INSONNIA Marzo 2018

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 101 Marzo 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

SEMPLICEMENTE AUGURI Piccole gocce di felicità

8 Marzo, rieccoci qui. Come di consuetudine Insonnia ci dà la possibilità di ritrovarci su queste pagine a parlare un po’ di noi in occasione della Festa della Donna. Purtroppo lo scenario non è cambiato poiché i femminicidi, le violenze, le denunce di stalking non si sono placate, queste ormai paiono piaghe insanabili che si ripetono quotidianamente. Ci sarebbe quindi molto da dire su questi argomenti e su altri ugualmente importanti e dolorosi, ma questa volta avrei piacere di trasmettervi un po’ di positività e vorrei sorridere con voi attraverso queste righe augurandovi semplicemente tante piccole cose che allietino la vostra quotidianità. Auguri affinché troviate un po’ di tempo per voi stesse, per coltivare le vostre passioni e realizzare i vostri progetti. Vi auguro di avere un angolo intimo della casa, dove potervi immergere in una lettura che vi appassioni, che vi faccia sognare e vi trasporti lontano dai pensieri quotidiani, un angolino tutto vostro dove poter guardare un film in tutta intimità, anche se già visto e rivisto, ma che ogni volta vi ha regalato emozioni perché vi ha commosse o divertite, facendovi dimenticare il ferro da stiro o la biancheria in lavatrice. Vi auguro di sfogliare un album di fotografie dove vi rivedete bambine e poi ancora ragazze ormai cresciute, magari un po’ ribelli, un po’ innamorate riscoprendo abiti ed acconciature dimenticate che però a quei tempi rispecchiavano la vostra identità, il vostro modo di essere ed anche la vostra sfida. Vi auguro di realizzare nuovi album di fotografie, altri clic che vi ricordino momenti piacevoli scattati con le persone care, con gli amici, nei luoghi più svariati del mondo o semplicemente durante una gita in campagna.

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8 Marzo 2018 di Adonella Fiorito

Sono finiti i tempi delle cene con spogliarello maschile, sono finiti i tempi dei giochi. I giochi sono diventati pesanti, siamo diventate adulte, evolute e consapevoli. Ci siamo evolute così tanto che ogni due giorni una donna viene uccisa. Non riesco a starci dietro, ogni storia ha una storia, accomunate dall'essere donne. Che cosa possiamo festeggiare l'8 marzo? La consapevolezza che qualche cosa non và. Tutto è troppo e tutti abbiamo paura di perdere qualcosa. In 11 anni di Mai+Sole, ho capito quanta solitudine, tristezza, paura serpeggia tra le donne. segue pag. 3

LA DIFFICILE ARTE DI CRESCERE Più pericolo nel web oggi, che ieri nella via sotto casa di Elisa Reviglio

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ANCHE CON L’HANDICAP SI PUÒ AMARE LA VITA La forza di un’esperienza di Michela Della Valle

Pubblichiamo un contributo di Michela Della Valle, la nostra amica affetta da tetraparesi spastica neonatale. Qui Michela esprime un punto di vista che ci chiama tutti a riflettere al di là dei comuni stereotipi (g.p.) Spesso nella vita di tutti i giorni siamo persone deboli e quando qualcosa viene a cambiare il nostro stato facciamo fatica ad accettarlo.

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È di questi giorni la notizia di un presunto adescatore che minaccerebbe la sicurezza dei nostri figli. Panico in tutte le famiglie, compresa la mia, ovviamente. Io ho un figlio di 13 anni che, come tutti i ragazzini di questa età, inizia a volere la sua indipendenza. E con le cautele del caso cerchiamo di allargare le maglie e così capita che esca con i suoi amici. Meta?

Nessuna. Eh già! Nessuna. Perché dove potrebbero andare i nostri figli di quell’età a giocare o parlare? Quale luogo sicuro c’è nella nostra città in cui i ragazzi possano esprimersi in libertà ma in un ambiente controllato? Non il Centro Giovani perché destinato a ragazzi più grandicelli. Non l’oratorio, perché ormai inesistente così come lo conoscevamo un tempo.

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MONDO AGRICOLO

Inserto Scuola

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Donna dell'Anno

INVITO 100

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VENERDI’16 MARZO, ore 21, Sala Consigliare Racconigi L’ASSOCIAZIONE

MAI+SOLE

Presenta il libro

“Uscire dal silenzio. Storie di ordinaria violenza” Intervengono: Adonella Fiorito Presidente associazione mai+sole Silvia Vanni Psicoterapeuta e collaboratrice dell’associazione mai+sole

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE a cura di Rodolfo Allasia

In questo numero il racconto fotografico è tratto dal materiale di un amico che ci ha permesso di pubblicare le sue immagini che costituiscono parte della tesi presentata all’istituto John Kaverdash di Milano nell’anno accademico 2005/2006 per il Master in Reportage. Michele Giordana (del 1978) aveva scattato una quantità smisurata di fotografie per documentare l’ex OP (il manicomio di Racconigi), avvalendosi di strumenti che oggi sarebbe impossibile usare nei pressi dell’Ospedale, visto il suo stato di pericolosità; nello specifico un camion con il “cestello” per riprendere dall’alto l’edificio. Oggi la tecnologia è avanti e basterebbe un Drone. Presentiamo solamente una selezione delle sue immagini, in futuro potremo pubblicarne altre più sensazionali (occorrerà un lavoro di trasformazione dal formato professionale ad uno gestibile con i nostri sistemi informatici: un lavoro lungo). Le didascalie che accompagnano le foto sono state tratte da testi di prosa e poesie di Alda Merini, Silvia Stella e da pazienti dell’ex OP. Le foto sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera. Mi sono avvalso della importante collaborazione di Bruno Crippa che avendo lavorato, na vita, in Manicomio ha dato suggerimenti preziosi.

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Specchio delle mie brame di Luciano Fico

Gianni lo ha coinvolto ancora una volta in una di quelle serate in cui lui deve ascoltare per tutto il tempo le lamentele dell’amico: le donne non le capisco; ma cosa ho di sbagliato; sono proprio sfigato; neanche il lavoro funziona; mi vogliono solo sfruttare… Le occasioni per sentirsi vittima della vita sono davvero infinite, se si è determinati a non prendere in mano il proprio tempo e Gianni è ostinatamente avvinghiato al suo vittimismo, senza scampo. In nome della loro amicizia, per quella incrollabile solidarietà fra maschi, Michele si predispone a lasciarsi inondare dal fiume di parole, che sta per arrivare: sa che non sarà necessario alcun commento e men che meno un consiglio; basterà assentire ed alzare ogni tanto gli occhi al cielo; un modo semplice e maschile per esserci. Dopo aver ordinato la pizza Michele proprio non ce la fa a non distrarsi e comincia a guardarsi in giro, di nascosto, non appena l’amico distoglie per un attimo lo sguardo. È bastato poco per trovarsi calamitato dagli occhi di lei! Nel tavolo in fondo alla sala, proprio alle spalle di Gianni, quattro ragazze stanno mangiando e ridendo tra di loro: ma è lei, solo lei, che lo cattura. Ha due occhi bui come la notte; il mascara accentua il nero di quello sguardo e lo rende una promessa irresistibile. L’incrociarsi dei loro sguardi e quell’attimo di indugio hanno scatenato una vampata di calore in lui e l’eccitazione lo ha subito travolto. Mentre Gianni parla, lui fa i suoi esperimenti: non la cerca per un po’ e poi, di colpo, controlla se lei lo guarda. E lei lo guarda.

Avrà vent’anni al massimo, ma lo fa con una spudoratezza che evidentemente è innata in certe donne. Ora Michele abbozza un sorriso, sentendo lo stomaco che si chiude in una morsa: lei lo guarda fisso, senza mostrare il minimo turbamento, non sorride e lo guarda. In quel preciso momento, mentre Gianni si sta spingendo a considerarsi vittima di un complotto perché lui è troppo buono, Michele comprende di aver incontrato la donna della sua vita: sicuramente la più bella che le sia mai capitato di vedere e poi deve essere molto intelligente e sensibile, lo si capisce subito guardandola… Deve prendersi una pausa, è assolutamente necessaria. Va dunque in bagno per sciacquarsi la faccia, ma lo specchio lo tradisce non appena rialza il viso dal lavandino: di fronte a lui un uomo stempiato e con i pochi capelli rimasti completamente bianchi; le rughe segnano il viso intorno agli occhi, increspano il labbro superiore e solcano profondamente la fronte; nessuno lo direbbe da lontano, ma così da vicino si nota che i denti superiori sono finti; le palpebre ricadono pesanti sugli occhi, quasi coprendoli. Michele fissa quell’uomo di 65 anni appena compiuti e sente salire una profonda vergogna mista a paura; seduto al tavolo, non più di cinque minuti fa, di anni ne aveva meno di trenta. Come è facile dimenticarsi della realtà. Torna in sala Michele, fa in modo di evitare l’amico, paga il conto e se ne va: sulla porta lancia ancora uno sguardo alla bella sconosciuta. La porta gli si chiude alle spalle e lui si tiene dentro l’immagine di lei che ride con le amiche.


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8 MARZO 2018 segue dalla prima

La violenza è molta, ma molta di più è la paura di ammettere che abbiamo sbagliato qualche cosa, non sappiamo più dare la giusta importanza alle cose e ora la storia ci viene a chiedere il conto. Ogni giorno, almeno uno dei telefoni di Mai+Sole suona e chi chiama è una donna disperata, in difficoltà, una donna che chiede aiuto ad un'estranea perché si vergogna di ammettere che suo marito, compagno, figlio non la rispetta e le fa violenza. Allora, ricominciamo da qui, ricominciamo dal rispetto, insegniamolo ai nostri figli, ma soprattutto pretendiamolo da noi stesse. Torniamo sulle piazze, tutte insieme

ad urlare "basta violenza sulle donne" rivendicando la nostra libertà. Ecco una tra le tante storie che hanno segnato donne e bambini, narrate in: “Uscire dal silenzio. Storie di ordinaria violenza” a cura dell’Associazione Mai+sole. MARIELLA Era ancora buio, quando con il figlio è uscita di casa per andare al lavoro. Lui era lì ad aspettare con un fucile in mano. Voleva ucciderla, perché non accettava la sua decisione di lasciarlo. Lui, il grande uomo che con tre figli ha continuato a fare uso di sostanze, che urlava alla figlia:

“sei la fotocopia di tua madre, ti spacco la faccia, ti faccio uscire il sangue dal naso”. Lui, che non ha mai accompagnato un figlio a scuola, che non ha mai guardato una pagella, che non ha mai fatto il padre. Lui, ha cercato di eliminarli. Lei, quando ha visto che la situazione diventava sempre più difficile da gestire, ha chiesto aiuto ai parenti, ma la risposta è sempre stata la stessa: “non possiamo, aggiustati”. Il figlio l’ha protetta, le ha fatto da scudo e ha deviato la pallottola dando un colpo al fucile. Sono arrivati i Carabinieri e l’ambulanza, poi abbiamo messo in sicurezza la donna e i figli perché

lui è scappato come del resto ha fatto tutta la vita, scappando dalle sue responsabilità. Dopo poco tempo è arrivata la chiamata dei Carabinieri: “lo abbiamo preso”. Lui, era lì vicino a casa, attendeva il loro ritorno per terminare l’opera. Lui, starà in carcere per alcuni anni, ma questa terribile esperienza rimarrà sulla pelle di Mariella e dei suoi figli per molto tempo ancora. Il corpo è stato colpito di striscio, è guarito in 7 giorni. Ma l’anima, che ha ferite profonde, riuscirà a guarire? Tratto dalla pubblicazione dell’Associazione Mai+sole.

