INSONNIA Ottobre 2018

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#IO STO CON MIMMO LUCANO

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 107 Ottobre 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

E LA CHIAMANO ESTATE

COME STA IL "NEURO"? Complesso immobiliare ex “Neuro”: stato dell’arte

“E la chiamano estate, quest'estate senza te…” cantava nel 1965 Bruno Martino. Mi RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO domando: cosa c'è mancato nell'estate appena trascorsa? Non certamente il caldo, infatti ci ritroviamo, noi di Insonnia e voi lettori, dopo un'estate calda come mai è stata negli ultimi vent’anni. Dire calda un'estate, è cosa poco significativa, scontata. Eppure ci lasciamo alle spalle situazioni ed eventi che definire caldi è poco. Li vado a elencare senza seguire un ordine preciso. Calda è stata l'estate dell'I- Alla cortese attenzione del Sig. Sindata-Ilva e anche a Racconigi ne co e Amministratori tutti sanno qualcosa i lavoratori che hanno atteso trepidanti la con- Vi ringraziamo per averci dato ascolto clusione di una trattativa che e per aver cercato di promuovere una sembrerebbe in qualche modo “vera” partecipazione popolare; purtroppo i tempi si stanno allungando giunta al suo lieto fine. Calda è stata l'estate di papa ed i nodi da risolvere si aggrovigliano Francesco alle prese con gli facendoci perdere occasioni preziose e attacchi di una destra, più che facendo apparire “deboli” i reali poteconservatrice reazionaria, che ri dell’Amministrazione Comunale di nella difesa dei valori della tra- fronte al velleitarismo dell’ASL CN1. dizione cattolica trova in realtà Vi riassumiamo per punti i dati di fatto motivo per impedire un rinno- acquisiti, situazioni oggettive che noi vamento della chiesa, che con questo papa può sembrare a portata di mano. Si sa che l'attrito sviluppa calore: calda è stata allora l'estate tra Salvini e Di Maio, il primo in costante ascesa nei sondaggi, il secondo in continuo calo. Non vorrei che questo calore si estendesse a un autunno che si annuncia torrido, data la ne- di Chiara Gribaudo cessità dei nostri prodi di realizzare quanto tutti o quasi tutti i commentatori hanno a suo tempo dichiarato impossibile da realizzare. Io penso invece che, purtroppo, tutto o quasi verrà realizzato o avviato a realizzazione e che il problema sia appunto quello di vedere a quale prezzo per tutti noi ciò potrà avvenire. Parlando di attriti, quanto calore si è sviluppato in casa PD! Lì sono tutti contro tutti e non si intravede una fine. A.A.A. Sinistra, cercasi!

a cura della Redazione

denunciamo da anni e che finalmente si stanno dimostrando estremamente reali: • la Sovrintendenza Archeologica, belle Arti e Paesaggio ha confermato, come lo ha fatto il MIBAC, che l’edificio denominato “Chiarugi” non può essere demolito senza infrangere le norme di legge; • che la ASL aveva l’obbligo della manutenzione dell’immobile e che non l’ha attuata;

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Chiara Gribaudo ricorda Beppe Marinetti

Sì, caro Bepi, ne è valsa la pena e grazie, grazie infinite

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DOMENICO LUCANO, SINDACO DI RIACE, È AGLI ARRESTI DOMICILIARI!

“Non ho mai avuto la pretesa di insegnare ma solo di imparare”, scriveva Beppe Marinetti nella sua autobiografia “La mia vita per un sogno”. In questa frase trovo l’essenza di Beppe Marinetti, il Sindaco, il partigiano, l’uomo, l’esempio. Lui che nella vita ne aveva viste tante, aveva fatto molte esperienze difficili, aveva imparato tanto grazie alla sua intelligenza vivace e grazie a quella voglia di riscatto che, mi piace immaginare, sia iniziata giovanissimo in quei venti mesi della Resistenza per poi accompagnarlo tutta la vita.

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Che mondo. Che mondo brutto! Mimmo Lucano è agli arresti domiciliari nella sua casa di Riace! La giustizia si è abbattuta su Mimmo. Lo pone sotto accusa per aver forzato le procedure per permettere ad alcune ragazze di restare in Italia con matrimoni di comodo, facendo riferimento ad un’unica conversazione in cui Mimmo Lucano parla di far sposare una ragazza nigeriana, cui era stato negato il permesso, ad un italiano per farla rimanere in Italia. Non si sa neppure se il matrimonio sia stato celebrato oppure no! L’altra accusa riguarda l’affidamento diretto del servizio raccolta rifiuti alle due cooperative sociali nate a Riace per dare lavoro ai riacesi e ai migranti. Per dirla tutta si tratterebbe di un affido diretto (tipo quello che l’attuale governo vuole mettere in opera per ricostruire il ponte di Genova!!) a due cooperative non inserite nel registro regionale di settore. Capite, nella Locride dove la ‘ndrangheta regna sovrana, dove esiste una disoccupazione tra le più alte in Italia, la giustizia mette in carcere Mimmo Lucano che da più di 10 anni ha rivitalizzato Riace, ha creato opportunità di lavoro per i suoi concittadini, ha accolto (ma questo probabilmente è ciò che lo condanna) alcuni migranti dando

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Etiopia

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Riace

INSONNIA GIOVANI

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Ottobre 2018

12 e 13 ottobre Cene di solidarietà

Con le associazioni AMA, NOVACOOP e Karmadonne

Nella giornata nazionale dedicata all’alzheimer, il 21 settembre, il Gruppo Teatro con l’artista Bertalmia, ha proposto letture sul tema alzheimer agli allievi di alcune classi degli istituti scolastici carmagnolesi del I° e II° Comprensivo. Al termine delle letture gli alunni hanno prodotto, durante un laboratorio sul ricordo, diversi disegni ispirati alla tematica della giornata. I lavori dei ragazzi saranno esposti a Casa Frisco, in via Savonarola,2 a Carmagnola, in occasione di 2 cene di solidarietà che si realizzeranno nelle serate del 12 e 13 ottobre, alle ore 20. Le due serate saranno possibili grazie al contributo di NOVACOOP e di Karmadonne, che con i loro prodotti alimentari ed il loro lavoro ne consentiranno l’allestimento. I contributi raccolti saranno destinati all’AMA (Associazione malati di Alzheimer) di Carmagnola a sostegno dei servizi già attivi sul territorio, quali: palestra cognitiva, caffè alzheimer, supporto psicologico ai parenti di malati, gruppi di prevenzione per il mantenimento della memoria. La quota di partecipazione alla cena sarà di euro 10,00 per gli adulti ed euro 8,00 per i ragazzi (fino a 14 anni). Le prenotazioni si raccolgono al n° 011.2638095 dalle 9.00 alle 20.00, entro il 9 ottobre 2018. Vi attendiamo numerosi! Associazione AMA- sezione distaccata di Carmagnola Scritto da Gianfranco Capello e Pierfranco Occelli e realizzato dal Comune di Racconigi su iniziativa delle sezioni ANPI e ANFCDG, con il sostegno della Provincia di Cuneo, è stato pubblicato il libro “RACCONIGI, primavera il 1943 estate 1946” di cui vedete a lato la copertina. Si presenta come una “Cronistoria degli eventi politici e militari nella Città di Racconigi alla fine del secondo conflitto mondiale, durante la guerra civile tra fascisti e antifascisti sotto l’occupazione tedesca, fino alla vittoria della Resistenza e alla proclamazione della Repubblica Democratica” e va a colmare un vuoto nella storia della nostra città. È distribuito gratuitamente a chi ne fa richiesta dal Comune di Racconigi.

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE

Cari lettori, in questo numero vi proponiamo una serie di fotografie che raccontano il MODELLO RIACE. Sono state scattate quest’estate da un amico, Giovanni Capello, che ha fatto un reportage in un piccolo borgo calabrese, RIACE, quel borgo che sta insegnando a tutto il mondo come sia bella e semplice l’accoglienza e l’interazione tra persone di diversa cultura, religione e appartenenza. Ci dispiace non potervele far vedere a colori sul nostro giornale, perché sono proprio i colori i protagonisti di questo racconto fotografico, colori vivaci e tenui che si accostano, si completano, si accordano e si mescolano, come accade agli abitanti di RIACE che provengono da molti paesi del mondo.

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Sognare non costa? di Luciano Fico

Mercoledì. È sempre mercoledì. È tutto il giorno che continua ad essere mercoledì!!! Giuliana non sta più nella pelle: tutti i suoi pensieri sono focalizzati sulla giornata di Sabato, quando un meraviglioso aereo porterà lei ed il suo amatissimo Giuseppe su quelle spiagge incantevoli e magiche che per ora hanno visto sul catalogo dell’Agenzia e su Google immagini. Hanno risparmiato per anni, hanno rinunciato a tutto, ma tra pochissimi giorni (ore, minuti se hai la pazienza di contarli…) saranno sulle sponde di un mare smeraldino con in mano un esotico cocktail e negli occhi la gioia. Lui è stato fantastico questa volta!!! Ha scelto per loro quel paradiso in terra, senza accettare alcun compromesso con la signorina dell’Agenzia Viaggi: ha voluto solo il meglio. “Non voglio niente, che è meno di un sogno” – proprio così ha detto quella volta in Agenzia e lei si è sentita amata come non mai, come se il più figo dei “tronisti” della De Filippi si fosse alzato in piedi e avesse detto “voglio lei!!!” Certo non è stato facile mettere da parte tutti quei soldi. Se non fosse stato per lui che l’ha sempre controllata sulla spesa, che l’ha convinta a rinunciare alla parrucchiera, che le ha fatto scoprire il nuovo negozio cinese dove vendono vestiti proprio carini per pochissimi euro, forse non ce l’avrebbero mai fatta. Anche Giuse ha fatto i suoi bei sacrifici: quando ha dovuto cambiare lo scarico della moto, ne ha trovato uno di seconda mano da un certo Akrapovic, forse uno

zingaro; ha smesso di uscire con lei tutti i sabati sera per risparmiare i soldi del cinema e della pizza ed in più si è trovato un lavoretto da una tipa che lo chiama spesso per farsi sistemare il giardino. Giuliana, dal canto suo non si è tirata indietro quando si è liberato un posto serale come lavapiatti in pizzeria: solo con i soldi che guadagnava come cassiera non sarebbero mai partiti. A dire il vero, ma proprio a dirla tutta, anche così non sarebbero mai riusciti a partire se lei non si fosse inventata una storia furbissima con i suoi. Il padre non sopporta Giuse, perché dice che è un lavativo (mentre lui il lavoro lo cerca sempre per davvero!), ma sentendo dalla figlia che con 5000 euro avrebbe potuto comprare un furgone di seconda mano per lavorare come giardiniere ha deciso di far loro quel prestito: “Basta che cominci a lavorare, quel lavativo!!!” Stamattina, finalmente, Giuse ha potuto prendere la busta con tutti quei bei soldini ed è andato a ritirare i biglietti: le ha telefonato, il suo bel “tronista” e le ha detto che il volo sarà per Sabato. Adesso è notte, ormai, e lui dovrebbe essere di ritorno: doveva ancora tagliare l’erba di quella tipa nel pomeriggio. Lo chiama, ma lui non risponde: non mette mai la suoneria, che palle. “Arrivi, amore?” “Ciao e grazie!” Ma che cazzo di messaggio è? “Ma stavolta mi sente, o se mi sente quando torna a casa!!!” – pensa Giuliana, guardando l’ora alla parete e trangugiando una fastidiosissima sensazione di paura.


