INSONNIA Aprile 2020

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“Finché avrai una ragione per vivere e combattere, non avrai tempo per la tristezza” Josè ‘Pepe’ Mujica

insonnia

mensile di confronto e ironia IRUS V I T N LE A A I C E SP

Insonnia n° 121 Aprile 2020 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

EDITORIALE di Rodolfo Allasia

Per la seconda volta insonnia si presenta on line ai suoi lettori e amici. Non è una rivoluzione, è una emergenza. In questa drammatica situazione gli attuali strumenti di comunicazione hanno mostrato il meglio ed il peggio della loro natura. Come avremmo potuto mettere insieme il giornale se non ci fosse internet? In un momento di isolamento ci saremmo sentiti ancora più soli. Ma la capacità di connessione ha dimostrato anche la pochezza di certa comunicazione e la presunzione che tutti noi sappiamo comunicare senza far caso alle cose che comunichiamo perché sono prese da altri. Messaggi, immagini, video ripetuti e ricopiati all’inverosimile, come certe barzellette che conoscono già tutti e non fanno più ridere come certe notizie travolgenti che ormai non fanno più nessun effetto: ci si abitua e dopo un po’ ci si annoia. Qualcuno, in quasi tutti i gruppi, anche in questo frangente, almeno una volta ha detto BASTA. Anche noi abbiamo usato ciò che la tecnologia ci mette a disposizione e non solo per il giornale, ma nello specifico abbiamo anche usato la tradizione. Abbiamo scritto una lettera con stilografica su carta, fotografata col cellulare e spedita con WhatsApp a quanti più potevamo, un sistema misto. Abbiamo chiesto di scrivere, senza farsi i problemi di vincere un premio letterario ma solo un problema: quello di scrivere ciò che nella

nostra mente e nel nostro cuore il trauma collettivo angosciante e soprattutto inatteso e imprevedibile per gli uomini comuni avesse fatto emergere. Quasi tutti con WhatsApp, altri con una mail ci hanno risposto, in molti. Nei momenti più gravi i pensieri di ognuno sono originali perché vengono da noi ed il nostro animo è scoperto, come una ferita che sanguina e ad ognuno la ferita gli è stata inferta in un punto diverso ma sempre ferita è, e spesso sanguina. Era anche una sfida a vedere quanti fossero riusciti ad aprirsi e scrivere. A volte abbiamo forse insistito un po’ ma il risultato è stato positivo visto la quantità di risposte. Dovevamo anche decidere se e come uscire col giornale e quanti di quei pensieri riportare nelle pagine come promesso nell’invito. Abbiamo deciso di uscire con il numero di aprile senza porci il problema del numero delle pagine perché usciamo on line e quindi il costo sembra non incidere; usciamo con la grafica che ci contraddistingue e con l’assetto di articoli, rubriche, immagini cui siamo soliti. Fino a che la pandemia ci obbligherà ad una diversa formula della nostra vita noi usciremo così e voi non dovrete uscire per andare a ritiralo dal panettiere o in cooperativa. Visto però che amiamo la carta e l’inchiostro e non ancora tutti hanno un computer, alla fine della emergenza, usciremo con un numero speciale COV, con più pagine che conterrà gli articoli che riterremo più significativi fra quelli già pubblicati in internet nei mesi precedenti.

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25 Aprile: una storia per

non dimenticare

Nesti ci racconta il suo ‘Barba Dulfu’ di Ernesta Navone

Si chiamava Adolfo Bertino, ma noi lo chiamavamo barba Dulfu, zio Adolfo. Era stato in montagna, ma non era un partigiano, perché l'8 settembre invece di andare con i fa-

scisti è scappato, è tornato a casa e si è nascosto a Torino dalla sorella che abitava insieme a mia zia. La loro casa era vicina alla nostra e la mia mamma era amica intima di questa sorella, detta Magna, così che io sono nata proprio con la camicia, fortunata in quei tempi di avere già come amica la figlia di Magna di 4 anni. Barba Dulfu resterà con noi fin dopo la Liberazione, nascosto quasi subito nella cantina del mio papà. Nato nel ’23, sarebbe poi morto nel 1982. Mio padre, a causa dei bombardamenti, aveva costruito tre rifugi sotto terra. Allora Adolfo, da buon falegname qual era, con il legname avanzato da mio padre, fa dei mobili per noi (nella foto a pag 3).

segue pag. 3

Lettera aperta

In ricordo di Roberto Sanson di Domenico Perrone

Ciao ROBERTO Ti voglio ricordare, oltreché per la sincera amicizia che ci univa, in modo particolare per la tua passione per la cultura e la storia della nostra città, dandone testimonianza, seppure parziale, in questa breve nota. Con te e grazie a te, insieme a Mario Monasterolo, Ubertino Longo, Carlo Sismonda, che ci hanno lasciato, e altri amici, nel 1995 venne fondata “ l’Associazione Amici della Storia di Racconigi”, in prosecuzione dell’opera di studi sulla storia locale iniziata dal Dott. Aldo Mainardi.

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Pag. 21: Numeri e indirizzi utili per l'emergenza Covid-19


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Lettera aperta

In ricordo di Roberto Sanson segue dalla prima

Mi vengono in mente le interminabili serate in cui dovevamo tenere a “freno” la tue “vulcaniche” proposte di attività culturali da progettare. Ricordo il tuo impegno di coinvolgere persone, associazioni, enti (come solo tu sapevi fare) nell’organizzazione, reperimento risorse, realizzazione di eventi. I tuoi viaggi in Regione a Torino per il finanziamento del restauro del coro ligneo della chiesa di S. Chiara o il coinvolgimento di Monsignor Marchisano per gli affreschi dello stesso, o ancora i tuoi contatti con imprenditori locali per il restauro dello stemma di S. Giovanni sul portale della chiesa e delle meridiane sulla parete laterale e il restauro del grande affresco dell’Annunciazione sul portale di S. Domenico. E ancora la tua assidua attività per il recupero del patrimonio librario del fondo antico della biblioteca civica, con testi del 1500 e secoli seguenti, al tempo depositato presso alcuni locali malsani dell’ex Ospedale neuro, la loro pulizia, sistemazione e ricatalogazione (oltre 2.000), con la collaborazione di Bruna Paschetta e studentesse racconigesi; il recupero dell’archivio storico dell’ex Setificio Manissero, importante esempio della fase della preindustrializzazione; il recupero dell’archivio della SOMS. E come non ricordare il tuo impegno per la organizzazione della ricorrenza nel 1998 degli “ottocento” anni di

Racconigi COMUNE, in cui sei riuscito, oltre al comune, a coinvolgere per l’evento, forse per la prima volta, quasi tutte le associazioni racconigesi, con la celebrazione ufficiale in consiglio comunale straordinario, con ben 21 sindaci presenti, la mostra dei documenti storici comunali attinenti in S. Giovanni Decollato, la rappresentazione scenica degli eventi significativi degli otto secoli nella Chiesa di S. Giovanni, grazie alla tua opera per l’assenso tramite Don Aldo e la comprensione “titubante” del Priore Don Felice, dato il luogo. Le rievocazioni storiche per le vie cittadine, con l’allora gruppo storico di Mario, per la festa del grano o per l’insurrezione per il pane avvenuta nel 1797, con ben 12 morti racconigesi, o ancora gli eventi di Racconigi porte aperte in cui vestivi, con estremo realismo anche per tua presenza fisica, gli abiti di padre domenicano, tanto da ingenerare (?) dubbi per una tua tardiva vocazione! Potrei ancora aggiungere la organizzazione del convegno sulla legge 180 Basaglia sulla chiusura degli ospedali psichiatrici, la collaborazione con la Soprintendenza alla catalogazione dell’archivio della parrocchia e così via su altri numerosi eventi in cui sei stato grande “motore”. Caro Roberto, mi e ci mancherà, oltre la tua amicizia, la tua sensibilità, l’entusiasmo e la creatività nel riscoprire e conoscere la cultura e la storia della nostra città.

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE MANI

Ogni volta che viene chiesta una illustrazione per una situazione di collaborazione, sostegno, aiuto ecc. la prima idea visiva è quella di due mani che si incontrano. Darsi la mano, in ogni parte del mondo moderno significa essere in pace, avere fiducia, coadiuvare. “Vieni a darmi una mano” si dice ad una persona a cui si chiede aiuto, anche se poi le mani non si usano. Quando poi si tratta di un sostegno di gruppo ecco che le mani si moltiplicano ed allora rappresentano la solidarietà. Abbiamo pensato che il racconto fotografico poteva essere composto di TANTE MANI a simboleggiare appunto una realtà di questi tempi e una speranza per il futuro. Si dice solidarietà quando tante mani si mettono tutte insieme per uno scopo che non sia aggressivo, abbiamo scelto mani aperte (non tese o chiuse) a fare qualcosa di utile, di bello. L’opposto potrebbero essere mani in tasca e quindi inutili. E a noi questo non piace, noi vorremmo tante mani attive per voi, per noi, anche domani. L’impostazione di insonnia di aprile non tratta di scienza, sanità, politica o economia; di tutto ciò, con l’aggiunta di polemiche e critiche, oggi si parla in ogni mezzo di comunicazione che apriamo; noi abbiamo impostato il nostro mensile pensando all’uomo come individuo, insieme agli altri per renderci conto che non siamo soli. Come sempre le fotografie di questo “racconto” sono quelle circondate da una cornicetta nera.

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Caro Virus di Luciano Fico , 23 marzo

Ciao Cov! Non ti spiace se mi permetto di chiamarti Cov, vero? Ormai siamo insieme ogni giorno, ogni ora del giorno, da parecchio tempo e allora mi sembra che possiamo essere meno formali… In realtà a te non interessa nulla della forma, tu sei per la sostanza. Rappresenti la tipologia più elementare di vita: pochi nucleotidi in sequenza, a formare un pezzetto di RNA, qualche proteina e qualche lipide per tenerti insieme e per poter entrare in contatto con una cellula viva, che ti permetta di replicarti. Sei così semplice, che puoi sopravvivere solo come parassita: da solo non ce la faresti mai, hai bisogno di un ospite, che ti faccia entrare nelle proprie cellule e che ti faccia replicare; poi vai al prossimo e così via… Noi umani siamo all’estremo opposto del processo evolutivo: siamo la creatura più complessa e più autonoma del creato, siamo addirittura autoconsapevoli, cose che tu non sapresti neppure immaginare! Così ci siamo illusi di essere del tutto indipendenti e liberi, padroni del Mondo e capaci di ottenere tutto ciò che la nostra splendida mente (anche questa cosa ti manca…) è capace di desiderare. Abbiamo costruito la nostra vita sul pianeta per millenni fino a diventare…dei parassiti come te!!! Ma dei parassiti stupidi ed inconsapevoli (ma allora la nostra autoconsapevolezza???): tu muti di continuo per adattarti alle situazioni; se diventi troppo letale per i tuoi ospiti, ti trasformi in una versione più gentile, perché se gli ospiti muoiono tutti, muori anche tu; così hai trovato sempre un buon compromesso e continui a vivere indisturbato. Noi, invece, ci siamo ubriacati di potere e abbiamo voluto credere di essere davvero unici ed invincibili, dimenticando, anno dopo anno, un’epoca dopo l’altra, che siamo

parte di un insieme. Tu sai mutare per adattarti, mentre noi abbiamo sviluppato la Tecnologia per far mutare il Mondo intorno a noi: ora ci stiamo finalmente accorgendo che siamo a rischio di distruggere la Terra, ossia l’organismo che ci ospita. Caro Cov, oggi stiamo prendendo coscienza di essere anche noi dei virus come te, solo più presuntuosi e più scollegati dalle regole basilari della Vita. Ci sei voluto tu, con i tuoi quattro nucleotidi e poche proteine, per farci smettere di correre come criceti sulla ruota; c’è voluta la paura, che tu ci fai, per accorgerci che siamo fragili e che dobbiamo prenderci cura della nostra fragilità; c’è voluta la quarantena per farci accorgere di quanto abbiamo bisogno, ogni santo giorno, del contatto con gli altri; c’è voluta questa pausa inattesa, per vedere come la Terra viva molto meglio se noi la smettiamo di vivere alla nostra maniera; c’è voluto l’imprevisto per risvegliarci dall’illusione che la vita sia sotto il nostro controllo. Ora ti saluto, perché ho tante cose da vivere, mica da fare: oggi voglio leggere un po’ di poesia; ho da telefonare a tante persone che sento vicine anche se non vedo; voglio anche fermarmi nel respiro a meditare, perché me lo voglio godere fino in fondo il respiro finché c’è; vorrei anche perdermi per qualche tempo a guardare la natura, che si sta risvegliando in questa Primavera e che mi ricorda come la Vita non coincida con il mio vivere, ma sia molto, molto di più… Per ora grazie, per quanto mi stai insegnando: quando da ragazzino immaginavo di incontrare nella mia vita un Maestro, mai avrei immaginato che potesse avere pochi nucleotidi ed un guscio di proteine, ma ora so che la vita non la si riesce a prevedere mai, al più la si può vivere… Con affetto, un tuo umile discepolo.


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25 Aprile: una storia per non dimenticare

Nesti ci racconta il suo ‘Barba Dulfu’ segue dalla prima

Mia madre infatti l’aveva accompagnato di notte ad un mobilificio in Piazza Benefica a Torino per mostrargli un tinello che le piaceva. Lui ce l’ha fabbricato lavorando per quasi due anni nella nostra cantina ricovero/prigione. Ricordo ancora che barba Dulfu aveva fatto un buco nella camera da letto della zia dietro un armadio: di giorno si nascondeva nell'alloggio e quando la portinaia vedeva arrivare qualcuno per l'ispezione gli bussava per fargli capire che si doveva nascondere: due anni passati tra la cantina ed un buco dietro l’armadio. Dopo il 25 Aprile, ha lavorato a Palazzo Reale

come restauratore di mobili antichi, poi ha continuato il mestiere con i Curti che erano famosi in Torino come restauratori addirittura di opere di Pelagio Pelagi. Quando i Curti andarono in pensione ne rilevò l’azienda ma, non avendo avuto fortuna con questa attività, abbandonò la vita di artigiano. Questo è il mio personale ricordo di un uomo che trovandosi a vivere un momento particolarmente difficile della nostra storia capì comunque da quale parte si dovesse stare e trovò persone pronte a rischiare con lui.

25 aprile: in memoria di Primo Levi a cura di Guido Piovano

suoi profeti, quelle persone che l’hanno saputo riconoscere nel creato e nelle creature. Il Dio che parla al nostro cuore e ci invita all’amore, alla solidarietà, alla cura. Se abbiamo avuto Auschwitz è anche perché l’uomo ha ignorato, dimenticato, tradito

Dio. Per ricordare Levi che da non credente ha saputo testimoniare Dio, gli dedico “Preghiera in Gennaio”, testo scritto nel 1967 da Fabrizio De André.

Preghiera in gennaio

L’11 aprile, tra pochi giorni, nel 1987 moriva a Torino Primo Levi. Aveva 67 anni. Fu trovato suicida alla base della tromba delle scale della sua casa*. Levi come scrittore è stato autore di saggi, racconti, romanzi, poesie e memorie. Antifascista e partigiano, nel dicembre 1943 era stato arrestato dai fascisti, mandato in un campo di raccolta a Fossoli e poi, nel febbraio del 1944, in quanto ebreo, deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Sopravvissuto al lager, si dedicò a testimoniare le atrocità che aveva vissuto. Levi non era credente, lo dichiara ne “I sommersi e i salvati”, opera del 1986 « ... io, il non credente, e ancor meno credente dopo la stagione di Auschwitz ...» e in una intervista di Ferdinando Camon “Conversazione con Primo Levi”, Guanda Edi-

tore 1997, dove dice «C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo». Come dargli torto! Il Dio dei miracoli, quel Dio cui anche in questi giorni di coronavirus molti uomini di chiesa, a partire dal papa, si rivolgono perché fermi l’epidemia, potendolo fare, perché non ha impedito Auschwitz? Come si può credere ad un Dio miracoloso che non ferma Auschwitz! Se esiste quel Dio lì, è un Dio cattivo, che odia l’uomo, che interviene in suo favore come e quando gli pare e grazie alle intercezioni di Madonne e Santi. Non mi riesce di credergli!. Allora a chi crediamo noi? La nostra fede va ad un Dio che ha scelto di parlare all’uomo attraverso la testimonianza dei

*Il suicidio di Levi rimane comunque un'ipotesi cui molti non aderiscono, poiché lo scrittore non aveva manifestato in alcun modo l'intenzione di uccidersi e anzi aveva in corso dei progetti per l'immediato futuro.

