. Indimenticabile, però, il sapore straordinario di quei meravigliosi persi d’autin! Intanto che nei campi si levavano i fumi delle motere, le foglie ingiallite dei peschi si rivelavano utilissimo rimedio per lavare le botti prima della vendemmia; l’operazione aveva un duplice scopo: verificare che non ci fossero perdite e - grazie alle foglie di pesco - togliere alle doghe i sentori di umidità. Le foglie dei platani si raccoglievano invece per coprire, nell’orto, i rampun in vista dell’inverno. E così, niente a ‘ndasia sgheirà. Anche perché da là ‘nsu Nsgnur a vardava. Il vino, quello vero e buono, lo si faceva nelle crote; e alla manovella della macchina da pistè posta a cavallo dl’arbi, i ragazzini mettevano a prova la consistenza dei propri muscoli. Esercizio rafforzato dal passaggio successivo: portare i sëbbr con il mosto fino alle bunse, da non confondere con i butaj o con i butalin, perché con queste “gerarchie” non si scherzava. Tra un giro di manovella e l’altro, si mangiava qualche asinel; se buttare giù tutto o sputare via le bar-tte e le grumele era questione di gusti (ma anche del tipo d’uva). Le bar-tte dell’uva venivano nuovamente pestate nel torcc; aggiunto in giusta misura qualche sigilin ‘d’eva ‘d'la pumpa, se ne otteneva la pusca, così

leggera che la potevano bere anche i bambini! Quando l’uva cominciava a beuije, bisognava funghé; e quando il vino era al punto giusto di maturazione, ecco i passaggi dai butaj ai butalin e poi alle damigian-e e quindi ai pinton o alle bute. Ieri, mondi di cortile; oggi, cantine a porte aperte il che, con tutto il rispetto, non è la stessa cosa. La scuola cominciava rigorosamente il 1° ottobre, san Remigio, cosicché quelli della prima elementare erano detti remigini e il Mago Zurlì li celebrava in TV. Il 4 ottobre, però, San Francesco patrono d’Italia, si stava già a casa. Dal primo novembre, Ognissanti, al 4, anniversario della Vittoria nella prima guerra mondiale, si facevano quattro bei giorni di vacanza. La sera del 1° novembre, in ogni casa un pensiero andava ai morti; in qualche famiglia si diceva il Rosario, poi si mangiavano le caldarroste, qualcuno anche le castagne bollite. Per fare le caldarroste, si bucava una vecchia cassarola male in arnese e si provvedeva sulla stufa, perché le stufe avevano dei cerchi di ferro che si incastravano l’uno dentro l’altro per ospitare pentole di diverse dimensioni e, in questo caso, consentivano alla fiamma di penetrare nei buchi della cassarola e di rustì le castagne al punto giusto. Anche i morti erano “di cortile”, e li si ricordava con le abitudini che avevano in vita, i vezzi, i racconti che avevano lasciato, gli stranom... Non erano ancora stati “globalizzati” nelle maschere stereotipate ed improbabili delle notti di Halloween passate in discoteca... Si chiamavano Giacu, Tumlin, Paulu, Giors, Neta, Cichina, Michina, Mini, Cianu, Cianin, Lena, Tonia, Ciafré, Drea,

Jot e non sapevano di aprire la strada a nipoti e pronipoti del tipo Jessika con la cappa, Deborah con l’acca, Sonja con la j; o David e Daniel, così comodi per gli SMS... Il 4 novembre, San Carlo, anche la celebrazione della Vittoria nella prima guerra mondiale aveva la sua colonna sonora: per celebrare la fine della Grande Guerra, se ne cantava l’inizio, con i versi di E. A. Mario, il cui nome a scuola veniva imparato tutto attaccato "eamario”: il Piave mormorava calmo e placido al passaggio / dei primi fanti il ventiquattro maggio. Analogamente, l’11 novembre, San Martino, nessuno poteva sfuggire al declamare poetico della nebbia che saliva piovviginando agli irti colli, ed allora era una poesia del Carducci, oggi è una canzone di Fiorello. In cascina era il momento della prima bagna cauda, in tutte le case quello del vin neuv... Cosicché a qualunque ora del giorno si presentasse un visitatore, a ‘s destupava na buta e non ci si poteva assolutamente sottrarre, sennò ‘l padrun ‘d cà si offendeva. Anche se stava in affitto. La stagione declinava lentamente verso l’inverno, dopo la processione dell’Immacolata, in paese si presentavano i primi zampognari, nelle scuole elementari si studiava a memoria o ripassava la poesia del Pascoli (Udii tra il sonno le ciaramelle, ho udito un suono di ninne nanne), si andava a raccogliere il muschio (la mufa) per il presepio e si scriveva la letterina a Gesù Bambino.


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dalla sua creatività, dal suo senso della giustizia e dalla sua profonda umanità». Nella primavera del 1978 dom

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Franzoni venne a Racconigi per sostenere la legge sul divorzio invitato da un gruppo locale di cattolici del no.

IL MIO RAMADAN IN ITALIA

a cura di Guido Piovano

È MORTO DOM GIOVANNI FRANZONI Giovanni Franzoni è mancato il 13 luglio scorso all’età di 88 anni nella sua casa di Canneto (Rieti) dove viveva da tempo, dopo una vita dedicata al prossimo e alla teologia. Era praticamente cieco, lui che aveva visto prima e meglio di altri la necessità di un rinnovamento profondo della chiesa. Ordinato sacerdote nel 1955, Dom Franzoni fu sospeso a divinis e costretto ad abbandonare il clero nel 1976: aveva dichiarato il proprio appoggio al Pci. Come abate della Basilica di San Paolo fuori le mura di Roma era stato il più giovane dei “padri conciliari” nelle ultime due sessioni del Vaticano II. Degli anni ‘70 sono l'appoggio alle lotte operaie e le azioni sociali nate per contrastare ogni forma di guerra, ingiustizia e disuguaglianza; un impegno civile che divenne missione da svolgere attraverso prediche e comizi nelle piazze, nelle fabbriche e nelle comunità sparse in Italia e poi nella “sua” chiesa: la Comunità di base di San Paolo sull'Ostiense. Franzoni si è sempre battuto per la difesa dei beni comuni e per l’emancipazione del ruolo femmi-

nile, nella speranza che un giorno la chiesa cattolica potesse essere riformata e vivere nella piena comunione ecumenica e interreligiosa, libera da sovrastrutture e impedimenti teologici. Ha dichiarato il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia: «Giovanni è stato una figura profetica, un grande testimone della stagione conciliare, del rinnovamento della teologia cattolica e dell’impegno dei cristiani nella

società, ma anche dell’ecumenismo […] ho imparato molto dalla sua cultura, non solo teologica,

