INSONNIA Novembre 2019

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4 novembre: 101 anni dalla Grande Guerra

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 117 Novembre 2019 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

UN CENTRO STORICO DESOLANTE. PERCHÉ? Uno dei difetti del senso della vista, ovvero il sistema occhio cervello, è quello di non essere oggettivo: si vede ciò che si vuole vedere. Un amico mi ha detto che il centro di Racconigi è vuoto, abbandonato. Sì, lo so, ma ho voluto fare un giro osservando quanto le case del centro fossero realmente disabitate ed allora HO VISTO. Il centro, da sempre, per noi è “Piazza degli uomini”; mi sono seduto e ho guardato, poi ho fatto due passi intorno; che pena! Un vecchio bar, diventato poi una banca, oggi è chiuso ma anche l’appartamento che ci sta sopra ha le persiane perennemente chiuse. Vuoto? Un altro bar, bellissimo per l’arredamento e la facciata; è chiuso anche quello, peccato, ma alzando gli occhi anche un appartamento sopra al negozio “il bimbo” è vuoto con vetri rotti. Poi, sotto i portici, ci sono due locali adibiti a vetrine di loro stessi. Infine (o in fine?) perdonatemi la stupida ironia, un locale che non mi ispira ottimismo… ma ci vuole: riguarda la morte. Ancora sotto altri portici c’è un tentativo di ristrutturazione ma con i lavori bloccati! Uno spettacolo deprimente per la più bella piazza di Racconigi, non percorribile da auto. Nella vicina piazza Roma la situazione non cambia molto. E c’è un edificio tutto disabitato, con un possibile esercizio commerciale (chiuso) che ha addirittura un progetto per la sua ristrutturazione, da anni esposto ma mai diventato realtà.

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Omaggio a Luigi Brignone (1941 – 1985)

Voto ai sedicenni

Luigi è un racconigese per quasi vent’anni insegnante di Lettere all’Istituto Tecnico “Roccati” di Carmagnola

Parlano gli allievi dell'Arimondi Eula di Racconigi

“Ho scalato la vetta da cui più non sarò costretto a scendere” a cura di Guido Piovano

Sento la necessità e, perché no, la gioia di ricordare l’amico Luigi che ci ha lasciati troppo presto,

oramai trentaquattro anni fa. Lo voglio fare pubblicando alcune delle poesie che lui stesso mi ha

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Vivere è cercare un equilibrio instabile

“…tutto muta, tutto è in continua evoluzione” di Alessia Cerchia

Riflettendo sul tema a cui dedicare questo mio ultimo articolo non ho potuto fare a meno di pensare alle parole di un passo di Qoelet, studiato molti anni fa: “Per ogni cosa c'è il suo momento,

il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.

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SI, NO, NON SO, la loro riflessione

Il diritto di voto è una norma giuridica che assicura a un individuo la possibilità di manifestare la proprio volontà durante un’elezione. Questo diritto è stato troppo spesso negato a tanti cittadini, come, per molti anni, alle donne e ai neri; inoltre è stato in passato limitato per censo o per cultura e, fino alla Seconda Guerra Mondiale, concesso quasi in tutto il mondo solamente ai maggiori di ventun anni. Oggi, in Italia, il diritto di voto è esteso a tutti i cittadini che hanno compiuto i diciotto anni; recentemente, però, è stata avanzata la proposta di far votare i sedicenni. L’idea è stata suggerita da Enrico Letta, l’ex presidente del Consiglio, che ha dichiarato in un’intervista che questo procedimento sarebbe “ un modo per dire ai giovani che si sono riuniti nelle piazze per protestare per il clima: vi prendiamo sul serio”. Io sono favorevole a questa proposta che rappresenta una prosecuzione delle grandi battaglie politiche

segue pag. 8-9

SCUOLA D'IMPRESA pag. 5

News dalla BOLIVIA

Museo della Seta

CANTOREGI pag. 12

pag. 11

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IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE

INSONNIA PER CANTOREGI In questo numero il “racconto fotografico“ riguarda il Progetto Cantoregi. Perché? Perché cerchiamo di sottolineare l’importanza che questa “squadra“ ha per Racconigi e che avrà se tutti noi ci porremo il compito di aiutarla. Per fare ciò INSONNIA vi propone una serie di foto (quelle racchiuse nella propria cornice) di alcuni degli spettacoli che sono stati realizzati qui da noi. La prima qui sotto è di Vincenzo che è stato una delle principali anime del Progetto. Buon proseguimento nella nuova casa. Le foto del racconto fotografico sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera.

Locandina realizzata nel 2015 in occasione dell'omaggio a Vincenzo Gamna

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L’intervistatore di anime di Luciano Fico

Gustavo lo sa. Non va bene quello che fa nell’obitorio quando è di turno la notte. È stato ripreso la settimana scorsa dal dott. Girolami e non è la prima volta, che succede… Gustavo lo sa, ma non riesce proprio a non dare ascolto alle voci dei morti che sente sussurrare negli angoli più bui della stanza, appena illuminata dalla lampada da tavolo. Anche stasera, pur cercando di concentrarsi sulla lettura del giornale, comincia a sentire quei bisbigli, che lentamente si fanno parole. Disperatamente cerca di tenere la mente fissa sulle notizie della politica, poi della cronaca locale, cerca le informazioni più bizzarre ed infine si rifugia nelle pagine dello sport, ma niente… le voci dei morti sanno dirgli cose molto più interessanti e già sta chiudendo il giornale spiegazzato; ora spegne la luce del tutto e ascolta… Il primo che sente distintamente è quel ragazzino che hanno portato ieri pomeriggio, appena ricomposto dopo l’interminabile volo dal decimo piano. “Cosa hai fatto ragazzino? Chi te lo ha fatto fare?” “Sapessi che paura nel volare quei dieci piani! Per la prima volta mi sono accorto che era tutto vero: che io ero vero. È stato un attimo prima della botta, poi ho ancora visto l’asfalto ed il sangue della mia testa che si allargava: ho capito che era finita ed ho tirato il fiato. Era l’ultimo che avevo…” “Oggi sono venuti i tuoi…” “Sì, mi ha fatto piacere. Non avevo più alcuna rabbia dentro, gli ho voluto bene per la prima volta: erano così fragili… mi veniva da piangere con loro…” “Tu almeno lo hai scelto!” dice all’improvviso un’altra voce “Io,

invece, mi sono addormentato fiducioso dei miei trent’anni, pensando a cosa avrei dovuto fare il giorno dopo, ma il mio cuore è scoppiato nel sonno e non c’è più stato un domani in cui svegliarmi… Cazzo!!!” “Dimmi, quando ti sei accorto che… sì insomma… che era tutto finito?” “Quanto sei curioso e petulante!” “Sono molto curioso, ma se non ti va…” “E invece mi va. Mi è rimasta in gola la voglia di dire ancora di me. Morire non piace a nessuno, ma morire così ti toglie anche l’illusione di un senso o la consolazione di un saluto. Mi sento come uno che è da poco entrato in un cinema, pagando il suo biglietto, sta cominciando ad appassionarsi al film e, all’improvviso, si strappa la pellicola e… buio” Cala un lungo silenzio nella stanza. “Sono proprio incazzato!!!” La curiosità di Gustavo si spegne di fronte a tanta rabbia: sa che spesso l’altro non risponde a ciò che chiediamo, è così nella vita, è così anche nella morte… Come le altre volte, il nostro insolito custode prende due fogli bianchi dalla stampante e comincia a scrivere quelle parole appena sentite. È proprio questo il gesto che gli viene rimproverato dal dott. Girolami: “I morti sono morti, non devi permettere loro di gettare scompiglio fra i vivi: noi siamo qui per vigilare che le porte rimangano ben chiuse. Mi hai capito!!!” Ma Gustavo non sa fermarsi e ancora una volta affigge quei fogli scritti sugli sportelli delle celle frigo dei due cadaveri; sul primo si nota un grande cuore, sul secondo un pugno chiuso e nero. Ora, la notte che ancora resta sarà silenziosa e quieta. Quel che si doveva dire è stato detto…


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Omaggio a Luigi Brignone (1941 – 1985)

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“Ho scalato la vetta da cui più non sarò costretto aLuigiscendere” è un racconigese per quasi vent’anni insegnante di Lettere all’Istituto Tecnico “Roccati” di Carmagnola segue dalla prima

consegnato negli ultimi giorni di vita insieme alle pagine del testamento spirituale che conservo come dono assai prezioso. La piccola raccolta è introdotta da una citazione tratta da “La Peste” di A. Camus e si conclude con un’ode che Luigi ha dedicato ai suoi cari. Il testamento, di cui propongo alcuni frammenti, ci parla di una persona che ama le cose semplici, una persona dai profondi valori, capace di vivere una fede essenziale. Credo, con questo, di incontrare i sentimenti di coloro che ricordano Luigi come la bella persona che è stato: qui potranno conoscere nuovi aspetti della sua personalità.

1976-1984 Anni crepuscolari

“…che un mondo senz’amore era come un mondo morto e che viene sempre un’ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro e del coraggio per domandare il viso di una creatura e il cuore meravigliato dall’affetto.” ( A. Camus, LA PESTE)

FRAMMENTO 1976

E torna a rivedere la luce, a sorridere all’alba e al cielo, un richiamo soffocato, schermito, quasi estinto e prigioniero; torna a vivere, ad urgere, a farmi sentire nuovamente primavera. (4 dicembre 1976, Luigi Brignone)

RIMPIANTI

Tante primavere si sono infracidite sotto lo stillicidio freddo della “maturità”. Ho toccato il fondo; ho compreso il leopardiano binomio mondo-fango… Vorrei ancora trovare la ninfa che scaturisce da torrenti montani avidi di suoni eternamente cangianti; ancora un bacio di salsedine vorrei rubare alla sirena sorridente fra le alghe del fondo roccioso della Liguria, che ora più non riconosco. Vorrei… ma tutto ha il colore del rifiuto! (14 marzo 1978, Luigi Brignone) -------------------Da tanto tempo non credo più nei miracoli! Eppure rivivo ora una giovinezza da sempre ignorata e m’abbandono ad un sogno e timidamente l’adoro per paura di svegliarmi e vederlo svanire. (15 maggio 1978, Luigi Brignone)

GELO

Barriere e dighe invisibili non permettono che l'acqua giunga ai campi: ritorna in neri vortici, ubriacati di noia e disperazione, sui sassi infecondi, che risplendono soltanto quando

E quando penserete a Dio, tutti saremo felici. Allora non piangete non piangete, miei cari! (Racconigi, 21-8-72, Luigi Brignone)