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Chiara Gribaudo ricorda Beppe Marinetti

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Sì, caro Bepi, ne è valsa la pena e grazie, grazie infinite segue dalla prima

Beppe Marinetti, come si intuisce da quella frase, non aveva pretese ma non si risparmiava, né con sé né con gli altri. Ho conosciuto Beppe Marinetti all’indomani dell’ennesima vittoria di Berlusconi e dell’ennesima sconfitta del centrosinistra in Italia. Uno dei tanti momenti, verrebbe da dire oggi, di crisi della sinistra. Non ero ancora ventenne ma ero alla ricerca di persone, in carne ed ossa, a cui affidare i miei sogni e le mie speranze. Sentivo (e ancora sento) forte in me il desiderio e la necessità di impegnarmi in prima persona per tentare di cambiare e migliorare la nostra società, ma avevo bisogno di incontrare esempi, modelli da seguire, uscire dai libri, vederli con i miei occhi, ascoltarli con le mie orecchie, confrontarmi con loro su idee, progetti, valori. Grazie all’amico Gino Borgna, altra persona per me fondamentale nella “formazione politica”, mi avvicinai all’ANPI e proprio nell’assemblea provinciale dell’ANPI Cuneo conobbi Marinetti. Ricordo benissimo quella giornata e soprattutto ricordo il suo sguardo severo, ma curioso, nei confronti miei e di altri giovani che in quella stagione cercavano punti di riferimento in persone come lui: ovvero persone di specchiata trasparenza e coerenza politica. Alcuni di noi intervennero, e alla fine della mattinata Beppe con fare distratto si avvicinò, chiedendomi se volessi dare una mano per il periodico dell’ANPI. Accettai di buon grado e fu un’esperienza molto positiva, nella quale ho potuto tastare con mano la sua operosità e la sua serietà nell’affrontare qualunque tipo di impegno preso. Caro Beppe, “senza pretesa di farlo” mi hai insegnato che la coerenza e la mediazione possono e devono convivere in politica e anzi, sono un dovere per chi si impegna e crede nel valore della “cosa pubblica”. Senza mediazioni non si costruisce, si sfascia e basta. Eri solito ricordarmi come fosse fondamentale l’uso della parola, perché le armi le avevate già usate voi. Anche per questo eri un convinto pacifista, credevi nei più giovani, ma eri anche molto netto nel chiedere a me e a molti altri di fare di più, dovevamo osare di più. Ricordo

bene quando c’era da scrivere il periodico, quando ti arrabbiavi se le scadenze non venivano rispettate, anche se era tutto – ovviamente – lavoro volontario, ti arrabbiavi se non eravamo puntuali e lo confesso, ogni tanto tra me e me pensavo: se anche ritardiamo qualche giorno nella scrittura del pezzo che problema c’è? In fondo non è lavoro. Però avevi ragione tu, l’ho imparato nel tempo: quando ci si prende un impegno quell’impegno va onorato sempre, piccolo o grande che sia, e soprattutto va onorato dando il massimo di se stessi. Se si sbaglia, pazienza, nel libro lo scrive lui stesso: “come tutti ho commesso errori ma sempre in buona fede”. Ecco, tu eri così caro Beppe, un uomo in buona

fede, una persona che ha scelto di dedicare molto del suo tempo personale alla “cosa pubblica”, l’hai fatto, come ci ricorda la nostra Costituzione, con disciplina ed onore, l’hai fatto così perché eri un comunista serio, aperto e retto. Avevi una capacità estremamente rara: quella di spiegare in modo semplice (non semplificato) il tuo pensiero, la tua capacità di mediazione, anzi, l’arte della mediazione, che faceva di te un uomo politico stimato da tutti, compresi i tuoi avversari politici. Sapevi approcciarti allo stesso modo alle persone più umili, così come alle tante personalità incrociate nella tua vita. Ho scoperto negli anni la stima enorme nei tuoi confronti da parte di alcune personalità del PCI, che ascoltandoti pensavano fossi un professore. Questo perché tu non hai mai smesso di studiare nella vita: non lo studio mnemonico o nozionistico, ma la passione della lettura e la voglia di imparare la esercitavi ogni giorno, attraverso l’informazione e l’approfondimento su quanto accadeva nel mondo. Caro Beppe pacifista e utopista, ad un certo punto nel tuo li- bro ti poni la stessa domanda che tanti uomini e donne, che lavorano con serietà e dedizione, si sono posti e continuano a porsi. Ovvero: ne valeva la pena? La tua risposta è splendida e la sintetizzo qui: è stata una mia libera scelta, non ho mai preteso gratitudine, mi sento appagato per quel poco che sono riuscito a dare alla società e alla mia città né più né meno di altri. Caro Bepi, ovunque tu sia, sappi che non solo hai lasciato alla tua città e alla società un posto migliore. Hai formato generazioni spiegandoci che la democrazia richiede impegno e fatica, la rappresentanza comporta responsabilità e rigore: ma questo sforzo lo si può vivere sulla propria pelle anche per molti anni se si crede davvero, se quei valori di giustizia sociale e libertà sono sempre vivi in fondo al nostro cuore e nella nostra testa. E allora sì caro Bepi, ne è valsa la pena e grazie, grazie infinite.


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Oscar Romero, santo il 14 ottobre

OSCAR ROMERO

Papa Francesco «Il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte» a cura dell'Associazione Mandacarù

Alle pareti della sede dell'Associazione "Mandacarù" di Racconigi, è appesa la riproduzione di un quadro, dono di una comunità di suore sudamericane. Si tratta di un'opera realizzata nel 1992 dal Premio Nobel per la Pace Adolfo Pérez Esquivel. È l'ultima tela di una serie dal titolo "Via Crucis Latinoamericana" e rappresenta i martiri del Sud America che camminano guidati dal Risorto. La seconda figura a sinistra di Cristo è Monsignor Oscar Arnulfo Romero, Arcivescovo di El Salvador dal 1977 al 1980. Nato nel 1917, presbitero dal 1942, Monsignor Romero fu "voce dei senza voce" nel Salvador della dittatura e pagò con la vita la sua fedeltà al Vangelo e al suo popolo. Quel popolo di cui udì "il grido", di cui si mise in ascolto, oppresso nei suoi diritti fondamentali, e a cui chiedeva di percorrere le vie della nonviolenza, pur nella solida resistenza. Sempre denunciò la repressione del regime salvadoregno, guidato da un'oligarchia politica ed economica che pur si definiva cattolica; sottolineò senza indugi e per amore della giustizia e della verità, responsabilità e complicità di uno dei regimi più brutali e violenti dell'America Latina. I numeri delle vittime della gerra civile in Salvador sono esorbitanti, tenuto conto che ci riferiamo a un paese grande poco più della Sicilia: circa ottantamila, dal 1980 al 1992. Il 23 marzo 1980, come riportano molte sue biografie e come ricordano i testimoni, Monsignor Romero lanciò un appello alle forze armate per indurle alla disobbedienza e a non eseguire più gli ordini di repressione del popolo. Il giorno dopo, il 24 marzo 1980, fu assassinato sull'altare a colpi d'arma da fuoco, mentre celebrava l'Eucarestia nella cappella

dell'ospedale Divina Provvidenza di San Salvador. L'uomo che per il suo popolo è da sempre "San Romero De Las Americas" il 14 ottobre 2018 sarà canonizzato da papa Francesco in San Pietro a Roma. La sua tomba, oggi meta di pellegrinaggi, fu dimenticata e non curata per anni, simbolo di quell'oblio a cui rischiò di essere abbandonata anche la sua testimonianza. Ha detto di lui papa Francesco prima di proclamare la data della sua canonizzazione: «Il martirio di monsignor Romero non avvenne solo al momento della sua morte; fu un martirio-testimonianza, sofferenza anteriore, persecuzione anteriore, fino alla sua morte. Ma anche posteriore, perché una volta morto fu diffamato, calunniato, infangato, ossia il suo martirio continuò persino da parte dei suoi fratelli nel sacerdozio e nell’episcopato (...) Ebbene, credo che ora quasi nessuno osi più farlo (...)». Alla fonte delle scelte pastorali di Monsignor Oscar Romero ci sono, oltre l'indiscussa fedeltà al Vangelo, i documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II e della Conferenza di Medellin (1968), ma anche tutto il resto del Magistero di papa Paolo VI, che il 14 ottobre sarà con lui canonizzato. Il Papa che ha condotto la Chiesa fuori dal Concilio incontro al mondo, dialogando con esso, anche attraverso le attualissime parole dell'Evangelii Nuntiandi e della Populorum Progressio, nominò Vescovo Monsignor Romero nel 1970. Due uomini di Chiesa che si sono amati e sostenuti in vita e che oggi si ritrovano di nuovo insieme, elevati alla gloria degli altari, nell'unanime riconoscimento della Chiesa Universale. Siano ancora di monito oggi per tutti i

credenti le parole del Vescovo martire del Salvador: «Una religione fatta di messa domenicale, ma con settimane ingiuste, non piace al Signore. Una religione fatta di molte preghiere, ma con ipocrisie nel cuore, non è cristiana. Una Chiesa che si stabilisse solo per star bene, per avere molto denaro, molte comodità, ma che dimenticasse di protestare contro le ingiustizie, non sarebbe la vera Chiesa del nostro divino Redentore. Una predicazione che

non denunci il peccato, non è predicazione del Vangelo (…)» (da Anselmo Palini, "Oscar Romero. Ho udito il grido del mio popolo”, Editrice Ave, Roma 2012) Per chi desiderasse approfondire consigliamo ancora: Anselmo Palini, "Una terra bagnata dal sangue. Oscar Romero e i martiri di El Salvador", Edizioni Paoline, 2017

IL PARCO È CHIUSO (ANDATE IN PACE)

Il Parco del Castello di Racconigi, fu riconosciuto anni fa, come il più bello d'Italia! (Magari con un po' di esagerazione) ma sta di fatto che, da allora, migliaia di visitatori sono ac-

corsi per visitarlo ed apprezzarne il fascino. Oggi le cose sono molto cambiate, ma in peggio perché causa la caduta di alcuni alberi il Parco, da mesi, è chiuso al pubblico. Mi chiedo: quanto tempo ci vorrà per rimuovere alcuni alberi e riparare un pezzo del muro di cinta danneggiato! Siamo nel 21° secolo che diamine! Il tempo passa inesorabile e l'unico provvedimento visibile preso dai responsabili del Polo Museale è stato affiggere sulla porta della biglietteria un avviso: IL PARCO È CHIUSO. Sta però il fatto che mia moglie ed io avevamo acquistato n. 2 abbonamenti

(50 Euro) per poter accedere al Parco ed oggi ci troviamo con un pugno di mosche; siamo ormai ad ottobre e la naturale chiusura invernale si avvicina. Mi sono recato presso la biglietteria del Castello chiedendo che gli abbonamenti inutilizzati, non per colpa nostra, nel corrente anno possano avere validità nel 2019. A tale legittima pretesa mi è stato consigliato di fare domanda scritta alla Direttrice del Polo Museale dr.ssa IVALDI la quale, bontà sua, potrebbe anche accogliere la mia richiesta. È chiaro che non intendo sottostare a questo tipo di mentalità che nulla ha a

che vedere col buon senso. Pertanto non scriverò a nessun burocrate di turno, ma bensì ad un libero Giornale quale è INSONNIA. Sono certo, pubblicherete le mie rimostranze, che sono anche quelle di molti cittadini disgustati da quanto sta accadendo. Mi sovviene un sospetto: non è che questa trascuratezza verso il Parco di Racconigi nasconde l'intenzione di favorire sempre più il gioiello più amato dalla “regina” di Torino e cioè la Reggia di Venaria? Mario Rossetti


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Etiopia 2018: progetto vaccini

PICCOLO E’ MEGLIO

Riflessione critica sui progetti di cooperazione internazionale con i paesi cosiddetti del terzo mondo di Giacomo Castagnotto

Per il secondo anno consecutivo mi sono trovato a trascorrere 15 giorni di ferie in Etiopia per la realizzazione di un progetto di cooperazione. Quest'anno l'obiettivo era quello di fornire dei freezer per la conservazione dei vaccini veterinari in una zona in cui la popolazione vive esclusivamente di pastorizia e dove il benessere delle mandrie corrisponde al benessere di tutto il villaggio. Si trattava non solo di fornire dei frigoriferi negli Helt Post (ambulatori) veterinari ma pensare a come alimentarli in una regione che da mesi non è più fornita la corrente elettrica. Abbiamo quindi provveduto con 9 pannelli fotovoltaici, uno inverter (uno dispositivo che converte la corrente a basso voltaggio delle batterie in corrente 220 volt come quella di casa) e delle batterie ad alimentarli di giorno e soprattutto di notte. Il progetto non è stato semplicissimo perché rispetto alle idee che ci eravamo fatti da casa, nella realtà locale abbiamo dovuto adeguarci alle reali esigenze e richieste pervenute dai veterinari etiopi. Abbiamo attivato anche la collaborazione di maestranze locali che ci hanno aiutato a posizionare i pannelli, non sui tetti, come noi tutti pensavano, ma in un'area che i ragazzi del posto hanno prima ripulito dai rovi. Alla fine con un piccolo progetto siamo riusciti a trovare il modo in quella regione di conservare i vaccini; abbia-

mo ricevuto proprio in questi giorni il rimando che l'impianto sta funzionando bene senza interruzioni. Questa è una storia che si è conclusa bene grazie alla collaborazione tra diverse associazioni, gruppi e aziende: il CCM, ong che ha coordinato il progetto, il gruppo di tecnici PULIA che l’ha realizzato, l’associazione Fondo di Solidarietà di Racconigi che ha contribuito a finanziare l’acquisto del materiali, la ferramenta Gonella di Racconigi che ha fornito gratuitamente molti degli strumenti di lavoro utilizzati. Un progetto piccolo realizzato con le sole forze del volontariato che pone però alcuni interrogativi su altri progetti faraonici che ho visto in quei paesi. Ho visto per esempio in un centro medico una grande cella frigorifero per la conservazione della carne, mai messa in funzione perché occorrono 12 kilowatt per alimentarla, uno sproposito praticamente irraggiungibile per quelle zone (contate che il nostro progetto alimenta un frigo e un freezer per un totale di 0,3 kwatt, e nelle nostre case la potenza fornita è tipicamente di 3 kwatt). Cosa hanno pensato quelli della cooperazione olandese quando hanno montato quell'impianto? A nessuno è venuto in mente che poteva essere un impianto non adeguato e quindi denaro sprecato? Come si sono posti con gli interlocutori locali? Hanno chiesto loro cosa veramente serviva? In un altro sito ho visto dei frigoriferi (tanti) molto belli forniti dall'UNICEF finalizzati anche questi alla conservazione dei vaccini umani. Molto bella e nobile l'idea in un paese come l’Africa dove la vaccinazione può salvare la vita a migliaia di bambini. Questi frigoriferi erano nuovi e ancora nel cellofan. Perché? Semplicemente perché le zone per le quali erano destinati nuovamente non hanno la disponibilità di corrente elettrica. Nessuno si è posto questo problema? Ma allora viene da riflettere criticamente su certi progetti faraonici che molte volte le organizza-

zioni ci chiedono di finanziare, siano essi progetti medici in Africa o cantine per il vino in posti improbabili di isole tropicali. L'esperienza insegna che "piccolo è meglio", ovvero è meglio finanziare progetti di dimensioni più contenute, dove sia possibile verificarne l'efficacia, dove i costi di gestione sono praticamente zero (i volontari oltre al proprio tempo ci mettono anche il biglietto aereo) dove il cambiamento e i benefici per la popolazione locale sono tangibili e oggettivamente verificabili. Oggi sono sempre di più le organizzazioni che mostrando il viso di un bimbo africano sofferente chiedono soldi. Orientare i nostri sforzi su progetti di cooperazione più piccoli e legati alle realtà e alle associazioni del nostro territorio, credo sia una scelta più efficace. Se vogliamo aiutare chi è nella povertà, guardiamoci intorno: nella nostra città scopriamo che ci sono associazioni che si impegnano da anni nella cooperazione internazionale (Fondo Solidarietà, Semi di Baobab, Mandacarù) alle quali possiamo fare le nostre donazioni nella consapevolezza che i fondi raccolti verranno interamente impiegati nei progetti, senza intermediari e senza sprechi per “cattedrali nel deserto”.