“Sono nata ad Alessandria d’Egitto ma cresciuta a Reggio Emilia. Fin dalle scuole medie ho digiunato dall’alba al tramonto per tutti i trenta giorni del sacro mese del Ramadan”. […] “Il Ramadan cade una volta all’anno, ogni anno inizia dieci giorni prima rispetto all’anno precedente, seguendo l’avvistamento della luna. Digiunare corrisponde a uno dei cinque precetti della religione musulmana, tanto caro ai fedeli poiché si misurano con la loro forza di volontà, intenzionalità e capacità di purificarsi. Non si mangia, non si beve, non si fuma, non si hanno rapporti sessuali, dall’alba al tramonto per trenta giorni. Dopo il tramonto sì, ovviamente. Ma non si tratta solo di una sottrazione di azioni. Digiunare a Ramadan vuol dire ricercare la propria dimensione spirituale, rendendola più solida, confidando nella pace interiore, nella misericordia e nel perdono degli altri. Si tratta dunque di una dimensione intima, personale, privata: un dialogo interiore tra sé e Dio che si può curare e coltivare tutti i giorni, ma proprio in questo mese è vissuto con maggiore sacralità perché è anche il mese in cui avvenne la rivelazione del testo sacro per i musulmani, il Corano. Digiunare e vivere quotidianamente la dimensione pubblica e laica dello Stato italiano in qualsiasi ambito […] è possibile ed è la prassi della mia quotidianità. Ricordo con affetto che fin da piccola amici, compagni di scuola e i loro genitori mi riempivano di domande e io ogni volta a correre dai miei genitori alla ricerca di precise ed esaustive rispo-

ste. «Ma non si può bere neanche un goccio d’acqua? Ma la cicca la puoi masticare? Mica la ingoi! La doccia la puoi fare? Ti puoi lavare i denti? Vieni in piscina con noi anche se sei a digiuno?» Molti allora, e altri tuttora, non si capacitano del fatto che si possa resistere tutto il giorno, e mi chiedevano scherzosamente se di nascosto, a scuola, bevessi un goccio d’acqua. Rispondere che non si percepisce la sete o la fame è inverosimile e infatti, soprattutto nelle ultime ore prima della rottura del digiuno quando lo stomaco miagola, la percezione di sete e fame aumentano. Ma è proprio lì che senti e dai un grande valore all’acqua che tutti i giorni noi sprechiamo, al cibo … Ci sono alcune eccezioni per i digiunanti che riguardano chi è in viaggio, chi è ammalato, chi è in dolce attesa o sta prendendo medicinali. Inoltre l’associazione degli imam e delle guide religiose in Italia si è espressa a favore dell’interruzione del digiuno anche per gli studenti che dovranno conseguire gli esami di maturità. Sono convinta che un adattamento e un adeguamento religioso e culturale al contesto in cui si vive sia necessario e trovo fondamentali i momenti di condivisione, di dialogo e di conoscenza reciproca all’insegna della scoperta di saperi che provengono da orizzonti lontani ma che oggigiorno connotano la nostra Italia interculturale”. Marwa Mahmoud, responsabile progetti di educazione interculturale a Reggio Emilia (tratto da la Repubblica, 30 maggio 2017)

I fatti e le parole di Zanza Rino

Che estate, ragazzi! Ci hanno provato in tutti i modi. Mi hanno detto vai a ronzare da qualche altra parte, le elezioni sono una cosa seria e tu… ci hanno provato anche con il DicloroDifenilTricloroetano e un po’ di mal di testa mi è venuto. Sono ancora tutto rintronato e …non so… mi sento diverso…

Sono successe tante cose. Il voto, chi l’avrebbe detto. Per il sindaco uscente un boccone amaro. Ma almeno potrà godersi di più da cittadino quella piazza bella, pulita e viva che la sua amministrazione ha dato ai racconigesi. Sono svanite le illusioni di un ritorno sensazionale del “grande vecchio”, saranno felici i nipotini che potranno godere della compagnia del nonno. Spazzate via le illusioni dei cinque stelle, neppure questa volta brilleranno nella sala del Consiglio. Ma domani chissà. Ha trionfato una inedita alleanza che già si è messa all’opera, nei

fatti e nelle parole. Già… ci sono i fatti e ci sono le parole. Eliminati i parcheggi in v. S. Maria e traffico più fluido: bel colpo… non poteva farlo la precedente amministrazione? Grande pubblicità al lavoro volontario dei richiedenti asilo. È bello che i nuovi amministratori si accorgano ora di questa risorsa, sarebbero dei signori se ricordassero di battere una strada già ampiamente aperta con la passata amministrazione (vedi Insonnia di luglio). Ma se lo sono scordato. Calo d’interesse, sembra, per pulizia delle strade ed escrementi di cani. Cartacce e cacche continua-

no ad esserci, più o meno come prima, a desolante conferma che le amministrazioni cambiano ma i maleducati no. A differenza di prima sembra calata l’attenzione, anche di giornali e social racconigesi. O non era un problema prima (ma allora perché tanta attenzione?) o è un problema anche adesso (ma allora perché tanta disattenzione?). Per ora gli attuali amministratori suppliscono con il lavoro volontario. E lo fanno sapere. Auguri… cinque anni sono lunghi. Spunto di riflessione. Quanto pesa nel voto ciò che si fa o non si fa? Quanto pesa ciò che si dice e ciò che non si dice?


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L’ANTIPATICO E BRAVO EDGAR DEGAS

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Il 27 settembre di cento anni fa moriva il grande artista di Rodolfo Allasia

Chi non conosce le celebri ballerine di Degas? Non voglio cercare parole che definiscano la sua pittura e i suoi disegni, mi affido a ciò che ha scritto di lui Paul Valery scrittore e poeta francese, nel 1938: “Ha buon gioco nell’applicarsi alle ballerine: le cattura piuttosto che lusingarle; le definisce. Come uno scrittore teso a raggiungere il massimo della precisione nella forma, moltiplica le brutte copie, cancella, procede a tentoni e non si illude mai di aver raggiunto lo stato ‘postumo’ del proprio pezzo, così è Degas: riprende all’infinito il disegno, l’approfondisce, lo chiude, lo avviluppa

di foglio in foglio, di calco in calco. Ritorna a volte su questi tipi di prove; vi stende colori, mescola il pastello al carboncino: le gonne sono gialle in una, viola nell’altra: Ma la linea, gli atteggiamenti, la prosa sono là sotto: essenziali e separabili, utilizzabili in altre combinazioni.” Aggiungo ancora una citazione dello stesso Degas:” La pittura non è molto difficile, quando non si sa…Ma se la si conosce…oh allora! E’ tutt’altra cosa.” Ecco perché io amo Degas, non è un pittore classico, non è un impressionista, non ha mai voluto esserlo, ma io lo trovo di una attualità sconvolgente, padre di pittori come Hopper che ha incantato per la sua pittura della Vita Moderna, padre di tutti i pittori che amano la pittura. Era nato ricco ed aristocratico nel 1834, poi diventato borghese per scelta dopo la perdita del patrimonio paterno. Viveva dell’arte e per l’arte. La personalità dell’uomo era fatta “al tempo stesso di apparente crudeltà e di sensibilità dominata; questa sensibilità fu per tutta la vita la sofferenza di Degas” lo descrive l’amico e mercante d’arte Ambroise Vollard. Ad una modella di un altro amico e pittore, nuda, mentre posava disse “Come sei bella, hai le natiche a pera come la Gioconda” (se l’era inventate le natiche della Gioconda? Sicuro!) e rispondendo ad un invito

a cena “…Per me ci sarà un piatto cotto senza burro?...Niente fiori sulla tavola, e alle sette e mezzo precise… Che chiuderà da qualche parte il gatto lo so, ma nessuno porterà cani? E se ci sono donne, arriveranno tutte profumate? Che orrore tutti questi odori…Quando esistono cose che profumano di così buono, come il pane tostato e perfino un fine odore di m..da”. Simpatico e schietto eh l’Edgar ! Il fatto che non voleva essere collocato fra gli impressionisti fu perché era insofferente ad ogni schema; avrebbe persino chiamato i gendarmi per multare chi dipingeva en plein air. Amava la grazia femminile ma la sua

governante lo definiva un misogino, nessuno ha risolto il mistero del vero Degas; di lui e di ciò che lo riguardava andò disperso fin dall’anno dopo la sua morte ma questo fatto sembra in qualche modo aver rispettato un suo desiderio “L’arte è vita privata”. Restano i suoi quadri così diversi ma pure così uguali fra di loro pur a cavallo tra la classicità e la contemporaneità del suo tempo; se avete letto questo ricordo del grande artista prendetevi in biblioteca un libro con belle illustrazioni che lo riguardano, riempitevi gli occhi e riflettete sulle immagini e immaginate l’uomo che le ha dipinte. E’ sicuramente un bel gioco.