BANCO ALIMENTARE RACCONIGI Bilancio dal 2012 al 2017 Dopo cinque anni di attività, iniziata l’ottobre del 2012, ne presentiamo il bilancio come gruppo di Volontari del Banco Alimentare.

Con la riunione dei gruppi di volontari sarà così possibile porsi l’obiettivo di garantire alle famiglie la cadenza quindicinale delle consegne.

Un unico gruppo con la Croce Rossa In questi anni il Banco Alimentare e la Croce Rossa si sono alternati nella distribuzione di pacchi alimentari alle famiglie, nelle occasioni in cui la Croce Rossa riceveva i pacchi, al fine di non creare sovrapposizioni. Riesaminando il servizio di distribuzione di alimenti si è concordato, grazie anche all’intervento del Comune e del Sindaco in prima persona, di costituire un unico gruppo di lavoro, a partire dal 2018, sotto l’egida della Croce Rossa, al fine di utilizzare gli alimenti che l’AGEA, l’agenzia europea per l’alimentazione, destina in maggior quantità alla Croce Rossa che non al Banco Alimentare Piemonte.

Sostegno e contributi ricevuti in cinque anni Anzitutto, anche se la maggior parte degli alimenti sono provenuti da AGEA e dal Banco Alimentare Piemonte, ringraziamo per il continuo sostegno ricevuto negli anni dalla Parrocchia, nelle raccolte in Quaresima ed Avvento, dagli insegnanti delle Scuole nelle raccolte annuali, da chi ci ha fornito quindicinalmente verdura e ringraziamo inoltre per il supporto ricevuto da Associazioni e da privati. Il loro aiuto ci ha consentito di mantenere il servizio continuativamente, soprattutto nei mesi estivi, quando si interrompono gli arrivi alimentari.

Le famiglie Le famiglie sono state indicate, senza discriminazione etnica o del paese di origine, dai Servizi Sociali del Comune e dalle Assistenti Sociali del Consorzio Monviso Solidale, di cui abbiamo apprezzato la professionalità e la continua collaborazione. Sono state eseguite 104 distribuzioni, con una media di 61 famiglie presenti, per un totale di 190 assistiti. d occorre sottolineare che le famiglie assistite sono sempre in maggior parte italiane: ad oggi, sono 40 su 68, pari al 58,8 %.

Ringraziando ancora Il gruppo di Volontari del Banco Alimentare

Gli alimenti distribuiti In cinque anni, si sono raccolte più di 45 tonnellate di alimenti, di cui 23 dal Banco, 20 dall’AGEA e 2 (ben il 4,8 %) da tutti gli altri contributi. In totale, le confezioni di alimenti distribuite ammontano a più di 116.000.

3.500 Zucchero e Farina

Alcuni dettagli sugli alimenti distribuiti, in numero di confezioni: 27.000 Legumi e pelati 26.000 Pasta e minestre 4.500 Riso 2.800 Olio 16.800 Latte 5.300 Tonno e Carne 2.000 Formaggio 2.000 Alimentari infanzia 13.000 Biscotti e dolci 950 Igiene personale

Il tempo tra le mura del reparto e' un susseguirsi di ore un ripetersi monotono di pensieri


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LA DIFFICILE ARTE DI CRESCERE Più pericolo nel web oggi, che ieri nella via sotto casa segue dalla prima

Non più il cortile o la via sotto casa, perché siamo diventati troppo insofferenti e non sopportiamo più il rumore di una palla che rimbalza o le risate dei bambini. Ed ecco che i nostri figli bighellonano per il paese alla mercè di potenziali malintenzionati, anche perchè non hanno ancora la capacità mentale di comprendere quando vengono raggirati. E molto più probabilmente si tratta di uno spacciatore che di un pedofilo. Certo durante l’incontro avvenuto il 27 febbraio presso le Scuole Medie tra famiglie, amministrazione comunale, scuola e forze dell’ordine proprio riguardante la sicurezza dei ragazzi, il moderatore dott. Marco Bertoluzzo, giurista e criminologo, ha detto una sacrosanta verità e cioè che quando si decide di mettere al mondo un figlio o di adottarlo, si decide automaticamente di rischiare. Non potremo mai essere presenti in ogni istante nella vita dei nostri figli, siamo passati tutti attraverso i mille pericoli che ci sono nel mondo e siamo sopravvissuti. Questo è vero, ma credo che come comunità abbiamo il dovere di proteggere i nostri ragazzi, mettendo in essere quanto possibile. Noi genitori possiamo intervenire educando i nostri figli, fornendo loro degli strumenti per poter vivere fuori dallo stretto nucleo famigliare.

Ma quando sono fuori la loro sicurezza diventa responsabilità collettiva. Purtroppo non vedo grosso inte-

resse verso gli adolescenti tra i 13 e i 16 anni da parte della nostra comunità e questo mi spaventa. Ci lamentiamo troppo spesso che i ragazzi stanno tutto il tempo davanti alla tv o al computer, che non sono più in grado di relazionarsi e di interagire perché persi dietro a messaggini o immagini postate ovunque sul web. Ebbene è vero, ma è pur vero che spesso è più comodo (sicuro poi non tanto) sapere che il proprio figlio è a casa piuttosto che in giro non si sa bene dove. Ed ecco che i ragazzi crescono sempre più in un mondo ovattato, senza sviluppare quella parte di carattere che poi ne garantisce la sopravvivenza nel mondo reale. Sarebbe opportuno a mio avviso che ci si fermasse a pensare a che cosa realmente stiamo offrendo

Letti di una volta riposano al fondo di un rettangolo giallo, comunicazione con altri mondi

come città a questa fascia di età. Non sono più bambini, ma nemmeno ragazzi, stanno formando la loro personalità, ma sono lasciati soli. Ci sono iniziative rivolte ad “educare” i genitori, ma questi vanno aiutati, sì, non solo a fare i genitori, vanno aiutati anche materialmente, fornendo degli spazi dove questi ragazzi possano esprimersi liberamente, senza il vincolo di dover partecipare per forza ad

una attività vincolante, degli spazi controllati, ma nei quali gli adolescenti possono anche solo trovarsi per chiacchierare. Di attività extrascolastiche ne fanno a sufficienza, forse anche troppe, ciò che loro manca è la possibilità di essere “liberi” di fare ciò che si sentono, fosse anche solo stare seduti a guardare le nuvole, ma in una situazione di sicurezza. Un esempio stupido, ma reale: si

pensa ad organizzare la festa di Carnevale per i bimbi piccoli, o il veglione per i giovani, ma per gli adolescenti? Che non sono né carne né pesce? Questi o stanno a casa con il cellulare in mano fissi alla xbox, oppure escono comunque ma lasciati veramente alla mercè del mondo. Mi pare che le politiche giovanili racconigesi non tengano nella dovuta considerazione il fatto che la società cambia e che problemi che un tempo si ponevano più in là con l’età, ora sono anticipati. Un tempo si usciva, ci si ritrovava al Ponte Rosso o sui gradini di Santa Maria o alla vasca dei pesci rossi a San Giovanni e bene o male tutta la comunità ci teneva d’occhio, perché ci si conosceva tutti. Oggi non è più così, oggi a malapena si conosce il vicino di casa e sicuramente siamo tutti troppo indaffarati. Oggi i ragazzi accedono molto presto, forse troppo a ogni tipo di informazione e non è che siano più “svegli” dei ragazzi di una volta, semplicemente è la società stessa che impone loro una crescita anticipata che però non corrisponde al fisiologico sviluppo del loro cervello. Mai come in questo frangente le politiche giovanili devono esserci ed essere a più ampio raggio, perché una casa regge solo se le sue fondamenta sono forti e sane.

Gradino dopo gradino un sofferto avanzare un lento divenire


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Hikikomori

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Il ritiro sociale dei giovanissimi che mette in scacco il mondo adulto di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Sono ragazzi maturi, sensibili, riflessivi, fragili, con una visione negativa della società e della scuola. Stanno in disparte perché aborriscono la competizione e la pressione sociale, contestano la richiesta della società di oggi di essere sempre all’altezza… questa ansia da prestazione dicono di averla incontrata prima di tutto a scuola ed è per questo che proprio a scuola non ci vogliono più andare. Vengono chiamati Hikikomori o ritirati sociali. Chi sta facendo emergere lo studio di questo fenomeno in Italia è Marco Crepaldi, responsabile del blog www.hikikomoriitalia.it. La sua attenzione è nata ai tempi dell’Università quando venne toccato da un film di animazione che aveva come protagonista un ragazzo in totale isolamento sociale. Il cartone animato ara giapponese e trattava il fenomeno Hikikomori. Marco si appassiona, decide di approfondire e prepara la tesi di laurea su questo tema. Poi sceglie di aprire uno spazio sul web per dare voce ai cosiddetti ritirati sociali e offrire loro la possibilità di stare in rete. Il blog ha un grande successo, viene visitato e utilizzato da molti ragazzini, ma anche da tantissime famiglie “disperate”, alla ricerca di confronto e supporto. Nasce quindi l’Associazione Genitori con 800 partecipanti e si apre una chat su facebook che raccoglie 10mila messaggi al giorno dai ragazzini in isolamento, segno di un bisogno estremo di contatto. Ascoltare le testimonianze di Crepaldi e della presidente dell’Associazione Genitori è interessantissimo. Nel convegno tenutosi all’Istituto Avogadro di Torino la scorsa settimana c’era il pienone di insegnanti che hanno bisogno come me di capire di che si tratta per poter prevenire. In Giappone il fenomeno Hikikomori è arrivato a contare 1 milione di casi. In Italia non si scherza e oggi si registrano 100 mila ragazzini che rifiutano di andare a scuola, che evitano il contatto sociale e scelgono di stare in disparte, trascorrendo il giorno e la notte nelle proprie camere, nidi protetti dai quali giorno dopo giorno è sem-

pre più difficile uscire. Le statistiche dicono che la maggioranza di loro sono maschi, iscritti al biennio superiore; alcuni sono anche più piccoli, allievi delle scuole medie. All’inizio solitamente il rifiuto per la scuola si presenta con un mal di pancia, poi diventa attacco di panico, debolezza e via via un’incapacità di provare a tornare nelle situazioni sociali quali la propria classe o il proprio gruppo di amici perché ci si sente inadeguati e ci si vergogna di aver fatto molte assenze. La vergogna solitamente genera un senso di inadeguatezza che si traduce in apatia verso l’aggregazione sociale anche al di fuori della scuola; si evitano le feste, le uscite…si inizia a dormire di giorno e stare svegli la notte attaccati al computer, un modo per vivere nel mondo senza interfacciarsi in prima persona. Alcuni falsamente identificano proprio la dipendenza da internet come causa del fenomeno, ma Crepaldi spiega che è esattamente il contrario: la dipendenza è la conseguenza dell’isolamento ed esprime il desiderio di contatto col mondo che il ragazzino non riesce a vivere diversamente. Gli hikikomori aborriscono spesso anche i social e se vi partecipano usano un nickname. Vogliono stare al mondo, ma preferiscono guardarlo dalla finestra del pc, piuttosto che viverlo. Crepaldi, che ha incontrato molti di loro e le rispettive famiglie, ha formulato un’ipotesi sul fenomeno: tutto inizia con una depressione esistenziale ovvero con la presa di coscienza che la realtà in cui siamo immersi, fondata sulla competitività e sulla prestazione, non piace assolutamente. Nulla ha un senso che valga la pena di essere perseguito. Perché alzarsi? Perché andare a scuola? Perché partecipare a questo teatro dell’assurdo in cui non mi riconosco? Preferisco ritirarmi, mi chiudo nella mia camera, così mi difendo. Anziché cambiare il mondo che non mi piace, scelgo di isolarmi perché sento d’essere io fuori posto. È difficile per la mia generazione comprendere questa forma di contestazione: noi protestavamo, uscen-