Dal Testamento spirituale di Luigi

il gelo si diverte a cesellare diamanti che solo la luna fa risplendere, per nessuno… (1° marzo 1979, Luigi Brignone)

ATTIMI

Il tuo gesto è fermo per sempre in quella luminosa mattina di marzo. Ringrazio i tuoi capelli che un cenno del capo ha reso ribelli; e ringrazio il lieve dolcissimo gesto della tua mano intesa a riordinarli come la carezza di una ninfa contro l’oscuro tronco d'un leccio sognante incanti primaverili. Forse non saprai mai il potere di quelle dita leggere e dei tuoi occhi magnetici. E nuova linfa ripercorrerà il vecchio tronco. (3 marzo 1979, Luigi Brignone)

AI MIEI CARI

Non piangete! Per il male solo si deve piangere: per il bimbo che non ha pane e crescerà su sentieri di violenza; per la guerra che vomita sangue e uccide tutti i fiori; per l'ingiustizia, per l'egoismo, per la libertà strozzata; per il denaro, nuvola nera che copre il sole e ammorba l'aria pura. Si deve piangere nei momenti più soli, quando agonizzano e muoiono, vicino a noi e in noi, i sogni e gli ideali. Ma per me no! Perché son soltanto partito verso l'azzurro, ho rotto le catene, ho scalato la vetta da cui più non sarò costretto a scendere. E sarò per sempre a voi vicino, più vicino di quando uno stretto abbraccio tutti ci univa. Quando, Andrea caro, saprai guardare al di là del cemento, delle macchine e del veleno un cielo azzurro, una foglia, un fiore, allora penserai che a papà piacevano tanto: e mi avrai vicino in quel tuo pensiero! Quando fremerai per un’ingiustizia (a te o agli altri fatta… non importa) sentirai tuo padre vicino; sentirai tuo padre contento, se vorrai sconfiggere quell’ingiustizia.

“[…]Malinconia mista a serenità è anche l'atteggiamento che cerco di assumere dando l'addio alla vita. Una vita che ha visto tanti momenti di tensione e di sofferenza, ma anche tanti istanti che l'hanno resa degna di essere vissuta e che fanno sì che essa assuma un valore non per la sua lunghezza materiale (44 oppure 90 anni…) ma per la qualità di questi momenti. Ne voglio ricordare alcuni, senza la pretesa di esaurirli tutti. […] E poi ancora tanti piccoli istanti, di per sé insignificanti, ma con una risonanza particolare nel mio animo: la contemplazione di un fiore d'alta montagna nella meraviglia del suo ambiente naturale; un’alba o un tramonto sul fiume; una battuta di pesca esaltate; una lettura o un discorso esaltanti; una visita a luoghi lungamente vagheggiati col pensiero; il profumo della terra umida e smossa; l'odore dell'erba appena tagliata o del fieno già secco. E poi nella mia vita ho anche avuto la fortuna di incontrare persone che, in mille modi, i più diversi, hanno rappresentato per me un arricchimento interiore. Tra le tante voglio ricordare […] e tanti compagni che si sforzano di combattere per la giustizia, per la verità, per la libertà, per la pace, per una migliore qualità della vita. […]A tutti poi, fratelli sorelle cognati nipoti, nel ricordo di mamma e papà e nel ricordo di Marilena tutti uniti, voglio dare un addio che deve suonare come personale e particolare. Un addio e un grazie e una richiesta di perdono per tutto quanto posso aver fatto e ho fatto di male nei vostri riguardi, e in ogni senso. E tutti assieme guardiamo verso il Cristo che ci ha promesso in Lui nuova ed eterna vita. Come sarà (o come i sapienti ci hanno detto che sarà…) importa poco; l’importante è che ce l’ha promessa, e l’ha promessa soprattutto a chi è tra i sofferenti, gli emarginati, gli oppressi. Con questo atto di fede non nelle forme, non nelle isti- tuzioni e le leggi, ma in Gesù vivo, centro di vita, vi abbraccio tutti e tutti saluto. E l'abbraccio più vivo, più accorato e intenso ad Andrea, a cui, se mi sarà possibile, scriverò ancora qualcosa giorno per giorno. D'ora in avanti attenderò che il sole tramonti per me l'ultima volta. E voglio attendere, come ho già detto, con malinconia e, in qualche momento, anche con paura… è naturale…, ma anche con serenità. Addio!” Luigi Brignone Racconigi, 30 giugno 1985 – h. 16,20. Luigi è morto il 28 agosto di quello stesso anno. Ringrazio il figlio di Luigi, Andrea, che mi ha concesso di pubblicare queste righe.


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Vivere è cercare un equilibrio instabile

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insonnia

“…tutto muta, tutto è in continua evoluzione” segue dalla prima

Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.”. Aggiungerei che c’è un tempo per riflettere e uno per agire, un tempo per fare progetti e uno per metterli in atto, un tempo per restare e un tempo per andare. Molte cose sono cambiate nella mia vita, in questo ultimo anno: ho dovuto lasciar andare una delle persone più importanti della mia vita, mia nonna; quasi nello stesso periodo, però, mi è stata data la possibilità di occuparmi della mia comunità, dove sono nata e cresciuta. Ho avuto l’occasione di agire per veder realizzati alcuni

dei miei progetti più importanti e ho dovuto scegliere, mio malgrado, di abbandonarne altri. Ho attraversato il tempo delle lacrime, il tempo del sorriso, il tempo per piegarmi sotto il peso della fatica e quello per correre, con energie rinnovate, direi sconosciute. E forse il senso della vita è un po’ questo. Forse il senso è quello di accettare ogni stagione e riconoscere che in natura, come nella vita, come nell’aikido, la ricerca di un equilibrio stabile è una ricerca vana, inutile, dannosa. Illudersi di aver raggiunto un equilibrio stabile, per quanto rassicurante, equivale un po’ a morire ogni giorno, aggrappati con le unghie e con i denti a qualcosa che è sempre, comunque, in continuo mutamento, nonostante noi, che sia la nostra età, il giornale per cui scriviamo, il nostro lavoro, la nostra famiglia. Tutto evolve, tutto muta, tutto è in continua evoluzione.

E allora… e allora dobbiamo permettere anche a noi stessi di mutare. Di cercare ogni giorno, ogni istante della nostra vita, un equilibrio instabile, che muti insieme a noi e ci permetta di raccogliere e liberare nuove energie, buttarci in nuove avventure, incontrare nuove persone. Per chi pratica aikido penso sia un pensiero facilmente condivisibile: vivere la vita come una continua serie di tecniche, che si ripetono a lungo, ma non all’infinito, solo fino a quando abbiamo imparato la nostra lezione e possiamo guardare avanti, verso quella successiva. Per gli altri lettori di Insonnia non saprei, forse sono solo parole, pensieri sparsi, di chi cerca ogni giorno un senso a ciò che fa e che a volte crede di averlo trovato, anche se il più delle volte si interroga senza trovare una vera risposta. A voi tutti auguro di trovare il vostro equilibrio più instabile, di evolvere verso nuove avventure.

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YACOUBA SAWADOGO: L’UOMO CHE HA FERMATO IL DESERTO Agricoltore del Burkina Faso, per il suo impegno contro la desertificazione del Sahel ha vinto il premio Right Livelihood Award Il “Right Livelihood Award”, è un premio, conosciuto come il Nobel alternativo, viene assegnato a Stoccolma a chi «offre risposte pratiche ed esemplari alle maggiori sfide del nostro tempo». Nelle scorse settimane è stato conferito a Yacouba Sawadogo (o Savadogo) agricoltore del Burkina Faso che aveva già vinto il Farmers Friend 2017. Yacouba è un bellissimo signore di quasi 80 anni – ma l’età non è precisa perché si basa sui raccolti a cui si ricorda di aver partecipato – che durante una gravissima siccità negli anni ’70 restò nel suo Paese per cercare di trovare una soluzione al disastro, mentre tanti altri abbandonavano campi e villaggi stremati dalla carestia. Yacouba Sawadogo decise di recuperare i terreni ormai desertici migliorando l’antica tecnica delle fosse Zai.

Iniziò il suo progetto scavando delle buche durante i circa otto mesi della stagione secca, le riempì di foglie, di escrementi animali e di altri concimi che favoriscono non solo la nascita di piante ma anche il riprodursi delle termiti; e queste, a loro volta, scavano piccole gallerie che rendono poroso il terreno e aiutano a trattenere l’acqua durante la stagione delle piogge. Yacouba costruì anche muretti in pietra sempre per trattenere l’acqua. Inizialmente gli diedero del pazzo ma lui resistette e continuò caparbiamente il suo lavoro. E funzionò. Negli anni successivi Yacouba, assistito da un altro agricoltore, Mathieu Ouédraogo, e da 17 figli e 40 nipoti, riuscì a creare a Gourga, suo villaggio natale, una vera e propria foresta di 50 acri, visibile dal satellite. Li coltiva a mais, sorgo e miglio perché, come dichiara lui stesso: “il cibo è indispensabile per l’umanità. Se c’è abbastanza da mangiare e se l’approvvigionamento alimentare è assicurato, allora cresceremo. Ma se non abbiamo abbastanza da mangiare, non saremo in grado di crescere. Quindi, prima di tutto, dobbiamo garantire la sicurezza alimentare”. Indiscutibile. Il governo gli ha espropriato una parte della foresta, ha tagliato gli alberi e ha costruito case. Però Yacouba non si è arreso. Ha intentato una battaglia legale ma soprattutto non ha mai smesso di far crescere

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nuove piante. Il “pazzo” del villaggio è diventato il “saggio” del villaggio e ora, grazie a questo premio – che prevede anche un contributo di 290mila euro – l’“eroe” del villaggio.

LA SCUOLA D’IMPRESA ENTRA ALL’ITIS PER FAR NASCERE I TALENTI DEL FUTURO L’iniziativa della School of Etrepreneurship and innovation a Fossano

Scovare giovani talenti e nuove idee che portino alla nascita di imprese sostenibili, è l'obiettivo della SEI (School of Entrepreneur-ship and innovation) di Torino e dell'ITIS Vallauri di Fossano dove, come dichiara Griva (vice presidente Sei) "abbiamo trovato le condizioni ideali: insegnanti disponibili, laboratori attrezzati, ragazzi disponibili e motivati". A tal fine il 22 ottobre è stato presentato il percorso “Changer” a 600 studenti di tutti gli indirizzi, ne saranno selezionati 50 che lavoreranno in 10 piccoli team di 5 persone: dovranno sviluppare progetti digitali o meccatronici destinati sia ai consumatori finali sia ad aziende in diversi settori (salute e benessere, scuola e istruzione di qualità, produzione e consumo responsabile, città e comunità sostenibile, cambiamento di clima). Ogni squadra dovrà realizzare un progetto d'impresa e avrà 10 giorni per completarlo lavorando fuori dell'orario scolastico nei laboratori della scuola. "É una iniziativa ambiziosa ed inedita – dice Paolo Cortese, dirigente del Vallauri - per sviluppare lo spirito imprenditoriale e la capacità di innovazione dei ragazzi”. Una giuria composta da responsabili didattici, imprenditori e rappresentanti delle istituzioni selezionerà quelli vincenti.


