Insonnia Novembre 2017

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 97 Novembre 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Vorrei parlare di Catalogna. Lo so che, vista da qui, sembra un posto lontano e che nulla ha che fare con il nostro territorio: ma non possiamo non accorgerci come la voglia di separatismi sia ormai arrivata anche qui, con i referendum della Lombardia e del Veneto e diversi esponenti politici nostrani che, sulla scia del loro successo, chiedono una consultazione analoga anche in Piemonte. E come non citare il Verbano-Cusio Ossola, dove si discute di un’annessione alla Lombardia o (perché no?) addirittura alla Svizzera. Ma come siamo arrivati a questo? Gli osservatori inquadrano la vicenda catalana tra le forme di «ribellismo» o di reazione dei territori alle minacce della globalizzazione, dunque all’identità civile, linguistica, sociale e culturale. Nel referendum catalano, ma anche di quelli lombardo e veneto, la richiesta di autonomia è indirizzata allo Stato centrale, non all’Unione europea. I catalani vogliono trasferire meno tasse a Madrid e trattenere più risorse per il proprio territorio, uno dei più ricchi della Spagna. Siamo più ricchi delle altre regioni spagnole, perché dobbiamo ricevere dallo Stato finanziamenti meno generosi? E perché dobbiamo contribuire più di altri a finanziare regioni male amministrate? Il territorio, cioè la terra in cui si vive, si lavora, si risparmia è la dimensione a cui ogni essere umano è attaccato. Ma tanta ricchezza, nel mondo globale, non può essere più solo il risultato di quel territorio. Essa proviene da altri territori, magari remoti, come accade con i turisti cinesi e giapponesi, o i giovani che inondano le Ramblas.

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Marzola: “La LA CROCE ROSSA vera riforma A RACCONIGI: UNA PRESENZA STORICA della scuola Una struttura complessa cui la città è abituata, ma che richiede a tutti i livelli attenzione, dedizione, impegno continui ed energie sempre nuove Un po’ di storia: gli inizi e i Padri Fondatori Racconigi si “risveglia” all’inizio degli anni ottanta con la prima seria crisi del lavoro dal dopoguerra: l’onda travolge, senza appello, per prime le manifatture “Facis” e via via altre piccole e medie aziende. Anche le istituzioni non ci risparmiano: il “De Profundis” suona per l’Ospedale civile ed il Neuro. Sarà sentenza capitale senza appello. Scossi dal vento del quasi abbandono, alcuni cittadini, con in testa gli infermieri dell’Ospedale Rosanna e Francesco, organizzano l’incontro che darà i natali alla CROCE ROSSA a Racconigi. È il 24 giugno 1983. All’ordine del giorno la pressante necessità di un’ambulanza h 24 che il nuovo sistema sanitario ha soppresso a Racconigi.

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IL PROBLEMA PICCIONI NON È DA SOTTOVALUTARE Uno studio di Gabriella Vaschetti di Rodolfo Allasia

Ho incontrato Gabriella Vaschetti - figlia di Bruno Vaschetti, il papà delle cicogne racconigesi - volevo un parere autorevole intorno al problema dei piccioni che oramai mette in apprensione le persone che vivono in Racconigi. Gabriella da anni studia il problema e ha scritto per la Regione Piemonte, in collaborazione con il

sarebbe togliere i voti” a cura di Bruna Paschetta e Guido Piovano

Vi riproponiamo i temi su cui abbiamo interpellato il Dirigente e la seconda tornata delle risposte. La prima parte è uscita sul numero di ottobre del giornale. 1. I media hanno presentato come una grande novità il Decreto Legislativo n. 62 “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato…”, cosiddetto "antibocciature". A noi sembra che non preveda particolari novità per la scuola secondaria di primo grado (la scuola media), mentre qualcosa di nuovo ci sia per la scuola primaria. Lei cosa ne pensa? 2. Il decreto fa riferimento all'obbligo per le scuole di attivare “specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento”. Quali misure sono adottate a Racconigi e qual è l'efficacia di queste azioni? 3. Nella scuola media a Racconigi c’è stato un livello di "bocciature" superiore alla media, almeno in alcune classi. Quali le ragioni? Come evitare il ripetersi di situazioni analoghe? 4. L’orario adottato quest’anno, 6 ore in una mattina con frequenti cambi di materia, non ci sembra idoneo a favorire proprio chi già fatica a stare a scuola.

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CHIARUGI

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Conflitto pag. 7

S.O.S Terra

LE FIABE

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QUARANT'ANNNI DI CANTOREGI Quarant’anni di attività tra teatro, mostre e allestimenti all'insegna della memoria e dell'impegno sociale, capaci di raccontare il nostro Paese attraverso le storie di uomini e donne che hanno lottato per i diritti e la dignità. A Racconigi, quasi vent’anni di spettacoli che hanno narrato aspetti della storia del paese e visto come protagonisti molti cittadini racconigesi.

GRAZIE!!!

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE Le fotografie che illustrano il numero di novembre e si spargono, tra le pagine circondate da una cornicetta sono ancora di Rocco Agostino. L’amico, ormai conosciuto come provetto fotografo, ha definito il Racconto di questa volta “Cigar Box” di pura manualità racconigese. Una cigar box guitar è in realtà uno strumento molto grezzo che veniva costruito con mezzi di fortuna come scatole di sigari (ecco perché il nome) o altre scatole riciclate che costituivano la cassa armonica dello strumento. Erano soprattutto braccianti

neri, negli Stati Uniti, a produrre queste chitarre: ecco l’arte di arrangiarsi!) Ci è piaciuto poiché sono sempre meno le persone che lavorano con le mani; chissà se nel futuro ci saranno ancora mani così, visto che sono pochissimi i giovani che imparano a fare questi lavori? Oggi ci sono ancora e Rocco le ha documentate. Ci auguriamo che i nostri lettori apprezzino questi Racconti fotografici e che apprezzino le qualità dei fotografi che vi proponiamo.

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La pornografia del dolore di Luciano Fico

Con il palmo della mano cancella la patina di umidità dal vetro ed apre una via per vedere fuori. Il vetro, umido di condensa, è freddo sulla pelle ed il vetro duro, ostile, alieno. Sta piovendo una pioggia noiosa e distaccata; l’asfalto si è fatto scuro e riflette, a tratti, la debole luce dei fari delle rare automobili. Il cielo è gonfio di grigio e continua il grigio della strada, il grigio della città, il grigio che copre i pensieri di Angelica. Il suo sguardo è fisso e senza curiosità, come diluito e dissolto nell’uniforme grigiore: non potrebbe esistere altro colore per dipingere questa maledetta domenica sera. Il pensiero osa andare a lui e subito il cuore fa sentire come è gonfio di dolore: una lacrima tracima e scende lenta sulla guancia fino a perdersi nella fessura delle labbra pallide. Ora il paesaggio dell’asfalto bagnato si fa anche sfocato, ancora più distante ed inutile. Inutile come una telefonata (che non ha fatto, per altro…), inutile come un chiarimento, inutile come la voce preoccupata della sua amica, inutile come domani… Lui è entrato in lei, si è innestato nella sua vita, sembrava aver portato l’immensa gioia di un incontro. Poi se ne è andato! Un’ambulanza colora di un blu lampeggiante la strada e riempie con il suo urlo invadente il tempo sospeso, per poi lasciarlo appena sfumato del suono ormai lontano e poi di nuovo vuoto. Subito il dolore di Angelica si connette al dolore che

quell’improvvisa apparizione suggerisce: chi sarà riverso su quella lettiga? quali pensieri lo staranno attraversando? si sentirà solo, sola? L’anima tormentata di Angelica si sversa in quella della persona immaginata, come esistesse un’inevitabile comunione dei sofferenti, una fratellanza impastata nel dolore. Chissà se anche lui ha sofferto…o se ha attraversato il suo destino con la leggerezza che è dono per alcuni. Chissà se ha patito per lei o se ha trovato in se stesso ogni appiglio ed ogni risposta. Come vorrebbe che non fosse così, ma ora Angelica deve fare i conti con una rabbia sorda e impietosa! In questo preciso momento vorrebbe averlo davanti per poterlo picchiare e farlo sanguinare e vederlo soffrire. Quel sangue direbbe che è vivo, che è vero, non solo un ricordo o, forse, soltanto una fottutissima fantasia!!! Lo stomaco si contrae, la bocca si riempie di sapori acidi: si sente come se stesse digerendo se stessa, dissolvendo la sua vita in una massa di carne gelatinosa sciolta dall’acido della rabbia e del rancore. La camera è ormai completamente buia, rischiarata appena dalla luce incerta dei lampioni, che galleggiano nella pioggia, là fuori. Angelica sta con la fronte appoggiata al freddo del vetro. Chiudiamo la porta delicatamente e lasciamola nella sua solitudine: ci sono momenti che hanno bisogno di scorrere in silenzio, sospesi, senza una risposta. La vita ritroverà il suo corso…


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La Croce Rossa a Racconigi: una presenza storica VOLONTARIATO: SCAMBIO DI ENERGIE POSITIVE PER IL “BENE COMUNE”

Una struttura complessa cui la città è abituata, ma che richiede a tutti i livelli attenzione, dedizione, impegno continui ed energie sempre nuove segue dalla prima

Inoltre il servizio dall’Ospedale di Savigliano lascia a desiderare tant’è che la ditta appaltatrice fallisce nel 1986 e, nel 1987 per un certo periodo, le ambulanze della sede di Racconigi prendono in carico il servizio dall’Ospedale di Savigliano. Dal primo incontro nasce il nucleo dei “Padri Fondatori” e con grandi speranze e forte determinazione a Rosanna e Francesco (Ciccio per gli amici) si uniscono ed attivano Guido, Claudio, Luciano, Fulvio, Silvia, Be-

la mitica FIAT 238 dismessa (quasi rottamata) dalla C.R.I. di Cuneo, che il paziente lavoro di neo volontari (Franco e Aldo), cercando di risparmiare anche il “fiato”, rimettono in careggiata. Ovviamente ci sono i VOLONTARI, un po’ trepidanti ma molto determinati, “pescati” fra i giovani pensionati, le casalinghe, qualche studente, artigiani ed operai, infermieri ed imprenditori, tutti quanti un po’ spauriti perché la posta in gioco è molto alta. I

boratori ottengono in pochi mesi il riconoscimento a Delegazione, poi a Sottocomitato con risorse ed amministrazione autonome. L’oggi Con un balzo di trent’anni si arriva ai giorni nostri con lo scioglimento, in virtù di una legge dello Stato, dell’Ente di Croce Rossa Italiana e la migrazione fra le fila dell’Associazione di Promozione Sociale ONLUS. Nel 2013 anche Racconigi viene pro-

e anche gli incaricati per la gestione dei turni di servizio e dei giovani che scelgono di vivere un anno di servizio volontario nazionale nella Croce Rossa Italiana, istruttori per corsi BLS, BLSD, protocollo 118, istruttori truccatori e delle attività per i più piccoli (truccabimbi), istruttori patenti C.R.I.; tutti insieme affrontano ogni giorno piccole grandi richieste di aiuto, volontariamente e gratuitamente. Si addestrano nuovi volontari e si perfeziona la formazione degli operativi, si mettono in campo corsi di primo soccorso per le Associazioni sportive, per il corpo insegnante, per le Forze dell’ordine ed i Vigili del Fuoco, anche per i privati cittadini, soprattutto genitori attenti ai rischi dei loro figlioletti, che frequentano corsi per la “disostruzione pediatrica” ecc… I mezzi e gli interventi Oltre settantamila le ore annue di servizio Volontario, poco meno di cinquecentomila chilometri annui, una sede funzionante e dignitosa, quatto ambulanze ed altri undici veicoli attrezzati per il trasporto disabili. Il 2017 aggiunge un tassello importante con la stipula della Convenzione per una ambulanza di soccorso a sola disposizione della centrale 118 provinciale: un riconoscimento all’impegno ed alla professionalità del servizio reso dai Volontari della Croce Rossa, ma che pone l’obbligo di raddoppiare la presenza diurna degli equipaggi di soccorso oltre al personale per tutti i restanti servizi non urgenti.

