INSONNIA Novembre 2018

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1948 - 2018

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 108 Novembre 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Un giro in carrozzina

Diamo il bentornato agli allievi dell’istituto Arimondi-Eula di Racconigi nelle pagine di insonnia. Questo editoriale però non è uno scritto che vuole lodare o adulare le nuove generazioni ma che tenta di salvare quelle vecchie ormai così tanto bistrattate. Dagli anni ottanta, o anche prima, non si fa che esaltare il nuovo che Un giro fatto assieme a persone disabili, per comprendere avanza, il cambiamento che sorride al futuro, le novità che salva- le difficoltà e la fatica di muoversi in carrozzina, provanno il mondo dalla caduta e potrei do l’esperienza di persona continuare con sfilze di slogan che a cura della Redazione hanno molto del luogo comune. C’è stato un momento in cui una carica istituzionale per avere un Abbiamo voluto valore doveva essere giovane; provare noi della iniziava un processo che è andato redazione a capire crescendo e non sembra ancora cosa significa per un essere terminato: avere il parla- disabile muoversi in mento più giovane dell’Europa, Racconigi, spostarsi il primo ministro più giovane, un da una via all’altra, presidente imberbe è qualcosa di andare in un bar molto prestigioso. piuttosto che in un Invece io credo che le cose vecchie siano ancora preziose: il Ponte negozio, o prendere Vecchio, le vecchie mura, i vecchi il treno o andare al manoscritti, non mi richiamano cimitero. Abbiamo l’idea di morte, al contrario qual- voluto provare di persona, sedendoci cosa di semprevivo. A me sembra che questi reper- su una carrozzina e ti garantiscano un futuro solido affidando la nostra più di quanto non lo facciano i mobilità ad un altro, giovani marines o un gruppo di ad affrontare la fatica adolescenti più suscettibili di av- (fisica) dello spostarvizzimento e perdita di qualità si, affrontare le insidie della strada e le barriere che fino a quando non ti che una vecchietta che si affanna siedi su una carrozzina, non riesci a vedere e capire fino in fondo. con la borsa al mercato. Sia star seduti sulla carrozzina, sia guidarla non è assolutamente una Al vecchio affianco l’idea di ani- passeggiata. segue pag. 3 ma quasi che siano due concetti inseparabili. Pensiamo ai vecchi oggetti da cui è difficile separarsi: un maglione, un paio di jeans, un coltello, una penna stilografica, la mia vecchia casa… tutte queste cose e altre, per ognuno la propria, per noi possiedono una vitalità che consola. Abbiamo bisogno delle vecchie cose, consolatorie, cose che hanno di Guido Piovano un’anima. Non posso disgiungere l’anima Sentiamo ancora l’eco dal vecchio o intendere l’anima delle cerimonie che senza la sensibilità per il vecchio. hanno celebrato il 4 Anche se l’oggetto è sbeccato, lonovembre 1918, data gorato dall’uso, con inferiori prein cui l'Italia uscì "vitstazioni rispetto ad un tempo ma toriosa" dalla prima con una patina che solo il tempo guerra mondiale. Con può dare, con una semplicità comolta retorica si instruttiva che solo la mancanza neggia alla “vittoria” di tecnologia ha potuto portare e restano molte cose a questo fantastico risultato, io non dette. ritengo questo oggetto “indispensabile” per me.

METTERSI NEI PANNI DI UN DISABILE TRA FATICA E INSIDIE

4 novembre: Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate

Una “vittoria” da dimenticare

Cento anni fa si concludeva la Grande Guerra

segue pag. 16

segue pag. 2

ALLARME PICCIONI

Corriamo ai ripari di Rodolfo Allasia

Alcuni mesi fa abbiamo pubblicato un articolo che segnalava il grave problema dei piccioni a Racconigi riportando ampi stralci di un protocollo regionale che faceva seguito ad uno studio portato avanti da Gabriella Vaschetti. Abbiamo capito che il problema è molto grave e senza un piano coordinato a livello comunale (se non su una scala ancora maggiore) non è pensabile di poterlo risolvere. Tralasciamo ancora le eventuali dispute tra chi vorrebbe in qualche modo far sparire questi animali o perlomeno ridurne la quantità ed i difensori di qualunque specie animale (anche se la anomalia della crescita di certi gruppi è decisamente pericolosa per l’uomo ed è stata provocata da incuria e cambiamenti di stili di vita del genere umano in prima linea). Ho avuto modo di fare una chiacchierata con un giovane che vive in Racconigi e oltre al lavoro come decoratore e manutenzione di opere murarie in piccola scala si occupa di allontanamento di animali infestanti e disinfestazioni da insetti nocivi. Riporto brevemente il suo parere. “È noto che gli uccelli infestanti sono veicoli di diffusione di diverse malattie e di alcuni insetti infestanti. Gli esseri umani possono ad esempio lamentare sintomi simili a quelli dell'influenza, causati da spore presenti nelle deiezioni degli uccelli.

segue pag. 12 IL DILEMMA DELLA DOMENICA

Scuola: la Bellezza

Mozzarella da Re

NAMIB

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4 novembre: Giornata dell'Unità Nazionale e delle Forze Armate

Una “vittoria” da dimenticare segue dalla prima

Nessuna retorica s’intravedeva nel messaggio dell’anno scorso del Presidente Mattarella: “Il 4 novembre celebriamo la conclusione della Grande Guerra, una tragedia che causò enormi sofferenze all'intero continente europeo e provocò lutti in ogni zona d'Italia. Una catastrofe voluta dagli uomini e che, pur nelle sue immani proporzioni, non riuscì ad evitare nel

è d'un vile obiettore di coscienza ma d'un Papa)”. Qui don Milani andava addirittura oltre rispetto a Mattarella, fino a mettere in discussione lo stesso concetto di Patria. Sul tema lo storico Alessandro Barbero ebbe a scrivere: “La prima guerra mondiale costò all'Italia 650 mila morti e un milione di mutilati e feriti, molti di più di quanti erano gli

secolo scorso un altro conflitto mondiale e guerre regionali che hanno continuato a devastare l'Europa". C’è in queste parole la consapevolezza di una guerra che poteva e doveva essere evitata e che con 14 milioni di morti ha portato immane dolore in tutta l’Europa. In sintonia col Presidente era don Milani che nel 1965 nella sua risposta ai cappellani militari in congedo della Toscana, scriveva : “… siamo al '14. L'Italia aggredì l'Austria con cui questa volta era alleata. Battisti era un Patriota o un disertore? È un piccolo particolare che va chiarito se volete parlare di Patria. Avete detto ai vostri ragazzi che quella guerra si poteva evitare? Che Giolitti aveva la certezza di poter ottenere gratis quello che poi fu ottenuto con 600.000 morti? Che la stragrande maggioranza della Camera era con lui (450 su 508)? Era dunque la Patria che chiamava alle armi? E se anche chiamava, non chiamava forse a una «inutile strage”? (l'espressione non

abitanti di Trento e Trieste, i territori ottenuti con la vittoria della guerra, che erano già stati promessi all'Italia dall'Austria in cambio della non belligeranza”. La si smetta, allora, di inneggiare alla vittoria, si prenda finalmente e in modo definitivo coscienza del fatto che “La festa del 4 novembre fu una ricorrenza istituita dal fascismo per trasformare le vittime di una guerra spietata e non voluta in eroi coraggiosi che si immolavano per la Patria. Furono costruiti monumenti ai caduti e agli insegnanti fu chiesto di celebrare le forze armate. Questa eredità non è stata sufficientemente sottoposta a critica con l'avvento della Repubblica” (www.peacelink.it). E dunque, oggi nel centesimo anniversario dell’evento, ci sembra giunto il momento di dire, con assoluto rispetto per i morti, che essi sono caduti in una guerra inutile, per una causa sbagliata e per le mire di grandezza di uomini non degni di essere ricordati come patrioti.

Psy & Psy

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di Luciano Fico

Le due porte d’ingresso se ne stavano l’un l’altra vicine, non senza un certo qual compiacimento. Su quel pianerottolo al primo piano, a sinistra si poteva entrare nell’abitazione e nello studio dello psichiatra mentre a destra si entrava nella casa di Enrico, che dello psichiatra era stato paziente anni prima. Quando lo psichiatra aveva traslocato in quell’alloggio, Enrico era scoppiato in una grande risata e aveva sentenziato: “Mettiamo due cartelli sulle porte: Psichiatra e Psichiatrico!!!” Dopo alcune settimane i due erano diventati amici e scoprirono, che sarebbe stato difficile piazzare quei due ipotetici cartelli al posto giusto; non tanto il primo per evidenti motivi, quanto il secondo, che non sembrava più così distinto dall’altro. Vivevano da soli entrambi ed amavano la riservatezza. La solitudine, però, non piace a nessuno e scoprirono che la si sente molto meno mangiando una delle pantagrueliche paste al pomodoro e peperoncino, che Enrico cucinava senza lesinare sul condimento, soprattutto se il tutto veniva diluito da una bottiglia o due di vino buono. Dopo cena poteva esserci un film oppure la musica a tutto volume: quelle volte in cui il vino fu particolarmente buono si ritrovarono a ballare come due orsi nella stanza. Quelle volte erano due bambini che giocavano, uno di 120 kg con le mani grandi come badili e l’altro che pesava la metà,

ma portava una serissima barba grigia proprio attorno al suo sorriso. Enrico si portava dentro un mondo scuro di sofferenza e cercava di rischiararlo con la fede in Dio e con la preghiera. Una sera pregarono anche insieme: Enrico recitando il Rosario e lo psichiatra nel silenzio della meditazione. Un giorno, in montagna, Enrico rimproverò lo psichiatra, che aveva rotto la sua ennesima relazione: “Prego Dio che apra il tuo cuore…hai solo bisogno di tenere il cuore aperto…” Non fu un rimprovero severo, ma attecchì da qualche parte nelle profondità di quell’uomo, che conosceva molte cose dell’animo umano, ma ben poche del proprio cuore. Altre volte fu Enrico a cercare conforto nell’amico, non trovando la strada per arrivare alla gioia di un amore forte e rispettoso: certi cartelli le donne li vedono anche se non sono esposti e così giravano al largo da quell’omone dal cuore grande, ma dai modi poco ortodossi. Dopo sei anni di vicinato e di amicizia, lo psichiatra cambiò casa. Ora siede nella sala della sua nuova casa e ascolta il silenzio intorno a lui. Una profonda tristezza lo ha riempito. Gli hanno appena detto, per telefono, che Enrico è morto. Il cuore dell’omone si è schiantato, ha ceduto di colpo. Ora dei due amici rimane un cuore solo e la preghiera di Enrico al suo Dio per farlo aprire.


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Un giro in carrozzina

METTERSI NEI PANNI DI UN DISABILE TRA FATICA E INSIDIE segue dalla prima

“Aspettare che qualcuno ti sposti, dipendendo in pieno da lui/lei è come sentirsi impotente, allora io che mi so muovere, istintivamente provo ad aiutarlo, ma non devo perché mi devo immedesimare in chi non può muoversi ed allora mi sento in balia del mio accompagnatore, ho fiducia in lui ma sento il suo sforzo. Condurre una persona cara con questo tipo di veicolo fragile è una responsabilità non indifferente, si teme di causargli un danno ed allora il tuo sforzo per mantenere il massimo equilibrio cresce, si suda, aumenta il battito cardiaco ed il respiro si fa sempre più breve. Un escamotage è ricercare il percorso meno accidentato e fai proseguire la carrozzina in un percorso a continui cambia-

menti di direzione e al trasportato viene quasi la nausea. Lunedì era una bella giornata di sole, non immaginiamo quando il tempo è inclemente!” Volevamo elencare quali sono gli ostacoli e le barriere architettoniche; abbiamo constatato che il suolo pubblico è una barriera architettonica per questo tipo di veicoli, ma solo se si sperimenta il ruolo di guidato e di guidatore è possibile rendersi conto del disagio fisico e psicologico che si incontra; non è stata una pagliacciata spettacolare la nostra, solo così abbiamo potuto provarne le sensazioni. Abbiamo fotografato molto e in questo numero il racconto fotografico è frutto di questa esperienza.