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a cura di Guido Piovano

COSA ABBIAMO LASCIATO O DOBBIAMO ANCORA LASCIARE… (una rielaborazione in chiave personale di un intervento di Maria Grazia Bondesan di Piossasco) Ho potuto prendere visione del dibattitto in corso nelle Comunità Cristiane di Base in preparazione di un convegno previsto per il 1° dicembre. Il tema è davvero stimolante: "Cosa abbiamo lasciato nel nostro cammino comunitario". Volendo procedere lungo un cammino di liberazione, la prima cosa che lascerei, e che in verità sento di aver lasciato, è quell’immaginario di Dio che ha come risvolto il senso di colpa, l’immaginario di derivazione catechistica del Dio punitore che sorveglia la mia esistenza, pronto a censurare ogni mio comportamento e a farmi sentire in colpa per peccati commessi anche solo con il pensiero. Qualcuno penserà “ma il Dio di cui sento in chiesa la domenica già adesso non è un Dio punitore, è invece un Dio che accoglie e ama tutte le sue creature, un Dio misericordioso”. Ma è davvero così? Certo, se ci si ferma all’espressione

“tutte le creature”, questo è quanto sentiamo in chiesa. Ma se andiamo a declinare questo “tutte” scopriamo che alcuni sono “meno creatura”, di altri, anche se questo non viene esplicitato: al divorziato è vietata l’eucarestia, le coppie omosessuali non vedono benedetta la loro unione e che dire del transessuale, del trangender? Allora io mi chiedo: come si possono sentire queste persone, se credenti, di fatto escluse dalla comunione dei credenti e indotte ad un senso di colpa che non ha alcuna ragione di essere? E cosa dire del dramma del prete impegnato nel ministero, innamorato di una persona reale, o che vive una condizione di omosessualità? Obietterete: è sufficiente il pentimento e scatta il perdono! Allora ditemi: di cosa dovrebbe pentirsi un divorziato? E l’omosessuale! E… È qui evidente una concezione superata di quello che la chiesa interpreta come disordine sessuale per non dire del peccato sessuale. E

poi, dov’è finito il Dio accogliente che predilige proprio chi vive una situazione di emarginazione? Superiamo allora l’dea del Dio punitore. Dio è amore e ama tutte le creature per quello che sono. Ci vuole felici, davvero tutti! ViviamoLo come Colui che accompagna i nostri passi, ci sorregge in qualsiasi momento della vita, conosce la nostra essenza, ci dona la forza per affrontare le situazioni più dolorose. Un unico Dio che non guarda alle differenze, cristiano, ebreo, musulmano o induista… poco importa, senza barriere o guerre di religione. Vengo alla seconda cosa da lasciare. Mi chiedo: da dove nasce, se non da quel vecchio immaginario di Dio, l’importanza del binomio madonna-santi nella preghiera? Solo un Dio punitore può avere necessità che madonne e santi intercedano presso di Lui. Il Dio che ama tutte le sue creature non ha bisogno di essere “aiutato” a perdonare. Troppe icone, troppe statue nascondono l’immagine di Dio. Gesù ci ha indicato una sola preghiera, il Padre Nostro, allora rivolgiamoci a Dio come Padre - e, perché no, come Madre -, e impariamo piuttosto a parlare con Lui, a porci in ascolto… Viviamo come creature che cercano a tentoni la volontà di Dio, sbagliando, riprovando, ma sentendoci sempre accompagnati da Lui. Una terza cosa è sparita dalla mia

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fede. É l‘idea di inferno e purgatorio come luoghi di espiazione di una pena, insieme all’idea di un diavolo tentatore, cui attribuire le mie debolezze, le mie contraddizioni. Il Dio/Amore non crea luoghi punitivi, accoglie invece tra le sue braccia le sue creature. La mia morte è nelle mani di Dio, di Lui mi devo fidare. Questo comporta un taglio netto di tutte le pratiche legate al suffragio, indulgenze comprese. La Chiesa non decide sul mio destino dopo la morte. (continua) A corredo di quanto esposto riporto una riflessione di Franco Barbero: “Mi preme però ricordare che, quando ho lasciato qualcosa, quando ho deposto un fardello, non ci ho sputato sopra. Per un tratto della mia vita anche quella pratica e/o quella credenza avevano in qualche modo fatto parte della mia fede. Arrivato il momento di andare oltre, mi sono rallegrato del dono, del passo, della liberazione, ma non ho né deriso né disprezzato quel tempo e quel cammino. Questo atteggiamento alimenta in me un doveroso senso di rispetto della fede che vivono tanti fratelli e tante sorelle tutt'ora in questa tappa che appartiene al mio passato”.

DAL SINODO SULL’AMAZZONIA Il sinodo - fare strada insieme - è un percorso da proseguire. Il passo per l'accoglienza dei preti sposati lascia ancora l'imperdonabile ritardo per ciò che riguarda il pieno ministero delle donne. Coraggio, fiducia, dibattito: le chiese locali diventino un fecon-

do laboratorio per tentare e praticare nuove vie di testimonianza del Vangelo. Che Dio ci dia la forza di fare la nostra parte personale e comunitaria. Franco Barbero

Elogio della tolleranza di Zanza Rino

che linea che ha. Perché non prova anche lei? Vedrà che starà meglio”.

Una ascoltatrice di “Tutta la città ne parla” trasmissione mattutina di Radio3, è intervenuta per telefono e ha raccontato una brevissima vicenda recente che suo malgrado l’ha coinvolta. La racconto a mia volta, con parole mie, ma rispettose dei fatti. Stava in fila alla Posta. Un signore, mai visto prima, si avvicina e le dice. “Vede quella signora là in fondo? È mia moglie. Anche mia moglie era molto grassa, ma ha fatto un intervento chirurgico ed ora guardi

Non ricordo se la signora ha risposto qualcosa, ma in fondo non è quello il punto. Nella trasmissione si discuteva dell’aumento in Italia del numero di persone (anche nelle prime fasce di età) obese o in sovrappeso e delle complesse implicazioni a livello sanitario, sociale, educativo connesse a questo fenomeno. Ma neppure questo è il punto. Ci si potrebbe semplicemente (ed educatamente) domandare perché la gente non si fa gli affari suoi e si potrebbe chiuderla lì. Ma neppure questo è il punto. E allora il punto qual è? Si riassume in una domanda. Qual è la ragione per cui un perfetto sconosciuto, con cui non hai pregresse relazioni come

familiare, amico, medico, terapeuta o roba di questo genere, si permette di interferire in questo modo nel privato di un’altra persona? Provo a rispondere. L’intolleranza. Intollerante è chi, convinto di possedere la verità, diventa intransigente verso persone, situazioni, opinioni che non corrispondono alla “sua” verità. Tradotto nel caso concreto. Sono convinto che l’obesità non va bene (la mia verità). Se sei obeso magari è anche colpa tua (anche se non so nulla della tua vita). Quindi devi fare qualcosa per conformarti al mio modello (che è quello giusto). La cronaca ci offre continui esempi di questo modo di porsi nei confronti degli altri, marginali come quello da cui sono partito o di ben altro spessore. La valanga di insulti che travolge chi su Facebook esprime un punto di vista;

le voci rissose che si sovrappongono in un talk televisivo; l’aggressione feroce contro un barbone; le prevenzioni, le minacce, le violenze verso chi professa una religione diversa, è di colore diverso, ha una cultura diversa. Si potrebbe continuare, ma non ce ne è bisogno. Tutti siamo testimoni, talvolta complici (mai protagonisti?) di un clima di intolleranza che avvelena la convivenza sociale, diffuso al punto che spesso non ci facciamo più caso. Poco alla volta l’intolleranza diventa un veleno che invade il corpo sociale e lo trasforma. Non è difficile trovarne esempi, anche tragici, nella storia recente. E dunque, viva la tolleranza! Travolto da delirio buonistico? Farnetichio da zanzarino senile? Forse. Ma proviamo a pensarci.


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IL PARO CIVICO INDEFINITO

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La Bolivia e la lotta per la democrazia di Chiara Cosentino

Mi trovo in Bolivia da quasi un mese e, per mia sfortuna o fortuna, sto vivendo in un momento assai complicato per la storia di questo paese. Dico “fortuna” perché quello che sta capitando mi ha davvero aperto gli occhi. Domenica 20 ottobre ci sono state le elezioni per la nomina alla carica di Presidente dello Stato Plurinazionale di Bolivia e, per il quarto mandato consecutivo, il Presidente Evo Morales ha presentato la sua candidatura. Domenica il sito ufficiale con cui venivano comunicati i dati aveva mostrato gli aggiornamenti fino all’84% dei voti scrutinati tra quelli inclusi nel conteggio preliminare, indicando Morales al 45,3%, in netto vantaggio rispetto al principale sfidante, l’ex presidente Carlos Mesa del partito di sinistra Comunidad Ciudadana (CC), che era al 38,2%. In base alle regole elettorali boliviane, però, è previsto un ballottaggio nel caso in cui nessun candidato superi il 50%, oppure abbia il 10% di distacco sul secondo. Mesa era dunque sicuro di andare al ballottaggio, ma Morales invitò ad aspettare che fossero conteggiati i risultati delle zone rurali, dove il suo Movimiento al Socialismo (MAS) è molto popolare. Dopodiché il sito del Tribunale Supremo Elettorale smise di mostrare gli aggiornamenti per un giorno. Quando riprese a mostrare i risultati del conteggio preliminare, Morales era passato al 46,85 % e Mesa al 36,74 %, un risultato molto più vicino a una vittoria al primo

turno di Morales. A questo punto, lo stesso Morales si è proclamato nuovamente presidente. Bisogna inoltre precisare, che il