Vorrei andare avanti ma non posso, mi sento imbrigliata

do allo scoperto e facevamo un sacco di manifestazioni per cambiare il mondo che non ci piaceva. Gli hikikomori no. Il loro isolamento e il loro silenzio è però talmente forte che obbliga la società a ripensarsi completamente. Lo spiega bene Elena Carolei, presidente dell’associazione. Disorientati, i genitori si trovano un figlio completamente diverso da quel bambino che conoscevano, bravissimo a scuola, curioso, pieno di talenti, sveglio, capace, responsabile e…promettente. All’inizio provano a parlargli, inutilmente, poi perdono la pazienza, insistono, obbligano il ragazzino ad uscire, a prendersi le sue responsabilità…e così inizia il tempo delle scenate furibonde: lui che si oppone terribilmente, le grida, i litigi, la tensione irrespirabile. La coercizione si rivela da subito inopportuna. È allora che ci si rivolge ai medici, si cerca una strada clinica, ma il fenomeno non è classificato e viene confuso con una forma di depressione psicologica che non è. Spesso gli interventi delle NPI risultano inutili. Il ragazzino è ostinato nel suo rifiuto. I genitori invece vengono sommersi da buoni consigli di amici parenti e terapeuti, ma nulla pare essere risolutivo. Schiacciati da questa sofferenza inaspettata, i genitori usano l’unica arma propria della paternità: l’amore incondizionato. E accettano questo “nuovo” difficilissimo figlio, provando in tutti i modi a stargli accanto. Pare proprio essere questa una possibile strada: comprensione e pazienza. Lo spiega Luisa Benigni, mamma di un ex-hikikomori quando legge al convegno una poesia che commuove: “Faremo di tutto perché tu possa sentirti a casa nel mondo, aspetteremo i tuoi piccoli passi, continuando a sperare che tu possa tornare a sentire il vento sulla pelle, la pioggia che ti bagna i capelli, il sole caldo che ti brucia la pelle…” Solo l’amore può resistere a questo isolamento e aprire pazientemente una breccia di luce, di aria, di vita sociale, finalmente. E la scuola che cosa può fare? Molto. Innanzitutto essere attenta ai primi sintomi, evitare critiche ma anche lodi. Il ragazzo che è a rischio isolamento prova vergogna quando si trova sotto i riflettori, in ogni caso. E poi ai primi sintomi lo si dovrebbe accompagnare con una persona preparata, un educatore, un grande amico…evitando in ogni modo la chiusura totale. Ma questo potrà accadere solo se professori, medici, psicologi dell’Asl saranno preparati e capaci di lavorare in sinergia, pronti ad agire subito. Per i genitori? Un aiuto viene proprio da Crepaldi. Hikikomoriitalia.it è pubblico, ma esistono altri due blog “chiusi”, uno per i ragazzi ed uno per i genitori. Chi ha bisogno deve chiedere l’accesso a Marco. In questo modo il contenuto di ciascuno spazio è privato e sicuro. I genitori possono parlare della loro sofferenza, dei loro dubbi e da lì non esce nulla. Possono anche chiedere consigli per la scuola o chiarire questioni legali. Si suggerisce quando è il caso di rivolgersi alla polizia, nei casi più difficili. PS: Agli insegnanti suggerisco di visitare il sito http://www.hikikomoriitalia.it con articoli interessantissimi per la prevenzione nel mondo della scuola.


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DUE RICHIESTE ALLA CHIESA ITALIANA

a cura di Guido Piovano

Pubblico uno stralcio della lettera che lo scorso 18 dicembre Raniero La Valle ha trasmesso al Card. Gualtiero Bassetti - presidente CEI - a nome dell’assemblea del 2 dicembre di “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”, con le due istanze: maggiore fedeltà nelle parole del Canone, non scambiare “condivisione” con “moltiplicazione”. “Nel Nuovo Testamento le parole con cui Gesù, nell’ultima cena, prende e distribuisce il pane spezzato ai discepoli, non contengono mai l’e-

È stata in proposito sollevata nella nostra assemblea una questione che non verte sulla traduzione del testo sacro come tale, ma sulla titolatura che viene abitualmente apposta all’episodio della distribuzione dei pani ai 5.000/4.000 presenti (Mc. 6, 30-44; Mc. 8, 1-9 e Mt. 15, 32-38). In genere infatti nelle traduzioni correnti si titola l’episodio con “moltiplicazione dei pani” e simili, ma il testo greco, sia della prima distribuzione che della seconda, non usa

spressione “offerto in sacrificio per voi”. Non la conteneva nemmeno il Missale romanum di S. Pio V, riformato da S. Pio X, che riportava semplicemente la versione di Marco e Matteo: “Hoc est enim corpus meum”. Non la contengono in genere nemmeno i messali postconciliari non italiani, che preferiscono riportare la versione di Luca: “Il mio corpo dato per voi”. L’aggiunta italiana appare indebita, motivata forse dall’intenzione di ribadire la natura della Messa come sacrificio in funzione antiprotestante. La richiesta è quindi che venga restituita la purezza e la bellezza delle parole evangeliche che sottolineano il carattere di dono della morte di Gesù.[…].

mai il termine “moltiplicazione/moltiplicare”, mentre sottolinea il gesto della “distribuzione”, accanto al comando dato ai discepoli di dare essi stessi il pane alla gente (nella “prima” distribuzione). L’accento dei racconti evangelici infatti è più sulla “condivisione” del pane che sul “miracolo” della moltiplicazione. Il motivo della questione che è stata posta è molto serio: nella comprensione comune “moltiplicazione dei pani” indica un miracolo che non è nella facoltà di nessuno ripetere, mentre condivisione e distribuzione dei pani allude a un fare che tutti possono e sono chiamati a praticare; nel primo caso il Vangelo rimane un racconto, nel secondo diventa un modo di vita.”

SOLIDARIETÀ Pubblico una comunicazione della Caritas Parrocchiale di Racconigi distribuita recentemente dalla parrocchia. “In stile di comunione con il Papa anche la nostra comunità parrocchiale ha unito i suoi sforzi, con la collaborazione di tutti, per offrire la sua vicinanza ai bisognosi più vicini a noi. Abbiamo intenzione di sostenere progetti di avviamento al lavoro con tutti i cittadini di Racconigi, Murello e non solo. Per sostenere la fattibilità di nuove assunzioni intendiamo co-finanziare per periodi variabili, il costo dei ‘micro lavori’: Badanti, Giardinieri, Manutentori di ordinaria attività per la casa. Offriremo un con-

tributo economico a Gettone, al fine di permettere agli utenti di valutare le persone indicate dalla Caritas come possibili offerenti del proprio lavoro al vostro servizio. Parallelamente a questo innovativo e ambizioso progetto continua fedelmente il nostro sostegno alle consolidate aree di solidarietà ‘Adotta una bolletta’, ‘Alimentazione dell’infanzia’, ‘Area cultura’, ‘Progetto casa’, ‘Progetto acquisto farmaci’. Ogni anno, con concretezza, sosteniamo il disagio di numerose famiglie. Vi chiediamo di sostenerci per sostenere. Aiutateci, per aiutare!” Caritas Parrocchiale di Racconigi

PADRE NOSTRO Il 6 dicembre scorso il papa ha invitato i fedeli a non recitare più ‘Non ci indurre in tentazione’ e a sostituirlo con ‘Non lasciarci cadere nella tentazione’, perché – dice il papa – “Dio è un padre: non fa cadere in tentazione, ma piuttosto aiuta a rialzarsi”. Già la nuova edizione della Bibbia, pubblicata in italiano nel 2008, aveva modificato il testo del Padre Nostro. Le parole ‘non ci indurre in tentazione’ erano state sostituite con ‘non abbandonarci alla tentazione’, ma questo cambiamento non era ancora entrato nel messale. Molte comunità e gruppi

di base l’avevano però introdotto da tempo nella loro pratica corrente. Qui da noi, in verità, don Aldo aveva proposto la modifica spiegando i motivi che portavano alla recita del nuovo Padre Nostro che aveva riprodotto su grandi cartelli esposti durante le messe in modo tale che per i fedeli fosse più facile recepire il cambiamento. Con don Maurilio si è tornati indietro, i cartelli sono spariti ed il Padre Nostro è rimasto quello di prima. Perché? E noi parrocchiani, abbiamo mai una nostra idea?

Tra il dire e il fare… di Zanza Rino

Magadalena von Neipperg, già titolare della cattedra di Scienza della Politica presso l’università di Tubinga, nella sua monumentale opera “Zwischen dem Sprichwort und dem Tun ist die Mitte des Meeres”, purtroppo oggi introvabile, indaga con raro acume e dovizia di

dati le complesse interazioni psicologiche, antropologiche e linguistiche che governano comportamento e linguaggio di chi si occupa di amministrazione della cosa pubblica, con particolare riguardo alla transizione dalle logiche di opposizione a quelle di governo (e viceversa). Lo studio offre una illuminante chiave di lettura del linguaggio utilizzato nelle vicende politiche ed amministrative a livello nazionale e locale. È per esempio utilmente applicabile alla campagna elettorale appena conclusa, nel corso della quale esponenti di diverse liste hanno dato sfogo a una girandola di promesse elettorali che possono apparire tanto suggesti-

ve prima del voto quanto velleitarie dopo di esso, quando si trovassero nella condizione di doverle tradurre in assai più complicati atti di governo. È analogamente applicabile alla lettura dell’annosa questione del Chiarugi a Racconigi. A chi avesse la voglia di ricostruire pazientemente le numerose dichiarazioni degli ultimi anni in merito al destino del Chiarugi e alla viabilità di via Ormesano non dovrebbero sfuggire quei cambiamenti di contenuti e di toni, nel passaggio dal linguaggio di opposizione al linguaggio di governo, che riconducono alla tesi fondamentale della studiosa tedesca, che mi sentirei di

sintetizzare più o meno così: “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Non è qui in discussione la possibilità e la capacità di risolvere una situazione complessa e di incerto esito per chiunque; quanto la capacità di riconoscerla come tale non solo quando si deve far fronte alle responsabilità di governo. Se tutti coloro che si occupano della cosa pubblica, da posizioni di governo o di opposizione, tenessero presente nella loro pratica quotidiana questo basilare principio non necessariamente si risolverebbero i problemi, ma per lo meno si ridimensionerebbe un diffuso velleitarismo parolaio, a beneficio di tutti i cittadini.


