INSONNIA Marzo 2017

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8 MARZO PER I DIRITTI PER IL

FUTURO

Insonnia n° 91 Marzo 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Spessa Andrea - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Più donne, più uniti Come avrete modo di notare sfogliando il giornale, l’edizione di questo mese di Insonnia è tutta al femminile: un omaggio a un periodo dell’anno che vede nell’8 marzo un momento particolarmente significativo per le donne, e che vuole essere un’occasione per far parlare - o per meglio dire, scrivere chi sui giornali e sui media spesso di voce in capitolo ne ha poca. Perché se è vero che le donne sono protagoniste, spesso loro malgrado, delle pagine di giornali, è altrettanto vero che la narrazione che si fa delle vicende che le riguardano è tutta al maschile: una caratteristica che a volte non distingue se a parlarne è un maschio o una femmina. L’importante è non allontanarsi dalla narrazione standard: la vittima, la scosciata, la madre devota, la “sfasciafamiglie”, ancora divise (nel 2017!) secondo l’eterno binomio che ci vuole sante o prostitute. Questi sono i ruoli che troppo spesso ci ricamano addosso e da cui è difficile smarcarsi. Ecco quindi il nostro piccolissimo tentativo di dar voce a tutte le donne: per parlare di noi, delle nostre storie, ma anche delle storie degli altri, perché non siamo in grado solo di raccontare quello che ci riguarda direttamente, ma anche di contribuire al dibattito generale, dando il nostro punto di vista.

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ELEZIONI

AMMINISTRATIVE 2017

SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE

Ai candidati sindaci…le donne consigliano (…PROVATE VOI da Anna, Michela, Maria Teresa, Lucia, Anna Maria, Martina, Francesca, Luciana, Sara, …

• AVERE UN PROGETTO “GLOBALE” PER RACCONIGI, CHE GUIDI OGNI VOSTRA SCELTA QUOTIDIANA: PIANIFICARE, non lavorare sull’emergenza o per il consenso elettorale • PROCEDERE A PICCOLI PASSI, ma nell’ottica di un percorso ben

preciso: essere LUNGIMIRANTI • AVERE CORAGGIO: no alla politica del “un colpo al cerchio e uno alla botte” ma scelte radicali • CONSIDERARE I RACCONIGESI RISORSE DA ASCOLTARE E VALORIZZARE

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L’AIKIDO NON E’ UNA DISCIPLINA PER DONNE di Alessia Cerchia

L’aikido non è una disciplina per donne; si pratica con una donna quando si vuole riposare; le donne hanno i polsi piccoli, quando le afferri quasi si spezzano; le donne sono talmente leggere che se le proietti rischi di lanciarle lontano; le donne sono troppo emotive, se sbagliano una tecnica ci rimuginano per ore; se le donne che insegnano aikido si contano sulle dita di una mano sarà perché non sono adatte; sulle donne meglio non puntare molto perché appena hanno un figlio smettono di praticare…

AD ALLATTAR)

di Simona Bombieri, mamma di Paolo

Lo si aspetta con ansia, si cerca di ritardarlo con ogni mezzo, ma è tutto inutile, alla fine arriva sempre: il temuto giorno del rientro al lavoro a tempo pieno. Ed è sempre peggio di quanto si teme. Quando allo scadere dell’anno dei figli finiscono i riposi per allattamento, la vita diventa una corsa. Si corre per lasciarli ai nonni o all’asilo, cercando di conciliare i tempi dei piccoli con gli orari di lavoro. Si corre per andarli a riprendere e trovare il tempo per giocare con loro prima della cena e del sonno. Si finisce per aspettare la primavera come tante Proserpine, per godere delle giornate più lunghe e riuscire così a portare il piccolo al parco sotto gli ultimi raggi di sole. Com’è possibile che il paese che più ha idealizzato la figura materna sia così severo con lei? Zitti zitti, i paesi del nord Europa concedono i riposi per allattamento sino ai 3 anni del bambino, mentre da noi in Italia una rivendicazione di questo genere sembra trovare scarso consenso, come se si trattasse di pigrizia o di indulgere a un vizio. In particolare, sull’allattamento si scatenano i peggiori pregiudizi. É recentissima la vicenda di una donna alla quale è stato chiesto di allontanarsi dall’ufficio postale dove aveva iniziato ad allattare il figlio. segue pag. 6

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Donne in prima linea pag. 7

Donne di PACE

Donne in Nero

Clausura

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“Anche per oggi non si Progetto RecuperiamOli vola”, ma volare si può Riceviamo e pubblichiamo

in Cassonetto

In questi giorni verranno posizionati sul territorio comunale alcuni contenitori da 240 litri di colore blu per la raccolta degli oli vegetali esausti, nell’ambito del progetto Ambientale “RecuperiamOli”, condotto dall’azienda MPOLI srl di Alba, dal Consorzio SEA di Saluzzo e dal Comune di Racconigi, che ha come obiettivo la raccolta degli oli vegetali esausti prodotti dalla cittadinanza in bottiglie di plastica da 1,5 lt chiuse. Il progetto prevede inoltre una campagna informativa presso le scuole elementari del Comune, oltre alla informazione alla cittadinanza a mezzo di manifesti 70x100. Iniziativa importantissima che sottolinea ancora una volta come l’Amministrazione comunale sia sensibile alla buona gestione dei rifiuti, ci spiega il Consigliere delegato all’Ambiente dott. Luca Meinardi: “Si pensi che dove i sistemi di raccolta e recupero dell’olio vegetale esausto di origine domestica sono poco sviluppati, buona parte di tale rifiuto viene semplicemente gettato nelle reti di scarico idrico domestiche determinando un notevole impatto ambientale oltre allo spreco di una preziosa risorsa. Lo spreco è evidente considerando che da 1 litro di olio esausto è possibile ottenere 1 litro di biocarburante a basso impatto ambientale, il cui utilizzo contribuisce a ridurre sia le emissioni di CO2 sia le emissioni di polveri sottili rispetto all’utilizzo di carburanti convenzionali di origine fossile”. Di seguito i luoghi dove sono presenti i contenitori per la raccolta: 1. Piazza Piacenza, davanti le Scuole Medie – Coordinate Google 44.762297, 7.676660 2. Via San Domenico, vicino Scuole Elementari – Coordinate Google 44.770637, 7.681235 3. Via Prati dei Cornetti - Coordinate Google 44.765275, 7.674560 4. Via Regina Margherita Coordinate Google 44.767860, 7.670604 5. Piazza Caduti per la Libertà, vicino casetta dell’Acqua – Coordinate Google 44.769689, 7.679598 6. Via Beato Murialdo – Coordinate Google 44.770408, 7.687435 7. Ecocentro Comunale in località Ponte Rosso

di Michela Della Valle

Innanzitutto mi presento: sono Michela Della Valle, i lettori di Insonnia già mi conoscono; questa volta, vi voglio parlare di un’esperienza che non mi aspettavo di fare ma che è stata molto positiva perché mi ha permesso di capire tante cose. Diciamo che io ho cambiato la carrozzina per necessità, l’ho dovuta cambiare. Dopo un po’ di peripezie, la carrozzina nuova è finalmente arrivata e ora sto facendo degli “esperimenti”. Gli esperimenti sono prove, perché da una carrozzina all’altra cambia la postura, cambiano i cuscini, cambia tutto. Logicamente io ho incominciato ad amare questa carrozzina fin da subito, da quando non era ancora neanche formata del tutto e stavamo facendo le prove dei cuscini. Sono venuti dei tecnici dell’Ottobock di Bologna, ad ottobre, mi hanno seduta sul bobath, una specie di pallone gonfiabile: tu ti siedi lì sopra, i tecnici rilevano la forma e poi modellano una specie di schiuma. Dopo circa un mese, è arrivata questa carrozzina da provare. Le prove non sono ancora finite adesso. Veniamo al fatto. La sera, per abitudine, mi lavo, faccio la doccia; una sera mi si sposta il cuscino e cado. Per mia fortuna, la signora che mi aiuta è stata pronta ad accompagnarmi piano piano a terra. Ha chiamato i vicini di casa, loro sono venuti a tirarmi su ma non ci riuscivano. Hanno allora messo un asciugamano di tela forte sotto di me e in tre l’hanno tirato dal bagno fino vicino al letto e finalmente hanno potuto mettermi sul letto. Ci tengo a dire che stimo molto i miei vicini di casa, sono gran brave persone! È vero, lo dico, mi sono spaventata tantissimo, tanto che adesso di notte quando chiudo gli occhi, sogno, terrorizzata, di cadere. Però devo anche dire che è stata una bella esperienza perché mi è capitato di poter toccare il pavimento che non avevo mai avuto l’opportunità di toccare. Ho apprezzato questa cosa e lì ho capito quanto la gente non dia importanza al fatto di poter toccare il pavimento! Può sembrare un paradosso perché si può pensare “ma come, ti è piaciuto toccare

il pavimento?”, sì, perché è una cosa che non avevo mai fatto prima. Ho imparato che delle cose, anche dei drammi che possono accadere nella vita devi prendere la parte positiva. Non devi mai prendere di punta nulla. Nei giorni seguenti avevo un pensiero ricorrente: potevo farmi male, ma non è successo. Ho due ali! Non ho mai saputo di avere due ali per provare a volare, il Signore deve avermele prestate perché non mi facessi male, per non farmi sentire diversa, così che io potessi sentirmi forte con me stessa. Non capisco quanti nella vita attribuiscono a Dio quanto di brutto accade loro e dicono “perché Dio ha voluto tutto questo per me?”. Si dice che chi ha la possibilità di stare in piedi abbia qualcosa in più dalla vita: secondo me, non è vero. Abbiamo tutti tutto, ogni individuo ha tutto dalla vita, magari l’abbiamo in maniera diversa e non lo sappiamo apprezzare. Anch’io devo ancora imparare tante cose. Tutti i giorni faccio esperienze, vedo cosa va bene, cosa non va, vado incontro a pericoli, ho difficoltà. Ma nonostante quanto mi è accaduto io prendo la carrozzina e la butto via?, no, me la metto davanti e cerco di fare in modo che la carrozzina faccia parte di me, da subito. Con questo spero di lanciare un messaggio utile a qualcuno: nella vita bisogna sempre trovare il lato positivo in quel che succede.