Lascia che sia fiorito Signore, il suo sentiero Quando a te la sua anima E al mondo la sua pelle Dovrà riconsegnare Quando verrà al tuo cielo Là dove in pieno giorno Risplendono le stelle Quando attraverserà L'ultimo vecchio ponte Ai suicidi dirà Baciandoli alla fronte Venite in Paradiso Là dove vado anch'io Perché non c'è l'inferno Nel mondo del buon Dio Fate che giunga a Voi Con le sue ossa stanche Seguito da migliaia Di quelle facce bianche Fate che a voi ritorni Fra i morti per oltraggio Che al cielo ed alla terra Mostrarono il coraggio

Signori benpensanti Spero non vi dispiaccia Se in cielo, in mezzo ai Santi Dio, fra le sue braccia Soffocherà il singhiozzo Di quelle labbra smorte Che all'odio e all'ignoranza Preferirono la morte Dio di misericordia Il tuo bel Paradiso L'hai fatto soprattutto Per chi non ha sorriso Per quelli che han vissuto Con la coscienza pura L'inferno esiste solo Per chi ne ha paura Meglio di lui nessuno Mai ti potrà indicare Gli errori di noi tutti Che puoi e vuoi salvare Ascolta la sua voce Che ormai canta nel vento Dio di misericordia Vedrai, sarai contento


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I rami del liquidambar di Luisa Perlo, 22 marzo

120 x 180 Non chilometri, neppure metri. Centimetri. 120 x180 centimetri di luce sono la mia finestra sul mondo, quella a cui mi affaccio ogni mattina per vedere se le previsioni del tempo sono state precise. Che poi, ad essere sincera, che cosa me ne faccio di un tempo bello o brutto? È esattamente la stessa cosa… Sono trascorsi quindici giorni da quando la nostra vita ha subito uno stravolgimento, si è arenata in una secca dalla quale non riesce a disincagliarsi. Eppure la routine mattutina non è cambiata, rimane uguale, perché se in questo momento questo ci è dato di fare, questo faremo. Lì fuori, oltre la finestra, c’è il mio piccolo giardino, con l’erba che sta crescendo color smeraldo, perché ha capito che da ieri è primavera. Ci sono un acero e un liquidambar che a breve saranno il mio baluardo protettivo da un sole troppo invadente e mi terranno compagnia sino a novembre. È tutto lì fuori, ma oltre a quello non c’è più libertà, la porta

deve rimanere chiusa, sino a data da destinarsi, come si dice in questi casi. Non lo sanno le gazze, che continuano curiose le loro ricognizioni, non lo sanno i piccoli passeri che pasteggiano con le briciole a loro dedicate, non lo sa il mio amico merlo bigamo, che torna ogni primavera con le sue due merle, che adorano tuffarsi sotto il getto dell’acqua che irriga. Non sanno come qui tutto sia diverso, come sentimenti nuovi e profondi si siano impossessati di noi: la paura, quella di non farcela ad uscire da questa situazione, l’ansia per i tuoi cari che non puoi vedere, la rabbia, per l’impotenza contro cui nulla si può fare. Abbiamo capito cosa significa davvero essere liberi, adesso che non possiamo uscire a nostro piacimento, non possiamo abbracciare chi amiamo, non possiamo prenderci cura sino in fondo di chi avrebbe bisogno di noi. I nostri occhi e il nostro cuore si devono abituare a un perimetro ristretto, a quel poco che ci è concesso senza che si possa al

momento vedere luce alla fine del tunnel. Chissà quante riflessioni ognuno di noi potrà fare in questa forzata solitudine, quanti conti cercherà di far tornare adesso che non basta più allungare una mano per afferrare ciò che si desidera. Si dice che nulla sarà più come prima, ed è vero, se non altro a livello soggettivo: ognuno di noi sta perdendo qualcosa a cui teneva, qualcuno sta tragicamente perdendo persone, affetti, qualcuno perderà la tranquillità dell’alzarsi la mattina per

recarsi a un lavoro sicuro. Io non so cosa perderò, non voglio fare i conti senza l’oste, voglio aspettare la fine per capire, per accettare, per diventare migliore. Non andrà tutto bene, ma se la prossima primavera i rami del liquidambar torneranno ad accogliere il nido della mia famiglia allargata di merli, saprò che tutto sommato ce l’abbiamo fatta. E questo sarà tanto, sarà davvero tanto.

Distinguere i segni dei tempi di Matteo Bolla, 31 marzo

Scrivo riflessioni e pensieri quando in realtà le mie mani sono solo capaci a stringere bulloni, avvitare tubi o rubinetti, soprattutto nella mia terra africana, quando andiamo a portare avanti una missione che ci siamo dati. Adesso sarà compito vostro, tagliare, correggere, cestinare quanto prodotto da me. COSA STA SUCCEDENDO? Non sta succedendo niente di particolare. Finalmente la crosta terrena, accumulata in anni di mancata igiene culturale, morale, etica, politica, finanziaria si sta sgretolando. Quello che mi fa soffrire è vedere e aver visto la Cultura morire. Letteratura, arte, musica, scultura sono state coperte da lastre di piattume e pattumiera di tutti i tipi. Ma come un'araba fenice la Cultura si sta prendendo le rivincite e rinasce nel silenzio della quarantena. Dobbiamo e spero vedere ancora la morte (almeno temporale) del dio Internet e allora i nostri, i miei libri della mia libreria riprenderanno a danzare come le tazzine del film "La Bella e la Bestia".

La Musica, non il rumore di oggi (Sfera Ebbasta e suoi simili) si riprenderà il giusto posto nella storia, così come il teatro, l'arte. Beethoven ritornerà come trionfatore con l'Inno alla Gioia e le nostre menti godranno dell'armonia delle sette note e i nostri occhi si stupiranno ancora una volta della bellezza del rapporto aureo!!!! Voi pensate che la quarantena mi abbia fatto male, vero? Non è così! Non ho messo lenzuola alle finestre con scritte utopistiche. "Ce la faremo", "Andrà tutto bene", "Passerà per tutti" (attenzione a non dimenticare l'accento sulla a) sono tutte frasi che possono servire a rassicurare i nostri bambini, non adolescenti o figli

grandi. Questi ultimi devono essere consapevoli che loro stessi e noi adulti abbiamo ricoperto "il pollo" con una crosta non di sale, per facilitare la cottura, ma di cemento per soffocarlo. Ancora una volta il "passato" non è servito a farci capire il "presente" o meglio non siamo stati in grado di capirlo. Il presente che stiamo vivendo dovrà portarci verso il nostro futuro; futuro che sarà sì un MISTERO come dice Maestro Oogway dal film "Kung fu Panda" ma solo nella misura in cui vivremo questo presente senza ragione, senza religione e senza CONSAPEVOLEZZA e responsabilità su tutti i fronti. I nostri genitori hanno ricostruito dalle macerie l'Italia dalla guerra. Le case, le fabbriche,

le città e paesi erano distrutti... ma avevano mantenuto la fede (2Tm 4,6-8) e hanno fatto rinascere l'Italia. Noi abbiamo le case, le città, le fabbriche ma ci manca la fede, la consapevolezza del momento e la memoria storica del passato. Il rischio è "Passata la festa, gabbato lo santo!". Forse è il momento di soffrire di "Insonnia" per poter "studiarle di notte e farle di giorno". Dobbiamo pensare, studiare e fare, Dobbiamo essere attenti a "distinguere i segni dei tempi" (Mt 16,2-3) per poter essere vigili e attori di questi cambiamenti. Le comparse non servono più.


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PENSIERI SPARSI di Simona Roccato, 1 aprile

Pensieri sparsi in questi giorni sospesi. Temo che sia questo il problema nella mia testa in questo tempo. I pensieri si rincorrono e si alternano in un tempo che diventa infinito e a volte tutto uguale. Tenere e preservare un equilibrio e una stabilità non è mai stato così urgente e fondamentale, ma non ho scritto facile. Al tempo stesso mai avrei creduto di sentire con più pungenti emozioni essere tante persone in una. Dentro la mia testa e il mio cuore, si confrontano continuamente la mamma, la moglie, la figlia, la maestra, la yogini e tante altre figure, tutte che si chiedono come assolvere al meglio il proprio ruolo quotidiano. Il mio sguardo si posa però più spesso su mio figlio. Diventare genitore è un'avventura costante e una responsabilità immensa. Essere genitori in un periodo ricco di incertezze lo è ancora di più. Voglio pensare però che questa situazione porti comunque del buono aiutandomi ad essere più consapevole di tante sfumature. Temo di essere una persona “puntigliosa”, come dice mio marito. Preferisco avere il controllo delle situazioni per gestirle con meno fatica e questa di situazione, con cui tutti siamo chiamati a fare i conti, mi mette alla prova. Non posso avere un controllo sufficiente di ciò che accade e accadrà nell'immediato futuro. Vorrei poter preservare mio figlio da tutto questo, cerco di proteggerlo seguendo le indicazioni date per evitare possibili contagi e cerco di essere sincera con lui rispetto al cambiamento che stiamo vivendo.

Lo osservo nella sua quotidianità stravolta dall'emergenza. Se all'inizio il non andare a scuola era una festa, questa novità si è trasformata in una quotidianità forzata. Per gli adulti lo è ovviamente, ma il lavoro, le necessità familiari e casalinghe oltre una buona dose di preoccupazioni su vari fronti contribuiscono a mantenere ancorati a un presente seppure incerto. L'assenza delle attività scolastiche ha spazzato via anche i momenti di incontro e di gioco, di socializzazione e di complicità con i coetanei. Le giornate si allungano e i tempi si dilatano. I compiti assegnati on line sono un tentativo di mantenere vive le competenze acquisite e un po' aiutano a scandire la giornata. A volte mi trovo a pensare a quanto il coronavirus abbia tolto alle nostre vite e alle loro ma mi sorprendo ugualmente a riflettere su quanto in realtà ci sta offrendo. Ci offre un tempo dilatato e sospeso che si sostituisce a quello costantemente scandito da ritmi, obblighi, opportunità. Rivivere la casa gli ha fatto sperimentare la noia. In questi giorni ho perso il conto di quante volte Nicolò mi ha tramortito con la solita frase -“Cosa faccio?”- cantilenata in tono serio, scocciato o a volte divertito. Già, la noia... Prima il suo tempo era scandito con un ritmo quotidiano e settimanale che badava ai minuti. Il tempo di questi giorni è diverso. L'ha fatto ciondolare per casa ma l'ha anche attivato attingendo al suo lato creativo. Ho ricevuto così per il mio compleanno una meravigliosa torta di cartone, arcobaleno e pop up. La sua stan-

za è un cantiere aperto. Abbiamo imparato a usare il cellulare per programmare videochiamate per giocare a battaglia navale con gli amici. La rampa del garage è il nuovo campo da calcio per gli allenamenti con papà. La lettura è diventata ancora più amica e preziosa: il magico mondo della saga di Harry Potter è diventato il suo rifugio segreto e privato. Ci sono comunque i momenti “no” che diventano tensione e fatica per tutta la famiglia... ma quelli a ben guardare capitano anche senza coronavirus. In quei momenti si cerca di essere comprensivi ma anche fermi. È tutto un mediare, ma credo che con i bambini il sottile gioco di equilibri è da ricercare sempre. C'è forse però il tentativo di ricordare che si può sempre scegliere la strada della gentilezza. Essere gentili non costa nulla e fa bene a chi riceve ma anche a chi la dona. E in questi giorni ne abbiamo bisogno di gentilezza: abbiamo bisogno di essere gentili con noi stessi e i nostri pensieri e le nostre emozioni, abbiamo bisogno di essere gentili nella cura del nostro corpo e della nostra salute e abbiamo bisogno di essere gentili nel coltivare i rapporti con chi ci è accanto quotidianamente e con chi è lontano. Ritornando ai momenti “no”, ci sono però quelli che ti colpiscono come uno schiaffo e ti fanno comprendere quanto, pur facendo tanto, non bastiamo. Penso a domenica scorsa dopo essere tornati dal buttare l'immondizia che ora acquista tutto un suo fascino come uscita pomeridiana. Nicolò non accetta di scambiare due parole con un bimbo incrociato seppure a chilometrica di-

stanza di sicurezza e si rabbuia. Dopo certosina opera di scalfitura, riesco a fare breccia e mi sento rispondere che non serve scambiare due parole “tanto il coronavirus non scompare domani”. No, amore mio, il coronavirus non scompare domani anche se vorrei con tutto il mio cuore di mamma. Vorrei poterlo fare evaporare lontano dal pianeta terra usando la bacchetta magica arcobaleno che ho costruito per il video dei miei bimbi di scuola. Non posso mentire al mio bambino ma posso continuare a ricordargli le parole che suo padre ha scelto per rincuorarlo: “tutto serve anche una semplice parola scambiata a distanza di sicurezza, anche una semplice videochiamata con un amico, un picnic improvvisato in giardino o una canzone cantata in coro sul terrazzo insieme ai vicini”. Tutto serve per accendere e mantenere viva quella energia che abbiamo dentro. Può capitare che dimentichiamo di possederla ma è vitale imparare a coltivarla ed alimentarla per dare colore a questi giorni che sembrano averne così poco di colore e di speranza. E infine di questi giorni silenziosi, dove non si sentono passare le auto per le strade e anche i passi delle persone che ti abitano accanto sono attutiti in modo irreale, voglio conservare le sue risate cristalline. Sono quelle che esplodono di gusto per un nulla, quelle che solo i bambini sono capaci di innescare facendo brillare tutto attorno, allontanando per un attimo i pensieri per quello che è oggi e sarà domani.


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a cura di Guido Piovano

“UNA COSA SOLA” [Matteo 19,6] «Pronto? Ciao Antonella, sono Guido, ciao. Ho saputo solo mezz'ora fa. Mi dispiace. Voglio esserti vicino, come mi è possibile, dal momento che il coronavirus ce lo impedisce fisicamente. Ti abbraccio». «Grazie Guido, mi fa tanto piacere. Soffro molto, sai, eravamo una cosa sola, io e Mario. “Una cosa sola”, mi fa pensare a tanti anni fa, quando giovane, ingenuo, innamorato e prossimo al matrimonio ebbi a chiedere a una coppia di amici sposati se nella vita di coppia si fosse veramente “una cosa sola”. Poi fu la vita a farmi capire che “una cosa sola” è una conquista, difficile, da costruire giorno dopo giorno.

Cara Antonella, affermarlo come fai tu con tanta consapevolezza dopo una vita in due è cosa grande. Ma non devi fare riferimento a un qualcosa che hai perduto… “eravamo”. “Una cosa sola”, vuol dire che finché tu vivi, lui vive ancora e completamente con te, in te. Vuol dire che sei tu che lo fai ancora vivere, che vinci la sua finitudine qui, che devi continuare a vivere anche per lui, con lui. Per il resto, non sappiamo né come né quando, ma la Promessa è proprio che la morte è, lei sì, finita, così che Mario è già oggi nell'abbraccio di Dio. Forza! È tutto vero, tranne i nomi. Racconigi, 14 marzo 2020

UN TEMPO D’ORO giorni di coronavirus Sono le cinque, è ancora buio, mi giro e rigiro con l'impressione netta di aver dormito tutto, tutto quel che avevo da dormire.

Pensieri e immagini affiorano. Ieri sera in Tv ho rivisto il papa che a piedi, con aria sofferente, in una Roma deserta, si reca in vi-

sita alla chiesa di San Marcello al Corso dove trova il crocifisso miracoloso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della Capitale perché avesse fine la grande peste a Roma. Con questo gesto, Francesco invoca la fine della pandemia che sta colpendo l'Italia e il mondo, chiede la guarigione di tanti malati e ricorda le vittime di questi giorni. Il papa annuncia, poi, l’indulgenza plenaria per tutti i cattolici che il 27 marzo si uniranno virtualmente a lui in preghiera. Insomma, dopo tante parole, tanta teologia, tante lezioni sulla preghiera, sul che cosa chiedere a Dio nella preghiera - la forza, lo Spirito, la capacità di essere fedeli e di aderire al messaggio -, dopo tanto riflettere, basta un povero virus per farci sbracare e tornare di fatto al Dio che fa i miracoli per intercessione dei crocefissi, delle Madonne del Rosario, della Madonna di Lourdes, della Madonna di Medjugorje, dei Santi e dei Protettori. Anche qui a Racconigi. Povera nostra fede! Siamo tornati ai miracoli, quelli “veri” di Gesù che “moltiplica” pani e pesci ed io, che nella vita mia precedente ho insegnato matematica, so bene che è un’operazione meccanica, che non implica alcun coinvolgimento! Tutto questo dopo tante parole sulla condivisione: se condividiamo tutto ciò che abbiamo, se tiriamo fuori dalle nostre saccocce il pane che teniamo nascosto, allora abbiamo da mangiare per tutti, nessuno escluso. È bastato un microscopico virus perché noi abbandonassimo il Dio che parla alle coscienze attraverso quegli uomini che sanno profferire parole e compiere gesti profetici, per rifugiarci in un Dio

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che agisce e interviene direttamente a mettere le cose a posto, a toglierci le castagne dal fuoco! Siamo di nuovo al Dio capriccioso che può intervenire o no, che decide quando, come e se farlo; al Dio che deve essere sospinto da Madonne e Santi. Un Dio dimentico del libero arbitrio. Questo Dio non mi piace, non è il Dio della Bibbia, non è il Dio dei Vangeli. Siamo ad una lettura fondamentalista delle Scritture. L'uomo chiede, Dio agisce secondo il volere dell’uomo. No, non ci sto. Sarà l'azione degli uomini, la semplice azione di noi che non usciamo di casa, di noi politici che guardiamo al bene comune, di noi scienziati, di noi medici, di noi che ci prendiamo rischi incredibili per lavorare e assicurare a tutti che la macchina possa un giorno riprendere, a condurci fuori dal tunnel, a mettere fine alla sofferenza, ai sacrifici. Un mondo senza Dio, allora? No! Con un Dio che parla al cuore dell’uomo. Accogliamone la parola, noi che lo crediamo; l'invito è a condividere, ad essere solidali nell'azione, negli intenti. Un nuovo mondo ci sarà solo se lo sapremo costruire tutti insieme, uomini di buona volontà, ciascuno con la propria fede nel cuore, in Dio e/o nell’uomo. Chiudo con i versi di un cantante, poeta troppo presto dimenticato: Ho visto nei miei sogni un tempo d’oro dove la vita si misura col lavoro dove pensare è un facile momento dove tu vivi libero di fuori e di dentro. Pierangelo Bertoli, “Un tempo d’oro”, 1967 Racconigi, 26 marzo 2020

Resilienza di Zanza Rino

Dicesi resiliente di persona che riesce ad adattarsi ai cambiamenti nonostante le circostanze avverse, che riesce a riprendere in mano la propria vita senza farsi annientare dalle difficoltà e senza alienare la propria identità. Con riferimento ad un’intera comunità resilienza sta a significare la capacità di un gruppo sociale di affrontare in modo positivo eventi traumatici o ca-

tastrofi naturali adottando linee guida che ne consentono la sopravvivenza. È questa la parola che mi viene in mente leggendo la raccolta di riflessioni e pensieri ospitate dal nostro giornale. E osservando l’esplosione di energie positive che l’emergenza covid19 alimenta. Dagli operatori sanitari alla protezione civile, dalle amministrazioni pubbliche ai volontari, da chi continua a lavorare per fornire a tutti beni e servizi essenziali ai cittadini che si chiudono in casa. Anche qui a Racconigi. Sono molti che fanno il loro dovere, e in tanti fanno anche molto di più. Certo, non tutti. Anche in questa drammatica occasione, come sempre, c’è chi si tira indietro, chi cerca di approfittare, chi fatica a capire che ognuno ha

il dovere di fare la propria parte, piccola o grande che sia. A questo non si porrà mai rimedio. Ma… lo confesso. Se due mesi fa mi avessero detto che tanti italiani si sarebbero adattati a chiudersi in casa senza troppo protestare, avrei sorriso e pensato “ma quando mai, mica siamo in Cina”. Ed ora eccoci qua, a fare la nostra parte. Non è facile, per nessuno. Il dramma della morte è entrato in molte case, resa ancora più dolorosa dalla solitudine. La mancanza di lavoro, la minaccia della povertà, il timore per il futuro sono destinati ad accompagnarci a lungo. Il tessuto produttivo e sociale è lacerato. Abbiamo paura. No, non “andrà tutto bene”, ma non me la prendo con chi lo dice… non credo che non capisca la situazione

o non abbia sensibilità verso chi è stato colpito. Forse ha soltanto bisogno di esorcizzare la paura e ognuno lo fa a modo suo. Oggi viviamo questa emergenza, fino a quando non lo sappiamo, ma un giorno finirà. Cerchiamo di farlo al nostro meglio. Dopo verrà il momento della ricostruzione; e non sarà facile. Ma forse dobbiamo prepararci fin da adesso, partendo da ciò che questi giorni terribili ci stanno insegnando. Valore della solidarietà, senso della comunità, rispetto della natura, guarigione dal delirio di onnipotenza. E molto altro. Ma di questo parla meglio di me Pepe Mujica, presidente emerito dell’Uruguay, di cui potete leggere in questo stesso numero di Insonnia una intervista.