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IL MONDO AGRICOLO INCONTRA I RICHIEDENTI ASILO L'esperienza di una azienda agricola di Verzuolo di Anna Simonetti

Aldo Rivoira è un imprenditore agricolo di 55 anni, proviene da una famiglia di agricoltori che ha saputo trasmettergli amore e rispetto per la Terra, valori che a sua volta ha trasmesso ai figli. La sua azienda agricola, nella scorsa stagione, ha impegnato alcuni giovani richiedenti asilo ospiti dalla cooperativa “Liberi tutti”, quale è stata la sua esperienza? La mia è un’azienda di circa 14 ettari, di cui 11 e mezzo coltivati a piccoli frutti (ribes, lamponi, more, mirtilli, kiwi e ciliegie) per la quale fra tre anni avrò la certificazione biologica. I nostri terreni sono a Busca, Costigliole Saluzzo e Verzuolo. Sono un agricoltore, figlio di agricoltore, in Piemonte il primo a costruire serre per coltivare piccoli frutti. Fa parte di una associazione? Sì, dell’associazione Ortofruit, al cui interno c’è una cooperativa agricola Agrifrutta, che vende piccoli frutti, durante tutto l’anno, nelle catene italiane, e facciamo parte di un consorzio formato da “La Sandrina, Golden blu, Airale, Riva, Paschetta”. Quale è il suo progetto? È un progetto molto grande, nato nel 2001 quando mio figlio ha deciso di non proseguire gli studi. Da subito gli ho fatto presente che non doveva lavorare necessariamente con me, ma se sceglieva questa via volevo che fosse in grado di fare un ottimo lavoro. Gli ho chiesto di imparare l’inglese da saperlo “fischiare”, per cui è partito per gli Stati Uniti, per tre mesi ha girato mezzo mondo ed è tornato completamente cambiato. Ho intestato ai figli “ La Sandrina”: entro 7 anni saranno in grado di gestirla, nel frattempo vigilo sul loro lavoro. Perché dava tanta importanza al fatto che suo figlio “fischiasse” l’inglese? Io credo che oggi una persona, maschio o femmina che sia, se siede ad

un tavolo e parla correttamente una lingua, se non è uno stupido, può ottenere quello che desidera. Mio figlio parla e scrive correttamente inglese e francese e parla anche spagnolo, il che significa che quando siede al tavolo di una fiera parla con tutto il mondo senza problemi. Mia figlia ha frequentato il quarto anno del liceo negli USA per imparare la lingua e per conoscere un mondo diverso. Qual è il progetto del Consorzio? Questo è un territorio in cui è in corso una grande trasformazione. Chi oggi toglie le pesche, mette sicuramente piccoli frutti perché in Italia siamo al disotto del 90% nella produzione e il mercato ci dice che ribes, fragole, mirtilli, specie nella fascia d’età dai 25 ai 40 anni, vengono acquistati già a metà gennaio. Questa trasformazione richiederà, entro breve, fino a 500 lavoratori per stagione. Infatti io ho comprato in collina un appezzamento, ci sono 3 case che sono pronto a ristrutturare per ospitare 20 rifugiati che lavorino per me, ma devono essere in grado di guidare l’auto per il trasporto e condurre il trattore. Tenendo ben presente che Il consorzio potrà garantire il lavoro solo da maggio a settembre! Come è arrivato ad utilizzare nella sua azienda i richiedenti asilo? Quando arrivano i container dagli USA abbiamo bisogno di molte e robuste braccia. Avendo saputo di una cooperativa di servizi di Cuneo in grado di fornire la mano d’opera di cui necessitavo e dovendo costruire l’azienda agricola, quindi piantare pali, tubi e reticolati, ho dato l’appalto a questa cooperativa, ma per mia tranquillità, ho assunto direttamente 15 rifugiati. In seguito ho incontrato Matteo Monge, mio amico, gli ho parlato del progetto (tra qualche anno potrebbe impegnare 400/500 operai ) e, data la mia necessità del momento, ho assunto subito 5 dei suoi ragazzi. Con quale tipo di contratto?

Contratto agricolo, 7 euro l’ora, pagamento con bonifico al quindici del mese, tutto tracciabile e legale. Per queste pratiche mi rivolgo ad uno studio privato, spendo di più, ma così sono tranquillo: per me è fondamentale la legalità e la sicurezza, non voglio trovarmi invischiato in cause per illegalità Di che nazionalità erano? Erano cinque africani, ma alla fine ne sono rimasti due perché tre di loro hanno creato dei problemi: non tutti fanno cosa chiedi e magari vanno dove il prodotto è stato già raccolto. Ad un certo punto i miei fattori non riuscivano più a gestirli e al mattino rischiavo che il prodotto non venisse raccolto. Li ho ripresi e tre di loro, offesi, non volevano riprendere a lavorare. Li ho obbligati a fermarsi fino alla fine della giornata e in seguito ho assunto 4 donne albanesi che si sono ben inserite con gli altri. Oggi posso dire che a maggio sono pronto a partire con i ragazzi di Cuneo, quelli di Monge e le 4 donne albanesi: 12 capisquadra che conoscono il lavoro e a cui posso affidare tre persone ciascuno in un percorso definito ed io, con 60 persone, in un terreno come quello di Busca, posso gestire tutto e stare tranquillo. Ma, tengo a dirlo, sono obbligato a chiamare i richiedenti asilo perché non c’è un italiano che venga a chiedermi di lavorare! Perché? Perché sono troppo ricchi. Ai tempi di mio papà venivano gli studenti da Savona, Genova, arrivavano in vespa, dormivano nei capannoni con delle brandine, mia mamma preparava da mangiare per tutti, i ragazzi cantavano, bevevano, al sabato mio papà gli dava un bottiglione di vino per fare festa. Avevano voglia di lavorare e alla fine della stagione partivano con il portafoglio pieno, si prenotavano per l’anno dopo e tornavano! Io non ho nessuno che venga a chiedermi di lavorare. Qui a Falicetto, d’estate, vedo i giovani

passeggiare su e giù per il viale, senza fare niente! Eppure spesso si dice che gli immigrati portano via il lavoro agli italiani… Non è vero, assolutamente non vero! Le aziende agricole devono per forza rivolgersi a queste persone disponibili sul territorio, però, dobbiamo “educarle” nel lavoro! Come? Ci vuole molto rigore, usare bastone e carota, dare quello che meritano come stipendio, non 2/3 euro l’ora come fa qualcuno, ma pretendere quello di cui l’azienda ha bisogno. Ho detto a Monge che deve scegliere i migliori tra i suoi ragazzi e far sì che possano guidare i trattori e i carri agricoli. Chi parla meglio italiano, dovrà prendere la patente di guida e in seguito, fornendogli un furgone di seconda mano, trasportare 7/8 ragazzi. Il trasporto è un grosso problema. È vero che sono ragazzi forti, ma per venire in bici da Dronero a Busca impiegano 1 ora e mezza con grandi rischi e se piove non possono arrivare, mentre i piccoli frutti, sotto la serra, possono essere raccolti con qualsiasi tempo. Comunque, dopo 8 ore di lavoro, non possono ancora pedalare per un ora e mezza! Quali considerazioni può fare? Ci sono ragazzi svegli, molto intelligenti in grado di fare lavori più impegnativi, ma ce ne sono di quelli che non vogliono lavorare. C’è anche molta maleducazione: non tollero lattine o plastiche per terra. Qui da me hanno a disposizione la macchina per bibite calde e fredde, possono fare la doccia dopo il lavoro, ma la campagna deve essere pulita e rispettata! I diritti e i doveri sono da rispettare da ambo le parti.

Una sostanza che tira in qua, un'altra che tira in la, una su una giù, un vero mosaico


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ALFABETIZZANDO..... LE PAROLE DEI GIOVANI

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Donna Classe IV A - corso geometri

Era una giornata di primavera. Indossavi un abito a fiori colorati e una mantella rosa in spalle; i tuoi capelli erano color oro, mossi e spettinati dal dolce vento. Camminavi in quel di Firenze con naturale eleganza, portando a spasso la tua fragilità ma nel contempo la tua fierezza di guerriera. Tenevi per mano una bambina molto simile a te; aveva lunghi capelli biondi raccolti in una treccia e due occhi trasparenti come il vetro che lasciavano cogliere la sua piccola Anima. In tutta la mia vita non ho mai visto nessuna donna dalle sembianze così gentili, raffinate e decorose come le tue. Mi sembrava di conoscerti da sempre. Come per incanto ti vidi bambina … dolce e pacata, molto affettuosa nei confronti dei tuoi familiari e gioiosa in compagnia dei coetanei. Crescendo dimostravi altruismo e disponibilità verso gli altri; i tuoi amici provavano fiducia nei tuoi confronti e tu li sapevi non solo consolare ma anche giudicare e dire ciò che non ti

stava bene. Tutto ad un tratto un soffio di vento gonfiò il tuo vestito; la leggerezza della stoffa, abbinata al luccichio della fede al dito, richiamò il giorno del tuo matrimonio … indossavi un raffinato abito bianco in pizzo con un lungo velo sulle spalle; eri circondata da fiori e da mille occhi curiosi che, come fedeli scorte, seguivano i tuoi passi attraverso la navata della chiesa. Ti sentivi emozionata, euforica, ma nello

stesso tempo perfettamente consapevole della scelta che stavi per fare, perfettamente consapevole delle responsabilità che stavi per assumere. E in effetti dopo pochi mesi sono iniziati gli oneri del lavoro, della casa , dell’essere moglie e madre. Il giorno in cui è nata tua figlia eri naturalmente nervosa ma anche entusiasta in quanto non vedevi l’ora di tenere fra le braccia l’essere che avevi protetto in grembo per ben nove mesi. Avevi sempre desiderato una bambina per poter condividere con lei, un domani, ogni tuo singolo segreto, ogni momento della vita; volevi essere per tua figlia non solo madre ma sorella ed amica. È difficile oggi immaginare la tua vecchiaia, il tuo diventare nonna accanto a dei nipoti che crescerai come se fossero i tuoi figli, insegnando loro rispetto e bellezza della vita. Saprai sfuggire alla senilità perché la combatterai con coraggio e forza, rialzandoti ogni qual volta Lei ti aggredirà. Continuerai a vivere la tua affascinante avventura di Donna con i capelli argentati e le braccia indebolite … le giornate diventeranno sempre più vuote, il tempo sempre più lungo, la vivacità sempre più spenta e l’unica certezza sarà quella di non aver rimpianti per i giorni ormai alle spalle. Camminavi in quel di Firenze con naturale eleganza avvolta in un abito a fiori colorati e una mantella rosa in spalle ….