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ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2017 Ai candidati sindaci…le donne consigliano segue dalla prima

• PROMUOVERE NEI RACCONIGESI IL SENSO DI COMUNITÀ E APPARTENENZA • PORRE PARTICOLARE ATTENZIONE ALLE CATEGORIE DEBOLI: bambini, anziani, persone diversamente abili • NON SOLO FARE MA CONTROLLARE, CONTROLLARE, CONTROLLARE, … • SEMPLIFICARE LE PROCEDURE • FARE RETE con le ISTITUZIONI e le ASSOCIAZIONI del territorio • FARE RETE con le AMMINISTRAZIONI dei COMUNI vicini • INVESTIRE DI PIÙ SUL TURISMO sfruttando al meglio le potenzialità di Racconigi: Castello, Centro cicogne, Centro storico, … In particolare consigliamo per migliorare: LA VIVIBILITÀ DI RACCONIGI • Facilitare l’ingresso delle carrozzine per disabili nei negozi ed altri luoghi pubblici e predisporre percorsi senza ghiaia al Cimitero per poter raggiungere tutte le zone • Coordinare i turni di chiusura degli esercizi commerciali (bar, panetterie, pettinatrici,…) • Migliorare la rete di assistenza territoriale e domiciliare sanitaria anche promuovendo l’istituzione di una “Casa della Salute”: centro attrezzato, aperto 24 ore al giorno, nel quale siano ospitati ambulatori, medici di famiglia, specialisti ed infermieri, punti prelievi e servizi assistenziali (in rete con i comuni vicini) • Implementare il positivo servizio che svolge la biblioteca comunale con l’istituzione di un “Circolo dei Lettori” (in rete con quello di Torino): spazio accogliente con orari di apertura dilatati, luogo di incontro per leggere i giornali, fare due chiacchiere, bersi un caffè, incontrare gli autori, ecc. • Dedicare degli spazi alle famiglie con bambini da utilizzare per incontro/gioco nei mesi invernali, organizzare festicciole, ecc. • Sostituire il pagamento della mensa scolastica presso la Banca con un pagamento attraverso strumenti più agevoli per le famiglie. (es. Carta ricaricabile presso l’ufficio postale, tabaccherie ecc.) • Potenziare gli spazi da utilizzare nell’intervallo mensa alla scuola primaria • Avanzare proposte concrete per la futura gestione del complesso Neuro, compreso il Chiarugi. Un’idea, magari utopica, di utilizzo del parco del Neuro: un parco sempre aperto, con aree per animali, parchi giochi per bambini e riutilizzo e messa a nuovo degli stabili ancora utilizzabili (ovviamente con il coinvolgimento di sponsor o la generazione di bandi di concorso) • Stipulare una convenzione con il

Castello/Parco per un utilizzo “facilitato” ai racconigesi LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE • Pedonalizzazione centro con particolare attenzione ai percorsi verso le scuole, la stazione, l’ufficio postale: circolazione veicolare rallentata (30km/h) e a senso unico; eliminazione dei marciapiedi sopraelevati e stretti con costruzione di percorsi pedonali “raso terra” di sufficiente larghezza, per la mobilità di bambini in passeggino, anziani, adulti in carrozzella, persone diversamente abili, ecc. • Piste ciclabili con particolare attenzione ai percorsi verso le scuole e i luoghi di lavoro e turistici: pista in via Priotti, pista sul proseguimento viale alberato verso Cavallermaggiore, pista di fianco alla provinciale verso Carmagnola (fino all’ITA Tubi-LARE), pista in Via Stramiano (fino a Migliabruna Vecchia) • Recupero aree da adibire a parcheggi: area “deposito” Stazione ferroviaria, area al fondo di via XX Settembre, convenzione per utilizzare il parcheggio Lidl quando il market è chiuso • Stazione ricarica auto elettriche • Studio energetico per ridurre i consumi negli edifici pubblici e investire di più in energia rinnovabile IL VERDE • Migliore manutenzione del verde pubblico periferico • Impiego di persone “formate” per la potatura/manutenzione del verde • Recupero, per un uso collettivo, delle aree demaniali/provinciali lungo il Maira e la circonvallazione est • Valorizzazione rotonde: sono il “biglietto da visita” della nostra città ed eliminazione di quell’“ecomostro” che risulta essere lo “zuccherificio” • Recupero/valorizzazione aree di sosta “storiche”, delimitate da platani secolari SCUOLA LAVORO • Intraprendere significative trattative con le Ferrovie dello Stato per ottenere orari dei treni che non penalizzino i nostri pendolari per lavoro/ scuola • Coordinare ed incentivare il lavoro delle varie agenzie educative di Racconigi: scuole, associazioni, parrocchie, volontari, per dare un appoggio culturale, formativo e di consulenza a genitori, insegnanti, ragazzi e ricreare giorno dopo giorno un tessuto sociale • Diffondere la “banda larga” che permetta una connessione alla rete Internet più veloce ovvero la trasmissione e ricezione di dati informativi, inviati e ricevuti simultaneamente, in maggiore quantità • Offrire il Wi-Fi libero in alcuni luoghi: scuole, piazze, giardini,… • Mettere a disposizione spazi di coworking, dove le persone che la-

vorano possano condividere locali, strumenti e specifiche competenze, per ridurre i costi, ma soprattutto per evitare l’isolamento e creare sinergie positive. I RIFIUTI • Passare dalla tassa alla tariffa: ognuno paga in proporzione ai rifiuti che produce • Curare maggiormente la pulizia strade del concentrico • Aumento del numero dei contenitori per le cicche nel concentrico PROMUOVERE NEI RACCONIGESI IL SENSO DI COMUNITÀ E APPARTENENZA • Stimolare la partecipazione attiva dei cittadini nella gestione della vita comunale: dalle piccole alle grandi questioni • Favorire lo sviluppo ed il coordinamento dell’associazionismo • Posizionare in pazza Castello uno schermo digitale per informare i cittadini sugli impegni dell’Amministrazione e sugli eventi a Racconigi • Incentivare il co-housing: abitazioni private corredate da spazi e servizi comuni, come lavanderia, luoghi d’incontro, orti, giardini, ecc.., con benefici dal punto di vista sociale, economico ed ambientale • Stimolare la diffusione di “orti sociali”: piccoli appezzamenti di terreno, assegnati ai cittadini, preferibilmente a quelli in difficoltà, attraverso un progetto collettivo in grado di promuovere integrazione sociale • Realizzare campagne di crowdfunding: raccolta di fondi, attraverso piccoli contributi di numerose persone, per la realizzazione di progetti condivisi.


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UNA VITA DIETRO LA GRATA La clausura: fede e disperazione di Maria Teresa Bono

Il Coro delle Clarisse è un luogo meraviglioso che quest’anno ho avuto l’opportunità di rivisitare in occasione della Mostra organizzata dal “Gruppo Spontaneo di Pittura del Lunedì”. Ammirando la bellezza racchiusa fra quelle mura, i miei ricordi si sono spinti nei tempi passati, quando da bambina mi recavo al Convento delle Monache di Clausura con mia mamma, la quale al bisogno portava indumenti a rammendare. Le Monache erano molto abili nel cucito e nel ricamo, molte donne si rivolgevano a loro per questi lavori di pazienza che venivano eseguiti con tanta professionalità. Il Convento era recintato da un muro dove all’interno veniva coltivato un grande giardino ed una porticina dava accesso all’ingresso. Nell’atrio c’era una finestra con una fitta grata di ferro dove si trovava la grande bussola girevole di forma cilindrica in legno ,divisa in due parti chiuse per protezione da uno sportello, una verso l’interno ed una verso l’esterno, dove venivano appoggiati i lavori da eseguire e le cose destinate al Convento (a volte anche i neonati abbandonati!). Mia madre si annunciava tirando la catenella di una piccola campana, dopo alcuni istanti alla finestra arrivava una Monaca protetta dalla grata che lasciava unicamente intravedere i contorni della sua figura. La bussola girava, veniva ritirato il pacco, poche parole a voce bassa, l’essenziale per gli accordi sul lavoro e la data del ritiro, poi l’ombra di quella donna scompariva come inghiottita dal buio. Quel luogo mi incuriosiva per il mistero che trapelava dai suoi muri, ma mi incuteva anche timore perché avvertivo la severità ed il rigore che racchiudevano. Stringevo forte la mano della mamma e tornavo volentieri nelle vie del paese più rumorose ed affollate. Perché queste donne hanno fatto questa scelta di vita?

Nel corso degli anni me lo sono chiesto parecchie volte, perché isolarsi dal resto del mondo, rinunciando a tutto quello che avrebbero potuto avere come tutte le altre donne? Rinunciare all’amore di un uomo, alla maternità, alle gioie, alle emozioni, all’abbraccio di una amica, rinunciare alla propria famiglia. Cosa spinge queste donne a scegliere un’esistenza così diversa? Le regole della Clausura sono molto rigide, vale a dire che è proibito sia l’ingresso in Monastero dagli estranei, sia l’uscita delle Monache. Le loro giornate trascorrono in lunghi silenzi e meditazioni, alternati da tempi di preghiere (anche notturne), tempi di lavoro manuale, artistici ed intellettuali. Tutto si svolge sempre nel silenzio e nell’essenzialità, nelle preghiere per la salvezza del mondo e dell’umanità intera. Non è facile scendere in questa realtà e comprendere il mistero che l’avvolge, capire come si possa trascorrere la vita in questo modo, in

IL CUORE DELLE DONNE Il cuore delle donne è colmo d’Amore, soffrono in silenzio con il sorriso sulle labbra, la loro vita è una risorsa per l’Uomo che spesso le rinnega e non conosce perdono.