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Aprire gli occhi e guardare in faccia i problemi di Maribel Serrano – Madrid, 25 marzo

Còmo a mi no se me ocurre nada, estoy sin poder centrarme, me parece que este escrito es una buena reflexion y una esperanza. Visto che non mi viene in mente niente, non riesco a concentrarmi, mi sembra che questo testo sia una buona riflessione e una speranza. “ Sábete Sancho, que no es un hombre más que otro si no hace mas que otro. Todas estas borrascas que nos succeden son señales de que presto ha de serenar el tiempo y han de sucedernos bien las cosas; porque no esposible que el mal ni el bien sean durables, y de aquì se sigue que, abiendo durado mucho el mal, el bien está ya serca” “Sappi Sancho, che non è un uomo migliore se non fa più di un altro uomo. Tutte queste burrasche che ci capitano sono segnali che presto il tempo si rasserenerà e le cose andranno meglio; perché non è possibile che il male né il bene siano duraturi, e da qui si deduce che, essendo durato molto il male, il bene è vicino” M. Cervantes – Don Chisciotte Jose M. Garcia-Madrid “ Ojala nada hubiera occurrido. Eso desean quienes viven estos tiempos, pero no le toca a ellos decidir. Lo único que podemos decidir es que acer con el tiempo que se nos ha dado” Las partes negativas de esta crisis son obvias y nos las recuerdan por todos los lados con trompetas y fanfarrias como si fuéramos ciegos, sordos y alejados de la

realidad. Quien encuentra su parte positiva? Quien saca una leccion? En medio de tanto ruido o corremos asustados o nos escondemos fieles al mandado de ignorantes gestores. Tiene que ocurrir algo tan inexorable para darnos cuenta ne nuestra pequeñez? Y para dejar aparcada una tonelada y media de yerro que nos come y destruye a golpe de combustión. Aparcaremos algún día nuestro afán de posesión? Nos miraremos a nosotros mismos y encontraremos las miserias qué solo vemos en los otros? Cuantas pandemias hacen faltas para que abramos los ojos y miremos de frente los problemas reales de la humanidad? Vendrá alguien a taparnos los ojos o a ablarnos a voces para seguir tan sordos y ciegos como ahora? O lo haremos solitos. “Vorrei che non fosse capitato nulla. Questo vorrebbero quelli che vivono questi tempi, però non tocca a loro decidere. L’unica cosa che possono decidere è cosa fare col tempo che ci è stato dato” Gli aspetti negativi di questa crisi sono ovvi e ce li ricordano da tutte le parti con trombe e fanfare come se fossimo ciechi, sordi e lontani dalla realtà. ¿Chi si rende conto del suo aspetto positivo? In mezzo a tanto rumore o corriamo spaventati o ci nascondiamo fedeli all’ordine di ignoranti gestori. ¿Bisogna che capiti qualcosa di così inesorabile per renderci conto della nostra

La Redazione di Insonnia partecipa al grave lutto che ha colpito Adonella Fiorito per la prematura scomparsa del caro figlio Federico e, nella speranza che possa superare questo momento difficile con la forza che l’ha sempre contraddistinta, porge sentite condoglianze.

piccolezza e per tenere parcheggiata una tonnellata e mezza di ferro che ci mangia e distrugge a colpi di combustione? ¿Parcheggeremo un giorno il nostro affanno di possesso? Guarderemo noi stessi e scorgeremo le miserie che solo vediamo negli altri? ¿Quante pandemie servono prima di aprire gli occhi e guardare in faccia i problemi reali della umanità? ¿Verrà qualcuno a chiuderci gli occhi o a bisbigliare per farci continuare cosi, sordi e ciechi come siamo ora o lo faremo da soli?

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Pensieri e Parole in quarantena

Mano arrossate… voglia di correre

Condividere qualche pensiero aiuta a stare un po' meglio in questi giorni difficili. Leggendo la stampa ero al corrente della diffusione del virus in Cina, ho iniziato a preoccuparmi, però vedevo la gente distratta… si faceva gli auguri di natale e di buon Anno 2020. Qualcheduno diceva “anno bisestile...”. I politici invece passavano le giornate solo a litigare. Una collega parlando di questo virus che era ancora in Cina, mi ha detto “l'importante che rimanga là”. A dire il vero sono rimasto un po’ male perché mi ha fatto pensare alle guerre del Golfo quando durante una manifestazione un signore aveva detto “cosa state facendo, la guerra è là...” . Adesso che il virus è già qui siamo tutti preoccupati. Io trovo difficile andare a lavorare anche perché gli utenti non riescono a capire bene questa emergenza. Alcuni colleghi non hanno retto la situazione e sono a casa, siamo rimasti in pochi a fare i turni. Usiamo una maschera da tanti giorni, le mani sono arrossate da tanto lavaggio. Dopo il lavoro ho voglia di correre... Mohamed, 21 marzo

Quanto saremo diversi?

In questi giorni iorestoacasa ma confesso che non è tanto questo a crearmi disagio quanto il dover continuamente subire la retorica dell’"andrà tutto bene" del "vinceremo" o del "ce la faremo" che in questi giorni spopola in rete e in tv. Questi slogan avevano un senso all’inizio quando ancora non eravamo in grado di percepire la dimensione reale del problema. In quei giorni anch’io mi sono commosso cantando l’inno al balcone di casa. Ora però mi chiedo come possa accettare quelle stesse parole chi già oggi ha perso qualcuno di caro. Mi chiedo quanti dovranno essere al massimo i morti perché alla fine si possa dire che è andato tutto bene. Cinquemila, come sono già oggi e sarà ancora vittoria? Diecimila? Centomila? Andremo a dirlo alla fine a chi avrà perso un figlio, un congiunto, un compagno, un amico? Gli diremo che abbiamo vinto, che ce l'abbiamo fatta? Prima o poi, il virus scomparirà, non per un miracolo o per le nostre preghiere, ma per

l'azione comune di tutti gli uomini impegnati, solidali o semplicemente rispettosi delle regole, che avranno trovato in loro stessi, nei loro diversi 'credi' le motivazioni, ma sarà comunque sconfitta. Solo col tempo potremo capire come ne saremo usciti, quanto diversi nella nostra capacità di condivisione, di solidarietà, di fratellanza… in una parola, quanto l'uomo sarà "nuovo" nel dare un futuro all'umanità, un futuro senza barriere... Questo sì sarebbe un "miracolo". Guido Piovano, 21 marzo

Speranza

Se riusciremo a superare questo morbo io spero che tutti noi si possa apprezzare, amare e rispettare di più la natura e gli animali e soprattutto gli esseri umani uguali e diversi. Katia, 22 marzo

Lulù è felice

La più felice di tutti quasi sicuramente è lei, la mia cagnetta Lulù, l’unica con la quale posso stare a meno di un metro di distanza, che non mi ha mai avuta a casa così tanto come in questi giorni, che continua a sorridermi, o almeno a me pare, anche se non la porto più a fare le lunghe passeggiate a cui l’avevo abituata. Lulù si sfinisce correndo nel cortile con un fazzoletto che ha rubato dalla roba stesa, e aspetta che io mi metta a giocare con lei, o che la accarezzi, e non si chiede quando finirà, come finirà o, peggio, se finirà. Vive quel momento. Con tutta l’energia, la concentrazione è la dedizione di cui è capace. Io provo a imitarla. Con poco successo! Margherita, 22 marzo

Per stare a galla

Lavorando da casa non ho tanto tempo per pensare a quello che c'è fuori, invece sto riscoprendo piccole cose che fanno stare bene, come un caffè di tanto in tanto con mio marito, contatti umani, anche se virtuali, con tante persone. Collaborazione e solidarietà con colleghi e studenti. Tenersi per mano per stare a galla tutti insieme. Per fortuna il Covid-19 è anche questo! Angelica, 22 marzo

Rimisurarci

È un momento che ci permette di rimisurarci. Anzi ci obbliga a rimisurarci. Facciamo i conti con quello che siamo capaci di fare e pensare tra quattro, o poco più, mura. Giuseppe, 22 marzo

Cerco un tempo che non c’è

Sono riflessioni molto banali essenzialmente legate a quanto mi mancano i ragazzi... La chitarra di Gianmaria abbandonata da più di un mese sul letto, Maddalena a 1200 km da me che si autogestisce l’emergenza come un vera donna, la tristezza di una spesa da single perché con Luca cerchiamo di non duplicare le possibilità di contagio essendo già entrambi più esposti in ospedale. I miei genitori ancora una volta delle rocce (speriamo fino alla fine): l’orgoglio professionale di aver nasato con anticipo la situazione e di averli spediti al mare a metà febbraio, la loro capacità a 80 suonati di condividere su wapp i loro manicaretti e la loro magnifica abbronzatura da balcone. E poi la musica, la radio sempre accesa non potrei farne a meno… non so come facciano quelli che non la ascoltano. E ancora la vicinanza, una chat di un condominio di persone gentili e premurose che serve per programmare con responsabilità i turni dei bambini in cortile e le loro grida dal basso, un suono che ci riporta all’infanzia (... anche se mia mamma non mi lasciava mai andare...) Monni, 22 marzo

Qualcosa di invisibile…

Forse questo tempo vuole dirci quanto siamo effimeri, di quante cose insignificanti si nutre la nostra vita. Di colpo un qualcosa di invisibile ha reso superflua l’opulenza del mondo, rendendola ridicola. Ci troviamo fragili, soli, connessi ma distanti dall’umanità, a non saper immaginare il domani. Forse questo tempo ci insegnerà che la vita di ognuno dipende anche dalla vita degli altri, che la libertà di ognuno è anche libertà degli altri e che un abbraccio è la cosa che ci rende più umani. Adri, 22 marzo


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Pensieri e Parole in quarantena

Pizza… Pizza… Pizza…

Non volevo mettere la mascherina! I primi che vedevi in giro col volto coperto li guardavo un po' divertita. Adesso sono rimasti pochi a non usarla e li guardi con sospetto e ti sposti quando passano. E allora ho tirato fuori la mia. Accidenti! Nei negozi non si trova più lo lievito di birra!... Va letteralmente a ruba... Io stessa lo cerco disperata. Pizza… Pizza… Pizza… Sembra che se non impasto non sto bene. Torte… Cavatelli… Pizza… I sapori di casa per trovare una normalità, in questo tempo strano dove la paura ti si insinua sotto la pelle… perché sono tranquilla, serena ma lo senti sempre più vicino… il pericolo… e faccio finta di niente e impasto… Pizza… Pizza… Pizza. Liliana, 22 marzo

Un “treno” contro

Buongiorno, di un qualsiasi giorno di questo forzato isolamento. Sono confusa e arrabbiata, invasa da notizie che mi incasinano la mente e mi rendono incapace di elaborare un’idea pressappoco coerente e lucida su cosa ci stia accadendo. Ognuno di noi mette a punto una idea sulla base delle notizie che vengono messe a disposizione e non sarò io a proporre la mia. Mi sto accorgendo che bene o male i divieti emanati stanno prendendo corpo. Vogliamo tutti uscire al più presto da questo limbo e il “treno” che ci è venuto contro ci ha trovati impreparati. Per la mia generazione è la prima “batosta”! Come commerciante invito tutti i racconigesi, alla fine di questa “guerra” contro il “virus” a contribuire a far sì che le attività meno fortunate (il comparto alimentare escluso) possano continuare la loro attività sulla città visto che le restrizioni infliggono un danno pesantissimo. Tutto lecito, ma non toglie che ne usciremo a pezzi. Valeria Testa, 22 marzo

Lo sguardo vigile di Dio

Credo che nei prossimi giorni sarà sempre più difficile farsi un'opinione e criticare, an-

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che benevolmente, quelle degli altri. Sarà vigile lo sguardo di Dio, che ascolta le nostre parole, i nostri pensieri, ma soprattutto i nostri cuori, mentre esprimiamo questa o quell'idea. Andrea Piovano, 22 marzo

vergogna. Vorrei fermarli sulla carta ma i pensieri vanno più veloci della penna. Continuo a guardarmi i piedi fino a che una nota della musica mi apra un’altra finestra. Rodo, 24 marzo

La bandiera di Nesti

Virus

La bandiera di Nesti costruita con un panno rosso, uno scialle bianco e una borsa della spesa verde. Nesti Navone, 23 marzo

La fredda signora

Qui nel mio letto mi guardo i piedi: le dita un po’ storte e le unghie non ben tagliate, la pelle tesa sui tendini, le vene sporgenti e qualche vecchia ferita. Tempo addietro andavo fiero dei miei piedi magri, oggi li guardo e penso che mi hanno portato fino a qui e non possono essere una meraviglia dopo tanti passi ma li ringrazio. In questi tempi la morte è molto più vicina a noi tutti; per la prima volta realizzo che è una morte alla quale non si può sfuggire, in qualunque parte del pianeta ci si possa rifugiare (Samarcanda di Vecchioni). È sempre così ma ora ne ho maggior consapevolezza. Quando la fredda signora è così vicina per TUTTI, i pensieri diventano speciali: ogni piccola sfumatura assume un significato profondo. Questo è bello, mi piace. Sento musica e canzoni di cinquant’anni fa e mi sembra che questi artisti raccontassero già allora di questi giorni. Non voglio scacciare questi pensieri, li voglio tenere qui e gustarmeli; mi fanno sentire sereno perché non hanno censure, ritegni,

In questo momento “straordinario”, a fronte di tanti problemi, che tutti ben conosciamo, il mio carattere ottimista mi fa trovare anche lati positivi. Intanto si abbassa il livello di stress causato dal dover incastrare i vari impegni quotidiani: non posso andare al lavoro, quindi smart working in tuta, non posso andare in palestra, ho lezioni su you tube delle attività che preferisco all’ora che mi fa più comodo. La spesa, e qui so di essere privilegiata, la fa mia figlia, per noi e anche per la nonna, che si è volontariamente chiusa in casa ed ha contatti alla giusta distanza solo con la nipote che le porta la spesa o le medicine. Per appagare il mio bisogno di movimento, ho coinvolto mio marito nelle grandi pulizie: abbiamo igienizzato casa dentro e fuori, lavoro di giorni!! Finalmente posso leggere, e non solo la sera tardi quando gli occhi mi si chiudono e oltre le due pagine non riesco ad andare. Ma soprattutto, in questo tempo ritrovato, ho ricominciato a ballare! (ovviamente da sola) E così molto spesso penso ai miei amici ballerini, e mi viene voglia di rivederli. Ecco se qualcosa cambierà sarà nel trovare più momenti di condivisione, di socialità. Silvia C., 24 marzo

Lettera ad un Virus

Una leggenda russa racconta che un ricco avrebbe dovuto morire quel giorno ma disse alla Morte: - Non mi avrai perché io col mio cavallo andrò lontano! Monti e valli attraversò e fermatosi, vicino a lui vide la Morte che gli disse: - Ti aspettavo! Tu Virus sei arrivato, ovunque arrivavi prima e attendevi. Davanti a te si sono inchinati Capi di Stato, ricchi e potenti ma quante lacrime tra gli anziani e i poveri! Penso che tu abbia sorriso


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nel vedere i nostri volti stanchi e mascherati. Tu ti vanti della tua Corona ma sei subdolo perché nessuno ti vede ma sentiamo la tua presenza. Con noi c’è un uomo vestito di bianco, solo, vecchio e malato ma con parole semplici e belle parla a tutti perché prega. Ora ti chiedo un favore, riposati, la tua Corona è stanca e noi siamo stremati; ora siamo quasi tutti uguali davanti a te. Ritorna dove eri prima colla Corona accanto e con il nostro Grazie per sempre. Prima però illumina la mente di una persona col camice liso ma dal grande cuore e digli un nome che tu ben sai, perché dia sollievo e guarigione a chi soffre ancora tanto. A noi anziani che abbiamo vissuto l’ultimo conflitto, regala ancora un po’ di vita e ai giovani la vita bella coi loro nonni. Ora ritorna a riposarti con la tua Corona ed il mio Grazie. Rina Perrone, 25 marzo (Rina ha compiuto 87 anni il 5 aprile 2020)

Disordine mentale

Ho visto uno passare sotto le mie finestre; parlava da solo, dentro la sua mascherina verde; non ho capito che cosa stava dicendo, probabilmente neppure lui. La gente comincia a non essere completamente equilibrata, a non avere più una organizzazione mentale chiara. Il disordine mentale è la cifra che caratterizza questi tempi ma potrebbe peggiorare. Mettere ordine in questa situazione non è facile ed allora molti cercano un ordine più limitato: mettere ordine in casa, nel cortile, nei cassetti, fare pulizia. Vedere questo ordine che avanza mette quiete, tranquillizza. La mente però continua ad essere disordinata ahimè ed è proprio lì che ci si muove con difficoltà. Molta difficoltà. Quanti amici raccontano, un po’ con ironia, un po’ con profonda convinzione che in questi giorni è l’attività più praticata. E quando tutto questo sarà pulito e in ordine? Rodo, 25 marzo

Goal!