21 febbraio 2016 aveva vinto il NO al referendum per modificare la Costituzione permettendo allo stesso Morales di potersi candidare alle elezioni del 2019. Le proteste da parte dei cittadini boliviani non hanno tardato ad arrivare e il malcontento si è subito diffuso. La gente è scesa in strada a sventolare le bandiere del tricolore in difesa della democrazia accusando Morales di essere un dittatore e di aver manomesso i voti, cosa che alcuni informatici sono riusciti a dimostrare. In questo caso le proteste vanno ben oltre una presa di posizione politica: quel che la gente richiede è semplicemente un po’ di trasparenza, sta lottando per una questione di principio e perché non vuole ricadere negli stessi errori del passato. Infatti, in molti ci hanno spiegato che, in realtà, Evo è stato un bravo presidente e aveva tutte le carte in regola per diventare uno

dei più grandi, ma si è lasciato cadere nelle tentazioni dettate dal potere. Nelle varie città, si è dato quindi inizio a quello che viene definito come paro civico indefinito e questo significa letteralmente bloccare un’intera città: le scuole sono chiuse così come i negozi e qualsiasi attività commerciale, esclusi i supermercati che rimangono aperti dalle 7.30 alle 12; non è più permesso circolare in automobile; a ogni rotonda e a ogni incrocio le strade vengono bloccate con rami di alberi coricati, con pneumatici, cordini tesi da un palo della luce a un altro… In ognuno di questi punti, definiti bloqueos, gli stessi cittadini passano il giorno e la notte a controllare che nessuna macchina passi ad eccezione delle ambulanze e dei camion per rifornire i supermercati. Una volta sola sono andata a fare la spesa e credo di non aver mai visto così tanta gente in fila fuori dal supermercato che aspettava di entrare mentre le scorte di cibi pian piano iniziavano a diminuire e i prezzi ad aumentare notevolmente. Sembra davvero incredibile come la vita possa cambiare da un giorno all’altro e senza accorgertene di ritrovi in situazioni a primo impatto assurde, poi strane finché non diventano normali e capisci che in realtà questo è davvero l’unico modo in cui loro possono far sentire la propria voce, combattere per il proprio futuro e anche tu inizi a sentirti parte di tutto questo. Non in tutte le città però è così: in alcune non ci sono bloqueos, ma gli scontri con le autorità sono molto forti e, in alcuni punti, ci sono scontri tra gli stessi cittadini perché è anche vero che non tutti la pensano allo stesso modo e alcuni sono sostenitori del presidente. Questa situazione sta andando avanti da ben 11 giorni e ancora non c’è una soluzione, ma siamo nella speranza che tutto possa sistemarsi nel migliore dei modi. Ora posso dire di star vivendo il mondo da un’altra prospettiva, un punto di vista che mi porta a considerare distante ed estranea quella che sempre ho definito la mia realtà quotidiana.


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Voto ai sedicenni SI, NO, NON SO, la loro riflessione

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Parlano gli allievi dell'Arimondi Eula di Racconigi segue dalla prima

combattute nell’ultimo secolo per l’estensione dell’elettorato. Infatti essa dimostra un reale interesse a coinvolgere fasce di popolazione finora escluse, in cui viene riposta la giusta fiducia. A mio giudizio, l’estensione del diritto di voto ai più giovani porta anche a benefici concreti: per esempio ha una forte valenza educativa poiché contribuisce ad aumentare il loro interesse nei confronti della vita politica. Inoltre, si deve ricordare che le decisioni prese attraverso il voto riguardano il futuro della società, che interessa in modo più incisivo i giovani rispetto ai più anziani. Da questo deriva necessariamente anche una maggiore assunzione di responsabilità di cui i ragazzi devono farsi carico, avendo così la possibilità di maturare e sostenere le proprie idee. I giovani, al giorno d’oggi, risultano infatti discriminati, perché in grande inferiorità numerica all’interno della comunità: l’estensione del diritto di voto a sedicenni e diciassettenni permetterebbe alle nuove generazioni di far valere maggiormente le loro richieste e i loro bisogni. Trovo perciò insostenibile la posizione di coloro che contrastano questa riforma, giudicandola una scelta controproducente e negativa per il futuro del nostro Paese. Si può ammettere che spesso i giovani siano impreparati e disinteressati riguardo alla politica, ma, purtroppo, anche molti adulti si dimostrano

incompetenti in materia e, inoltre, non presentano lo stesso entusiasmo dei ragazzi. Si può seguire il medesimo ragionamento riflettendo sull’influenzabilità, che interessa i ragazzi tanto quanto gli adulti: in entrambe le categorie ci possono essere individui culturalmente e psicologicamente deboli, che non possiedono pensiero critico e che vanno dove li porta il vento. Bisogna, inoltre, ricordare che nella democrazia non esistono scelte “irresponsabili”, “inadeguate” o “peggiori” e che ognuno deve aver la possibilità di proporre il proprio pensiero e, nello stesso tempo, rispettare quello degli altri.

Laura Bertola - II Liceo Scientifico “Arimondi-Eula” di Racconigi

L'ultima protesta per l'ambiente del 27 settembre, nella quale migliaia di giovani studenti si sono riversati nelle piazze e nelle strade italiane nel nome del “Fridays for future”, ha fatto riemergere una proposta già avanzata da Veltroni nel 2007, ovvero quella di abbassare l'età del voto a sedici anni. A ripresentare l’iniziativa è stato l'ex presidente del Consiglio Enrico Letta (PD), ma l’idea è risultata gradita non solo alla attuale maggioranza di governo, PD- 5Stelle, ma anche alla opposizione leghista. In altri Paesi europei il voto ai sedicenni è già una realtà come in Austria o, con delle restrizioni, in altri Stati, ad esempio in Slovenia, dove i sedicenni possono votare se hanno un lavoro, e in Ungheria, se sono sposati. Ai miei occhi, tale proposta appare come un tentativo di racimolare consensi, anche perché, si sa, le giovani menti sono più influenzabili e manipolabili rispetto agli elettori maturi, spesso forgiati da anni di scelte politiche. In particolare in questi ultimi anni qualche voto in più potrebbe essere prezioso, dal momento che molti potenziali elettori, o perché delusi o perché si sentono impreparati, arrivano addirittura a rinunciare a questo preziosissimo diritto (nonché dovere). In realtà, secondo me, il problema è un altro:

La Fabbrica delle Idee 2009. Spettacolo "Delle terre infrante" Messina 1908 - l'Aquila 2009

ultimamente sono proprio le nuove generazioni a non credere più nella politica; nel migliore dei casi sono indifferenti nei confronti dei suoi rappresentanti, nel peggiore li considerano inaffidabili, incapaci e corrotti. In politica esistono troppi interessi, caste, intrallazzi che disgustano i giovani. E allora o rinunciano alla partecipazione o si schierano a favore di partiti populisti ed estremisti, che promettono cambiamenti radicali (ma quanto realizzabili?) Non che gli adolescenti non abbiano idee e ideali su come dovrebbe essere il loro futuro, ma non credono che i vecchi metodi e strumenti li possano realizzare…e combattono con altre armi: le proteste di piazza, i blog e i social, dove possono confrontarsi liberamente, senza doversi scontrare con ideologie e partiti.

Lorenzo Spertino - II Liceo Scientifico “Arimondi-Eula” di Racconigi

Di recente l’ex premier Enrico Letta ha chiesto al governo una riforma costituzionale “urgente” per abbassare l’età di voto ai sedici anni; una proposta non nuova nel panorama politico italiano e non solo. La mobilitazione studentesca per l’ambiente ha infatti portato a riflettere sulla consapevolezza politica dei giovani. Personalmente sono contraria a questa proposta; ritengo infatti che la maggior parte dei sedicenni non sarebbe ancora abbastanza matura per votare.

Loredana Senestro in Le Confessioni di Monica a Sant'Agostino


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A questa età spesso si hanno pochi strumenti per decidere, si è generalmente impulsivi e facilmente influenzabili. Dai sondaggi emerge che è decisamente superiore tra la popolazione la percentuale dei contrari all’iniziativa, soprattutto fra i giovani (75%); spesso questi hanno altri interessi, e vedono la politica come un qualcosa di eccessivamente complesso: io stessa mi sentirei poco esperta e decisamente impreparata. É vero che a sedici anni per la legge si può lasciare la scuola, iniziare a lavorare e pagare le tasse, ma penso che molti di noi non abbiamo ancora tagliato il cordone che li lega ai genitori. Un individuo che non è in grado di decidere per se stesso, come può farlo per l’intera comunità? Sono sostanzialmente d’accordo con il senatore Mario Monti, che considera la proposta solo un “contentino” demagogico per conquistare i giovani. A mio parere, per coinvolgere di più le nuove generazioni nella vita politica bisognerebbe in primis puntare sulla formazione, introducendo (davvero, non solo sulla carta!) l’educazione civica a scuola, ma soprattutto invogliare gli adolescenti a confrontarsi tra loro partendo dai problemi che li toccano da vicino nella loro quotidianità.

Letizia Manassero - II Liceo Scientifi- bassando l’età, ci sarebbe più parità di “peso” co “Arimondi-Eula” di Racconigi politico tra le generazioni. Il Paese invecchia e, dal momento che gli adolescenti mostrano tanto interesse per il futuro del Pianeta, perché non dare loro la possibilità di votare, così che possano concretamente contribuire a decidere? L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta è stato il primo a riproporre l’idea, che Walter Veltroni aveva già lanciato nel 2007, e la sua proposta è stata immediatamente accolta con favore da quasi tutti i partiti e i leader politici. Si tratta ora di capire se sia davvero una buona idea abbassare l’età di voto a sedici anni. Io, in quanto adolescente, mi schiero totalmente a favore di questa iniziativa. In primo luogo, le nuove generazioni si interesserebbero di più alla politica se avessero diritto di voto, poiché consapevoli che la loro scelta diventerebbe importante e influente. Senza tralasciare che alcuni studenti studiano diritto e per loro potrebbe essere l’occasione per appassionarsi alla disciplina e applicare ciò che apprendono sui libri nella vita reale. In secondo luogo, è ormai evidente che nel nostro Paese vivono più anziani che giovani e, ab-

É anche importante ricordare che le ragioni etico-politiche che stanno alla base della proposta di allargamento del suffragio ai “teenagers” sono almeno di due tipi. Innanzitutto, dato che i governi prendono decisioni che saranno determinanti sugli interessi futuri delle giovani generazioni, è giusto che i più giovani abbiano il diritto di far sentire la propria voce e di far pesare i propri interessi. Inoltre, un allargamento del diritto di voto costituirebbe un passo fondamentale verso il riconoscimento di una più compiuta eguaglianza (analogamente all’allargamento del suffragio alle donne nel corso del Novecento). Se si riflette sul passato, molti hanno combattuto, perdendo a volte anche la vita, per ottenere e garantire il diritto di voto a tutti noi: noi dobbiamo dunque fare il possibile per poterlo assicurare a più persone. In relazione a questo punto, in alcuni Stati è possibile votare anche per i sedicenni e diciassettenni. Tra i Paesi extra-europei che permettono il voto agli “under 18” figurano anche Cuba, Ecuador e Nicaragua, ed è un aspetto significati-