IL PERCORSO Riportiamo un breve estratto del resoconto del “giro in carrozzina” che abbiamo trascritto direttamente dalle registrazioni audio effettuate nel corso dell’esperienza in modo che il lettore si possa rendere conto di come abbiamo proceduto. Hanno partecipato: - gli operatori Luca e Margherita del Centro Alambicco con i ragazzi Alessandro e Andrea in carrozzina; - Roberta col bimbo Gabriel nel passeggino; - gli “Insonni” Giancarlo, Guido e Rodolfo che si sono alternati nel ruolo di conduttori di carrozzina, “disabili” in carrozzina e accompagnatori di Michela; - gli “Insonni” Giacomo e Giancarlo nel ruolo di addetti alla documentazione fotografica ed alla registrazione audio. Con A è indicata la carrozzina con su un nostro operatore, con B la carrozzella di Michela. I riferimenti ad A valgono in genere anche per le carrozzelle di Alambicco.

Via Levis – via Mayineri Provenendo da Piazza degli uomini, saliamo sul marciapiede ovest di via Levis e lo seguiamo senza particolari difficoltà. Il bar sulla destra non è accessibile per la presenza di tre gradini. Problemi di accesso anche dal panettiere, un gradino. La discesa per svoltare in v. Mayneri non presenta difficoltà. Svoltiamo nella

v. Mayneri, che appare abbastanza sconnessa. Via Ormesano - Poliambulatorio Prendiamo v. Ormesano e ci dirigiamo verso il Poliambulatorio. A ha difficoltà a imboccare il marciapiede di v. Ormesano, B non ci riesce (in sintesi, la maggior parte dei marciapiedi non sono accessibili per B). Raggiungiamo il Poliambulatorio, imbocchiamo agevolmente la rampa del percorso protetto, salita un po’ faticosa ma senza problemi, anche per B, entriamo con un po’ di difficoltà, percorriamo corridoio e arriviamo agli sportelli. Non verifichiamo l’ascensore, ma dovrebbe essere accessibile. Via Levis Da v. Ormesano, il marciapiede ovest di v. Levis si percorre abbastanza agevolmente anche se le vibrazioni sono piuttosto fastidiose. Anche B passa. Passiamo sul marciapiede est, che si presenta con strettoie non facilmente percorribili. In certi tratti A passa appena, ma B no e non si può evitare il pensiero spiacevole che alla minima disattenzione una ruota possa finire fuori dal marciapiede

con rischio di ribaltamento della carrozzella. Davanti alla parafarmacia il marciapiede diventa molto stretto, A passa appena, B di nuovo no ce la fa. Proseguendo, nuova strettoia e difficile attraversamento di passo carraio con scivolo più scalino dove si rischia rovesciamento carrozzella; solo al secondo tentativo ci riusciamo, ma in ‘retromarcia’ e trovandoci così a procedere poi in retromarcia perché sul marciapiede non è possibile fare inversione. Alla fine diventa inevitabile rinunciare al marciapiede e marciare in mezzo alla strada, come normalmente fa Alambicco con i propri ragazzi, non senza problemi soprattutto quando c’è più traffico o affollamento. B in sostanza non può disporre dei marciapiedi di questa via e la sede stradale non è certo ampia… Dalla Stazione al Cimitero Qui siamo rimasti soltanto con la carrozzina di Michela. In v. Circonvallazione il marciapiede lato ovest è in genere percorribile per quanto con fondo ondulato ma non sconnesso. All’incrocio con v. Oddone il marciapiede però ha termine ed è gioco forza procedere sulla sede stradale (e qui le auto vanno veloci). In fondo alla via giriamo verso il Cimitero. Non c’è attraversamento pedonale. L’attraversamento dei binari è abbastanza agevole. Entriamo nel Cimitero senza problemi. Bene la percorribilità della zona lastricata. Prendiamo a sinistra e incontriamo la ghiaia, faticosa ma non impossibile. Arriviamo con un po’ di fatica alle “pagode”. Qui gli scalini a scendere e a salire rendono impossibile l’accesso ai loculi. Ci dirigiamo al cimitero nuovo e subito la ghiaia, particolarmente spessa, rende impossibile il proseguimento. Tornia-

mo dunque indietro e prendiamo Via S. Maria dove dopo il primo tratto con marciapiede sufficientemente largo, proprio in corrispondenza di un restringimento della sede stradale, siamo costretti a procedere sulla carreggiata in modo assai pericoloso. ITINERARIO 1 CENTRO Alambicco Via M. Roda - Uff Postale Via Reg. Margherita – Bar Plaza Pz. Castello – Cortile del Castello Via Costa, Via Govean – Studio Ellena Via Priotti – Monica pane Via Ormesano – Poliambulatorio Via Levis – Panetteria, Bar Centrale Via Mayneri, pz. Castello – Municipio Pz. Castello – Tabaccheria, Rampa Sismonda Portici Via Morosini – Farmacia Maritano – Barbiere Via Morosini – Bar Dolomiti Pz. Degli Uomini – Caffè Commercio, Pasticceria Mille Baci Pz. Roma – Banca BMP Via St. Tempia – Farmacia Barberis Pz. Maria Pia – Studio Gazzera Via M. Castelli – Studio Pacetti Pz. San Giovanni – Bar Savoia, CRT, Biblioteca, Museo della seta Via A. Spada – Farmacia Quaglia ITINERARIO 2 Crocicchio del Peso - Panetteria Via San Domenico – Bar Imperiale Pz. IV Novembre – Ciaburna dei giardinetti Via P.essa di Piemonte – LIDL Pz. Stazione – Ai binari Via Circonvallazione – Attraversamento Binari – CIMITERO Via Santa Maria


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Un giro in carrozzina

Alcune impressioni degli operatori dell’Alambicco

Un giro in carrozzina

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Le impressioni di Michela di Michela Della Valle

a cura di Margherita e Luca, operatori del Centro Alambicco

Dopo 10 anni di lavoro al Centro ci siamo resi conto che la routine ci ha portati ad ignorare certi aspetti che si sono invece evidenziati in poche ore. Di giorno in giorno, uscendo per le vie del paese con i nostri utenti, abbiamo acquisito la consapevolezza che, per un disabile in carrozzina, le strade e i marciapiedi di Racconigi risultano non del tutto adatti. Il nostro compito è stato quello di rendere il momento dell'uscita più confortevole e con meno disagio possibile, trovando delle soluzioni tipo il camminare sulla strada o fare un tragitto più lungo, per arrivare a destinazione, perché quello più corto è pieno di buche.

Il confronto con i non “addetti”, che hanno fatto il giro con noi, è stato utile perché ci ha dato la possibilità di riscontrare alcune difficoltà e alcune sensazioni che, guidando una carrozzina, è impossibile percepire, tipo le vibrazioni che rimanda il porfido alla schiena e quelle di vuoto che si hanno inciampando nelle varie buche. Ringraziamo di cuore la redazione di Insonnia che ci ha individuato come realtà con cui condividere questa esperienza e Michela Della Valle che, facendo la passeggiata con noi, ci ha messi a conoscenza di altre difficoltà riscontrate in luoghi che per il momento noi del Centro non abbiamo avuto modo di frequentare.

Per prima cosa dico grazie agli operatori di Insonnia perché questa esperienza mi ha dato la gioia di capire che qualcosa che ho sempre pensato non si potesse fare è invece possibile se si incontrano persone che hanno voglia di avere nella loro vita noi persone in difficoltà e di ascoltare la nostra testimonianza. Tra le cose che vorrei potessero cambiare in Rac-

conigi per noi disabili cito la possibilità di utilizzare i marciapiedi che invece sono troppo stretti e spesso sconnessi e la possibilità di accedere ai negozi, agli studi medici e ai siti pubblici come fanno i cristiani normali. Poi, mi piacerebbe poter far visita ai miei cari nel Cimitero Comunale.

Un giro in carrozzina

LE NOSTRE OSSERVAZIONI a cura della REDAZIONE

Al termine della nostra indagine possiamo evidenziare tutta una serie di problematiche relative ad aspetti specifici della percorribilità del territorio comunale. Le andiamo ad elencare: La fruibilità dei marciapiedi Quando ci sono, perché lungo non poche strade o tratti di strada sono del tutto assenti, i marciapiedi risultano per lo più stretti, con restringimenti improvvisi, presentano un fondo sconnesso, sono di difficile accesso per via di scalini di salita o di discesa senza rampa. Inoltre la loro percorrenza è condizionata sovente da taluni impedimenti più o meno occasionali che chi accompagna il disabile non può certo pensare di poter rimuovere, tipo: biciclette appoggiate al muro, pali della segnaletica, scatole Enel, mercanzia esposta dai negozi, scatoloni vuoti pronti per la raccolta differenziata, automobili parcheggiate provvisoriamente. Due sono le conseguenze: il rischio di ribaltamento della carrozzina e la necessità di utilizzare la sede stradale. Decisamente migliore per quanto riguarda il fondo è il marciapiede lastricato a lose. L’accesso a negozi, studi medici, uffici e locali pubblici, chiese… Bene l’accesso agli uffici Comunali, all’ufficio Postale e al Poliambulatorio,

bene anche l’accesso alle chiese che dispongono tutte di rampa apposita (ma la rampa di San Domenico è talmente ripida che solo con molta forza si può riuscire a farvi salire una carrozzina anche non troppo pesante). Non tutti gli studi medici sono raggiungibili da un disabile o da una mamma con carrozzina. Così pure per bar, caffè e ristoranti. Soltanto pochi negozi sono raggiungibili dalla carrozzina e questo può causare scoramento per chi rimane da solo in attesa fuori dal locale. Tutto questo rappresenta indubbiamente un peggioramento della qualità di vita del disabile ed una limitazione alla sua autonomia. Le vie a porfido del centro storico In genere il porfido non è il massimo per chi è costretto in carrozzina perché procura vibrazioni che provocano in breve tempo il mal di schiena. Se poi si aggiungono buchi e tombini non proprio “a filo”, la situazione si complica ulteriormente ed aumenta il disagio. Decisamente migliore la percorrenza delle piazze Castello e S. Giovanni il cui porfido è di recente realizzazione. Le vie asfaltate del centro storico Per chi è in carrozzina ed è costretto a percorrerle, data l’inadeguatezza dei marciapiedi, sono un vero disastro a causa di un fondo stradale che ha subito

una serie infinita di rimaneggiamenti. E questo in aggiunta al naturale pericolo che deriva dal dover contendere il passaggio ad auto, motorini e biciclette. L’accesso alla stazione ferroviaria Una carrozzina può accedere ai binari per ricevere qualcuno in arrivo, può prendere il treno per Torino ma non può assolutamente andare verso Cuneo o Savona, infatti il sottopasso pedonale rappresenta un ostacolo insormontabile. Questa ci sembra oggettivamente una limitazione inaccettabile. La visita al Cimitero Comunale Bene tutta la parte lastricata ed i campi del cimitero vecchio, è invece impossibile andare a far visita ad un congiunto che si trovi in un loculo delle “pagode”. Il cimitero nuovo, poi, è impossibile da raggiungere per via di un fondo ghiaioso che rappresenta un vero e proprio ostacolo per una carrozzina appena un po’ pesante. Anche queste sono limitazioni da superare al più presto. COSA DIRE PER CONCLUDERE? È chiaro che le cose, per quanto riguarda la problematica che abbiamo voluto indagare, non vanno bene ed è altrettanto evidente che occorra provvedere.