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Caro Lorenzo. Ho notato degli strani cambiamenti tipo le

strade vuote e silenziose, supermercati con poca gente, in primavera i fiori sbocciano senza essere raccolti e i parchi vuoti anche quando c’è il sole. La prima cosa che farei è invitare tutti i miei amici ogni giorno per tornare allegri dopo il corona virus. La seconda invece è di andare a giocare nei prati pieni, colmi e stracolmi di persone quando prima non c’era anima viva in giro. Infine la terza è di andare a giocare al campo sportivo pieno di voci: goal! Passa! Bravo! prima si sentiva soltanto il fruscio del vento e il cinguettio degli uccelli. Spero di andarci presto! Nicolò, 26 marzo (Nicolò è un bambino di 9 anni)

"PRIMA" ... "DOPO"

Devo spedire un biglietto. Forse la posta non funziona normalmente. Decido di consegnarlo a mano. Arrivata davanti al condominio, vedo sul balcone del primo piano una coppia che conosco. Chiedo se possono aprirmi il portone. Cominciamo a parlare. Stanno facendo le pulizie di Pasqua. Veramente sono pulizie di Pasqua che attendono da trent'anni, mi dice lei. Da una finestra della casa di fronte: "Carla, quanto tempo che non ci vediamo!". Mi avvicino, e ora chiacchieriamo tutti insieme. Dal balcone la signora mi getta un pacco di zucchero, perché lo passi alla vicina che sta cucinando i biscotti. Sotto la finestra, sulla strada, su una sedia di plastica verde, un'anziana. Col cappotto, avvolta in una sciarpa, mi guarda e sorride. I suoi occhi azzurri riflettono il cielo in questa mattina serena e soleggiata. Ecco, questo è un momento che vorrei rivivere quando tutto sarà passato e resterà solo un ricordo. Un momento di semplice socialità, di genuina vicinanza, condivisione, impensabile "prima". Sì, riscoprire una nuova e autentica socialità e vivere il tempo in tutta la sua "dilatata lentezza" è ciò che vorrei poter conservare "dopo". Carla, 27 marzo

Il dono della vita

Questo tempo che stiamo vivendo può forse portare un insegnamento per esaltare i valori veri della vita, che possono essere rappre-

sentati anche da piccole cose, come osservare la natura, o fare una passeggiata all’aperto, o dare una stretta di mano, un abbraccio, un bacio. Stiamo imparando che quello che davamo per scontato, scontato non è. Spero che con questa esperienza, che nessuno si aspettava, torniamo a dare importanza al dono della vita che è il dono più grande che abbiamo, senza il quale nulla può essere compiuto. Michela, 27 marzo

Avanti, sempre avanti

Coronavirus: nemico implacabile, intrusivo, improvviso, omicida. Buio assoluto, luce della scienza, speranza, tenui sorrisi sui visi di disfatti ma non proni. Avanti, sempre avanti. W la scienza. W l’Italia. Marco Della Valle, 27 marzo

Vivere in una dimensione sospesa

Ho vissuto un primo momento dove per me era indispensabile avere notizie di ogni genere sul coronavirus ed ero conseguentemente e continuamente connesso col mondo esterno. E poi piano piano il mio sguardo si è spostato sul mio piccolo mondo. La famiglia, la casa e da qualche giorno, ogni mattina mi sveglio ed ho davanti a me come un foglio bianco che voglio riempire con cose da fare e che prima non avevo tempo neanche di vedere. Ho tirato giù dallo scaffale strumenti e attrezzature che non ricordavo neanche di avere ed ho cominciato a dedicarmi al bricolage casalingo. Mi sembra di vivere in una dimensione sospesa dove pur se ti sembra che tutto sia uguale a prima sai che niente sarà più come prima. Fedele Mandarano, 27 marzo

Pensieri al vento…

Credo di non aver mai sentito tanta paura diffusa nell’aria. L’impotenza che questa situazione ci impone è spaventosa, senza dubbio lo è… Proverà sensazioni un computer cui viene dato il comando del riavvio? Forse proprio come un calcolatore in crash stiamo vivendo il nostro riavvio, o forse, come la pulizia mitocondriale, stiamo fagocitando e aggredendo parte della nostra stessa comu-


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Pensieri e Parole in quarantena

nità per fare ordine, per togliere ciò che non è necessario e quindi è dannoso. Ieri ho visto un falco appollaiato su di un palo della luce, mi ha restituito uno sguardo curioso ed interrogativo e poi ha spiccato il volo e se n’è andato. Il novanta percento delle schiuse di rapaci, mediamente, non sopravvive al primo inverno; ma a chi sopravvive non aspetta che una vita breve e difficile in cui nulla è scontato e nulla è regalato. Credo che il regno animale, ad esclusione degli esseri umani, abbia concezione della morte molto superiore alla nostra attuale. Quando si ha familiarità con il concetto di fine, allora si può avere rispetto per l’inizio. Siamo diventati bravi a sopravvivere, grazie anche a tante e continue conquiste sociali e scientifiche, ma forse abbiamo perso qualcos’altro. Abbiamo aperto un foglio di calcolo dietro l’altro e poi la mail e poi il riproduttore musicale e questo ha portato al bisogno di riavviare il sistema… volendo tornare al paragone del computer. Non sono un nostalgico. Non rimpiango tempi passati che non ho mai vissuto. Non credo che “quando c’era lui era meglio”; non credo che quando si moriva di parto la vita fosse dura, ma migliore. Però credo che cadere serva ad imparare a rialzarsi. Siamo caduti sull’ambiente e sul clima. Siamo caduti come popolo e come umanità. Oggi, forse, cadiamo anche come specie. Cosa dovremo imparare da questo? In che modo potremo evitare di inciampare ancora? Simone, 27 marzo

Due pensieri in libertà

In questi giorni difficili, di bollettini di morte, di restrizioni perduranti, di informazioni confuse, le rondini son tornate a volare nei cieli di primavera, i cavalieri d’Italia sono già in competizione per scegliere l’isolotto migliore dove costruire il nido e un ultimo ritardatario esemplare di gru fa una breve tappa alla volta della tundra del Nord Europa. Sono sempre stata amante della campagna, ma ancor più in questo periodo, emerge in modo prepotente quanta forza abbia la Natura, anche in termini di supporto psicologico: basta guardare il volo libero degli uccelli, il rifiorire degli alberi per convincersi del fatto che, dopo una pausa, vien comunque la ripresa, perché la Natura - e noi con lei - siam fatti per sopravvivere. Ora come non mai scopriamo quanto sarebbe bello fare anche solo una passeggiata, essendo limitati negli spostamenti, fare due passi in Natura proprio per ricaricare le energie fisiche, ma anche per accumulare un po’ di bellezza negli occhi e per recuperare quel sottile equilibrio psico-fisico che ci governa. Ecco, questo non dovremmo dimenticarci: la Natura governa e alimenta la nostra interiorità e dovremmo sempre custodire e difendere il diritto di avere del tempo quotidiano dedicato a ristabilire questo contatto. Ho letto della Svezia, dove sul posto di lavoro è obbligatorio fare mezzora di attività fisica a metà giornata, perché è dimostrato che la resa lavorativa è migliore. Spesso guardiamo con ammirazione queste iniziative, seppur convinti che da noi siano irrealizzabili: non credo sia poi così difficile applicare degli elementi migliorativi a queste vite frenetiche e stressanti che ci siamo creati

con le nostre stesse mani. Già qualcun altro ci aveva suggerito che “Homo faber ipsius fortunae”, l’uomo è artefice del proprio destino. Gabriella Vaschetti, 28 marzo

In compagnia dei nostri pensieri

Sul periodo che stiamo vivendo si potrebbero fare centinaia di riflessioni, in quanto sono molti gli aspetti della nostra vita ad essere stati stravolti dalle misure di contenimento della diffusione del Covid-19. Mi vorrei focalizzare, non solo in questo breve scritto, ma anche quotidianamente, sugli aspetti positivi del nostro isolamento forzato, e sugli insegnamenti che l’uomo può trarre da tutto ciò. Stiamo sperimentando alcune imposizioni a livello relazionale che si ripercuotono poi sull’individualità di ognuno di noi. Non possiamo toccarci, non possiamo abbracciarci, dobbiamo tenerci a distanza, ci stiamo abituando a pensare che il nostro prossimo è un’ipotetica persona positiva al virus, oppure che noi stessi possiamo essere portatori asintomatici del virus. Io penso che questo meccanismo ci può portare (se lo sappiamo cogliere) a considerarci di nuovo tutti alla pari. Non c’è più una categoria di persone (gli immigrati, i senza fissa dimora...) che attira la nostra attenzione perché viene associata ad una qualche forma di pericolo. Ognuno di noi può essere fonte di pericolo. Negli ultimi mesi erano aumentati i casi di razzismo e di antisemitismo nel nostro paese; era diventata quasi una moda scrivere sulle porte di persone di origine ebraica “ebreo qui”. Ora dovremmo scrivere sulle porte di tutto il paese “Covid-19 qui, forse”. La nostra attenzione non va più solo su alcune persone portatrici di un’etichetta sociale, ma si sposta su chiunque incontriamo, e su noi stessi. L’attenzione su noi stessi viene amplificata dall’isolamento in cui dobbiamo vivere. Può spaventare la solitudine, perché ci si trova a vivere in compagnia dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, alcuni dei quali non sono tanto piacevoli da vivere. Siamo di nuovo padroni del nostro tempo, che però è tanto da riempire. Ma quando le misure di sicurezza verranno sospese, saremo forse più propensi a incontrare l’Altro e a gioire delle sua presenza. Saremo più capaci di apprezzare e di vivere i momenti di socialità, potremo percepire il nostro prossimo come un Dono. Un’ultima considerazione vorrei fare. Io credo fermamente che la natura in cui viviamo stia rifiorendo in questo momento: l’inquinamento atmosferico ha subito un calo nelle ultime settimane, sono ricomparsi vicini ai centri cittadini animali selvatici che non si vedevano più. Il nostro mondo umano si è fermato, ma la natura va avanti, porta con sé la primavera con le sue bellezze e le sue novità. E probabilmente va avanti ancora meglio di prima. Allora forse questo periodo ci regala un’altra possibilità: quella di rivedere il nostro modo di vivere, di stare nel mondo e di usufruire dei prodotti del mondo. Il nostro desiderio attuale di uscire a fare una passeggiata, di goderci il paesaggio primaverile può trasformarsi in un impegno concreto a usare con più gentilezza, con più cura, con più amore la natura che ci circonda. Giulia, 28 marzo

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Bologna-Lecce

Non li capisco quelli che dicono che non sanno che fare in casa, che devono trovare come passare il tempo o che hanno riscoperto le loro vecchie passioni. Io lavoro, lavoro moltissimo, molto più di prima e di tempo non ne ho. Meglio così, perché altrimenti penserei. Altrimenti sarebbe molto più difficile accettare che ce l’avevamo fatta, era deciso, solo qualche giorno per trovare una casa ammobiliata decente ed era fatta. Sarebbero venuti su perché ormai non ce la potevano fare, mamma con un tumore e papà con demenza senile incipiente. Invece arriva lui, il Corona virus. Così, all’improvviso. Allora penso, forse è meglio aspettare un paio di settimane in modo che la situazione rientri, invece in queste settimane la situazione precipita. Mai prendere tempo, quando si decide, bisogna essere tempestivi, perché potrebbe arrivare il Corona virus, ma com’è che non ci ho pensato? Ma come ho fatto a non pensare che in un paio di settimane sarebbe diventato sempre più pericoloso farli spostare; che per me sarebbe stato proibitivo prendere un treno per andare da loro perché il paese è blindato, perché chi prova a tornare a casa è considerato un untore, perché anche se riesco ad arrivare là senza essere multata o arrestata in effetti io potrei essere una asintomatica e anche se non lo fossi su un treno sarebbe un attimo essere contagiata e magari arrivo a casa e li contagio. Come ho fatto a non pensarci!?!? Quindi, meglio lavorare molto, moltissimo, e sperare che non ci siano scellerati terroni asintomatici che trovano il modo di aggirare i divieti, mettendo in pericolo mio padre e mia madre, che ormai sono solissimi, nessuno va ad aiutarli se non per portare la spesa e i medicinali, il che da una parte è meglio perché rischiano di meno il contagio. Quindi sì, molto meglio spegnersi lentamente da soli per altri motivi che per il Corona virus. In questo modo ho qualche speranza che il male di mia madre sia gentile, si fermi un attimo per far passare l’emergenza e si possa riprendere il discorso da quella mattina in cui avevamo deciso tutti insieme che, il tempo di trovare una casa decente, e sarebbero venuti su. Il programma è far passare questo tempo, che quanto durerà? Regola numero uno: non farsi domande. Alessandra, 28 marzo

Guardiamoci dentro

Fermiamoci, semplicemente è un obbligo. Basta tutto questo rumore, questo caos frenetico che ci ha impedito di guardare in alto, intorno, dentro. Abbiamo rotto il buonsenso. Siamo stati impegnati a correre per arrivare sempre più in alto, possedere sempre di più, e non ci siamo accorti che non stavamo bene, che il nostro pianeta è malato irrimediabilmente: di fronte a questo virus, ci siamo trovati impauriti, smarriti, impreparati, pensavamo di stare bene in salute, in un mondo malato. A volte arriva un Cristo, a volte un dio altrettanto invisibile a parlarci di una nuova umanità; da soli non siamo niente, non siamo


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capaci di fare niente, bisogna essere uniti. Così alla cieca, non potevamo andare avanti, chiusi nel nostro egoismo; questo virus ci fa guardare dentro, pensare ai più deboli, agli anziani, agli ultimi del mondo verso cui siamo sempre stati sordi, ed ora siamo deboli e poveri anche noi; il valore delle cose si comprende quando queste vengono a mancare. Stare a casa, ci fa aprire il cuore e la mente, apprezzare valori, affetti che non sapevamo più di possedere, ricordare che la natura è madre, è cose. Dobbiamo essere umili, anche se abbiamo creduto di essere forti, da soli non valiamo niente. Dobbiamo essere uniti, solidali, compassionevoli, solo così nascerà una nuova umanità. Simonetta, 30 marzo

Marco Cazzato

di permettere ai nonni di esserlo di stare vicino ad altre persone, di sentire odori altrui di sedere al bar a bere un caffè con un amico di andare ad un concerto di organizzare una cena tra amici E poi arrivano i dispiaceri... dispiacere per le persone che vivono sole e che stanno attraversando un periodo difficile della propria vita per i bimbi che vivono in situazioni di deprivazione socio-emotiva cui la scuola oggi non può arrivare per le donne che vivono con uomini violenti per chi sta vivendo drammi economici a causa del blocco del Paese per le persone che affrontano sole la malattia e per quelle che muoiono sole E per ultimo arriva lui, infingardo e subdolo compagno, che si nutre della mia formazione cattolica, che 20 anni e più di ateismo non riescono minimamente a scalfire... senso di colpa senso di colpa verso chi è veramente privato della libertà: i profughi, le persone che vivono nei Paesi in guerra, i carcerati, gli animali in gabbia. Anonima, 31 marzo

Ho capito di odiare il silenzio

Illustrazione di Marco Cazzato, 29 marzo

Bene, purtroppo no

...mi sento persa ...continuo a pensare ...sarà un incubo ma poi mi affaccio alla finestra e questo silenzio assordante mi riporta alla triste realtà. Come per tutti, perdere la libertà è difficile da accettare, tutto ciò che era scontato e normale non lo è più. In questo momento vorrei stare accanto ai miei cari ...si sono abbattute tragedie su tragedie e non poter stare vicino a loro mi fa stare ancora più male. Vorrei correre dalle mie amiche per un sorriso un abbraccio e non posso fare niente di ciò…ho scoperto quanto la normalità mi manca. Si dice #andràtutto bene io penso che passerà... Ma bene purtroppo no. Anna, 31 marzo

Pensieri da quarantena, scontati e patetici, ma autentici

Mi godo con gioia la mia nuova famiglia in una dimensione di tempi e spazi nuova Ma poi arrivano i desideri... desiderio di fare una passeggiata in montagna di correre incontro agli amici e abbracciarli

Nella mia vita ho sempre utilizzato tutti i giorni i mezzi pubblici, treno, metro e pullman, e la mia routine prevede che io salga sul treno e mi infili subito le cuffiette per sentire la radio; a volte addirittura mi infastidisco se le persone parlano forte e io non riesco ad ascoltare bene la canzone o le parole degli speaker. Oggi mi sono resa conto che una delle cose che mi manca di più è rumore: il vociare dei passeggeri, i racconti degli altri, il treno sui binari, la voce metallica delle fermate della metro. La prima cosa che farò quando potrò salire di nuovo su un mezzo pubblico sarà sedermi, chiudere gli occhi e godermi tutti i rumori possibili, con un sorriso sulle labbra. Martina, 31 marzo

Tra la teoria e la pratica

Temo che voi non li vogliate i miei pensieri, perché malgrado le ragioni inconfutabili che ci aiutano a rispettare le regole, malgrado la speranza che possano passare presto sia la contaminazione che la segregazione, malgrado le letture positive, malgrado il mio innato ottimismo, il mio essere è stracolmo di insofferenza e ahimè per chi ho vicino, anche un po’ di impazienza irrazionale e un po’ tossica… Leggo tanti pensieri positivi ed edificanti che mi commuovono e mi trovano pienamente d’accordo… un conto è la teoria tutt’altro la pratica! Spero di crescere e se non chiedo troppo, anche di maturare… e su questo mi concentro nei momenti quieti. Piera, 31 marzo

Consentite, uno sfogo

Oggi abbiamo ricoverato la moglie di un caro amico e lui è già in ospedale, vorrei che la smettessero di gridare che “andrà tutto bene”.