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Fabrizio De Andrè

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LA BUONA NOVELLA-3 a cura di Guido Piovano

Prosegue la presentazione della versione integrale dei testi de “La Buona Novella” di Fabrizio De Andrè. Dopo “Il ritorno di Giuseppe” che termina con Giuseppe che si interroga sulla gravidanza di Maria, abbiamo il terzo brano della raccolta “Il sogno di Maria”, dove Maria altro non può fare che raccontare a Giuseppe il sogno dopo il quale si è ritrovata incinta.

IL SOGNO DI MARIA "Nel grembo umido, scuro del tempio, l'ombra era fredda, gonfia d'incenso; l'angelo scese, come ogni sera, ad insegnarmi una nuova preghiera: poi, d'improvviso, mi sciolse le mani e le mie braccia divennero ali, quando mi chiese - Conosci l'estate io, per un giorno, per un momento, corsi a vedere il colore del vento. Volammo davvero sopra le case, oltre i cancelli, gli orti, le strade, poi scivolammo tra valli fiorite dove all'ulivo si abbraccia la vite. Scendemmo là, dove il giorno si perde a cercarsi da solo nascosto tra il verde, e lui parlò come quando si prega, ed alla fine d'ogni preghiera contava una vertebra della mia schiena.

dove forse era sogno ma sonno non era

(... e l' angelo disse: "Non temere, Maria, infatti hai trovato grazia presso il Signore e per opera Sua concepirai un figlio...) Le ombre lunghe dei sacerdoti costrinsero il sogno in un cerchio di voci. Con le ali di prima pensai di scappare ma il braccio era nudo e non seppe volare: poi vidi l'angelo mutarsi in cometa e i volti severi divennero pietra, le loro braccia profili di rami, nei gesti immobili d'un altra vita, foglie le mani, spine le dita. Voci di strada, rumori di gente,

- Lo chiameranno figlio di Dio Parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno, ma impresse nel ventre."

mi rubarono al sogno per ridarmi al presente. Sbiadì l'immagine, stinse il colore, ma l'eco lontana di brevi parole ripeteva d'un angelo la strana preghiera

E la parola ormai sfinita si sciolse in pianto, ma la paura dalle labbra si raccolse negli occhi semichiusi nel gesto d'una quiete apparente che si consuma nell'attesa d'uno sguardo indulgente. E tu, piano, posasti le dita all'orlo della sua fronte: i vecchi quando accarezzano hanno il timore di far troppo forte.

Il commento Nel sogno, Maria è ancora al tempio - “Nel grembo umido, scuro del tempio” - dunque prima di venire affidata a Giuseppe, quando giunge l’angelo – “l’angelo scese, come ogni sera” – ed inizia una sequela di immagini fantastiche proprie d’un sogno - “volammo davvero sopra le case scendemmo là, dove il giorno si perde a cercarsi da solo, nascosto fra il verde” -. Quasi d’improvviso l’angelo annuncia a Maria il concepimento – “e lui parlò come quando si prega” - in una scena che comunica grande tenerezza – “ed alla fine d'ogni preghiera, contava una vertebra della mia schiena”-. Qui, svanisce il sogno - “Voci di strada, rumori di gente, mi rubarono al sogno per ridarmi al presente” - con Maria che, rimasta sola, medita su parole, quelle dell’angelo - “l'eco lontana di brevi parole ripeteva d'un angelo la strana preghiera”- difficili da comprendere,

ma la cui realtà è testimoniata dalla gravidanza ormai evidente - “lo chiameranno figlio di Dio, parole confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre” -. Finito di raccontare il sogno, Maria si abbandona ad un pianto liberatore – “e la parola ormai sfinita si sciolse in pianto” – che non nasconde l’attesa e la paura del giudizio di Giuseppe – “nell'attesa d'uno sguardo indulgente” -. Il brano termina con Giuseppe che esprime la sua accettazione compiendo un gesto di grande umanità – “E tu, piano, posasti le dita/all'orlo della sua fronte:/ i vecchi quando accarezzano/hanno il timore di far troppo forte”-. Nell’ultima scena anche la forma poetica e la melodia riprendono quelle del ritorno di Giuseppe.

SOLIDARIETÀ AL PAPA Più volte in questa rubrica ho plaudito alla dimensione umana e profetica del papa, al suo spirito evangelico, alla sua capacità di ascolto e di accoglienza che egli non manca di palesare ad ogni incontro o intervento. Ho altresì richiamato l’attenzione sui ritardi e sulle lentezze che stanno caratterizzando il papato di Francesco su molti temi, quali il matrimonio dei preti, il sacerdozio femminile, la riforma del catechismo, la revisione del Concordato e del cappellanato militare, la benedizione delle coppie omosessuali, e altro ancora. Oggi, a seguito delle dichiarazioni

del cardinale Viganò, sono doverosamente obbligato a segnalare come tra Usa e Vaticano operi una

destra più che conservatrice che ha come suo primo obiettivo proprio quello di impedire al papa di

porre mano ad alcune delle riforme più urgenti della chiesa. Ma nella curia Romana un’altra destra è presente, meno estremista, più subdola ma altrettanto conservatrice che si oppone a Viganò. Questa destra, che teme che il clamore sollevato dagli attacchi di Viganò al papa possa in realtà giovare a papa Francesco, cerca di fermare Viganò, ma ugualmente lavora nell’ombra per una chiesa immobile, chiusa al rinnovamento. Questa destra è forse più pericolosa e trova vigore nel silenzio di preti, parroci e parrocchie, i quali solo molto raramente esprimono solidarietà al papa.


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DOMENICO LUCANO, SINDACO DI RIACE, È AGLI ARRESTI DOMICILIARI!

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segue dalla prima

loro la dignità di un lavoro e una vita migliore di quella vissuta nel loro paese. Mimmo Lucano si è sempre autodenunciato come “sindaco ribelle” pur di accogliere chi chiedeva aiuto e casa. Se reato c’è stato, è reato di UMANITÀ! Riportiamo di seguito il messaggio di Mimmo Lucano letto in piazza a Riace durante la manifestazione di sabato 6 ottobre. È inutile dirvi che avrei voluto essere presente in mezzo a voi non solo per i saluti formali ma per qualcosa di più, per parlare senza necessità e obblighi di dover scrivere, per avvertire quella sensazione di spontaneità, per sentire l’emozione che le parole producono dall’anima, infine per ringraziarvi uno a uno, a tutti, per un abbraccio collettivo forte, con tutto l’affetto di cui gli esseri umani sono capaci.

A voi tutti che siete un popolo in viaggio verso un sogno di umanità, verso un immaginario luogo di giustizia, mettendo da parte ognuno i propri impegni quotidiani e sfidare anche l’inclemenza del tempo. Vi dico grazie. Il cielo attraversato da tante nuvole scure, gli stessi colori, la stessa onda nera che attraversa i cieli d’Europa, che non fanno più intravedere gli orizzonti indescrivibili di vette e di abissi, di terre, di dolori e di croci, di crudeltà di nuove barbarie fasciste. Qui, in quell’orizzonte, i popoli ci sono. E con le loro sofferenze, lotte e conquiste. Tra le piccole grandi cose del quotidiano, i fatti si intersecano con gli avvenimenti politici, i cruciali problemi di sempre alle rinnovate minacce di espulsione, agli attentati, alla morte e alla repressione. Oggi, in questo luogo di frontiera, in questo piccolo paese del Sud italiano, terra di sofferenza, speranza e resistenza, vivremo un giorno che sarà destinato a passare alla storia. La storia siamo noi. Con le nostre scelte, le nostre convinzioni, i nostri errori, i nostri ideali, le nostre speranze di giustizia che nessuno potrà mai sopprimere. Verrà un giorno in cui ci sarà più rispetto dei diritti umani, più pace che guerre, più uguaglianza, più libertà che barbarie. Dove non ci saranno più persone che viaggiano in business class ed altre ammassate come merci umane provenienti da porti coloniali con le mani aggrappate alle onde nei mari dell’odio. Sulla mia situazione personale e sulle mie vicende giudiziarie non ho tanto da aggiungere rispetto a ciò che è stato ampiamente raccontato.

Non ho rancori né rivendicazioni contro nessuno. Vorrei però a dire a tutto il mondo che non ho niente di cui vergognarmi, niente da nascondere. Rifarei sempre le stesse cose, che hanno dato un senso alla mia vita. Non dimenticherò questo travolgente fiume di solidarietà. Vi porterò per tanto tempo nel cuore. Non dobbiamo tirarci indietro, se siamo uniti e restiamo umani, potremo accarezzare il sogno dell’utopia sociale. Vi auguro di avere il coraggio di restare soli e l’ardimento di restare insieme, sotto gli stessi ideali. Di poter essere disubbidienti ogni qual volta si ricevono ordini che umiliano la nostra coscienza. Di meritare che ci chiamino ribelli, come quelli che si rifiutano di dimenticare nei tempi delle amnesie obbligatorie.

Di essere così ostinati da continuare a credere, anche contro ogni evidenza, che vale la pena di essere uomini e donne. Di continuare a camminare nonostante le cadute, i tradimenti e le sconfitte, perché la storia continua, anche dopo di noi, e quando lei dice addio, sta dicendo un arrivederci. Ci dobbiamo augurare di mantenere viva la certezza che è possibile essere contemporanei di tutti coloro che vivono animati dalla volontà di giustizia e di bellezza, ovunque siamo e ovunque viviamo, perché le cartine dell’anima e del tempo non hanno frontiere. Hasta siempre. Mimmo Lucano Riace, 6 ottobre 2018

Palabiscotto2, il ritorno di Zanza Rino

Palabiscotto, settembre 2018. Dove sono finiti i bidoncini per la raccolta differenziata? E gli ecovolontari che aiutavano la gente a buttare i rifiuti nel bidone giusto? E perché le inservienti ai tavoli erano costrette a

buttare i rifiuti tutti insieme? Sì, l'anno scorso era già successo, ma erano soltanto sei mesi che il consigliere delegato all’ambiente aveva assunto l’incarico, forse aveva bisogno di un po' di tempo per prendere le misure. Ha fama di uno meticoloso e preciso, ma è passato ancora un anno e le misure le sta ancora prendendo. Miglioramento del servizio di raccolta differenziata, diceva il programma della nuova amministrazione, ma i rifiuti buttati tutti insieme al Palabiscotto non sembrano un gran miglioramento, non crede sig. consigliere delegato all'ambiente? Però, lei dirà, i

numeri della raccolta differenziata, restano buoni… molto buoni. Vero. Merito dei racconigesi, non c'e dubbio. Eppure in circa un anno e mezzo lei non ha fatto praticamente niente. Iniziative: zero. Informazione: giudizio sospeso (vedi più avanti) Presenza: zero. Se mi sbaglio, sono ben lieto di accogliere eventuali precisazioni. Può essere che il modo migliore di fare sia non fare? O queĺlo che è stato fatto prima sia stato fatto abbastanza bene da restare nonostante che ora non si faccia

niente? Ma non è mai troppo tardi. Parte il nuovo appalto, in Consiglio Comunale si fa cenno alle novità nella gestione raccolta rifiuti e sembra che partirà una adeguata campagna di informazione, sia attraverso incontri pubblici sia attraverso i social. Bene, sig. delegato all'ambiente, faccia vedere di cosa è capace. Sig. sindaco, non è una questione personale. Altre volte le sono stati riconosciuti i meriti, come sulla faccenda del castello. Ma non può fare qualcosa per svegliare il consigliere? In fondo la delega gliela ha data lei.