Angeli del bello a cura della Redazione

Si chiamano ANGELI DEL BELLO. Sono i membri di una fondazione che, con il patrocino del Comune, opera sul territorio di Firenze dal 2010. La fondazione ha come finalità l’organizzazione di volontari che si occupano del decoro e della cura della città, contrastano il degrado e i cattivi comportamenti, adottano piazze, strade, giardini, parchi per contribuire alla loro salvaguardia e manutenzione. Ne fanno parte oltre 2.000 cittadini e 50 associazioni. Hanno già compiuto molti interventi: cura del verde urbano e delle strade, pulizia dei giardini, ripulitura dei muri dei palazzi ecc. La fondazione si rivolge a tutti coloro che non vogliono solo lamentarsi, ma intendono partecipare attivamente al miglioramento del territorio in cui vivono. Ci sono tanti tipi e livelli di coinvolgimento: c’è chi si unisce al lavoro degli altri volontari; chi accetta di conservare vernici, pennelli, attrezzi; chi si sforza di prestare maggiore cura al modo in cui utilizza la strada o un giardino; chi offre un caffè… Sono volontari di tutte le età. La fondazione ha costituito anche gruppi di ANGIOLETTI DEL BELLO (bambini/e a partire dall’età di cinque

anni) e di TEEN ANGELS (giovani delle scuole superiori). Dal 2014 ad oggi sono state coinvolte 30 scuole, 1.500 tra bambini e ragazzi, 65 insegnanti e circa 400 genitori, con lo slogan “Vivere in un posto bello aiuta a stare meglio”. È possibile affiliarsi alla fondazione e creare sul proprio territorio un gruppo di volontari che si prendono cura di un’area specifica. La fondazione mette a disposizione le esperienze acquisite e la documentazione necessaria. Per ulteriori informazioni: info@angelidelbello.org


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IN MEMORIA DI GIUSEPPE PARUCCIA

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Lo scorso 18 luglio è scomparso Giuseppe Paruccia, nostro concittadino e nostro lettore. Negli anni passati avete trovato sul giornale alcuni suoi racconti; oggi lo ricordariamo dedicandogli questo scritto e pubblicando un suo racconto breve. segue dalla prima

Parlavamo della tua vita di giovane contadino alla “Cascina dei Paruccia”, parlavamo della storica Locomotiva Wagher Gruppo 685.125, sulla quale, una fotografia degli anni ’50 di cui andavi fiero, ti ritrae nelle vesti di conducente; parlavamo di vicende di guerra, della lotta partigiana, della scuola, di fede e religione, di scienza e tecnologia. Avevi grande interesse per tutto ciò che essendo nuovo o moderno non apparteneva alla tua esperienza diretta. Ricordo il tuo interesse per il computer, ricordo le tue domande sui buchi neri, una delle ultime volte che ci siamo incontrati. Qualche tempo fa mi hai donato un libro che avevi scritto per i tuoi nipoti e significativamente titolato “Nonno Beppe racconta”; un libro fatto di racconti, esperienze, personaggi della tua lunga vita. Oggi che non ci sei più mi è ancora più caro e lo conservo con grande emozione. Nei nostri incontri capitava spesso che ne leggessimo alcuni brani che tu sapevi sempre arricchire con particolari che non avevi scritto per non dispiacere a familiari viventi di persone che dalle vicende raccontate uscivano non proprio al meglio. Eri una persona retta, ricca di umanità e sentimenti, una persona la cui principale capacità è sempre stata quella di cogliere con naturalezza quale fosse la parte giusta, dove fosse giusto collocarsi, chi sostenere. Hai avuto l'attestato di patriota

In questa fotografia del 2004 Beppe è col colonnello inglese paracadutato con i partigiani a Nord della Linea Gotica e con l’amico partigiano e concittadino Luciano Ollivero dal Presidente Pertini e ci tenevi a sottolineare di non essere stato partigiano, nel timore di abusare di meriti che pensavi di non avere; sei stato uno dei primi Presidenti del Consiglio d'Istituto della Scuola Media, un presidente aperto, che cercava di capire, di cogliere il fermento dei primi anni di organi collegiali; sei stato, soprattutto, un grande riferimento per la tua famiglia e per tutti coloro che ti hanno conosciuto. Non si

poteva non volerti bene. La tua modestia, unita ad una grande ricchezza d’animo, ti hanno però frenato: avresti potuto dare molto di più di te stesso se solo non ti fossi sentito troppe volte, e senza motivazione, inadeguato (quanto ritegno avevi nell’affidarmi per Insonnia i tuoi racconti!). Avevi una fede salda, ma come tutte le persone intelligenti, eri esposto al dubbio: ti ponevi do-

mande, cercavi risposte. Io, che ho una fede che qualcuno può ritenere poco ortodossa, ti sarò sempre grato di avermi accettato come amico e di avermi fatto sentire il tuo interesse per le mie posizioni in fatto di religione. Eri una bella persona. Ringrazio Dio di averti messo sulla mia strada e di avermi concesso il privilegio di fare un tratto di cammino insieme a te. Guido


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MILANO GRECO: DEPOSITO LOCOMOTIVE FF.SS. - ANNO 1956 da “Nonno Beppe racconta…”, pag. 3-4 di Giuseppe Paruccia

Ho appena lasciato nella rimessa del deposito la Locomotiva Gruppo 685.125 a me assegnata; la riprenderò domani mattina presto per recarmi in Centrale ad agganciare il 180, un trenaccio pesante proveniente da Venezia e da condurre a Torino Porta Nuova. Secondo la vigente normativa del personale di macchina (p.d.m.) tra l’arrivo e la partenza di un altro treno e dopo determinate ore di servizio, ho a disposizione un intervallo di riposo, fuori residenza, che non è mai inferiore alle sette ore, in una camera con letto, attaccapanni, sedia e tavolino. È da quattro anni che ho iniziato questo mestiere, ma devo dire che mi piace e mi affascina sempre di più, nonostante la disordinata vita che comporta. I nostri dormitori sono ubicati nelle grandi città e purtroppo in luoghi infelici, in quanto sede delle Officine dei Depositi o nelle Stazioni di grande traffico dove è immancabile l’assordante rumore dei treni in movimento.

Paruccia sulla Locomotiva Normale Wagher 685.125 - anno 1955 Le sette ore contemplate dal regolamento per il riposo si riducono pertanto a 4-5 e non di più, ma per me sono sufficienti e va bene così! Da questo inconveniente è nato nella mia mente il desiderio d’impegnare

il rimanente tempo libero a ricordare per iscritto, sia pure a strappi, quei brani di vita del tempo vissuto in campagna che non riesco a dimenticare: storie di uomini che non si distinsero dagli altri, ma che furono,

tuttavia, prodigiosi messaggeri senza neppure saperlo. Voglio ancora ricordare che queste pagine, scritte a più riprese nell’arco di diversi anni non sono soltanto per me, custode di un passato che non posso dimenticare, ma anche per i miei nipoti per raccontare come visse il loro nonno quando abitava in campagna con suo padre e sua madre di professione contadini. Per maggior disponibilità di tempo alcune storie di vita sono ricordate molti anni più tardi, cioè alla mia collocazione a riposo dalle FF.SS., e trascritti su fogli e foglietti, poi dimenticati qua e là: ecco perché a volte mi ripeto e soprattutto non seguo un preciso ordine cronologico nel cercare di mettere insieme tutte le storie. Pur riconoscendo di aver fatto errori di grammatica che a scuola ho mai imparato, anzi sempre odiato, e di aver usato forme di espressione dialettale, desidero che a questo scritto non vengano apportate correzioni. Nonno Beppe

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) ITALIA Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684 Email:

info@maipiusole.it Tutte insieme vogliamo lavorare per un futuro di parità, senza discriminazioni, ingiustizie e violenza, perché questo è il nostro obiettivo, perché ancora crediamo nei miracoli.