Sì credo che la speranza sia nell’animo delle persone buone e positive, ma che andrà tutto bene con migliaia di famiglie che piangono e milioni di persone che potrebbero trovarsi senza prospettive di lavoro… ebbè, mi sembra esageratamente sciocco. Condivido l’attenzione e la grande stima per quanti si rimboccano le maniche “senza se e senza ma” a tutti loro va il grazie, grazie infinito. Scusate sembrerà uno sfogo e forse lo è. Provare a rendere meno pesante l’atmosfera con musica, letture, poesie sui social, TV ecc. è bella cosa. Livio, 31 marzo

Smettere di pensare

Quando non abbiamo tempo, lamentiamo la sua mancanza. Ora che il tempo non manca, ci annoiamo. Dovremmo smettere di pensare. Simone, 31 marzo

Un giro sul pianeta

Ho semplicemente pensato che l’uomo è manipolato da un sistema ciclico, la vita è come gli elementi: difficile da prevedere. Ma l’uomo, come gli animali ha un istinto di sopravvivenza e noi ne paghiamo le conseguenze facendo un giro su questo meraviglioso pianeta. Paolo, 31 marzo

Solo per un attimo…

Relativamente alla fragilità e disattenzione umana tutto questo forse ci permetterà, forse solo per un attimo di essere più consapevoli di noi e degli altri. Mi ripropongo di non rinviare più le cose belle che si possono fare. Anna, 31 marzo

Non è solo questione di gambe

Sono uscita a fare spesa, dopo 10 giorni di “casa”, a piedi come piace a me. Le gambe non hanno già più l’energia di prima quando le usavo tutti i giorni per i 5 km giornalieri, il respiro è affannoso… ma sono solo 10 giorni… mi sento un rudere… basta così poco per cancellare tutte le nostre certezze? Tutti i pensieri diventano banali dopo qualche ora, li leggi ovunque, milioni di altre persone hanno le tue stesse sensazioni… io non so parlare, ne tanto meno scrivere. Luciana, 31 marzo

Consapevolezza

Sto pensando che dal periodo della peste nera del Trecento non è cambiato così tanto… ora abbiamo solo più infrastrutture ma il comportamento è lo stesso. Siamo persone che si trovano di fronte alla loro fragilità. Tutti coinvolti allo stesso modo in una moderna danza macabra; la cosa buona che verrà fuori, sarà una maggior consapevolezza del nostro essere solo di passaggio. Un bel cambio del punto di vista. Serena, 31 marzo

I pensieri più ricorrenti

1. Non sono un eroe ma sono solo una persona che segue, come sempre, la sua coscienza e fa il suo dovere 2.Sto bene con un libro ed un bel paesaggio da guardare


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3. Ci inventiamo un sacco di necessità che non sono affatto necessità Sono pensieri banali ma, altro pensiero, più invecchio e più mi semplifico. Virginia, 31 marzo

Abbracci

Ho pensato che mille messaggi sui social non valgono nemmeno mezzo abbraccio dal vero Ma tu scrivilo a mano e vedrai che vale di più perché anche il tuo abbraccio passa per un social, ora

pensato spesso a mio papà ricoverato nell’ospedale di Savigliano negli ultimi giorni della sua vita. Mi alternavo nell’assistenza con mia madre ed un nostro cugino per il quale ho sempre avuto riconoscenza per l’aiuto offerto in quei difficili e tristissimi giorni. Confesso che la vista di mio papà sofferente mi faceva star male e a volte vigliaccamente non vedevo l’ora di ricevere il cambio per uscire dalla sua stanza. Ricordo ancora che in uno degli ultimi suoi giorni di vita, ero ai piedi del letto, mio padre mi disse “penserei pa’ che l’abia pa’ura ed mori”. In questi giorni in cui, in caso di malattia, c’è la concreta possibilità di morire, ho pensato più di una volta di non avere il coraggio manifestato da mio padre allora. Sergio, 31 marzo

Ascolto

L’ho sempre pensato che le persone pacate, quelle che parlano piano, poco, quelle che non si fanno prendere dall’incazzatura e dalla gara a chi urla più forte siano anime a cui guardare, orientarsi, sempre con una punta d’ammirazione. Lo dico perché da queste ultime sono sempre stato calamitato senza mai porre resistenza, sono state i miei punti di riferimento in ogni fase della mia vita. In un momento in cui si tende all’essenziale come questo cerco di osservare ancora di più del solito, ascolto il tono della voce delle persone che mi sono accanto e non, mi concentro, e provo anche io a “portare ascolto” cercando di avvicinarmi a chi, come mia moglie che ascolta sempre al posto di sentire, da sempre rappresenta per le anime agitate un porto-approdo sicuro. Parliamo sottovoce, ascoltiamoci. Mat, 1 aprile Il tempo passa ma il tuo genio è sempre vivo e brillante. Relativamente alla fragilità e disattenzione umana tutto questo forse ci permetterà, forse solo per un attimo di essere più consapevoli di noi e degli altri. Giovanni, 31 marzo

Il coraggio di morire… e di vivere

In questi giorni, di reclusione casalinga, ho

Gente che…

Gente che si lamenta del governo delle chiusure ritardate delle fabbriche delle code fuori dai negozi Gente che compra 20 mascherine solo per sé Gente che compra 10 litri di alcool perché deve pulire e se per caso fai notare che razioniamo questi prodotti

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per darli un po’ a tutti si incazza Gente che ride se fai entrare non più di tre persone alla volta Gente che vuole entrare nel negozio anche se lavori a battenti chiusi perché lui è sano Gente che non va ad aggiustare il trattore da Tizio perché lì è pieno di neri Gente che ha fatto della carità Gente che ha chiesto la carità di Dpi per la sanità Gente che quando è venuta a sapere che hai donato qualcosa ad un Ente mi ha detto che prima ci siamo Noi (anche se avevano avuto già più di loro) Gente buona e Gente cattiva, Gente egoista mi han detto che c’è Gente che prega col rosario sul canale 5 Ho visto Gente e questo mi è bastato Luca, 1 aprile

Pensieri globali

Quando la paura da individuale diventa collettiva si fa più inquietante, più simile a panico, si fa avanti il bisogno di un salvatore, di un profeta... si ottunde la capacità di pensiero autonomo e decisione responsabile. Non penso solo al successo delle false notizie in rete e simili cose... magari fosse solo questo! Penso piuttosto alla autorità assoluta che in un paio di mesi alcune scienze hanno conquistato nel mondo: la microbiologia nella sua branca di virologia, l'epidemiologia statistica …(e, per quello che posso capire, poche altre e sempre in questo ambito, credo). In poche settimane i leader politici di tutto il


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mondo hanno preso le loro decisioni relative al lockdown come misura di superamento dell'epidemia col minor danno possibile avendo come guida ispiratrice queste categorie di esperti. E anche le misure sanitarie di cura sembrano voler seguire lo stesso modello in tutto il mondo ... Per un po' mi è parso cosa molto saggia, finalmente i politici danno retta alla SCIENZA! Qualcuno ha tentennato, tacciato di cinismo politico... salvo poi di fronte ai primi morti e all'aumento di contagi prendere, con qualche ritardo, le stesse identiche misure in paesi diversissimi tra loro. Ma poi ho pensato che il pensiero scientifico è per sua definizione modesto e settoriale, non fornisce soluzioni a problemi generali, le scienze che hanno una loro visione “terza” rispetto alla politica e all'individuo su un fenomeno così ampio come una epidemia mondiale che colpisce la specie umana, sono anche altre oltre a quelle che forniscono oggi i consulenti ai governi, dalla zoologia, alla demografia, alla antropologia, all'ecologia, alla sociologia, alla psicologia, oltre alla spesso nominata economia. Trovare la ricetta giusta per grandi paesi, tanto diversi culturalmente, economicamente e socialmente tra loro, ascoltando e sintetizzando anche queste diverse letture sarebbe una meravigliosa capacità politica di un leader. Non sta succedendo questo. Questo conformismo mondiale mi inquieta. Pensieri personali oscillanti Ho due nipotini deliziosi, di una non ho potuto quasi mai occuparmi perché vive con i suoi genitori di là dell'Atlantico, dell'altro, piccolissimo, quindi proprio nel momento in cui la mamma avrebbe più bisogno di aiuto, non mi posso occupare da alcune settimane e forse per un bel po’ di tempo, anche se vive a breve distanza, per l'isolamento anti-contagio dal momento che il papà lavora... Grande rammarico... ma anche aspetto positivo: i genitori, cioè i miei figli con i loro partner, si responsabilizzano maggiormente nel loro ruolo non potendo contare sui nonni. Io non mi posso piangere addosso! Non sono sotto i bombardamenti, ho luce, riscaldamento, cibo, intrattenimento, compagnia affettuosa, casa comoda con cortile… sono caratterialmente riservata e amante della solitudine. Questa vita in clausura è, in fondo, la mia vita ideale. Quest'anno mi perdo la primavera, le fioriture in campagna e nei boschi, le camminate solitarie e anche le gite e le merende con sorella, nipoti, cugini e amici. Sono agli arresti domiciliari!!! Ho quasi 68 anni, se mi arriva questo contagio e muoio in fretta sono fortunata, della vita ho avuto solo il bello! Ma che questa irritazione in gola sia un sintomo preoccupante??? Speriamo di no. Anna Maria, 1 aprile

Bandiere e confini

Non capisco inni nazionali, bandiere tricolore, linguaggio bellico. Una pandemia o la si

affronta tutti insieme o non se ne esce. Se gli uomini continueranno a pensare confini, ci sarà sempre qualcuno che perde. Marco, 1 aprile

Caos emotivo

…Sono dibattuta e irrequieta nel profondo e soprattutto in balia di pensieri che sono tutto e il contrario di tutto. Estremamente ligia e ubbidiente, nutro anche una profonda diffidenza in chi impartisce le regole. Mi sembra di non avere a disposizione gli strumenti per riuscire ad elaborare una chiave di lettura più ‘vera’ e onesta e tutto ciò mi frustra. Così mi ammazzo di cose inutili e che non mi gratificano per niente quali le pulizie e la cucina, per garantire ai miei ragazzi la sopravvivenza… Mi sono ripromessa di imparare qualcosa da questa lezione, questo lo capirò solo e quando la mia vita ritornerà normale. Questo è il caos emotivo che c’è in me e questo offro agli altri, vorrei tornare bambina, lo vorrei così tanto ma non ne sono capace e poi… in questo momento in cui tutti parlano, e tanto, sento il bisogno di stare in silenzio. Non per spirito di contraddizione, forse solo per un mix di sopraffazione e stanchezza. Elena, 1 aprile

Rispetto ed etica

Ho la mente vuota e il cuore gonfio… Oppure la mente troppo piena di pensieri tanto da non riuscire a coordinarli… non so! Però due parole mi ronzano in mente: rispetto ed etica. E tali parole sono ciò che i miei figli dovranno imparare da questa esperienza. Elisa, 1 aprile

Introspezione

Spero che questa pandemia ci abbia insegnato qualche cosa… ci aiuti a vedere e correggere i nostri difetti e non sempre a trovarli negli altri. Simone 2, 1 aprile

Virus e il tempo perduto

Io sono uno scrittore e sono abituato a stare a casa, seduto davanti al computer a scrivere storie. Non mi pesa stare casa, anzi lo preferisco. Ma questa che in questi giorni sto vivendo è una segregazione obbligatoria, alla quale non si può e non si deve trasgredire. È un'imposizione, anche se giusta, ma è angosciosa e soffocante. La vivo come se stessi in una bolla. Il tempo mi sembra girare in tondo, è un ripetersi incessante di ore e di minuti, di giorni che hanno tutti lo stesso colore, che è difficile distinguere uno dall'altro. E poi il pensiero che intorno a te, non nel condominio, non nel quartiere, non nella città, non nel mio paese, ma nel mondo tutti gli esseri umani stanno vivendo la stessa terribile esperienza, mi mette paura. Ho paura che il tempo si sia fermato per sempre, che giri intorno a noi tutti nel mondo come una trottola e che sarà sempre così, condannati ad evitare ogni rapporto con i nostri simili, non potere abbracciare e baciare nessuno,

non potere nemmeno stringere una mano o fare una carezza a un bambino. Forse esagero, ma a volte questa immobilità, questo eterno ripetuto presente mi fanno immaginare un futuro terribile. Sicuramente le mie sono solo elucubrazioni di un pessimista e allora spero anche io che andrà tutto bene. Vincenzo Esposito, 1 aprile

Guardare al dopo

… a parte i pensieri e le preoccupazioni su presente… mi chiedo come sarà dopo… lasciando perdere i discorsi economici, cosa cambierà nel nostro modo di pensare sui rapporti sociali, sul nostro rapporto con la natura… Boh vedremo. Beppe, 2 aprile

Dottore, lei che è del mestiere, che ne dice? Quandi a finirà tut son?

È la domanda che più frequentemente viene rivolta a noi farmacisti. Quasi che il cliente di turno ci investisse di un “superpotere” con cui fare previsioni certe. E invece succede che entrando in quel luogo normalmente accogliente e familiare, la persona ci trovi barricati dietro a protezioni plastificate, con camici abbottonati fino alla gola e mascherine che lasciano intravedere sguardi di malcelata preoccupazione in un’atmosfera surreale. Noi che della mimica facciale e della gentilezza di un sorriso facciamo da sempre, accanto alla professionalità, il punto di forza del nostro ruolo di comunicazione sociale ora ci vediamo obbligati a riversare negli occhi e nella voce ovattata quel po’ di sostegno morale misto a raccomandazioni e consigli di cui i nostri clienti continuano ad avere bisogno, ora più che mai. La verità è che siamo tutti più fragili, anche quelli che per natura ostentano distacco minimizzando la drammaticità del momento… un modo anche questo per esorcizzare il male. Personalmente mai come in questo momento ho amato così tanto il mio lavoro, che mi permette, seppur in minima parte, di sentirmi utile in una fase in cui anche le certezze più radicate vacillano. Il mio auspicio è che dalla sofferenza di oggi si tragga spunto per una riflessione: nessuno si salva da solo e “uniti ce la faremo” non sia solamente uno slogan. Margherita Scotta, 6 aprile

Bisogno di tanta DIGNITÀ

Io ed Anna in questi giorni pensiamo che: 1)In un momento come questo abbiamo bisogno di tanta DIGNITÀ, concetto per alcuni da approfondire e migliorare , per altri tutto da scoprire. 2) É stato un po' come fermarsi dopo un giro in giostra. Il pianeta ringrazia. In due settimane abbiamo ottenuto risultati che sembravano impossibili. Sapremo fare buon uso di questa esperienza? Speriamo non siano né troppo lunghi né banali, buona serata Giorgio Barberis


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Cronologia dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 a Racconigi • Da lunedì 24 febbraio chiusa Biblioteca Civica, corsi Unitré, Centro d’incontro, Impianti Sportivi, corso di Taglio e Cucito, sospensione di tutte le manifestazioni, di eventi e di ogni forma di aggregazione sia in luoghi pubblici che privati. • Da domenica 1 marzo ore 10,30 potranno riaprire musei, cinema, attività sportive. Da mercoledi 4 marzo riaprono le scuole e riprenderanno le attività didattiche. • DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) emanato mercoledì 4 marzo: per l’emergenza epidemiologica da Covid-19 si dispone il mantenimento, nei contatti sociali, di una distanza interpersonale di almeno un metro. Sospese tutte le manifestazioni sportive, congressi, eventi. Chiuse scuole ed università fino al 15 marzo • DPCM di domenica 8 marzo: molte provincie della Lombardia, del Veneto e due del Piemonte diventano zona rossa. Non si può entrare ne uscire se non per motivi di lavoro • DPCM di lunedì 9 marzo Tutto il territorio nazionale diventa zona rossa, Sull'intero territorio nazionale e' vietata ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico. • DPCM di mercoledì 11 marzo Misure urgenti di contenimento del contagio sull'intero territorio nazionale, sospensione delle attività commerciali al dettaglio fatta eccezione per le attività di vendita dei generi alimentari di prima necessità. Rimangono aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie, le parafarmacie. Deve essere in ogni caso garantita la distanza di sicurezza interpersonale di un metro. Sono sospese le attivita' dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie). Sono sospese le attivita' inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti). Restano garantiti, nel rispetto delle norme igienico-sanitarie, i servizi bancari, finanziari, assicurativi nonche' l'attivita' del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare comprese le filiere che ne forniscono beni e servizi. Si raccomanda l’uso del telelavoro per imprese ed enti pubblici. • Ordinanza n° 18 del Comune di Racconigi di venerdì 20 marzo. Divieto di fruizione delle aree verdi comunali e dei parchi gioco ivi presenti, divieto di utilizzare panchine e seduute presenti negli spazi urbani, divieto di libera

fruizione degli orti urbani (Cayre) ad eccezione delle sole attività di irrigazione e raccolta comunicando preventivamente alla Polizia locale ora e giorno.