I suoi atti d’Amore la rendono misteriosa e la sua Anima è colma della voluttà di Esistere e di donare il cuore a colui che ama e che la ritiene degna della sua attenzione, i suoi magici poteri,

questo isolamento, rinunciare a se stesse ed a tutto quello che per noi è la normalità. La VOCAZIONE, La FEDE, la CHIAMATA, questi sono i pilastri che sostengono la loro scelta e che le aiutano giorno dopo giorno a vivere in una spiritualità così intensa, in un Mondo molto diverso e lontano dal nostro. Purtroppo tutte le medaglie hanno il loro rovescio e come si può leggere nelle testimonianze lasciate da alcune Monache, nei tempi passati molte ragazze sono state chiuse in Convento non per il loro volere ma per la decisione dei loro padri e delle loro famiglie: per questioni di divisione di eredità, per tradizioni medioevali, o per liberarsi da figlie indesiderate. Sovente venivano indirizzate a questo destino già nella prima adolescenza, costrette poi a prendere i voti. Di quanta tristezza e quanta disperazione sono stati testimoni i muri dei conventi. Queste donne costrette a vivere una vita a loro imposta, mol-

sono il dono della vita creatrice di Esistenze di Umani Esseri, che ama fino al compimento del suo Esistere e del suo compiersi in loro. Emanuela Baldi Racconigi, 28 maggio 2016

to diversa da quella che forse avevano sognato e voluto, prigioniere del loro destino. Quante vite spezzate per colpa di questi genitori non degni di essere tali, che hanno deciso il futuro delle loro figlie come fossero oggetti di loro proprietà senza rispetto ed amore. Rispetto … il rispetto ed amore che ogni donna ha diritto di avere fin dalla nascita, rispetto per le sue scelte, per le sue idee ma soprattutto per la sua libertà ed uguaglianza. Ogni donna deve essere padrona di se stessa e nessuno ha il diritto di soggiogare la sua personalità o di manipolare la sua vita. Nessuna violenza fisica o psicologica è giustificabile. Auguri affinché ogni donna possa realizzare i suoi sogni ed i suoi progetti. Auguri affinché ogni donna abbia il giusto rispetto. La strada è ancora lunga ed in salita ma noi ce la faremo. Buon 8 Marzo.


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Città di Racconigi

Giornata Internazionale della Donna 2017 L’Amministrazione Comunale organizza le seguenti iniziative: tolengo, Vice Presidente

Mercoledì 8 marzo. h 18:00 • inaugurazione in piazza Carlo Alberto:

“Le panchine giganti”

A sostegno delle donne vittime di violenze, a cura del Big Bench Community Project. Allestimento visibile fino al 19 marzo

del Consiglio Generale della Compagnia di San Paolo. Coordina Angela Ambrosino, Presidente dell’Associazione “Luigi Carignani di Chianoc”. Partecipa il gruppo dei “Musicanti anonimi”. La serata sarà conclusa da un rinfresco.

• inaugurazione presso Scalone del Municipio:

“La Donna nello sport racconigese”

Mostra fotografica e documentale. La mostra è visitabile fino al 19 marzo, dal lunedì al venerdì durante l’orario di apertura del Comune e la domenica dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 15.00 alle ore 18.00.

Sabato 11 marzo. h 20:30 Salone San Giovanni, ingresso da via Billia

“Volontariato al femminile, contributo prezioso nella società di oggi”, serata di riflessione.

Interventi di: - Ivana Borsotto, Vice Presidente di ProgettoMondo Mlal; - Silvana Folco, già Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Savigliano; - Suor Giuliana Galli, dell’Ordine delle Figlie di San Giuseppe Cot-

Foto: angelogambetta@

UN “ MAGGIORDOMO” ALLA FERRERO

Mentre il welfare statale è in crisi, cresce il welfare aziendale di Anna Maria Olivero

In un momento in cui il welfare statale è in crisi, le strade del welfare d’impresa si moltiplicano. Le imprese “lungimiranti” hanno infatti capito che il welfare migliora il clima aziendale e le relazioni sindacali, arricchisce il numero dei benefit per i dipendenti con costi ridotti per l’azienda rispetto ad aumenti salariali, aumenta la produttività e tutela il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori. Infine migliora la reputazione delle aziende, che escono dai confini d’impresa e si aprono al territorio. In questo quadro il gruppo dolciario FERRERO costituisce un esempio significativo. Il programma “Ferrero Care”, che parte nel 2007, e il progetto di conciliazione vita-lavoro “Ferrero Pass”, uno dei migliori piani di welfare interno ad una azienda in Italia, avviato fin dal 2009, forniscono lo spunto per una serie di iniziative volte a favorire il giusto equilibrio tra impegni lavorativi e ruolo di genitori, ottimizzando al meglio la ge-

stione del tempo e semplificando i processi commerciali per ritagliare più spazio da destinare alla vita privata. Tra i servizi all’interno l’azienda offre: l’asilo nido, aperto anche ai figli dei non dipendenti, giornate in azienda dedicate ai bambini, la mensa, luoghi di relax aziendali, la palestra, orari flessibili, l’abolizione dell’obbligo di timbrare il cartellino, lo smart working da casa. Il contratto integrativo prevede part-time per neomamme e neopapà, permesso straordinario per i papà in occasione della nascita dei figli, servizio di consulenza pediatrica gratuito. Permessi per accompagnare i figli alle visite mediche specialistiche e sussidi per i figli che si iscrivono all’Università o che vogliono fare uno stage all’estero in una società del gruppo. In caso di morte di un dipendente, l’azienda corrisponde agli eredi una somma pari a tre annualità di retribuzione lorda. Nel 2014 l’azienda ha introdotto, sempre a beneficio dei dipendenti, la possibilità di costruire un ‘car-

rello welfare’ personalizzato sulle esigenze del singolo, attraverso un bonus individuale spendibile per servizi e prestazioni che spaziano dal rimborso delle spese per l’istruzione dei figli, alla baby sitter, dagli abbonamenti alla palestra, all’assistenza sanitaria e domiciliare per familiari anziani. Per i trasporti, la navetta e il sostegno al car sharing. E da oggi una nuova opportunità

per i dipendenti albesi: il “maggiordomo aziendale”, che si accolla gratuitamente le commissioni che i dipendenti fanno fatica a sbrigare, da quelle postali (pagamento bollette, ritiro raccomandate) alle pratiche amministrative (richiesta certificato di nascita, ritiro analisi mediche) e a piccole commissioni come acquisto di farmaci e prodotti, servizi di lavanderia, sartoria e calzolaio.


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SE OTTO ORE VI SEMBRAN POCHE (…PROVATE VOI AD ALLATTAR)

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segue dalla prima

Sui social è esplosa la polemica: da una parte chi sostiene il diritto ad allattare ovunque, dall’altra chi ne fa una questione di decoro, riservando parole di fuoco per quelle che indulgono alla “moda” di allattare i bimbi ben oltre l’età considerata accettabile. Non si capisce bene quale debba essere questa età accettabile, specie se ci si prende la briga di leggere le indicazioni dell’OMS sull’allattamento, riprese anche dal nostro Ministero della Sanità: “L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) raccomanda l’allattamento al seno in maniera esclusiva fino al compimento del 6° mese di vita. É importante inoltre che il latte materno rimanga la scelta prioritaria anche dopo l’introduzione di alimenti complementari, fino ai due anni di vita ed oltre, e comunque finché mamma e bambino lo desiderino.” (1) Non sta a me cercare di convincere sui benefici dell’allattamento per madri e bambini, ci sono fior di pubblicazioni al riguardo (2). Ma allora, se è consigliabile allattare, se è consigliabile farlo anche oltre l’anno (3), se addirittura oltre ad un risparmio economico per la famiglia, si ottiene un vantaggio per l’intera società visto che i dati epidemiologici dicono

che gli allattati pesano meno sul sistema sanitario, se addirittura si incide meno sul cambiamento climatico dato che l’allattamento in sé non richiede utilizzo di acqua ed energia dall’ambiente e non produce rifiuti o inquinamento (4)…Se sommiamo tutte queste cose com’è che la vista di una donna che allatta ha il potere di suscitare tanta animosità, non parliamo poi se invece di un neo-

1: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?id=1926&area=saluteBambino&menu=alimentazione 2: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2415_allegato.pdf

nato allatta un bimbo già in grado di articolare le sue prime parole? Sposando l’idea che non sia mai troppo presto per staccare da noi i nostri figli, di sicuro mettiamo al riparo la politica da un sacco di rivendicazioni scomode. E permettiamo inoltre che le normative a tutela della maternità invece di essere arricchite, vengano svuotate in nome di una impostazione ultra-liberista che punta

ad applicare ovunque la logica di mercato (vi ricordate la legge 92/2012 della riforma Fornero, che rinuncia totalmente all’idea di offrire più assistenza e più servizi, e permette di monetizzare il congedo facoltativo? Altro che ”valore sociale della maternità”, qui parliamo proprio di prezzo: circa 300 euro al mese). In tutto questo, l’industria del baby food ringrazia, visto che se nei primi giorni di vita il 90% delle donne italiane comincia ad allattare al seno il neonato, alla dimissione dall’ospedale la percentuale scende al 77% per poi crollare al 31% a 4 mesi e solo il 10% continua ad allattare oltre i 6 mesi di vita. Sarebbe il caso di immaginare un “family day” alternativo, che rivendichi tempi e spazi per la maternità, che dia voce anche ai giovani che una famiglia la vorrebbero ma sono scoraggiati dalla perenne precarietà lavorativa. Il momento è ideale, siamo alle soglie della primavera e le giornate si stanno allungando…troveremo anche il tempo per volantinare! (Nel frattempo, allattate mamme, poppate piccini: c’è una cultura da cambiare e questa volta il cambiamento ha il sapore dolce del latte)

3: http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2113_allegato.pdf 4: http://www.ibfanitalia.org/cambiamenti-del-clima-e-salute/

Gli zanzarini sono insetti molesti. La loro puntura non è mortale e neppure dolorosa, ma è spesso irritante. Se ne scacci uno ne arriva subito un altro. Tanto vale farci l’abitudine.