nedetto, Virginio, Franca, Gelsomino, Patrizia, Antonio, Paolo, Piero, Aldo, Franco, Nino, Caterina, Lorenzo, Giancarlo, Alessandra, Giacomino, e tanti tanti altri (una quarantina circa) alcuni dei quali prestano ancora servizio. Si decide di avviare il servizio entro l’anno, il tempo stringe. Dal Comitato Provinciale di Cuneo della Croce Rossa si organizzano ben tre corsi di primo soccorso per addestrare una settantina di “Volontari del Soccorso” ed i “Cittadini Volontari” di Racconigi si prestano anche per allestire i locali della prima sede. Fervono i preparativi e finalmente si parte; è la ricorrenza dell’Immacolata e “ci sentiamo un po’ carbonari”. La prima ambulanza … il telefono, un piccolo soggiorno-centralino; un ufficio-magazzino, cucinotto ed una cameretta ricavati nei locali dell’ex laboratorio analisi dell’Ospedale, poi … l’ambulanza:

“corvi” appostati non mancano sia fra la popolazione forse un po’ incredula a tanta buona volontà, ma soprattutto tra le fila di funzionari e dirigenti dell’allora U.S.L. che si videro costretti loro malgrado ad accettare la novità. Il rodaggio è impegnativo come per una piccola azienda che nasce, ma ben presto sarà un crescendo di nuove attività compresa la convenzione con il Servizio Sanitario Pubblico e finalmente nel 2001 la nuova sede di Via Priotti. A tessere le maglie dell’intesa fra il Comune che ne finanzia l’opera, l’A.S.L. e la C.R.I. del Comitato Nazionale, è ancora l’instancabile Guido che guiderà (scusate la ripetizione) il Comitato di Racconigi della Croce Rossa per oltre 30 anni. Scrupoloso e certosino nell’amministrare le risorse, ma determinato fino allo sfinimento nella burocrazia che spadroneggia anche nell’Ente di Croce Rossa, Guido ed i suoi colla-

mossa a Comitato di CROCE ROSSA ITALIANA con ampia autonomia gestionale. I volontari Oltre 200 volontari fra soccorritori, centralinisti, addetti alla segreteria, istruttori, volontarie che si occupano del “Banco Alimentare”, dell’assistenza al servizio Scuolabus, insegnanti di sostegno volontarie presso la Scuola primaria, volontari dell’Area Giovani che organizzano attività di propaganda ed educazione sanitaria nelle scuole superiori, durante le manifestazioni pubbliche ed i festeggiamenti patronali. Inoltre, personale dell’Area Salute pubblica (e soccorso) che provvede al soccorso di emergenza in ambulanza, all’assistenza in attività sportive, alla gestione della sede, degli automezzi e delle forniture sanitarie, dei magazzini e delle dotazioni per i volontari, della gestione del centralino, dello smistamento dei servizi di trasporto

I princìpi Duecento volontari potrebbero non essere più sufficienti e la campagna “acquisti” continua a tappe forzate nell’intento di trasmettere ai cittadini racconigesi e dei Comuni limitrofi che il volontariato è uno scambio continuo di energie positive e si inserisce nell’ottica del “bene comune”. Croce Rossa e Mezzaluna Rossa in 192 nazioni, molte delle quali martoriate da guerre e miserie, e Croce Rossa anche a Racconigi, animate dai medesimi “7 Principi Fondamentali”: Umanità, Imparzialità, Neutralità, Indipendenza, Volontariato, Unità, Universalità. Nell’incontro pastorale il Vescovo Cesare Nosiglia (riportato anche su Insonnia-ottobre ’17) cita la Costituzione della Repubblica Italiana: “il volontariato è importante per far crescere il bene comune”, oso aggiungere che è indispensabile per coltivare il sentimento di “mutuo soccorso” fra i cittadini. Grazie. Livio


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IL PROBLEMA PICCIONI NON È DA SOTTOVALUTARE Uno studio di Gabriella Vaschetti segue dalla prima

Il colombo si è adattato sorprendentemente all'ambiente urbano riproducendosi con successo, vista l'abbondanza di risorse alimentari e siti nei quali soggiornare sia nel centro che in campagna. La sovrappopolazione ha imposto la adozione di provvedimenti, che devono però stare dentro a

bo spesso occupa siti di colonizzazione di animali selvatici come rondoni, taccole e pipistrelli; questi possono essere danneggiati dagli interventi messi in atto per scoraggiare la nidificazione. Sanitari: le popolazioni di colombi possono "elevare il livello di rischio sanitario in maniera diretta costituendo fonte di patologie e indirettamente albergando o richiamando altri animali vettori di parassiti". Da impatto sulle produzioni agricole: i danni riscontrabili sono quelli da imbrattamento e contaminazione dalle feci e da alimenti mangiati da altri animali domestici (mangimificio, aziende agricole, silos di deposito). DANNI ALLE COLTIVAZIONI Il colombo, soprattutto quello di città, reca danni a coltivazioni come: pisello proteico, soia e girasole. Si nutre delle piantine appena spuntate (non dei loro semi) e distrugge quasi tutte le zone coltivate poiché, attirati da quelle coltivazioni, questi animali possono giungere anche da molto lontano. Per il girasole il danno è anche nel fatto che il colombo si ciba dei semi della pianta in

criteri attentamente individuati e favorire l'integrazione armonica. Occorre delineare quali misure di prevenzione e contenimento numerico sia possibile adottare, non ultimo tutelare il benessere animale, condurre un monitoraggio sanitario delle popolazioni di colombi e intervenire con misure di prevenzione nel caso di rischio per la salute pubblica. RISCHI DA SOVRAPPOPOLAZIONE Ambientali: azione deturpante e corrosiva su edifici e monumenti di valore storico/artistico, accumulo di piume, escreti, uova, carcasse in putrefazione nei siti di riproduzione e rifugio, ostruzione di grondaie, alterazione di specie parassite come i topi, diffusione di odore molesto e rumore dove il colombo nidifica e dorme, aumento di mosche, acari e zecche con possibili rischi di igiene e salute. Ecologici: l’eccessiva presenza di colombi spesso induce il privato ad intervenire clandestinamente con mezzi non efficaci e rischiosi (veleni che inquinano le acque) per uomini e animali. Il colom-

maturazione. LINEE GUIDA PER LA GESTIONE DEL COLOMBO IN CITTÀ Le abbondanti risorse ambientali e i siti di edificazione spiegano il successo riproduttivo della specie del colombo. Quindi qualunque intervento di contenimento deve contemplare interventi diversificati, integrati, ecologici, sostenibili, fattibili sotto il profilo tecnico e scientifico, durevoli, etici e condivisi. Punto di partenza è una stima realistica della consistenza numerica. È dunque necessario un censimento di cadenza annuale per complessivi quattro anni, da fare in novembre e dicembre quando la popolazione della specie è al minimo. Saranno considerate le principali colonie riproduttive, i luoghi di maggior concentrazione per la sosta diurna e notturna. Non sto a descrivere i metodi di censimento che invece hanno molta importanza. METODI DI CONTROLLO Il protocollo operativo del contenimento dell'im-

Servizio Veterinario dell'ASL CN1, le linee guida per affrontare quella che si può definire una vera e propria EMERGENZA. I "rischi da sovrappopolazione del colombo" sono riconducibili a rischi ambientali, ecologici, sanitari, da impatto sulle produzioni agricole e diversi sono i modi per affrontare il problema, secondo che si ponga attenzione all'ambiente urbano o a quello rurale. Gabriella mi ha presentato il documento che si può trovare sulla Gazzetta Ufficiale del Piemonte n. 41 del 9 ottobre 2008; esso spiega come il fenomeno sia complesso e da non affrontare con leggerezza. L'articolo che state leggendo è un sunto di quel documento, in esso descrivo il problema e come affrontarlo in ambito urbano.

patto da colombi urbani deve avere queste tappe: 1. Sensibilizzazione dell'opinione pubblica sulle problematiche legate all'eccesso di colombi e sulle misure per il contenimento. 2. Censimento delle colonie di colombi secondo metodi scientifici. 3. Messa in atto di sistemi indiretti basati sulla riduzione della disponibilità di cibo, della estesa e indisturbata possibilità di nidificazione, eliminazione di aree ideali di concentrazione e sosta. Adozione di un piano di limitazione di fonti di alimentazione (potrebbe essere vietato il foraggiamento di cibo da parte di privati), chiusura di accessi alle zone di sosta e nidificazione. 4. Nuovo censimento per valutare l'efficacia dei procedimenti rispetto al primo censimento. 5. Persistendo valori alti si valuteranno le cause di insuccesso e potranno essere applicati correttivi, come sistemi diretti di contenimento (gabbie trappola e successiva soppressione). In base alla legge 157/92 - art. 19, si autorizzano le province ad attuare piani di controllo sugli animali selvatici. Qualora i metodi messi in atto non siano risultati efficaci, le province potranno autorizzare piani di abbattimento. La cattura andrà effettuata con sistemi adatti e la soppressione degli animali catturati richiederà il rispetto dei regolamenti previsti. Le carcasse degli animali dovranno essere destinate all'incenerimento in impianto autorizzato, sotto sorveglianza sanitaria dell'Asl. In contesto urbano non è possibile abbattere gli animali con armi da fuoco. I sistemi di riduzione numerica in ambito urbano sono efficaci solo per un periodo breve, perché i piccioni ritornano rapidamente ai valori iniziali per un aumento della capacità riproduttiva; quindi, se non si rimuovono i fattori che determinano la crescita e la concentrazione degli stessi animali, l'intervento, nel lungo termine, è inutile. 6. Nuovo censimento per verificare l'efficacia dei metodi utilizzati. 7. Censimenti ogni anno per monitorare la situazione. VIGILANZA VETERINARIA I servizi di veterinaria delle Asl hanno competenza in questi casi: • Diagnosi dei monitoraggi e adozione di provvedimenti che riguardano la sanità degli animali e la disinfestazione da parassiti. • Controlli e verifiche del rispetto della tutela del benessere animale, inclusa la valutazione dei metodi di cattura e soppressione. • Valutazione dell'impiego di trattamenti farmacologici. • Vigilanza sullo smaltimento delle carcasse. I sindaci in fase istruttoria dei provvedimenti devono sempre avvalersi dei servizi veterinari delle Asl competenti. Abbiamo trattato il tema in ambito urbano poiché qui a Racconigi la situazione tra gli edifici in cui viviamo e le storiche dimore si sta facendo veramente grave. Nel Castello Sabaudo è stato impossibile sistemare parte della mostra attualmente aperta al pubblico, poiché i cortili interni sono in condizioni pietose. Ognuno di noi quotidianamente constata i danni provocati giorno per giorno da questi animali; si pensi ai tetti di casa nostra! Non vogliamo qui demonizzare i simpatici pennuti, ma far prendere coscienza di come il fenomeno vada affrontato, senza indugiare ancora, con metodi efficaci e non dilettanteschi.