• Sabato 21 marzo inizia a Racconigi, con i volontari della Protezione Civile, della Croce Rossa e degli amministratori la distribuzione gratuita, a domicilio, di 3600 mascherine in misura di una per ogni nucleo familiare. Sono state realizzate a Racconigi con il contributo di donazioni: personali, di enti, di associazioni e di attività produttive. • DPCM di domenica 22 marzo e' fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute. Si stabiliscono nel dettaglio le aziende che, a seguito di interventi di igienizzazione e messa in sicurezza dei lavoratori, possono continuare la produzione (Codici Ateco consentiti). • DPCM di sabato 28 marzo: composizione del Fondo di solidarietà comunale per l'anno 2020. Ai comuni vengono erogati importi per sostenere le fasce più deboli della popolazione

con “Buoni spesa per acquisto generi di prima necessità”. Per il Comune di Racconigi 57.000 euro. • Domenica 29 marzo: avviso agli esercenti operanti a Racconigi in merito al provvedimento relativo ai Buoni Spesa Comunali al fine di censire gli esercizi commerciali disponibili ad accettare i buoni spesa per dare risposte alle fasce più fragili della nostra comunità • Per effetto del DPCM di mercoledì 1 aprile 2020, tutte le misure per contrastare il diffondersi del contagio da coronavirus sono prorogate fino al 13 aprile 2020. Il decreto è entrato in vigore il 4 aprile e sospende anche le sedute di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, all’interno degli impianti sportivi di ogni tipo. Restano in vigore tutte le precedenti disposizioni stabilite per contrastare l’emergenza coronavirus comprese quelle che vietano a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano e le ulteriori misure stringenti per chi fa ingresso in Italia, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute. • Mercoledì 1 aprile pubblicazione sul sito del Comune di Racconigi www.comune.racconigi.cn.it del modulo per la richiesta dei buoni spesa, per un massimo di 300 euro, riservati ai nuclei familiari residenti a Racconigi da prima del 29 marzo 2020 in situazione di particolare disagio socio- economico conseguente all’emergenza COVID- 19. • Giovedì 2 aprile L’amministrazione Comunale informa che nei prossimi giorni, a seguito delle ormai conosciute problematiche relative al virus Covid-19, sono stati programmati sul territorio comunale, in sinergia con la ditta Egea Ambiente srl, altri interventi di lavaggio di sanificazione e igienizzazione, ancora più accurati ed efficaci rispetto a quello effettuato le scorse settimane: il primo verrà effettuato venerdì3 aprile. • Venerdì 3 aprile: prolungamento della chiusura fino al 13 aprile del Cimitero Comunale, fatta eccezione per le sepolture in forma strettamente privata e con esclusione di cerimonie sia civili che religiose, già prevista dall’ordinanza del 13 marzo


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Muovere i nostri passi di Franco Barbero, Pinerolo 31 marzo

“Ce la faremo”. Questo slogan può, in qualche modo, sintetizzare l'impegno e la comune speranza di poter uscire dal coronavirus. Ma io non riesco e non voglio far tacere una paura che spesso si riaffaccia ad ogni stagione importante della storia. Penso al '68, penso alle lotte operaie, alla rivoluzione femminista, ai processi di decolonizzazione fino alle lotte per l'ambiente... È innegabile che qualche volta abbiamo anche potuto dire: “ce l'abbiamo fatta”, ma si è trattato di una vittoria presto almeno parzialmente risucchiata. In sostanza, temo che l'attuale ondata emozionalmente costruttiva venga ricondotta nell'alveo politico, etico e culturale del “tutto tornerà come prima del coronavirus”. Questo per me significherebbe che non abbiamo capito per nulla il messaggio che la natu-

ra ci trasmette e che, al più, potremo operare alcuni significativi correttivi sul terreno della salute, della cultura e del lavoro. Si tratterebbe, a mio avviso, di una tragica operazione di facciata, funzionale al mantenimento dello status quo. Lo spettacolo di questi trasformismi fa parte del dominio capitalistico. Ma voglio sottolineare con vigore che si tratterebbe di cadere in una illusione. Infatti tornare a vivere come prima del coronavirus significherebbe imboccare la strada verso l'autodistruzione. L'analisi pacata e ribadita dagli scienziati non lascia scampo. La grande politica sopravvive negando o sottovalutando l'evidenza e l'urgenza con tutti quei mega convegni che servono a costruire rattoppi. A mio avviso, occorre acquisire e diffondere

questa consapevolezza dell'urgente e improrogabile necessità di un altro umanesimo come fondamento di una politica alternativa. Penso che non possiamo lasciar cadere questa sfida, ma a partire dal nostro piccolo quotidiano, possiamo e dobbiamo tentare di tradurla in una rete planetaria di resilienza, di solidarietà e di creatività. È impossibile far nascere la costituzione di un nuovo umanesimo dalla convergenza di tutte le tradizioni e le esperienze che sono animate dalla pratica del bene comune? Come uomo, come parte e partner di questo pianeta e come cristiano, penso che non possiamo archiviare questa fiducia ma che dobbiamo muovere i nostri cuori e i nostri passi in questa direzione.

Reflexiones en cuarentena de dos maestros de tango di Cecilia Dìaz y Oscar Gauna - Maestros de tango en Cuneo, 2 aprile

Cuando comenzaron las restricciones, no comprendimos inmediatamente el contenido de ese tiempo a casa que se presentaba como una medida exagerada. No fueron necesarios tantos dìas para entender la magnitud de la situaciòn. Entonces fuimos seres perdidos en una incertidumbre, un temor, una preocupaciòn nueva. El temor inicial de perder seres amados, los màs fràgiles (siempre). Inmediatamente el temor a que todo cambie en nuestras vidas, en la vida de todos. Nosotros que “vivimos de abrazos”, que nos enamoramos hace màs de treinta años gracias a “ese” abrazo que solo este baile propone. Nosotros que enseñamos que puedes hacer mil cosas bellas con los pies pero, si tu abrazo no cuenta nada de tu mundo interior, no has entendido el tango, nos tocaba asumir que abrazarse en este momento es tan peligroso como irrespetuoso respecto del otro. Tristeza. Y el futuro? Còmo serà el mundo cuando todo pase? Moriremos de ganas de abrazarnos o habremos aprendido la lecciòn de lo peligrosos que pueden ser los abrazos? Hemos escuchado nuestra mùsica amada , la de nuestra tierra cada dìa, leìdo sobre la historia del tango, visto documentales de la època

de oro, pero no nos atrevìamos a bailar… Y fue ese dia que decidimos intentar el abrazo para volver al tango, que comprendimos que ahì estaba nuestra medicina. Una medicina particular que se volvìa propòsito: reistiremos para poder volver a abrazarnos, no solo entre nosotros dos, con otros, con los que comparten nuestra misma pasiòn, conocidos o desconocidos, con los que sueñan con bailar el tango y con los que no les interesa ni un poquito pero que necesitan de la misma medicina para mirar con esperanza el mundo post corona virus.

Riflessioni in quarantena di due maestri di tango

Quando iniziarono le restrizioni non comprendemmo immediatamente, il tenore di questo restare in casa, ci appariva una misura esagerata. Ma non furono necessari tanti giorni per capire la portata della situazione. Diventammo così esseri perduti nella incertezza, nella paura, in una nuova preoccupazione. Il timore iniziale di perdere persone amate, le più fragili (sempre). Subito il timore che tutto cambiasse nelle nostre vite, nella vita di tutti. Noi che “viviamo di abbracci”, che da più di trent’anni ci innamoriamo grazie a “questi”

abbracci, che solo questo ballo propone, noi che insegniamo che con i piedi si possono fare mille figure belle ma se il tuo abbraccio non racconta nulla del tuo mondo interiore non hai capito nulla del tango, noi che dovevamo prendere atto che in questo momento è tanto pericoloso come irrispettoso verso l’altro. Tristezza. E il futuro? Come sarà il mondo quando tutto sarà finito? Moriremo dalla voglia di abbracciarci o avremo capito la lezione di quanto pericolosi possono essere gli abbracci? Abbiamo ascoltato la nostra amata musica della nostra terra ogni giorno, letto sulla storia del tango, visto documentari dell’epoca d’oro però non ci siamo azzardati a ballare… È stato questo il giorno che ci siamo decisi a provare l’abbraccio per tornare al tango che conosciamo e qui abbiamo capito che lì stava la nostra cura. Una medicina particolare che ha il proposito di resistere, per ritornare ad abbracciarci non solo tra noi due, ma con altri, con quelli che condividono la nostra stessa passione, conosciuti o sconosciuti, con quelli che sognano di ballare il tango e con quelli a cui non interessa nemmeno un po’ ma che necessitano della stessa medicina per guardare con speranza il mondo dopo il corona virus.


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Pillole buone quotidiane del/contro il coronavirus di Elena Calliano, 31 marzo

Coronavirus. Quante parole sono state spese su questo argomento? Tante, troppe. Accendi il televisore, accedi a internet e ai social media, vai al supermercato, al lavoro e l’unico argomento è uno solo. Ogni tanto penso che la mia mente si debba decomprimere da questo oceano di informazioni monotematiche e cerco di lasciar evaporare i pensieri altrove. Così, ispirandomi ai romanzi della stimata autrice Chiara Gamberale, ho deciso anche io di scrivere un elenco di cose positive, le pillole buone del Coronavirus, senza mai usare questa parola; ogni giorno dovrò trovare un barlume di ottimismo in questa lunga e noiosa quarantena… E ora iniziamo! Martedì 10 marzo L’idea del SuperUomo non esiste Se pensavamo di vivere in un mondo in cui l’uomo potesse controllare tutto, compresa la nostra salute e la morte, purtroppo e per fortuna ci accorgiamo che non è così. L’onnipotenza umana è sicuramente un’arma a doppio taglio, perciò sarebbe opportuno sottostare ancora un po’ alle regole della Natura. Mercoledì 11 marzo La tecnologia ci permette di fare cose magnifiche Dal momento che non possiamo uscire, né vedere i nostri cari, ecco che la tecnologia viene in nostro soccorso e quindi avanti con videochiamate, videoconferenze, smartworking, lezioni di fitness online e tutorial di ogni genere. Giovedì 12 marzo Sperimentare specialità culinarie Tiriamoci su le maniche, laviamoci bene le mani con acqua e sapone e vai con le mani in pasta! Per la maggiore, vanno i classici piatti della tradizione italiana, quelli che ci insegnavano le nostre nonne, che richiedevano tempo… quello che avevamo perduto fino a pochi giorni fa. Venerdì 13 marzo Avere tempo “Scusa, ora non ho tempo, ti richiamo appena posso” Questa è la tipica frase che ognuno di noi dice almeno una volta al giorno. Oggi abbiamo la possibilità di chiamare quella persona, finire il libro che abbiamo lasciato a metà, scrivere, pensare. Sabato 14 marzo Senso di appartenenza ad un gruppo, alla “patria” Ammetto che l’inno di Mameli non mi abbia mai fatto impazzire, ma vedere gli Italiani dai balconi cantarlo con gli occhi lucidi e un senso di speranza, fa accapponare la pelle. Domenica 15 marzo Piantare un fiore Il giardinaggio è un po’ come fare l’ostetrica, accompagni e osservi la nascita di un nuovo essere vivente. Non devi far nulla, solo assicurarti che ciò avvenga nel modo più dolce possibile. E i risultati sono sorprendenti. #rifioriremo Lunedì 16 marzo Adempiere a tutte le faccende di casa, ma proprio tutte Ebbene, anche se abbiamo perso il conto dei giorni della settimana, oggi è lunedì e come insegnava mia nonna, il lunedì si pulisce. Abbiamo la possibilità di togliere la polvere in mezzo ai termosifoni, alle persiane, pulire il forno, scrostare i muri del bagno. Tutti quei lavoretti noiosi che non dovremo fare quando finalmente saremo in libertà.

Martedì 17 marzo Sanitari come nuovi eroi? No, ci basta la fiducia Su questo punto mi soffermerò un po’ di più, dato che mi riguarda da vicino. Prima di questa emergenza sanitaria, i medici, gli infermieri, le ostetriche erano sempre i primi ad essere denunciati. Un sanitario non può permettersi di lavorare senza assicurazione privata, perché almeno una denuncia nella vita gli capiterà. Io sono convinta che ogni medico, infermiere, ostetrica si alzi al mattino con lo scopo di tutelare, proteggere, salvare e curare le persone, non certo peggiorare le sue condizioni di salute. Questo purtroppo fino ad oggi non è ancora stato compreso da nessuno, nemmeno nei tribunali italiani. Non vogliamo essere degli eroi, ci basta non essere denunciati perché “almeno l’assicurazione rimborsa qualcosa”. Mercoledì 18 marzo Bambini con i loro genitori Cito un post che ho letto: “i bambini vivranno questo periodo come un momento in cui i genitori erano sempre accanto a loro” e cosa c’è di più bello per un bambino? Giovedì 19 marzo Assecondare le proprie attitudini Rispolverare una vecchia chitarra, fare bricolage, la pasta di sale, iniziare a sferruzzare o usare l’uncinetto, tirare fuori dalla cantina la macchina da cucire e iniziare a produrre mascherine. Liberate la creatività! Venerdì 20 marzo Vivere l’Agorà Oggi penso a quanto è difficile per noi Italiani vivere chiusi in casa; noi, popolo latino e altamente sociale che ama uscire, fare l’aperitivo, mangiare al ristorante, trovarsi a casa di amici, andare al cinema, al teatro, al museo. Noi Italiani stiamo facendo uno sforzo notevole, forse molto più di altri Paesi Europei, e ne dobbiamo essere fieri. Sabato 21 marzo Sboccia la Primavera e la natura non è mai stata così bella In questo momento la terra sta prendendo una boccata di ossigeno e ci ringrazia con paesaggi magnifici (che possiamo vedere dal balcone). Domenica 22 marzo Fare l’amore Avere tempo serve anche a questo, a farlo meglio, con più calma, con la mente libera… Lunedì 23 marzo Alla scoperta di oggetti dimenticati Sempre perché il lunedì è giorno di pulizia, sistemando armadi troverete una vecchia foto, il calzino spaiato, l’orecchino che avevate perso. Martedì 24 marzo Capire chi vuoi vicino e chi no Dopo ben 2 settimane chiusi in casa con le stesse persone, potete fare tranquillamente un bilancio: chi mi manca di più? Chi vorrò rivedere quando tutto questo incubo passerà? Chi vorrò eliminare definitivamente nella mia vita? Sto bene con le persone con cui vivo?

Mercoledì 25 marzo Neonati più tranquilli Con le nuove disposizioni delle Direzioni Sanitarie, non sono ammesse visite alle neo-mamme ricoverate nel reparto di ostetricia. Bene, vi dirò che non sento più piangere neonati. Vivono i primi giorni in un ambiente protetto, privo di rumori, coccolati e nutriti dalle loro mamme, le quali si dedicano esclusivamente a loro. Giovedì 26 marzo Generosità Nei momenti difficili, i duri cominciano a giocare! Ringrazio i giovani racconigesi del “Tocca a Noi” e chiunque si sia rimboccato le maniche per mettersi in gioco Venerdì 27 marzo Bambini, i giovani adulti Penso che i bambini di oggi, costretti ad affrontare la quarantena, siano i veri eroi. Hanno capito molto presto che nella vita a volte bisogna fare dei sacrifici, per ottenere un bene maggiore. Sabato 28 marzo Le dirette di Conte Non ricordo di Italiani sintonizzati alla tv alla stessa ora dai tempi di “Lascia o raddoppia” di Mike Bongiorno, forse stiamo ritornando alle vecchie abitudini? Domenica 29 marzo “Che ne sarà di noi Che ne sarà di quel che ieri eri tu Forse sarà che poi Perdendoci ci ritroviamo E ora lo so che non si annega Quelle volte che non c’è un perché Come la vela sul mare che si spiega Io mi lascerò portare fino a che Non mi chiedere più come farò, non lo so Perché l’unica risposta Che ora conta è una domanda Che ne sarà di noi Che ne sarà di quel che ieri eri tu Forse sarà che poi perdendoci ci ritroviamo Ci ritroviamo”. I giorni di quarantena dureranno ancora un po’, al momento non sappiamo quanti, io continuerò con il mio elenco di pillole buone quotidiane. E voi? Mi aiutate?


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La Prima Volta di Luca Meinardi, 2 aprile

La prima volta che ho letto di questo nuovo virus erano i giorni subito dopo l'Epifania, e fin da subito la cosa non mi è piaciuta. Il fatto che una notizia del genere uscisse da un Paese come la Cina era segnale di un grosso problema in arrivo. Non mi sbagliavo. La prima volta che ne ho discusso con i miei genitori, tornati da pochi giorni da un viaggio, abbiamo quasi litigato, perché io sostenevo la necessità di chiudere gli aeroporti per evitare che arrivasse fin da noi. È stato fatto, ma poi è arrivato comunque... o chissà, magari era già arrivato. La prima volta che la mia azienda mi ha detto di lavorare da casa, sono stato contento... finalmente non dovevo prendere più il treno, avrei risparmiato un sacco di tempo e fatica. La prima volta che per lavoro mi sono messo a rivedere tutte le previsioni sui settori danneggiati dalla diffusione del virus ho sudato freddo per 10 ore, pensando che se i numeri erano quelli eravamo fregati. La prima volta che ho letto del blocco delle attività produttive e della chiusura di aziende per fermare il contagio ho capito che questo virus lascerà il segno e per molto tempo.

La prima volta che ho letto il comunicato della mia azienda sull'adesione alla cassa integrazione, l'ho letto e riletto ancora e, per la prima volta, ho avuto veramente paura di perdere il lavoro e di non riuscire a dare un futuro a mio figlio. La prima volta che lui mi ha chiesto papà, ma quando è che potremo di nuovo uscire e potrò tornare a fare gli allenamenti di calcio e ad andare in piscina, ho pianto. Di nascosto, in silenzio. Questo non può essere vero, mi sono detto, i bambini non meritano tutto questo, almeno loro no. Ma poi mi sono detto che non meritano neanche di morire sotto le bombe o annegati nel Mediterraneo, eppure capita tutti i giorni. La prima volta che ho visto la fila di camion militari trasportare le bare in una Bergamo silenziosa e trasfigurata ho capito, anzi no, forse immaginato cosa dev'essere la guerra. La prima volta che ho parlato con la mia amica Oss che lavora in ospedale e mi ha detto che dopo tre settimane dall'inizio dell'emergenza erano ancora senza mascherine e protezioni e che aveva paura, mi sono arrabbiato e ho pensato che non era giusto che tutto questo ricadesse solo sulla categoria di medici e infermieri. Poi, giorno dopo giorno, ho iniziato a pensare

a cosa farò e faremo quando tutto questo finirà. La prima volta che potrò uscire da Savigliano andrò dai miei genitori a Racconigi per rivederli e per fargli vedere quanto è cresciuto il nipote. La prima volta che potrò muovermi liberamente andrò a camminare in montagna, sotto il Monviso, poi organizzerò una partita a calcetto e andrò a rivedere il mare. La prima volta che potrò rincontrare gli amici, farò una grande festa, con tanta musica, roba buona da mangiare e tanta birra. La prima volta che riprenderò il treno per andare al lavoro a Torino non mi lamenterò. La prima volta che riporterò mio figlio a giocare a pallone, mi fermerò lì tutto il tempo a guardarlo, solo guardarlo, mentre corre, fatica, esulta e si arrabbia, godendomi ogni singolo momento, come se fosse la prima partita giocata nella sua vita. La prima volta che il telegiornale non parlerà più del coronavirus dovrò, anzi dovremo, ricordarci di tutte le persone che ci hanno lasciato e di quelle che ci hanno permesso di uscirne, con il loro lavoro, la loro fatica e il loro sacrificio.