La Fabbrica delle idee 2011. Spettacolo "Addio mia bella addio"

vo, considerando che non hanno regimi classificabili come democratici. In alcuni Paesi Europei il voto a 16 anni è già realtà; in Austria il voto ai minorenni è legge dal 2007, mentre in Germania è garantito nelle elezioni dei Parlamenti di alcuni Lander. Infine la Norvegia nel 2011 ha esteso il diritto di voto ai sedicenni, ma solo per le elezioni locali. Diversamente da quanto affermato in precedenza, molte persone, tra cui gli adolescenti stessi, pensano che votare a sedici anni sia prematuro. Possiamo ammettere che a quella età i ragazzi siano ancora politicamente inesperti rispetto ai cittadini che hanno compiuto 18 anni: in sostanza molti pensano debbano ancora crescere, informarsi, e che abbiano ancora tanto da imparare. Oltre a ciò, si può ipotizzare che un ragazzo potrebbe votare “tanto per farlo”, superficialmente, e influire in maniera non consapevole sulla decisione finale. Tale considerazione appare insostenibile per Tommy Peto, dottorando presso il Dipartimento di Scienze Politiche a Oxford, che ritiene che questo tipo di obiezioni non andrebbero nemmeno pronunciate. “Se il problema è che gli under 18 «avrebbero meno conoscenze» o «avrebbero meno esperienza» nei diversi aspetti della pratica politica, le ricerche empiriche sul voto dei 16/17enni in Austria e Norvegia mostrano che il voto degli under 18 è altrettanto “politicamente maturo” quanto il voto dei cittadini più anziani. Per ogni variabile di misurazione della maturità politica -conoscenze politiche, interesse, e stabilità delle preferenze - gli under 18 sono o tanto maturi quanto i cittadini più anziani, o lo diventano dal momento in cui l’età per avere il diritto di voto viene abbassata”. In conclusione, viene fatto notare che non vi è alcuna differenza significativa tra 16 e 18 anni: si è comunque in grado di decidere in maniera competente, si sanno mettere a fuoco obiettivi per poi perseguirli, si possiede anche autonomia di giudizio. Tutte queste si classificano come abilità sufficienti per auspicare l’ampliamento del voto. Se poi non dovessero bastare, allora bisognerebbe aggiungere ore di educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado, per preparare gli studenti alla vita politica (e non solo) che li aspetta.

Federica Dalmazzo - II Liceo Scientifico “Arimondi-Eula” di Racconigi

La Fabbrica delle idee: Spettacolo "Il prete giusto"


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AIKIDO: “FIOJ, BESTIAL !”

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Una disciplina tra corpo, mente e amicizia di Giorgio Olivero

25 anni… però! Un quarto di secolo è già una bella cifra. Ma come è cominciata questa avventura? Dunque, se la memoria non mi inganna iniziò cosi: una sera nella club house di un celeberrimo gruppo di motociclisti della nostra zona, durante una riunione il presidente, Vico, che già da un paio d’anni frequentava una palestra di Torino disse: “Fioi (ragazzi) se riusciamo a raggruppare un po’ di persone, il mio maestro sarebbe disponibile per venire a fare qualche lezione di prova, ci sareste?” Uno, due, tre secondi di silenzio e poi “ma certo, ma lezioni prova di cosa?”. “Aikido rispose Vico, una disciplina marziale Giapponese “bestial”. (fighissima si direbbe ora). Organizzato il tutto ci trovammo una sera insieme ad altri amici di Racconigi alla palestra delle scuole elementari dove ci aspettava Nino (il maestro) che aveva portato con sé quattro tatami (le materassine che si usano per poter cadere senza farsi del male) e con grande stupore constatò che non sarebbero state sufficienti per le 20 o più persone che era riuscito a raggruppare Vico. Nonostante ciò, probabilmente merito della bellezza di questa disciplina, della bravura di Nino e dell’entusiasmo che era riuscito a trasmetterci, cominciammo a provare le cadute anche al di fuori del tatami incuranti delle conseguenze, e questa voglia di fare, di mettersi a disposizione dei compagni, del maestro e della disciplina stessa è sempre stata una caratteristica, anche a detta di Nino, significativa nel tempo del corso di Racconigi. Particolarità che Vico ha denominato con un termine piemontese a lui caro e diventato un “must” tra di noi: GIÜ BÜR. Quella sera, fortunatamente o più probabilmente grazie all’esperienza di Nino, nessuno si fece del male, anzi scoprii molti anni dopo, piacevolmente, che praticanti di altre palestre cercavano di carpire la tecnica delle nostre cadute, perché dicevano di non capire come facessero gli allievi di Nino a cadere senza far rumore, consapevoli del fatto che nelle cadute, rumore=dolore! Ma torniamo a noi, fu un’esperienza folgorante, un amore a prima vista personalmente mi cambiò la vita, e non solo a me perché, quando

dopo pochi mesi Alessia partorì il nostro primogenito, iniziò anche lei a praticare, e da allora non abbiamo più smesso. Negli anni, sul tatami a Racconigi si sono susseguite persone di tutte le età, generi e professioni, è stato bello vedere bambini diventare ragazzi, adulti e infine genitori, è stato bello vedere genitori che avevano già sulle spalle qualche decennio, rimettersi in gioco e divertirsi come ragazzini, ho visto persone con disabilità impegnarsi, sudare e riuscire e fare cose impensabili per loro fino a quel momento, ragazzi scavezzacollo diventare seri professionisti e, credetemi, ripensandoci fa abbastanza effetto, e non solo perché vuol dire che sono invecchiato, ma perché mi piace pensare di aver contribuito anche se in piccolissima parte, a tutto ciò. Tutte le volte che incontro qualcuno con cui ho avuto il piacere di praticare, sento sempre una specie di complicità, come se aver condiviso certi momenti ci faccia sentire parte di qualcosa di veramente speciale. Questa disciplina mi ha dato l’opportunità di conoscere tanta gente e mi dispiace

non riuscire a ricordarli tutti, ma comunque, e di questo ne sono sicuro, ognuno di loro è riuscito a trasmettermi e ad insegnarmi qualcosa di importante. Perché una delle cose più belle dell’Aiki-

do è che non si finisce mai di imparare, e anche il principiante più acerbo può contribuire alla nostra crescita personale come Aikidoka e soprattutto come individui. Devo aggiungere che un’altra stupenda particolarità di questa disciplina è che non esistono competizioni; nelle forme di combattimento che si studiano chi attacca sarà sconfitto ma questo non significa che non esista un serio lavoro tra i due praticanti, anzi lo scambio dei ruoli ogni quattro ripetizioni permette di sviluppare sia la parte della difesa che quella dell’attacco. In occasione del 25° anno stiamo cercando di raggruppare più ex praticanti possibile per passare una giornata tutti insieme per ritrovare lo spirito che ci ha unito durante la pratica della disciplina, per ringraziare e festeggiare, e se qualcuno che ha praticato con noi, e che sta leggendo questo articolo non è stato contattato, si faccia avanti senza problemi, ci teniamo moltissimo a ritrovare tutti perché ognuno di noi ha contribuito con il proprio impegno e sudore nel portare avanti questa realtà che si chiama Shisei Aikido Racconigi. In ultimo, ma non per importanza, formulo un grazie di cuore a Vico (ci manchi tanto sul tatami) e a Nino: senza di voi tutto questo non avrebbe potuto accadere.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

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Presentato il nuovo libro di Vittorio Gullino È gremitissima la Sala del Consiglio Comunale del Palazzo di Città di Racconigi, quando il giorno 10 ottobre Vittorio Gullino, introdotto dalla professoressa Luisa Perlo, dice ad un pubblico molto attento, che le storie raccontate nel suo libro “non sono le solite storie, sono storie un po' inventate, un po’ copiate e un po’riportate da memorie familiari che hanno, io spero, il compito di facilitare qualche nonno che ha voglia di raccontare una storia a un bambino e può prendere spunto da una di queste storie, per magari ‘fiorirla’ e poi magari andare avanti a spiegare qualcosa di più che c'è anche dietro alla storia. È possibile un parallelismo tra le mie storie e le storie che si trovano negli ex-voto. Sono le stesse storie, queste narrate, quelle dipinte”. I nostri personaggi, anche questa è una storia, d'ora in poi li chiameremo semplicemente Vittorio, Luisa e Bartolo, Bartolo Piacenza che di alcune delle storie di Vittorio ha il compito di leggere con mestiere e maestria la versione originale in piemontese, lingua, come sottolineano un po' tutti, notoriamente non facile da leggere anche per i nativi. Luisa, a questo punto, ricorda ai presenti che “l'importanza di mantenere dei legami con la tradizione fa’ sì che questi libri di Vittorio non siano soltanto un passatempo, ma diventino la testimonianza di un percorso di narrazione che in regioni come la nostra era molto fondata, aveva legami generazionali… i nonni che raccontano ai figli, che poi raccontano ai nipoti... mancava però la traduzione scritta di questi percorsi narrativi, di questa letteratura popolare, dove il termine popolare non va a sminuire, ma semplicemente a caratterizzare. In questo testo Vittorio si rifà allo stesso con-

testo popolare, a quella stessa storia passata, a quei modi di intendere la narrazione cui si è rifatto Italo Calvino quando nel secondo dopoguerra ha sviluppato il suo certosino lavoro di raccolta di tutte le fiabe popolari. Il desiderio, il piacere fine a se stesso di raccontare, di narrare è insopprimibile; nel racconto non sempre deve esserci una morale. Abbiamo individuato tre possibili contenitori per indirizzare la lettura del libro: - le storie reali, quelle che narrano fatti realmente accaduti, dei quali Vittorio è stato testimone diretto. - le storie raccontate a Vittorio da altri, quindi prive della certezza che siano veramente accadute. - le storie di fantasia, quelle nate dalla fantasia dell'autore. Nel libro il testo piemontese è sempre affiancato dal testo in italiano in modo da rendere possibile a tutti la lettura”. Al termine della presentazione Bartolo ci commuove leggendo un’ultima storia. Beethoven era un cane brutto e ormai vecchio; soleva allontanarsi da casa inseguendo il profumo di qualche cagnolina. La gente del paese avvertiva il padrone che Beto (ormai era Beto per tutti) era stato avvistato dalle loro parti e il padrone andava a riprenderselo. Beto era simpatico a tutti e tutti gli volevano bene. Una volta il cane tornò a casa da solo ma in pessimo stato: qualcuno, a cui invece non era simpatico, gli aveva sparato. Nonostante le cure del suo padrone, dopo qualche giorno Beto morì. Bisognerebbe far sparire tutte le armi, conclu-

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de l’autore, che fanno tanto male, anche a chi, come Beto, non aveva mai fatto male a nessuno. Concordiamo con Vittorio su quest’ultimo pensiero e auguriamo buona lettura a tutti.