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CRONACHE DELLA MATURITÀ

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Quando l’umanità dell’insegnante mette in crisi il sistema scolastico di Antonella Guerrini, rete Insegnareducando

Ho affrontato, come Commissario d’esame, questa maturità 2017 in due disagiati Istituti Professionali umbri. Ho sentito il bisogno di scrivere alcune riflessioni per mettere in evidenza la dignità ferita, non degli insegnanti, ma degli studenti che ho esaminato. Mi sono rimasti nel cuore e nella testa per la loro fragilità, e questo perché li ho trovati nel deserto. Quello educativo. Loro rappresentano l’altra faccia di un modello pedagogico che di inclusivo ha ben poco: seleziona, facendo della bocciatura (ancora!) una questione di classe. Come non richiamarsi per questi “negati” dalla e della istruzione pubblica italiana, alla scuola di Don Milani (proprio adesso, a cinquanta anni dalla sua scomparsa), per poi dover ammettere che oggi nessuno (come invece fece il Priore di Barbiana tutti i giorni, domeniche comprese) si preoccupa davvero di loro. Doverli esaminare, applicando griglie e numeri da sommare, mi ha fatto ricordare che noi insegnanti esistiamo per loro. Siamo il loro discrimine tra progresso e sviluppo (una delle tracce di italiano), e non possiamo permetterci di perderli.

CRONACHE DELLA MATURITÀ Adrian è arrivato in Italia ad 11 anni. Siede compito davanti a noi. Nel suo volto, come in uno schermo tv, appare l’immagine di lui bambino, tra case in mezzo al nulla, in qualche sperduto paese della Moldavia.

La pettinatura all’indietro, curatissima e lisciata dal gel, lo catapulta in un’ Italia d’altri tempi: quella delle balere e delle Lambrette del dopoguerra. Finito il colloquio orale - stentato e provvisorio come la sua vita - gli chiedo “Hai la cittadinanza?”. “No, ho un permesso di soggiorno” - risponde tranquillo - “Ti dispiace?” - insinuo - “No, dentro il cuore mi sento moldavo” ed il suo largo sorriso smonta la mia insistenza. Implicitamente è lui che chiede “perché dovrei essere italiano?” ribaltando con il suo sorriso il pregiudizio democratico della inclu-

sione a tutti i costi. E proprio Adrian ci inserisce in questo microcosmo scolastico periferico. Lo fa consegnandoci (e siamo ben otto commissari) una targhetta in plexiglass con i nostri nomi, montata su una piccola base di legno nero, dagli angoli smussati. Costruita con le sue mani. Nessuna griglia di valutazione potrà misurare questo prezioso “saper fare”. Mentre usciamo, sfiniti dal caldo, si fa avanti timidamente e dice: “Grazie a voi, ho provato un tremore nel cuore e in tutto il corpo che non avevo mai sentito prima, è stata un’ emozione forte”. Poi il ragazzo bambino ci abbraccia e noi capiamo che la ricompensa più grande del nostro essere insegnanti è lui.

Lui e gli altri

Giacomo ha il viso del maturando inconsapevole, ma forse è la paura che gli stampa quel ghigno strafottente da graphic novel. Inizia a parlare. Capiamo subito che ci sarà da soffrire da entrambe le parti. Per un’ora procediamo a balbettii suoi e imboccamenti nostri. Quando arriviamo all’alimentazione forzata smettiamo stremati. Lui se ne va, non prima di aver stretto la mano ad ognuno di noi, come fossimo i piloti di un aereo che ha appena fatto un atterraggio

di fortuna, e lui uno al suo primo volo. Verremo a scoprire poi, che è solito uscire dall’aula, arrampicarsi su quel magnifico ciliegio di fronte alla scuola e da lassù, gustando ciliegie, fare come Cosimo di Rondò: fregarsene altamente del mondo di sotto. Emir, ha lo sguardo del lupo: non un muscolo è disteso, gli occhi cercano una via di fuga, le mani sudate si muovono su e giù per le cosce. La voce esce alta e tremolante, le parole sono scommesse puntate sul “giusto” o “sbagliato”. Dal discorso memorizzato a forza, viene fuori l’abitudine alla sopravvivenza. Emir non è un candidato alla maturità, è un giovane lupo abituato a giocarsi la vita su altri scenari: un padre mai conosciuto, una madre che dall’Albania lo ha portato in Italia ancora piccolo e poi lasciato ad una zia ed al suo compagno, padre sostitutivo violento con entrambi. Mentre parla di Giovanni Verga, penso: ce la farà o sarà anche egli un “vinto” travolto dalla “fiumana del progresso”? Francesco ha il volto piccolo, i lineamenti appena accennati su uno sguardo assente. Gli occhi bassi, solo di sfuggita e per poco tempo si soffermano su noi, schierati davanti a lui come un muro


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insormontabile. Accanto, ha la sua insegnante di sostegno, protettivamente in attesa che inizi a parlare per dare un senso a questa cosa chiamata maturità e a noi, pronti a maneggiare un oggetto fragile. Quando affronta i soliti argomenti con voce monocorde, (Ungaretti, come in un girone dantesco, rimarrà in trincea per l’eternità!) capisco quanto siano lontani il suo corpo e il suo cuore da questo tempo e questo luogo. E quando gli chiedo in cosa consista per lui, oggi, il “male di vivere” (siamo arrivati a Montale) mi risponde che “le persone non sono più insieme”. Questo il suo male di vivere, questa la nostra condizione di adulti. Simone, uccellino spaventato. Volto magro e aguzzo, aculei al posto dei capelli, un dente spezzato, la maglietta con su scritto monster. Le sue parole si arrampicano pericolosamente su costrutti incomprensibili prima di tutto a lui. Povero Pascoli diventato una rondine caduta dal tetto, penso, mentre cerco di capire cosa dice. Ma Simone “va alla campagna tutti i giorni, tanti ettari a secco”, cioè poco irrigati, come spiegano i commissari interni. Pascoli, insomma, potrebbe anche entrarci nella sua vita tra i campi. Alla fine, quando gli chiedo: “vai in vacanza?” mi risponde::“no, adesso c’è

da trebbiare”, ed io mi sento un commissario scemo a fargli domande del genere. E poi arriva Gianluca. Ventitré anni, orfano, vive solo in una casa troppo grande. Così ha ceduto gratuitamente il piano di sotto ad una famiglia che gli fa qualche pulizia e da mangiare. A 16 anni smette di studiare - “che ci andavo a fare?”- e va a lavorare in una officina. Lì vede dei ragazzi poco più grandi di lui, ma diplomati, che “pigiavano dei pulsanti luminosi, selezionavano dei numeri su

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una macchina ed il pezzo usciva perfetto e uguale a come loro lo avevano impostato”. Così scatta la voglia di imparare ad usare una macchina a controllo numerico e a vent’anni torna a scuola anche se poi la frequenta saltuariamente perché lavora (altro che alternanza scuola-lavoro!). Ed ora è qui, davanti a noi, non riesce nemmeno a parlare per l’emozione, è bloccato e l’unico esame possibile consiste nel chiedergli come ce l’abbia potuta fare. Nico fa il lanciatore di fagiani.