Siamo tuttavia coscienti del fatto che il paese che abbiamo incontrato nel nostro giro non è frutto di un unico disegno, ma di interventi successivi effettuati in epoche diverse con poca organicità. Una cosa la possiamo dire, però: la viabilità del paese è stata a suo tempo pensata con scarsa attenzione al problema del superamento delle barriere architettoniche e, forse, con scarsa sensibilità al tema della parità di diritti da garantire a chi è in difficoltà. Su questo ci dobbiamo interrogare tutti, ma oggi si impone un piano, anche dilazionato nel tempo, per restituire pari dignità a chi lo chiede. Ci permettiamo di rivolgere un appello all’autorità comunale, in spirito collaborativo ed esprimendo la nostra piena disponibilità: si metta mano al problema, nessuno pretende “tutto e subito” ed alcuni interventi sono più urgenti di altri, ma nel momento in cui si pensasse di rivedere la viabilità nel paese, non lo si faccia con occhio volto in modo esclusivo ad auto e automobilisti ma già in un’ottica di superamento delle barriere architettoniche, magari programmando un piano a lunga scadenza e di ampio respiro.


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IL DILEMMA DELLA DOMENICA

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Un progetto di legge di Lega e 5Stelle mette in discussione l’apertura festiva degli esercizi commerciali di Elisa Reviglio

Partiamo da una considerazione: in nessun Paese d’Europa l’apertura degli esercizi commerciali di domenica e nei giorni festivi è totalmente vietata. L’unico vincolo posto dall’Unione Europea è quello di concedere al dipendente un giorno di riposo dopo 6 di impiego, che però non necessariamente deve coincidere con un festivo. In Italia con il Decreto Salva Italia Legge 214/2011 si è provveduto alla liberalizzazione delle aperture garantendo la totale autonomia. È di questi giorni invece il progetto di legge di Lega e 5Stelle volto a mettere in discussione le aperture domenicali approvate dal Governo Monti. La questione è spinosa, perché se si guarda alla natura non puramente materiale del lavoro, vi è la necessità di garantire al dipendente diritti, riposo, rapporti famigliari in giorni particolari per la nostra cultura, quindi la necessità di riconoscere una dimensione umana e non solo economica. Questo è sicuramente vero, in fondo io sono cresciuta in un periodo in cui alla domenica si andava a fare una gita fuori porta e i negozi erano chiusi e sono sopravvissuta ugualmente. Mia mamma è sempre riuscita ad andare a fare la spesa e nessuno di noi è stato costretto ad andare in giro con le scarpe bucate perché non avevamo il tempo di andare a comprarle in settimana. Però è indubbio che lo stile di vita è molto cambiato in questi anni. Abbiamo lo stesso orario di lavoro, ma magari non lavoriamo più dietro

casa e abbiamo dei tempi di trasferta che incidono, i nostri figli praticano moltissime attività e vanno portati a destra e a manca e la figura dei nonni in pensione di fatto sta scomparendo. Tutte banalità probabilmente, ma alla fine il giorno dura sempre 24 ore e non sempre è semplice riuscire a fare tutto, ed ecco che ci si riduce ad andare a fare la spesa alla domenica mattina in santa

e dello Shopping On Line, possa poi non avere una buona ricaduta sull’economia. Se infatti si abbassa il livello di confronto a qualcosa di più concreto, i ragionamenti cambiano. Da un lato consumatori e grande distribuzione che si schierano contro la chiusura domenicale, dall’altro sindacati e piccola distribuzione che sostengono che lasciare aperto la

pace per tutta la settimana o a portare il figlio adolescente a scegliersi abiti e scarpe nell’unico giorno libero da scuola e attività varie. Certo se chiuderanno i negozi alla domenica e nei festivi, ci adegueremo, perché nulla è impossibile. Sarà più difficile ma non impossibile. Ciò che però mi lascia perplessa è che porre dei limiti nel commercio in un momento di forte crisi, ma soprattutto di forte sviluppo di Internet

domenica e i festivi significa semplicemente spalmare lo stesso fatturato su più giorni dell’anno, ma con costi maggiori perché i dipendenti devono essere retribuiti di più e più costi fissi di luce, gas, ecc… Si potrebbe obiettare che in realtà molti piccoli attualmente restano comunque aperti, ma lo fanno per limitare i danni e non perdere clienti a favore dei Centri Commerciali. E in questo senso se il Disegno di

Legge trovasse attuazione potrebbe penalizzare la grande distribuzione e dare sollievo ai piccoli. Al tempo stesso non è detto che questo porti dei vantaggi per l’economia in quanto alcune attività basano il loro business proprio sull’apertura domenicale e nei festivi. Si potrebbe eccepire, come detto prima, che le feste andrebbero trascorse in famiglia e non al ristorante o al cinema e che anche quei dipendenti “costretti” a lavorare nei giorni festivi hanno una famiglia e dei diritti, ma la loro condizione economica è legata proprio all’attività in cui prestano opera. Ci si trova così in un circolo vizioso per cui il dipendente vorrebbe maggiori tutele, ma se le ottiene rischia il posto di lavoro, perché nel caso in cui si procedesse verso la chiusura domenicale o nei festivi, giocoforza si riduce anche la necessità di personale. La matassa non è facile da dipanare. L’aspetto sociale, umano e culturale porterebbe a sostenere la chiusura domenicale. L’aspetto puramente economico e il contesto storico in cui ci troviamo probabilmente no. In mezzo ci sono comunque dei lavoratori. Persone con una famiglia e con gli stessi diritti di tutti. A queste persone in pratica cosa succederà? Se si arrivasse alla chiusura domenicale perderanno il posto di lavoro? E se perderanno il posto di lavoro, senza più uno stipendio in che modo potranno aiutare l’economia?


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Fabrizio De Andrè

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LA BUONA NOVELLA-4 a cura di Guido Piovano

Prosegue la presentazione della versione integrale dei testi de “La Buona Novella” di Fabrizio De Andrè. Maria ha raccontato a Giuseppe il sogno dal quale si è risvegliata incinta e De André sembra abbandonare il filo del racconto - nella poesia non si può capire se Maria sia ancora incinta oppure abbia già partorito - per concludere la prima parte dell’album con una Ave Maria che, oltre ad essere un saluto a Maria in quanto madre, è un inno a tutte le madri.

AVE MARIA E te ne vai, Maria, fra l'altra gente che si raccoglie intorno al tuo passare, siepe di sguardi che non fanno male nella stagione di essere madre. Sai che fra un'ora forse piangerai poi la tua mano nasconderà un sorriso: gioia e dolore hanno il confine incerto nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna, ave alle donne come te, Maria, femmine un giorno per un nuovo amore povero o ricco, umile o Messia. Femmine un giorno e poi madri per sempre nella stagione che stagioni non sente.

Il commento In questa Ave Maria che chiude la prima parte de “La buona novella” con Maria in attesa dell’ora del parto - “Sai che fra un’ora forse piangerai” -. “poi la tua mano nasconderà un sorriso”- De André ci rende partecipi del sentimento di tenue liberazione che si pervade di fronte ad una nascita e lo smarrimento che si prova nel vedersi artefici di questo prodigio, in un confondersi di gioia e dolore –“gioia e dolore hanno il confine incerto, nella stagione che illumina il

viso”-. Il brano che da Ave Maria diventa “ave alle donne come te Maria” è un vero e proprio inno a tutte le madri, con Maria assurge a simbolo di tutte le maternità, quale che sia il frutto del concepimento - “povero o ricco, umile o Messia” -. Per tutte le donne l’essere madre è per sempre - “Femmine un giorno e poi madri per sempre”-.

FESTA DELLA MADONNA DEL ROSARIO Domenica 7 ottobre per la “Festa del Rosario” anche a Racconigi c’è stata per le vie cittadine la processione solenne della Madonna del Rosario, con tanto di autorità civili e Banda Musicale. Può essere interessante approfondire l’origine storica di questa festa. Leggiamo in “Storia della chiesa” di Bihlmeyer-Tuechle, vol. 3°, pag. 327: “Un merito insigne si acquistò il Papa, riprendendo l’antica tradizione della Santa Sede per la difesa della cristianità contro la potenza dell'Islam, così pericolosamente invadente. Nello stesso anno in cui i Turchi espugnarono Cipro, l'ultimo baluardo

cristiano nel Levante (1571), egli riuscì con incessanti premure a riunire per una comune impresa la flotta spagnola e veneziana. La splendida vittoria navale riportata contro la Mezzaluna a Lepanto, nel Golfo di Corinto, il 7 ottobre 1571, sotto la guida di don Juan d'Austria, riempì di giubilo immenso l'Occidente.” Per ringraziare Maria che, esaudendo le preghiere dei devoti, ha consentito alle armate cristiane di massacrare i Turchi - 30.000 uomini tra morti e feriti e 8.000 prigionieri - San Pio V con la bolla Salvatoris Domini nel 1572 crea la festa liturgica della Santa

LA PREGHIERA Un amico è in ospedale, per un intervento serio. Ci accordiamo su come pregare per lui. Egli non prega per la guarigione che desidera molto, ma la attende dai medici e dalla natura, e non la chiede come privilegio per sé e non per tutti gli altri malati. Pregheremo, lui ed io, invocando su di lui lo Spirito santo per affrontare nel modo più giusto, con fede, speranza e amore, tanto i dolori e il

Vergine del rosario. 15.000 furono invece i cristiani liberati dalla schiavitù ai banchi dei remi. Questi sbarcarono poi a Porto Recanati e salirono in processione alla Santa Casa di Loreto dove offrirono le loro catene alla Madonna. Con queste catene furono costruite le cancellate davanti agli altari delle cappelle. Il successore di Pio V, papa Gregorio XIII con la bolla Monet Apostolus del 1573 istituì la festa solenne del rosario, inserendola nel calendario liturgico alla prima domenica di ottobre. Fin qui la storia, frutto di una lettura che pare tutta dalla parte della

LIBERTÀ rischio, quanto l'accettazione e la gratitudine per ciò che sarà. Non si chiede al Padre che modifichi i processi naturali, ma che disponga il nostro spirito per viverli al meglio. Enrico Peyretti-Rocca 15 maggio

La mia libertà finisce dove comincia la tua. Così il classico detto liberale. Ma se la mia sconfina, la tua non comincia mai. Se invece diciamo: io sono libero solo se sei libero anche tu, la tua libertà è parte della mia libertà, del mio diritto. Se i diritti sono pensati comuni, e non separati, siamo tutti più garantiti, più protetti. La misura della libertà è la giustizia. Enrico Peyretti-Rocca 15 maggio

fede, la fede cristiana. Ma, ne siamo proprio certi? E di quale fede? E quale Maria? Cos’ha di cristiano la Maria sterminatrice di infedeli di Pio V? Cosa hanno in comune la Maria di De André (v. sopra) e quella di Lepanto? Non sarebbe ora che facessimo un po’ di chiarezza, prima di tutto dentro di noi e ci ponessimo qualche domanda lasciando solo Salvini con il suo rosario in mano, storicamente simbolo coerente di lotta a stranieri, migranti, islamici e neri. Per documentazione: "Lepanto" di Alessandro Barbero, Edizioni Laterza, pag. 770.