Vittorio Gullino … veusto ch’it la conta? 31 storie për grand e për masnà 2019, pag. 208, € 14,00 Edizioni Primalpe

Due incontri in Novembre

Al Museo della Seta “Accoglienza visitatori” Corso per Volontari ed interessati alla storia locale a cura di Pino Tebano

Nel mese di novembre l’Associazione Sul Filo della Seta ha programmato due incontri con tema “Accoglienza ai visitatori del Museo – Corso per Volontari” nei quali saranno trattati temi relativi alla storia della seta a Racconigi, la condizione femminile nelle “Fabbriche Magnifiche” e la filiera del gelso con l’allevamento dei bachi. L’intento è quello di interesse generale per la conoscenza di un pezzo importante della nostra storia e, nel caso interessati, ad integrare il gruppo di volontari che attualmente rende possibile l’apertura ai visitatori nelle domeniche di tutto l’anno. I temi saranno trattati da persone appassionate e competenti sul tema seta e che sono tra coloro che attualmente rendono possibile l’utilizzo degli spazi del Museo della

Seta di Racconigi. Il programma è stato ideato in due incontri e i relatori parleranno, anche con l’ausilio di supporti video e cartacei, nello specifico affrontando i seguenti temi: Adriano Tosello Il periodo storico e l’impronta dei Savoia, dal 1500 alla chiusura dell’ultimo setificio in Racconigi. Gianfranco Capello S t o r i a delle “Fabbriche Magnifiche”. Cristina Fenoglio La storia al Femminile nelle fabbriche della seta. Marco Allasia Filiera del Gelso, coltivazione e allevamento dei bachi. Gli incontri si terranno mercoledì 20 e 27 novembre, nella Biblioteca Civica di Racconigi, Piazza Burzio, con orario dalle 21,00 alle 22,30 e saranno due i relatori che,

ogni serata, proporranno il loro contributo. Al termine dei due incontri sarà offerto ai volontari, su supporto Usb o Cd, un estratto degli interventi dei relatori per approfondire le conoscenze di storia locale ed avere un riassunto del corso. Può essere un utile strumento di conoscenza storica anche per studenti oltre che

per gli appassionati al tema. Gli incontri sono completamente gratuiti. Riferimenti per informazioni ed iscrizioni (si potranno fare anche al primo incontro): Cristina Fenoglio 3899643724 Matteo Racca 3485611517 Pino Tebano 3711529504


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Inaugurata la nuova SOMS

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“Il futuro di Progetto Cantoregi è già il suo presente” Al via le nuove proposte teatrali di Paola Galletto, Ufficio Stampa di Progetto Cantoregi

Con il suo Salone Gamna stracolmo, sabato 19 ottobre la nuova Soms si è svelata al pubblico. Essenziale, elegante, accogliente, funzionale: la nuova casa di Progetto Cantoregi, aperta a tutti, è piaciuta ai tanti racconigesi accorsi per assistere alla presentazione dello spazio e delle iniziative in cantiere. L’incontro, condotto da Marco Pautasso, presidente di Progetto Cantoregi, si è aperto con un video per immagini dedicato agli spettacoli realizzati in quarant’anni di attività dell’associazione, nata nel 1977 a Carignano, su idea e visione del regista Vincenzo Gamna. Ma se è vero che, partendo dai versi di Pablo Neruda, “Nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno”, il video successivo ha raccontato i lavori svolti con passione e professionalità per rendere lo spazio adatto alle tante attività che, insieme ai cittadini racconigesi e alle istituzioni, alle realtà culturali, sociali e private del territorio Progetto Cantoregi andrà a realizzare. Uno spazio che ne comprende quattro: il Salone Gamna con 110 posti a sedere (con platea a gradinata e area scenica di 12 x 10 metri), la luminosa Saletta Alborno – Perrone, l’ampio polivalente Foyer Macera, l’arioso Cortile Marinetti. “Il futuro di Progetto Cantoregi è già il suo presente – ha spiegato il presidente Pautasso –. La SOMS è l'ennesima tappa di un viaggio iniziato oltre 40 anni fa, un nuovo punto di attracco. Un viaggio artistico, senza meta, dalla navigazione spesso peri-

Spettacolo: La Crociata dei bambini

gliosa, dai molti e significativi approdi, anche se mai definitivi. La SOMS è l'ultima sosta del nostro lungo peregrinare in ordine di tempo. Un porto sicuro, dove gettare l'ancora, almeno per un po'. E da cui salpare per nuove stimolanti avventure. O forse solo un frattempo, un intervallo, perché viaggiare, individuare nuove mete, scorgere nuovi orizzonti di senso, è iscritto nel nostro destino.” Ad alternarsi sul palco della nuova SOMS sono state le voci di alcuni amici che hanno reso speciale la storia di Progetto Cantoregi e che hanno sostenuto e continuano a sostenere l’associazione. Lo scrittore lo scrittore Fabio Geda (che tornerà alla Soms il 2 dicembre ore 21 per un incontro dedicato al suo nuovo romanzo “Una domenica”) ha sottolineato come sia fondamentale oggi proporre iniziative trasversali dal punto di vista generazionale, che facciano incontrare e partecipare insieme giovani e anziani, figli e genitori. L’attrice Lorena Senestro (Teatro della Caduta) ha portato un assaggio del suo spettacolo “Le confessioni di Monica a Sant’Agostino”, andato in scena il 2 novembre con un salone quasi sold out. L’attrice Eliana Cantone (Il Mutamento Zona Castalia) ha offerto al pubblico un estratto dal suo spettacolo “La favola di un'altra giovinezza”, che parla di rinascita e ripartenza, in totale in sintonia con la serata. La compagnia teatrale Faber Teater, storici ospiti del festival La Fabbrica delle idee, hanno deliziato i presenti con un divertente e intelligente numero musicale. Il

sindaco di Racconigi Valerio Oderda ha ricordato come è nata la rigenerazione della Soms, attraverso l’avviso di gara pubblica a fine dicembre 2018 con cui Cantoregi si è aggiudicata la locazione dell’immobile per sei anni. Il Sindaco di Cavallermaggiore Davide Sannazzaro ha reso nota una nuova e speciale collaborazione, quella di Cantoregi con la Fiera Piemontese dell'Editoria, che raccoglie il testimone dalla Mostra del libro, nata 25 anni a Cavallermaggiore. Progetto Cantoregi allestirà lo spazio dedicato agli editori a Cavallermaggiore e, alla Soms, ospiterà alcuni scrittori della Fiera. L’esperto digital Francesco Morgando ha invece illustrato il progetto di Cantoregi e dell’Istituto Bartolomeo Muzzone di Racconigi per gli studenti, “Bellezza e digitale: il binomio fantastico”, che ha ottenuto il finanziamento del bando “Educare alla bellezza” 2019 della Fondazione CRC. A conclusione della serata, Marco Pautasso ha sventolato in fazzoletto bianco: un gesto con cui Vincenzo Gamna, dal fianco della tribuna o dalla regia o sbucando dalle quinte al termine di uno spettacolo, soleva ringraziare tutti, attori e tecnici; un gesto che certificava un lavoro ben fatto, il suo modo per celebrare l'etica del lavoro. Le prime due proposte Intanto ha preso il via l’attività di proposte teatrali e letterarie. Riprendendo le parole, i temi e la forma de “Le Confessioni”, Lorena Senestro ha portato in scena sabato 2

novembre il suo monologo “Le Confessioni di Monica a Sant’Agostino”, dando voce alla madre di Agostino, figura dibattuta e contraddittoria, poi proclamata santa per aver condotto il figlio alla fede. Monica, madre apprensiva e severa, completamente dedita alla conversione del figlio primogenito al Cristianesimo, si rivolge al figlio e si confessa di fronte al pubblico: un dialogo che ha condotto gli spettatori a una riflessione sui limiti e sulle speranze dell’esistenza. Sabato 9 novembre invece è andato in scena “Abracadabra. Incantesimi di Mario Mieli [studio #3]” di e con Irene Serini, prodotto da Maurizio Guagnetti. Recuperando la formula del teatro antico che vede il pubblico seduto in cerchio, l’attrice, quasi compiendo una seduta spiritica, ha rievocato le domande care a Mieli che più dividono la società contemporanea in tema di sessualità e identità di genere. Il suo monologo ha affrontato alcuni aspetti del pensiero rivoluzionario di Mieli che ha indagato il rapporto con la femminilità, l'identità di genere e il desiderio represso.

Spettacolo: Addio mia bella addio


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SOMS, 25 novembre: Giornata internazionale dell'eliminazione della violenza contro le donne

La Luce e il Drago

“Ti picchio perché ti amo. Non lo capisci?” di Cristina Fenoglio

Scrivere - e parlare - di violenza contro le donne, in un contesto generale dove quello che giunge quotidianamente all’onor della cronaca è soltanto e sempre l’atto finale, non è affar semplice. Perché la violenza domestica e di genere è una piaga sottile e oscura che si insinua giorno dopo giorno in vite condivise. E’ un fenomeno trasversale che non conosce religione, razza o ceto sociale. E’ un malessere dell’animo di chi non riesce a trovare altre soluzioni che sopraffare l’altro, per farsi valere agendo violenza. E’ un drago dalla testa di fuoco che inghiotte tra le sue fiamme ogni scampolo di dignità, sogno e possibile resurrezione. Un mostro che vola sulla libertà altrui, impedendo di alzarsi a chi aggroviglia fra le sue spire ed ali castranti. Ma forse qualcosa contro quel drago, che non nutre rispetto per l’altro e per sé, si può provare a lanciare. Forse una piccola luce, che si accende anche nelle situazioni più buie e restituisce fiducia, può fare la differenza. In nome di tutto ciò e, per quanto piccolo sarà il nostro contributo, in occasione della giornata internazionale dell’eliminazione della violenza contro le donne,

Racconigi porta in scena uno spettacolo che vuol essere sia una testimonianza della drammaticità della situazione, sia del desiderio profondo di combattere il fenomeno, affinché questa palude acquitrinosa si risani quanto prima e tutt’intorno possano nascere nuovi germogli concreti di speranza. L’appuntamento è quindi per lunedì 25 novembre h 20,30 sul palco della felicemente neo-risorta Soms con il Comune - Circolo culturale Le Clarisse, l’associazione Mai + Sole, Progetto Cantoregi, l’associazione Tocca Noi, l’associazione Goccia dopo goccia e il gruppo di musica popolare Madamè, oltre al contributo di Serena Fumero e Pierbartolo Piacenza, che - tutti insieme - daranno vita al progetto (R)esistiamo Insieme. Uno spettacolo di letture, musica e riflessioni sul tema della violenza contro le donne, per creare un nuovo spazio - fisico e mentale - che vorremmo sempre più teatro di nuovi pensieri, consapevolezze ed azioni. Lungo una strada certamente ancora tortuosa, ma la cui direzione speriamo ci illumini ogni giorno tutti un po’ di più, passo dopo passo, ombra dopo ombra.