spiaggia. Di una sola fortuna hai potuto godere, che nonno non abbia voluto altre mogli. Alla mamma è andata diversamente: lei, giovane sposa, ha fatto il Lungo Viaggio ed è arrivata in Italia, in una realtà nuova e moderna dove uomo e donna hanno pari diritti e dignità, e la sua vita è cambiata: la patente, il lavoro, l’educazione dei figli sono state le sue conquiste, pur restando profondamente legata alle tradizioni musulmane, fatte di rispetto e di fede. Io ho scelto di vivere all’occidentale, ma non per questo ho rinnegato la mia cultura: leggo e scrivo arabo, studio la sharia, prego cinque volte al giorno e digiuno durante il Ramadan; i jeans e la discoteca sono però la prova che tra te e me sono passate più di due generazioni, e io sono felice di essere giovane donna qui ed oggi. Come questo è potuto accadere? Perché nel tempo delle donne si sono alzate e hanno detto basta: hanno avuto il coraggio di parlare, a nome di tutte, di diritti, di uguaglianza, di libertà; hanno aperto porte e abbattuto barriere anche per noi, così che non bisogna ogni volta ricominciare

daccapo. Perché è vissuta una Olympe de Gouges, che nel 1791 scrisse la prima “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina”, una Emmelin Pankhurst, fondatrice nel 1903 del movimento delle suffragette, una Rosa Parks, che con un No mise fine alla segregazione razziale negli Stati Uniti, e poi tante altre “cattive ragazze”, donne forti e trasgressive come le italiane Franca Viola, Nilde Iotti, Rita Levi Montalcini, Felicia Impastato, Lucia Annibali…. Che cosa ha reso queste donne coscienti di sé e determinate? Quello che tu mi ripeti sempre di fare: studiare. Perché solo la cultura ti apre gli occhi e ti permette di progredire. “Un bambino, un insegnante, un libro e una penna possono cambiare il mondo”: queste le parole pronunciate da Malala nel 2014, quando ricevette il premio Nobel per la pace. Ecco la ragione per cui in molti Paesi l'istruzione femminile è vietata. Perché governi autoritari ed integralisti sanno che la cultura è un’arma potente, soprattutto se finisce nelle mani di donne che lottano in nome dei propri desideri.

Emancipazione Khadija - IV L Liceo Scientifico

Cara nonna Zuhra, la parola EMANCIPAZIONE mi riporta alla storia della nostra famiglia, perché penso che tu, la mamma ed io rappresentiamo un progressivo cammino di riscatto e di libertà. La tua esistenza è trascorsa tra le mura domestiche, a Wled Rghia, un paesino di campagna del Marocco, sottomessa all’autorità di tuo padre prima e poi del nonno, a cui sei stata data poco più che bambina, nascosta sotto quel burka nero che solo di recente hai potuto sostituire col velo, un cambiamento che ha rappresentato un grande passo avanti per te. Niente scuola, niente lavoro, niente divertimento. Quasi nulla della mia adolescenza ti è appartenuto: uscire con le amiche per un aperitivo, andare a fare shopping, correre su una


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Francesca Gabriele, 3^ A corso periti

«È successo tutto così in fretta, durante una luminosa notte della Romagna, è successo, ora non torno indietro»: queste sono state le prime parole dell’adultera Francesca, moglie di Gianciotto Malatesta e cognata di Paolo, figli del signore di Rimini. Ho raccolto le sue parole e le sue lacrime, ora le condivido con voi. «Sdraiata nel letto di legno, dove avevo passato anni con mio marito, abbracciata a Paolo, il mio amato, vestiti solo delle coperte di lana rossa e dal rimorso pesante come un macigno per quel che era appena successo, mi rendevo conto di cosa avevo fatto, mi rendevo conto di cosa avevo rovinato. Anni di un lungo matrimonio passati nella menzogna, passati al fianco di chi non avevo amato. L’amore fra me e Paolo era la realizzazione di quell’amor cortese che avevamo trovato nei libri: ma noi siamo di carne ed ossa, non creature di carta, e di cortese nella nostra vita non era rimasto nulla. Quante volte Gianciotto, tornando dal lavoro ubriaco a tarda notte, mi picchiava: io con il rancore e il rimorso causato dal mio adulterio sono sempre stata zitta, a testa bassa, e quante sere piangevo lacrime e sangue. Le settimane passavano, ma non svaniva il mio dolore: l’unico a cui interessavo veramente era Paolo. Quando mio marito non c’era, lui passava a trovarmi, a medicarmi, ripetendomi sempre di non preoccuparmi, che saremmo scappati da Gianciotto, scappati da chi non ci capiva. Un giorno, dopo anni di matrimonio, mio marito mi chiese per la prima volta: «Come

stai?». Gli risposi con gentilezza, nonostante tutto, rendendomi conto con evidenza ancora maggiore di quanto la mia vita fosse infelice. Durante un viaggio lavorativo di mio marito, corsi da Paolo per organizzare la nostra fuga, per lasciarci alle spalle tutto, per lasciarci alle spalle tutti. Preparati i bagagli con i nostri vestiti e i soldi necessari, ci sedemmo sul letto, Paolo prese un libro dal comodino ed esclamò : “Lancillotto!”. Era uno dei sui libri preferiti, perché sembrava condividere il nostro segreto. Iniziammo a leggerlo, ma poco dopo, presi dalla passione, lo lasciammo per abbandonarci a noi. In quel momento sentimmo scricchiolare il pavimento in lontananza, ci guardammo negli occhi e, presi dal terrore di essere stati

Infine il varietà delle iniezioni, queste le fanno pungenti come le satire

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scoperti da qualcuno, ci rivestimmo velocemente, ma non abbastanza, perché il rumore si era fatto sempre più vicino; la maniglia girò cigolando, fino a quando non si spalancò la porta. Entrò mio marito, ubriaco, con una bottiglia di vino, vestito con abiti sgualciti e rovinati, i capelli in disordine e con le mani tremanti. In quel momento capii che ci aveva teso una trappola, capii che era finita». Era finita, invece, soltanto la breve parentesi terrena di Francesca, una ragazza gentile, dal cuore puro, ma che cadde in tentazione. Ora continua, e continuerà per sempre, il suo tormento ultraterreno: ma sconta la sua pena con Paolo, l’amato, e vive ancora nel ricordo e nelle parole del Poeta.


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LA PALESTRA COGNITIVA: CONTINUA L’ATTIVITÀ NEL 2018 a cura di Guido Mantovani, presidente AMA

L’Italia è il secondo Paese più vecchio del mondo e l’anziano può avere molte patologie che provocano disabilità o non autosufficienza, tra queste la demenza. Per affrontare i problemi legati ad un iniziale deficit cognitivo, dal 2015 è presente sul territorio carmagnolese, presso i locali del C.I.S.A.31 , Via Cavalli, 6, la palestra cognitiva, promossa dall’Associazione AMA, sezione distaccata di Carmagnola. A cosa serve la palestra cognitiva? La stimolazione cognitiva, svolta in gruppo, è un intervento che ha una buona efficacia terapeutica e può migliorare il funzionamento cognitivo e sociale della persona con un deficit o una demenza lievemoderata: si rafforzano le informazioni di base della persona (rispetto alle coordinate spazio-temporali, alla propria storia di vita e al proprio sistema di valori) e si sollecita la riattivazione della memoria, dell’attenzione, del linguaggio e capacità di risolvere i problemi. Vengono prese in considerazione, per ogni persona partecipante alla palestra, le funzioni cognitive, la storia di vita, l’affettività, le emozioni, il comportamento ed anche, in alcuni casi, la consapevolezza di malattia ed i farmaci eventualmente assunti. Durante la stimolazione cognitiva vengono arricchite di senso le attivi-

tà proposte, rendendole vicine agli interessi dei partecipanti. Si tende a creare un clima di rispetto, di divertimento, attraverso l’instaurarsi e il rafforzarsi di buone relazioni sociali; si invitano le persone ad esprimere opinioni circa gli avvenimenti, piuttosto che ricordare i fatti stessi. Con la conversazione e il parlare di sé agli altri, la persona può essere aiutata a rivedere e ricostruire un’immagine di sé, che include presente e passato con continuità e coerenza. Gli esercizi per la memoria, individuali o di gruppo, con supporto informatico, vengono proposti da operatrici specializzate (una psicologa ed un’animatrice). Come accedere alla palestra cognitiva? Il servizio può essere suggerito dal medico di famiglia, dai medici delle unità di valutazione geriatrica o Alzheimer, oppure si può accedervi direttamente, previo colloquio con le operatrici della palestra. Informazioni ed appuntamenti: presso la segreteria del CISA31: tel. 011 9715208 il martedì dalle 9 alle 12 ed il giovedì dalle 14 alle 15,45. È prevista una tariffa di 3 euro orari, a parziale copertura del costo del servizio: eventuali esenzioni possono avvenire su richiesta del servizio sociale.

E IL RE DISSE ALLA SERVA RACCONTAMI UNA STORIA … E LA STORIA INCOMINCIÒ…. di Daniela Anna Dutto

LA BRUTTA STREGA SI FA IL LIFTING

C’era una volta una strega che viveva nel Bosco Vecchio, di nome Germilda, brutta ma così brutta, che era considerata la strega più brutta di tutte le streghe brutte del mondo. Gobba, con i capelli simili a serpenti gialli, nasone con una pustola rossa sulla punta, dita lunghe come artigli, piedoni enormi, denti gialli, occhi piccoli e strabici. Madre Natura le aveva negato la bellezza ma l’aveva resa una strega immensamente potente e venivano da tutto il mondo per richiedere incantesimi e pozioni magiche. Germilda era stufa di essere così brutta, tutti la rispettavano per il suo potere ma avevano ribrezzo e pena per il suo aspetto. Un giorno la strega andò dal Grande Mago che viveva in cima al Monte della Sapienza. “Mago – gli disse senza giri di parole – mi devi aiutare a diventare bella”. “Tu sei una strega brutta ma con poteri molto forti. La Natura è stata avara nel tuo aspetto ma generosa rendendoti molto potente” “Ma io voglio diventare affascinan-

te” “Mi dispiace non posso andare contro la decisione di Madre Natura” La strega tornò a casa sconsolata e qualche giorno dopo vide su un giornale una pubblicità CLINICA ESTETICA. VUOI MIGLIORARE IL TUO ASPETTO? RISOLVIAMO ANCHE I CASI PIÙ DISPERATI La strega si precipitò, vennero tutti i dottori, quello era veramente un caso disperato!! La sottoposero a lifting, massaggio drenante, esfoliante, eliminazione rughe, dieta, colorazione capelli, sedute di pilates e ginnastica, ore e ore dal dentista… e alla fine Germilda si guardò allo

specchio Era bellissima!! Capelli di un biondo lucente, naso alla francese, viso senza rughe, la gobba era quasi sparita, mani curate, denti perfetti… si sentiva felice come non mai. Tornò a casa e riprese la vita di sempre ma si accorse che qualcosa era cambiato. Venivano sempre meno clienti, molti tornavano a protestare, le pozioni non avevano effetto e i suoi poteri erano sempre più deboli. Un giorno ritornò sul Monte della Sapienza . “Ma che bellezza sei diventata…” le disse il mago in tono canzonatorio. La strega scoppiò a piangere: “Non mi piaccio… Per mantenere questo fisico devo fare ore di ginnastica, lavarmi i capelli tutte le sere e mettere gli impacchi perché il vapore del calderone li rovina. Prima avevo la gobba e stavo curva per ore, adesso mi viene mal di schiena. Con le mie

unghie lunghe raccoglievo insetti ed erbe e ora lo smalto si rovina. Questo naso è bello ma prima sapevo riconoscere i profumi per le mie pozioni, con i denti rompevo ghiande e noci e … ho perso i miei poteri” urlò disperata. “Che cosa ti avevo detto? Dobbiamo accettarci come siamo e volerci bene. Possiamo migliorarci ma sempre rimanendo fedeli a noi stessi” le disse il mago. “Voglio tornare come prima” “E se non fosse più possibile?” La strega scoppiò a piangere… “Via via non fare così” il mago preparò una pozione e Germilda riprese il suo aspetto orribile. “Come sono felice” urlò la strega. Tornò a casa e provò i suoi poteri: erano tornati quelli di un tempo… era nuovamente una strega brutta e potente!!! In realtà Germilda continuò a curare un pochino il suo aspetto… qualche lezione di pilates, una manicure ogni tanto e un impacco ai capelli ma non cercò più di cambiare la sua natura. Questa favola è dedicata a tutte noi donne con l’augurio di non dimenticare mai chi siamo, di accettare il passare del tempo con serenità, di volerci bene, farci belle per noi, cercare di migliorarci ma sempre restando fedeli a noi stesse. Buon 8 marzo!