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LA STORIA DELLE NOSTRE RADICI PER CAPIRE IL MONDO

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L’immigrazione non esiste più. Ora esiste Riace di Grazia Liprandi – Rete Insegnareducando

Tutte le volte che qualcuno di noi intraprende il viaggio di 1350 km per andare a Riace, non è per fervore storico, sebbene la cittadina sia divenuta famosa dal 1972 per i “Bronzi”, risalenti alla Magna Grecia, ritrovati nel mare antistante. Ciò che ci spinge è il desiderio di respirare il BENESSERE nelle vie di quel piccolo borgo semplice e profetico, “il Paese dell’Accoglienza” nato dalla passione con cui un gruppo di giovani riacesi è riuscito a trasformare l’antico borgo semiabbandonato. L’inizio di questo cambiamento corrisponde al 1 luglio 1998 quando, sulle spiagge di Riace sbarcano 220 kurdi, sfuggiti al massacro dell’aviazione irachena. Che fare? È la domanda che si pongono Domenico Lucano e i suoi amici, conoscitori della storia che ha dato origine alla loro cittadina, una storia che si perde nel tempo. È infatti tra l’VIII e il V secolo avanti Cristo che approdano moltissimi “migranti” sulle coste dell’attuale Riace. Giungono dalla Grecia. L’invasione di quegli stranieri trasforma la costa litoranea selvaggia e abbandonata in un presepe di case e borghi. Passano alcuni secoli e di nuovo, grazie all’intervento di migranti sfuggiti alle persecuzioni saracene, intorno all’anno 1000 d. C prende vita Riace su una collina antistante il mare; gli stranieri, in questo caso, diventano a poco a poco stabili residenti e diffondono gli usi e i costumi bizantini delle loro origini, fino all’arrivo di nuovi immigrati, i Normanni ai quali seguiranno gli Svevi, gli Aragonesi, gli Spagnoli, gli Austriaci, in un susseguirsi ininterrotto di migrazioni provenienti da diverse aree geografiche e che nessun libro di storia ha mai definito clandestine. Memori delle proprie confuse origini, quel primo luglio 1998 i giovani di Riace non guardano i Kurdi con quel panico collettivo con cui la maggioranza degli italiani osserva le immagini degli sbarchi a Lampedusa, attraverso la tv. Li incontrano vis a vis, direttamente in spiaggia. E questo permette loro tutta un’altra lucidità. La riflessione sulla storia e l’incontro col nuovo sono la spinta che fa nascere l’associazione “Città futura G. Puglisi” che si pone come obiettivo primario di accogliere i nuovi “migranti” e rendere loro una dignitosa ospitalità. Il paese si presenta in quegli anni semi-vuoto; molte abitazioni del

centro storico sono state abbandonate da Riacesi emigrati all’inizio del secolo scorso in Germania o nel nord Italia per cercare lavoro. Domenico Lucano e i suoi amici decidono di provare a contattare gli italiani emigranti all’estero per chiedere il permesso di ristrutturare le loro case, arredarle e darle in uso a chi ne ha bisogno. Il progetto, decisamente ambizioso e complicato (data la difficoltà di reperire indirizzi di chi abita lontano ormai da anni, spiegare il senso dell’iniziativa, registrare consensi) dà però i suoi frutti e 20 case sparse nei vicoli e nelle stradine del centro storico riprendono vita e si trasformano in abitazioni accoglienti dalla capacità ricettiva di 100 posti letto.

Arrivare a Riace, lasciandosi il mare alle spalle, e iniziare a salire verso quell’agglomerato di case sdraiate tra gli ulivi e i vigneti della collina, è sempre un’emozione. La prima cosa che colpisce è quel cartello rosso su cui è sintetizzata tutta la storia e il significato di un grande progetto: “IL PAESE DELL’ACCOLIENZA”. È il benvenuto più bello che si possa ricevere, soprattutto se si giunge dal nord-Italia dove alcuni sindaci-sceriffo annunciano proclami e invettive contro i nuovi arrivati. In effetti sul cartello non è specificato nulla, non è scritto “paese dell’accoglienza dei calabresi o dei soli Riacesi o

È la pietra la grande protagonista di Riace che la ristrutturazione non ha modificato. Pietra antica, grigia, che odora di sole e di storia, che conosce tante lingue, dagli idiomi quasi incomprensibili degli anziani ai diversi dialetti ed accenti che oggi si mescolano nelle piazzette, tra antichi palazzi nobiliari e piccole abitazioni semplici. Quella pietra ha ripreso a vivere col progetto “Riace Village” che l’Associazione ha messo in moto: l’obiettivo è il turismo sostenibile che dà la possibilità, a poco prezzo (circa 20 euro al giorno, a persona, comprese lenzuola, asciugamani e possibilità di cucinare da sé) di vivere il senso del villaggio rurale, di avvicinarsi ad alcune antiche attività artigianali che si tramandano da generazioni e che rischiano

al massimo dei Meridionali”. L’accoglienza è indiscriminata, fa sentire di essere benaccetti ed invoglia ad addentrarsi senza paura, allegri e leggeri, nei vicoli di pietra del paese, grati, prima ancora di conoscerli, a coloro che abitano quelle vecchie case.

di scomparire. Così, se qualcuno decide di fare una vacanza a Riace, si trova immerso in un’altra dimensione: è possibile, camminando per i vicoli ripidi del centro storico, incontrare i netturbini che fanno la raccolta differenziata con gli asini muniti di gerle, unico

Accoglienza e turismo sostenibile

mezzo di trasporto idoneo alla salita e veramente ecologico; oppure riscoprire in una bottega la pazienza di chi tesse al telaio usando strumenti antichi e unicamente manuali; o imparare a raccogliere la ginestra, metterla a bagno nel fiume, farla bollire nelle tinozze, batterla fino a trasformarla in una nuvola di filamenti con cui fare matasse da tingere con colori naturali. O ancora aiutare nella preparazione delle confetture di agrumi che abbondano in Calabria, vedere nascere un oggetto di vetro o di ceramica o una bambolina dai tipici costumi locali. La cosa curiosa è sentire la spiegazione dell’artigiano straniero che conduce il laboratorio e ti parla con accento calabrese. Il mestiere l’ha imparato proprio arrivando a Riace, dopo essere stato accolto, quando un anziano o un conoscitore di antichi segreti gli si è seduto accanto per giorni ad insegnarglieli, chiedendogli di esserne custode. Ieri gli stranieri erano Kurdi, poi sono arrivati gli Eritrei, gli Etiopi e gli Afgani e hanno imparato a impastare il pane alla vecchia maniera calabra e a tessere stoffe tipiche, mentre raccontavano storie di Paesi lontani e confrontavano tradizioni diverse. È commovente questo passaggio di consegne e ricorda la confidenza che nasce tra molti nonni italiani e le loro badanti straniere, quell’intimità che lascia un segno negli uni e negli altri e cancella le iniziali diffidenze e diversità tra i nativi e i migranti, facendo sentire entrambi complici. Riace ha scelto di non perdere le sue antiche tradizioni affidandole proprio alle mani di tanti immigrati, nella speranza che decidano di restare per custodirli. Anche il turista che trascorre la sua vacanza a Riace, vive un’esperienza che lascia il segno, innanzitutto


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per la semplicità delle relazioni che nascono dalle cose semplici. Tanti i volontari che passano, si fermano qualche giorno, settimane o mesi e poi ripartono: sono “alternativi” o artisti, stranieri o italiani, decidono di dare il loro contributo per un po’. Qualcuno insegna, qualcun altro collabora e aiuta, soprattutto quando c’è la raccolta di olive, viti e ginestre.

Dalla proposta sociale a quella politica

l’Associazione G. Puglisi ha sempre avuto molto da fare, dapprima curando le accoglienze degli immigrati e la loro sistemazione nelle case, poi accompagnandoli nell’apprendimento dell’italiano, nelle complicate maglie della burocrazia italiana per avere permessi di soggiorno o curando convenzioni per i riconoscimenti dei rifugiati, per dare a tutti assistenza sanitaria, cure e vaccinazioni per i minori; e poi ancora ideando e scrivendo progetti per avere finanziamenti che sostenessero economicamente le spese; ma più di ogni altra cosa, il tempo è stato ed è impiegato per stare loro accanto nell’inserimento sociale e lavorativo nel paese. Nonostante la mole di impegni, quando nel 2004 si avvicinano le elezioni amministrative di Riace e si presentano i soliti due schieramenti, gli amici della “Puglisi” decidono di candidarsi in una terza lista che apparentemente non ha nessuna speranza di vincere perché da quel clima tranquillo, indifferente, rassegnato e clientelare che rappresenta l’humus culturale del paese, gli stessi candidati della sinistra non si aspettano un reale cambiamento. Le elezioni si concludono invece inaspettatamente a favore di Domenico Lucano e della sua squadra che reagiscono basiti. Dopo è tutto un darsi da fare e soprattutto un aprirsi a realtà che possano portare ventate di apertura e sostegno. Riace entra a far parte di RECOSOL, una rete di comuni che diffonde una cultura di solidarietà e porta una boccata d’ossigeno al progetto “Riace Village”, un seme gettato in una cultura di emigrazione; crescere a Riace, infatti, ha sempre significato per i giovani non avere prospettive, quindi seguire il percorso “normale” e obbligato, ancora oggi come un tempo, dell’emigrazione. “Riace Village” propone un’alternativa e lo fa attraverso la presenza e il lavoro di chi, da lontano, è venuto qui per trovare qualcosa da fare. Con la partecipazione alla rete Recosol, iniziano ad arrivare persone da tutta la penisola per vedere, conoscere e capire come l’emigrazione possa davvero dare una mano; così nascono bellissimi momenti di incontro, riunioni cittadine all’aperto, conferenze e dibattiti tra semplici cittadini e persone impegnate

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in ogni dove e qualche ministro sensibile che ha ancora voglia di ascoltare la gente, tutti seduti sotto il grande pino marittimo che fa ombra alla piazza del palazzo comunale: all’aperto vuol anche dire alla luce del sole, in modo che tutti possano ascoltare e partecipare, anche solo passando per caso sulla strada, come nei vecchi villaggi africani; e poi il mettersi in rete ha significato feste in piazza, cene con piatti tipici di diverse regioni o Paesi del mondo, visi diversi, proposte che si confrontano, musiche tradizionali suonate con vecchi strumenti e ballate da ragazzi e anziani che si incontrano. E poi turisti che arrivano e artisti che si fermano un po’, grazie al sito e alla radio francese e ai circuiti del turismo sostenibile che parlano di questo piccolo ma significativo “miracolo”. Il risultato è che qual-

‘ndranghetosa, dove non è tanto l’attentato o la sparatoria a dominare, quanto il sistema “clientelare” che obbliga a dipendere da qualcuno, a chiedere e fare favori per concessioni di piccole illegalità, dove non tanto il principio del diritto, quanto la “conoscenza della persona giusta” mandano avanti la vita sociale ed economica, nel piccolo come nel grande. La sua irreprensibilità viene alla luce spesso: non partecipa agli incontri con amministratori o politici di dubbia fama, non si rassegna agli atteggiamenti mafiosi che impastano la vita politica italiana e si dimostra forte non grazie al sostegno di chi è temuto da tutti, ma mettendosi in rete con altri comuni d’Italia, attivando processi democratici e spesso impensabili quali presentare un progetto senza alcuna raccomanda-

che giovane riacese inizia a restare.

zione e vincere un bando. Tutto questo dà sicuramente fastidio a chi detiene il controllo della zona e teme poteri forti che possono intralciare i traffici illeciti. Ma non è il potere ciò che Domenico e i suoi amici propongono, bensì la partecipazione democratica e attiva alla vita di Riace per “non rinunciare alla propria terra e non abbandonarla” per trasformare una “terra di mezzo” in una terra di tutti, per non dimenticare le proprie radici di migranti, per restituire dignità e opportunità a chi arriva e chiedere in cambio di partecipare alla vita nel paese, aiutandolo a rinascere; e poi ancora per offrire alle nuove leve una prospettiva per il futuro e un motivo per restare. L’essenza di questo programma, che Riace ha già iniziato a realizzare, è scritta in un quadro appeso al muro della sede dell’Associazione G. Puglisi a Palazzo Pinnarò:

Non c’è rosa senza spina

Certo, i problemi economici sono sempre un grande scoglio: bisogna pagare gli affitti delle case, gli stipendi dei lavoratori assunti nelle botteghe e chi si occupa della pulizia delle case. Inoltre il turismo è concentrato nei mesi estivi, da giugno ad agosto. Per i restanti mesi si fa fatica, nonostante alcune scolaresche scelgano la proposta didattica che Riace offre e le locande si riempiano durante i convegni organizzati con la Recosol. Si naviga a vista, ma sicuri di aver scelto per il meglio. La gente sembra apprezzare, ma non tutti comprendono davvero. Domenico parla col cuore proponendo un nuovo modello di sviluppo del territorio. I più attenti gli riconoscono la voglia di cambiare. Ma il suo comportamento spiazza soprattutto all’interno della cultura

Terre di mezzo Terre di nessuno Le attraversi veloce, dopo aver varcato un confine. Ti senti un poco straniero. Nessuno si ferma. Ce ne sono tante di queste terre di mezzo nella vita, frontiere invalicate, luoghi ed esperienze attraversati in fretta, senza quasi alzare lo sguardo, spazi dove l’altro non solo è uno straniero, ma forse anche un nemico. Incominciare ad abitare le terre di mezzo e farle ridiventare terre di tutti. È il nostro sogno. Il 2 ottobre Domenico Lucano, ormai diventato simbolo indiscusso di questo nuovo modello di sviluppo, libero dalle Mafie e dalla cultura clientelare, viene arrestato. Numerose le accuse che però il Gip ricaccia perché inconsistenti. Mimmo è comunque costretto agli arresti domiciliari. Siamo amareggiati, ma ci aspettavamo qualche mossa per bloccare il sogno. Perché Riace è il desiderio realizzato di un’umanità evoluta e libera che riesce a convivere e cooperare nelle differenze. È normale che le mafie non lo amino. Le mafie e i politici affiliati ad esse. Le esperienze umane meravigliose vengono solitamente crocifisse. Ma non per questo muoiono, anzi, spesso risorgono più forti di prima. Chi ha studiato la storia sa che l’Uomo è un migrante, da sempre. E nonostante si alternino sui troni della storia politici ignoranti che dicono il contrario, le migrazioni non si fermeranno mai perché il pianeta è un’unica casa. “Siamo in troppi”, dice qualcuno che parla, ma non studia; ma la realtà dice il contrario: dove c’è migrazione c’è più lavoro, ci sono più scuole, più classi, più insegnanti, più personale, più nascite, più possibilità, più apertura… “I migranti mi fanno paura” dice qualcun altro. Esiste una soluzione a questo problema. E Riace l’ha sperimentata. Aprire il cuore, la mente e le case a chi arriva. Così il migrante diventa un fratello e nasce quel senso di Benessere di cui parlavo prima. I giovani che girano il mondo ce lo raccontano dopo ogni viaggio: l’esperienza più bella del viaggio è trovare una porta che si apre per accoglierci, ovunque si vada. Chissà che un domani non accada a noi stessi la necessità di essere ospitati in qualche angolo di questa Terra, tonda e senza confini? Troveremo una Riace dove stare bene? Grazie Domenico Lucano per aver riscritto una pagina di storia per un futuro migliore.