Zanza Rina

Finalmente è di nuovo l’8 marzo e posso punzecchiare anch’io. Anche qui la parità! C’è un grande fermento per le elezioni, tutti i candidati sindaci stanno cercando di fare le liste ma sono in grande difficoltà. Anche qui c’è un problema di donne!!! Se la lista è di 12 candidati ci vogliono 4 donne e se è di 16 ci vogliono addirittura 6 donne! E dove le troviamo

tutte queste donne, si lamentano i candidati maschi? Abbiamo già chiesto alle mogli e alle figlie dei candidati maschi che vorremmo avere in lista, ma hanno rifiutato. Abbiamo promesso loro la delega ai servizi sociali, ai giovani, perfino alla cultura (zzz… se non c’è nessun uomo disponibile), e…, che cosa vogliono di più? Certo che questa legge che impone di in-

serire le donne nelle liste, in nome della parità tra i sessi… è proprio sessista! Queste donne sempre con l’idea fissa di essere considerate alla pari dei maschi! E sì che hanno già ottenuto… di poter parlare (zzz… senza essere ascoltate), lavorare fuori casa (zzz… oltre ovviamente al lavoro in casa) con uno stipendio (zzz… inferiore a quello dei maschi a parità di in-

carico), occupare addirittura posti anche dirigenziali (zzz… pochini anche se i loro percorsi scolastici sono migliori), vivere autonomamente da single, magari anche con figli (zzz… quanti ostacoli su questo cammino), essere libere (zzz… fino a quando non scelgono di separarsi, perché allora…) Zzz… la parità è ancora mooolto… lontana.


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DONNE IN PRIMA LINEA

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Testimonianza di una fotoreporter di guerra di Cristina Ferrero

“Vi racconto la mia famiglia. Io sono di origine croata. Il mio bisnonno è ungherese, una nonna è tedesca, l’altra è ebrea, mia suocera è danese, mio marito è italiano, mia figlia è nata in Ungheria, mio cognato è senegalese, un nostro cugino ha sposato una cinese, abbiamo adottato due colombiani e, forse, ho dimenticato qualcuno. Abbiamo dentro tutte le religioni. Io mi sento fortunata. È uno scambio molto bello ed è una grande ricchezza.” Comincia con questa testimonianza il contributo di Andreja Restek all’assemblea d’istituto di una scuola saviglianese e sono circa trecento gli studenti di età compresa tra i sedici e i diciannove anni che, per circa due ore, seguono con attenzione il suo intervento. Si parla di guerra. E di lavoro. Andreja è una giornalista fotoreporter, nota a livello mondiale e autrice del blog APR NEWS. Ha portato con sé molte immagini che proietta sul grande schermo. Sono lo spunto per raccontare e raccontarsi. Si susseguono scatti di azioni di guerra e di emergenze in tutto il mondo. Alcuni mostrano senza veli la drammaticità dei conflitti, altri la colgono negli attimi della vita quotidiana. In tutti, la verità di ciò che raccontano. Ai ragazzi spiega: “La foto, in guerra, non la prepari. Puoi solo decidere se farla o no. A volte senti che è meglio spostare l’obbiettivo, nel rispetto di chi hai di fronte, del dramma che sta vivendo. Dipende da te, da che cosa senti, da come sei”. Le immagini scorrono. In primo piano una bimba siriana che, con uno spruzzino, lava via il sangue nell’atrio dell’ospedale in cui opera come

chirurgo il suo papà. Il tempo dell’infanzia non esiste più. Tra poco arriveranno altri feriti ed altro sangue. Un ragazzo, che fino a pochi mesi prima studiava nella scuola diventata poi campo di battaglia, punta il fucile verso una feritoia costruita nel muro dell’aula. È pettinato, con il gel tra i capelli. Ad Aleppo la morte è sempre in agguato e bisogna essere pronti. Fuori, appostato, il professore di storia. Ha posato i libri e imbracciato il fucile, seguendo i suoi studenti in prima linea. Una donna attraversa la strada. Dovrebbe farlo di corsa, per evitare i colpi dei cecchini. Invece, cammina lentamente, sotto gli occhi increduli del soldato che la esorta a scappare. La guerra devasta, la guerra stanca. Ancora una bambina. Prende dei soldi da un uomo che l’ha appena comprata, come sposa. Lei, sposa bambina, li porterà a chi, per necessità, l’ha appena venduta. Poi, i campi profughi. I rifugiati radunati e scortati ai vagoni loro riservati, nettamente separati da quelli su cui viaggiano i passeggeri “normali”. In che anno siamo? 2015, Budapest. Andreja narra. Trasforma lentamente in parole le immagini. Con calma, risponde alle domande. Invita i gli studenti a non dare per scontati i loro diritti. “La gente che vedete in queste foto non vuole la guerra. Vuole un po’ di libertà. La libertà, ragazzi, è come l’amicizia. Dobbiamo coccolarla di più, volerle più bene. Anche nei Balcani pensavamo che sarebbe successo agli altri. Poi, un giorno, mi sono svegliata e ho visto i carri armati sotto la finestra. I diritti sono da proteggere, ma con intelligenza, non con prepotenza”. Poi li incoraggia. “Voi siete una generazione

intelligente. La mia è un po’ colpevole, perché vi abbiamo offerto delle cose tremende. Il grande fratello, scusatemi, è una brutta eredità che vi abbiamo lasciato. Vi chiedo perdono. Spesso frequento le scuole e gli studenti. Voi siete il futuro di questo mondo. Se io, come ex extracomunitaria, ho fatto una mostra a Palazzo Madama senza conoscere nessuno, voi potete diventare presidenti del mondo. Dovete crederci, anche quando qualcuno vi dirà che siete dei cretini. Voi siate fiduciosi. Credete in voi stessi, anche se non sempre la strada sarà dritta.”

Alcuni dei ragazzi presenti hanno visitato la sua mostra da poco terminata, allestita a Torino proprio a Palazzo Madama, dove Andreja ha radunato le opere di quattordici donne fotoreporter che documentano le realtà difficili dei continenti. Dai loro scatti hanno potuto cogliere la differenza di approccio, legata certamente alle diverse sensibilità individuali e culturali. In comune, però, la professionalità e la determinazione nel testimoniare in prima linea (questo era il titolo della mostra) la ferocia dei conflitti, le atrocità della guerra, le storie di uomini, donne e bambini che sopportano ciò che talvolta è difficile persino raccontare. L’idea di riunire donne fotoreporter di tutto il mondo, è nata dalla profonda convinzione di Andreja che condividere le esperienze con le persone vicine e lontane porti ad un arricchimento reciproco. È stata anche un’occasione per smontare la fantasia che, nell’immaginario collettivo, l’attività del fotoreporter sia svolta in prevalenza da uomini. Non è così. Ci sono numerose donne che affrontano lo stesso lavoro con grande forza e coraggio. Molti i ragazzi che, al termine dell’assemblea, hanno voluto ringraziare Andreja personalmente. Per avere illustrato aspetti di una professione spesso sconosciuti ai più, per avere trasmesso l’autenticità della passione per un mestiere rischioso ma importante per garantire l’informazione, per l’energia con cui li ha invitati ad essere protagonisti senza perdere di vista il rispetto dell’altro, stimolandoli a guardare il mondo con altri occhi senza continuare a girare, come qualcuno ha detto, sulla solita piastrella.


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COSA FARE IN CASO DI EMERGENZA A RACCONIGI?

insonnia

Alcune indicazioni estratte dal piano comunale di protezione civile di Francesca Galante

Nel numero di febbraio vi abbiamo illustrato quali sono i rischi a cui si espone il territorio di Racconigi. Con questo articolo vogliamo invece porre l’attenzione su come funziona il sistema di protezione civile, cosa fare e dove andare in caso di emergenza. Per gestire qualsiasi tipo di emergenza, il Comune si dota di una struttura di Protezione Civile definita comunemente Centro Operativo Comunale, composta dal Sindaco, dal Settore Comunale di Protezione Civile, dal Comitato Comunale di Protezione Civile e dall’Unità di Crisi Comunale. Cosa succede quindi se accade un’emergenza sul nostro territorio? Il Sindaco, al verificarsi dell’emergenza, assume la direzione ed il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al Prefetto, al Presidente della Provincia e della Giunta Regionale. Il Settore di Protezione Civile Comunale ha il compito di gestire tutte le attività atte a tutelare l’integrità delle persone, dei beni, degli insediamenti e dell’ambiente dai danni e dai pericoli derivanti da eventi calamitosi, mentre il Comitato Comunale di Protezione Civile formula proposte e osservazioni, esprime pareri, elabora obiettivi e studi finalizzati alla prevenzione dei rischi e alla pianificazione delle emergenze. L’Unità di Crisi Comunale, l’organo tecnico-operativo di supporto alle attività di direzione, gestione e di coordinamento dei servizi di soccorso e assi-

stenza della popolazione, opera nella Sala Operativa Comunale in cui convergono tutte le notizie collegate all’evento e nella quale vengono prese le decisioni relative al suo superamento. Definisce gli interventi di tipo strutturale, mantiene i rapporti con le varie componenti istituzionali preposte per le azioni di soccorso sanitario, socio assistenziale, igienico ambientale, veterinario, coordina le associazioni di Volontariato convenzionate per le attività di Protezione Civile e la movimentazione dei vari mezzi e materiali, collabora con tutte le componenti locali predisposte alla sicurezza pubblica e censisce i danni. Quando sarà in corso un’emergenza sarà predisposta l’apertura dei centri di accoglienza e verrà organizzata la presenza di personale nelle aree di attesa della popolazione. Ma cosa

sono queste aree e dove si trovano a Racconigi? Sul territorio di Racconigi sono state individuate per la popolazione: • aree di attesa: aree scoperte (piazze, giardini, etc.), idonee come punto di raccolta della popolazione al verificarsi in un evento calamitoso. In altri termini “luoghi sicuri” dove la popolazione potrà recarsi con urgenza al momento della ricezione dell’allertamento o nella fase in cui l’evento calamitoso si sia già manifestato (es. P.zza Carlo Alberto, P.zza IV Novembre,…) • aree ricovero per la popolazione evacuata: aree scoperte normalmente adibite ad attività sportiva, di grande superficie e servite da strutture coperte con servizi igienici, acqua, luce e riscaldamento. Le aree individuate hanno la capacità ricettiva idonea ad ospitare circa