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ANCHE CON L’HANDICAP SI PUÒ AMARE LA VITA La forza di un’esperienza segue dalla prima

Alcuni, poi, arrivano ad arrabbiarsi. Dovremmo invece riconoscere che certe cose fanno parte della vita. Con questo articolo voglio riflettere su questo e aiutare chi si chiude così tanto da arrivare a non apprezzare la vita. A odiarla. Ogni destino è invece prezioso agli occhi di Dio. Parto da un episodio che mi è capitato qualche giorno fa. Mi chiama una ragazza conosciuta l’estate scorsa e mi dice “Sai Michela, sono incinta”. Le dico “auguri”, ma lei continua “però ti devo dire una cosa: siccome io ho un’età un po’ avanzata, se alla diciottesima settimana di gestazione mi dicono che il bambino ha dei problemi, io abortisco”. Meno male che ero seduta, mi sono sentita male. Non è possibile. Le dico: “Guarda, per il momento, io per te non esisto, non posso essere tua amica al pensiero che se io fossi stata tua figlia tu mi avresti potuta ammazzare… Io per adesso non mi sento di parlare con te. Può

darsi che più avanti ce la faccia, ma per adesso non me la sento”. Mi dice: “Ma perché?”. E io ancora: “Tu non ti rendi conto con chi stai parlando. I figli si devono accettare come vengono, siamo nel 2018 fai qualcosa prima per non averne”. C’è da premettere, però, che questa donna ha già partorito un bambino malato, che poi è morto. Facciamo un passo indietro. Da qualche tempo ho costituito un gruppo che comprende persone che si fanno aiutare e l’ho intitolato “Gruppo DELCA”; è un gruppo dove le persone che hanno bisogno di parlare con qualcuno incontrano la mia disponibilità. Non sono sempre le stesse persone, ho formato questo gruppo come gruppo aperto: chi vuole un consiglio si può inserire e facciamo un cammino insieme. Si fanno degli incontri, delle chiacchierate. Le persone che stanno attraversando un periodo difficile della vita e

non lo accettano, non accettano di essere vive. Questo è molto brutto. Voglio allora lasciare questa testimonianza in modo che quelle persone mi possano indicare come posso fare per entrare nella loro riservatezza, per aiutarle davvero. Per questo motivo ho deciso di scrivere questo articolo. Sono una ragazza che vive la sua vita, sono contenta, serena, non mi manca niente; però io stessa mi sento vulnerabile, sono fatta di carne, e mi chiedo “tu disabile, non hai diritto alla vita?”. Spero di trasmettere ad altri la forza della mia esperienza. Le persone sembrano non capire che si può vivere anche con un problema. Tutti abbiamo problemi, siamo però tutti uguali, tutti con gli stessi diritti. Ma la mia testimonianza dovrebbe anche portare a capire che se c’è bisogno di aiuto lo si deve accettare, accettare prima di tutto gli ausili che ti vengono of-

ferti per vivere la vita. Non è che se domani ti trovi su una carrozzina, hai finito di vivere! Ma è altrettanto chiaro che non ce la puoi fare da solo! Io, per prima, ho dovuto lottare. Ho dovuto accettare la carrozzina e sedermici sopra. E bisogna essere forti: se hai un problema di handicap non è che piangi e allora cammini. Nella mia vita rifarei tutto quello che ho fatto e dico agli altri che si può fare, basta stare in mezzo alla società. Aprirsi, parlare, non mettersi contro la malattia, uscire, incontrare persone. Anche se si è sulla carrozzina Ognuno di noi ha la propria carrozzina, anche se la tiene nascosta, anche se se la nasconde. La mia seconda carrozzina, ad esempio, è il blocco che ho a mettere le scarpe ortopediche. Accettare la carrozzina è molto faticoso, però lo si deve fare piuttosto di perdere la vita.

Regione Valle d'Aosta

Premio internazionale la DONNA dell'ANNO

Tema edizione 2018: Diciamo no alla violenza in ogni sua forma di manifestazione! Il Premio Internazionale "La Donna dell'Anno" nasce nel 1998 per iniziativa del Consiglio regionale della Valle d'Aosta. http://www.consiglio. regione.vda.it/app/donnadellanno. All'origine del premio c'è la particolare vocazione di questa piccola regione d'Europa a difendere i valori di identità culturale dei popoli, piccoli o grandi che siano, a porsi quale soggetto attivo nella storia della conquista e tutela dei diritti fondamentali, a operare affinché le differenze siano intese in termini di ricchezza da salvaguardare. Il premio si propone di contribuire a far sì che forte si faccia sentire la voce di chi difende nel mondo le donne maltrattate, violentate, umiliate, perseguitate, private di ogni diritto fondamentale sino a quello più sacro della vita. É un appello alla sensibilità di ognuno affinché risponda alla propria coscienza per tutte le terribili atrocità che vengono perpetrate nel mondo ed a cui si assiste senza essere capaci di reagire, di ribellarsi e di farsene carico. Una delle candidate al premio è Isoke Aikpitanyi.

Isoke Aikpitanyi La nigeriana Isoke Aikpitanyi appartiene a una famiglia povera, per cui non compie studi regolari e aiuta la madre a vendere frutta e verdura. Quando le viene offerta la

possibilità di lavorare in Italia, s'illude di migliorare la qualità della vita di tutta la sua numerosa famiglia. A Torino, a meno di 20 anni, è buttata sulla strada a prostituirsi. Si ribella, subisce ogni genere di violenza e viene quasi uccisa. Giunta ad Aosta, dove vive il suo

compagno italiano, accoglie nella "casa di Isoke" ragazze nigeriane vittime della tratta. Presto sorgono "case di Isoke" in Piemonte, in Lombardia e in Liguria. In altre città, donne nigeriane seguono il suo esempio e a Palermo nasce un centro per ragazze minorenni

oggetto di tratta. Isoke ha narrato le sue vicissitudini nei libri "Le ragazze di Benin City", "500 storie vere" e "Spada, sangue, pane e seme". L’"Associazione vittime della tratta", di cui è presidente, ha salvato migliaia di nigeriane dallo sfruttamento sessuale o dall'essere usate come fattrici di bimbi, destinati anche al mercato degli organi, e ha costruito una rete di ex vittime, valorizzando il loro ruolo come operatrici a sostegno di altre donne infelici. L'associazione estende i suoi interventi in Nigeria, in particolare a Benin City, capitale della mafia e del traffico di esseri umani. Finora si è trattato d'interventi di micro-credito e di assistenza a giovani rimpatriate perché clandestine, ma nel 2018, dopo anni di lontananza, Isoke tornerà in Nigeria per cercare di fermare quei viaggi della speranza che si trasformano in incubi.


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IL CUORE DELLE DONNE

Qualcosa è andato storto di Alessia Cerchia

Qualche giorno fa ho dovuto fare i conti con uno degli esempi (ahimè) più lampanti di come la nostra società stia perdendo qualsiasi senso di collettività e bene comune. Niente di particolarmente drammatico, anzi. Mi ritrovo a parlare con alcuni ragazzi che ben conosco, da tempo, di un problema che li assilla da qualche mese: le programmate. Ve le ricordate amici lettori? Le odiate e amate concessioni che i professori fanno ai loro studenti, per facilitarli (pur creando poi uno stato di guerriglia permanente), consentendo loro di scegliere quali studenti passeranno all’interrogazione, in determinate date? Una situazione come tante che, come tante, si è trasformata in uno scontro di classe tra chi le vuole, considerandole utili, chi non le vuole affatto, chi vorrebbe che fosse il professore a scegliere (una programmata assistita!), chi accusa qualcun altro di non rispettare i turni, chi si indigna e via dicendo. Ho ancora il vivido ricordo di quando frequentavo il liceo e, da rappresentante di classe, dovevo gestire interminabili collettivi, in cui tutti erano contro tutto e contro tutti. Un vero ginepraio di relazioni interpersonali. Eh sì, perché in una classe, come in una famiglia o in un condominio, non si litiga mai per IL fatto per cui si litiga. Di solito c’è sempre qualcosa che va oltre, qualcosa di più nascosto, che a nessuno fa piacere rivelare e che, di conseguenza, resta spesso celato dietro un evento banale, ai limiti del ridicolo, sulla base del quale le persone tirano fuori il peggio di sé e dell’altro, alla ricerca di una soluzione che non si troverà mai. Come si potrebbe, d’altronde, trovare la soluzione ad un problema che è diverso da quello per cui si sta cercando una soluzione? Impossibile. Questa volta, però, fortunatamente, io non sono una rappresentante di classe sedicenne, ma una mediatrice con un po’ più di esperienza della vita e delle persone, con qualche strumento in più per comprendere e per analizzare le situa-

zioni. Quello che ho realizzato, affrontando un problema di per sé banale, non mi è piaciuto affatto. Potrei sintetizzare i risultati della mia analisi dicendo che i principi elaborati da John Nash con riferimento alla Teoria dei giochi dovrebbero ormai essere considerati morti e sepolti, sotto il peso di un individualismo estremo e tanto deleterio quanto diffuso. Non avendo le competenze per approfondire una simile teoria mi limiterò a dire che non esiste più l’idea di agire per ottenere il massimo risultato per sé e per la collettività, ma soltanto dell’agire per tutelare sé stessi ad ogni costo, specie se tale costo è pagato dal resto della collettività. E così, per fare un esempio concreto, si preferisce prendere un’insufficienza gravissima, rifiutandosi di sostenere un’interrogazione su chiamata del docente, ben sapendo che in questo modo il numero dei “chiamati” all’interrogazione e dei potenziali insufficienti sarà elevatissimo, anziché accettare di sostenere l’interrogazione con il rischio di ottenere un voto più alto (seppur insufficiente) ma evitando così ad altri di essere chiamati dal docente e prendere anch’essi una brutta insufficienza. Lo stesso principio del “oggi a me, domani a te” non è più compreso né applicato, sostituito da un utilitaristico quanto utopico “oggi a te e domani ancora a te”, che finisce con il risolversi in un bel “oggi a tutti e domani ancora a tutti”. Siamo di fronte ad una grave crisi della fiducia che dovrebbe illuminare comunità piccole e grandi, dalle classi di un liceo, ai condomini, all’intera società. La legge del più furbo imperversa e ci sta portando a pagare, tutti, un prezzo altissimo in termini di vita personale e sociale. Fa riflettere, specie a ridosso delle imminenti elezioni politiche. Torneremo alla legge dell’Homo Homini Lupus? Ci siamo già dentro? Non saprei, gli indizi vanno tutti in questa direzione, ma mi illudo che cambiare sia ancora possibile.