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ALFABETIZZANDO..... LE PAROLE DEI GIOVANI

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UMANITÀ

Viaggio nella contraddizione dell'essere umani Classe 5ª A-MEC

e al piacere. Uccisa. Dalla mancanza di diritti, dal razzismo, dallo scontro tra benessere occidentale e fame nel Terzo Mondo, dai proiettili che ancora esplodono in Siria, Afghanistan, Libia...

Ubbidiente. Alle norme, alle abitudini, alle convenzioni sociali, alle leggi del web. Ubriaca. Di sogni, illusioni e promesse di felicità. Speriamo sempre che la vita possa migliorare e non accettiamo le sconfitte: così il denaro e il successo diventano l'unico obiettivo di questa corsa alla gratificazione

Ultima. Umanità di periferia, di migranti, di zingari, di caporalato. Come i sedici braccianti morti quest'estate sulle strade che, stipati nei furgoni, percorrevano per raggiungere i campi di pomodori del Gargano. Come i bambini di Moria, il campo profughi dell'isola di In your head they're still fightin' With their tanks, and their bombs And their bombs, and their guns In your head In your head they are dying Dolores O'Riordan, Zombie

Lesbo, dove, secondo i dati di Medici senza frontiere, sono in aumento i casi di autolesionismo e suicidio da parte dei più piccoli. Umorale. Sensibile ai cambiamenti, umanità pronta a dire la sua a qualsiasi costo e in qualunque occasione, anche con il rischio di colpire e ferire. Unica. Per la sua capacità di pensare, amare, immaginare, ma anche per la sua tendenza al razzismo, all'egoismo e alla violenza. Universale. Umanità che sa adattarsi, che sa portare la bandiera della

Nella tua testa stanno ancora combattendo Con i loro carri armati e le loro bombe E le loro bombe e i loro fucili Nella tua testa Nella tua testa stanno morendo

pace, che sa unirsi quando gioca la nazionale di calcio, ma magari non conosce il nome del vicino di casa. Urlante. Umanità che vuole farsi sentire, che reclama i suoi diritti, il suo bisogno di lasciare una traccia in questo mondo. Umanità che urla il suo desiderio di sentirsi viva e vicina. Usa e getta. Umanità che spreca. Umanità sprecata, usata per interesse e poi abbandonata. Umanità viziata, soffocata, consumata. Discorsi sull'umanità ne sento di tutti i tipi Ma non siamo umani, siamo scimmie avvolte in bei vestiti Figli senza valori ma molto bene istruiti, Vomitati da un sistema che da tempo ci ha inghiottiti. Fedez, Si scrive schiavitù si legge libertà

Diritto di VOTO

Aleksandra Zivkovic - III E, Costruzioni ambiente e territorio

Il diritto di voto possiede una storia lunghissima e costellata di sconfitte e vittorie. Per giungere alla sua conquista molte persone hanno dovuto lottare strenuamente, sacrificando anche la vita in nome di questo no-

bile ideale. Se talvolta ci ricordassimo che in molte aree del mondo non sussiste né il diritto né la libertà di voto, forse apprezzeremmo maggiormente entrambi o perlomeno saremmo loro meno indifferenti. Nell’Atene di Pericle molte cariche pubbliche venivano affidate per sorteggio. Ciò chiamava in causa la cittadinanza nella gestione della polis (stato) e rendeva tutti più responsabili e consapevoli di essere parte integrante di un unico organismo, il cui funzionamento dipendeva dal singolo. Oggi si è perso il senso di appartenenza alla cosa pubblica, in parte per la delusione provocata da reiterate male gestioni, in parte per superficialità e disinteresse.

In Italia solo nel 1946 si giunse, seppur con notevoli limitazioni, al suffragio universale. Molte donne coronarono il loro sogno di parità e all’epoca parve una conquista tardiva ma eccezionale. Col tempo gli entusiasmi si sono smorzati. Votare è un diritto del quale si può decidere di non avvalersi, anche se, in nome di coloro che si sono immolati per conseguirlo, forse bisognerebbe considerarlo un dovere. Non bisogna comunque esercitarlo superficialmente, senza ragionare sulla scelta e sulle implicazioni che esso potrebbe avere sul futuro del proprio Paese. Perché votare non significa solo presentarsi il giorno delle elezioni e apporre una croce su un foglio,

ma essere coscienti delle scelte che si compiono. In altre parole il voto dev’essere dettato da cura e interesse reale per il bene comune. Un voto, come ci insegna la storia, può contribuire a cambiare sostanzialmente la situazione di un paese. Ogni giorno compiamo, con piccole azioni di routine, delle scelte che ponderiamo attentamente al fine di gestire al meglio la nostra vita personale e famigliare. Allo stesso modo non possiamo trascurare i nostri doveri di cittadini, perché, che ci piaccia o meno, la politica ci riguarda: ad essa infatti è demandato il compito di amministrare lo Stato, di cui facciamo parte, e dirigere la cosa pubblica, che appartiene anche a noi.


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Z COME ZUZZURELLONE

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di Sofia Milla - II L Liceo Scientifico

Siamo arrivati alla fine della nostra rubrica “alfabetica” e questo articolo, come ultimo della serie, sarà de-

dicato alla lettera Z. Compito parecchio arduo è stato trovare una parola che mi ispirasse: finalmente, giunta all’ultima pagina del dizionario, ecco quello che cercavo, un termine famoso ma ormai quasi in disuso: zuzzurellone! Il significato è noto: lo zuzzurellone è un adulto che si comporta in modo infantile, pensando solo ai giochi e agli spassi; un termine che non può che suscitare simpatia per il suo allegro carattere onomatopeico e la sua provenienza toscana, ma soprattutto perché a lungo ha goduto di un onore non da poco: essere l’ultima parola del vocabolario. Poiché però la

cattiva sorte non risparmia nessuno, anche zuzzurellone è caduto in disgrazia e, anno dopo anno, con l’innesto di parole nuove, forestierismi, tecnicismi, ha perso la sua palma, arrivando ad essere superato da ben 15 voci, l’ultima delle quali, zzz, senza dubbio conserverà per sempre il suo primato. Prendersi dello “zuzzurellone” dunque è generalmente un mezzo insulto, rappresenta chi è affetto da una sorta di peterpanismo, chi non accetta il passare degli anni e si rifugia in atteggiamenti infantili, con il conseguente abbandono delle responsabilità. Io invece voglio difendere la

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dignità di zuzzurellone e riscattare il lemma: forse far emergere il bambino che è in noi ci aiuterebbe a vivere meglio e a sorridere di più, di noi stessi e degli altri, a sdrammatizzare e a cogliere il lato umoristico della nostra esistenza. Prendere le cose seriamente è sicuramente una qualità, ma prenderle troppo seriamente crea solo inutili tensioni e stress. Anche gli zuzzurelloni devono però rispettare le leggi della convenienza, optando per una leggerezza che non sia superficialità ma, come diceva Italo Calvino, capacità di “planare sulle cose dall’alto”, di “non avere macigni sul cuore”.

RISPETTO Nel numero di settembre l’inserto scuola giovani, a firma della allieva Roberta Brugiafreddo della lasse III del Liceo scientifico, alla lettera R parla di rispetto. Ho voluto confrontarmi con Roberta e dimostrarle il mio apprezzamento. Cara Roberta, il primo tasto che tocco per un confronto sull’articolo che hai scritto su “insonnia” di settembre, riguarda il “tu” o il “lei” che devo usare per parlare con te. Hai notato, ho già scelto, anche se alcuni insegnanti ora usano il più formale “lei” con gli allievi, io conservo ancora vecchie abitudini, quando le persone anziane si rivolgevano ai potenziali nipoti con il più informale “tu”. Io dunque in quanto potenziale nonno uso questo tono confidenziale con te; non credo per questo di mancarti di rispetto. Ecco dunque il secondo tasto che faccio suonare per rapportarmi al tuo scritto. Credo che la sostanza del tema da te trattato equivalga al principio che tu hai enunciato. Tu hai, con proprietà di linguaggio

e con profondità di ragionamento, affrontato questo importantissimo tema e mi trovo completamente d’accordo con te nei tuoi ragionamenti; hai detto “è fondamentale abituare al rispetto generale la nostra e le future generazioni, per contrastare , menefreghismo, indifferenza, ignoranza, vergognosi per ogni società civile che si rispetti” e proprio per questo potremmo io e te marciare fianco a fianco in difesa di questi principi. Purtroppo da vecchio cultore del realismo scendo nella prassi quotidiana ed osservo molte persone, sia mature con gli anni sia ancore immature per la loro verde età, che dopo aver enunciato questi sanissimi princìpi si comportano come individui poco, o pochissimo rispettosi delle più semplici regole della quotidiana, civile convivenza. Spesso la pulizia dell’ambiente si

La Professoressa Luisa Perlo è ufficialmente andata in pensione. Auguri vivissimi. Con lei e le colleghe Claudia Bosso, Giulia Cerutti, Marta Gas, Antonella Giordano, e Fiorella Pignata avevamo messo in piedi questa collaborazione che abbiamo chiamato insonnia giovani e che ha avuto corso in tutto l’anno scolastico 2017/2018 con notevole successo. Abbiamo apprezzato i temi trattati, i testi scritti, la serietà e la puntualità dell’impegno e la collaborazione che alcuni redattori di insonnia hanno avuto con quella che ci è sembrata l’anima di questo “progetto” Luisa, ed ora? Certo gli insegnanti si sono dimostrati ancora interessati al proseguimento della esperienza ma una coordinatrice esterna che continuasse a guidare questa attività, svincolata dai molti impegni che la vita scolastica comporta, pensiamo potrebbe essere di grande aiuto. Naturalmente questa figura dovrebbe avere una ufficialità perché questo possa avvenire altrimenti sarebbe necessario rivedere il progetto in tutt’altra impostazione; esterna alla scuola. Luisa si è dimostrata molto contenta di continuare a svolgere questo ruolo. Per ora ringraziamo tutto lo “staff” insegnanti e allievi sperando che in questo anno scolastico tutto possa continuare e che insonnia giovani non termini con la parola zuzzurellone di inizio d’anno scolastico 2018/2019. La redazione

limita alla soglia della propria casa, la cicca che non butterebbero mai nel loro salotto aspettano di uscire per lasciarla in strada, molte volte il livello dei decibel delle chiacchere fra amici supera ampiamente quello dei già fastidiosi motorini smarmittati che percorrono le nostre vie, la non “indifferenza” alla sofferenza di bambini porta sovente a lasciare che questi bambini scorrazzino (per la loro felicità?) anche nei luoghi dove si infastidisce il benessere di altre persone che vorrebbero solo restare tranquillamente in relax. Non vado oltre per non passare come un vecchio insofferente delle “normali” attività del prossimo ma ognuno di voi può trovare molti esempi di “piccole” mancanze di rispetto di civile convivenza pur all’interno di convinte affermazioni di sacrosanti principi di RISPET-

TO altrui ovvero di uno dei valori cardini della tradizione: la pietas, come giustamente tu affermi. Insomma, per non farla lunga dico che la sostanza deve essere posta almeno sullo stesso livello del principio; anche nelle piccole cose occorre essere rispettosi e anche col nostro comportamento dobbiamo educare le future generazioni ai buoni rapporti e alle buone relazioni umane. Uso le tue parole proprio perché ho rispetto per te. Non rispetto invece alcuni nostri governanti che sento giornalmente usare termini che mi suonano completamente estranei (come pure vedo che lo sono ai tuoi ragionamenti) e proprio per questo mi vergognerei ad usare queste loro parole. Mi congratulo con te. Rodolfo

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Alla ricerca di nuovi orizzonti riabilitativi