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MANICOMIO SU, MANICOMIO GIÙ…

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Proviamo a fare il punto su una situazione ingarbugliata di Elisa Reviglio

…Guelfi e Ghibellini, Bartali e Coppi, Juventini e anti juventini, colpevolisti ed innocentisti in tutti i processi,… questo siamo noi Italiani, la terra dei Cachi, parole e musica di Elio e le Storie Tese. E volete che anche a Racconigi non ci si divida in due tra manicomio su e manicomio giù? Ma il punto è: si può o non si può abbattere il manicomio? Parrebbe proprio di no per il D.L. 42 del 22 gennaio 2004 secondo il quale “lo Stato, le Regioni, le città metropolitane, le province e i comuni assicurano e sostengono la conservazione del patrimonio culturale e ne favoriscono la pubblica fruizione e la valorizzazione”. Pertanto l’ASL non solo non può abbattere la struttura ma deve garantirne la conservazione. Ora cosa succede se il proprietario non vuole o non può economicamente sostenere le spese derivanti? Succede che nella migliore delle ipotesi il Ministero può imporre l’intervento al proprietario e se questi non provvede agli obblighi, può procedere con l’esecuzione diretta che però dovrà essere sempre recuperata dalle tasche del proprietario stesso. Evidentemente l’ASL non ha la possibilità economica per farsi carico di una ristrutturazione, altrimenti l’avrebbe già fatto nel tempo e comunque a mio avviso, se anche potesse, farebbe meglio ad investire nella sanità a servizio del cittadino. E al momento non credo nemmeno il Ministero abbia tale possibilità, perché non mi risulta che le casse dello Stato siano così piene da poter andare ad affrontare una spesa su un bene inutile ed inutilizzato. E non lo riterrei nemmeno eticamente corretto, visto lo stato di degrado in cui versano le scuole italiane, per esempio. In seconda analisi l’ASL, cioè il proprietario, potrebbe dichiarare di non essere nelle possibilità economiche per affrontare le spese ed alienare unilateralmente il bene a favore dello Stato, ma attenzione, se mai succedesse una cosa del genere, occorrerà che la nostra amministrazione comunale sia vigile per evitare ciò che in passato lo Stato ha già fatto con le caserme e cioè trasferirne la proprietà al Comune. Diventare proprietario dell’Ex Neuro, per Racconigi

significherebbe il default delle casse comunali, perché a quel punto tutti gli obblighi conservativi cadrebbero sulle spalle di noi racconigesi che non abbiamo la forza economica per sostenerli. Ci sarebbe una terza via. L’ASL dovrebbe alienare il bene ad un privato che abbia un progetto di recupero di cui io non ho le competenze per andare ad individuarne la destinazione. Si parla di creare una struttura per anziani e ho letto delle cifre che mi fanno rabbrividire. Lasciamo da parte il costo per il recupero, che in questa ipotesi sarebbe a carico di un privato, quello che mi spaventa è che qualcuno pensi che si possano guadagnare 2000 € da ogni an-

il Chiarugi e nessuno ha abboccato. Ma in tutto ciò abbiamo dimenticato che esiste uno studio che dimostra che l’edificio è a rischio crollo, pertanto è un potenziale pericolo. E allora? Beh innanzitutto la passata amministrazione, davanti ad un tale documento, non poteva non chiudere le strade limitrofe, in quanto il Sindaco è responsabile della sicurezza dei propri cittadini e come tale aveva il dovere di evitare pericoli. E lo ha fatto con un’ordinanza sindacale. Come tale questa ordinanza può essere modificata in qualsiasi momento dall’attuale Sindaco, il quale se ritiene eccessivo tale provvedimento, può assumersi

E per tutela delle persone io non intendo solo la sicurezza fisica, ma anche la tutela dei loro interessi. Qui ci sono famiglie che hanno investito i risparmi di una vita per costruirsi una casa ed ora hanno tra le mani un bene dal valore immobiliare pari a 0. Ed ecco che l’esperienza di altri insegna. Nel 2014 il Sindaco di Varallo Sesia, On. Buonanno, ha provveduto alla demolizione di un bene protetto. Dopo la denuncia ed i processi relativi ha vinto la causa perché si è dimostrato che la sicurezza del cittadino è più rilevante della valenza culturale di un immobile. Quindi tutto è possibile, basta DECIDERSI, perchè il problema è molto semplice: se c’è qualcuno ed ha un progetto fi-

ziano al mese. Per avere un simile utile a quanto dovrebbero ammontare le rette? E soprattutto quanti anziani potrebbero permetterselo, per andare a vivere in una struttura che è più indicata per ospitare una caserma, per la quale tra l’altro era nata? Se le cifre fossero queste mi chiedo perché l’ASL non sia lei stessa ad investire un capitale che in cinque anni si ammortizza e dal sesto produce utili. Credo che ci sarebbe la fila di banche disposte a finanziare un progetto del genere. Quello che suona strano è che già due volte l’ASL ha indetto una gara per cedere a costo zero

tutte le responsabilità del caso e riaprire la strada. Questo a scanso di equivoci, solo per tacitare le voci di chi sostiene che ormai la strada è chiusa e non può essere riaperta: non è vero… ma riaprirla significa assumersi delle responsabilità nel malaugurato caso cada anche solo un mattone su una macchina a fronte di uno studio qualificato che attesta la precarietà della struttura. Il D.L. di cui ho parlato prima tratta solo ed esclusivamente della tutela del Bene Culturale, badate bene, del BENE CULTURALE. Non della tutela delle PERSONE.

nanziato per salvaguardare il Chiarugi, si faccia avanti. Se qualcuno ha dei dubbi sugli studi, ne procuri a sue spese degli altri. Se l’amministrazione comunale ritiene che il Chiarugi non sia un pericolo riapra la strada e vivremo felici fino al primo incidente. Altrimenti si provveda in qualche modo all’abbattimento. Io sogno per i miei figli un grande giardino al posto del Chiarugi e spero che se proprio dovessero portarmi in una struttura per anziani, questa sia sì nel Neuro ma in uno dei padiglioni interni immersi nel verde.


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zioni della gran parte di quelli che la appoggiano». Noi siamo Chiesa concludeva: «Auspichiamo, come molte volte in passato, che il rapporto tra cultura cattolica e cultura laica (per usare due generalizzazioni) si incontri in una comune corresponsabilità su queste tematiche e che una possibile pacificazione non si

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fermi dopo la possibile approvazione di una legge che non merita, per la sua importanza e la sua delicatezza, di essere coinvolta o travolta da fondamentalismi di ogni tipo». C’è da sperare che i vescovi desistano dall’ostruzionismo ad una legge fondata sul buonsenso e su un ragionevole compromesso.

DON MILANI SÌ, DON MILANI NO a cura di Guido Piovano

Il FINE VITA FERMO IN SENATO Il 17 ottobre i quattro senatori a vita, Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia hanno chiesto al Senato di votare subito la legge sul testamento biologico il cui disegno di legge è fermo alla Commissione Sanità. In un loro comunicato scrivono: «Nonostante tutti i sondaggi fatti sul tema dimostrino, da almeno un decennio, il consenso di un’amplissima maggioranza di italiani, tremila emendamenti (in massima parte ostruzionistici) e discussioni infinite ostacolano la definitiva approvazione di una legge che non è di destra, di centro o di sinistra. Senza distinguo, dà valore alla volontà di ciascuno, tutela la dignità di tutti. Il cosiddetto testamento biologico non rappresenta più, da tempo, la frontiera “divisiva” dei “nuovi” diritti civili». E ancora: «Quella del fine vita è una questione di libertà, di rispetto della volontà, di dignità del vivere e del morire che dev’essere lasciata quanto più possibile alla scelta di ciascuno». I Senatori concludevano «Come Senatori a vita, chiamati ad esercitare un ruolo il più possibile libero da ogni condizionamento, appartenenza o calcolo, crediamo che questo Parlamento onorerebbe

il Paese se, adottando in Senato senza modifiche il testo già approvato dalla Camera, trattasse i suoi cittadini da adulti, lasciando loro […] il riconoscimento di questo spazio incomprimibile di libertà e responsabilità». Il 21 ottobre il Movimento cattolico Noi Siamo Chiesa assumeva sul tema questa posizione: «L’opposizione alla legge, che è passata alla Camera a stragrande maggioranza, è costituita da una rumorosa e aggressiva area di centrodestra che viene supportata da alcuni movimenti cattolici prolife, che hanno ottenuto fino ad oggi appoggio nelle posizioni della Conferenza episcopale e dell’Avvenire. Ma l’opinione della maggioranza dell’opinione cattolica, a quanto si sa dai sondaggi, è favorevole al testo. Esso viene anche supportato da prese di posizione esplicite, come quella recente dei gesuiti di Aggiornamenti sociali. In questa difficile situazione ci sembra che possa essere determinante un nuovo atteggiamento dei vescovi che hanno una nuova guida nel Card. Bassetti. Esso dovrebbe fondarsi su ascolto e rispetto piuttosto che su diffidenza e “paura di derive eutanasiche” che non trovano alcun fondamento reale nel dettato della legge e neanche nelle inten-

Sta per concludersi il cinquantesimo della morte di don Lorenzo Milani avvenuta a Firenze il 26 giugno 1967. Numerosi sono i convegni, le celebrazioni, le pubblicazioni che hanno riguardato il prete di Barbiana, ma la mia sensazione è che, terminato l’anniversario, su don Lorenzo cadrà ancora il silenzio. Un aspetto mi ha lasciato perplesso: se da un lato è positivo che anche il mondo ecclesiale si sia mosso, occorre dire che l’ha fatto a modo suo, con una certa dose di buonismo e senza autocritica alcuna. Infatti, la cosiddetta riabilitazione ha toccato il Milani educatore alla scuola di Barbiana, il Milani delle “Esperienze pastorali” ma non ha neppure sfiorato il Milani più scomodo della “Risposta ai cappellani militari toscani” e della Lettera ai Giudici che, sempre ponendosi come educatore, discuteva il concetto di Patria, il Cappellanato militare e la Chiesa su questi terreni, guadagnandosi un processo e, dopo la morte, una condanna in appello

con “reato estinto per la morte del reo”. Il gioco è sempre lo stesso: si avvia un iter di beatificazione di un personaggio scomodo, avversato ed emarginato in vita, senza affrontare i veri nodi che sono alla radice del suo messaggio, nodi che restano tutti da sciogliere. Con questo, non voglio sminuire il valore etico-educativo della scuola di Barbiana; dico invece che quella scuola mantiene intatto il proprio valore di riferimento sul piano pedagogico, ma non può fare da modello per una realtà oggi alquanto più composita di quella di allora. Ha scritto lo stesso don Milani all’amica professoressa Adele Corradi: “Fate scuola, fate scuola, ma non come me. Fatela come vi richiederanno le circostanze: è questo il mio testamento”. Per contro, la polemica di don Milani nei confronti dei Cappellani militari, per quanto ignorata, è pienamente attuale e mantiene immutata la sua forza propositiva.