805 tende per circa 3220 persone (es. campo sportivo “G. Trombetta” e quello “A. De Gaspari”, campetto calcio Scuola Elementare, …). Oltre a queste aree ci sono anche le strutture ricettive del territorio: alberghi, b&b, istituti scolastici, palestre,… In presenza di emergenze dichiarate, per quelle pubbliche la disponibilità è obbligatoria mentre per quelle private la disponibilità è resa obbligatoria da requisizioni temporanee. Sul territorio di Racconigi queste strutture hanno la capacità ricettiva idonea ad ospitare 1005 persone. • aree per l’ammassamento risorse (materiali e strutture idonee ad assicurare l’assistenza abitativa alle famiglie evacuate) e dei soccorritori (es. Piazzale e prato del Parco del Castello, Area interna ex ospedale neuropsichiatrico, piazzale supermercato LIDL,…). Durante le emergenze, se i cittadini sono informati e sanno cosa fare e dove andare, non si espongono a rischi ulteriori e la gestione delle criticità è facilitata. Per questo abbiamo deciso di fare la nostra parte ed essere di diretto supporto alla sensibilizzazione dei cittadini su questo tema. Siamo contenti che grazie alle nostre sollecitazioni il Comune abbia pubblicato sul proprio sito internet il piano di Protezione Civile e invitiamo tutti a prenderne visione alla pagina: http://www.comune.racconigi.cn.it/ home/wp-content/uploads/2013/02/ Piano-Comunale-di-Protezione-Civile-Racconigi.pdf

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I ragazzi che si perdono

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La dispersione scolastica è altissima in Italia. Ma chi sono i ragazzi che la Scuola perde per strada? di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Entra in classe trascinando i piedi, un po' sbracato, un po' altezzoso, lo sguardo sfuggente che aspetta di posarsi sul compagno che gli farà per primo una battuta. Lo zaino è pesante, inutilmente. Sbuffa. Disturba. Ridacchia. Perché è venuto in classe a rompere anche oggi? È così difficile lavorare con lui che rovina il clima. È un menefreghista. Voti scadenti, non studia, sarebbe intelligente, ma non gli importa e si trascina in questa quotidianità scolastica come un monaco in clausura che ha perso la vocazione. Vorrebbe di certo star fuori, ma gli amici son tutti a scuola. Questo è il luogo dove incontrarli. Dal suo punto di vista è l'insegnante l'incomodo che disturba il suo obiettivo: l'aggregazione, l'appartenenza. Il menefreghista fa seconda media o forse terza, a volte solo quarta o quinta elementare, ma ha già scelto "l'abito che indossa" e lo porta bene allo stesso modo di tutti i suoi simili, in qualunque parte del mondo. È il look di chi si sta "disperdendo" ovvero sta "rinunciando" a vivere da protagonista quella lunga esperienza che è il percorso scolastico. Lo si riconosce subito. È un look fatto di postura, di andatura, di non-sguardo, di rinuncia, spesso di provocazione. Noi insegnanti lo vediamo e poi? ...e poi. Bella domanda. La prima cosa che suscita in noi, spesso a ragione, è una forte antipatia: abbiamo preparato le lezioni, ci siamo impegnati a studiare e cercare il modo di trasmettere il nostro sapere, vorremmo farlo al meglio, ma lui... quel suo disinteresse ci sfida, ci irrita, ci mette k.o. così tanto da intrappolarci nella lamentazione (è vero o no che lo raccontiamo a tutti?) e renderci incapaci di provare a leggere la sua provocazione come un ultimo impercettibile appello. Lui in realtà ha già scelto che “la scuola non fa per lui”. Ce lo dimostra chiaramente. Chi glielo ha messo in testa non è una persona sola,

ma forse tutti noi ne siamo in parte responsabili. Noi come insegnanti, rappresentanti di questa nostra scuola ingessata, con le sue lezioni quasi sempre unidirezionali, con l’affanno per le verifiche e le prove invalsi e l’ansia per i livelli di apprendimento. Abbiamo dimenticato che "il benessere dei ragazzi e il piacere di imparare sono i due prerequisiti per apprendere e diventare artefici di un mondo migliore." (adiscuola.it) Ma diciamoci la verità: di fronte alla provocazione del menefreghista che ridicolizza la scuola e le nostre lezioni col suo atteggiamento, noi insegnanti riveliamo tutta la nostra debolezza. Ecco il punto. Siamo noi gli adulti, eppure reagiamo alla sua sfida mettendolo allo stesso nostro piano. Non ci passa neppure per la mente che è solo un ragazzino, che potremmo fargli cambiare idea. Anzi, che dovremmo assolutamente fargliela cambiare! Lo so che è difficilissimo. È una lotta all’ultimo sangue. Lui indifferente e noi che non lo molliamo, che non smettiamo di provare a ripescare nel suo giovane temperamento di sfida un debolissimo appiglio, un aggancio a cui ancorarci per fargli cambiare idea sulla scuola, sull’apprendimento, sulla possibilità di imparare. Mi viene in mente l’ultimo libro di Giacomo Stella "Tutta un’altra scuola" che suggerisce sette regole per cercare di fare della scuola un luogo attraente. Questo professore dell’Università di Modena ha dedicato tanta parte dei suoi studi ai disturbi di apprendimento, ed è attraverso gli occhi dei più deboli che ha imparato a guardare la scuola, proprio con gli occhi di chi a scuola non sta bene perché non riesce a dare il meglio di sé e non riesce ad esprimere tutte le proprie potenzialità. “A partire da queste analisi ed estendendole all’insieme dell’organizzazione scolastica, ai suoi secolari riti, alle sue ataviche rigidità, Stella considera

PER APPROFONDIRE... Secondo uno studio, pubblicato sul sito dell’INDIRE il 25 marzo 2016, l’Eurydice, la rete europea che raccoglie, aggiorna, analizza e diffonde informazioni sulle politiche, la struttura e l’organizzazione dei sistemi educativi europei, avrebbe registrato che In Italia i “dispersi” rappresentano il 16% della popolazione scolastica. Un dato molto alto e ancora lontano dai parametri della soglia minima che si aggira al di sotto del 10%. L’abbandono scolastico precoce è un fenomeno che preoccupa tutti gli Stati europei e che è al centro delle politiche educative europee e nazionali. Si tratta infatti di un aspetto cruciale, dal quale si può valutare lo stato di salute di un sistema educativo. La percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che abbandonano precocemente la scuola, non conseguendo diplomi di secondo grado né attestati di

la scuola di oggi un contenitore di crescente disagio: disagio di allievi, disagio di insegnanti e disagio di genitori”. Dobbiamo fermarci, cari insegnanti. Dobbiamo pensare. Non possiamo continuare a salire sulla giostra scolastica quotidiana senza una pausa riflessiva. Dove stiamo andando con questa proposta scolastica¬¬¬? Cosa stiamo proponendo ai ragazzi che saranno gli adulti di domani? Perché non riusciamo a far innamorare della conoscenza questi allievi, vivacissimi in prima elementare e assolutamente spenti già in seconda superiore? Dove perdiamo l’entusiasmo, la voglia, la passione, il senso dell’imparare? Nelle scuole d’avanguardia a livello mondiale, dove si registrano i migliori successi scolastici e la minore dispersione di studenti, lavorano team di docenti che “pensano insieme”. Non è difficile. È necessario! Dobbiamo iniziare a farlo come lo fanno tutti i veri professionisti. Trovare la voglia e il tempo di incontrarci per parlarci dei modi che usiamo nell’insegnamento, per inventare e sperimentare strategie nuove, interessanti, attraenti per rendere il percorso scolastico così piacevole che nessun ragazzo voglia perderselo. “Portare il sorriso nelle aule, praticare la risata per rompere schemi negativi e creare un clima positivo per il nostro corpo e il nostro com-

portamento” sarà mai possibile nella scuola italiana? Margret Rasfeld che dirige la Schule Berlin Zentrum di Berlino, una scuola all’avanguardia, salita agli onori della cronaca anche in Italia per i successi scolastici di tutti i suoi allievi ritiene che “la cosa più importante che una scuola possa trasmettere ai propri studenti sia quella di automotivarsi, sviluppando fiducia in sé, senso di responsabilità e desiderio di affrontare le sfide in autonomia”. Ma nelle nostre scuole come si apprende? Si sviluppa la fiducia in sé e negli altri? Si impara che l’errore è necessario per imparare? Si insegna ai ragazzi a trovare in sé la forza e la motivazione per superare le difficoltà? Sappiamo aiutare i ragazzi a riconoscere in sé stessi la positività, la bellezza e la forza? Sappiamo scoprire e far sbocciare le qualità di un ragazzo nascosto dietro una maschera da menefreghista? C’è qualche adulto-insegnante che riesce a strappargliela dalla faccia quella maschera, restituendogli un’altra immagine di sé? C’è qualcuno che riesce a guardarlo negli occhi mentre è ancora in crescita, per dirgli che la scuola non lo vuole perdere, anzi, lo vuole a tutti i costi accompagnare nella scoperta del mondo, fino a vederlo sbocciare alla porta dell’adultità, felice di non averlo smarrito in qualche strada buia, pericolosa e marginale della società?