Prof al tempo del Coronavirus di Lucia Macchiorlatti Vignat, 25 marzo

Se sei un docente di una scuola superiore e hai due classi quinte che devono sostenere l’esame di stato, e insegni proprio la materia che sarà oggetto della seconda prova scritta, proveniente dal Ministero, sai che non devi perdere nemmeno un minuto delle tue ore; sei generalmente assillata dal programma, dalle scadenze, dalle simulazioni e dalle ipotetiche tracce, che dovranno eseguire i tuoi studenti, valutati da un commissario esterno che non li conosce. Giunta a metà febbraio, sai che devi stringere i tempi per riuscire a “fare tutto” e contemporaneamente valutare che tutti i tuoi allievi siano adeguatamente preparati per affrontare il grande esame. Alla notizia di una prolungata vacanza di Carnevale, pensando che si tratti solamente di qualche giorno, ti rassicuri dicendo “… ma sì ce la farò ugualmente, stringerò i tempi delle interrogazioni, tralascerò qualche argomento...”. Quando i giorni di sospensione delle attività scolastiche iniziano ad aumentare, le chat con i ragazzi prendono avvio, le e mail si intensificano, passi le serate al telefono con i colleghi a risolvere problemi di connessione e di comunicazione. Consulti e cerchi ossessivamente sul web la piattaforma didattica più adatta, studi come realizzare una videolezione. I gruppi di Whatsapp si moltiplicano, il telefono impazzisce e si riempie di calore. Inizi ad iscriverti a tutti i

possibili corsi on line di didattica a distanza; vai a rispolverare la web cam del tuo pc ed a cercare di recuperare la password di Skype, che avevi dimenticato da quando le figlie erano tornate dall’Erasmus. I giorni non hanno più un nome, le ore non sono più definite dai ritmi e dalla scansione dell’orario scolastico; sul cellulare ti ritrovi un messaggio di uno studente a mezzanotte del sabato sera e la consegna di una prova sulla piattaforma alla domenica mattina. Gli orari scolastici, che da sempre avevano scandito le distanze e le relazioni con gli allievi, non sono più definiti. Tutto è in trasformazione, le regole sono saltate: è una novità tutta da sperimentare, in cui sei già pienamente coinvolta. Dopo una sfrenata ricerca di connessioni e attrezzature, al primo collegamento, accendi il video e vedi LORO, i tuoi allievi, alcuni in camera da letto, altri in cucina o in mansarda, pronti con il libro aperto e la penna in mano, lo sguardo è puntato su di te e percepisci dai loro occhi le loro emozioni, la paura, l’ansia, le preoccupazioni e in alcuni l’angoscia, ma dalla loro attenzione capisci che solo tu li puoi portare al di fuori della loro prigione forzata perché si aspettano da te una soluzione, una via per uscire dall’isolamento del Web, un segno di normalità. Solamente la cultura, la scuola, la scienza potrà salvarli da questa situazione. Lo studio e la riflessione saranno le vere armi

per combattere e vincere questa battaglia insieme. Ora mi sembra di capire meglio che cosa intendevano gli antichi filosofi con il termine “e ducere”, cioè “condurre fuori” e sarà proprio la scuola a condurre fuori tanti studenti, anche restando a casa. Nonostante la frapposizione di una videocamera, le interferenze ed i limiti del wifi, la relazione e il dialogo tra docente e discente continueranno ad essere un prezioso

segno di speranza, un elemento significativo, un veicolo importante di sviluppo e di germogli di coscienze. Colgo l’occasione per fare gli auguri a tutti gli studenti che dovranno affrontare questo esame, stravolto anch’esso come tutti noi dalla pandemia, nella convinzione che l’isolamento fisico non impedirà loro di costruire e consolidare il percorso di formazione del proprio pensiero.


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Corpi gonfiati e corpi fragili di Giannino Marzola, 5 aprile

Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte. San Paolo, 2^ lettera ai Corinzi, 12, 10 Vi ricordate i corpi gonfiati di ormoni e di palestra, esibiti con orgoglio e soddisfazione? Vi ricordate i bicipiti e i pettorali ricoperti di minacciosi tatuaggi? E le ricostruzioni a colpi di chirurgia plastica e di porcherie introdotte sottopelle ad evidenziare, tirare, inturgidire? Vi ricordate quelle trasmissioni televisive degli anni ottanta, nelle quali improbabili maggiorate andavano proponendo nuovi modelli di femminilità esuberante? E l’uomo che “non deve chiedere, mai!”, ve lo ricordate? Abitava nella Milano da bere, principalmente, quando non era in trasferta tra Capalbio e Montecarlo. “Cosa resterà di questi anni ’80?” diceva una bella canzone del tempo. È rimasto moltissimo nella cultura nazional-popolare di questo Paese, costruita a suon di messaggi pubblicitari e trasmissioni di intrattenimento. Siamo cresciuti e – personalmente – invecchiati in questo brodo dolciagno, fatto di aperitivi e cerone, di silicone e botulino. Una società di eterni adolescenti, incapaci di accettare l’invecchiamento e il deperimento, alla ricerca di godimenti effimeri e di arricchimenti facili. E poi sono venute le gare, le sfide, gli Amici e gli XFactor, a costruire mattone su mattone il grande mito del vincente, di quello o quella

che “ce l’ha fatta”, costi quel che costi. E vi ricordate la pecora Dolly e gli scienziati alla Frankestein che volevano clonare l’essere umano, all’inseguimento di principi di eugenetica di cui già i nazisti erano stati inarrivati (grazie a Dio!) maestri? E ora? Non è facile, ora, accettare la caducità e la fragilità del nostro organismo, della nostra stessa esistenza. Ci affidiamo all’abnegazione del nostro personale sanitario, mentre qualche studio legale sta già studiando il modo per cavare fuori soldi dalle tristi vicende di chi non ce l’ha fatta a superare la malattia. Siamo ancora a caccia di qualcuno che porti la colpa, del medico che non ha fatto il suo dovere, del positivo numero 1 che ci ha infettati tutti, dei Cinesi che mangiano topi vivi (!) e che costruiscono i virus in occulti laboratori per trionfare sul mondo. Abbiamo uomini politici che non perdono occasione di pontificare su argomenti di cui nulla sanno, e abbiamo ricercatori di fama internazionale che hanno il coraggio di dire la verità: non sappiamo, non possiamo tutto, la conoscenza scientifica ha dei limiti. Non è una novità, lo sappiamo da millenni. Gli antichi Greci conoscevano un solo grande peccato: la hybris, cioè l’arroganza e la tracotanza dell’uomo che vuole andare oltre i suoi limiti. Anche Dante la conosceva bene, tanto da mettere Ulisse nel fondo dell’inferno perché aveva voluto condurre la sua nave e i suoi uomini oltre quei limiti fissati “acciò che l’uom più oltre non si metta” (Inf. XXVI,

La forza per fare fronte di Mauro Fissore, 28 marzo

Da tre settimane piedi e mente sono reclusi nel perimetro di un tempo sospeso e di uno spazio che corrisponde alle stanze della mia casa. Per altro confortevole, bell’alloggio, ottimo frigo, schermo medio-grande. Con i piedi sono agli arresti domiciliari, ma la mente non riesco proprio a trattenerla. Vaga libera. E in ordine sparso. Mi è venuto di ripensare a mio nonno arruolato a combattere la guerra contro gli austriaci (gli stavano un po’ sulle palle i francesi, ma gli austriaci non gli avevano fatto niente, non li aveva mai incontrati). Fatto prigioniero al fronte, fu mandato a lavorare in Ungheria, in una fattoria, dove restò per molti mesi. Ammalatosi di spagnola, una contadina lo portò, dalla stalla in cui dormiva, in casa e lo curò, come poteva. La spagnola fece milioni di morti, ma lui si salvò, per il gesto di una donna “nemica”. Altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Non so quanti nella storia del mondo, da quando esiste il mondo, possono raccontare di aver passato 66 anni senza una guerra, un’epidemia, un terremoto, un’inondazione, una carestia… qualcosa che ti azzera la vita e ti chiede di rimetterti in gioco. Io sì, e credo molti di noi. Scopro di essere stato MOLTO fortunato. A vivere in questa parte di mondo privilegiato e incline a lamentarsi

dei dettagli senza apprezzare la sostanza. Incline a pensare che il nostro passare indenni tra le macerie sia scontato, dovuto, normale. Adesso succede a me, a noi, quel che ogni giorno succede quotidianamente a tanti singoli individui: essere costretti a fermarsi in silenzio, per malattia, fatalità, ingiustizia, guerra, miseria. Quello che ci sta succedendo può essere la grande occasione per ripensare la normalità in cui siamo vissuti. È normale che siamo prigionieri del tempo deciso da altri, della frenesia, del rumore? È normale che possedere e consumare cose inutili e accumulare ricchezza sia il primo e talvolta unico desiderio? È normale che fra qualche decennio la temperatura e il livello del mare possano salire e mettere in pericolo l’esistenza di molti che non potranno difendersi? Adesso SAPPIAMO che anche quello che era inimmaginabile un mese fa può diventare realtà. Forse è la volta buona per prendere un’altra strada. Quando usciremo di casa, ovviamente. E dunque fin da ora, anche restando in casa, passato il primo momento di incredulità, stupore, forse paura per la nuova situazione, ci tocca di trovare dentro di noi la forza per fare fronte, per cominciare a ricostruire. Dopo ci serviranno i mattoni e non le macerie.

v.109). Noi ce la siamo dimenticata, la hybris. Poi ci riempiamo la bocca delle radici “giudaico-cristiane” dell’Europa; ma chissà se i sovranisti hanno letto Genesi 2, 15-17: “Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»”. No, questa pandemia non è un castigo di Dio. Questa pandemia non è il prodotto di un complotto internazionale né il frutto di errori da ascrivere a questa o a quella istituzione. Il fatto è che siamo umani, e la nostra vita è fragile e debole. Anche Italo Svevo, che non era religioso, ne era consapevole: “La vita somiglia un poco alla malattia come procede per crisi e lisi ed ha i giornalieri miglioramenti e peggioramenti. A differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale. Non sopporta cure. Sarebbe come voler turare i buchi che abbiamo nel corpo credendoli delle ferite. Morremmo strangolati non appena curati” (La coscienza di Zeno, cap.VI). Usciremo da questo male, come siamo usciti dalla peste e dal vaiolo. Ma usciremo con la consapevolezza ritrovata della nostra fragilità, della nostra limitatezza. Ne usciremo impoveriti di oggetti e ricchezze, ma arricchiti di solidarietà e altruismo. E forse diventeremo capaci di ritrovarci, finalmente, fratelli.


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DIECI MINUTI CON LA BELLEZZA:

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Eliminare il superfluo? di Rodolfo Allasia

In questa forzata quarantena in molti abbiamo preso atto che si può vivere con molte comodità in meno di quelle a cui eravamo abituati prima dell’emergenza e abbiamo ancora la speranza che di questo pensiero terremo conto anche dopo. Così, parlando con una amica, ho paragonato le nostre diminuite attività quotidiane alla riduzione di inutili dettagli nelle opere compiuta da un buon numero di artisti figurativi quando arrivano alla cosiddetta maturità. Partiamo del nostro concittadino Giuseppe Augusto Levis (18731926) così, quanto dirò, lo potrete confrontare dal vero nelle sue

opere esposte nel Palazzo Comunale. Fino all’età di 25 anni circa Levis dipingeva i suoi paesaggi con una pratica che possiamo definire accademica: scarsità di colore, pennellata molto fluida, ricchezza di dettagli, il tutto inserito in un paesaggio che manca di anima poiché lo scopo del dipinto pare essere assolutamente decorativo. Lui stesso volle, nel testamento che questi quadri fossero distrutti. Buona tecnica ma fredda e impersonale. Dopo l’inizio del 1900 per almeno un paio di buoni motivi Levis modifica totalmente la sua tecnica come pure il suo approccio alla

pittura. Inizia a frequentare il suo maestro Delleani, ormai nella sua maturità artistica, (pennellata più decisa con pochi dettagli, dipinti in plein air) con il quale inizia a dipingere anche lui all’aperto e dato che la luce cambia con rapidità anche il lavoro deve essere finito più rapidamente: eliminando i dettagli. Levis, arruolato al fronte durante la prima guerra mondiale dipinge nelle trincee, sicuramente ad un ritmo ancora più accelerato (ne va della pelle!) ed emotivamente è per certo molto toccato dalle tragiche situazioni a cui assiste. Una pittura dura, materica, scabra. Dopo il 1920 le sue opere risentiranno di queste esperienze e la sua tecnica pittorica sarà ridotta all’essenziale; andrà a dipingere sulle nostre montagne, userà le spatole più che i pennelli; cresce la quantità di colore utilizzato ma anche la rapidità con la quale lavora e questo rende impossibile l’esecuzione dei particolari, però ne acquista in espressività. Nel mercato artistico queste opere sono quelle che spunteranno i prezzi migliori. È praticamente impossibile copiare un quadro di questo tipo poiché è la mano e lo spirito dell’artista che determina l’opera finita, sarebbe come copiare la calligrafia di una persona che scrive con la penna ad inchiostro. Certo è possibile imitare lo stile ma non il suo gesto. Saltiamo indietro di circa trecento anni e analizziamo uno dei più grandi pittori spagnoli : Diego Velasquez (1599-1660). All’età di 17 anni Velasquez dipinge “Il pranzo” olio su tela 108x102 (per vederlo bisogna andare a S. Pietroburgo, voi dovete accontentarvi della nostra povera riproduzione), il tema è classico

dell’epoca (tre età dell’uomo), quadri del genere ne possiamo trovare molti di autori anche italiani; la natura morta sul tavolo è anch’essa di impianto classico e composta per mettere in evidenza l’abilità pittorica dell’artista nei dettagli. Anche i volti e le mani dei tre personaggi sono dipinti con diligenza e ricchezza di dettagli anatomici. Facciamo ora una analisi, sia pure sommaria, di un’opera della maturità (1656 all’età di 57anni) di Velasquez (ormai pittore di Corte di Filippo IV e ispettore artistico del patrimonio del Re: non ha necessità di dimostrare quanto sia egregia la sua abilità di pittore essendo molto ben pagato per il suo lavoro). In quell’anno dipinge “Las Meniñas” (olio su tela 318x276), un’opera che è unanimemente riconosciuta come il capolavoro dell’artista. La composizione oltre a voler rappresentare chiaramente la committenza reale descrive le rigide usanze della corte spagnola poiché ogni personaggio occupa un posto preciso secondo un ordine gerarchi-


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co ma la libertà con cui Velasquez costruisce la scena, inserendo se

chio in fondo e quindi come se il Re e la Regina fossero vicino a noi che osserviamo il quadro, occupa poi una discreta parte del dipinto con il retro del quadro che sta dipingendo. Al di là della ‘modernità’ della composizione, da vicino possiamo notare con quale libertà dipinge i tratti anatomici di tutti i personaggi (quelli dei sovrani sono quasi evanescenti) e con quale parsimonia di pennellate (rapide e personali) costruisce i particolari degli abiti dei personaggi. Tutto ciò quasi a voler dire che l’importanza del dipinto non sta tanto nella esecuzione accurata quanto nell’aspetto scenografico-teatrale dell’opera, che risulta così viva e significativa di quel momento.

stesso mentre dipinge i due sovrani, rappresentati però nello spec-

Allora sono i mille particolari della nostra vita frenetica che hanno importanza per il nostro essere? Oppure questi servono unicamente a dimostrare tutto ciò che abbiamo accumulato o servono a far vedere al mondo di quanto potere disponiamo? Oggi che siamo chiusi nelle nostre case e non possiamo ripetere tutto ciò che fac-

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ciamo regolarmente ci rendiamo conto che potremmo vivere con quello che si può mettere nello zaino per fare una passeggiata in montagna? O questa situazione è solo emergenza? Ed il pittore ha bisogno, che sia Levis o Velásquez, di tutte quelle minuzie che potevano far stupire l’osservatore oppure gli sono sufficienti quelle veloci pennellate che descrivono egregiamente le condizioni della vita di cui godevano in quel momento in cui realizzavano la loro opera? Il valore di quelle opere senza le pennellate superflue diminuisce o si accresce? Di solito si dice che cresce perché esprime lo spirito dell’artista, la sua personalità la sua natura, unica, impossibile da riprodurre. Per chiudere; è vero che coll’andare degli anni perdiamo così tante qualità da non permetterci più di essere noi stessi o abbiamo capito che cosa è l’essenziale per poter vivere in pieno la vita che ci resta; la nostra vita? O, per dirla in un altro modo: è più importante sapere quanto tempo ci resta o come occupare quel tempo che abbiamo?

SOLIDARIETÀ E VICINANZA IN TEMPI DI CORONAVIRUS Un breve riassunto delle opportunità in città Cerchiamo di dare con questo breve riassunto delle attività e contatti in essere nel nostro comune alcune informazioni utili a livello di cittadinanza in caso di bisogno. Chi vuole e ne ha la possibilità potrà, con donazioni, contribuire alla spesa dei beni di prima necessità per famiglie in situazione di particolare disagio socio-economico conseguente all’emergenza COVID- 19.

Chi chiamare in caso di bisogno

• Il numero verde 1500, è un numero nazionale e serve per informazioni generiche di carattere sanitario e sui comportamenti di prevenzione. • Il numero verde 800.19.20.20 della Regione Piemonte dedicato alle richieste di carattere sanitario sul Coronavirus. È attivo 24 ore su 24. • Il 112 rimane il numero di riferimento per le emergenze sanitarie e altri tipi di emergenze. • “A Racconigi ci ascoltiamo” sportello di ascolto psicologico per gestire l’emergenza Covid-19. L’Amministrazione Comunale, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Laboratorio, ha attivato uno sportello telefonico di ascolto, gestito da psicologi e componenti del Volontariato cittadino, per dare un supporto psicologico professionale alle persone che ne hanno necessità. All’iniziativa hanno aderito, con grandissima disponibilità, la quasi totalità dei medici psicologi racconigesi, oltre a studenti e volontari. È possibile chiamare dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 16,00 alle 18,00 e la sera per le emergenze dalle

21,00 alle 22,00 i seguenti numeri di telefono: 3423683959 e 3406183948. • Gli angeli della spesa. Il Comune di Racconigi e la CRI Comitato di Racconigi OdV, insieme ad altre Associazioni cittadine (Protezione Civile e Tocca a Noi) hanno organizzato il Servizio di consegna a domicilio, di farmaci, ricette, beni di prima necessità. La croce Rossa risponde al numero telefonico 0712 84644 dal lunedì al sabato dalle ore 9,00 alle ore 16,00. Le consegne saranno effettuate con mezzi e Volontari in divisa della Croce Rossa, affiancati da Volontari con pettorina del Comune di Racconigi, che provvederanno alla consegna della spesa e al ritiro dei soldi, che verseranno successivamente all'esercente. • Misure urgenti di solidarietà alimentare per cittadini in difficoltà, Buoni Spesa. I buoni spesa spetteranno, nell’importo massimo di €. 300.00, ai nuclei familiari residenti a Racconigi da prima del 29 marzo 2020 in situazione di particolare disagio socio- economico conseguente all’emergenza COVID- 19. Potranno essere utilizzati per l’acquisto di generi alimentari e di prima necessità, con esclusione di alcolici e superalcolici, presso gli esercizi commerciali del settore alimentare e della somministrazione al domicilio. I cittadini possono contattare, e richiedere un appuntamento, ai seguenti numeri telefonici del Comune-Area Servizi socio assistenziali, per avere maggiori informazioni e per richiedere i buoni spesa: 0172 821615 - 0172 821648. Sul sito del Comune è disponibile il modulo per la richiesta. La somma complessiva erogata al nostro Comune è di 57.000,00 e si stanno valutando

eventuali implementazioni che possono arrivare direttamente dalle casse del Comune ed eventualmente dal buon cuore dei cittadini, delle imprese, delle associazioni, che in queste occasioni non si sono mai sottratti dall’esprimere solidarietà.