Robe da matti di Zanza Rino

È una cosa molto seria, ma sembra una telenovela. Lo tiriamo giù questo Chiarugi? Lo lasciamo in piedi? Gli mettiamo la camicia di forza oppure non la mettiamo? Chiudiamo la strada o la lasciamo aperta? Il sindaco (di prima) ha fatto

un’ordinanza e ha chiuso la strada per ragioni di sicurezza. Il sindaco (di adesso) dice “quando mi sono battuto contro questa soluzione in minoranza nessuno mi ha dato retta… mi spiace molto essere inerme di fronte a questa situazione… ma in primis la strada non andava chiusa”. Ma “in secundis”, se è stato uno sbaglio chiudere la strada con una ordinanza, non si potrebbe riaprirla con un’altra ordinanza? E il consigliere che a “denti stretti si sarebbe adeguato all’abbattimento del Chiarugi per rispetto della squadra” non è la stessa persona che, insieme al Comitato

per il Manicomio di Racconigi di cui fa parte, prospetta la possibilità di un recupero all’interno di un progetto di riqualificazione dell’intera area? Ma non c’è una perizia (“modello matematico”, per la precisione) del Politecnico di Torino che lascia pochi dubbi sulla stabilità dell’edificio? Ci vuole un’altra perizia, dice il Comitato. E se il suo risultato fosse diverso da quello precedente? A chi dare retta? Forse servirebbe una terza perizia, per mettere tutti d’accordo. Non è così semplice, se il risultato

della perizia non piace a una parte (che chiameremo A) chi garantisce che il perito che ha fatto la perizia sia veramente perito? Per superare i dubbi converrebbe fare una perizia sulla perizia dei periti, ovviamente ad opera di un perito sufficientemente perito. Ma se il perito dei periti ritenesse che il perito che non piace ad A non è abbastanza perito non c’è forse il rischio che l’altra parte (che chiameremo B) ritenga che il perito dei periti non sia sufficientemente superperito? E, alla fine, chi ci mette i soldi? Che manicomio!!!


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PENSAVO FOSSE UN CONFLITTO… INVECE ERA UN CALESSE

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Pensieri semi-seri sul conflitto in democrazia Parte seconda di Alessia Cerchia

Il mio precedente articolo sulla necessità del conflitto in democrazia è nato in un momento storico decisamente particolare e non poteva non portare a qualche rilievo da parte dei lettori più critici. Mi è stato chiesto se ciò che sta accadendo in Spagna, ad esempio, può essere ricondotto nel tipo di conflitto a me caro e che utilità potrebbe avere per la democrazia spagnola. Qualcuno si è spinto fino a chiedermi se il conflitto tutto italiano tra quanti sono favorevoli ai vaccini e i c.d. “no-vax” sia da considerarsi utile secondo i miei parametri di riferimento. Non mi sono mai tirata indietro di fronte ad un confronto intellettuale e non ho certo intenzione di farlo ora, pur dovendo precisare che ciò che scrivo esprime unicamente la mia personalissima opinione. Non entrerò nel merito dei due esempi che mi sono stati fatti, né intendo partecipare al balletto del chi ha torto e chi ha ragione. In realtà ai fini dei rilievi che mi sono stati fatti e delle

spiegazioni che intendo dare non ce n’è alcun bisogno. Ritengo, prima di tutto, doveroso e necessario sgombrare il campo da un equivoco in cui frequentemente si cade parlando di conflitto: il conflitto e la violenza sono due cose completamente differenti. Oserei dire che sono due mondi completamente diversi. Il primo nasce dal confronto di opinioni, di ideali, di bisogni ed interessi: ne presuppone non solo l’esistenza ma un forte radicamento, si nutre e cresce attraverso di essi. La seconda nasce e si sviluppa fine a sé stessa: non c’è violenza che non nasca per il puro gusto della violenza. Si nutre di ego, di individualità e di distruzione. Fino a qualche anno fa avrei sostenuto, in questo confronto con i miei lettori critici, che la violenza può nascere dal conflitto. Oggi sono convinta che non sia così, almeno per come occorrerebbe intendere il conflitto. Se guardo a ciò che accade in Catalogna e penso alla storia che ha portato ai nostri giorni ed a tutta la violenza

che siamo costretti ad osservare impotenti, ciò che mi viene alla mente è che essa sia proprio il frutto di una fuga dal conflitto. Andrò oltre: la violenza è frutto del finto conflitto che si è voluto perpetrare per anni. Esattamente ciò che sostenevo nel mio precedente articolo. È innegabile, infatti, a mio giudizio, che il non voler aprire un tavolo di confronto serio e motivato su quanto stava avvenendo in quei Paesi, il sistematico non voler prendere consapevolezza del malessere di un intero popolo, la scelta di entrambe le parti di “simulare” un conflitto vuoto, perché privo di un reale confronto tra gli interessi più profondi della popolazione, alla ricerca di un giusto bilanciamento, ha spalancato le porte a situazioni sempre più confuse, esasperate, violente. Allo stesso modo, il conflitto tra i movimenti italiani dei c.d. “pro-vax” e “no-vax”, seppur così lontano da Spagna e Catalogna, non è tuttavia così diverso nelle sue radici. Da mamma di un bimbo piccolo ho seguito l’intera vicenda e mi sono spesso lasciata “catturare” da discussioni, anche accese, su vaccini sì e vaccini no. Sono addirittura arrivata a discutere pesantemente con un amico. È lì che mi sono resa conto dell’assurdità di tutta la violenza, la rabbia e l’intolleranza che noi genitori abbiamo sollevato su una simile vicenda. Una violenza che nulla ha da condividere con il vero conflitto. E infatti.

La sensazione personale è che, ancora una volta, la problematica dei vaccini sia nata dalla sistematica scelta delle istituzioni di non aprire un confronto serio, consapevole e ragionato con le famiglie italiane sulle criticità derivanti dai vaccini (ma lo stesso esempio può valere per altre cento diverse situazioni). Certo, il confronto avrebbe potuto creare un conflitto, una contrapposizione serrata tra diversi punti di vista (anche tra punti di vista medici per altro!). Ma un tavolo intorno al quale confrontarsi e confliggere avrebbe fatto forse emergere il dato più importante in assoluto: Stato, famiglie, medici, ricercatori perseguono tutti un obiettivo comune. La salute dei bambini. Possono cambiare i punti di vista, le posizioni, gli strumenti da utilizzare, ma il dato certo è che il bisogno primario dei singoli attori del conflitto era ed è la salute dei propri figli. Lo Stato ha evitato il conflitto, ma ha aperto le porte ad una guerra. Ha perso l’occasione di dimostrare la propria forza positiva nel perseguimento del bene comune, nel ricercare una sintesi tra diverse posizioni, ed è stato costretto a rispondere alla violenza con la violenza, che tristemente ha assunto il volto della legge. Legge che dovrebbe essere lo strumento per proteggere e oggi viene invece vissuta come una violenza sui bambini e sulle famiglie. Una battaglia persa, questa, ma la prossima? Siamo pronti ad affrontarla diversamente?

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Abbiamo incontrato il Dirigente Scolastico dell’Istituto Comprensivo

Marzola: “La vera riforma della scuola sarebbe togliere i voti”

A tutto campo su compiti a casa, bocciature e un modello diverso di fare scuola - Seconda parte segue dalla prima

Non crede che la scuola dell’obbligo abbia invece bisogno di più tempo e più lentezza? 5. Nascono scuole del no compiti a casa. Non crede che per evitare i compiti occorra un ripensamento del modo di fare e di stare a scuola? Veniamo al decreto “antibocciature”. Non cambia niente. Nella scuola primaria si poteva bocciare solo in casi eccezionali e con l'unanimità del team degli insegnanti, adesso si può bocciare solo in casi eccezionali con l'unanimità degli insegnanti. Nella media, si diceva “il ragazzo deve raggiungere la sufficienza in tutte le materie” per essere promosso, ed è così ancora oggi. Le bocciature di questi ultimi anni da cosa derivano? Dalla legge 122/2009 che dice “un alunno deve avere la sufficienza in tutte le materie per passare all'anno successivo”. Quindi non è cambiato assolutamente niente. La legge ti dice “se lo volete bocciare, dovete motivare” e perché, prima non lo motivavamo? Scriveremo “il ragazzo troverà giovamento dalla ripetizione dell'anno perché questo gli permetterà di approfondire quelle discipline che durante questo anno scolastico non sono state indagate con sufficiente padronanza”. Il problema vero è che rimane il vincolo del voto. Questa è la scuola dei voti, è la scuola nella quale i bambini sono abituati dalla prima elementare a fare le medie aritmetiche, un concetto che non ha fondamento scientifico. Attenzione però: bisogna essere consapevoli che questa è una norma di legge. Io sono garante della norma di legge, è il mio mestiere. Se vedo un ragazzino con 7 insufficienze, dico “bene adesso che cosa volete fare?”. I giochi non si fanno nello scrutinio, si fanno prima; il lavoro di recupero non si fa trasformando i numeri, il lavoro di recupero si fa durante l'anno stando vicino a questo ragazzo, incalzandolo, dandogli delle opportunità e se non riesce facendogli fare un percorso diverso e allora che si recupera il ragazzo. Noi spendiamo una cifra significativa del

nostro fondo dell'istituzione scolastica sul recupero, facciamo recupero anche in primaria dove non è obbligatorio, pur di star vicini ai bambini che hanno più bisogno. Oltre al “recupero” fate ancora “approfondimento”, un'offerta in più per quelli che ne hanno la possibilità? Ci sono dei progetti aggiuntivi extracurricolari. Poi nella scuola primaria quest'anno parte l'esperienza dei pomeriggi nei quali verranno collocati interventi finanziati con i progetti PON. Abbiamo presentato tre progetti, stiamo aspettando la risposta.. Esiste ancora una valutazione disciplinare per obiettivi? Noi abbiamo fatto un curricolo verticale d'istituto orientato alle competenze secondo quanto pre-

visto dalle indicazioni nazionali del 2012 per il primo ciclo. È un lavoro stupendo, gli insegnanti ci hanno lavorato per 2 anni. Ci sono delle tavole che prevedono una scansione lungo l'arco degli 11 anni, dalla scuola dell'infanzia alla scuola secondaria, anno per anno, con obiettivi, contenuti, traguardi, competenze da raggiungere. C'è scritto che al primo ciclo il mio studente deve saper scrivere: bene, allora io voglio sapere cosa gli devo insegnare al primo anno, al secondo, al terzo, al quarto perché alla fine lui raggiunga quella competenza. Da questo a trasformare la scuola in un percorso di crescita che preveda livelli diversi, che ci saranno sempre, ce ne passa parecchio. Finché rimane la soglia della sufficienza, i nostri ra-

gazzi andranno avanti a dire “a me manca ancora uno 0,5…” È molto interessante la filosofia del lavoro scolastico delineata, però ci domandiamo: sono 3 anni che lei predica su questo e ci sono queste bocciature? Quando viene fatto il recupero? Dire per il secondo anno consecutivo a un ragazzino “no tu non passi”... è un dolore ma questi ragazzi diventano insensibili al dolore, sono quelli che tra 7-8 anni saranno nelle statistiche dei ragazzi che non cercano neanche più lavoro… sono d’accordo… ma, com'è possibile che ci siano questi risultati, con tutta questa pratica di un modello diverso di fare scuola? non faccio l’insegnante, faccio il dirigente scolastico. Il problema non può essere affrontato con il volontarismo individuale. La scuola si muove in un quadro di norme di legge e io sono del parere che le leggi vadano rispettate. Non rispettate in maniera ossequiosa, perché ne discenderebbe che anche le leggi razziali del 1938 andassero rispettate. No, le leggi possono essere contestate, possono essere cambiate ma dal momento che viviamo in uno stato di diritto e ci sono delle norme in vigore, queste dalle istituzioni di questo Stato devono essere rispettate, anche se non condivise. Non è importante come la penso io, lo devo fare e basta e lo faccio perché quello è il mio dovere e non posso venir meno al mio dovere. Poi posso andare, perché sono un cittadino libero, a dire quello che penso, ma come dirigente scolastico quella cosa la devo fare. Allora allo scrutinio finale io voto per bocciare il ragazzino con 7 insufficienze, perché io devo avere rispetto della valutazione degli insegnanti. Io non valuto, sono membro del Consiglio, ho diritto di voto come tutti gli altri, nel momento in cui ci sono insegnanti che mi presentano il ragazzino con un numero significativo di insufficienze e ho una norma di legge che mi dice che il ragazzino deve essere sufficiente in tutte le materie per passare l'anno, io voto per la bocciatura.