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ALAMBICCO PORTE APERTE

Festeggiati i dieci anni dell’Alambicco e inaugurata la nuova Sala Snoezelen di Marisa Destito

Sabato 15 settembre alle ore 17 il Centro Diurno Alambicco ha dato vita all’evento “Alambicco Porte Aperte”. Tale evento è nato dall’esigenza di mettere insieme due eventi eccezionali, il primo festeggiare i 10 ANNI di apertura del Servizio e il secondo inaugurare la Sala Snoezelen. In questi anni il Centro Alambicco, nato per fornire aiuto e supporto a ragazzi con disabilità, ha cercato di migliorare gli interventi educativi e riabilitativi per ridurre e superare il disagio che spesso devono affrontare queste persone. Proprio in una ottica di crescita, in questi ultimi anni abbiamo cercato nuovi orizzonti riabilitativi e ci siamo avvicinati alla tecnica Snoezelen. In questi mesi, in vista dell’occasione, il Centro Alambicco si è trasformato e rivoluzionato nei colori interni, negli arredi e negli addobbi. Abbiamo cercato di rendere il Centro anche innovativo e accogliente all’esterno aggiungendo fioriere colorate fatte con gomme, costruendo un pergolato abbellito con rose rampicanti, curando il giardino e costruendo un angolo roccioso. Mettere a proprio agio gli amici Racconigesi e tutti i cittadini dei paesi limitrofi era uno dei nostri obiettivi. L’impegno per organizzare l’evento è stato sfiancante, ma gli operatori si sono prodigati a curare tutto nel minimo dettaglio. Sono molto soddisfatta per la collaborazione ricevuta e devo dire che abbiamo ottenuto un riscontro positivo sia durante l’evento sia nei giorni successivi ad esso. Questi

rimandi arrivati dai presenti, dai genitori, dalle persone che ancora non ci conoscevano, ci hanno ripagati di tutti i sacrifici spesi. L’entusiasmo che ci ha guidati in questo cambiamento è frutto di un percorso avvenuto in due anni di confronti, di formazioni, di ricerca di nuove idee. Gli operatori ci hanno creduto fortemente ricercando fondi per autofinanziare la Sala Multisensoriale. Grazie alla collaborazione di molti partner, abbiamo organizzato cene e pranzi solidali, tornei di pallavolo e tanto altro. Gli operatori sono i promotori di questo progetto e si sono formati affinché esso fosse realizzabile al 100%. Occorre sottolineare che la realizzazione di questa Sala privilegiata ha dei costi molto elevati (15.000 euro circa), perché necessita di un’apposita formazione con tecnica Snoezelen e dell’acquisto dell’attrezzatura e degli arredi necessari. Personalmente sono molto orgogliosa dell’equipe e della passione che mettono nel loro lavoro e spero vivamente che il nostro operato possa arrivare anche a coloro che ancora non ci conoscono. In quella giornata abbiamo visto la felicità negli occhi dei ragazzi e la soddisfazione in quelli dei rispettivi genitori. La giornata di sabato, dopo una breve introduzione ed un saluto delle autorità presenti, è entrata nel vivo con il taglio del nastro. I presenti hanno partecipato alla visita guidata della Sala Multisensoriale suddividendosi

in piccoli gruppi, vista la grande affluenza. Prima di entrare nella Sala Snoezelen tutti i partecipanti erano invitati a prestare particolare attenzione alle pareti del corridoio che conducono alla sala. Il corridoio infatti è stato appositamente pensato e creato in funzione della Sala Snoezelen. Una Educatrice del Centro ha creato disegni e li ha addobbati sempre con materiale di riciclo, addobbi che oltre a essere visibili possono e devono essere toccati. Questa creazione serve a stimolare due sensi (vista e tatto), ma soprattutto serve come oggetto anticipatore per i ragazzi che andranno a svolgere l’attività all’interno della stanza. Uscendo dalla stanza dall’uscita posteriore, i bambini erano invitati a seguire un percorso tattile e olfattivo, a piedi nudi, in alcune aree del cortile debitamente attrezzate. Termi-

nato il percorso ognuno era libero di muoversi all’interno e all’esterno del Centro, da qui il nome dell’evento “Alambicco Porte Aperte”. L’intera giornata è stata accompagnata da un ricco buffet preparato da alcuni volontari con al “comando” il grande Elio Paschetta oppure potevano gustare delle dolci prelibatezze preparate dai genitori. Motivo di orgoglio è stata anche la torta preparata ad hoc da Miriam, una ragazza dell’alternanza scuola lavoro, che durante l’estate ha frequentato il nostro Centro per 3 settimane. Oggi, a distanza di alcuni giorni dall’evento, raccogliamo con molta soddisfazione i frutti del nostro operato. Ringraziamo tutti i partecipanti, i partner, chi ci è stato vicino con il pensiero, i volontari, i genitori e soprattutto i nostri ragazzi.

COME STA IL "NEURO"?

Complesso immobiliare ex “Neuro”: stato dell’arte segue dalla prima

• che le opere di cosiddetto “consolidamento”, nulla hanno a che vedere con la conservazione dell’edifico e “mettono in sicurezza” così poco, che la viabilità di Racconigi è ancora oggi compromessa (da oltre due anni) con danno per i residenti ai limiti dell’area e non solo; • che la ASL è debitrice al Comune di Racconigi (secondo i nostri conteggi) di alcune centinaia di migliaia di euro per IMU non versata ed occupazione di suolo pubblico, per rischio provocato a causa della mancata manutenzione della proprietà; • che ancora esiste un interlocutore per un uso “sociale” dell’intero compendio immobiliare, il quale non è stato ancora contattato a distanza di un anno dal suo sopralluogo. Vi chiediamo, prima di essere costretti a fare appello ad istanze superiori, di mettere in pratica un serio processo di riqualificazione urbana, anche per poter risolvere nell’immediato, il problema delle connessioni viarie oggi man-

canti nel nostro Comune che risulta diviso in due dalla proprietà della ASL e, nello specifico: • richiesta immediata degli emolumenti dovuti dalla ASL all’erario pubblico che, vi rammentiamo, avrebbero dovuti essere già stati chiesti un anno fa. In realtà questo è stato fatto dal Comune alla fine del mese di giugno; • individuazione ed imposizione all’ASL di una data certa per la certificazione del “ripristino delle condizioni di sicurezza” del padiglione Chiarugi”, al fine di procedere. • alla conseguente riapertura della viabilità pubblica (Via Ormesano, Via Fiume e Via Lobetto), non essendo stato indicato nella specifica Ordinanza Sindacale n. 36/2016 dell’8 luglio 2016; • predisposizione di una planimetria, sulla base della nostra bozza allegata, nella quale vengano estrapolate le aree già utilizzate/adibite in un recente passato a Parco Pubblico. Rileviamo che, il vigente PRGC, approvato nell’apri-

le 2017, individua le aree dell’ex-ONP come “servizi pubblici di interesse comunale; • attuazione di un progetto di Parco Pubblico con il coinvolgimento della cittadinanza e del Tavolo di scopo; • immediata occupazione d’urgenza per l’apertura di due nuovi attraversamenti viari (vedi bozza allegata) per permettere la ricucitura delle due parti urbane oggi isolate a causa della chiusura della viabilità tangente l’immobile “Chiarugi”; • aprire una “trattativa” con la ASL per portare la Città di Racconigi ad avere la completa disponibilità del compendio immobiliare dell’ex-ONP; • riprendere i contatti con la ONLUS che si occupa del recupero sociale degli anziani o di altre società analoghe che potrebbero essere interessate a rilevare il compendio immobiliare in accordo con il Comune e con la Regione Piemonte. La ASL ci ha fatto perdere anni, prendendo in giro le passate Ammi-

nistrazioni, ed ha speso inutilmente, centinaia di migliaia di euro in studi superficiali ed opere provvisionali tutte conferite senza gare di evidenza pubblica. La ASL ancora oggi ci minaccia dicendo che non può spendere per l’ex-ONP, in quanto il suo compito “istituzionale” è quello della salute pubblica e pretende di mettere in vendita il compendio dell’ex-ONP per finanziare strutture sanitarie. A questo proposito vi ricordiamo che ancora una volta, quanto affermato dall’ASL, non corrisponde a verità, poiché per Legge, essa non può utilizzare i proventi dalla vendita di ex-strutture manicomiali, se non per reinvestirli nell’ambito del disagio sociale e mentale. Sperando di poter avere un immediato riscontro vi salutiamo cordialmente. Associazione per il recupero ex neuro. IL PRESIDENTE, Giuseppe GHIBERTI

Racconigi 28 agosto 2018


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E il re disse alla serva raccontami una storia … e la storia incominciò…. LEGGERE FAVOLE AI BAMBINI FA BENE !!!

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di Daniela Anna Dutto

La notizia arriva da un gruppo di studiosi dell’Ospedale pediatrico di Cincinnati (Ohio), guidato dal dottor John Hutton che ha dimostrato, in termini scientifici, che leggere le favole ai bambini fa bene al loro apprendimento. I medici americani hanno sottoposto un gruppo di bambini in fase prescolare, tra i 3 e i 5 anni, all’ascolto di letture adatte alla loro età. Secondo i risultati i bimbi, che sono stati abituati fin da piccolissimi alla lettura a voce alta delle favole, sviluppano maggiormente certe zone specifiche dell’emisfero sinistro, in particolare una regione che si occupa dell’associazione mentale tra suono e immagine. Racconti, storie, fiabe e anche poesie sono da considerarsi quindi una sorta di “medicina” naturale per i propri figli. Più i bambini sono esposti alla lettura, più alta è la capacità di associazione visiva, anche se il bambino ascolta solo la storia e non ha la possibilità di vedere le immagini. “Quando i bambini ascoltano le favole, sviluppano capacità per trasformare le parole in immagini”. Il dottor Hutton sostiene che la lettura di un libro può stimolare maggiormente la creatività in confronto a cartoni animati e altre tipologie di intrattenimenti televisivi o legati a uno schermo (tablet e smartphone). “Sappiamo che è importante che i bambini ascoltino le letture di fiabe e racconti e che

abbiano bisogno di sentirle dalle persone e non da dispositivi tecnologici come purtroppo accade sempre più spesso oggi” ha concluso. E allora leggete fiabe ai vostri bambini!!! Alla sera create un momento per voi e i vostri figli. Bimbi a letto, luci abbassate, leggete una favola, a vostro piacere, partendo da quelle classiche, scoprendo poi racconti e versioni più moderne. Cercate di coinvolgerli nella lettura, modulando la voce in base ai personaggi, facendo delle pause per creare suspense… Potete anche divertirvi a costruirle insieme. Date un incipit e stimolate il bambino a proseguire: “C’era una volta un lupo, stava passeggiando nel bosco e vide un enorme coniglio di peluche rosa, ma era un coniglio veramente grande, alto più di due metri” e poi chiedete ai piccoli di proseguire “Cosa possono fare insieme un lupo e un coniglio di peluche?”. “Andare al lago per fare un bagno? Ma un peluche può nuotare?”. “Oppure in pizzeria, ma il peluche è troppo grosso e non ci sono sedie adatte allora fanno un pic nic”. Le favole iniziano con… C’era una volta e il racconto si svolge al passato, ma per rendere la storia maggiormente comprensibile dai bambini, soprattutto se piccoli, utilizzate il presente. C’è una regina che vive

in un castello di vetro, ci sono un gruppo di lepri che ballano sui sassi. Cercate di stimolare la loro fantasia e se si creano dei blocchi e la storia non prosegue risolvete con un intervento fantastico. “Il re incontra una principessa bellissima e la invita a pranzo nel suo castello. Si siedono e… poi “ e il racconto si ferma nessuno sa come proseguire. Inserite un folletto, un principe con i capelli azzurri, un asino parlante … “Improvvisamente entra una strega e trasforma tutto il cibo in pietra” … Perché lo ha fatto? La strega è arrabbiata con il re. Un giorno era affamata e voleva mangiare un grappolo di uva che sporgeva dal giardino reale. Il re, che è molto geloso dei suoi frutti, la vide e chiese alle guardia di scacciarla. Così la strega si era vendicata. E adesso cosa succede? Il re e la principessa sono affamati, tutto il cibo è una pietra… come si può risolvere? Ordinano una pizza? Salgono su un cavallo alato e vanno a cena dal re che abita nel regno accanto? Non importa se la favola non ha un filo logico, se ci saranno draghi che mangiano caramelle, tazze volanti, re di color blu come puffi, l’importante è sviluppare la fantasia dei bambini e trascorrere del tempo con i vostri figli. E rimarrete stupiti dalle favole fantastiche che riuscirete a creare.