Se il silenzio è d'oro l'elettroshok è la rovina del silenzio

Il cuore delle donne è colmo d’Amore, soffrono in silenzio con il sorriso sulle labbra, la loro vita è una risorsa per l’Uomo che spesso le rinnega e non conosce perdono. I suoi atti d’Amore la rendono misteriosa e la sua Anima è colma della voluttà di Esistere e di donare il cuore a colui che ama e che la ritiene degna della sua attenzione, i suoi magici poteri, sono il dono della vita creatrice di Esistenze di Umani Esseri, che ama fino al compimento del suo Esistere e del suo compiersi in loro. Emanuela Baldi Racconigi 28 maggio 2016

Chi è prigioniero diventa potenzialmente libero


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INVITO INCONTRI PER 100° NUMERO INSONNIA

MARGHERITA OGGERO

SABATO 17 MARZO, ore 17 chiesa S.Croce via Morosini

“Mezzo secolo di storie nella Storia, da Berlino al Piemonte”

Insegnante e scrittrice torinese che ha al suo attivo 13 romanzi, di questi l’ultimo pubblicato nel 2017 è “Non fa niente”. Dai suoi racconti è stata tratta la serie televisiva “Provaci ancora Prof!” con Veronica Pivetti e un film “Se devo essere sincera” con Luciana Litizzetto.

MARCO REVELLI VENERDÌ 30 MARZO, ore 21 chiesa S. Croce via Morosini

“Alziamo lo sguardo politico. Un’analisi a partire dai risultati delle elezioni 2018” Uno storico, sociologo e politologo commenta per il nostro giornale i risultati delle elezioni politiche. Insegna scienza della Politica all’Università del Piemonte Orientale. È figlio dello scrittore esponente di spicco della Resistenza Nuto Revelli. Scrive sul Manifesto ed ha pubblicato una serie di saggi che analizzano la situazione politica e sociale dell’Italia e le trasformazioni in corso delle “forme della politica”. È il Presidente della Fondazione Nuto Revelli di Cuneo

Raccontami...

DI VENERDÌ di Gianpaolo Fissore

“Ne vuoi ancora?”. “Sì, ma più denso, se c’è”. “Un mestolo?”. “Un altro po’.” Lei lo serve. Poi torna a concentrarsi sul suo, di piatto. Capelli d’angelo al burro, con una spolverata di parmigiano. Una forchettata dopo l’altra, mastica adagio. Sorbendo il minestrone lui fa rumore. In presenza di estranei darebbe fastidio ma fra di loro ci sono abituati. Si vanno abituando anche alla dieta differente. Lui a combattere sovrappeso e colesterolo. Lei, con il suo corpo da uccellino, ha l’obiettivo di mettere su qualche chilo. Qualche etto almeno. Soprattutto da quando c’è quella brutta cosa cha la rosicchia da dentro. “Di secondo?”. “Merluzzo in umido.” Non è una sorpresa, di venerdì, ma lei lo annuncia con grazia, come se lo fosse. Si alza, raccoglie piatti fondi e cucchiaio, sparisce

nell’attiguo cucinino, torna con il merluzzo in padella. Una porzione per suo marito, una per sé. Uguali, anche se lui scuote la testa. “Puoi fare a meno degli occhiali, non servono”, suggerisce mentre lo guarda tastare la pietanza con il coltello. “Niente fritto e niente polenta, ma ti è sempre piaciuto anche così, ed è senza spine.” Lui, sollevando sopra le lenti gli occhi azzurro morbido, la gratifica con un mezzo sorriso, poi gli occhiali da presbite se li lascia cadere sul petto, assicurati dalla cordicella marrone. Vanno avanti così, in silenzio, fino a quando come al solito si finisce: mela cotta per lei e per lui un po’ di taleggio. Solamente un pezzetto, ma il formaggio che si accompagna con l’ultimo sorso di vino è l’unico vizio di gola che ha rinunciato a levargli. Non è mai cambiata e non cambia, tanto-

meno in vecchiaia, la divisione dei compiti. Pranzo o cena, è solo lei che si muove. Ha cucinato, serve e sparecchia. “Anche oggi hai fatto troppe briciole”, lo rimprovera, porgendogli telecomando e occhiali da vista, e invitandolo a spazzolarsi il maglione. “Anche oggi ci siamo dimenticati.” “Di che cosa?” “Di dire le preghiere”, scandisce lui ad alta voce, mentre va in onda a tutto volume il TG1 sottotitolato e lei già ha ripreso il suo posto nel cucinino. “Non importa, le diremo due volte stasera”, mormora, come parlasse a se stessa. Accingendosi ad affondare le mani nella schiuma calda del lavello si è accorta che la fede ormai le sta troppo larga. Meglio levarla subito dall’anulare, prima di perderla, inghiottita nel tubo di scarico insieme all’acqua sporca.


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RACCONIGI CYCLING TEAM: UN CICLISMO TUTTO AL FEMMINILE di Francesco Cosentino

Nel panorama sportivo racconigese degli anni ’60 si sentiva la mancanza di un movimento in grado di riunire tutti gli appassionati di ciclismo della zona. Fu il maestro Costanzo Liprandi a prendere più di tutti a cuore la questione, fondando quella che può essere considerata l’antenata della Racconigi Cycling Team. Da allora molti avvenimenti hanno rimodellato la società: dopo un periodo in cui il gruppo riuscì ad affermarsi puntando a traguardi sempre maggiori, si assistette ad un’involuzione che impose dei cambiamenti. Con il subentro di Boscoluta, infatti,

che regionale. Poi la crisi: l’interesse dei ragazzi virò su altre attività e il numero di iscritti si dimezzò. Questa particolare condizione non si verificò solo a Racconigi, ma riguardò anche le maggiori società ciclistiche del Piemonte. A quel punto l’unica strada da intraprendere era quella della collaborazione con le scuole: si cominciò a girare di classe in classe per pubblicizzare la società ed invogliare i giovani ad avvicinarsi al movimento. Si trattava di incontri che ponevano come tema centrale l’educazione stradale, in modo che venisse insegnato ai ragazzi l’utilizzo corretto delle biciclette in ambito cittadino. Inoltre, venivano organizzate lezioni pratiche nel parco dell’ex neuro, così da avvicinare maggiormente gli studenti a questo sport. Nonostante questo impiego di energie non si raggiunsero i risultati sperati e il numero di iscritti faticava comunque

nacque l’idea di puntare sui giovani, creando squadre giovanili capaci di coinvolgere bambini e ragazzi dai 7 ai 14 anni, suddividendoli in giovanissimi, esordienti e allievi. I risultati furono ottimi e si arrivò a vincere manifestazioni di livello sia provinciale

a crescere. La vera svolta si ebbe quando quattro anni fa una società nel verbano chiuse i battenti e un buon numero di ragazze rimase senza squadra di riferimento. Con soli due ciclisti il numero di atleti maschi era ai minimi storici, perciò si

decise di rendere la società completamente femminile, accogliendo così le ragazze senza una squadra e rimpolpando il numero di iscritte. Da quel momento Racconigi può vantare l’unica società interamente femminile di tutto il Piemonte. Dopo questa nuova rinascita i risultati non tardarono ad arrivare e la nuova società si rivelò più competitiva del previsto: addirittura durante il primo anno di questa nuova avventura una ciclista del Racconigi Cycling Team stupì tutti vincendo la maglia tricolore e diventando così campionessa italiana. Attualmente la società racconigese è rappresentata da 17 ragazze, le quali vengono seguite da preparatori atletici sia con allenamenti specifici di gruppo che con programmi individuali. Ciò permette loro di poter migliorare sia come squadra che a livello personale. Gli allenamenti fino a quando il Neuro è stato agibile si sono svolti all’interno dell’ex struttura ospedaliera. Adesso vengono utilizzati gli spazi della palestra ex GIL per il potenziamento muscolare. Il resto della preparazione alle gare si svolge interamente in strada. Sin dai tempi di Liprandi la società è tesserata per la Federazione Ciclistica Italiana, permettendo così ai propri ciclisti di prender parte alle manifesta-

Camera mortuaria. Il corpo resta nel manicomio ma l'anima vola libera

zioni organizzate dalla stessa. La Federazione, oggi, permette alle atlete di gareggiare con cicliste di pari età e livello. Inoltre vengono organizzate delle manifestazioni, chiamate “giornate rosa”, interamente dedicate al ciclismo femminile. Questo perché il ciclismo femminile e quello maschile hanno ampie differenze, sia in termini tecnici, sia per quanto riguarda la potenza muscolare. Nelle gare miste, infatti, le donne fanno fatica a far risaltare la loro bravura, ed ecco che manifestazioni di questo tipo permettono alle atlete di mettersi maggiormente in gioco. A breve la stagione avrà inizio e le atlete saranno impegnate in numerose gare che avranno luogo in giro per la regione e non solo. Sabato 10 marzo ci sarà la presentazione ufficiale delle squadre. La novità di quest’anno sarà rappresentata dai cicloamatori, che per la prima volta gareggeranno per la Racconigi Cycling Team. Il programma dell’evento di presentazione prevede alle 15.00 la foto di rito delle ragazze davanti al Castello. Dopodiché, attorno alle 16, tutto il gruppo si trasferirà presso il ristorante “L’Arancera” di Tenuta Berroni. Chiunque fosse interessato ad aderire all’evento sarà il benvenuto.