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Ma… Se non lo facessi, se cominciassi a dire “professore, ma si rende conto, ma insomma aiutiamo questo ragazzino” vorrebbe dire che metto in discussione il lavoro che ha fatto l'insegnante e la sua capacità di valutazione e io non mi posso permettere di farlo, perché se ho degli elementi per fare una cosa di questo genere, allora la devo fare prima; devo prendere questo insegnante nel mio ufficio e dire “mi faccia un po’ vedere come interroga, come valuta, che voti dà, come applica le regole del nostro Istituto” perché c'è una griglia di corrispondenza: cosa vuol dire 5, cosa vuol dire 6, cosa vuol dire 7. Poi come mai ci sono degli insegnanti che danno tutti 8 e 9 e ci sono degli insegnanti che danno i 4 e i 5? Perché ognuno ha introiettato un

sistema di valutazione soggettivo. C’è un livello di sufficienza che nessuno è in grado di definire o di predeterminare; non esiste alcuna possibilità scientifica di stabilire una corrispondenza tra una prestazione di un alunno e un qualunque valore su una scala decimale. La vera riforma della scuola sarebbe togliere i voti. Con queste bocciature non si considera che molti ragazzi fuori dalla scuola sono “soli”, non soltanto in senso fisico, mancano di una qualsiasi figura di riferimento… le loro quattro rigacce valgono il lavoro curato, organico, originale di un altro ragazzo che a casa ha qualcuno con cui parlare … Sì, ma in quale legge sta scritto questo? Questo tipo di cultura nella scuola non esiste più; è la cultura

9 degli anni ’70 e ’80 che discende dai pensatori degli anni ’60, dai Mario Lodi, da don Milani… Conosco quella cultura, ne ho fatto parte e ne faccio ancora parte, è la cultura che dice “tutti quanti devono avere le stesse opportunità, anzi a chi ha di meno do di più…”; ma quando andiamo a definire le valutazioni, la solitudine di quei ragazzi quanto pesa numericamente? C’è poi da ricordare il “Progetto Lapis” che può intervenire per quei ragazzi che sono a rischio di abbandono scolastico. Di cosa si tratta? Prendiamo un ragazzo che abbia più di una ripetenza, di solito due ripetenze, questo progetto prevede che una serie di materie o di ore vengano affrontate a scuola e una parte del monte ore annuo venga svolta in sede di formazione pro-

fessionale, al CNOS (Centro di Formazione Professionale Salesiano) di Fossano o di Savigliano per fare delle attività pratiche. Ebbene, questi ragazzi anche se non sono in terza ma hanno due ripetenze vengono inseriti in questo progetto e poi portati all'esame di Stato di terza media con un percorso personalizzato. Per esempio, un ragazzo che è entrato alla scuola media, ha ripetuto la prima e l’ha fatta due volte, poi ha fatto la seconda, è stato bocciato e la sta facendo per la seconda volta, può essere inserito nel progetto Lapis e presentarsi all'esame di Stato con un percorso personalizzato, anche se non ha frequentato la terza. Questo è istituzionalizzato. È un esempio di come a volte la scuola possa adeguarsi alle esigenze dei ragazzi.

Centro Alambicco “IL SORRISO È LO SPECCHIO DELL’ANIMA!”

Danzando con il sorriso di Tania Tzoneva

Non lo dico io, ma è una frase che calza perfettamente nella vita e con i miei ragazzi danzanti dell’Alambicco. Ogni mercoledì con loro, insieme ai ragazzi di Cardè e Cavallermaggiore, i sorrisi belli e sinceri, quelli veri, mi invitano sempre e ovunque; come se sorridendo ti aprissero il cuore e quei bei sorrisi fossero sempre accompagnati da quella lucina negli occhi che brilla. I miei ragazzi danzanti sono così!!!! Nel 2014 due educatrici del centro diurno Alambicco mi hanno proposto di fare danza con i loro

ragazzi, ho subito accolto la proposta anche se mi sono domandata come potevo fare danzare dei ragazzi con disabilità; i dubbi e le domande sono spariti il primo giorno che ho fatto l’attività con loro, ho scoperto un nuovo e fantastico modo di ballare, attraverso la libertà del movimento senza schemi né strutture. Ogni volta, quando entro e mi avvolge questo mare di sorrisi e abbracci, con urli da tutte le parti del Centro: “Ciao, ciao, ciao, Tania”, per me è già il sole che entra nel mio cuore. Ci si esplora attraverso l’utiliz-

zo di diversi materiali (palline da tennis, carta delle uova di Pasqua, castagne, foglie, carta crespa…) che vengono a contatto con tutto il corpo del ragazzo, con la musica e creano un effetto benefico in ognuno di loro. Nella seconda parte, si balla con una parola magica: “Ragazzi si ballaaaa!!!”… Da qui ha inizio una vera e propria festa a ritmo di musica moderna con i tormentoni del momento. Grazie alla fantasia degli educatori, anche loro sempre con questo sorriso e la lucina magica negli occhi, per cercare il minimo sorriso, con tanta energia.

Quante emozioni, quante riflessioni dentro di me guardando i visi di ognuno di loro, incontrare lo sguardo soddisfatto degli educatori; per me questi momenti sono un piccolo, magico mondo dedicato a loro. La danza ci ha permesso di creare questo meraviglioso gruppo che aspetta con entusiasmo tutti i mercoledì per ritrovarsi a danzare e, perché no, fare merenda insieme. Ogni volta uscendo da lì mi ripeto: “Ecco questa è la vera vita!!!”. La parola problemi svanisce, insignificante nel vuoto, perché: il sorriso è lo specchio dell’anima!!!


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S.O.S. DALL’ASTRONAVE TERRA Una sfida che coinvolge tutti di Giancarlo Meinardi

C'è chi ha immaginato il nostro pianeta come una enorme astronave, lanciata nello spazio in un viaggio di cui non conosciamo la durata. A bordo ci siamo noi (gli abitanti di questo pianeta) e ci sono le provviste che servono ad assicurarci la sopravvivenza (le risorse di questo pianeta). Sono risorse accumulate in milioni di anni e non riproducibili (come, ad esempio, il petrolio e altre fondamentali materie prime) oppure soggette a limiti nella loro riproduzione (l’aria che respiriamo, l'acqua potabile, le terre fertili ecc.). Una ricchezza enorme, ma non infinita, che va dunque gestita con oculatezza se vogliamo sopravvivere. L’immagine dell’astronave è affascinante, ma non del tutto esatta. Il numero dei passeggeri su una astronave è sempre quello. Il numero dei passeggeri dell’astronave Terra è cresciuto enormemente negli ultimi secoli, abbiamo superato i sette miliardi, e cresce ancora. Tutti vogliono vivere. E consumare. Tutti attingono alle provviste accumulate. E tutti producono rifiuti. Qui sta l’altra specificità dell’astronave Terra. I passeggeri di una astronave possono disperdere i loro rifiuti nello spazio infinito. Noi, almeno per ora, non possiamo. Tutto quello che non consumiamo, tutti i rifiuti che non trasformiamo e riutilizziamo, vanno a finire da qualche parte. Le isole galleggianti di residui di plastica negli oceani, le discariche a cielo aperto, i rifiuti tossici nascosti nel sottosuolo, l’aria inquinata. Tutto rimane lì, o si degrada molto lentamente, si accumula e rende l’astronave su cui viviamo sempre meno abitabile. Non ci sono molte alternative, biso-

gna ridurre la produzione di rifiuti, in particolare quelli che non si possono trasformare; e aumentare la percentuale di rifiuti che si possono trasformare. Ne va del futuro nostro e delle generazioni che verranno. Non sembra un compito facile. E non sembra un compito alla portata di ciascuno di noi. È proprio così? Se la dimensione dei problemi planetari spaventa, proviamo a misurarci con una dimensione molto più vicina. Il Piano Rifiuti della Regione Piemonte si propone per il 2020 di ridurre la quantità pro-capite di rifiuti indifferenziati al di sotto dei 159 kg per anno. Tra le strategie per perseguire questo obiettivo indica il passaggio alla Tariffa Puntuale nel servizio di gestione rifiuti, l’incentivazione dell’auto compostaggio, l’incentivazione delle buone pratiche. Come stiamo a Racconigi? Non così male. Già nel 2015, ultimo anno per il quale CSEA (il consorzio di 54 comuni di cui fa parte Racconigi) ha elaborato i dati definitivi, il nostro comune ha raggiunto i 117 chili pro capite / anno (contro i 180 circa degli anni precedenti), quindi ben al di sotto dell’obiettivo regionale. E più del 70% dei rifiuti totali è stato avviato alla differenziazione e al recupero (contro il 60% circa degli anni precedenti). Inoltre sono in arrivo circa 22mila euro di finanziamento su un bando regionale per la diffusione dell'auto compostaggio. Risultati non raggiunti per caso, ma grazie alle scelte fatte dalla precedente amministrazione e al comportamento virtuoso dei cittadini.

Molto è stato fatto, molto si può ancora fare. Si deve fare. Il passaggio alla Tariffa Puntuale, come previsto dal Piano Regionale, potrebbe essere il prossimo passo. Cosa significa? Sostanzialmente

che ogni utenza paga non sulla base della superficie abitata o della consistenza del nucleo familiare, ma sulla base dei rifiuti indifferenziati che produce. Il principio, ridotto all’osso, è molto semplice. I rifiuti (indifferenziati) costano: se si producono si devono pagare. Chi li deve pagare? Chi li produce. Come fare a pagare di meno? Produrne di meno, con vantaggio dell’ambiente in cui viviamo e delle nostre tasche. Tanto più che il nuovo appalto consortile porta costi maggiori per i servizi di gestione della raccolta rifiuti, ponendo i racconigesi che contano di pagare di meno (o almeno non pagare di più) di fronte all'alternativa tra una riduzione dei servizi oppure un comportamento più virtuoso. Anche la diffusione dell'auto compostaggio può dare un significativo contributo alla riduzione dei costi per lo smaltimento della frazione organica. Quali strade imboccare spetta all'attuale amministrazione comunale deciderlo. Ai cittadini la responsabilità di non sottrarsi ad una sfida che coinvolge tutti.


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Repetita iuvant? E se non iuvant? Ancora troppi "bocciati" nella scuola media.