ANDAR PER MOSTRE di Rodolfo Allasia

Da sabato 6 ottobre al 4 novembre, a Cuneo in Palazzo Samone, resterà aperta la mostra RIGENERA curata da Carla Bianco sono esposte oltre quaranta opere di cinque artisti: Franco Sebastiano Alessandria, Valerio Righini, Valentino Tamburini, Anna Valla, Yomuto, opere che esplorano le straordinarie possibilità di fare arte con scarti, rifiuti e vecchi oggetti. Siamo abituati, soprattutto nel periodo delle feste di Natale, a vedere dei lavori realizzati dai ragazzi delle scuole elementari seguiti con notevole impegno dai loro insegnanti e utilizzati per decorare gli alberi natalizi con un minimo di spesa ed un massimo di impegno; senza nulla togliere allo sforzo creativo ed alla buona volontà di alunni e insegnanti non possiamo negare la ripetitività di queste semplici opere. Abbiamo visto a volte in qualche galleria d’arte altre opere di qualche fantasioso personaggio che usando anch’egli semplici materiali riciclati ha prodotto simpatici oggetti che vorrebbero arredare le case di possibili clienti. Anche qui, senza nulla togliere alla buona volontà di queste persone (come diceva un maestro d’arte di grande carattere, “piuttosto di fare del male… può continuare anche a divertirsi in questo modo”) sono però lontani dall’essere opere d’arte come invece valutano i loro autori con una punta di presunzione. Questo lungo inciso sfocia però in un tema troppo grande per essere trattato qui e soprattutto non voglio attirarmi gli scontenti di troppa gente. Che cosa è arte e cosa no? Ritornando a questa mostra si può invece osservare un notevole salto di qualità tra queste opere e le altre che ho portato come esempio; riflettendo sulla potenzialità della materia, dei materiali di recupero,

dando un senso, un valore a ciò che è tradizionalmente associato ad una perdita definitiva di valore ovvero il rifiuto, il rottame, lo scarto, si innesta un atto creativo che genera nuovo ed insito valore a questo altro elaborato, un’altra forma, un altro significato che genera stupore, riflessione, che vive di vita propria. È proprio perché ognuno di coloro che visiterà RIGENERA possa darsi una personale spiegazione del perché queste opere hanno molto da insegnare ed altre lascino relativamente indifferenti che ho voluto parlare di quegli altri pur generosi tentativi di affrontare questo tema e che vi invito a visitare la esposizione di Palazzo Samone. Decontestualizzare e riassemblare per generare nuova identità: il significato profondo di questa operazione è l’assenza di confini tra arte e vita, oggetti e materiali che attraverso lo sforzo creativo diventano irriconoscibili. L’oggetto diviene soggetto e attraverso il tempo porta con sé il ricordo del passato, del primario ciclo vitale ma assume una nuova esistenza mentre, contemporaneamente, lo si sottrae alla scomparsa definitiva. L’artista è colui che rende questi oggetti/soggetti indimenticabili nella loro nuova vita. Nel presentare questo appuntamento ho attinto ampiamente dal testo critico di presentazione della mostra scritto da Carla Bianco (docente di Storia dell’Arte del Liceo Artistico “Soleri Bertoni” di Saluzzo ma ho voluto aggiungere alcune riflessioni personali intorno a questo argomento molto più ampio; senza per questo sentirmi un esperto in Storia dell’arte non voglio sottrarmi al dibattito e metterci la mia faccia, come facciamo tutti i redattori in questo giornale.

Non siamo professionisti ma ognuno si è creato opinioni che vogliono essere messe a confronto; per questo io vi consiglio la visita a RIGENERA, sicuro che guardando la mostra avendo letto queste premesse, anche un po’ provocatorie, potrete trarne un piacere per gli occhi e lo spirito e crearvi una personale opinione intorno all’arte. Vale una gita a Cuneo. I giorni di apertura sono il venerdì, sabato e domenica dalle ore 16,30 alle 19,30, organizzata da Giacomo Doglio e Massimiliano Cavallo per iniziativa di Grand’Arte e l’Associazione Case del Cuore. Palazzo Samone via Amedeo Rossi 4 (vicino a Piazza Virginio).


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Raccontami... Per la giornata della memoria

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RICORDANDO SENZA DIMENTICARE di Vincenzo Stella

Il signor Vincenzo Stella della classe 1921 vive a Racconigi e nonostante i suoi 97 anni è una persona in ottime condizioni fisiche e psichiche e spessissimo di buon umore, così ci ha detto che nel 2006 l’allora sindaco Tosello gli chiese di raccontare, per la giornata della memoria, la sua esperienza vissuta all’interno della seconda guerra mondiale. Vincenzo scrisse la cronaca che possiamo leggere in queste pagine, cronaca che venne poi pubblicata sul Corriere di Savigliano. Abbiamo chiesto a lui di poterla ripubblicare su insonnia pensando noi, di far cosa gradita ai nostri lettori; abbiamo avuto la sua cortese approvazione alla quale ha aggiunto il suo commento: ”su questi momenti ci sarebbe da scrivere un libro…” Parla un testimone, ex aviatore dell'aeronautica militare italiana in forza nel 1943 alla 147ª squadriglia all'idroscalo di Lero, reduce da una tragedia dimenticata, avvenuta dopo l'otto settembre di quello stesso anno: ottomila soldati italiani tra marinari, aviatori, fanti e artiglieri della Divisione Regina, abbandonati a se stessi in un'isola dell'Egeo, si immolarono, quasi tutti combattendo per la libertà e l'onore d’Italia. Tutto iniziò il 12 settembre del ‘43 quando i tedeschi e i fascisti vistisi rifiutare l'ingresso nell'isola, mentre avevano già occupato tutte le altre isole dell'Egeo, si accanirono barbaramente contro di noi, prima con massicci bombardamenti aerei e marittimi, diurni e notturni, poi con l'invasione vera e propria avvenuta con lanci di paracadutisti e sbarchi dal mare. Quei giorni per noi furono i più terribili, perché abbandonati da tutti, male equipaggiati e male armati, senza copertura aerea e marittima, si combatté una guerra da impari, postazione per postazione, strada per strada e casa per casa. I nazifascisti dai loro comunicati radio dichiaravano che i banditi di Lero (così ci chiamavano) alla resa dell'isola sarebbero stati passati tutti per le armi. Questa era la situazione che si viveva a Lero negli ultimi giorni della battaglia, dal 12 al 17 novembre 1943 ci furono molti morti e moltissimi atti di eroismo, fra i quali voglio ricordarne uno molto significativo e commovente, quello di un marinaio elettricista piemontese Pietro Cavezzale. Era il mattino del 16 e i tedeschi stavano avanzando verso la postazione italiana dove era il Cavezzale con altri due marinai e un capitano loro comandante, erano a corto di munizioni e avevano solamente poche bombe a mano. Durante la sparatoria il capitano venne ferito gravemente da un ufficiale tedesco che lo aveva colpito con una raffica di mitra e avanzava verso di lui per finirlo con un colpo alla testa. A quel punto intervenne il Cavezzale a soccorso del suo comandante e non avendo più munizioni si avventò con impeto ed estrema generosità con la baionetta in canna verso l'ufficiale tedesco colpendolo a morte alla testa ma proprio in quell'istante partì una raffica dal mitra del tedesco che trafisse a morte il petto del Cavezzale ed

entrambi rimasero abbracciati nella morte. L'esempio di questo eroe che combatteva per la libertà dovrebbe restare indelebile nella memoria di tutti gli italiani. Nel pomeriggio del 16 novembre, dopo giorni e giorni di aspri combattimenti i tedeschi e con loro molti volontari fascisti raggiunsero il comando generale italiano dove fu firmato l'armistizio dall'ammiraglio Mascherpa (poi fucilato a Verona dai fascisti). In quel momento per migliaia di soldati italiani finiva la tragedia della guerra ma iniziava quella peggiore della deportazione. Il 17 novembre, contrariamente a quanto minacciato dai tedeschi qualche giorno prima, non ci fu rappresaglia sui soldati italiani, il giorno successivo però vennero uccisi sette/otto nostri comandanti, rei di non aver aderito all'armistizio, dando l'ordine di sparare sul nemico fino ad esaurimento delle munizioni anche dopo la firma di resa. A tutti i prigionieri fu negato cibo e acqua per cinque giorni ad eccezione di coloro che si fossero arruolati volontari nell’esercito della Repubblica di Salò; le adesioni furono quasi nulle e in questo frangente si verificò un altro atto di grande eroismo. Un cappellano militare della nostra Marina padre Igino Lega (successivamente insignito di medaglia d'oro al valor militare) si prodigò amorevolmente e con grandi sacrifici prima nelle cure dei feriti, salvandone molti da sicura morte, poi, in quei primi cinque giorni della nostra prigionia, facendoci pervenire, attraverso i reticolati dove eravamo rinchiusi e con estremo pericolo per la sua incolumità, acqua e pezzi di pane che trovava in giro per l’isola, salvando molte persone dalla fame e dalla sete. Alla fine di novembre iniziarono le partenze per il Pireo (Grecia) su ex piroscafi e mercantili italiani, pressati sulle stive come sardine e in condizioni disumane, ciò nonostante furono molto fortunati coloro che riuscirono a raggiungere la destinazione, infatti due piroscafi con 2000 prigionieri a bordo furono affondati da siluri inglesi durante il viaggio e non ci furono superstiti. La maggior parte dei prigionieri di Lero furono portati in campi di concentramento e in campi di lavoro forzato nella ex Jugoslavia occupata dai tedeschi. In quei campi si viveva da schiavi guardati a vista da soldati tedeschi delle S.S., alcuni perirono per i maltrattamenti subiti, alcuni per fame e molti altri sotto i bombardamenti alleati ma la nostra odissea non era ancora finita, infatti nell'ottobre del ‘44 con l'avanzamento del fronte russo nei Balcani i tedeschi circondati vennero fatti prigionieri e noi italiani venimmo liberati. Quell'evento però non rappresentò per noi la liberazione ma l'inizio di una nuova prigionia. I russi ci dissero che ci avrebbero condotti nella città di Odessa da dove ci saremmo imbarcati per l'Italia che nel frattempo era stata liberata dagli eserciti alleati, queste notizie purtroppo si rivelarono del tutto false e per noi soldati italiani alla deriva ricominciava una nuova e ancora più tragica odissea: la prigionia russa, che da quell'ottobre del ‘44 si protrasse fino al 25 settembre 1945, giorno del rimpatrio. Durante questa reclusione non furono i maltrattamenti e le azioni di guerra a decimare i rimanenti

prigionieri di Lero ma le malattie infettive come dissenterie a sangue e tifo petecchiale. Furono in molti ad essere contagiati durante il viaggio, percorso a piedi fino in Bulgaria e su barconi lungo il Danubio fino in Bessarabia. In quel campo d'internamento ci fu un ecatombe, vidi cadaveri dappertutto e lì persi anche un mio compaesano e carissimo amico. Durante la prima decade di dicembre del ‘44 ci trasferirono in Russia con un treno composto di carri bestiame per raggiungere, così ci dissero, degli ospedali. Viaggiammo per molti giorni e ad ogni fermata del treno dei militari scaricavano i cadaveri ammucchiandoli sulla neve ai lati del binario. Ricordo che il giorno di Natale il treno era fermo alla stazione di Odessa, questa notizia infatti ce la diede un ferroviere russo passando vicino al nostro carro; si proseguì per altri giorni fino a raggiungere la destinazione finale che avrebbe dovuto essere un ospedale. In realtà si trattava di due grossi fabbricati agricoli a piano terreno immersi in una immensa campagna dove si vedeva solo cielo e neve. I fabbricati erano circondati da reticolati con garitte dove erano di guardia soldati russi, non c'era luce elettrica (solo lumicini a petrolio) né acqua né servizi igienici, l’unica fonte di riscaldamento era costituita da una grossa stufa a legna che funzionava giorno e notte. L’acqua e il cibo ci venivano portati con dei secchi e altri secchi ubicati nei corridoi servivano per soddisfare i bisogni corporali di coloro che, gravemente malati, non potevano andare fuori in un capanno all’agghiaccio. In quei due fabbricati erano alloggiati 300 prigionieri, dei quali 200 italiani e 100 di altre nazionalità, nei primi due giorni si dormì sul pavimento di legno con delle coperte, poi ci misero dei lettini. Molti di noi, colpiti dalle epidemie, non erano più in grado di stare in piedi e si cominciarono a vedere i primi morti. Una dottoressa russa e un infermiere ci facevano visita tutte le mattine, limitandosi ad osservarci un po' da lontano e poi se ne andavano accompagnati dagli interpreti, un istriano che conosceva la lingua slava. Ricordo benissimo quel triste inverno, a me, come a pochi altri fortunati che non erano stati colpiti dall'epidemia, venne riservato un trattamento privilegiato, infatti ci utilizzarono come “lavoratori interni” per sostituire le infermiere russe che non volevano avere contatti con gli ammalati per paura del contagio. Le infermiere infatti si limitarono da allora a svolgere i servizi necessari alla cura dei degenti mentre noi fummo incaricati di svolgere quei servizi che richiedevano il contatto diretto con gli ammalati, come per esempio portare sulle spalle coloro che non erano in grado di camminare per


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condurli ai servizi igienici ubicati sui corridoi. Un giorno un mio connazionale morì sulle mie spalle mentre lo stavo riportando al suo lettino, era di Bergamo ma non ricordo più il suo nome; quella tragica esperienza è sempre viva nella mia mente anche a distanza di 60 anni. Al verificarsi di un decesso dovevamo avvertire l'infermiera di servizio, anche di notte, affinché potesse appuntare su un libretto le generalità del defunto (nome, cognome, nazionalità e domicilio), ripensandoci mi chiedo a cosa sia servita quella puntigliosa registrazione dal momento che nessuna notizia fu mai trasmessa alle persone interessate. Trascorse due ore dal decesso noi dovevamo spogliarli dagli unici indumenti che avevano (camice e mutande) e portarli “al mucchio” in una stanzetta attigua al caseggiato molto fredda. Lì rimanevano per alcuni giorni congelati fin quando dei soldati russi li caricavano su alcune carrette trainate da cavalli per seppellirli in fosse comuni. In pochi mesi, da gennaio ad aprile, ci fu una vera strage, infatti morirono per malattie infettive più di 200 prigionieri e naturalmente la maggioranza erano italiani provenienti da Lero. In quel campo, che i russi chiamano ospedale, eravamo arrivati in 300 e alla fine di maggio, quando noi superstiti ci ma-ndarono in campi di lavoro nella città di Zaboroyie, eravamo rimasti in 70. Comunque quell'epidemia non risparmiò neppure noi che avevamo lavorato a contatto con gli ammalati, infatti dopo una ventina di giorni dall'arrivo in quella città fummo tutti contagiati dal tifo pedocchiale. Tutti a letto con febbre tra i 40 e i 42 gradi anche per noi sembrava giunta l'ora di essere ammucchiati e sepolti in fosse comuni in quelle campagne russe. Ma sopraggiunse il miracolo, infatti per noi lavo-

Cin

Cinema SULLA MIA PELLE di Cecilia Siccardi

Roma, 15 ottobre 2009. Stefano Cucchi, geometra trentunenne, incontra la sorella davanti al condominio dei genitori e scherza insieme

Lib

Libri di Guido Piovano

Due donne, una madre e una figlia, in fuga da un passato da dimenticare. Un uomo, marito e padre, che ha perso se stesso nel Vietnam e cerca di ricominciare a vivere “una vita più semplice”.