formazione professionale, è scesa dal 19,2% nel 2009 al 15% nel 2014. Con questo dato, l’Italia raggiunge il suo obiettivo nazionale fissato al 16%, pur rimanendo ancora distante dall’obiettivo europeo del 10% entro il 2020. È interessante però vedere che tra i dispersi in Italia, il 34,4% degli studenti che non consegue diplomi di secondaria superiore o di formazione professionale è nato all’estero, mentre tra gli studenti nativi la percentuale scende al 14,8%; dati entrambi superiori alla media europea, che è rispettivamente del 22,7% e 11%. Altro dato particolare che ci riguarda è questo: L’Italia risulta anche tra i Paesi con le più forti disparità tra tassi di abbandono maschili e femminili, con una percentuale del 20,2% per i maschi e del 13,7% per le femmine, un dato negativo rispetto alla media europea (13,6% maschi, 10,2% femmine). http://www.indire.it/2016/03/25/dispersione-scolastica-in-italia-abbandono-precoce-scende-al-15/


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L’AIKIDO NON E’ UNA DISCIPLINA PER DONNE

insonnia

segue dalla prima

Ho raccolto, in queste poche righe, le prime frasi che mi sono venute in mente, registrate (ahimè) in anni di pratica. Sì, avete letto e compreso bene: sono frasi che ho personalmente sentito su tatami italiani e non, e che (mio malgrado) ho registrato nella mia mente, a riprova di quanto possano lasciare il segno anche se involontariamente. Il più delle volte sono state frasi carpite – quasi di nascosto – dalle conversazioni intercorse tra praticanti uomini. Una frase, in particolare, la porto con me, come un ricordo doloroso ma prezioso. É stata detta in occasione di uno stage estivo di Aikido a cui ho partecipato tanti anni fa, lo ricordo come se fosse ieri: ero in tenda a riposare, dopo una sessione di allenamento durissima, in cui avevo messo tutta la mia energia, dando il massimo con ognuno dei partner, uomini o donne che fossero. E mentre me ne stavo lì distesa a riflettere su come fare per migliorare la mia tecnica, sento alcuni dei miei compagni uomini che mi elogiano apertamente, per poi concludere con la frase “certo che per quanti sforzi possa fare, con quei due polsi (ovviamente si riferivano a quanto fossero esili) dove vuoi che arrivi?”. Ammetto che il cuore ha saltato un battito. Quella frase me la sono segnata, e ogni tanto, a circa dieci anni di distanza da quando è stata pronunciata, penso - con una nota amara di vendetta e forse cattiveria – che io sono andata lontano perché ancora calco il tatami, anche se meno di allora, mentre i nerboruti signori che avevano espresso quel giudizio pesante e gratuito su di

Questo giornale si occupa spesso di importanti temi, sia sociali sia attinenti la persona. Io chiedo un po’ di spazio per parlare invece di quotidianità. Da quando è emersa la precarietà dell’edificio Neuro, il traffico di veicoli e di pedoni da via Ormesano è stato spostato su alcune altre vie della città; una di queste è via santa Maria. Chi,come me, passa frequentemente in questa

Foto: PH.This is Life Center, Torino

me hanno tutti smesso. Parto da questo ricordo non tanto e non solo per dire a tutti che l’aikido è una disciplina per donne – non ce ne sarebbe molto bisogno, i numeri parlano da soli – ma per rivolgermi agli uomini che leggono questo mio articolo. Quando voi esprimete un giudizio su una donna fate attenzione a ciò che dite: abbiamo le orecchie più lunghe di quanto pensiate. Ma non basta. Non serve che abbiate un perfetto autocontrollo su quanto esprimete a parole se non siete in grado di educare la vostra mente a non

produrre quegli stessi pensieri che non dite. Se durante la pratica venite da noi donne per riposare, noi lo sappiamo. Se ritenete che il nostro fisico, certamente diverso (non ho detto più esile, ho detto diverso) dal vostro, non ci renda adatte alle arti marziali, noi lo sappiamo. Ma mi spingo oltre. Se pensate che vostra figlia dovrebbe fare danza, anziché aikido, lei lo sa. Se pensate che vostro figlio dovrebbe giocare a calcio anziché suonare il violino, lui lo sa. Non potete impedire alla vostra mente ed al vostro corpo di parlare anche senza parole, non funziona. E non

zona, in particolare nel tratto che va dall’Arco allo stop su piazza s. Maria, avrà certamente notato quanto sia congestionata e rischiosa la circolazione, soprattutto in particolari ore della giornata, di : auto in doppio senso, ciclisti (in particolare ragazzini che vanno o vengono da scuola), pedoni. Un traffico così caotico avviene anche a causa di alcuni parcheggi (autorizzati ) lungo il lato nord della chiesa. Sono stata all’Ufficio dei vigili urbani, nel caso non conoscessero la situazione. Ovviamente sapevano già tutto, anche perché già altre persone l’avevano segnalata. E ne conoscevano anche la possibile soluzione: l’eliminazione di quei parcheggi sul lato nord della chiesa,che per giunta impediscono anche l’utilizzo del marciapiedi. Ma hanno osservato che non spetta a loro la decisione. Allora, ‘a chi spetta la decisione’ che cosa impedisce di farlo, (trattandosi di un intervento a costo zero), mantenendo ovviamente

il carico/scarico merci per l’esercizio commerciale? A pochi metri da lì ci sono due zone di parcheggio autorizzato: una su piazza s. Maria, l’altra di fianco al poliambulatorio.

funziona soprattutto in una disciplina come l’Aikido, che è – per eccellenza – una disciplina di RE LA ZIO NE. E allo stesso modo, mi permetto di sottolinearlo, non funziona con le vostre figlie, le vostre madri e le vostre mogli, o con le vostre colleghe di lavoro. Non funziona perché loro vi guardano dentro, anche se non ve ne rendete conto. Ah, dimenticavo. Ovviamente la stessa cosa vale per voi, mie care donne, mie care sorelle e amiche. Perché diciamocelo… anche noi abbiamo i nostri bei pregiudizi nei confronti dell’Universo maschile. Qual è la sintesi di tutto questo argomentare? Semplice. Si traduce con una parola: impegno. Voglio dire che troppo spesso ci crogioliamo nella nostra convinzione di essere “buoni” perché noi non facciamo “cose cattive”: se le donne non raggiungono posizioni dirigenziali nel lavoro non è colpa mia, io non ho mai criticato le colleghe; se una donna non prosegue nella pratica dell’aikido non è colpa mia, io ogni tanto pratico anche con le donne; se mia figlia non si sente valorizzata nel lavoro non è colpa mia, non le ho mai impedito di fare le sue scelte. Arrivo all’estremo: se il fenomeno della violenza sulle donne dilaga non è colpa mia, io non picchio. Il problema, però, non è cosa non fate. Il problema è cosa fate, anzi COSA FACCIAMO, in cosa ci impegniamo per impedire che ciò avvenga. E questo perché, per citare una frase conosciuta “perché il male trionfi è sufficiente che i buoni rinuncino all’azione”. Buon 8 marzo a tutti.

É possibile che anche su simili questioni (risolvibili appunto a costo zero) si debba sempre contare sulle prossime scadenze elettorali? Grazie per l’attenzione. Bruna Paschetta


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Le storie di Mario... Vardé le masnà… di Mario Monasterolo

Per i bambini, i cortili erano spazi multifunzionali, anche baby parking e beauty farm. Se la mamma doveva assentarsi, il bambino lo poteva lasciare alla vicina che aveva una fila di gagnu da vardé, e uno in più non faceva differenza. Questo vardé, guardare, per dire di chi si prendeva cura dei bambini, è un verbo di grande sottigliezza psicologica e merita una breve divagazione: vardandije i bambini venivano tenuti sotto controllo, ma allo stesso tempo li si lasciava liberi di seguire il proprio estro ludico. In tempi in cui all’asilo, a scuola e all’oratorio vigeva ancora la regola “maschietti con maschietti, femminucce con femminucce”, nel cortile ci si mischiava, preparando il discreto frequentarsi dei

primi amori, quando di due fidanzati si diceva as parlo, si parlano: concetto virginale in sé, rafforzato dagli esempi di Luigi Gonzaga, di Maria Goretti e della liliale processione della Santa Infanzia con cui si veniva tirati su. Tornando a noi: se nelle case non c’era il boiler, una bacinella messa al sole a scaldarci l’acqua diventava il bagnetto ‘d la masnà. Ci si potevano anche lavare i piedi prima di entrare in casa, dopo aver lavorato nell’orto con le sòche e senza calze. La sostenibilità energetica e le colture biologiche andavano sot brassëtta; i nemici invisibili dell’igiene erano ancora da inventare e poi, come allora si diceva: maunet fa grasset, sporcizia fa concime. Anche sulla pelle. Il cortile era uno spazio “creativo”

capace di stimolare grandi estri; molti avevano quel posto magico che erano le cormà: sota la cormà, oltre a giocare a bara str-mese, si riparavano dalle intemperie i carìn e le carëtte e ci si facevano le cataste della legna per i potagè o la stùa, quella piccola in ghisa pittata di minio; ci si tenevano le gabbie dei conigli, ci andavano a dormire le galline che di giorno becchettavano libere e non mancavano mai quelle americane, le uniche che poi morivano di vecchiaia. Nel cortile, la salvia splendida e le porslanin-e rendevano leggiadre le aiuole; tra i ciottoli non mancava qualche ciuffo di camamìa che conciliava il sonno e profumava la biancheria, mitigando un po’ quel persistente sentore di naftalina. Al

fondo, l’òrt era tenuto ordinato e pulito, con le file regolari delle preus di ortaggi e verdure, ma anche di gladioli per le tombe al cimitero. Era la sequenza dei cortili vicini e confinanti a formare davvero il quartiere o, meglio, ël borgh, in qualche altra accezione locale ël cantun. Nel borgh ‘d San Giuan la sera tutti tiravano fuori panche e sedie, le allineavano lungo lo stradon, o si sedevano sul muretto della bialera; la notte arrivava tra le chiacchiere, circondati dalle lucciole. Nessuna allusione: allora le “lucciole” erano solo insetti, e c’erano ancora le mezze stagioni.