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La riflessione di alcuni insegnanti. di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Caro Dirigente e Cari Colleghi delle scuole medie, questa lettera è per voi ed è nata dal confronto acceso e appassionato di diversi insegnanti e dirigenti che hanno a cuore la prevenzione della dispersione scolastica. Alcuni di essi hanno lavorato per tantissimi anni nella scuola media, anche di Racconigi, altri nella primaria o nella scuola superiore di diverse città. Insegnanti come voi, dirigenti come lei, appassionati dell’insegnamento come Don Milani che prova a fare scuola a chi non riesce, a chi non vuole, a chi si inciampa, a chi prova a rialzarsi, ma in sostanza colleziona solo fallimenti. Mi faccio quindi portavoce di una riflessione collettiva e lo faccio volentieri visto che per 10 anni ho lavorato presso il Gruppo Abele di Torino, collaborando spesso con i Maestri di Strada di Napoli, col privilegio di guardare il fenomeno da un osservatorio particolare: quello dei pluriripetenti e dei dispersi. Speriamo che questa riflessione possa portarvi qualche elemento chiave per capire la complessità del problema e aprirvi ad orizzonti più ampi. Abbiamo registrato che la scuola media continua ad avere un tasso di "non ammissione" troppo alto. I professori che avanzano la proposta di fermare un allievo osservano i suoi voti, naturalmente insufficienti, e sostengono la tesi che "repetita iuvant", immaginando la ripetizione dell'anno scolastico come una sorta di opportunità offerta agli immaturi per colmare i loro deficit. Questa concezione non è affatto nuova. Da quando la scuola media è diventata obbligatoria si sono fatte stragi di scolari per lo stesso motivo. Non riusciamo a capire, però, perché nessun professore si sia realmente preso la briga di verificare la validità di questa tesi. I dati della dispersione scolastica dimostrano tutt’altro: che "repetita non iuvant", anzi, ripetere l'anno scolastico ammazza. Non è un'esagerazione. È la verità. Soprattutto nella scuola dell'obbligo, in piena fase evolutiva, la bocciatura stronca il desiderio e la curiosità di apprendere. Apre la breccia ad un pensiero ingannevole: che l'apprendimento sia legato al voto ovvero che si debba studiare per raggiungere qualcosa che ha a

che fare con un traguardo numerico, assai competitivo. Muore quindi l'idea che imparare sia qualcosa di bello e di possibile e sia collegato a ciò che osservo, sperimento, rifletto e raffronto con gli altri. Muore insomma quell'apprendere che ha il sapore di una scoperta entusiasmante. La "non ammissione" è legata ad un’altra idea, quella del profitto e del risultato, stabilito a priori da una Scuola che considera il sapere come qualcosa di immobile, rigorosamente inquadrabile e verificabile da test che hanno la presunzione assurda dell'oggettività. Come siamo distanti dalla Scuola di Don Milani e di altri Maestri, la Scuola che accompagna il ragazzo nell'acquisizione delle competenze, che usa il metodo della ricerc-azione per insegnare all’allievo a osservare, fare ipotesi, confrontare il proprio sapere con altre prospettive! Gli allievi che noi "bocciamo" perché non sanno quello che noi abbiamo deciso che devono sapere, oggi più che mai hanno bisogno di una scuola completamente diversa. Bisogna avere il coraggio di smontare le lezioni classiche, abbandonare le verifiche, dare tempo alla pausa, all'osservazione e alla riflessione collettiva, come quella che abbiamo fatto noi prima di scrivervi questa lettera. Chi lavora da anni dentro la grande sconfitta scolastica che si chiama " dispersione" e conosce storie e volti di quel 14% per cento di studenti persi dalle scuole italiane, si è reso conto da tempo del danno che porta in sé una proposta di non ammissione, oltreché della limitatezza professionale ed educativa che rappresenta. Scusate la durezza, ma dobbiamo essere franchi almeno tra colleghi. Chi boccia, come diceva don Milani, si senta quindi bocciato. Anche il Consiglio di Classe che approva, si consideri bocciato perché rivela un'immaturità collegiale. Vorrete forse sostenere che otto o più docenti intelligenti, che mettono insieme i loro sguardi e le loro energie non siano in grado di recuperare chi è più debole, chi non studia, chi non fa i compiti, chi dimentica il materiale e le spiegazioni, chi disturba le lezioni?

Siamo adulti, siamo professionisti! Come è possibile che un gruppo di intelligenze arrivi solo a constatare le insufficienze e quindi a “bocciare”? Se così è vuol dire che non c'è collegialità e la nostra capacità di analizzare un problema e trovare soluzioni è del tutto insufficiente. È quindi la Scuola tutta a non essere ammessa. La Scuola italiana nel suo insieme. Un preside però fa ancora la differenza.

Bisogna non dormirci la notte fino a trovarla! Bisogna riuscire a identificare quei pochi “saperi” che lui ha già acquisito, magari fuori della scuola, e partire da lì per riportarlo sul terreno dell'autostima. Bisogna farsi aiutare, anche da altri allievi, provando e riprovando ad affiancargli un compagno tutor che “parlando la sua lingua” lo aiuti a studiare. E poi bisogna riconoscergli, con un grande applauso (e non solo), i piccoli microscopici passi che compie!

È lui il responsabile di un gruppo di lavoro. Può aiutare i suoi insegnanti a formarsi, a riflettere, a confrontarsi con chi è riuscito a recuperare davvero, può proporre spazi collegiali di problem-solving durante l'anno. Non alla fine, ma dopo i primissimi mesi di scuola. Insomma, un dirigente può aiutare i suoi docenti a ritrovare quel tempo e quella motivazione necessari per osservare il fenomeno dei ragazzi insufficienti da punti di vista diversi e ipotizzare collegialmente delle piste di lavoro. Non si tratta di stabilire quegli sparuti momenti di "recupero", una o due ore ogni tanto fuori dal contesto. Per carità! Il recupero di un allievo che si sta perdendo è tutt'altra cosa! Bisogna ingegnarsi per fargli ritrovare la bellezza dell'apprendimento. C’è sempre una strada possibile se i ragazzini sono nella scuola dell’obbligo.

Un passo in avanti di un ragazzo “difficile” cancella tutte le insufficienze pregresse perché recuperare non è punire. È comprendere il vuoto e saperlo accompagnare. "È attraversare l'assurdo senza perdersi" come dice Cesare Moreno. Lui, insegnante e Maestro di strada, è riuscito (e continua ancora oggi, già settantenne, col suo gruppo di giovani insegnanti ed educatori) ad agganciare ragazzini nullafacenti sull'orlo del baratro. Se gli chiedi "Perché tanto impegno?" ti risponde “Perché la Scuola fa la differenza!”. Ma la Scuola che respinge lo ha capito? Insegnare è accompagnare, dare un'opportunità unica e speciale a tutti, soprattutto a chi inciampa ad ogni passo. Insegnare non è mai respingere.


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ABBRACCIA UN FRIGO, RISCALDA IL TUO NATALE Quando le competenze tecniche locali vengono messe al servizio dei poveri di Giacomo Castagnotto

Da buoni INSONNI, sempre a caccia di “buone pratiche” presenti sul nostro territorio, ci siamo imbattuti su un singolare progetto che mette insieme Africa e competenze tecniche (e non solo). A Moretta, abbiamo incontrato Matteo Bolla che ci ha illustrato un progetto molto concreto che potrebbe rappresentare una svolta nelle campagne di vaccinazione dei bambini in Etiopia. Parlare di vaccini oggi in Italia significa entrare in un terreno scivoloso, ma in Africa la vaccinazione fa davvero la differenza tra la vita e la morte. Qui osiamo scegliere perché le condizioni di salute e igieniche dell’ambiente in cui viviamo ci hanno fatto dimenticare la pericolosità di certe malattie. In molti territori africani dove non c’è neppure l’acqua per bere e la mortalità infantile è alta, le vaccinazioni rappresentano l’unica possibilità di sopravvivenza certa per moltissimi bambini. Ma la validità dei vaccini passa attraverso la qualità della loro conservazione e qui entrano in gioco Matteo e il Gruppo Pulia. Il gruppo lavora al fianco del Comitato Collaborazione Medica – CCM, associazione torinese che da quasi 50 anni coinvolge medici, personale sanitario e comunità, in Africa e in Italia, per promuovere e assicurare il diritto alla salute, a tutti. Il team Pulia è formato da tecnici esperti che si occupano dei lavori di manutenzione e impiantistica

Racconigi (CN) come il Far west? Salve scusate l'oggetto, oggi sono stato in visita da amici Racconigesi e passeggiando

all’interno delle strutture sanitarie dei progetti CCM. La necessità di portare i vaccini anche nelle zone rurali dove la corrente elettrica è un’utopia, ha spinto il gruppo a lavorare al prototipo di un frigorifero speciale. Di cosa si tratta? È un comune frigorifero da cucina che si alimenta con tre pannelli fotovoltaici e due semplici batterie. I pannelli fotovoltaici forniscono alimentazione alle due batterie a 24 volt in corrente continua le quali sono collegate a un Inverter che trasforma la corrente in 220 volt alternata, utile ad alimentare il frigorifero. Il tutto potrebbe essere installato nei centri di salute etiopi (piccoli ambulatori nelle zone rurali) e verrebbe utilizzato dagli infermieri per la conservazione dei vaccini prima che questi siano somministrati ai bambini. Per vedere con i nostri occhi come funziona, abbiamo partecipato a una simulazione nel laboratorio di Matteo a Moretta. Durante la visita era in atto una prova molto importante: si stavano simulando due giorni di completa assenza di sole, i pannelli erano stati scollegati e nonostante il periodo prolungato il frigorifero era mantenuto dalle due batterie con una carica residua ancora del 50%. L’obiettivo può essere raggiunto! Ora vorremmo andare in Etiopia e attrezzare 6 ambulatori con i frigoriferi e tutta l’elettronica correlata! Potremo acquistare tutto materiale in loco, nella capitale Addis Abeba,

ma… il costo di un singolo impianto è di circa 1.600 euro. L’associazione “Fondo di Solidarietà” di Racconigi collabora con il gruppo PULIA per trovare le risorse necessarie per il progetto. Partecipa anche tu con noi! Come? Contattando il Fondo di Solidarietà (fondosol@gmail.com) o con una donazione su c/c bancario intestato a COMITATO COLLABORA-

ZIONE MEDICA c\o Banca Etica. IBAN: IT85 I050 1801 0000 0000 0199 848 specificando nella causale. “Un frigo per l’Etiopia -Progetto PULIA”. Appena avremo raccolto i fondi necessari, partiremo con Matteo, come un anno fa, quando abbiamo realizzato l’impianto elettrico d’emergenza e il sistema di approvvigionamento dell’acqua in due strutture sanitarie dell’Etiopia.

sulla mia carrozzina per questa bella cittadina ad un certo punto mi sono dovuto spostare sul trafficato corso Principe di Piemonte per potere proseguire con il mio percorso in direzione della bellissima piazza Carlo Alberto. Infatti all'altezza di un ristorante ho trovato il percorso pedonale praticamente sbarrato da un Dehor. A rendere il tutto più difficoltoso la presenza di alcune botti in legno a ridosso del muro del ristorante e di alcuni tavoli dall'altro lato (vedi foto in allegato). Chiederei ai vigili urbani un po’ di attenzione e sensibilità a queste situazioni per rendere la vita più agevole a persone come me

che si trovano costrette su una sedia a rotelle. Ora capisco che il ristorante paghi al Comune una salata occupazione di suolo pubblico ma almeno le botti le potrebbero fare sparire!!! Spero che alla mia prossima visita mi facciate la sorpresa di farmi trovare il percorso sgombro da ostacoli e magari in quest'occasione andrò anche a mangiare un boccone in questo ristorante che qualcuno mi dice essere molto apprezzato. Vi invio i migliori saluti e mi scuso per lo sfogo. Martello Vincenzo


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E IL RE DISSE ALLA SERVA: “RACCONTAMI UNA STORIA” … E LA STORIA INCOMINCIÒ Le origini delle fiabe di Daniela Anna Dutto