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LA BELLEZZA, IL MOTORE DELL’APPRENDIMENTO

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Ritrovare la voglia di studiare grazie all’arte di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Se vai a Napoli, non perderti le catacombe di San Gennaro nel quartiere Sanità. Sono bellissime! Ma ciò che rende speciale il tour è la spiegazione delle giovani guide appassionate e preparatissime che accompagnano la visita, regalando ai visitatori un’ora di storia che vola via in un istante, come accade a scuola con le lezioni di un bravo professore entusiasmato dalla sua materia. Non è facile credere che questi esperti così professionali, non troppi anni fa fossero ragazzi a rischio, di quelli che a scuola ci vanno malvolentieri e a singhiozzo, quando “c’hanno voglia”, quando la scuola “li acchiappa” - e bisogna dire che la scuola acchiappa molto poco! Nei quartieri più complicati della città tanti gli adolescenti in dispersione scolastica rischiano di diventare “la paranza” della Camorra che, a differenza della scuola, aggancia bene perché osserva e non si lascia scappare i minorenni più intelligenti e confusi, apparentemente svogliati, attirati dal guadagno facile più che dall’impegno, reclutandoli con proposte allettanti negli juniores dell’organizzazione. Quando padre Antonio Loffredo diventa parroco del quartiere Sanità, vede questi adolescenti vaganti e svagati. Sa bene che cosa accadrà se nessuno farà loro una proposta vitale. Una delle parrocchie che lui eredita ha un sotterraneo interessantissimo, colmo di catacombe mai aperte al pubblico, abbandonate; un tesoro nascosto che non interessa a nessuno, di una bellezza straordinaria. È mai

possibile che per tanto tempo siano rimaste chiuse e dimenticate delle opere così importanti? Padre Loffredo incontra i ragazzi e gliele mostra: “Ma avete visto quanto sono belle?” “Che ne fareste voi?” Due sole domande. “Ma avete visto quanto sono belle?!” Un interrogativo che muove lo sguardo. Quegli occhi solitamente abbassati sul cellulare e sulla propria “sfiga” si sollevano. Il motivatore incalza: “Avete visto?”, indicando l’incanto che li attornia, lasciandosi egli stesso prendere dalla magnificenza dell’arte. I ragazzi lo guardano dapprima incerti, stupiti e straniti, poi imparano attraverso il suo sguardo ammirato, ad ammirare. Iniziano ad osservare, forse per la prima volta, qualcosa che riempie di bellezza gli occhi. Imparano che l’arte tocca, avvolge, entra nel respiro, fa star bene… Si affinano a poco a poco alla magnificenza fino a quando non possono più farne a meno e vi si dedicano con passione, compiendo un salto di qualità nella propria vita. Padre Antonio Loffredo crede profondamente nella bellezza. Sa che l’arte può coinvolgere e rimotivare tanti ragazzi in dispersione scolastica, appassionandoli all’apprendimento. Ma sa anche che da sola non basta. A volte per sbloccare un ingorgo ci vuole la mossa giusta e la parola evocativa. “Che fareste voi?” è la seconda domanda. Un’interpellanza importante, di quelle che si fanno alle persone di

cui ci fidiamo e che potrebbero darci una mano a risolvere un problema. I ragazzi sentono questa fiducia. Ed è proprio la stima verso di loro quel trampolino di lancio che li proietterà oltre il loro vagare. Verso altri mondi. Esattamente come faceva Don Milani. E come lui, con risultati eccezionali. Chiedere ai ragazzi “cosa fareste voi?” significa attivarli nella progettazione di un spazio del quale essi possono immaginarsi soggetti attivi. E quando i giovani si sentono protagonisti, muovono il mondo. È sempre stato così, nelle generazioni precedenti, in quelle attuali e future. Attraverso quell’interrogativo gli adolescenti iniziano a sognare: vogliono aprire le catacombe, desiderano illuminarle, aspirano a far entrare i turisti…ma non ci sono soldi, né guide preparate, né luci… Padre Antonio non pone ostacoli “Provate, cercate, sperimentate”. E i ragazzi lo fanno: tentano di accompagnare le prime visite, si improvvisano guide, ma si accorgano presto che i turisti pongono quesiti precisi e vogliono informazioni complete, non si accontentano di qualche frasetta imparata a memoria. Qualcuno per essere all’altezza riprende gli studi, si iscrive a un corso per approfondire il proprio sapere. Qualcun altro si ingegna su come trovare i soldi per illuminare le catacombe: ci vogliono impianti a norma, si imparano le direttive, i preventivi sono molto cari, ci vorrebbe un finanziamento…a qualcuno viene in mente di provare a costruire una coope-

rativa: si potrebbe accedere a qualche bando… Con padre Antonio ci si confronta assiduamente, si fanno ipotesi, si immaginano strade nuove, si prendono decisioni coraggiose. E nasce la cooperativa. Bisogna sceglierle un nome. Quale meglio de “La Paranza?”. Una paranza protagonista di sé stessa, non più piccoli pesciolini in balia di un pescecane. La cooperativa va alla grande, qualcuno deve imparare l’inglese, si parte coraggiosamente e si va all’estero, si rischia, si torna diversi. E intanto si continua a sognare. E un giorno i finanziamenti iniziano ad arrivare: si può iniziare davvero! Prima l’impianto luci e poi altre mille cose. I turisti aumentano, si sparge la voce e le visite lievitano a picco. Ci vogliono più guide preparate. I ragazzi continuano a crescere nella conoscenza e nel protagonismo, in modo esponenziale. Qualcuno non si accontenta neppure del diploma raggiunto a pieni voti. Meglio iscriversi all’università. La dispersione scolastica è ormai un ricordo sbiadito. Appartenente ad un’altra vita. Incredibile cosa può accadere ai giovani ponendo solo 2 semplici ed opportune domande! Se volete approfondire, visitate il sito http://www.catacombedinapoli.it/it/ about Ci sono le storie che vi ho raccontato, scritte in modo molto toccante, direttamente dai protagonisti di questa splendida trasformazione.

Avanti popolo di Zanza Rino

…Prima di tutto il bene degli italiani… non ci possiamo impiccare ai numeri… un ministro del tesoro all’altezza deve trovare i soldi che servono agli italiani…siamo disponibili a un confronto, alle nostre condizioni… non siamo disposti a modificare neppure una

virgola. Non metto le virgolette perché cito a braccio, ma i toni sono questi. Sullo sfondo l’idea che nella politica economica del Governo non possiamo farci strangolare dall’Europa (cattiva), non dobbiamo farci ricattare dai mercati (cattivissimi) e non possiamo dare retta alle agenzie di rating (bugiarde e amiche dei cattivi). Ma veramente siamo vittime di euro burocrati incuranti dei bisogni del popolo o di mercati dominati da grandi vecchi che ci vogliono male? O siamo vittime di un debito che noi stessi abbiamo prodotto? Siamo debitori. “Siam peccatori, ma figli tuoi, Immacolata prega per noi” ricordo che cantavo quando ero

ancora un giovanissimo zanzarino molto pio. Era una consolazione pensare che Qualcuno con le sue preghiere poteva sostenerci nella nostra umana debolezza. Difficilmente però il debito troverà sollievo nelle preghiere e tantomeno nei fuochi artificiali delle parole. Tutti in Italia sanno di economia, perfino il pentastellato di governo spara sentenze e ricette e dà ad intendere a tanti economisti di professione che lui la sa più lunga; ma alla fine la nuda realtà è semplice, con o senza Europa, con o senza mercati finanziari globali, con o senza agenzie di rating. Siamo debitori. E se spendiamo più di quanto la nostra condizione ci consente, chi ci fa credito si aspetta una remunerazione sufficiente a

compensare il rischio di non essere rimborsato. Tassi di interesse più alti, costo del debito maggiore, squilibrio crescente dei conti pubblici. Ce lo chiede il popolo che ci ha votato, dicono. So di toccare un argomento che non mi renderà popolare. Ma d’altra parte non sono un politico e non sono alla ricerca di consenso; sono uno zanzarino e si sa che gli zanzarini sono fastidiosi. Non mi farò amici, ma d’altra parte chi è amico degli zanzarini? Per cui… ronzo per conto mio e vada come deve andare. Il popolo, dunque. Ma dite un po’, cari italiani, che ogni giorno vi trovate con fatica a gestire i conti delle vostre famiglie…è così che gestite i vostri conti?


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I GIOVANI NON DIMENTICANO...

Si rinnova per l'anno scolastico 2018/2019 la collaborazione tra l'Istituto d'Istruzione Superiore Arimondi-Eula di Racconigi e il mensile culturale Insonnia. Protagonisti ancora una volta gli studenti con i loro pensieri presentati in uno spazio nuovo dal titolo Giornata Mondiale, destinato a trattare tematiche di valore universale. La "vecchia" rubrica Alfabetizzando... le parole dei giovani dell'anno scorso è andata in pensione, ma l'entusiasmo e la creatività sono rimasti. Si è pensato di dedicare il primo numero al 13 novembre e al 16 novembre, Giornate Mondiali della Gentilezza e della Tolleranza, valori importanti e fondamentali in una società civile.

di Amela Kruja e Gloria Monte – cl. II L Liceo Scientifico

Il termine “gentile” deriva dal latino gentilis, ovvero appartenente alla gens, “stirpe” e, poiché in “genti” erano divisi i nobili romani, il sostantivo indicò in origine la nobiltà, sia ereditaria sia acquisita con

di Luca Paesante e William Morsucci cl. II A ITI

“Tolleranza: è un atteggiamento di rispetto o di indulgenza nei riguardi dei comportamenti, delle idee o delle convinzioni altrui, anche se in contrasto con le proprie”. Questa la definizione che si può trovare su tutti i vocabolari ma non sempre essa coincide con il significato che si dà oggi a questo termine. Come Nelson Mandela ha lottato per la Pace nel mondo, altri personaggi famosi hanno lottato per affermare la tolleranza fra esseri umani come Mar-

l’esercizio della virtù e la raffinatezza del sentire, quella “gentilezza d’animo” cara agli stilnovisti e al giovane Dante. Col passar del tempo il vocabolo assunse il significato odierno di “individuo garbato, sensibile, cortese” nei modi e nei sentimenti: non più una condizione di prosperità economica e sociale, ma una grande ricchezza morale. Una qualità preziosa, che purtroppo appare sempre più fuori moda in un mondo dominato da egoismo, prepotenza, maleducazione: ben venga dunque il 13 novembre in quanto Giornata mondiale della Gentilezza, una ricorrenza nata in Giappone nel 1997 e diffusa in molti Paesi. Chi possiede gentilezza è dotato di sensibilità e di bontà d’animo. Chi offre gentilezza trasmette fiducia e amore. Chi riceve gentilezza si sente un po' meno solo. La gentilezza è determinata dal carattere personale di ciascuno, ma è anche una conseguenza dell’edu-

cazione con cui ognuno di noi è maturato: questo ci ricorda il 13 novembre, che essere gentile è un obiettivo alla portata di tutti. Si deve partire da gesti semplici e quotidiani, iniziando con il semplice “grazie” o con “scusa” e “per favore”, vocaboli che ciascuno dovrebbe utilizzare senza alcun limite e in ogni istante e che i genitori dovrebbero continuare ad insegnare e a richiedere. Lasciare il nostro posto a sedere sull’autobus. Aiutare a portare una borsa pesante. Salutare con rispetto. Regalare un fiore. Gentilezza è la disponibilità a compiere in maniera disinteressata un piccolo gesto, la capacità di donare un sorriso, buona educazione e buone maniere. Gentilezza è anche un modo per allontanarci dalla solitudine: il sommo Leopardi, nei famosi versi dedicati alla ginestra, celebrava il “fior gentile” che, in opposizione alla spietata Natura, consola gli esseri umani e partecipa alle loro sofferenze: la gentilezza è una catena che ci lega al resto dell’umanità, ci appaga e ci fa bene al cuore.

tin Luther King con il famosissimo discorso intitolato “I HAVE A DREAM”, e prima di lui Voltaire il quale scrisse: “Il diritto dell'intolleranza è assurdo e barbaro: è il diritto delle tigri; anzi è ben più orrido, perché le tigri non si fanno a pezzi che per mangiare, e noi ci siamo sterminati per dei paragrafi”. Purtroppo però, i loro insegnamenti non sono serviti e non servono per fermare l’intolleranza che si è scatenata in questi ultimi anni in tutto il mondo. In passato, infatti, molti episodi di intolleranza, anche molto noti, hanno caratterizzato l’evoluzione del mondo: sto parlando dello sterminio delle popolazioni americane a seguito della scoperta dell’America stessa da parte di Cristoforo Colombo, la sottomissione dei popoli afroamericani da parte dei colonizzatori che avevano invaso l’America e, su tutti, un fatto accaduto non molto tempo fa, la deportazione degli ebrei da parte dei nazisti con a capo il Führer Adolf Hitler. Questi episodi purtroppo sono nati a causa di una forma di intolleranza verso un gruppo di persone diverse sia per quanto riguarda la religione, per il colore della pelle ma

anche per malformazioni fisiche. Sfortunatamente, la storia è destinata a ripetersi: infatti le vicende di intolleranza, al giorno d’oggi, avvengono per vari motivi molto simili, se non uguali a quelli di cento, mille, duemila anni fa. Quest’ultimi possono essere: per differenza di religione, per diversa classe sociale, per la diversità di provenienza e culturale e per altre molte motivazioni meno valide. Un esempio molto concreto che sta colpendo il nostro paese è il fenomeno dell’immigrazione, causata dalle persecuzioni per differenze sociali che, tradotto in una parola, significa intolleranza. La diversità però, non è soltanto sociale ma può essere anche religiosa e un fatto che riguarda questo tipo di intolleranza che si sta verificando è la guerra fra l’occidente e il terrorismo di matrice islamica. Per riuscire ad abbattere queste barriere, create da pregiudizi della gente e dall’ignoranza, si dovrebbe conoscere la storia dei nostri antenati, della gente che è morta per combattere queste diversità e creare un mondo di persone uguali, dove nessuno è diverso e non deve sentirsi tale e soprattutto dove nessuno venga più ucciso perché considerato diverso.