A chi far arrivare il nostro contributo per le famiglie in difficoltà Per far giungere alle famiglie in difficoltà la nostra vicinanza con una donazione si può versare sull’apposito conto corrente aperto per conto del Comune dalla Compagnia di Santa Barbara e avente i seguenti riferimenti:

IBAN: IT03R0630546690000160158005

Intestato a Compagnia di Santa Barbara con causale Emergenza COVID – 19 integrazione fondo per buoni spesa. Una sola proposta per finire: in alcuni Comuni, alcuni esercenti si sono offerti per un servizio così detto della “Spesa Sospesa” cioè lasciare in negozio alcuni beni di prima necessità già pagati, a beneficio di chi è, a causa dell’emergenza e della perdita del lavoro in condizioni di indigenza. Crediamo che la sensibilità e lo spirito di solidarietà in questo momento debbano fare anche da noi questo passo. Ci rendiamo disponibili come giornale a promuovere e rendere pubbliche le disponibilità di esercenti, negozi e supermercati.


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Pensieri di Bruno Crippa, 27 marzo

Coronavirus … Oggi è il 18° giorno che siamo chiusi in casa io e Agnese. Tutto il mondo è chiuso,.. le notizie apprese dalla televisione sono sempre più spaventose. Migliaia di contagiati, migliaia di morti che non hanno sepoltura e un parente vicino nel momento del trapasso. Pensando ai medici, infermieri e volontari in prima linea, ai molti di loro morti per salvare vite… decido, quasi con rabbia, di togliere quel pezzo di lenzuolo con la scritta “tutto andrà bene” disegnato da mio nipote nel primo giorno di allarme, e così come non rifarei più “quei canti dai balconi”. Guardo fuori… il campo sportivo deserto, nessuno al Ponte Rosso. Silenzio, solo silenzio… Ed allora il pensiero ritorna ai bambini e ragazzi, correre dietro ad un pallone, al mio ‘sacramentare’ per i palloni giunti nel nostro giardino, per poi ributtarli con un calcio in campo ricordando quando ero io a correre e calciare… Rivedo nella mente le quotidiane passeggiate dei cani con i loro padroni davanti casa lasciando a volte ricordini poco piacevoli… e ancora, Maria Paola e suo marito nella solita passeggiata mattutina… le nostre camminate sino alla Pedaggera… la gita del mercoledì… lo sci… la montagna… la dipartita di un caro amico senza aver potuto portargli l’ultimo saluto… non poter riabbracciare mio nipote, mio figlio, mia nuora… anche se il collegamento virtuale ci mantiene in contatto visivo, mai potrà sostituire il valore di un bacio, di una carezza, di una stretta di mano, un caffè condiviso al bar della piazza… sento la sofferenza di Agnese nel non poter far visita alla

sua mamma novantanovenne a Marene. Coronavirus, maledetto coronavirus… …ma voglio sforzarmi di andare oltre… e allora penso che (per chi è credente) questo non possa essere un castigo di Dio ma una lezione affinché tutti noi al termine di questa tragedia si capisca e si continui ad essere uniti, a cercare nel prossimo, chiunque esso sia, l’amore, la gioia, la fratellanza (mi chiedo che fine hanno fatto in questi giorni tutti i migranti del mondo…visto che l’informazione è tutta e solo più sulla vicenda coronavirus…)…oppure (per chi non è credente) che sia la Madre Terra stessa a ribellarsi al nostro modo di vivere, questo avvelenarci giorno dopo giorno… Diciotto giorni e chissà quanti ancora!! chiuso in casa, io e Lei… dopo 50 anni di convivenza, per la prima volta obbligati a condividere le 24 ore insieme, senza pause per lavoro, per gite, per ore trascorse al bar, davanti al televisore a guardare partite di calcio, a sentire per ore e ore commenti calcistici… e anche qui il miracolo: ci si parla!! cose mai dette escono dal profondo della mente e del cuore… la musica è condivisa così come i film e le letture. Si rispolvera il vecchio proiettore delle diapositive (mi stupisce che ancora funzioni!) e ogni sera passano davanti ai nostri occhi immagini stupende dagli anni ’70 in poi e ad ogni immagine un ricordo bellissimo: i primi passi di mio figlio, le vacanze al mare e in montagna con i tanti nostri amici, la serenità e la gioia che traspare dai nostri occhi, i nostri genitori ed è su di loro che ci soffermiamo fino a quando la diapositiva si sfuoca dal troppo calore della lampada del proiettore… Le ore trascorrono, spesso sono le tre del mat-

tino quando il sonno ci sorprende ma prima del sonno alcune immagini si materializzano nel buio della camera e non mi lasciano più: la bellezza di Agnese. E ancora, ringrazio il Cielo per non essere contagiato né io né la mia famiglia (né i miei cugini di Bergamo, Val Brembana e Brugherio)… Il Coronavirus è anche tutto questo !! Ma sarà bello il giorno che affacciandomi alla finestra, rivedrò i bambini correre dietro ad un pallone, i cani a passeggio con i loro padroni, Maria Paola e suo marito alla stessa ora di ogni mattina passare davanti a casa… tutto questo vorrà dire che l’incubo sarà finito, che il mondo, confidando negli umani dopo questa tragedia, potrà essere migliore per tutti noi e le generazioni future. Continuiamo a restare a casa ogni giorno, nella speranza e nella fiducia. Anche la terra cominciò a guarire E quando il pericolo finì E La gente si ritrovò, si addolorarono per i morti E fecero nuove scelte E sognarono nuove visioni E crearono nuovi modi di vivere E guarirono completamente la Terra Così come erano guariti loro Kitty O’Meary, 1839-1888


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Aprile 2020

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Il tempo sospeso

Trasmettere ai bambini le radici per poter volare alto…in 4 mura di Grazia Liprandi

Accade sempre d’improvvisto l’imprevisto, proprio quando meno te lo aspetti. Chissà se mai prima d’ora i nostri bambini lo avevano provato…?! La vita era un ciclone vorticoso, precedentemente, si correva tutti, grandi e piccini senza pause. Anche la domenica era vissuta nell’andare, nel girone dei centri commerciali, dei bar affollati, in coda verso il mare o la montagna, tra feste e mangiate e danze e allegria e ovunque i bambini imparavano che vivere era accelerare il passo… ad oltranza. Di colpo costretti in questo stop collettivo ci ritroviamo a cercarne il senso. E dobbiamo dire qualcosa ai nostri bambini che guardano smarriti la serie dei

divieti: prima prìncipi e ora prigionieri? C’è una cosa che vorrei raccontare ai nostri piccoli e ai loro giovani genitori, una fiaba antica che sa di cartoline ingiallite nel tempo, scritta nella memoria più profonda delle nostre cellule. La fiaba più bella che l’uomo sia in grado di raccontare: “C’era una volta - e sempre ci sarà - uno STOP che fermò l’andare della Vita. Appena se ne accorsero, gli uomini rimasero di sasso, allora come oggi. E tutto improvvisamente si fermò. Apparve stranissimo e impossibile che la vita fosse cambiata di colpo - un tempo come ora. Ma… non è detto che ciò che sembra inconsueto per noi, sia davvero una novità. Tante e tante altre volte nella storia millenaria delle nostre radici era accaduto che tutto si fermasse. Se si potesse ascoltare la voce

dei nostri trisnonni, i loro sogni e progetti interrotti da guerre ed epidemie, ci racconterebbero il loro sgomento, ma saprebbero spiegarci in quali e quanti modi si sono adattati e reinventati! E se la voce potesse giungere da molto più lontano nel tempo, la voce dei nostri avi che andavano e venivano tra scoperte, sconfitte e conquiste, anch’essi ci saprebbero narrare di quante volte incontrarono l’imprevisto che fermò di colpo la giostra del loro mondo. E ci potrebbero ricordare che proprio nel tempo sospeso e fermo, nella pausa obbligata che l’imprevisto impone, riuscirono finalmente a sentire il desiderio più profondo che si celava nel cuore e che nessuno aveva più tempo di ascoltare; quella voce che gridava: “Che cosa vuoi davvero, Uomo, per la tua vita?” E fu così, nello smarrimento e nell’ascolto, che l’Uomo trovò il senso, la creatività, il coraggio e

l’energia per emergere dall’imprevisto e sopravvivere, come un virus capace di mutare. Quell’Uomo o meglio quella moltitudine di uomini e donne che sono i tuoi avi primitivi, han lasciato dentro di te una memoria che nessuno potrà cancellare: è la forza di cambiare che è la bellezza insita nell’essere umano! Lo hanno lasciato scritto nel tuo DNA. Per questo tu ce la farai, come loro, ad ascoltare il tuo cuore e sentire che cosa è più importante di tutto per la Vita, la tua e quella della tua famiglia, dell’Umanità, del Pianeta… e troverai il modo migliore per sognare la Vita nonostante il disagio perché hai nelle tue cellule la stessa capacità di chi ti ha preceduto. Ricordatelo, caro bimbo costretto in quattro mura! Lo stop serve a questo: a tirar fuori il meglio di noi per proseguire il cammino del vivere nella direzione migliore.

La rabbia di José Mujica verso il capitalismo “Il coronavirus non lo fermerà. Il dio mercato è la fanatica religione del nostro tempo” di Dominella Trunfio, 30 marzo 2020- Vivere Costume & Società

https://www.greenme.it/vivere/costume-e-societa/coronavirus-mujica-capitalismo/

Prima o poi ripartiremo. Ci è sembrato doveroso domandarci cosa a quel punto saremo diventati, migliori o peggiori di oggi. Queste note di Mujica sul ruolo che potrà giocare l'uomo nella salvaguardia dell'ambiente in un mondo globalizzato dominato dal capitale ci è sembrato un buon inizio per la riflessione. (g.p.) ‘Il coronavirus metterà fine alla globalizzazione capitalista?’. Da casa sua, in un’intervista con Jordi Évole, l’ex presidente dell’Uruguay Josè ‘Pepe’ Mujica, apre uno spaccato sulla società ai tempi del Covid-19. “No, non sarà il virus a fermare il capitalismo”. Conosciamo bene Pepe Mujica, presidente emerito dell’Uruguay che già con il suo libro “Una pecora nera arriva al potere”, ci rimanda a insegnamenti importanti da rivoluzionario tranquillo. Adesso, costretto come tutti, alla clausura forzata, in videochiamata con Jordi Évole, personaggio pubblico e ideatore del programma tv “Lo de Évole”, attualmente sul web per via del coronavirus, racconta il suo punto di vista su una società investita dalla pandemia e in continuo movimento, in cui sembrano essere cambiate abitudini e priorità. E per farlo non uti-

lizza mezzi termini, anzi. La sua è vera e propria rabbia, e non la nasconde (usando anche qualche espressione molto forte)… “Non sarà il virus a decretare la fine del capitalismo. Questo deve venire dalla volontà organizzata degli uomini, che sono stati quelli che lo hanno creato”, spiega e precisa che “è l’uomo che deve distruggerlo. Il dio mercato è la religione fanatica del nostro tempo, governa tutto”, afferma Mujica. “Non so se sia una situazione reversibile”, sottolinea ma precisa che “dobbiamo lottare affinché lo diventi. Questo virus ci spaventa e prendiamo un certo grado di misure quasi eroiche. Sul piano del mercato, della globalizzazione bisognerebbe rispettare determinati parametri”. ‘Pensa che da questa pandemia possa uscire qualcosa di buono?’ chiede ancora Évole.

“Grazie a questo spavento generale potrebbe emergere un po’ più di generosità e meno egoismo. Ma mi domando perché i vecchietti continuino ad accumulare denaro. Parlo di miliardari, di gente che concentra la ricchezza”, dice ancora Mujica. “Non siamo in guerra, questa è una sfida che la biologia ci pone per ricordarci che non siamo i proprietari assoluti del mondo come ci sembra”. E continua: “Questa crisi così grave può servire per ricordarci che i problemi globali sono anche i nostri problemi”. E lancia un appello: “Dobbiamo combattere l’egoismo che ci portiamo dentro al fine di superare il coronavirus, dobbiamo diventare socialmente uniti gli uni agli altri”. D’altra parte, l’ex presidente dell’Uruguay mostra la sua delusione nei confronti dei leader mondiali nei confronti

dell’attenzione verso il riscaldamento globale: “Non è un problema ecologico ma politico. Mai l’uomo ha avuto così tante risorse, capacità o capitale per fermarlo. Stiamo andando a un “olocausto ecologico” e stanno preparando una padella gigantesca per friggerci”, dice. L’ex presidente poi invia un messaggio a tutte quelle persone che stanno vivendo la quarantena del coronavirus: “La peggiore solitudine è quella che abbiamo dentro, è tempo di meditare. Parla con te stesso e cerca di immaginare una finestra sul cielo”. E infine, a tutti coloro che si sentono sconfortati in questo periodo, Mujica dice: “Finché avrai una ragione per vivere e combattere, non avrai tempo per la tristezza”.


Aprile 2020

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insonnia

PENSIERO POSITIVO Gualtiero Alladio, 6 aprile

Siamo gli stessi di un mese fa, umanamente abbiamo ancora tutte le nostre risorse a disposizione. Ripartiamo tutte le mattine, ogni giorno da lì. Ecco, questo è il pensiero positivo che mi porta a gestire con serenità questo periodo. Alla paura di ciò che stiamo vivendo, si affianca uno stato d'animo molto spesso ingestibile come l'ansia. Io con la mia chitarra esorcizzo queste paure, mi ritengo fortunato nel riuscire a comunicare, a collaborare a modo mio con la comunità, con la collettività. Questa sorta di isolamento forzato, mi aiuta a focalizzare un concetto di bene comune, ritrovando il senso profondo del significato di parole come "collettività", "collaborazione" e "comunità".

Paradossalmente i social, mi hanno permesso di conoscere più persone di quanto avvenisse prima la fuori, nella ormai frettolosa, fredda ed impersonale routine quotidiana. Mi piace pensare che questo approccio ci serva ad allenare la mente per quando potremmo di nuovo guardarci negli occhi, stringerci la mano ed abbracciarci. Certo, non credo che la situazione cambi nel breve termine, abbiamo tutto il tempo che vogliamo e anche la forza necessaria per pensare a questo nuovo modo di vivere, di essere. Ma senza proclami, senza enfasi distratte del momento. Occorre slancio puro, sincero e costante. Spero ne saremo tutti capaci. Voglio prepararmi al meglio e, finita la pandemia, mi auguro di

non vedere più gente arrabbiata, lamentosa e prepotente, incapace di percepire un semplice gesto d’amore. Oggi abbiamo la grande opportu-

nità di diventare domani, uomini nuovi, uomini planetari finalmente in grado di convivere per condividere. Sì, sono nato idealista.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Alcuni messaggi ricevuti in risposta al nostro invito hanno un impianto più complesso e per questo li abbiamo impaginati come articoli, sono quelli circondati da una cornice a puntini ma gli autori non riceveranno un premio. Queste risposte ci auguriamo continuino, in emergenza virus ma anche dopo e stiamo pensando di farne una raccolta da pubblicare in un opuscolo: se la formula informatica si può conservare a lungo crediamo che l’opuscolo stampato abbia una maggior durata nel tempo e chissà che nel futuro non venga la voglia di andare a rileggerlo magari in poltrona come si fa con vecchi album di fotografie. Abbiamo pensato di fare un racconto fotografico che non fosse una cronaca di immagini ma fotografie che andassero oltre alle parole, immagini evocative, quasi simboliche, lo abbiamo intitolato “Diamoci una mano, anzi…molte”, non è una novità; nei momenti delle tragedie la solidarietà del darsi una mano torna sempre utile. Non è un lavoro da professionisti ma ha comunque un significato: le foto le abbiamo

fatte noi della redazione. Del Corona Virus e dei suoi addentellati non parlo, l’Editoriale vero è quello che amici, compagni, conoscenti, parenti hanno mandato con le risposte, di poche o tante righe ma tutte con un profondo significato per noi e per voi lettori. Io in chiusura vorrei avere l’AUDACIA del pensare e proporre queste parole per il dopo. Ho raccolto nella mia testa molti di questi pensieri che sono propositi per il futuro, molti vengono da voi; in emergenza si elaborano progetti per le ore successive, al più per qualche giorno dopo, perché non si sa cosa ci aspetta nel futuro più prossimo e si va avanti per sperimentazioni (e fa bene sperimentare). Ma qui voglio guardare più a lungo nel tempo e ho visto che molte risposte hanno espresso la speranza, sia pure utopica, in un mondo che elimini il superfluo per vivere di essenzialità liberandosi di pesi perché abbiamo scoperto essere inutili. STUPENDO! Ma sapremo essere fedeli a questi propositi? Oppure dopo qualche tempo la nostra fame di possesso ci farà

ritornare alla velocità di crescita, alle quantità eccessive, all’affanno del progresso a tutti i costi dove per progresso si intende solo un di più. In questi giorni chiusi in casa possiamo pensare ad un dopo, nuovo per davvero e non contare questa catastrofe come una delle tante che seguiranno, anche se scopriremo i mille vaccini per salvarci dalle migliaia di nuove pestilenze; questo dramma collettivo dovrà essere un segnale forte, evidente, epocale

fra il prima ed il dopo. L’uomo è stato il peggior nemico del pianeta; riusciremo dopo a convivere con questa Terra come hanno fatto tutte le altri specie di animali? Oppure l’uomo è un animale che dovrà estinguersi per salvare il pianeta? Se un progetto a lunga scadenza sapremo fare, questa, secondo me, dovrebbe essere la formula su cui lavorare senza altre presunzioni.


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