“Le fiabe sono un meraviglioso strumento che come un caleidoscopio possono rappresentare differenti realtà. Non devono mancare nel percorso di crescita dei bambini per sviluppare la fantasia e l'immaginazione, hanno uno scopo ludico ma anche educativo, possono essere lette, scritte o inventate in mille modi differenti. Ma le fiabe sono utili anche gli adulti, perché con la scrittura o l'interpretazione si possono scoprire e capire aspetti di se stessi che rimangono nascosti.” Le origini della fiaba si perdono nella notte dei tempi. Si potrebbe dire che la fiaba è nata con l’uomo stesso, con il suo bisogno di sognare, insegnare e tramandare il suo vissuto e le sue conoscenze. La fiaba ebbe in Oriente uno sviluppo grandioso (Panchatantra e le Mille e una Notte), ci sono pochissime testimonianze presso i Greci e i Romani e in epoca successiva riprese la sua diffusione in Occidente. Il “C’era una volta” ha riecheggiato per valli e monti in forma orale come rappresentazione della cultura popolare, considerando che la scrittura era riservata, un tempo, solamente alle classi nobili. Troviamo fiabe russe con zar, zarine; fiabe irlandesi, ambientate nel grande Nord con orsi, cervi, renne; fiabe arabe, con sceicchi, beduini; fiabe europee con gnomi, diavoli; fiabe cinesi con portentosi draghi; raccolte di fiabe nordamericane con coyoti, bisonti ecc. Variano personaggi e ambientazioni ma la struttura e lo scopo della fiaba sono simili in tutti i continenti. Descrivevano la vita della povera gente, le cre-

Con queste parole Daniela Dutto, specializzata in fiabaterapia e scrittrice di fiabe e racconti, presenta la rubrica attraverso cui ci parlerà di fiabe famose e non, di scrittori che ci hanno permesso di conoscerne origini e sviluppi, dell'importanza che hanno avuto nel passato e come sopravvivono in quest'epoca tecnologica, dei racconti del nostro territorio, dei personaggi chiave, dei significati e di tanto altro perché il mondo delle fiabe è veramente immenso e affascinante.

denze, le paure, il modo di immaginarsi i re e i potenti e furono raccontate e tramandate di generazione in generazione da contadini, pescatori, pastori e montanari attorno al focolare, nelle aie, nelle piazze o nelle stalle; non erano considerate, come ora, solamente racconti per bambini, ma rappresentavano un divertimento anche per gli adulti ed avevano grande importanza per la vita della comunità. Tanti scrittori le hanno raccolte e ci hanno permesso di conoscerle e di apprezzarle. Il Italia il primo fu Giambattista Basile con la bellissima raccolta di cinquanta fiabe in dialetto napoletano intitolata “Lo cunto de li cunti”. Alla corte di Re Luigi XIV in Francia Charles Perrault rielaborò le storie di Basile, anche basandosi sull’osservazione della vita di corte, nei celebri “Racconti di Mamma Oca”. Molto importanti furono nel Settecento la traduzione e la diffusione in Europa de “Le Mille e una Notte”. Nell’ottocento vennero poi trascritte le antiche fiabe della tradizione e coloro che hanno recuperato il maggior numero di fiabe sono stati i fratelli Grimm. Chi non conosce la casetta di marzapane di Hansel e Gretel o le avventure di

Pollicino? In Italia Italo Calvino, uno dei maggiori scrittori del Novecento, pubblicò la più ricca raccolta di fiabe. Da non dimenticare poi Hans Christian Andersen famoso per i suoi racconti che ci ha regalato fiabe stupende come Il brutto anatroccolo e la Sirenetta.

Il contadino astrologo

(fiaba riassunta di Italo Calvino) Un Re a cui avevano rubato un anello prezioso mise un bando per cercare un astrologo, convinto che potesse aiutarlo e se avesse avuto successo lo avrebbe ricoperto d’oro. Un povero contadino di nome Gambara decise quindi di andare dal Re dicendo di essere un astrologo. Il Re lo prese in parola, e lo chiuse a studiare in una stanza. Nella stanza c'erano solo un letto, un tavolo con un gran libraccio d'astrologia, penna, carta e calamaio. Gambara iniziò a scartabellare il libro senza capirci nulla, però iniziò ad avere molti sospetti sui servi che portavano il cibo nelle sua stanza. Decise così di nascondersi e vedere la loro reazione per capire se erano i ladri. Quando capì che erano stati i tre servi a rubare l'anello del Re, questi gli chiesero pietà e lui disse loro di far ingoiare l'anello ad uno dei tacchini in cortile. Il giorno dopo Gambara si presentò al Re e gli disse che dopo lunghi studi era riuscito a sapere dov'era l'anello. Fu sventrato il tacchino e si trovò l'anello. Il Re colmò di ricchezze l'astrologo e diede un pranzo in suo onore, con tutti i Conti, i Marchesi, i Baroni e i Grandi del Regno. A cena il Re servì dei gamberi, un piatto praticamente sconosciuto ancora e chiese al contadino/astronomo come si chiamassero, lui non sapendo il nome disse "Ah, Gambara, Gambara… sei finito male!" e il re rispose Bravo! - non sapendo il vero nome del contadino. - Hai indovinato: quello è il nome: gamberi! Sei il più grande astrologo dei mondo.


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Raccontami...

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LA NOTTE DI AHMED di Vincenzo Esposito

Faceva molto caldo la sera che Kemal e Abdel entrarono nel bar Esmeralda a bere un’aranciata e Ahmed rimase a prendere il fresco seduto sul muretto della rotonda che si affaccia sulla baia alla quale si arriva scendendo centinaia di scalini in mezzo a ciuffi di gelsomini e di buganvillea, per cui, appena vide un gruppo di uomini entrare nel bar e tirare fuori coltelli e spranghe di ferro, scappò via, poi, mentre correva, li sentì urlare come bestie e chiamare marocco i suoi amici e dire che puzzavano e che dovevano andarsene dalla città, così Ahmed continuò a correre e si fermò solo quando arrivò davanti all’Albergo della Torre, da dove il viale scende a larghe curve verso il porto e i depositi di barche, allora si accorse di essere inseguito, perché all’improvviso sentì alle sue spalle un’eco di passi che martellavano il selciato, per cui riprese a correre con il fiato che gli bruciava la gola e quando a una curva si girò, vide due giovani con jeans e giubbotto di pelle nera inseguirlo in silenzio con le guance arrossate per lo sforzo e le lame lampeggianti dei coltelli stretti in pugno, così in quel momento si sentì gelare dalla paura e temette che il respiro gli potesse scoppiare nel petto e le gambe perdere la forza di correre, allora sarebbe crollato senza fiato in ginoc-

chio sulla strada, ma proprio in quell’istante di disperazione arrivò davanti al Ristorante del Gatto Verde e d’istinto si buttò nel cortile dove si affaccia la cucina e nel passare fu investito da una folata di odore di fritto, poi saltò uno steccato di legno e si mise a correre in mezzo ai tralci bassi dei vigneti in direzione del Supermercato che brillava di luci nel piazzale in fondo alla scarpata, ma dietro di lui sentì il rumore di rami spezzati e il ritmo ossessivo del respiro dei due giovani che lo inseguivano con tenacia, per cui Ahmed, terrorizzato dalla loro silenziosa crudeltà, pensò al momento in cui sarebbe caduto riverso con la faccia contro la terra mentre la lama del coltello gli penetrava la schiena e il fiato dei suoi assassini gli intiepidiva la nuca, così la caccia sarebbe finita, ma Souad avrebbe continuato a credere che stesse vendendo sigarette e accendini e domani sarebbe andata un’altra volta nella grande piazza del mercato di Tetouan dove la cupola della moschea brillava al sole in mezzo a due file di case di argilla rossa, avrebbe portato i soliti cesti di frutta e di patate al banco del vecchio Kabura e avrebbe ascoltato la sua voce rauca e le chiacchiere inutili della gente, poi si sarebbe incantata a contemplare le nuvole bianche correre nel cielo verso il paese sconosciuto

per il quale Ahmed era partito e avrebbe immaginato il viso magro di suo marito e i suoi baffi sottili, felice di essere la sua donna, così, mentre correva disperatamente nel vigneto, Ahmed ricordò il profumo della pelle di Souad, lo stesso che veniva dalla terra nelle notti in cui lo sorprendeva il desiderio di partire, allora apriva la porta della baracca e si fermava sulla soglia con le braccia incrociate sul petto a osservare il buio della campagna, cercando di non far rumore per non svegliare Kemal e Abdel che dormivano respirando profondamente, poi rimaneva a lungo assorto nel silenzio notturno ad aspirare l’odore della terra bagnata, tremando di nostalgia nel ricordare le labbra dischiuse di Souad disegnate nel suo profilo bruno, per cui pensò che non poteva morire quella notte nel vigneto con la faccia schiacciata contro la terra, così, quando arrivò in fondo alla scarpata, si trovò davanti al Supermercato nel grande parcheggio tutto illuminato dalle insegne colorate e continuò a correre anche se non aveva più forza nelle gambe che si muovevano per inerzia come se fossero guidate solo dal terrore e dalla disperazione, perché alle sue spalle sentiva sempre il ritmo incalzante dei passi dei due giovani che lo inseguivano con ostinazione, allora Ahmed si gettò nel labi-

rinto dei capannoni dove sono parcheggiati autobus e camion abbandonati con la gola arsa dall’affanno e gli occhi offuscati dalle lacrime, correndo senza riuscire più a pensare, così la notte si trasformò in giorno e poi tornò a essere notte fino a che non si trovò davanti alla sua baracca, entrò e andò a rannicchiarsi contro il muro con lo sguardo rivolto alla finestrella a fissare il cielo che per ore rimase buio e immobile, mentre Ahmed continuava a tremare e il petto gli doleva ogni volta che respirava più profondamente, allora si stringeva con forza le ginocchia e provava un’immensa stanchezza nel corpo e anche nei pensieri, poi all’improvviso avvertì un lungo tremito percorrergli la schiena come se facesse freddo e non fosse una calda notte d’estate senza luce, tanto che gli occhi gli dolevano perché erano sbarrati a fissare il buio e non riusciva a chiuderli, fino a che vide il cielo schiarirsi e in mezzo al campo fuori della baracca scorse il padre con un turbante bianco intento ad arare con un vomere legato a una lunga sbarra trasversale di legno tirata da un vecchio dromedario con un collo flessuoso e da un bue che aveva lo stesso colore argilloso della terra, poi il padre smise di arare e parve sorpreso di scorgere il figlio rannicchiato dentro la baracca, allora Ahmed vide grappoli di palmizi raggrupparsi in fondo all’orizzonte e riuscì finalmente a chiudere gli occhi e a serrarli, così la testa prese a girargli tanto velocemente che gli sembrò di perdere l’orientamento e persino vacillò come se davvero stesse vorticando intorno a se stesso e in una giostra di strisce colorate si vide mentre vendeva sigarette e accendini davanti alla stazione di servizio all’ingresso della città lungo la strada che arriva al porto turistico, poi si mise a correre inseguito da Souad e vide la veste di cotone scuro della moglie agitarsi nell’aria come una bandiera, mentre il padre, appoggiato alla sbarra di legno dell’aratro, li osservava silenzioso con un viso senza espressione, allora finalmente Ahmed sentì la tensione delle tempie allentarsi e spalancò gli occhi, così si accorse che ormai il cielo si era veramente schiarito e mentre fissava la luce, la porta della baracca si aprì.