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Alternanza scuola-lavoro. Letture animate presso la Biblioteca Marcia della Pace Assisi ottobre 2018 Gita di accoglienza a Varazze

Giornata di Orientamento. Lezione di Chimica

Viaggio-Studio in Inghilterra

COSTRUZIONI AMBIENTE E TERRITORIO Un “geometra di nuova generazione” I docenti del CAT

Per gli studenti delle terze medie è importante, in questa fase di orientamento, conoscere meglio il corso di studi chiamato Costruzioni Ambiente e Territorio (CAT) che, un tempo, veniva nominato più semplicemente Geometra. La crisi edilizia degli ultimi anni ha generato paure, confusioni e disorientamento allontanando famiglie e studenti da questo corso di studi , ritenuto penalizzante per un lavoro futuro. Oggi tuttavia è importante sfatare questo pregiudizio, allontanare il terrorismo mediatico e avvicinarsi

al CAT per meglio conoscerlo e per affrontare scelte importanti che in un futuro prossimo potranno essere sicuramente vincenti. La figura professionale, infatti, che emerge dal corso quinquennale di Costruzioni Ambiente e Territorio, è quella di un “Geometra di nuova generazione”, versatile e dunque pronto ad applicare specifiche competenze nei settori più disparati: sa scegliere materiali, macchine e strumenti nel campo delle costruzioni; sa rilevare il territorio e gli edifici usando metodologie e

strumenti innovativi; sa effettuare stime e lavorare nel settore amministrativo-finanziario; sa prevedere, nell’edilizia ecocompatibile, soluzioni per il risparmio energetico, nel rispetto dell’ambiente; sa pianificare e organizzare misure preventive a difesa della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro; sa gestire processi riguardanti la distribuzione impiantistica negli edifici; sa utilizzare programmi informatici innovativi per la progettazione; sa proporre soluzioni di arredo di interni… Non è dunque assolutamente vero che la

figura del “geometra” sia andata in pensione, anzi si è svecchiata acquisendo competenze a 360 gradi più rispondenti e confacenti alla realtà professionale di oggi. Vale quindi la pena spendere un po’ di tempo per la conoscenza di questo corso anche alla luce del fatto che la lieve riduzione del numero dei diplomati degli anni scorsi ha aperto nuovi spazi che dovranno a breve essere colmati.


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Sotto l’ombra del Castello si produce una “Mozzarella da Re” a cura di Rodolfo Allasia

Sono andato a fare una chiacchierata con Antonio Copeta nel suo nuovo laboratorio/negozio in via Regina Margherita 6, questa è la sintesi della chiacchierata. Sono arrivato in Piemonte nell’88 e ho lavorato in una azienda dell’indotto Fiat nel vercellese, poi nella sede di Carmagnola; dopo una serie di spostamenti tra Carmagnola e Crescentino come sede di lavoro, mi sono stufato di viaggiare e mi sono inventato questo lavoro. La prima ricetta l’ho imparata da Internet e poi ho coltivato questa passione che mi era nata continuando a studiare; ho una licenza da agrotecnico ma la conoscenza specifica iniziale della tecnica casearia vera e propria l’ho appresa in Internet. In seguito ho conosciuto la scuola lattiero-casearia di Moretta e questa è stata una vera illuminazione: persone preparate, competenti, mi hanno accolto in questa scuola, ho anche fatto fare gli stage ai ragazzi che frequentavano e poi piano piano mi sono affinato nell’arte casearia. A Racconigi ho conosciuto il signor Todeschelli, lui aveva un laboratorio che non era utilizzato, l’ho preso in affitto e lì ho lavorato fino a quando ho iniziato qui dove sono ora. Ho dovuto inventarmi questa struttura dove lavoro adesso, un posto in vista, sulla strada, qui possono vedermi, e da questo essere visibili nasce il bisogno del cliente, se non ti vedono non ti conoscono… Il bisogno nasce quando vedono il tuo lavoro. I prodotti che vendi hai imparato a fabbricarli nella scuola di Moretta o sono prodotti studiati da te? Come per tutte le cose prima si imparano le tecniche di lavorazione di base, poi si personalizzano con la esperienza quotidiana, con la passione per questo lavoro, altrimenti sarebbe tutto uno standard. Se ti dedichi, allora capisci che a volte basta la differenza di temperatura di 1grado del latte perché il prodotto cambi nel suo sapore, nella consistenza. A questo punto inizi a gestire le temperature, la quantità di caglio, il tempo di lavorazione, perché il formaggio è fatto di latte e di caglio e null’altro. La rottura della cagliata è una variabile e questa relazione fra l’uno e l’altro elemento fa sì che il formaggio risulti un prodotto diverso a seconda delle combinazioni. Ora esistono trattati scritti in modo dettagliato e scientifico seguendo studi del settore, osservando le regole e personalizzando il lavoro il prodotto può avere un continuo miglioramento. Il latte è standard nelle qualità, ormai i controlli sanitari sono accurati, le quantità di proteine e di grassi e la qualità sono certificati ma è la lavorazione che fa la differenza. Dove prendete il latte? Lo compriamo da un’azienda di Polonghera ed andiamo a ritirarlo tutte le mattine, lavoriamo il latte a crudo, la differenza tra latte crudo e latte pastorizzato è importante per noi. Dalla temperatura di 3 gradi a cui viene portato il latte dopo la mungitura per conservarlo nelle taniche, occorre portarlo, per poterlo lavorare, ad una temperatura da 33 a 38 gradi. Se si vuole fare una scamorza lo si porta ad una temperatura più alta ma non troppo altrimenti i fermenti si disattivano. Se invece si vogliono sviluppare

dei fermenti termofili si va ad una temperatura superiore, se si vuole fare la robiola invece sarà più bassa, ci sono prodotti per i quali è necessario portare il latte a 88/90 gradi come lo yogurt perché è necessario stabilizzare il latte ovvero far morire i fermenti che ci sono e poi aggiungerne altri. Ogni giorno il prodotto può cambiare, se mungono e aspettano un po’ di tempo senza raffreddare il latte, l’acido lattico aumenta per la fermentazione del lattosio, quando al mattino si va a prendere il latte in cascina si misura la acidità e così si sa come verrà il formaggio; una acidità media e di 6,80/6,87, se è sopra a questi dati bisogna regolarsi portando la lavorazione a modifiche che compensino. Noi non lavoriamo latte di capra, se potessi trovare il latte potrei fare con questo dei tomini ma sempre prodotti freschi perché per i formaggi stagionati bisognerebbe attivare una sala di stagionatura, io vendo prodotti che hanno al massimo due giorni e non di più. Per produrre formaggi stagionati occorrerebbe lavorare molto più latte per compensare le spese dei locali di stagionatura. Per mettere in piedi questa attività in questo ambiente è stata necessaria un particolare impegno economico? Indubbiamente, per mettere in piedi questa attività è stato necessario accedere al credito artigiano e ho speso 50.000 euro che ora piano piano dovrò restituire. Certo i rischi in questa attività sono possibili perché la materia prima è quella più facilmente deteriorabile avendo proteine e zuccheri che sono il substrato ideale per lo sviluppo dei batteri. Importantissima è l’igiene, il controllo sul latte, anche se già l’Asl ti dice quale è la stalla giusta e quale è a norma. Comunque è necessario controllare, bisogna essere molto attenti a non inquinare perché anche se la materia prima ti arriva pulita

ma tu non fai attenzione alla tua pulizia, se hai toccato i contenitori e poi non ti sei lavato le mani o non hai tolto i guanti inquinati da terra o polvere rischi di far sviluppare batteri. Paradossalmente se si fa un prodotto che si consumerà dopo 60 giorni il formaggio si auto-guarisce perché i batteri muoiono da soli. Più il prodotto è fresco più è a rischio da batteri ed è per questo che va conservato per quei pochi giorni a bassa temperatura così che se per caso forse stato contaminato i batteri non si replicherebbero.. Noi non possiamo rischiare di fare del male ai clienti; la piccola produzione diminuisce il rischio ma dobbiamo comunque stare molto attenti. Se si entra in questa mentalità dell’igiene massima non è difficile. Quando vai a prendere un bidone che ha toccato il suolo devi sapere che subito dopo le mani vanno lavate; quando viene qualcuno a vedere il laboratorio io soffro, deve pulirsi deve stare attento a cosa tocca e se non lo fa lui devo farlo io. A Racconigi nessuno avrebbe scommesso che questa attività potesse funzionare… Invece la gente ha apprezzato molto e per me è una soddisfazione, si è creato un rapporto di fiducia, certo occorre essere cordiale, disponibile al massimo, avere gentilezza, far assaggiare i prodotti. Abbiamo anche fatto informazione insomma un bel lancio. Ora ci stanno chiedendo formaggi senza lattosio per gli intolleranti e ci stiamo studiando. Al momento ci chiedono soprattutto formaggi a pasta filante come la mozzarella, la scamorza e il calcio cavallo. Quest’ultimo dovrei stagionarlo fuori frigo ma non abbiamo una sala di stagionatura e quindi lo facciamo in frigorifero, vista anche la scarsa quantità di prodotto. Per quanto riguarda l’aspetto della resa ti dico che con 1 quintale di latte faccio 13 kg di mozzarella, 11 kg di scamorza; per fare i confronti con 1 quintale di latte si fanno 8 kg di grana o parmigiano. La quantità di umidità compresa nel formaggio determina la resa… E ovviamente il costo. Nel tomino, che ha resa maggiore e quindi il costo minore c’è una maggior quantità di siero della cagliata. Se fai solo tomini il tuo lavoro rende molto ma devi avere un giro di vendite che puoi controllare. Io ho una produzione bassa, oltre alla vendita al minuto qui in negozio io smercio i miei prodotti all’ingrosso come alla cooperativa il gigante qui a Racconigi; a Savigliano ho un paio di negozi, una pizzeria sempre a Savigliano, ma sempre poca cosa, non mi metto all’ingrosso… serviamo mozzarelle agli aperitivi, per i matrimoni o alle feste. Certo la treccia ha una artigianalità che è più bella da vedere, fare la treccia rispetto ad un altro formaggio più piccolo è più bello, si potrebbe anche usare una macchinetta per fare le mozzarelline ma non è la mia dimensione di produzione. Occorrerebbe avere un caseificio, da noi invece bisogna lavorare in breve tempo il latte che compriamo giornalmente. Noi produciamo tomini presamici, dove si usa il caglio, la robiola che invece si fa acidificando il latte con fermenti e si ottiene un prodotto slegato, tipo ricotta. Su quest’ultima è necessario precisare che nonostante venga definita un prodotto di risulta, è un prodotto molto interessante, si chiama così perché viene cotta due volte, contiene tre proteine la