Noi, increduli, chiediamo di spiegarci meglio in cosa consista questa strana professione. Lui racconta: in una grande tenuta di caccia frequentata da turisti tedeschi e americani, occorrono dei ragazzi che offrano la preda ai cacciatori improvvisati. Basta lanciarli in alto ed i fagiani ricadono giù, morti, per il divertimento di questi beoti. Nico come Graziano, d’inverno va a raccogliere la legna per aiutare la famiglia. Giovanni non ha nemmeno presentato la domanda per gli esami del quinto. Ebbene sì, in questo paese occorre compilare pure un modulo e pagare un bollettino per portare a termine il proprio percorso scolastico. Quando si presenta all’orale ci spinge alla vendetta, subito rientrata perché veniamo a sapere del fratello più piccolo: dovrà presto subire l’amputazione di un braccio per un tumore che non se ne vuole andare. Dimenticavo: Giovanni ha solo lui e la madre. Lo so, sembra il libro Cuore. Ma vi prego, non lasciateci soli, noi insegnanti e loro, piccoli uomini. Noi così non siamo in grado di valutare. Loro, di accettare l’ennesima sconfitta. Una società scettica nei confronti degli insegnanti e indifferente davanti a ragazzi come questi, è una società senza futuro.

sQuola di comunismo


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Raccontami...

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IL BACIO di Vincenzo Esposito

Sono le otto del mattino del diciotto giugno millenovecentosei, quando Elena schiude gli occhi, abbandona le braccia sulle lenzuola e apre lentamente le palme delle mani, galleggia su una striscia sfilacciata di nebbia bianca, mentre le tempie si svuotano, vengono risucchiate dentro la testa, infine si allentano, poi, quando richiude gli occhi, un odore di sangue raggrumato si insinua nelle narici e nella gola, si mescola alla saliva e si attacca sotto il palato, costringendola a spalancare con forza la bocca per respirare profondamente, così l‘aria si allarga nel petto e un'improvvisa serenità la conquista, di nuovo schiude gli occhi e scorge dalle persiane della portafinestra un chiarore di latte scivolare nella stanza sotto gli orli di pizzo traforato delle tende e sfiorare con delicatezza il pavimento di maioliche grigie disegnate di garofani rosa, allora Elena rimane sospesa sul filo di luce bianca cha attraversa il paesaggio immobile del disegno sfilato nel lino delle tende, danza nel vuoto simile a una farfalla di stoffa leggera, fino a quando una nausea dolorosa le nasce in un punto sconosciuto del petto e si allarga per il corpo, così si ritrova abbandonata sul letto, agita le gambe sotto le lenzuola e scuote la testa, scoprendo l'odore di castagne dei suoi capelli sparsi sul cuscino, mentre uno scroscio d'acqua arriva dal terrazzo, dietro il sipario di stecche delle persiane, il suono sordo crepita nella terra dei vasi, poi svanisce, ancora riprende più intenso, infine si fa più flebile, di nuovo svanisce. Elena non si muove, attenta a spiare strisce di luce, alla ricerca di una lontana malinconia che le duole nel capo e che le ricorda la sensazione di un

dolore notturno che non riesce più a riconoscere, così afferra solo squarci di immagini ed echi di suoni da un'onda di schiuma nera che s'addensa nella sua mente come una massa vischiosa nella quale sguscia, ansiosa di scoprire un colore conosciuto, poi a un tratto si ritrae, allora nel silenzio zampilla la curva trasparente di un rivolo d'acqua che si perde nell'ammasso delle foglie del basilico, così la figura di Rosa, la serva, che annaffia le piante sul terrazzo, brilla d'improvviso negli occhi di Elena, scoppiando nel torpore dei ricordi e dilatandosi nella stanza, che si riempie dell'immagine di Rosa che fa oscillare lentamente le braccia come in una sequenza di istantanee, poi, improvvisamente, svanisce, ma dal terrazzo la sua voce intona una cantilena che attraversa le persiane della portafinestra chiusa, ondeggia nella stanza e va a schiacciare il petto di Elena, che sente un dolore risalire con prepotenza dal buio represso della memoria, mentre il respiro l'abbandona e il corpo si irrigidisce per la tensione di essere sul punto di scorgere il colore della morte, annaspa, poi una vampata di caldo la scuote e le brucia le guance, così schiude le labbra e respira con libertà, anche il petto si distende, però il dolo sul letto ancora non

l'abbandona, per cui un'inquietudine le fruga la mente e pulsa nelle tempie, quando il profilo di Irene con i capelli raccolti a corolla sul capo si disegna sulla tenda di pizzo bianco, allora Elena ha un sussulto, si tira a sedere con furia sul letto e agita le braccia nel vuoto per lacerare l'immagine della sorella che sta per sorridere schiudendo le labbra rosate, quindi un'amarezza senza rimedio le sale fino alla gola e gorgoglia in un singhiozzo disperato, ma Elena serra i denti e lotta contro le lacrime che stanno per sciogliere emozioni e ricordi che invece devono sparire insieme all'immagine della sorella in un buio definitivo e senza ritorno, però il profilo di Irene spunta nuovamente nel riverbero della luce tra le fessure delle persiane, si gira e diventa un ovale delicato che rivolge un sorriso a Elena, che, allarmata da quel viso sorridente, fa volare con un calcio violento le lenzuola, che, quando ricadono, si ammassano tristemente sul letto, cancellando la figura della sorella, allora Elena si leva ancora più ritta, sostenendosi con le braccia rigide e scuotendo con forza la testa, per cui la disperazione per un momento sembra assopirsi. Elena sa che non deve ricordare, perciò dovrà serrare gli occhi, agitare le braccia, scalciare, strillare fino a stordirsi, scuotere la testa, battere con forza i piedi sul pavimento, schiaffeggiarsi, spaccare il vaso sul cassettone, scagliare i sandali contro il vetro della finestra e poi urlare, urlare, di nuovo urlare fino a sentire rivoli di sangue scorrere lungo la gola, ma già adesso è sfinita e si abbandona contro la testata di legno liscio del letto, mentre, attraverso le persiane, strisce di sole colorano un angolo dello specchio del cassettone con le tinte dell'arcobaleno, per cui Elena è distratta dall'improvviso mistero dei colori, si perde in una fantasia che la conquista e l'allontana dalla pena che la tortura, così il suo sguardo si fissa nel vuoto, sfiorando la superficie degli oggetti senza riconoscerli, perché insegue un filo sperduto in una matassa impalpabile di sensa-