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ratori indispensabili al posto di infermieri russi fu riservato un trattamento speciale: due infermiere russe ci salvarono da sicura morte prodigandosi per giorni e notti utilizzando terapie endovenose fino alla completa guarigione. Perché a tutti gli altri non furono mai praticate quelle cure? Tante volte me lo sono domandato senza trovare risposta, forse allora, in quei posti dove la guerra aveva devastato tutto, non avevano più medicinali; comunque, ripensando dopo 60 anni a quei tragici eventi, mi chiedo perché tanti giovani siano morti, sepolti in fosse comuni, in terre lontane, senza un nome, dimenticati da tutti e fra loro avrei potuto benissimo esserci anch’io. Nella città di Zaboroyie, quasi tutta devastata dalla guerra, i russi avevano improvvisato delle fabbriche per la costruzione di macchine agricole e noi, prigionieri italiani e di altre nazionalità, dovevamo riparare ed installare macchine utensili che i russi avevano portato dalla Germania. Anche se la guerra era finita, per noi non si intravedeva un rimpatrio a breve scadenza, anzi, secondo alcuni articoli letti sui giornali locali, i prigionieri di guerra avrebbero dovuto restare in Russia fino alla completa ricostruzione delle loro città. Dopo molte delusioni subite a causa del comportamento dei soldati russi, in quella fabbrica trovammo un po' di calore umano, soprattutto dalle donne che lavoravano insieme a noi. Si dimostrarono delle mamme affettuose, specialmente verso noi italiani, aiutandoci in vari modi, prendendoci i vestiti bagnati dalla pioggia all’arrivo in fabbrica per farli asciugare vicino ai forni o portandoci quasi tutti i giorni frutti dalla campagna, come pomodori, cipolle, semi di girasole ed anche qualche uovo, sempre di nascosto dalle guardie che ci accompagnavano. In quel campo di Zaboroyie arrivava settimanal-

mente un giornalino scritto in italiano, intitolato “L’alba”, che arrivava da Mosca, redatto da alcuni attivisti comunisti italiani. Quel giornalino ci portò notizie anche dall'Italia, sapemmo che la guerra era finita, che avevano giustiziato Mussolini e che in Italia avevano formato un governo con Ferruccio Parri. Ad agosto ci raggiunse la notizia che gli americani avevano lanciato sul Giappone due bombe atomiche ma la notizia più bella per noi arrivò in settembre, quando leggemmo che Stalin concedeva la liberazione e il rimpatrio ai prigionieri italiani. A causa delle delusioni avute in passato dai Comandi russi ed in assenza di comunicazioni ufficiali, inizialmente non demmo molto credito alla notizia della liberazione. La mattina del 24 inaspettatamente non ci mandarono al lavoro, infatti era arrivata la commissione che sanciva il nostro rimpatrio. Il 25 settembre partimmo dalla città di Zaboroyie e dopo aver attraversato a tappe mezza Europa raggiungemmo finalmente la nostra patria giungendo al Comando tappa della Caritas di Bologna il 13 novembre del 1945. Ho voluto scrivere questo brevissimo memoriale dei fatti più significativi avvenuti 60 anni fa per ricordare quei giovani di Lero e tanti altri che molti italiani hanno sempre dimenticato, come non fossero mai esistiti. A volte mi domando perché sono morti! Il mio reverente pensiero va a loro e a tutti quei genitori che ormai li hanno raggiunti, senza mai aver avuto notizie dei loro figli. Oggi, alla mia età mi auguro soltanto che quei tristi eventi che hanno attraversato la nostra gioventù non si ripetano mai più e siano di monito alle generazioni presenti e future affinché le guerre siano bandite per sempre dal pianeta terra.

a lei. Sale le scale e cena insieme a madre e padre. Quando gli propongono di restare a dormire da loro, lui declina: andrà a fare un giro con un amico e poi tornerà a casa sua. Salutati i genitori, sale in macchina e incontra il suo amico. I due fumano una sigaretta. Accanto a loro si ferma una macchina dei carabinieri. Il resto della storia, a grandi linee, la sappiamo tutti. O almeno, ne conosciamo il finale. Sulla mia pelle, diretto da Alessio Cremonini, ci racconta tutto ciò che è documentato sull’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi: trovato in possesso di hashish e cocaina, il giovane viene portato in caserma e messo in custodia cautelare. Il giorno dopo, al processo per direttissima, presenta

evidenti ecchimosi sul volto e grandi difficoltà motorie, ma, a parte il padre, nessuno sembra farci caso. Il film ci trasmette tutta la rabbia nei confronti di una morte assurda, nell’indifferenza generale, con l’umanità in alcuni casi soffocata dalla burocrazia. I familiari di Stefano tentano più volte di fargli visita, ma c’è sempre qualche barriera o qualche regola che lo impedisce, e alla fine vengono a sapere della sua morte da una notifica di autorizzazione all’autopsia. Grazie anche alle prove attoriali (primo fra tutti Borghi nei panni del protagonista, e Jasmine Trinca assolutamente credibile come Ilaria Cucchi), Sulla mia pelle è un film emozionante, che scuote le coscienze. Da vedere assolutamen-

E poi, la terra d’Alaska, la “Bella Addormentata”, ma anche la “carogna” dove “l’uomo non è in cima alla catena alimentare”, metafora del sogno di uscire dalla propria vita verso l’Eden desiderato. Ma la nuova realtà è più difficile del previsto e poco a poco rivela i gesti di solidarietà ma anche le grettezze che sono tipici di una piccola comunità isolata. Lì, Cora e Leni sentono di dover proteggere l’uomo della loro vita. Lì, conosceremo i segreti di Leni e la sua sofferenza, incontreremo i gesti di Cora a difesa del suo amore. Lì, la famiglia per ritrovarsi rischierà di perdersi, costretta a cercare un nuovo equilibrio, reso forse impossibile da un ambiente

estremamente ostile. Il racconto scorre fluido e cattura da subito il lettore, affascinato dalle ambientazioni e preso dalle personalità fragili e forti allo stesso tempo dei personaggi, costretti a muoversi in una realtà che via via ha sempre più i contorni di una prigionia. Il grande inverno è un libro da leggere tutto d’un fiato fino all’ultima riga.

Kristin Hannah

“Il grande inverno” 2018, pp. 452, € 20.00 Editore: Mondadori

te: lo trovate su Netflix e all’Ambrosio a Torino.


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Mus

Musica LARS DANIELSSON & PAOLO FRESU

Summerwind di Giuseppe Cavaglieri

Alcune persone hanno la capacità innata di illustrare concetti anche complicati utilizzando poche parole in modo chiaro e puntuale. Lo stesso vale per la musica. Lars Danielsson e Paolo Fresu sono due musicisti che scelgono le note che suonano con estrema cura. "Summerwind", il loro primo progetto in duo, unisce il magnifico suono del contrabbassista e violoncellista svedese e il suo gusto per melodie

semplici e ammalianti con i toni luminosi e ariosi di uno dei trombettisti più lirici d'Europa. Insieme Danielsson e Fresu non solo creano atmosfera e colore; questo disco è anche ricco di sentimento e significato. Il contesto del duo offre ampio spazio ai musicisti di sviluppare le proprie idee musicali: il loro obbiettivo non è suonare tanto, ma concentrare l'attenzione su ciò che suonano. Poche note ben suonate sono molto più efficaci di tanti virtuosismi, ed è così che la poesia si propaga da entrambi gli strumentisti creando uno stato d'animo quasi meditativo. "Si tratta di fare la cosa giusta al momento giusto", afferma Lars Danielsson. "Questa è la sfida di suonare in un duo. Non puoi nasconderti dietro altri strumenti in questa configurazione". Danielsson arriva da diverse importanti esperienze in duo, da quella con il pianista polacco Leszek Możdżer (nell'album "Pasodoble") a quella con la cantante Caecilie Norby (nell’album "Just The Two Of Us"). D’altro canto Paolo Fresu è un maestro nell’arte di pesare ogni nota. La sua partecipazione ai due capitoli di

“Mare Nostrum”, con il fisarmonicista francese Richard Galliano ed il pianista svedese Jan Lundgren, ne è la prova. "Adoro lo stile musicale di Paolo, è spirituale e il suo suono è unico. Mi fa improvvisare in un modo nuovo ", dice Danielsson del suo partner, con il quale ha lavorato in studio per la prima volta in “Summerwind". Il produttore Siggi Loch ha un talento nell’individuare le affinità musicali e questa collaborazione lo dimostra ancora una volta: il duo ha costruito una relazione quasi telepatica durante la registrazione. Quel sentimento è palpabile, ad esempio, nel brano "Dardusó", che è stato quasi improvvisato in studio, e in cui tutta la musica di Danielsson e Fresu è affidata al

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loro feeling. Oltre a brani composti appositamente per questo progetto da entrambi i musicisti, "Summerwind" presenta interpretazioni di composizioni ben selezionate e note, da una cantata di Bach a una canzone popolare svedese fino ad un brano tratto dalla Colonna Sonora di Krzysztof Komeda per il film capolavoro “Rosemary’s Baby”. In "Summerwind", incantevoli melodie fluiscono con grazia ed eleganza istintive e naturali. Si sviluppano in lunghi archi che portano un senso di profondità e contemplazione. In un mondo in costante pericolo di surriscaldamento, la musica di Danielsson e Fresu è una brezza fresca e rilassante.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Calda è stata l'estate di Genova, vittima del degrado delle infrastrutture che negli anni sessanta sono state parte di un boom del quale rischiamo oggi di pagare il prezzo e calda è stata l'estate, per venire a noi, nei rapporti tra Sovrintendenza Regionale, Assessorato Regionale, Amministratori del nostro Castello e Comune di Racconigi. Abbiamo registrato, non solo attriti, ma spintoni, spallate per non dire calci in c… Anche in questo caso non è dato intravedere un finale che sia dignitoso. Forse, alla fine, a pagare il conto per intero sarà un direttore come Vitale, che ha sempre espresso grande interesse e impegno nei confronti del nostro Castello. E calda, per restare a Racconigi, è stata l’estate del Neuro, ormai ridotto a relitto. E questa non è più una novità. A parole ci si sono impegnati tutti: la Regione, il Comune, l’Asl e, in ultimo, l'Associazione Neuro, ma una soluzione o anche solo un'ipotesi di soluzione, magari ristretta al problema della viabilità e comunque oggettivamente difficile, non è ancora dato vedere. Calda, e come al solito tragica, è stata anche l'estate dei migranti alle prese con speranze e sogni che si scontrano con un'Europa

che non riesce ancora a capire dove vuole andare: se incontro alle tradizioni di storia e cultura che l'hanno vista fiorire nel suo umanesimo solidale oppure se nella direzione di un “sovranismo” che è in realtà la fine del sogno europeo e che prelude ad un “ciascuno per sé”, incapace di opporsi alla deriva “populista” che vediamo affermarsi in USA, Cina e Russia. Di fronte a tutto ciò, un po’ di calore, quel tepore che scalda appena i cuori, consentitemi di dirlo, è venuto a noi redattori di Insonnia, grazie all'arrivo di una giovane e nuova collaboratrice, Michela, che dal prossimo numero scriverà per noi la rubrica Libri e da Fabrizio che ci ha scritto “… per puro caso ho trovato e letto il vostro mensile. Mi voglio complimentare perché trovo molto bella la struttura grafica, interessanti i contenuti e anche il nome … Insonnia. Complimenti!”. Perdonatemi: sappiamo che il nostro giornale è letto, ma ci piacerebbe un rapporto più stretto, magari critico, con voi lettori, ci piacerebbe attuare con voi quel confronto che citiamo nella testata. Allora, scriveteci, scriveteci e scriveteci ancora. Buon autunno, caldo, a tutti. a cura di Guido Piovano

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entro dicembre 2018 Tel 371 1529504


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