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caseina, la lattoalbumina e la lattoglobulina che sono sieroproteine. Mentre la caseina si separa dal latte con il caglio o presame le due proteine restano in sospensione e per separarle serve calore e acidità, 88 gradi, si aggiunge un acidificante e si estrae la ricotta che è un prodotto a cui si dà poca importanza mentre invece è altamente dietetica, salubre e nutriente senza grassi, solo con proteine nobili e molto digeribili. Rispetto alla quantità di tomini è molto più abbondante al punto che a volte non si riesce a venderla tutta. Con questa si può anche fare il cacioricotta con siero proteine e caseina insieme ma è necessario stagionarlo con molto sale e ci sono persone che non lo consumano sale per la loro salute. Abbiamo provato ad utilizzarla come riempimento dei cannoli semplicemente aggiungendo zucchero, stiamo aspettando l’autorizzazione dall’Asl per produrre ricotta al forno, presentando così questo prodotto in diverse forme e per non sprecarlo. Gli atleti che per la loro forma utilizzano proteine potrebbero sostituirle con la ricotta, leggendo gli ingredienti di questi prodotti consumati da loro si scopre che sono in realtà siero proteine, che vengono disidratate e ridotte in pillole o farina. La ricotta è buona, digeribile svolge le medesime funzioni di questi prodotti che sono anche a caro

prezzo. Che politica di prezzi avete adottato? La mia mozzarella è allo stesso prezzo della migliore mozzarella che si trova negli scaffali dei supermercati quelli prodotti dai grandi marchi, però la mia ha un valore aggiunto quello del latte fresco e crudo. Io faccio pezzature grandi perché se la pezzatura e piccola si asciuga più in fretta inoltre la pezzatura grande ha un sapore molto migliore. Il nostro prezzo è più che onesto mentre una delle migliori marche del mercato è a 12,20 euro la nostra è a 11,20 euro, è fatta a mano e le spese che abbiamo sono coperte dal poco prodotto, se lavorassi 20 quintali di latte guadagnerei molto di più ma io lavoro solo 2 quintali di latte al giorno. Ripeto che il latte crudo significa che non è pastorizzato, sull’etichetta se non c’è nulla di specificato vuol dire che è un latte pastorizzato mentre invece se crudo deve essere scritto. Se nella etichetta c’è scritto latte significa che è vaccino, se è prodotto da altro animale deve essere specificato. Si dice che la mozzarella sia solo quella di bufala e questa di vaccino vorrebbero definirla fior di latte, ovviamente noi difendiamo questa denominazione perché il termine non deriva da bufala ma dalla operazione di mozzare la pasta. Certo ha un sapore diverso perché le bufale sono altri animali.

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La pastorizzazione elimina gli agenti patogeni ma elimina anche i fermenti lattici che poi saranno aggiunti, manca insomma la flora naturale. Quando il latte arriva al caseificio viene per forza pastorizzato a 72gradi e deve avere un ciclo continuo per il tipo di pastorizzazione che viene effettuata. Per produrre un formaggio a crudo è necessaria molta più attenzione. Se l’Asl mi dice che il latte ha qualche problema io per lavorarlo lo devo pastorizzare, ma il prodotto cambia. Grazie per tutte queste informazioni che ci hai dato e ti auguriamo un ottimo successo per il tuo laboratorio.

E il re disse alla serva raccontami una storia … e la storia incominciò…. LE ILLUSTRAZIONI NELLE FIABE: VICTOR NIZOVTSEV di Daniela Anna Dutto

Questo mese desidero farvi conoscere uno splendido artista, illustratore di fiabe, per me di eccezionale eleganza. Parlo di Victor Nizovtsev, pittore contemporaneo di origini russe, nato nel 1965 in una cittadina della Siberia centrale. Quando Victor era un bambino la sua famiglia si trasferì dalla Federazione russa nella Repubblica di Moldova. Victor è cresciuto in Kotovsk, una città situata nel cuore della regione del paese del vino, a 30 km a sud est della capitale della Moldavia, Chisinau. All’età di 9 anni entrò alla Scuola d’Arte Kotovsk, in Russia, un istituto per bambini, dove studiò per quattro anni, dopodiché lasciò la casa fami-

liare per studiare a Ilia Repin College for Art in Chisinau. Si laureò all’Università per le Industrie Artistiche a San Pietroburgo di Vera Muhina. Dopo la laurea, nel 1993, Victor tornò a Kotovsk dove iniziò a dipingere professionalmente. Nel 1997 Victor si trasferì negli Stati Uniti dove ha continuato con successo a perseguire la sua carriera artistica. Victor utilizza la tecnica pittura ad olio e i soggetti che dipinge possono spaziare da scene fiabesche a nature morte, da paesaggi a composizioni sceniche. Molte sue opere sono caratterizzate da un’atmosfera fantastica e nostalgica.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

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L’ispirazione dell’artista è scatenata dalle emozioni, dai ricordi dell’infanzia, dalle tradizioni popolari russe e della mitologia greca, o da altri pittori del passato, e tutto questo emerge dalle sue tele. Racconta l’artista: “Spero che i miei quadri diano alla gente un piccolo assaggio della loro infanzia, ispirando loro nuove storie. Come l’infanzia stessa, il mondo dei miei quadri non ha regole restrittive. È veramente un luogo dove tutto è possibile e intrigante. Potete vedere scorci di realtà nel mio lavoro, ma questi hanno senso solo se li guardate con gli occhi di un bambino. Noi adulti invidiamo la capacità dei bambini di sospendere le convinzioni e vedere il mondo senza preconcetti. Spero che i miei quadri forniscano un piccolo ingresso in quel mondo dell’infanzia.”

Le sue tele raccontano fiabe, con vecchi che indossano capelli con case colorate, muffin volanti, bellissime sirene addormentate, tazze e scarpe utilizzate come barche. Le illustrazioni di Victor ci riportano ai ricordi dell’infanzia e sono una piccola oasi dove ritrovare serenità nella vita frenetica e grigia di ogni giorno. Forse è per questo che è così apprezzato, offre qualcosa di raro e che spesso ci dimentichiamo, il tempo in cui siamo stati tutti bambini, affascinati dai racconti, credenti nei miti e nelle leggende, nella fantasia più genuina della tradizione popolare e non, quando quelle creature che fluttuano nell’acqua con la grazia di dee pareva esistessero per davvero e il volare non era un sogno poi tanto irrealizzabile. Lasciatevi incantare dalle tele di Victor Nizovtsev.


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Raccontami...

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NAMIB di Giancarlo Meinardi

Annunciata dal rombo cupo del motore la moto spunta lenta dalla polvere che galleggia sopra la pista. Si ferma. L’uomo scende con calma, accenna un saluto con la mano. Le fessure degli occhi si aprono in un viso duro cotto dal sole, la barba ispida e grigia di qualche giorno. Si accende una sigaretta, la tiene stretta tra le labbra mentre si avvicina. “Gerard” la voce suona dura, accento tedesco. Ci presentiamo. Viene spontaneo, intorno, fino a dove arriva lo sguardo nell’aspro paesaggio di un deserto lunare, non c’è altra anima viva. Scambiamo qualche parola in inglese. Gli chiedo se viaggia da solo. Lui racconta e intanto guarda attento il lungo nastro della pista che si snoda tra dossi e conche sassose fino all’orizzonte lontano. Viaggia da solo. Da nove anni. Ha lasciato la sua città in Germania, il lavoro, la famiglia. Ha lasciato tutto, si è imbarcato ad Algesiras ed è sbarcato in Africa. Con la sua moto ha attraversato deserti, percorso piste, guadato fiumi. Si è accampato nelle savane e ha dormito nelle baracche di città polverose, ha lavorato sui pescherecci al largo della Skeleton Coast e nelle miniere a cielo aperto dello Sperrgebiet, ha fatto tanta strada. Parla lentamente, con quell’accento duro, senza smettere di guardare intorno. Ci chiede dove andiamo, se sulla pista abbiamo incontrato qualcuno. Poi saluta cortese. Risale sulla moto e s’allontana lento scomparendo presto dalla vista. Anche per noi è tempo di riprendere il viaggio. Namib, il deserto senza fine del popolo San che per primo lo ha abitato, si apre austero davanti a noi. Il sole basso sull’orizzonte colora di rosso le colline aride quando arriviamo a Solitaire, la nostra tappa per questa notte. Seduti al tavolo del cortile cosparso di rade agave e degli scheletri consunti di un vecchio trattore e di auto sfasciate gustiamo la torta di mele per cui Solitaire va famosa. Una schiera di uccellini attendono pazienti e confidenti sulla spalliera della panca che qualche briciola cada dalle nostre mani. Nell’aria fresca della mattina chiacchiere e ricordi ci riportano ai luoghi e agli incontri del viaggio. Sono deserte le piste del Namib, ma riservano sorprese. Come Ingrid, la ciclista solitaria

scaturita dal nulla. Ci ha fatto segno di fermarci. Occhi azzurri, capelli biondi, corpo sottile e nervoso, da Oslo è giunta in volo fino a Windhoek. Viaggia da sola, in bicicletta, senza una mappa. Vuole sapere se la pista è giusta per la costa, quanto è lontana. Ci sono più di cento chilometri per il primo centro abitato, ma lei non sembra preoccupata. Risale in sella e si allontana senza voltarsi. Cosa cerca? Come Gerard, che seguendo traiettorie misteriose è giunto fin qua, per fare il pescatore nelle fredde e ricche correnti del Benguela, il minato-

re nella inospitale mitica terra dei diamanti. Nove anni… ha lasciato tutto… da cosa fugge? Un fuoristrada bianco attira la nostra attenzione. Sulla fiancata coperta di polvere c’è scritto qualcosa, De Beers, mi pare, ma non si legge bene. Scendono due uomini, il terzo resta al volante. Massiccio e testa rasata il primo, occhiali scuri, stomaco da bevitore di birra piantato su gambe corte e robuste; alto e metallico il se-

condo, viso scavato e sguardo tagliente. Guardano attorno in silenzio. Il lungo entra nel piccolo locale di ristoro, scambia qualche parola con il gestore che si stringe nelle spalle. Poi esce, ci guarda, sembra che voglia venire verso di noi, ci ripensa e torna al fuoristrada. Ripartono in una nuvola di polvere. E’ magico il Namib, e misterioso. Friedrich ci ha messo in guardia quando siamo partiti. Friedrich, un altro incontro sorprendente. Si accosta a noi con la sua auto mentre la sera ci aggiriamo a piedi un po’ smarriti nella cittadina alle porte del deserto, alla ricerca di un ristorante. Ci offre un passaggio, ci viene a riprendere dopo il pasto e ci accompagna all’albergo. Lascia il suo numero di telefono e dice di chiamarlo, per qualsiasi esigenza, dovunque siamo, se abbiamo problemi durante il viaggio. E ci mette in guardia. Non è facile il Namib, è rude, nasconde insidie. Un’altra giornata di viaggio. La tempesta ci ha sorpresi all’imbocco di una lunga valle, si intravvedono appena le sagome scure di tronchi che protendono verso il cielo invisibile rami senza vita. Poi all’improvviso si è dissolta svelando le maestose quinte di dune che si accavallano come un mare agitato, incombono sull’esile nastro della pista come se dovessero inghiottirla, in un gioco di luci e di ombre, di onde immobili che si rincorrono e si fondono in lame di rosso, ocra e giallo. La faticosa risalita della cresta sinuosa di una grande duna fino al suo punto più alto, per scoprire uno sconfinato oceano di sabbia, la discesa di corsa a piedi nudi lungo il ripido pendio con la sabbia calda che scivola giù veloce ogni volta che il piede vi affonda. Ora l’immensa cupola del cielo nero in cui brillano milioni di stelle mi avvolge nella fredda notte dell’inverno australe, appena fuori dall’esile cono di luce dei rustici capanni che offrono un rifugio nel campo di Sesriem. Appena arrivati, prima che calasse la sera, ho subito notato il grosso fuoristrada bianco parcheggiato poco lontano. Seduti a un tavolo del minuscolo ristorante ho riconosciuto quei tre uomini. Anche loro ci hanno notati, c’è così poca gente. Scambiano qualche battuta tra loro, mentre ci lanciano rapide occhiate. Il lungo si alza e si avvicina, saluta appena, ci chiede da dove veniamo, se abbiamo problemi a guidare su quelle piste, ci invita a fare attenzione, le piste sono larghe ma pericolose a


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velocità sostenuta, è facile sbandare. Uscire di strada in quei posti isolati non è una bella esperienza. Bisogna anche fare attenzione alle altre auto, non stare troppo vicini, perché possono sollevare sassi pericolosi. Ci chiede se abbiamo incontrato molte auto sul nostro percorso, ci chiede con noncuranza se abbiamo visto delle moto… Poche auto, gli dico, no… nessuna moto. Non so perché gli dico così. Quell’uomo mi mette a disagio, c’è qualcosa di ostile nel suo modo di fare. Anche quello sguardo che sembra frugare i pensieri… no, non mi piace. Alla fine torna al suo tavolo mentre noi finiamo di mangiare. Mi alzo presto, a rompere il silenzio del campo soltanto il rincorrersi dei cinguettii degli

uccellini che volano intorno a grandi nidi di erba secca e di fango che rivestono i rami di un albero spoglio. Guardo intorno. Nessuno. Mi avvicino al fuoristrada bianco parcheggiato dietro l’edificio.