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zioni, infine davanti ai suoi occhi si materializza il vaso di ceramica bianca sul cassettone con due manici immensi, dal quale spuntano le foglie sottili di una palmetta che si riflettono nello specchio e si raddoppiano, poi le righe di verde si allungano nel chiarore soffuso e circondano la stanza, l'attraversano e quindi si stringono in un groviglio bizzarro che svanisce nell'angolo buio della porta che dà sul corridoio, allora una spina comincia a bruciare nel petto di Elena, le incendia le labbra e le guance, mentre Irene, vestita di bianco, solleva una teiera di porcellana, sorride e ai lati della bocca si disegnano due pieghe brevi, ma Elena ha ancora paura di quel sorriso, così allunga le braccia e straccia a brandelli l'immagine della sorella, poi agita i lunghi capelli neri contro la testata del letto, affonda i denti nel labbro inferiore, serra con forza gli occhi e nel buio vede brillare frammenti luminosi che squittiscono. Intanto dietro la portafinestra Rosa riprende a cantilenare e la nenia malinconica culla Elena in uno sprazzo di requie, che per un momento la rasserena, così scende dal letto, la camicia orlata e ricamata di rose gialle le ricade sulle gambe nude fino alle caviglie, corre scalza fino al cassettone, appoggia i gomiti sul piano di marmo e si osserva nello specchio, nel quale scorge un viso illividito dove ogni lineamento è spento, solo gli occhi brillano, lucidi e grandi, ma le dolgono, quando abbassa le palpebre, perché sono gonfi per il tormento che scorre implacabile sulla superficie del suo corpo, provocandole un tremore, per cui si aggrappa al bordo del cassettone, mentre nello specchio, dietro la sua immagine, si riflette l'angolo bianco dello stipite della porta e dalla penombra avanza la figura trasparente di Irene, allora Elena solleva un braccio e preme la palma della mano sullo specchio, schiacciando Irene, che svanisce insieme all'impronta tiepida delle dita, ma in quell'istante da una profondità indefinibile comincia a salire rapidamente lungo il corpo

di Elena uno sterminato torrente di dolore, pronto a scoppiare in un urlo senza fine, accompagnato da un'immagine che sta per esplodere nel suo cervello e incendiarlo di una follia senza ritorno, allora, per non sparire nella disperazione, Elena si precipita contro la portafinestra che si apre di schianto sul terrazzo e sul sole, così finalmente può respirare, ma ancora con affanno, perché il cuore a stento riesce a sopportare l'amarezza senza dimensione che stava per travolgerlo, pulsa con violenza per lo sforzo di dover sostenere un ritmo inarrestabile che fa fremere persino le braccia e le gambe. La figura di Rosa che annaffia le piante è ritagliata nel bianco di calce del terrazzo e si muove a scatti leggeri con il braccio inclinato che regge un annaffiatoio di stagno dal cui becco sottile scorre un rivolo curvo di acqua che cade nella terra dei vasi, porta un fazzolettone azzurro sui capelli e indossa un vestito a quadretti grigi e neri, lungo fino alle caviglie, che la fa sembrare più vecchia, quando si gira ha una smorfia sul viso, solleva l'annaffiatoio, indica con un braccio il cielo e dice che è una bella giornata, ma il sorriso di Elena si spegne sulle labbra in un soffio di aria che sibila nelle narici, si ravvia i capelli afferrandone una ciocca sulla punta della testa, poi muove qualche passo, incerta se affrontare la luce del terrazzo o ritornare nella penombra della sua stanza, ancora ha paura che l'immagine possa disegnarsi nella sua mente in tutta la sua orribile completezza, come stava per accadere un momento prima, quando ha temuto di impazzire dalla disperazione, mentre deve tentare di scordare per soffocare e frantumare quei ricordi che potrebbero sommergerla per sempre con il loro tormento, ma proprio in quel momento Irene si mette in testa un cappello alla nizzarda con un nastro rosa, si siede sul muretto del terrazzo e poggia sulle ginocchia un cestino di fiori, allora Elena urla, si porta le mani al viso per non vedere e corre verso Rosa che abbandona impaurita l'annaffiatoio che continua a versare acqua su una piastrella bianca, poi la fissa con le pupille nere che sembrano due bottoni rotondi nei bulbi lattiginosi degli occhi, mentre dall'altra parte dell'aranceto si apre la finestra di una villa vicina, alla quale si affacciano due donne, forse richiamate dal grido di

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Elena, si appoggiano con le braccia sul davanzale, in parte nascoste da un albero di fichi, sono vestite di nero con un fazzoletto annodato intorno al collo, hanno i capelli scuri spartiti nel mezzo e raccolti a crocchia dietro la nuca, osservano con insistenza, una ha il viso pensoso e l'altra sembra che voglia sorridere. Elena solleva lo sguardo e scorge sul fondo del terrazzo il soffitto della pergola, dove arriva l'edera, arrampicandosi sui larghi pilastri bianchi, poi indugia a guardare le foglie dure degli aranci che, oltre il muretto scalcinato, corrono verso un punto azzurro del cielo che Elena non riesce a trovare, perché nella sua mente scorre una massa liquida di luce dai toni intensi e chiari che la travolge e le fa perdere l'equilibrio, allora allunga le braccia, incontra la stoffa ruvida del vestito di Rosa e si aggrappa alle sue spalle, sa che è finita perché l'immagine sta risalendo la corrente di luce che le scorre nell'anima, pronta a scoppiare sul viso di Rosa, sul pergolato e sui vasi, così Elena scuote la testa, storce le labbra e chiude gli occhi, ma la disperazione non si arresta, travolge ogni difesa ed esplode all'improvviso sotto la luce del sole nel mezzo del terrazzo, liberando subito le tempie dal laccio che le stringe, mentre una colata di ricordi e di sentimenti si scioglie dentro di lei che abbraccia Rosa e piange, singhiozzando con la fronte schiacciata contro la spalla della serva, poi, quando solleva lo sguardo, scorge I rene in un lago di acqua e di luce, la vede di profilo, vestita di bianco con uno scialle turchese sulle spalle e un cestino di fiori abbandonato in grembo, è seduta con la schiena contro un pilastro in fondo al terrazzo, mentre Alberto sta tirando in basso le falde della giacca della divisa, assesta la cinta che sostiene su un fianco la spada sottile e si muove, battendo i tacchi degli stivali sul pavimento, davanti agli occhi di Elena che fissa immobile le figure, i colori e i suoni che si disegnano nell'aria del mattino, estranei alla sua mente e fuori della sua memoria, anche se li riconosce, così Alberto, come ieri, arriva davanti a Irene, si toglie il cappello rigido con le insegne dorate di tenente del regio esercito, osserva a lungo la giovane donna senza parlare, poi lentamente si china su di lei e la bacia sulle labbra.


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Centro Alambicco IL SETTORE ELETTROTECNICA DEL VALLAURI INCONTRA I DISABILI DEL CENTRO ALAMBICCO i ragazzi della classe V dell’ I.I.S. Vallauri di Fossano

Il settore elettrotecnica dell’ I.I.S. Vallauri di Fossano con tre ragazzi di quinta (Murazzano M., Racca A e Ninghetto L.) assistiti dal prof. Ingaramo P., ha avuto l’occasione di interfacciarsi con il centro diurno per disabili Alambicco di Racconigi e fare un’esperienza costruttiva e arricchente. Il progetto è partito da una richiesta del centro diurno Socio-Terapeutico Riabilitativo “Alambicco”, in particolare dal responsabile del centro, Flavio, e dall’educatrice Celeste. “Alambicco” è un servizio per giovani persone con disabilità fisico-psichico-sensoriale gravi e gravissime che manifestano una riduzione dell'autonomia personale. In questo centro le attività per i ragazzi includono tutta la sfera sensoriale: si fanno attività di massaggio per la riabilitazione muscolare, La pet therapy, laboratori di informatica, laboratori espressivi, laboratori di musica e attività inerenti lo sviluppo dei cinque sensi. L'Obbiettivo delle attività e degli interventi svolti al’interno del centro è di favorire la crescita personale e sociale degli ospiti, la ricerca del massimo sviluppo possibile delle loro potenzialità per ottenere un elevato livello di integrazione e realizzazione personale. Per ciascun ragazzo vengono individuate alcune aree di intervento (espressività, motoria, rela-