Ancora due appuntamenti per la RASSEGNA DI TEATRO DIALETTALE PIEMONTESE Salone Sobrero di Murello SABATO 18 MARZO ORE 21 “El cit armari dij segret”, 2 atti di Aldo Benedetti, regia Valentino Inaudi, Compagnia Teatrale “Ij motobin” di Villanovetta. SABATO 1 APRILE ORE 21 “L’obergi dla lun-a per travers ed monsù Beldeuit”, 3 atti di Gianni Cornero, regia Francesco Rizzati, Gruppo Teatro Carmagnola. INGRESSO 7 € RAGAZZI FINO A 15 ANNI 3 € Tutti gli incassi sono destinati alla Scuola Materna di Murello PER INFO: 017298102


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ESSERE DONNE DI PACE IN TERRA SANTA

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L’instancabile lavoro di sr. Alicia Vacas Moro, missionaria Comboniana a cura dell’Associazione Culturale Mandacarù

L’Associazione Culturale Mandacarù mantiene da anni relazioni di amicizia e solidarietà con realtà della Terra Santa che operano per costruire percorsi di pace. Dalle pagine di questo giornale abbiamo già raccontato la storia del piccolo asilo di Betania (nei pressi di Gerusalemme), che accoglie bambini appartenenti ai due popoli e alle tre religioni; oggi vi raccontiamo l’instancabile lavoro di sr. Alicia Vacas Moro, missionaria Comboniana. La presenza delle donne in quella terra può essere una straordinaria risorsa, perché entrano in luoghi dove gli uomini non possono entrare, vedono cose che gli uomini non possono vedere, lavorano “dal di dentro” della società per la giustizia, la riconciliazione, la pace. La vita di sr. Alicia in Terra Santa si è quasi sempre svolta in territorio palestinese, ma il suo lavoro di infermiera l’ha portata ad operare all’interno della cosiddetta “Zona C” (a totale controllo israeliano, sia amministrativo, sia militare). Dopo gli Accordi di Oslo in Zona C non dovrebbero vivere cittadini senza passaporto israeliano, ma in realtà qualcuno c’è … le tribù beduine. Tutto il deserto rientra

in Zona C, ma i beduini hanno da sempre vissuto in questi territori. Non c’è per loro la registrazione anagrafica quindi è come se non esistessero, non si prevede la costruzione di nessuna infrastruttura, strada, scuola … Non suscitano alcun interesse governativo ed occupano l’ultimo gradino della società palestinese; anche a livello internazionale nessuno si occupa seriamente di salvaguardare la loro esperienza di vita. I beduini con cui lavora sr. Alicia sono della tribù Jahalin, provenienti dal deserto del Neghev, oggi trasferiti nel deserto di Giuda, sull’asse della strada che collega Gerusalemme a Gerico. Negli anni ’50 lo Stato d’Israele invitò i ragazzi beduini a prestare servizio militare e questo creò una frattura all’interno della tribù tra chi accettando ottenne la cittadinanza israeliana, e chi si rifiutò. Chi non accettò venne mandato via, per questo molti si spostarono nel deserto di Giuda avvicinandosi così a Gerusalemme. Qualcuno invece si ritrovò nel campo profughi vicino a Hebron. Nel ’67 il territorio in cui vivevano i beduini fu “occupato” e ai beduini fu proibito di far circolare liberamente le greggi alla

ricerca di pascoli. Oggi riescono a mantenere solo pochi capi di bestiame ad uso familiare. Se escono dai confini il governo confisca loro gli animali e i coloni li aggrediscono. I beduini ormai sanno che presto il loro stile di vita, non potendosi più dedicare alla pastorizia, finirà, quindi è necessario dare un futuro diverso ai propri figli e questo è possibile solo con l’istruzione; la scuola diventa così un bisogno primario per la tribù. La legge vieta loro di costruire edifici nuovi, possono solo ristrutturare ciò che già esiste, ad esempio se c’è un recinto di animali può essere trasformato in una casa, in una scuola … La prima scuola è stata realizzata grazie alla collaborazione dell’Associazione “Vento di Terra”, usando come materiale da costruzione i copertoni delle auto e il fango ed è stata aperta nel 2009. Da allora sono nati anche 5 piccoli asili che sono importanti soprattutto per le donne, per la loro formazione e per poter acquisire un ruolo sociale, diventando di fatto dei centri culturali. Da anni sr. Alicia collabora con l’associazione Israeliana “Medici per i Diritti Umani”. Si tratta di

medici volontari, israeliani e palestinesi, che gestiscono una “clinica mobile” che si sposta per gli accampamenti. Molti medici sono donne per facilitare l’approccio con le donne beduine. L’ospedale più vicino è a Gerico, difficile da raggiungere, non solo per la distanza kilometrica, ma per la presenza del “muro di sicurezza” costellato dai ceck point. Sr. Alicia, certa che il diritto alla salute sia universale, sa che il lavoro dell’associazione è molto importante anche per i medici stessi: conoscere la realtà beduina, toccare con mano la loro condizione di vita, dover affrontare perquisizioni e code ai ceck point, fa assumere loro la consapevolezza della realtà.

Israele è un paese meraviglioso, e non solo da un punto di vista naturalistico. Ma è anche una terra contesa, è la terra del muro e dei territori occupati, è la terra di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, … eppure è terra santa a tre religioni … Per cercare di leggere e comprendere la complessità di quella Terra sr. Alicia Vacas Moro sarà a Racconigi nel pomeriggio di sabato 25 marzo (luogo da definirsi). La sua diretta testimonianza potrà restituire dignità alle storie di un’umanità spesso senza voce, siano essi i beduini del deserto destinati all’estinzione culturale, o le comunità cristiane, minoranza fra le minoranze, o le famiglie palestinesi “ingabbiate” nei territori occupati, o le tante associazioni, di entrambi i popoli, che instancabilmente lavorano per la pace.

Donne in Nero della Casa delle Donne di Torino

Diritti a parole, negati nei fatti Il 23 dicembre 2016 è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 2334 che dichiara non ammissibile la costruzione e l’espansione di colonie israeliane nei territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est. Per la prima volta gli Stati Uniti non hanno esercitato il loro pote-

re di veto su una risoluzione che condanna le azioni dello stato di Israele come potenza occupante. Negli anni, oltre 70 Risoluzioni dell’Assemblea delle Nazioni Unite sulla questione israelo/palestinese non sono state applicate eppure non sono mai state imposte sanzioni allo stato di Israele per inosservanza della legalità internazionale. Le colonie sono anche chiamate insediamenti; ma al di là delle parole cosa significano in concreto?

Prima di tutto, la terra, che viene requisita con la forza; poi l’acqua, sottratta alle fonti palestinesi, deviata verso le colonie e spesso rivenduta; le strade, circondate da “zone di sicurezza” e recintate, accessibili solo agli israeliani, che

insieme ai check-point limitano pesantemente la mobilità dei/delle palestinesi fino a impedire loro di andare a coltivare le proprie terre. Questa devastazione della vita quotidiana genera disperazione, paura e odio, come scrive Zvi Schuldiner: “Milioni di palestinesi sprovvisti di diritti umani e politici, privati della nazionalità, perdono ogni speranza di un futuro migliore, in una situazione che peggiora a vista d’occhio. Il risultato è molto semplice e tragico e continuerà a far pagare un prezzo che potrebbe crescere, in termini di sangue, mentre al tempo stesso la società [israeliana] perde gli ultimi freni democratici e precipita in una realtà di repressione crescente.” (il manifesto, 10 gennaio 2017)

Quali responsabilità e possibilità abbiamo noi per contribuire all’affermazione dei diritti dei palestinesi?

Prima di tutto mantenere desta l’attenzione, far conoscere e sostenere le azioni di resistenza palestinese nonviolenta e le manifestazioni di dissenso dall’interno di Israele. Informarci e informare! Serbare memoria!


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MIGRANTI DI IERI

Storia di una donna emigrata dal Veneto in Piemonte negli anni ‘60 di L.G.

Sono trascorsi molti anni, 55 per la precisione, da quando mio padre decise che bisognava finirla con quella misera vita. Lo sentivo parlare sottovoce per cercare di convincere la mamma che bisognava avere il coraggio di lasciare tutto e partire. E arrivò così quel triste giorno: partimmo per l’ignoto, lasciando in quella terra veneta le nostre uniche certezze. Giorni di saluti, addii, lacrime, promesse e poi la sporta del cibo per il viaggio, che ci avrebbe portato lontano da tutto e da tutti: in cinque, a testa bassa, ci avviammo verso la stazione. Mio fratello maggiore, di 18 anni, era già arrivato a Carmagnola con gli zii alcuni mesi prima, per trovare abitazione e lavoro. Il secondo, di 15 anni, viaggiava con l’autista del camion che traslocava le nostre povere ma indispensabili cose, in una giornata di nebbia impossibile, tanto che si persero e arrivarono con ore di ritardo. Io, ragazzina di nemmeno 10 anni, avevo già salutato le mie compagne di scuola, i parenti, i miei amici più cari e le suore che mi avevano aiutata per molti anni. La mamma non smetteva di singhiozzare. Non avrei più rivisto suor Angelina, che mi amava così profondamente

e mi proteggeva da tutto e da tutti, per la mia salute cagionevole. Il treno si mosse: i parenti facevano sventolare il fazzoletto, tutti avevano le lacrime agli occhi e tiravano su con il naso. Volevamo essere forti come aveva raccomandato papà, ma non era possibile: l’emozione, la tristezza ci riempivano il cuore. Che cosa ci sarebbe stato in Piemonte di tanto diverso per noi? Purtroppo lo capimmo in fretta. Davanti alle case in affitto c’era il cartello “NON SI AFFITTA AI MERIDIONALI” o peggio ai “terroni”… Incominciai a frequentare la scuola piemontese, molto più rigida, ma a parte questo, ero l’unica “napuli” su 26 alunne. Anche se ero veneta i piemontesi mi hanno sempre chiamato “napuli”!! A scuola le altre compagne erano tutte linde e ben vestite, con calzettoni bianchi e fiocco al colletto. Io avevo gli scarponi di mio fratello ed i suoi pantaloni smessi: mi sentivo una “mosca bianca”. Non parlavo bene l’italiano, in casa usavamo il dialetto veneto, perciò le mie compagne di classe mi prendevano in giro. Vivevamo in sette in due stanze: una grande camera da letto e la cucina, acqua e latrina in cortile, ma