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DI CASTELLO IN CASTELLO

SOSTIENI IL TUO GIORNALE

Ancora una volta siamo qui a chiederti un contributo per poter distribuire, sempre gratuitamente, il nostro insonnia sul territorio racconigese e, ormai, anche al di fuori di esso. Se ci sosterrai, come segno della nostra riconoscenza, ti consegneremo insonnia direttamente a

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Cin

Cinema I FILM DEGLI OSCAR di Cecilia Siccardi

Quest’anno, la consueta notte degli Oscar avrà luogo domenica 4 marzo: quello che è stato giudicato come il meglio del mondo del cinema nel 2017 si riunirà, come sempre, al Dolby Theatre di Los Angeles, in una pa-

Lib

Libri di Luisa Perlo

L’ultimo romanzo di Margherita Oggero, “Non fa niente”, si snoda lungo cinquant’anni di storia, intrecciando sapientemente vicende private e pubbliche. La protagonista è una giovane ebrea, Esther, che si trova a dover fare i conti con le leggi razziali nella Berlino del

L'Associazione Modellistica Racconigese organizza nelle sale espositive del castello reale di Racconigi una esposizione monotematica dal titolo "di castello in castello", dove verranno presentati i modellini di alcuni importanti castelli Sabaudi e non: Castello di Racconigi, Stupinigi, Acaia di Fossano, Marene, Caramagna, Borgo del Valentino ed altri. L'esposizione aprirà i battenti il 23 marzo e avrà durata fino all’ 8 aprile 2018. L'accesso alla esposizione sarà libero, ma l'ingresso al castello avrà il costo del biglietto per visita al parco, pari a 2 euro. Nei giorni sabato 31 marzo e sabato 7 aprile saranno organizzate visite guidate teatralizzate, curate dall'Associazione "La Barca Dei Soli" di Savigliano. Spettacoli curati e recitati dall'attrice Daniela Caratto. Per informazioni : ufficio turistico Racconigi Mario Bombara, mario.bombara@racconigi.info cell. 3478925966

rata di star in trepida attesa di essere premiate. I candidati all’ambito titolo di “Miglior film” sono nove: fra questi, sembra essere in pole position per la vittoria “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”, che si è già aggiudicato Golden Globes e SAG Awards. La commovente storia di Mildred Hayes e della sua crociata per ottenere giustizia dopo l’orribile assassinio della figlia ha convinto pubblico e critica, e si attesta sicuramente fra i favoriti a fare incetta di premi in varie categorie. Il film che però ha ricevuto il maggior numero di nomination (tredici) è “The Shape of Water”, ultimo lavoro di Guillermo del Toro, già vincitore del Leone d’Oro alla scorsa edizione della Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia, che racconta l’assurda storia d’amore fra un’addetta alle pulizie affetta da mutismo e una strana creatura anfibia. Candidature assolutamente prevedi-

bili quelle di “The Post”, di Steven Spielberg e con Meryl Streep e Tom Hanks, “Dunkirk” di Nolan, “L’ora più buia”, con l’acclamata interpretazione di Gary Oldman di Winston Churchill, e “Il filo nascosto”, l’ultimo film in cui vedremo recitare Daniel Day-Lewis: l’attore ha infatti annunciato il suo ritiro dalle scene. Troviamo però in lista anche titoli piuttosto inaspettati, come “Get Out”, horror surreale a sfondo razziale, sicuramente un outsider nella corsa alla statuetta. “Lady Bird”, commedia nera su un’adolescente che soffre di depressione, ha ottenuto grandi consensi sia per regia che per le interpretazioni delle sue protagoniste, e potrebbe riservare qualche sorpresa. Infine, concludiamo questa carrellata di film candidati agli Oscar con “Call me by your name” di Luca Guadagnino, ambientato nel nord Italia, sulla storia d’amore fra un ragazzo italiano e uno studente americano. Il film ha

1933. Protetta dal padre, si rifugia con lui in Svizzera, tentando di sfuggire alla persecuzione. La madre li ha abbandonati tempo prima, per seguire un uomo di cui si è innamorata, e di lei Esther non ha più notizie. Per una casualità incontra a Zurigo un giovane ingegnere italiano, Riccardo Olivero, che sposerà trasferendosi in Piemonte, in un contesto a lei del tutto sconosciuto. Invisa alla suocera, Esther vorrebbe dare un figlio a Riccardo, ma la natura ha deciso diversamente. Insieme ai coniugi Olivero vive Rosanna, che ben presto, nonostante sia solo una domestica, si lega soprattutto a Esther dimostrando nei suoi confronti un affetto e una generosità sconfinati. Il tanto atteso erede arriva, è un maschio a cui viene dato il nome di Andrea, ed è frutto di un’amicizia al femminile che

ha superato i confini dell’indicibile. La storia si dipana sino agli Ottanta, attraverso gioie e dolori comuni, sebbene la famiglia Olivero porti con sé un segreto che la rende unica nel suo genere. Si arriva in conclusione agli anni di piombo, con il loro tragico fardello, e la scrittrice affida proprio ad Esther il compito di portare a compimento la vicenda, con un viaggio a Berlino che dovrebbe permetterle di chiudere i conti col passato. Tante volte Esther ha dovuto dire “nicevò”, non fa niente, altrettante si è rialzata e ha trasformato le sconfitte in nuovi punti di partenza: non sempre la vita ti offre ciò che desideri, ma non fa niente, l’importante è lottare con le persone che ami e godere di ciò che hai.

Margherita Oggero “Non fa niente” 2017, pp. 256, € 19.00 Editore: Einaudi

ricevuto grandi consensi: appuntamento al 4 marzo per seguire la notte degli Oscar, e scoprire se riserverà qualche gradita sorpresa!


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Mus

Musica D'ANDREA FRANCO

“INTERVALS I” di Giuseppe Cavaglieri

Franco D’Andrea è uno dei più grandi musicisti della scena contemporanea. Dentro la sua musica sono confluite e hanno avuto un ruolo importante le esperienze del Novecento Storico, soprattutto della Seconda Scuola di Vienna, la musica africana, l’Avanguardismo Americano. Eppure la sua prospettiva è squisitamente jazzi-

stica. È quella di un musicista, nato e cresciuto dentro l’estetica e l’etica del jazz, che ha costruito il proprio linguaggio attingendo a piene mani anche altrove. Il Serialismo, quale scelta tematica e improvvisativa del Modern Art Trio, negli anni Settanta, insieme a Bruno Tommaso e Franco Tonani, lo ha portato alla maturazione del personalissimo concetto di Aree Intervallari, oggi alla base del suo linguaggio armonico e melodico. Sempre negli anni Settanta, grazie alla militanza nel Perigeo di Giovanni Tommaso, ha sperimentato con i timbri e la potenza della musica elettronica. La scoperta della psicanalisi lo ha portato a incidere due meravigliosi dischi in piano solo negli anni Ottanta nei quali la musica emerge come flusso di coscienza. La musica africana, con le sue poliritmie, ne ha permeato il linguaggio ritmico e ha donato una dimensione rituale alle sue performance. Il jazz classico, il grande amore che lo ha avvicinato alla musica da ragazzino, ha donato alla sua musica una dimensione democratica e collettiva, evidente soprattutto nelle performance col sestetto degli ultimi anni. Una dimensione

che, insieme all'influenza di Charles Mingus, dell'ultimo Gil Evans, del free e dell’AEOC, lo ha portato a sperimentare con le forme e, alle volte, a romperle, alla composizione istantanea, all’opera aperta. Chi, oggi, avesse la fortuna di vedere la scaletta di un concerto di D’Andrea, si troverebbe davanti una matrice delle possibili combinazioni di brani, di pedali, di tempi, di riff. Intervals, va ancora oltre, è il culmine di una ricerca che dura da decenni. Una ricerca che non produce risposte, ma ogni volta nuovi quesiti e nuove esplorazioni. Esso racchiude in un unico mondo sonoro, coerente e unitario, i molti mondi visitati da Franco D’Andrea nel corso della sua lunga carriera. Mondi a volte poco frequentati nel corso degli anni, come quello dell’elettronica, ma rimasti nella memoria. Ed è rivelatore che l’esito di tanto viaggiare sia un’indagine serrata sull’elemento più piccolo dell’organizzazione musicale: l’intervallo. L’elemento minimo in grado, sia dal punto di vista armonico che melodico, di caratterizzare e orientare la sonorità di un brano. Quindi, un’indagine e una sperimentazione sul suono che coinvolgono in un tutt’uno ogni

insonnia

parametro musicale: le altezze, il timbro, il ritmo. Ad accompagnare D’Andrea in questo nuovo capitolo della sua avventura musicale un ottetto formato dal sestetto ormai storico composto da Andrea Ayassot ai sassofoni, Daniele D’Agaro al clarinetto, Mauro Ottolini al trombone, Aldo Mella al contrabbasso, Zeno De Rossi alla batteria a cui si aggiungono le sonorità della chitarra elettrica di Enrico Terragnoli e dell’elettronica di Andrea Roccatagliati, in arte Dj Rocca. L’album è la registrazione integrale del concerto che l’Ottetto ha tenuto il 21 marzo 2017 all’Auditorium Parco della Musica di Roma.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Vi auguro di ritrovarvi una domenica mattina con pigiama e bigodini ad ascoltare la musica preferita e cantare a squarcia gola la canzone con la quale vi siete innamorate, perché quella non si può dimenticare, anzi non si deve! Vi auguro un momento di relax con una calda tazza di the ed una bella fetta di torta dopo aver stirato una montagna di biancheria, oppure una cioccolata calda con tanta panna, sedute al tavolino di una pasticceria dove il profumo dei croissants appena sfornati stuzzichi la vostra golosità e vi faccia tornare bambine. …… e poi cosa c’è di più bello che il ritrovarsi con le amiche a bere un caffè, ma con le amiche vere quelle inossidabili che ti conoscono da sempre, con le quali puoi dire tutto, parlare di qualsiasi argomento senza paura, senza antagonismi o falsità, perché loro sanno come sei ed hanno accettato di te difetti e virtù, comprendendo il tuo stato d’animo al primo sguardo. Quindi vi auguro che al vostro fianco ci siano amicizie sincere con le quali poter intraprendere lunghi percorsi di vita. A proposito di percorsi voglio augurarvi belle passeggiate, anche in solitudine, dove poter respirare a pieni polmoni pensando a quello che più vi rallegra ed osservando la natura che in ogni stagione si presenta nella sua bellezza.

Scoprire com’è piacevole il rumore delle foglie sotto i piedi, osservare le impronte sulla neve, ascoltare il rumore della pioggia, godersi il sole caldo, assaporare il silenzio. Non scordiamoci di specchiarci tutte le mattine e mentre ci spazzoliamo i capelli non rammarichiamoci perché stanno cambiando il loro colore, non preoccupiamoci per quella ruga in più o per qualche macchia sulla pelle. Lasciamo che il tempo scorra su di noi perché questo è il bello della vita, scoprirci pian piano mutate e si sta bene quando ci si ama al di là di un viso e di un corpo che sta cambiando. Forse mi sto dilungando, ma voglio ancora augurarvi di avere sempre la forza nel riabbracciare i vostri figli dopo un litigio, e di augurare la buona notte alla persona che amate nonostante una giornata impegnativa o poco gratificante. Ma vi auguro che la persona da voi amata ricambi il vostro amore, vi comprenda, vi apprezzi e vi rispetti. Il rispetto bisogna pretenderlo in qualsiasi contesto, in qualsiasi luogo, in qualsiasi situazione, ma se questo dovesse mancare vi auguro di avere il coraggio di gridarlo, poiché solo così si possono sconfiggere le prepotenze, le violenze e le disuguaglianze.

Il rispetto dovuto dagli altri sia però corredato dal rispetto che ognuna di noi deve avere verso se stessa, dall’autostima e dalla forza nel portare avanti con dignità

il proprio ruolo di donna, qualunque esso sia, ogni giorno e sempre. Semplicemente Auguri. Buona vita. a cura di Maria Teresa Bono

2018

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