zionale, di socializzazione…) e sulla base di queste vengono strutturate le diverse attività per costruire un Progetto Educativo Individualizzato. “Alambicco” ha iniziato l'attività nel 2008, il servizio svolto è gestito dal Consorzio socio assistenziale Monviso Solidale ed è stato affidato tramite gara d'appalto alla Cooperativa Proposta 80. Ad ottobre 2016 il responsabile del centro, tramite il prof. Ingaramo, ha avanzato l’ipotesi di una collaborazione. I ragazzi del Vallauri, con le loro conoscenze, avrebbero potuto contribuire a realizzare delle tecnologie assistive per svolgere attività riabilitative e di “intrattenimento” sensoriale per gli ospiti del centro. Le tecnologie assistive sono strumenti o sistemi hardware o software che consentono alla persona disabile di accedere a servizi, accedere a informazioni, aumentare la qualità della vita, comunicare, avere una grande o piccola autonomia quotidiana. In accordo con il responsabile del centro e in funzione delle reali esigenze dei ragazzi, si sono progettati e realizzati due manufatti finanziati dal centro: un

pannello verticale con pulsanti, lampade, ventole, autoparlanti e un sistema di comando wireless di prese a parete. Entrambe i prodotti consentono un'attività ludica ma anche di stimolo sensoriale. Gli incontri durante l’anno si sono susseguiti per definire con precisione gli aspetti realizzativi in funzione delle esigenze dei ragazzi. Il 12 giugno 2017 sono stati consegnati presso il centro i due manufatti. Gli ospiti del centro si sono dimostrati entusiasti di provare entrambe le tecnologie realizzate. L’esperienza è risultata decisamente arricchente e di crescita personale per i ragazzi del settore elettrotecnica che hanno avuto l’occasione di incontrare una realtà che spesso la società trascura. Allo stesso tempo per il centro “Alambicco” si è aperta la possibilità di collaborare con il mondo della scuola e mettere a frutto le conoscenze degli alunni delle scuole superiori per realizzare strumenti utili alla quotidiana attività del centro che altrimenti risulterebbero molto costosi, difficili da reperire e da adattare singolarmente alle singole esigenze dei ragazzi.

Per una cultura dell’inclusione sociale

TUTTI AL PARCO, MA DAVVERO TUTTI Una piccola proposta per il Direttore Vitale di Guido Piovano

L’attenzione e l’impegno del Castello di Racconigi nei confronti delle esigenze delle persone con differenti abilità si è manifestato negli ultimi anni con una certa continuità. Sono del 3 dicembre 2015 - Giornata Internazionale dei diritti delle persone con disabilità - le iniziative, condotte in collaborazione con l’Associazione Le Terre dei Savoia “Il Castello è per tutti”, “A spasso con Virgil” - vero e proprio occhio virtuale e primo robot italiano che consente di esplorare spazi museali altrimenti inaccessibili – e “Conosciamoli da vicino”, spazio di didattica museale per non vedenti. Nella medesima circostanza furono sperimentate visite guidate al Castello, supportate dalla LIS, la Lingua Italiana dei Segni. Ed è del 26 maggio scorso l'iniziativa di Officina Monviso “Carrozze e Carrozzine” con la quale il Consorzio Monviso Solidale, insieme al Coordinamento Montagnaterapia Piemonte ha realizzato una giornata dedicata ad escursioni per disabili fisici lungo alcuni angoli significativi della geografia e della storia del parco del Castello Reale, con l’utilizzo di ausili alla mobilità in fuoristrada quali carrozzelle elettriche Going e Joelette. Ben vengano queste iniziative che mirano a con-

sentire, a chi non lo potrebbe fare, di usufruire di un importante bene museale e naturale. Voglio però qui sottolineare come, senza l’impiego di grandi mezzi ed energie, sia possibile rendere accessibile il Parco del nostro Castello davvero a tutti e nel quotidiano. Infatti oggi non è così. Vi è mai capitato di dover spingere una carrozzina o una carrozzella sulla ghiaia dei piazzali sud e nord del Castello? È praticamente una impresa impossibile! I due piazzali si configurano infatti come vere e proprie barriere architettoniche per chi voglia accompagnare un proprio caro o un proprio assistito nel Parco. Il mezzo si pianta nella ghiaia e non c’è verso di procedere oltre. In

verità la cosa è davvero impegnativa anche solo per una semplice bicicletta! E pensare che basterebbe all’uopo disporre di una passerella o di una stradina sterrata larga meno di due metri, ricavata rimuovendo un po’ di ghiaia… Ma non voglio, con questo, essere io a suggerire soluzioni. Mi rivolgo allora alla sensibilità dell’architetto Riccardo Vitale, Direttore del Castello e del Parco di Racconigi, perché voglia studiare come si possano eliminare gli ostacoli che oggi impediscono alle persone disabili di farsi tranquillamente una passeggiata fino alle Margarie e di godere di questa nostra oasi di pace, immersa nella natura. Grazie Direttore.


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Comunicato - Città di Racconigi

INCENDIO ALL’ASILO NIDO COMUNALE DI RACCONIGI Ieri pomeriggio, mercoledì 16 agosto, si è verificato un incendio presso l’Asilo Nido Comunale “Madre Teresa di Calcutta” di Via Ferruccio Ton n. 6. Grazie al tempestivo intervento dei Vigili del Fuoco Permanenti e dei Volontari del Distaccamento di Racconigi, coadiuvati dal Personale del Comune e dai Carabinieri della Compagnia di Savigliano e della Caserma di Racconigi, l’incendio è stato domato in poche ore. I danni sono importanti: a tal fine è già stata incaricata una società specializzata per la bonifica post incendio e si stanno valutando i lavori edili ed impiantistici necessari. La struttura, che risulta idonea in relazione alla normativa di prevenzione incendi, sarà al più presto oggetto di un rapido e tempestivo intervento affinché si possano riprendere le attività didattiche. A tal fine è già stata informata la Prefettura circa l’utilizzo di procedure d’emergenza per l’affidamento lavori. La Dirigenza Scolastica dell’Istituto Comprensivo “Bartolomeo Muzzone”, che

ringraziamo per la disponibilità, metterà a disposizione, fin dal 4 settembre ed in caso di necessità, alcuni locali della Scuola per l’Infanzia “Salvo d’Acquisto” per ospitare il Nido. Pertanto, consci dell’importanza che riveste il Nido per la nostra Comunità, confermiamo la continuità del servizio. L’impegno di tutti, degli uffici comunali in particolare, non alleviano lo sdegno per il vile atto doloso, che sarà sicuramente stimolo a far crescere ulteriormente il senso di comunità che da sempre contraddistingue i Racconigesi nel momento del bisogno. Racconigi, 17 agosto 2017 La Consigliera Delegata ai Servizi Scolastici Barbara Dodi Il Sindaco Valerio Oderda

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo numero In questo numero le fotografie che illustrano gli articoli, indipendentemente dal loro contenuto, sono di Rocco Agostino, fotografo conosciuto qui a Racconigi per essere l’animatore del circolo fotografico col quale ha organizzato mostre in molte occasioni alle quali lui stesso ha partecipato distinguendosi con scatti sempre meditati sia come temi sia come tagli compositivi delle fotografie presentate al pubblico. Le foto di Rocco riprodotte su questo numero di insonnia sono quelle circondate da una cornicetta nera e rappresentano il lavoro dei volontari che hanno partecipato all’allestimento del Museo della Seta recentemente inaugurato nel complesso delle Clarisse. Anche in questa occasione pensiamo che l’immagine offra una descrizione che solo il linguaggio visivo può suscitare.