De Beers Diamond Company leggo ora con chiarezza. De Beers, ora ricordo di averlo letto da qualche parte. Controlla le sabbie diamantifere della costa dello Sperrgebiet su cui esercita un geloso monopolio, un mondo chiuso e vietato ai viaggiatori. Lì la compagnia detta la sua legge.

Mentre m’incammino per tornare al mio capanno vedo arrivare la motocicletta. Lui scende, mi fa un cenno di saluto. Lo guardo, è un momento… con gli occhi indico il fuoristrada semi-

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nascosto alla sua vista. Lo guarda, risale sulla moto e riparte. Pochi metri, poi torna e si ferma. Mi chiede gentile qual è la mia destinazione per la prossima notte. Fruga nelle tasche di una borsa laterale della moto, estrae un sacchetto nero chiuso da una cerniera. Me lo sporge, mi chiede se lo posso tenere, lui verrà a riprenderlo la sera. Non so perché lo prendo, mi ringrazia e riparte. Torno al capanno, è ancora presto, c’è il tempo di dormire ancora un po’. Quando la mattina ci alziamo il fuoristrada bianco non c’è più. Ci muoviamo anche noi. Chiudo il sacchetto nero nel cassetto del cruscotto. Siamo in viaggio da qualche ora. Il deserto è sempre intorno a noi, lo sguardo fisso alla pista che si perde nell’orizzonte lontano. Un’auto ci viene incontro, è il fuoristrada bianco, lo incrociamo, la luce accecante del sole negli occhi mi lascia appena intravvedere le sagome all’interno, tre, forse quattro. E’ già lontano. Il volo ampio di avvoltoi, la corsa di un gruppo di antilopi, una coppia di sciacalli tra gli arbusti interrompono appena per pochi istanti quel paesaggio immobile. E’ passato da un po’ mezzogiorno, davanti a noi mi sembra di scorgere un vaga macchia scura. Prende forma mano a mano che ci avviciniamo. E’ una moto. Quella moto, coricata a bordo della pista. Niente altro. Cerchiamo nei dintorni, chiamiamo ad alta voce. Nessuno risponde, nessuna traccia di vita. Non ci resta che riprendere la strada, mi siedo accanto al posto di guida, ho bisogno di rilassarmi. Questa sera, quando saremo a destinazione, daremo l’allarme. Il pensiero corre continuamente alla moto, all’uomo… al sacchetto nero… Apro il cassetto del cruscotto, lo prendo e lo rigiro tra le mani, incerto e incuriosito, alla fine lo apro. I diamanti brillano sotto la luce del sole. Li guardo a bocca aperta e d’istinto gli occhi si alzano allo specchietto retrovisore. Lontano, in una nube di polvere, un fuoristrada bianco si avvicina veloce…


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AMA e territorio:

nuove collaborazioni crescono a cura dell’Associazione AMA di Carmagnola

Nel mese di settembre il territorio carmagnolese ha dato prova della propria sensibilità ed attenzione alle problematiche legate all’invecchiamento ed alla perdita delle abilità cognitive e fisiche. Il 15 settembre, presso il Palazzetto comunale, in occasione del I memorial Micky Spina, organizzato dall’associazione sportiva dilettantistica ELLEDÌ Carmagnola C5, si è realizzata una raccolta fondi per la nostra associazione. Ancora una volta la generosità dei presenti al torneo di calcio a 5 ha fatto sì che sia stata raccolta una cospicua somma: euro 850, a dimostrazione di come sia possibile coniugare lo sport con l’impegno sociale. Un importante progetto proposto dal Presidio Soci Coop di Carmagnola ha preso avvio nell’estate, coinvolgendo il I e II Istituto Comprensivo (ex scuole elementari e medie). Il 21 settembre, in occasione della giornata mondiale Alzheimer, presso il cinema teatro Elios, dopo la presentazione a cura della coordinatrice Annarita Damiano, che ha introdotto la tematica della giornata, 200 alunni di 4° 5° elementare e I media hanno ascoltato alcune letture, interpretate simpaticamente e vivacemente dallo scrittore carmagnolese Gian Antonio Bertalmia; inoltre i ragazzi hanno assistito alla proiezione di 2 cortometraggi che, insieme alle letture, hanno indotto in loro pensieri e domande sull’alzheimer. Ai ragazzi è stato inoltre proposto un laboratorio espressivo-creativo, coordinato da un’educatrice della cooperativa Educazione al Consumo di Coop, che li ha stimolati nella produzione di pensieri ed elaborati manuali. L’interesse dei bambini è stato notevole, grazie anche all’ottimo lavoro degli insegnanti che hanno saputo preparare adeguatamente gli alunni e motivarli all’incontro, nonché alla sapiente introduzione e conduzione della sig.ra Damiano. Al termine

dell’incontro a ciascun partecipante è stato offerto un saporito omaggio dal Presidio Soci Coop. Il progetto si è chiuso il 12 ottobre con una cena della solidarietà, presso Casa Frisco, resa possibile dal lavoro ed impegno dei volontari dell’associazione Karmadonne e dall’organizzazione e fornitura dei prodotti generosamente offerti dal Presidio: il ricavato della cena è stato devoluto alla nostra associazione. Il Presidente AMA afferma: “ la realizzazione di questi progetti rinsalda i vincoli tra l’associazione, il territorio ed i nuovi partners, la cui collaborazione si è dimostrata motore indispensabile per la buona riuscita degli eventi. Non solo, grazie a questi momenti pubblici, è stato possibile divulgare le attività che l’associazione realizza nel corso dell’anno e

che diventano sempre più importanti e possibili grazie al contributo ed alla solidarietà di molti. Voglio rivolgere un sentito ringraziamento al Presidio Soci Coop di Carmagnola, alle insegnanti dei 2 Comprensivi scolastici, al sig. Bertalmia, all’associazione Elledi Carmagnola C5 ed ai suoi tifosi, all’associazione Karmadonne ed in ultimo, ma non ultimi, ai geriatri dott.ssa Livia Fiorio e dott. Diego Persico che da sempre collaborano con la nostra associazione, supportandoci ed aiutandoci a realizzare al meglio le nostre attività. Infine un grazie di cuore a tutti quanti hanno reso possibile questi eventi e a tutti i commensali della cena di solidarietà. Il devoluto sarà utilizzato per il mantenimento e l’implemento dei servizi da noi offerti al territorio.”

AMA Carmagnola: gli incontri del caffè Alzheimer 2018/19 17.11.’18

Dott. Roberto Lasagna - medico legale Aspetti medico legali della gestione dell’anziano non autosufficiente

15.12.’18

Festa di Natale

Con la presenza del Coro Arco Alpino di Chieri

19.01.’19

Dott.ssa Dolores Marzano - dietista ASL to5

Anziani… alcuni consigli alimentari e comportamentali per invecchiare meglio

16.02.’19

Dott. Evaristo Stefanelli - psicoterapeuta

Il deterioramento cognitivo in famiglia

23.03.’19

Geriatra Stefania Speme e fisioterapista Loris Stratta

La cura del movimento: confort e sicurezza della mobilizzazione, prescrizione di ausili e presidi

20.04.’19

Avv. Francesca Franza - Pinerolo

Tutela dell’anziano fragile: aspetti legali

18.05.’19

Dott.ssa Livia Fiorio e dott. Diego Persico - geriatri ASL to5

Alzheimer e demenze: il geriatra e le scelte terapeutiche

22.06.’19

Festa finale

ALLARME PICCIONI Corriamo ai ripari segue dalla prima

La disinfestazione professionale degli uccelli non solo è essenziale per evitare danni ai tuoi immobili, ma anche per ridurre al minimo i rischi per la salute causati dalla presenza di piccioni e altri volatili che si riproducono a dismisura. I piccioni, infatti, sono ospiti di parassiti quali zecche, pulci e acari degli uccelli, che possono contagiare anche gli esseri umani. Questi insetti infestanti vivono sugli uccelli, sugli accumuli delle loro deiezioni e sui materiali usati per la nidificazione.” Questi rischi sono evidenziati dal fatto che il guano ed altri materiali raccolti nelle aree di nidificazione di questi volatili devono essere smaltiti in discariche controllate (di cui la più vicina a Racconigi è ad Alba) perché definiti rifiuti pericolosi e nocivi. Come ci aveva raccontato Gabriella, inoltre, le aree di nidificazione dei

piccioni attirano altri animali che in grosse colonie creano un ambiente estremamente pericoloso per la diffusione di inquinamento ambientale fonte di numerose malattie per animali domestici e per gli umani; questi ulteriori inquilini dei nostri solai, sottotetti e rittane sono i topi. Più tempo passa senza che siano attuati interventi accurati, più la popolazione di questo genere di animali e dei loro stessi parassiti si accresce, moltiplicandosi in modo esponenziale. Ovviamente il problema si presenta là dove esistono situazioni di edifici pubblici e privati in stato di abbandono o con scarsa manutenzione ed è facile capire che nel centro storico queste situazioni sono maggiormente presenti: ognuno di noi può alzare gli occhi e vedere come sulle coperture del Castello Savoia ci siano grandi

stormi di piccioni. Dove pensate che nidifichino queste simpatiche bestiole? E inoltre non pagano neppure il biglietto di ingresso. Nelle nostre campagne sono sempre più frequenti gli avvistamenti di gabbiani i quali non trovando sufficiente cibo al mare vengono a pranzo qui oltre gli appennini liguri, ritornando poi a dormire al mare alla sera. E forse non avete notato l’aumento sempre maggiore di cornacchie e di gazze? È ovvio che essendo mutati tutta una serie di parametri della nostra vita quotidiana qualche scompenso si crea anche nella fauna con la quale siamo abituati a convivere, salvo poi renderci conto di una serie di danni che subiamo a causa di questa crescita. Ogni famiglia pensa a risolvere i problemi a casa propria (in fondo all’articolo segnalo il contatto di questa ditta che, come ho detto sopra, si occupa di

allontanamento di questi animali infestanti) ma credo che il problema dovrebbe essere affrontato in parallelo anche dalla nostra Amministrazione Comunale; pur essendo conscio che è un problema di non facile soluzione rivolgo pubblicamente un appello affinché si tenga presente il disagio. Uno studio potrebbe essere il primo momento e successivamente, anche con la collaborazione dei cittadini, trovare le soluzioni tecnicamente più praticabili con la spesa meno onerosa possibile. Non sono un tecnico per poter dare indicazioni ma raccolgo spesso opinioni tra le persone che conosco e ho trovato ben poca gente che ama la compagnia così numerosa dei simpatici e romantici animaletti. kristiancuku@icloud.com - tel. 340 0951541


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Progetto Cantoregi presenta

“IL SEME E LA LUNA - Voci dal Frantoio” Monologo di e con Nicola Stante.