La FABBRICA DELLE IDEE 2009. Spettacolo teatrale "IL PRETE GIUSTO". Liberamente tratto dall'omonimo libro di Nuto Revelli


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RACCONTAMI...

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I racconti del faggio di Luciano Stella

Qualche tempo fa, abbiamo pubblicato in questa rubrica una storiella tratta da "Le storie del gufo" un libretto che avevamo recuperato dal nostro BookCrossing scritto e stampato in proprio da un signore di Racconigi che si firma Luciano Stella. Del medesimo autore, vi presentiamo ora un racconto tratto da una seconda raccolta di storie dal titolo “I racconti del faggio”, nella speranza che lo troviate di vostro gradimento. Tre adolescenti avevano costruito una casetta di legno tra le fronde di un faggio secolare e quel giorno avevano deciso di trascorrere il pomeriggio sull’albero, per eseguire alcuni lavori di consolidamento della parete nord del loro rifugio, che era stata in parte scardinata dall’ultimo temporale, quando ad un tratto… una voce rimbombò nella capanna “Svegliatevi!” Giulia si alzò di scatto guardandosi intorno, Paolo e Lorenzo si erano appisolati e sembrava non avessero udito nulla, chi aveva urlato in quel modo? Si affacciò dalla capanna e non vedendo nessuno disse ad alta voce “Chi c’è la sotto? Sei tu papà?" Non ricevendo risposta svegliò i due ragazzi i quali le confermarono di non essersi accorti di nulla. “Svegliatevi!” Ripeté allora la voce, che sembrava pronunciata da qualcuno presente all’interno della casa. I tre si guardarono in viso con evidente inquietudine, ora l'avevano sentita tutti quella strana esortazione che pur scaturendo dall’interno della baracca non sembrava provenire da un punto specifico, bensì occupava quel luogo interamente, quasi fossero state le pareti ad emanare l’incitazione. ….“Chi sei? E perché la tua voce ci giunge contemporaneamente da tutte le direzioni?" Puntualizzò Giulia. “Che sbadato! Perdonate la mia distrazione, io sono l’albero su cui avete costruito la vostra deliziosa casetta e la mia voce si avverte fra le mie fronde come se fosse pronunciata da ogni singolo ramo.” “Da quando in qua gli alberi parlano?" chiese Paolo piuttosto scettico. “Oooh, gli alberi sono dei gran chiacchieroni, le voci portate dal vento corrono veloci da un albero all’altro e si sentono storie incredibili che hanno avuto origine in terre lontanissime. Un vecchio albero come me ne ha sentite tante di storie, molte addirittura raccapriccianti, ma qualcuna, ogni tanto, era veramente piacevole da ascoltare.” “Perché non abbiamo mai sentito prima la tua voce?" ribatté Paolo. “Ed inoltre, perché fra tutte le persone che conosco, non ce n’è una che abbia udito almeno una volta la voce degli alberi?" aggiunse Giulia. “Perché noi non parliamo alle orecchie delle persone ma ai loro cuori e soltanto un cuore aperto e bendisposto nei confronti degli alberi puo ascoltare la loro voce." "Hai detto che conosci molte storie?” Intervenne ad un tratto Lorenzo, che dei tre era il più curioso. “Hai sentito bene ragazzo e se a

Scrive Stella: “Il filo conduttore di questa serie di racconti è la paura. La paura, così come citata da un personaggio delle mie storie, è il sentimento più dannoso che l’essere umano possa provare. Dannoso per se stessi oltre che per gli altri, perciò spero di essere riuscito a fornire sufficienti spunti affinché il lettore decida di allontanarla il più possibile dal proprio cuore”.

voi fa piacere stare a sentire la voce di questo vecchio faggio, potrei raccontartene qualcuna.” "In effetti, abbiamo lavorato sodo questo pomeriggio e ci stavamo quasi per appisolare, un po’ di riposo ci farà senz’altro bene” propose Paolo al resto della compagnia “E poi non mi era mai capitato di ascoltare storie raccontate da un albero” aggiunse Giulia “Io non vedo l’ora!" esclamò Lorenzo. …. Dovreste proprio ascoltare un’illuminante storiella che mi ha portato il vento giusto ieri mattina.”

Il risveglio

Giovanni andò a letto di buon’ora, non che fosse stanco o assonnato, ma perché l'indomani l’attendeva una giornata speciale. Aveva scoperto tardi la gioia delle passeggiate in alta montagna ma da quando era andato in pensione si era dedicato a questa piacevole attività con molto entusiasmo. Questa escursione l’aveva programmata da tempo, l’aveva attentamente studiata sulla cartina dei sentieri, ponderandone le difficolta: 1200 metri di dislivello rappresentavano un serio impegno per la sua età,

inoltre doveva considerare le otto o nove ore di percorso fra andata e ritorno che avrebbe compiuto in perfetta solitudine, attraversando luoghi a lui completamente sconosciuti. La passeggiata però offriva anche diverse aspettative, perché durante il percorso avrebbe attraversato una zona ricca di invitanti laghetti, disposti su piani diversi e le acque che fuoriuscivano dai laghi superiori si riversavano su quelli inferiori formando una curiosa rete di rigogliosi ruscelli. Una volta giunto alla meta si sarebbe trovato al centro di una zona molto spettacolare, infatti, raggiunta la ragguardevole altezza di 3000 metri, volgendo lo sguardo a trecentosessanta gradi avrebbe potuto ammirare le più alte cime d`Europa. Il servizio meteorologico prevedeva per il giorno seguente bel tempo su tutta la regione, con cielo terso ed una leggera brezza che lasciava presagire paesaggi incredibili e sguardi infiniti. Il mattino successivo Giovanni si svegliò presto perché doveva percorrere un considerevole tratto di strada a bordo della sua auto prima di raggiungere l'inizio del sentiero. La prima cosa che realizzò appena sveglio fu la strana posizione che aveva assunto il suo corpo nel letto, sembrava che durante la notte avesse lottato con un animale feroce, le gambe erano avvinghiate alle lenzuola e ritratte verso il bacino, la testa era finita sotto il cuscino, le braccia larghe facevano pendere le mani fuori del letto, inoltre percepiva un acuto dolore ai muscoli per la prolungata tensione cui erano stati sottoposti durante il sonno. Lentamente riacquistò l'uso del suo corpo rilassando gli arti irrigiditi, poi depose a fatica il capo sul cuscino e quando il sangue riprese a circolare liberamente si alzò dal letto. Andò in bagno e dopo aver provveduto ai bisogni più impellenti si fiondò sotto la doccia. Il contatto dell'acqua fresca sul suo corpo cancellò di colpo gli ultimi residui di sonnolenza e quando fu di fronte allo specchio, con il viso pieno di sapone e la lametta in mano, ci mancò poco o nulla che si mettesse a cantare a squarciagola ma, fortunatamente per i suoi condomini, si ricordò in tempo che erano appena le cinque e mezza del mattino. Andò in cucina, accese il fornello e ci pose sopra un pentolino d`acqua per la sua tisana, prese una tazza e ci mise dentro un cucchiaino colmo di miele, tirò fuori dalla dispensa un pacchetto di biscotti e lo posò sul tavolo, poi prese lo zaino, che aveva scrupolosamente preparato la sera prima, riempì d`acqua la borraccia e in una tasca laterale inserì due pezzi di cioccolato, una fetta di pane e della frutta.


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Fece colazione in fretta, quindi si diresse alla finestra e spalancò le persiane. Era l’alba, seppur nel debole chiarore il cielo appariva terso e cristallino, le previsioni, almeno per il momento, si erano dimostrate esatte. Fece un respiro profondo come a voler inalare dentro di sé il mondo intero e all'improvviso, in modo del tutto inaspettato, si ritrovò incomprensibilmente di nuovo nel suo letto. Il corpo gli doleva tutto, avvertiva dei crampi ai polpacci, la testa era sotto il cuscino e le lenzuola arrotolate alle gambe ne impedivano il movimento. Lo stordimento era completo. Giovanni non capiva più niente, la sorpresa fu talmente devastante che faceva una gran fatica a formulare anche il più semplice pensiero. Rimaneva in quella scomoda posizione nel timore di ciò che avrebbe potuto ancora accadergli, eppure ricordava tutto, si era alzato, era andato in bagno, aveva persino fatto colazione ed ora era di nuovo lì nel suo letto, nell’identica posizione in cui si era svegliato la prima volta. Ad

Cin

Cinema JOKER

di Cecilia Siccardi

Gotham City, 1981. In una città sporca, invasa dai ratti, preda di un profondo degrado, le diseguaglianze sociali non fanno che aumentare: il divario tra ricchi e poveri cresce, alimentando un fe-

Lib

Libri di Michela Umbaca

"Era Lo, semplicemente Lo al mattino [...] Era Lo in pantaloni. Era Dolly a scuola [...] Ma tra le mie braccia era sempre Lolita". Pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1955, Lolita è forse uno tra i romanzi all'interno del panorama letterario contemporaneo ad aver suscitato scalpore per la trattazione del tema amoroso in una chiave anticonformista. L'incipit della narrazione, come del