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Come vola il tempo! È trascorso quasi un anno da quando, intirizziti dalla umidità e dal freddo ci sistemavamo in piazza Roma per chiedere ai passanti se conoscevano insonnia e se erano interessati a sostenerlo con una piccola o grande “donazione” per fare in modo che insonnia potesse continuare ad uscire ed essere regalato a tutti coloro che volevano leggerlo. Ormai questo piccolo mensile è diventato una presenza che fa parte delle abitudini racconigesi. Grazie a quelli che hanno accettato questo nostro invito abbiamo potuto uscire anche tutto il 2017, e così siamo di nuovo qui a chiedere, ancora una volta, un contributo per un altro anno. Durante l’anno in corso abbiamo ricevuto attestati di stima e apprezzamento, abbiamo anche dovuto superare una crisi al nostro interno, ma siamo sopravvissuti. I commenti positivi ci fanno molto piacere ma quando un nostro lettore è pronto a privarsi di un po’ di denaro per dimostrare la sua approvazione al nostro impegno ed al prodotto allora la approvazione è assolutamente sincera e percepibile. Abbiamo anche avuto collaborazioni da persone che fino ad ora non avevano mai scritto un pezzo per noi, ed anche questo ci rende ancora animati nella spinta a continuare e a sperare che un giorno la redazione attuale potrà essere sostituita da altre persone che continueranno a pubblicare e diffondere insonnia. La nostra giovane direttrice, dal suo punto di osservazione,

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SOSTIENI IL TUO GIORNALE certamente più qualificato della nostra redazione amatoriale al suo completo, ci ha invitato a continuare, vedendo nella tipologia del mensile un esempio del futuro dei giornali: il quotidiano di informazione è ormai superato dai mezzi di comunicazione più rapidi di qualunque informazione cartacea. La nostra caratteristica, invece, è il commento, dopo attenta riflessione, di ciò che avviene intorno a noi, sul nostro territorio; certo non tutti concordano con i nostri articoli ma non per questo si deve pensare a ricercare una uniformità di pensiero; come abbiamo sempre detto, chiunque può mandarci un commento scritto a quanto diciamo noi, e noi lo pubblicheremo. Sappiamo che non è facile controbattere o esprimersi per scritto, è un mezzo di comunicazione che non è adatto a tutti, ma noi non faremo certo questioni di forma o di buona scrittura, sono i pareri che ci interessano purché siano sempre garbati. Saremo ancora in piazza, anche se sempre più indifesi contro le intemperie a causa della nostra età che mediamente supera quella del pensionamento, pronti a chiedervi un contributo anche se ci mancano le abilità del bravo venditore. Grazie a tutti quelli che vorranno ancora aiutarci in questa piccola impresa che ci siamo assunti e grazie a coloro che per la prima volta saranno nostri sostenitori, a costoro sarà recapitato il giornale a casa. Sappiate che a febbraio 2018 stamperemo il numero cento!

Se conosci insonnia e già ci sostieni, dacci ancora una mano. Se non conosci insonnia, hai l’occasione per leggerlo ed apprezzarlo.

Cin

Cinema LA BATTAGLIA DEI SESSI di Cecilia Siccardi

Lib

Libri a cura di Barbara Negro

Vittorio Gullino, classe 1938, ha vissuto buona parte della sua giovinezza a Saluzzo, nota cittadina ai piedi del Re di Pietra, il Monviso, nonché Capitale dell’omonimo Marchesato.

America, 1973. Billie Jean King, numero uno del tennis femminile, riceve una singolare sfida dal cinquantenne ex campione Bobby Riggs: convinto della superiorità degli uomini rispetto alle donne, il “maiale maschilista” Riggs è pronto a scommettere centomila dollari sulla sua vittoria sul campo contro la King, nonostante la differenza di età e di stato di forma fra i due. Paladina dei diritti delle donne e della lotta per l’uguaglianza fra i sessi, Billie Jean accetta, trovandosi così a dover affrontare, oltre ai suoi conflitti personali, anche la pressione di un incontro che segnerà la storia del sessismo nello sport. Diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris (“Little Miss Sunshine”), La battaglia dei sessi è appena uscito nelle sale italiane. Merito del film è di saper rac-

contare con intelligenza e senza banalità e retorica una storia i cui temi portanti sono tuttora di grande attualità, come sessismo e maschilismo sul lavoro; la narrazione della sfida King-Riggs si intreccia inoltre, con garbo e naturalezza, alle vicende personali dei protagonisti. Da un lato, Riggs si trova ad affrontare il vizio del gioco e la crisi del suo matrimonio, mentre Billie Jean è alle prese con la riscoperta della propria sessualità. La bravura dei due attori protagonisti, Emma Stone e Steve Carrel, gioca un ruolo fondamentale nella riuscita del film: anche grazie alle loro rappresentazioni dei complessi caratteri dei protagonisti, infatti, il film non scade semplicemente nella retorica dello scontro bene/male, risultando più profondo dei soliti racconti del genere.

Trasferitosi ormai da tempo, per l’autore Saluzzo rimarrà sempre la sua Città di appartenenza: un luogo intriso di intimi ricordi, dove ha messo le radici, un paese che lo ha cresciuto amorevolmente e preparato per affrontare il resto del suo destino. Quasi come una prova d’amore, l’autore omaggia la città e i suoi abitanti con questo volume di “storie minime”; partendo dalla formazione geologica del territorio, attraversando l’epoca degli stanziamenti delle popolazioni primitive, la conquista Romana, le vicissitudini del Marchesato, fino alle vicende dei giorni nostri, Gullino snocciola accenni della genealogia di questa antica città a partire dai suoi albori. L’obiettivo dell’autore non è tediare il lettore con una lezione fatta di mere e asettiche informazioni storico culturali, ma di incuriosirlo e invogliarlo alla scoperta di una città brulicante di tradi-

zioni, con i suoi abitanti e i loro piccoli episodi di vita, siano essi reali o legati a leggende popolari. Attraverso una visita guidata immaginaria, Gullino accompagna un gruppo di fantomatici visitatori in una passeggiata tra le piazze, i portici e i monumenti di Saluzzo, arricchendo il suo racconto con aneddoti curiosi della realtà cittadina e ricordi della sua infanzia: nomignoli divertenti, cosiddetti stranòm, affibbiati a stravaganti personaggi, calciatori e atleti che han fatto vivere ai tifosi gloriosi momenti di sport, la nascita di associazioni come il C.A.I., l’indissolubile legame dei saluzzesi con le montagne vicine, le vacanze estive alla vigna dei nonni e l’indossare il vestito buono per le feste dei Santi… Il lettore ha in mano una dichiarazione di profondo affetto nei confronti della città, come d’altronde confessa Gullino “non c’è nulla di più sincero che l’amore per le proprie radici”.

PUOI CONTRIBUIRE: • con un versamento presso l’Ufficio Postale sul c.c.p. n° 000003828255, • con un bonifico bancario intestato ad “Associazione Culturale Insonnia”, Piazza Vittorio Emanuele II, 1 codice IBAN: IT77 Q076 0110 2000 0000 3828 255

Vittorio Gullino “Storie minime” di una antica, grande città 2017, pp. 110, € 15,00 Edizioni Primalpe


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Mus

Musica ANTINOMIA: Kronos di Giuseppe Cavaglieri

Dopo essersi aggiudicati la vittoria del “Grande Nazione Rock Contest” promosso dai Litfiba e Virgin Radio che li ha portati ad esibirsi sul palco insieme ai Litfiba nel 2012, e a tre anni dal secondo lavoro discografico “Mantra” prodotto da MADASKI (Africa Unite), tornano gli ANTINOMIA con il loro terzo album “KRONOS” (Storia di un uomo in fuga dal suo tempo). In “Kronos” si evince un deciso avanzamento stilistico maturato

dalla band grazie soprattutto alle molteplici esperienze artistiche, collezionate in questi anni, ed alla cura e la ricerca dei suoni apportate nella realizzazione del terzo lavoro per il quale, la formazione guidata da Riccardo Rizzi, ha sperimentato contaminazioni musicali che si spingessero oltre i confini del rock italiano più classico, alla ricerca di un suono più maturo, identitario e volutamente “fuori dal tempo”. Capitolo conclusivo di una trilogia dedicata all’Uomo, avviatasi con “Illusioni ottiche” nel 2012, e proseguita con “Mantra” nel 2014, essa trova compimento nel descrivere l'esilio filosofico di un uomo errante in fuga dal suo tempo, alla ricerca di nuovi orizzonti, per sfuggire all'omologazione e la decadenza del presente. Aspirazione rappresentata da un simbolico “viaggio” verso un futuro indefinito, nella speranza di trovare in esso lettura più matura e libera dai corrotti schemi contemporanei. Così come una capsula del tempo cristallizza e trasporta il proprio messaggio ed i ricordi di generazioni passate nel futuro, esso rappresenta un modo di sfuggire e “sopravvivere” dell’uomo all’inesorabile declino dei nostri giorni. “Kronos” si compone di nove tracce

inedite attraverso le quali gli Antinomia lanciano un messaggio di evasione e riscatto rispetto ad una società sempre più priva di valori e identità, in cui l’uomo appare sradicato, precarizzato, solitario e nomade. Kronos, nome che richiama alla divinità della mitologia greca, padre di Zeus e simbolo del tempo che scorre, indica quest’ultimo nelle sue dimensioni di passato presente e futuro. Fin dal suo art work di copertina, realizzato nuovamente dal talento del giovane illustratore Torinese Alessandro Bora, “Kronos” delinea a suo modo i tratti di una “mappa” astrale che definisce i contorni di una rotta verso un mondo nuovo in cui ritrovare sogni, speranze e aspirazioni perdute per il realizzarsi di una vera e propria rinascita dell’umanità. Ogni traccia dell’album rappresenta una tappa “cronologica” verso questa destinazione. “Kronos” si contraddistingue per un’equilibrata ed esplosiva convivenza, nei brani, di chitarre ed elettronica che ben si sposa con il desiderio di contaminazione del suono, che la band ha voluto sperimentare in questo nuovo lavoro, con inserti mirati di pianoforte, flauto traverso e chitarra acustica. Prova ne è tra le

insonnia

altre il duetto con Lino Vairetti sulle note della traccia n. 5 “L’uomo”; collaborazione fortemente ricercata dalla band e realizzata grazie alla disponibilità del leader della storica formazione progressive napoletana degli Osanna. Un’intensa versione piano voce di uno dei brani più celebri della stessa band partenopea, per l’occasione reinterpretata dagli Antinomia con la straordinaria partecipazione dello stesso frontman degli Osanna. Il tutto nel disco perfettamente bilanciato dalla presenza di possenti interventi della sezione ritmica di basso e batteria senza mai perdere di vista il ruolo della melodia, degli arrangiamenti e delle atmosfere.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

La ricchezza della Catalogna è prodotta in Catalogna solo in parte. I catalani beneficiano, come altre regioni spagnole, della facilità con cui si spostano persone e merci. Lo stesso vale per le regioni italiane più ricche. Ma la richiesta, oggi, sembra essere ovunque orientata alla frammentazione, all’individualismo, all’ “ognuno per sé e Dio per tutti”. Che decenni di politiche per facilitare l’apertura delle frontiere e per la creazione di un’Europa, capace di fare “massa critica” e competere a livello globale con colossi come la Cina o gli Stati Uniti, abbiano portato a una rinascita così importante dei separatismi deve farci riflettere: qualcosa è andato storto, e il benessere promesso dagli Stati e dall’Unione Europea si è, nella percezione comune così come nelle condizioni di vita concrete, affievolito. La politica, ansiosa di raccogliere voti e consensi, risponde così, almeno in parte, con una nuova ventata di populismo e promet-

tendo libertà, sicurezza. In un momento in cui gli Stati sono in affanno, quindi, ogni alternativa sembra valida: l’esaltazione dell’identità, l’indipendenza, la chiusura delle frontiere. Ma siamo sicuri che sia così? Che una “rivoluzione”, che sia in Catalogna, in Lombardia, o nel nostro Piemonte, cambierà in meglio le nostre vite, la nostra condizione? “Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi” (Il Gattopardo - Giuseppe Tomasi di Lampedusa)

2017

entro dicembre 2017 Tel 371 1529504

Miriam Corgiat Mecio, direttore responsabile

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