Giovedì 6 dicembre 2018, alle ore 21.00 c/o Santa Croce, via Francesco Morosini 1, Racconigi. Ingresso libero.

La voce sola racconta: immagini, voci, un mondo di storie: di vivi, di morti, di simulacri che girano, come “in processione”, in un tempo circolare infinito. Il disco di ferro, usato nei frantoi di tradizione per comporre il carrello della pressata (“la mboste”), ne è il simbolo. Narra dei cicli rituali di lavorazione delle olive, che scandiscono insieme nascita, formazione e destino di ogni vita umana. E in scena, si fa materia fra mani sapienti, che lo afferrano, lo alzano, lo tengono innanzi per parlarci attraverso.

A seguire, Progetto Cantoregi presenterà il laboratorio teatrale “SCENDIAMO IN PIAZZA”, che si terrà tutti i lunedì sera alle ore 20.45, tra gennaio e giugno 2019, con la realizzazione di uno spettacolo a inizio luglio. Il laboratorio sarà aperto a tutti, dai 16 ai 100 anni, e si terrà presso i locali del Centro Giovani Ex Gil, via Divisione Alpina Cuneese 20. Lunedì 17 dicembre 2018, incontro #0 - il filo rosso - serata di prova.

Per informazioni: laboratorio@progettocantoregi.it Si ringrazia l’amministrazione per la preziosa e continua collaborazione con l’associazione Progetto Cantoregi.

Cin

Cinema FILM PER HALLOWEEN di Cecilia Siccardi

La fine di ottobre si avvicina, e con essa Halloween, la festa più tenebrosa dell’anno. Importata direttamente

Lib

Libri di Michela Umbaca

Se i sogni si potessero tramutare in parole, vivremmo in un mondo in cui la realtà lascerebbe finalmente spazio alle fantasie più delicate e recondite del nostro Inconscio. Immaginate un vecchio in grado di

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dalla cultura anglosassone, questa festività è diventata popolare anche in Italia, soprattutto fra i più piccoli. Che si tratti di dolcetto o scherzetto o di feste a tema, di certo non mancano possibili attività da svolgere il 31 ottobre; se invece voleste rimanere a casa a celebrare con un film in tema, ecco alcuni suggerimenti per voi. Partiamo dal più classico dei classici: Halloween, film del 1978 di John Carpenter e capostipite della saga omonima. Incentrato sulla figura del folle assassino Michael Myers, Halloween introdusse e consacrò la giovane Jamie Lee Curtis al ruolo di “scream queen” (reginetta dell’urlo) che avrebbe mantenuto durante tutti gli anni ’80. Se preferite un film horror dalla prospettiva più contemporanea e meno classica, potete invece

optare per Badabook (2015), in cui il terribile mostro che dà il titolo al film, che tormenta una madre vedova e suo figlio, può essere visto come una metafora del dolore e della depressione. I più piccoli potranno invece divertirsi con Nightmare Before Christmas, film di Tim Burton del ’93 ambientato nel Paese di Halloween: Jack Skeletron, re delle zucche, è stanco della festa che contribuisce ogni anno a preparare. In cerca di cambiamenti, cerca di organizzare il Natale, senza però riuscire a capirne il vero spirito. In alternativa, Coco, film Pixar vincitore dell’Oscar come Miglior Film d’Animazione nel 2018, è ambientato durante il tradizionale Giorno dei Morti messicano. Oltre a questi suggerimenti, ovviamente, ci sono molte altre possibilità:

capire la lingua dei gatti; provate a pensare a un ragazzo di quindici anni, sfacciatamente solo, finalmente indipendente. Il primo sfugge da una sconcertante profezia; il secondo da un inquietante delitto. Kafka sulla spiaggia è il portale onirico che vi prende per mano e vi guida in un viaggio visionario, surreale, il cui confine tra realtà e fantasia viene, passo dopo passo, delicatamente annullato, fino a farvi immergere in un mondo in cui tutto è possibile e, allo stesso tempo, proibito. Da qui prende inizio un percorso attraverso i luoghi incantati e spirituali di un Giappone custode di antiche tradizioni, mistico, emblema di un luogo quasi magico, effimero. Ed è in questi termini che si delinea la grande scrittura di Murakami che, proprio con Kafka sulla

spiaggia, sancisce la sua entrata nel mondo della letteratura contemporanea, trasportando i suoi lettori in una dimensione nuova, mai banale, ma che in qualche modo ci appartiene e sentiamo nostra. Kafka sulla spiaggia è un inno alla capacità umana di far coincidere sogni e inquietanti paure all’esatto punto in cui fantasia e paranoia convergono per creare i nostri sogni più irrequieti, i mostri dei nostri più intimi e segreti turbamenti.

Murakami Haruki

“Kafka sulla spiaggia” 2009, pag. 518, € 15,00 Einaudi Editore

ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le età!


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Mus

Musica LANDGREN NILS

CHRISTMAS WITH MY FRIENDS VI di Giuseppe Cavaglieri

Il Natale senza le canzoni è impensabile. Eppure, come si può essere aperti a diversi stili musicali e trovare un buon equilibrio tra loro? Come si possono mettere insieme tutti i generi musicali? Dovreb-

be essere classico o soul, gospel o pop, blues o jazz? Il compromesso è spesso lo stile incarnato da un singolo musicista, ma non è il caso di "Christmas With My Friends" di Nils Landgren. Accanto al trombonista e cantante svedese, ci sono quattro vocalist, Jeanette Köhn, Ida Sand, Jessica Pilnäs e Sharon Dyall, e le loro voci fondamentalmente diverse permettono loro di combinare molti generi musicali. Il modo in cui loro quattro coesistono in armonia è solo uno dei motivi per cui "Christmas With My Friends" si è dimostrato così popolare e di successo negli ultimi dodici anni. Accompagnato da Eva Kruse al basso, Johan Norberg alla chitarra, e dal sassofonista Jonas Knutsson, l'ensemble reinterpreta le canzoni di Natale di tutto il mondo in chiave jazz, riunendo il noto con il meno familiare, combinando l'allegro con il contemplativo. Jeanette Köhn è l’anima classica del progetto. È stata insignita di tutti i più importanti premi in Svezia e si è anche aggiudicata

un Grammy. Spesso è lei la cantante che sale sul palco per le celebrazioni ufficiali in Svezia come il Compleanno del Re, la Cerimonia del Premio Nobel, il funerale di Astrid Lindgren o il Royal Wedding nel 2010. Ida Sand non è solo la pianista di questo piccolo gruppo natalizio, ma porta anche la sua voce dolce-amara. Da molti anni è una delle straordinarie voci soul bianche in Europa, ed è la cantante perfetta per il blues "Merry Christmas Baby", e per la canzone soul di Dave Grusin "Who Comes This Night". Jessica Pilnäs ha un timbro chiaro e brillante, la sua è una voce leggera ha una buona conoscenza del fraseggio jazz. Ha fatto scalpore nel 2012 con un tributo a Peggy Lee. Ha la voce e l'atteggiamento giusti per standard come "What Are Youing New Year's Eve?" Di Frank Loesser e per la sua composizione "When This Night is Over". Il colore vocale più scuro viene da Sharon Dyall. Figlia di madre svedese e padre della Guyana, è cresciuta a Londra e nelle Barbados e porta il gospel

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e il blues al cenone di Natale. Ha costruito la sua carriera con i musical. Guarda il palco illuminarsi mentre canta canzoni come "I'd Like You For Christmas" di Bobby Troup o "Come One, Come All" di Jonas Knutsson. "Christmas With My Friends VI" è una celebrazione, e tutti coloro che apprezzano le canzoni di Natale eccezionalmente buone da Bach agli ABBA in interpretazioni nuove sono i benvenuti. È l'accompagnamento perfetto per tutte le situazioni e gli stati d'animo e deve essere goduto prima, durante e dopo il giorno di Natale.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Sono certo che capita anche a qualcuno di voi. E perché dunque una persona vecchia non può avere l’anima, il fascino e la forza di un oggetto vecchio? Direi che ne ha molto di più. Eppure noi moderni interpretiamo il vecchio solo come il risultato dell’opera distruttrice del tempo, come un momento della vita che prelude alla morte mentre invece diamo valore a persone o oggetti soltanto perché sono giovani, nuovi, freschi senza neppure conoscerne le proprietà salvo poi sbarazzarcene non appena qualcosa di più nuovo è sopravvenuto all’orizzonte. “L’evo dei consumi è dopaminico: lo stimolo è l’appagamento istantaneo (…) Vivere di fiammate, di una successione di attimi senza un prima e un dopo, è patologico in sè (…) credo che si debbano allestire grandi depositi di serotonina (in senso lato: anche biblioteche, teatri, scuole, accademie, pievi, spiagge silenziose, città accoglienti e non nevrotiche, paesaggi, agricoltura sana e non impoverita dalla fretta) per quando ne avremo urgente bisogno. Il classico farmaco salvavita” ( Michele Serra sul Venerdì del 26 ottobre 2018). Tutti piaceri, quelli elencati, che costituiscono farmaci naturali che sembrano adatti ai vecchi; ne siamo certi? Nella preistoria, quando gli uomini erano cacciatori e raccoglitori ovvero nomadi, quando il vecchio non poteva più seguire la tribù negli spostamenti e sostanzialmente non avere più una utilità nella economia per il loro gruppo veniva

abbandonato e lasciato morire di morte naturale, in alcuni casi veniva addirittura abbattuto. Quando poi gli umani scoprirono l’agricoltura ecco che i vecchi vennero rivalutati e si tenne in alta considerazione la loro saggezza, la loro esperienza, la loro anima. Certo, c’erano i mezzi per potersi accollare la loro esistenza (che tra l’altro era ben poca cosa: mangiavano poco e non avevano grosse esigenze). Ora nella nostra civiltà abbiamo da tempo cominciato a cautelare l’esistenza degli “anziani” (addirittura non li chiamiamo neppure più “vecchi”) ma negli ultimi anni abbiamo scoperto che questi anziani costano troppo, occupano troppo spazio, mangiano poco ma hanno bisogno di molti farmaci e cure: insomma vivono troppo a lungo: tornerà un tempo in cui si dovranno di nuovo abbattere? Spero che il mio appello per la rivalutazione del vecchio in quanto vecchio arrivi prima di queste drastiche scelte, forse spetta anche a noi dare input ai giovani, magari anche a quelli dell’Arimondi-Eula, come facevano un tempo i nonni, raccontare le nostre storie ai ragazzi, su face book o con altri strumenti o, per chi ci crede, magari anche su insonnia. Una convivenza insomma tra il nuovo ed il vecchio in modo, che nei consigli di amministrazione, nei parlamenti, nelle associazioni, non continui questa tendenza ad abbassare la media dell’età, in modo che l’esperienza dei più vecchi venga ancora tenuta in considerazione.

Due tragici esempi che dimostrano come il nuovo non sia sempre il meglio, portiamo l’attenzione su due fatti accaduti questo ultimo anno: il governo fatto con due vice premier e un mezzo premier tutti e tre molto giovani e con scelte molto nuove che non mi danno una grande fiducia , e il ponte Morandi di

Genova che nonostante la sua ancora giovane età e le moderne tecnologie ha provocato tante vittime. Il Ponte Vecchio di Firenze resiste, costruito nel 1345 su progetto di Gatti e Fioravanti. di Rodolfo Allasia

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