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un certo punto il dolore vinse la paura e con estrema lentezza cercò di muovere le proprie membra per acquisire una posizione più consona. Appena ne fu in grado guardò la sveglia, segnava le cinque, si alzò, andò in bagno e nel compiere quegli atti gli sembrò di rivivere esattamente le medesime esperienze. Era evidente che prima, pur essendo pienamente convinto di essersi svegliato, in realtà stava ancora dormendo, quindi aveva sognato di svegliarsi e di eseguire tutte le azioni che aveva compiuto e solo il secondo risveglio lo aveva posto di fronte alla realtà. Eppure era turbato, com`era potuto accadere di sognare di svegliarsi in quella strana posizione che in realtà aveva assunto il suo corpo durante il sonno? Poi improvvisamente fu colpito da uno strano pensiero “E se stessi ancora sognando? In fin dei conti, dopo aver vissuto quest’incredibile esperienza, chi mi può assicurare di essermi veramente svegliato questa volta? Del resto solo il secondo risveglio nel letto mi ha

potuto confermare che l’esperienza precedentemente vissuta appartenesse al mondo dei sogni. E se da un momento all'altro mi dovessi risvegliare in un altro letto, in un altro mondo? In quel caso avrei la certezza che tutta la mia vita non sia stata altro che un sogno.” … i tre si guardarono in faccia …ecco un`altra domanda destinata per il momento a rimanere senza risposta. Guardarono le fronde del faggio che erano cullate dolcemente dalla brezza della sera e per un attimo sembrò loro di udire ancora la sua voce, poi scesero in fretta dall’albero e si avviarono verso casa. Il sole era appena tramontato e tra i rami del loro vecchio amico avevano appena trascorso il pomeriggio più straordinario della loro giovane vita.

roce risentimento e senso di ingiustizia tra le fasce più basse della società. Arthur Fleck appartiene sicuramente alla categoria degli ultimi. Affetto da gravi disturbi neurologici e da una perenne depressione, vive in un misero appartamento con la madre malata nei bassifondi della città. Sogna di diventare un cabarettista, come il suo idolo Murray Franklin. In realtà, però, lavora come clown, non avendo il talento necessario per realizzare le sue aspirazioni: anzi, sembra esserci una incomunicabilità di fondo fra lui e gli altri, che lo porta ad uno stato di quasi totale alienazione. Quando vengono attuati pesanti tagli alla spesa pubblica e ai servizi sociali, Arthur rimane privo dell'assistenza psichiatrica di cui ha bisogno, iniziando una lenta e inesorabile discesa negli abissi della follia. Joker, diretto da Todd Philips, è indub-

biamente il film del momento: dopo aver vinto il Leone d'Oro a Venezia, sta facendo benissimo al botteghino (è il film vietato ai minori di 14 anni con l'incasso più alto di sempre) ed è stato accolto da recensioni generalmente positive, perfino entusiastiche. Non mancano però le critiche, rivolte soprattutto alla morale del film e alla visione della società che esso offre. Ciò su cui tutti concordano è lo spessore della prova attoriale di Joaquim Phoenix, protagonista nei panni di Arthur Fleck/Joker: la sua interpretazione della discesa agli inferi del clown triste e incompreso che diventa una pericolosa mente criminale è stata ampiamente elogiata e riconosciuta come la punta di diamante del film. Viene da chiedersi se Joker avrebbe avuto lo stesso successo con un attore diverso, o se in effetti il film si regga forse un po' troppo sul suo prota-

gonista, risultando debole dal punto di vista del racconto e della morale, che potrebbe essere giudicata a tratti semplicistica. Sicuramente da vedere.

resto del romanzo intero, è narrata in prima persona attraverso le pagine struggenti del protagonista: una vera e propria confessione da cui emerge una rassegnazione per un amore morboso e alienante quale quello per la nostra Lolita. Humbert, infatti, è un insegnante parigino trasferitosi negli Stati Uniti a seguito della morte di un lontano parente, la cui eredità - una società di profumi - finisce per allontanare definitamente l'uomo di lettere dalla cattedra di Parigi. Humbert - Humbert (come spesso ama citarsi nel romanzo) è un uomo sulla quarantina, legato e tormentato dalla scomparsa del suo primo amore, Annabel, morta precocemente di tifo all'età di tredici anni. Questo avvenimento fa scaturire nel professore una vera e propria pulsione, propensione - quasi freudiana - a rivivere le gioie amorose passate, ricercandole in quelle che lui stesso definisce "ninfette", ossia giovani donne con le quali rifugiarsi da un destino ingiusto. A Ramsdale, una cittadina nel New England, vivono la giovane Lolita (Dolores Haze), insieme alla madre vedova Charlotte Haze: l'incontro tra i due amanti è immediato e, per la sua

"atipicità" ostacolato dalla distanza anagrafica e sociale. I due, infatti, ricorrono necessariamente a diversi espediente per fingersi padre e figlia agli occhi degli estranei, per poi riscoprirsi, di nuovo amanti, tra le lenzuola di un letto di un motel sperduto del Midwest. Lolita non è certo il tipico romanzo rosa alla Jane Austin. Lolita è qualcosa di più. É tutto ciò che c'è di sbagliato nell'Amore, ma, al contempo, è tutto ciò che rende l'Amore un sentimento vero, privo di fronzoli e poesia spicciola. La duplice valenza ontologica di questo imprevedibile e ineffabile sentimento umano, altro non è che la vera essenza di Humbert: un uomo imprigionato in un'idea di Amore sbagliata, inaccettabile agli occhi del lettore, ma pur sempre necessaria all'essere umano. Lolita è un'idea di Amore che Na-

bokov contestualizza attraverso uno stile che non ha niente a che vedere con lo scabroso e il pornografico ed è forse grazie a questa sua capacità linguistica e narrativa che i lettori di Lolita percepiranno dalle sue pagine le mille sfumature con le quali l'essere umano può colorare la sua esistenza.

Vladimir Nabokov “Lolita” 1992, Pp. 395, € 10,20 Adelphi Edizioni SpA Milano


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Musica CROBOT di Giuseppe Cavaglieri

Da quando sono nati nel 2011, i Crobot – formati da Brandon Yeagley (voce, armonica), Chris Bishop (chitarra, voce) e Dan Ryan (batteria) – si sono costruiti una reputazione nel rock d’avanguardia. Dopo il loro debutto del 2012, “Legend of the Spaceborne Killer”, e l’album “Something Superna-

tural” del 2014, i Crobot hanno iniziato a farsi conoscere sulla scena internazionale con “Welcome To Fat City” del 2016. Alla fine del 2017 la band ha iniziato a scrivere quello che sarebbe diventato “Motherbrain”. Dopo essere stato messo sotto contratto dalla Mascot Records, il gruppo è entrato in studio con il produttore Corey Lowery (Seether, Sevendust, Saint Asonia) che li ha aiutati di abbracciare il lato più dark dando vita ad una registrazione molto intensa e potente. «Penso che sia un disco molto più scuro, musicalmente, liricamente e tematicamente – afferma Brandon – È uno dei materiali più pesanti che abbiamo mai fatto, ma è anche uno dei più divertenti. Stiamo allargando ancora di più lo spettro dei Crobot». Il primo singolo estratto dall’album, “Low Life”, scritto da Johnny Andrews (Three Days Grace, Halestorm, All That Re-

mains), mostra bene questa loro nuova e più ampia tavolozza espressiva. Con chitarre robuste e un ritornello accattivante, la band offre un brano audace, fuori dai suoi canoni ma ben radicato nel linguaggio rock. «Quando le persone lo sentono, spero che dicano: Sì, sono i Crobot – afferma Brandon – Vogliamo mantenere la nostra identità e sempre essere genuini. Ci evolveremo, ma restando sempre Crobot». In questi giorni i Crobot stanno scalando la Active Radio Rock Charts e Billboard/BDS americana con il loro secondo singolo "Low LIfe" estratto dal nuovo

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album Motherbrain. La matrice Groove Rock scanzonata e l'ironia dei testi e del video rimangono i punti forti della band assieme al ritmo funkeggiante ed ai ritornelli ipnotici…un assaggio di vita da bassifondi made in Usa.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Ancora uno spazio con persiane chiuse da tempo sopra il negozio di abbigliamento. Un tabaccaio con una grata abbassata ma forse è una campagna contro il fumo? Vado ancora avanti verso la chiesa di San Giovanni, per non annoiare oltre metto solo in evidenza l’intero edificio completamente abbandonato: quello esattamente di fronte alla banca. Per non finire piangendo, c’è anche un cantiere aperto di fronte al verduraio: un atto di coraggio! Tutto ciò mi induce a qualche riflessione. La prima è banale: non si può “costringere“ un privato a restaurare la propria casa nonostante esistano incentivi grazie agli sgravi fiscali. Ma se esistono terreni fabbricabili a disposizione è difficile che qualcuno affronti una ristrutturazione in centro con tutte le difficoltà annesse. Certo, tra gli interventi di piazza Roma (per esempio) fatti negli anni 60 (li vedete no?) ed una lunga serie di vincoli che rendono complesso un intervento da fare ora, di distanza ne passa! Un’altra riflessione riguarda gli esercizi pubblici, negozi che hanno chiuso in Racconigi, perché? Che cosa ha reso non

più redditizio tenere il negozio aperto? La “storia” della chiusura del centro storico non credo tenga, visto che molte realtà vicine a Racconigi hanno bellissimi esercizi commerciali (quindi privati) con un’ottima apparenza. Pertanto credo che i motivi siano da cercare in altri ambiti. Io penso che l’amministrazione possa incentivare gli esercenti a tenere almeno le luci accese; sia quelle del negozio sia quelle del Comune potrebbero essere accese di fronte all’esercizio per rendere vive le vie che ora hanno più l’aspetto di un quartiere medievale che di una cittadina pulsante di energia. Anche l‘orario del negozio potrebbe essere reso più interessante per la clientela. È chiaro che tutto questo necessita di uno studio profondo e un po’ di elasticità nelle regole. Questo non significa che chi si impegna in una ristrutturazione o nell’apertura di un esercizio commerciale non debba avere un giusto controllo ma significa fare in modo che il cittadino si senta aiutato ed accompagnato nel suo impegno a rendere l’edificio, o le vie, vivibili per sé e preziosi per l’ambiente che lo circondano anziché avere la sensazione che esistano solo impedimenti risolvibili con grossi

impegni economici o burocratici, spesso quasi insormontabili. Insomma, credo che un ambiente apparentemente abbandonato induca ad ulteriori abbandoni e a trascuratezze nella pulizia e nella gestione della vita pubblica. La sensazione di una città morta non aiuta le persone ad essere ottimiste, propositive e progettuali, ma piuttosto a chiudersi in casa o ad uscire per cercare in altri paesi ciò che non trovano qui. Anche per questo ho un’estrema fiducia in ciò che potrà

portare l’apertura della nuova SOMS; ovviamente questa non deve restare una realtà isolata, ognuno può e deve concorrere con le proprie energie e potenzialità allo sviluppo e alla rinascita della città. Da parte nostra, un applauso entusiasta che faccia sentire che siamo vivi. a cura di Rodolfo Allasia


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