Cin

Cinema Madrid, estate 2011. La città, più caotica che mai, è gremita di pellegrini in attesa della visita del papa e scossa da proteste contro

Lib

Libri a cura di Barbara Negro

Anima è un thriller noir unico nel suo genere. È un romanzo che divora il lettore, inabissandolo come in un inferno stratificato, attraverso una moltitudine di voci narranti differenti. Ogni capitolo della storia è infatti raccontato da un animale diverso: cani, gatti, uccelli,

CHE DIO CI PERDONI di Cecilia Siccardi

la crisi economica. In questo difficile contesto, i due detective Alfaro e Velarde danno la caccia a un serial killer, ostacolati anche dalla necessità di dover lavorare con discrezione per non diffondere il panico in città. Diretto da Rodrigo Sorogoyen, "Che Dio ci perdoni" è un thriller in piena regola, che rispetta pienamente canoni e cliché del genere. Troviamo ad esempio Antonio de la Torre e Roberto Alamo nei panni dei protagonisti, una coppia di detective completamente agli

antipodi: tanto uno è intenso e portato a violenti attacchi di rabbia, quanto l'altro ha un carattere chiuso e introverso. Il film contiene insomma molti topoi del film giallo d'azione, e in questo senso sono forse i riferimenti alla situazione sociale spagnola, il tratto di originalità più evidente. In ogni caso, la regia segue la vicenda a ritmo serrato fin dalle prime scene, rendendo "Che Dio ci perdoni" trascinante e avvincente. Al momento, il film è in cartellone al Cinema Classico a Torino.

insetti, rettili sono osservatori costanti dalla presenza spesso invisibile sulla scena. Il primo narratore è un gatto comune, Felis Sylvestris Catus Carthusianorum, che assiste al terribile omicidio della sua proprietaria e al suo ritrovamento. Il marito e protagonista, Wahhch Debch, rientrando in casa, trova la moglie sul pavimento brutalmente uccisa, dilaniata nel ventre dalla lama di un coltello. Da questo terribile fatto, ha inizio per l’uomo un viaggio mistico senza sosta e senza sonno: spinto in un primo momento dal desiderio accecante di vendetta, col passare del tempo e scatenato dal dolore per la perdita dell’amata, si rifà vivo dentro di lui il ricordo sfocato di una violenza subita durante l’infanzia. Sulle tracce dell’assassino della moglie, Wahhch si ritrova a mettere insieme i pezzi della sua vita e, alla

ricerca di indizi legati al proprio tremendo passato per ritrovare una verità assopita, riemergono ricordi di quando da bambino - durante la guerra di Sabra e Chatila in Libano - era stato strappato via dalla sua famiglia. Attraverso un viaggio nelle zone selvagge tra il Quebec e l’America, terre rubate agli indigeni, intrise ormai soltanto da violenza, cattiveria e soprusi, l’autore mette a confronto diverse civiltà e culture natie, facendo emergere un fattore comune: il male che gli uomini si infliggono senza pietà l’uno con l’altro, giorno per giorno, indipendentemente dall’area geografica abitata o dal periodo storico vissuto. Al lettore attonito non rimane che accettare con desolazione la triste verità “il cielo non ha visto niente di più bestiale dell’uomo”.

Wajdi Mouawad

“Anima”

2015, pp. 505, € 18,50 Editore: Fazi


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Mus

Musica CARTER RON

GOLDEN STRIKER TRIO - LIVE AT THE THEATERSTUBCHEN, KASSEL di Giuseppe Cavaglieri

Per quasi settant'anni, il brillante contrabbassista di Ferndale, Michigan, è stato considerato tra i più importanti e

creativi bassisti nella storia del jazz, nonché quello con più registrazioni alle spalle, con all'attivo oltre 2221 album, tutti registrati con la professionalità e l'affidabilità che contraddistinguono la sua carriera. Lo stile elegante, suggestivo e raffinato di Ron Carter, così come il suo straordinario senso del ritmo, ha formato intere generazioni di bassisti ed hanno avuto un enorme impatto sul Jazz nel suo complesso. Ron ha registrato i suoi primi dischi con musicisti del calibro di Eric Dolphy e Don Ellis nei primi anni '60. Il 1963 è il punto di svolta nella carriera di Carter, che venne reclutato nel quintetto di Miles Davis e rimase un elemento fisso in quella che viene considerata la più grande sezione ritmica della storia del jazz, restando nella formazione fino al 1968 affiancato da Her-

bie Hancock e Tony Williams, tre strumentisti che fusero il rigore tecnico e il virtuosismo con la duttilità armonica, creando una sezione che avrebbe visto tantissimi imitatori nei decenni a seguire. Ha lavorato poi con Gil Evans, Cannonball Adderley, Freddie Hubbard, Quincy Jones, Roberta Flack, Antonios Carlos Jobim, Jim Hall, Herbie Hancock, e McCoy Tyner. Ha guadagnato enorme stima come insegnante emerito di musica presso il City College di New York e alla Juilliard School of Music. Di conseguenza, non poteva esserci occasione migliore per rilasciare il nuovo CD del Golden Striker Trio, in occasione del 80° compleanno di Ron Carter, registrato nella bellissima Theaterstübchen a Kassel alla fine di ottobre 2016. Un regalo per i fans del bassista, ma soprattutto per se stesso, perché

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il Trio è una delle line-up preferite di Carter dall'inizio del nuovo millennio. Insieme a Donald Vega al pianoforte e al chitarrista Russell Malone, dall'universo della musica senza limiti, dopo aver attraversato universi musicali molto distanti tra loro, Ron Carter è tornato a casa, riscoprendo le canzoni del Great American Songbook e i suoi brani originali.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Malservito, dunque, in termini di informazione, in entrambi i casi. È un discorso che vale per tutta l’informazione? Ovviamente no: ci sono testate giornalistiche nate su Internet che riescono a bilanciare informazione e intrattenimento, o che hanno scelto di specializzarsi in un campo (cinema, ambiente, motori, ecc), dando un’informazione completa e puntuale là dove i giornali non hanno né il modo né lo spazio di approfondire. Parliamo quindi di uno scenario vario, complesso, e in continua trasformazione. Credo quindi sia eccessivo scandalizzarsi e indignarsi, dichiarando la morte del giornalismo “vero” e l’asservimento alle notizie di serie b. È vero, spesso quello che troviamo online non è di grande qualità, ma non dimentichiamo che si tratta di prodotti che nessuno di noi paga. E un servizio, professionale per di più, quando è gratis non può essere di grande qualità. O forse, sostengono alcuni, non lo deve nemmeno essere. Ecco quindi i miei “due centesimi” sull’argomento: per gli scettici del web, non dimentichiamo che, grazie a Internet, oggi si legge e ci si informa come mai prima d’o-

ra, con migliaia di contenuti che in ogni momento vengono pubblicati e condivisi. Nel mare magnum la caratura dei prodotti è calata, a volte anche lì – nei grandi giornali – dove eravamo abituati a qualità è serietà. Colpa della crisi dei giornali, delle minori risorse a disposizione e di scelte sbagliate, di ieri e di oggi, sulla gestione e l’impostazione dell’informazione tradizionale. Uno scenario che preoccupa, certamente, in primis i giornalisti. Ma in quanto lettori credo che sia necessaria una riflessione critica: quello che troviamo online, più sovente di quanto accada sulla carta stampata, può non piacerci e sembrarci scadente, a volte addirittura dannoso per l’opinione pubblica. Se da una parte è giusto segnalare gli errori e le forzature, dall’altra non si può chiedere un’informazione sempre neutrale (è noto che i giornali facciano campagne, che possono piacerci o meno, ma così è), né che sia gratis e allo stesso tempo di alto profilo. Bisogna pretendere un giornalismo migliore, ma bisogna anche pagarlo. Miriam Corgiat Mecio, direttore responsabile

2017

entro dicembre 2017

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