Foto: angelogambetta@

avevamo la corrente elettrica, già una grande conquista. Nel casolare dove abitavamo eravamo in sei famiglie e quando io scendevo in cortile per giocare o cercare di familiarizzare, Rita la nostra vicina richiamava la sua bambina, perché non doveva immischiarsi con quella napuli che aveva i pidocchi e poteva rubarle la bambola… Dopo un po’, sconsolata, salivo in casa e la mamma mi diceva: “Por-

MIGRANTI? PERSONE

Storia di Usman arrivato a Racconigi dall’Afghanistan di Anna Maria Olivero

Io sono Usman, sono nato in Afghanistan nella zona di Paktva, dove c’è pericolo di vita: ci sono i terroristi che prendono la gente e uccidono persone innocenti. Ci sono anche gli americani che sono andati lì per difenderci. Ho 24 anni. Ho una mamma, che vive in casa e alleva capre e 4 sorelle. Io sono l’unico maschio. Sono sposato e ho due bambini maschi: quello grande, Umar, ha tre anni, quello piccolo, Ali, è nato 6 mesi dopo che sono partito, quando ero in Iran, e quindi non l’ho ancora visto. Ho fatto 10 anni di scuola per diventare “meccanico”. Poi, quando avevo 16 anni, mio papà è morto di malattia e poiché ero l’unico maschio in casa, ho cominciato a lavorare per mantenere la famiglia. Facevo il saldatore per una società americana. Ai terroristi talebani non piacciono gli americani e non piacciono neppure le persone che lavorano per loro… quindi, quando hanno saputo che lavoravo con gli americani, sono

Usman venuti a casa mia… Sono venuti una prima volta a dirmi di non lavorare con gli americani. Non è gente buona… ma io non ho capito che era un avvertimento e, visto che dovevo mantenere la famiglia, ho continuato a lavorare nella stessa società. Loro l’hanno saputo e sono venuti una seconda volta, di

sera, a casa: mi hanno bendato gli occhi e mi hanno portato via, in una casa proprio vecchia vecchia, non so dove. Lì con me, c’era altra gente: persone che lavoravano in quella stessa società, dottori che lavoravano in ospedale con gli americani, ... Tutti quelli che lavoravano con società americane sono stati presi e portati in quel posto. Sono stato lì una notte; il giorno dopo mi hanno dato qualcosa, non proprio tanto, da mangiare e bere e poi mi hanno trasferito in un altro posto. Sono riuscito a salvarmi perché, alla fine, in qualche modo sono riuscito a scappare e sono andato a Gasni dai miei parenti, dove ho conosciuto mio cugino Sareed e ho fatto tutto il viaggio per venire in Italia assieme a lui. Dall’Afghanistan siamo passati in Iran, Istanbul (Turchia), Bulgaria, Serbia, Ungheria, e finalmente siamo arrivati in Italia. Il viaggio è durato due mesi. Ci siamo spostati in macchina o a piedi: quando non riuscivamo ad avere un passaggio

ta pazienza cara, vedrai che cambierà”. Mio padre cercava lavoro come un ossesso, aveva 41, aveva sempre lavorato duramente a mezzadria, in campagna e in stalla. Gli imprenditori davano lavoro ai “terroni” solo dopo che gli “altri” erano sistemati. L’unico a trovarsi subito abbastanza bene fu mio fratello terzogenito, di 13 anni, il quale, non volendo andare a scuola, per aiutare la famiglia portava le bombole del gas a domicilio, sul portapacchi della bici. La sera ci raccontavamo le nostre esperienze e spesso piangevamo e imploravamo i genitori di riportarci indietro, nella nostra terra veneta che amavamo e dove tutti ci volevano bene. Anche loro soffrivano, in silenzio, con quella dignità che hanno solo le persone che nella vita hanno avuto davvero poco. Ma come si sa, con il coraggio e la buona volontà si possono fare grandi conquiste. Col tempo anche noi ci siamo fatti apprezzare per quello che eravamo. Nonostante i tanti anni ormai trascorsi qui, il mio pensiero torna spesso in quella terra dove una bambina minuta, scalza, giocava felice con una bambola di pezza. andavamo a piedi. Quando dovevamo attraversare una montagna o il deserto o luoghi simili andavamo a piedi. In Turchia ci siamo fermati un mese. In Iran e Bulgaria siamo stati due o tre giorni senza mangiare. In Bulgaria la polizia ci ha maltrattati: ci ha preso il telefono, i soldi che avevamo e ci ha anche picchiato. Invece in altri paesi ci siamo trovati bene, abbiamo ricevuto da mangiare… Appena sono scappato da casa il mio obiettivo è stato arrivare in Italia, perché mi piace, conosco degli italiani. Quando sono arrivato in Italia, prima sono stato in un grande campo ad Udine, poi a Cuneo e infine qua a Racconigi: sono otto mesi che sono qua. Mentre io sono qua, i parenti aiutano la mia famiglia in Afghanistan: gli danno un po’ di soldi. Io riesco a sentirli per telefono. Il mio “sogno” è prima trovarmi bene qui, poi avere subito i documenti, perché se non hai i documenti non puoi lavorare e ti senti “chiuso” e quindi, appena avuti i documenti, voglio trovare un lavoro e mandare i soldi a casa per mantenere la famiglia, per poi chiamarla qua. Ringrazio Singh Kuljeet che mi ha aiutato nella traduzione dell’intervista dalla lingua urdu.


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RACCONTAMI IL NEURO

Storie e testimonianze da chi lo ha vissuto IL NEURO ERA PER NOI IL PRONTO SOCCORSO Testimonianza di Marello Antonella figlia di un ex infermiere.

Mio padre ha lavorato all’Ospedale Psichiatrico di Racconigi dal 1955: era un infermiere come già lo erano stati mio nonno e mio zio. Ha iniziato all’Osservazione, reparto ubicato nel Chiarugi, dove i malati venivano ricoverati al loro arrivo nella struttura manicomiale per essere poi in un secondo momento assegnati ai reparti in base alla tipologia e alla gravità della loro malattia. Dopo aver vinto il concorso da Caporeparto era passato al Morselli uomini dove turnava con un altro collega. Li chiamavano “Caporali” termine alquanto infelice. Quando faceva il turno di notte invece doveva sorvegliare anche gli altri reparti, Marro, Chiarugi… Verso la metà degli anni ’70 è giunto a Racconigi un medico con idee molto moderne e innovative che ha avviato il cambiamento e l’approccio alla malattia mentale: non indossava

il camice, abbinava alla terapia farmacologica sedute di psicoterapia e aveva permesso che i malati potessero avere a loro disposizione una piccola somma della loro pensione per il caffè e le sigarette. Aveva aperto all’interno del parco un bar a loro disposizione e soprattutto aveva spalancato le porte del manicomio. Malati mentali uomini e donne, non gravi, venivano accompagnati da infermieri e infermiere a gruppi di due o tre persone a fare piccoli acquisti nei negozi cittadini e alla Cooperativa. Chi non ricorda Fedora che con la sua cordialità e simpatia ha saputo integrarsi e farsi amare da tutti i racconigesi. Geniu che seguiva la nostra Banda Musicale in ogni suo concerto e in ogni trasferta. Ogni anno nel mese di settembre all’interno del Neuro si svolgeva una festa alla quale partecipavano le famiglie dei ricoverati e

insonnia

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anche quelle degli infermieri. Alcuni di loro avevano formato un piccolo complesso musicale che intratteneva gli ospiti con musiche e balli. Molti malati sono rimasti affezionati a mio padre anche dopo essere stati dimessi: ho avuto modo di incontrarne alcuni e conoscerli personalmente. Negli anni 80, dopo la legge Bisaglia, mio padre chiese di lavorare presso la Colonia Agricola dove impegnava un gruppo di malati in lavori di giardinaggio e vendita dei prodotti. In tutti i reparti prestavano servizio alcune suore che affiancavano gli infermieri nella cura dei malati. Tra tutte ricordo Suor Pierina che oltre a svolgere il suo lavoro con encomiabile dedizione, faceva anche ottime torte e, tramite mio padre, mi inviava un assaggio impacchettato nella carta velina rosa. Spesso il Neuro fungeva anche da pronto soccorso per chi vi lavorava e per i loro familiari: Suor Agnese era sempre pronta in sala raggi e il Prof. Sapegno, (al quale è stata anche dedicata una via cittadina) abile chirurgo, ricoverato presso la struttura, interveniva al bisogno. Io stessa quando avevo nove anni sono stata operata da lui di appendicectomia. Ci sarebbero ancora tantissime cose da raccontare ma concludo ricordando che per i figli dei dipendenti c’era la Colonia alpina di S. Anna di Valdieri che tutti abbiamo frequentato e il dono natalizio che rappresentava per noi un momento di grande gioia. Testimonianza di R.M., figlia di un ex infermiere, raccolta da Anna Maria Olivero Dopo che mio papà e mia mamma si sono sposati, nell’autunno del ’37, mio papà, che lavorava come infermiere nel Neuro, si è ammalato: aveva febbri molto alte ed emottisi cioè sbocchi di sangue dalle vie respiratorie. I medici della zona avevano decretato che fosse tubercolosi. Allora non c’erano la penicillina né altri medicinali adatti e poi per questa malattia venivi “bollato”… Inoltre non c’era la “mutua”, ma, in

caso di malattia seria, per gli infermieri che lavoravano al Neuro veniva messo a disposizione un letto all’interno dell’ospedale, dove potevano essere accuditi. Quando mio padre ha cominciato a stare veramente male, tanto che ha perso conoscenza e aveva febbri altissime, l’unico che ha sostenuto la tesi che mio papà non era tubercolotico ma aveva qualcos’altro, è stato il direttore del Neuro, il dottor Rizzati, che poi è finito ... (Si diceva che avesse fatto la campagna di Russia, dove gli avevano spaccato le mani e si diceva anche che avesse avuto una vicenda famigliare molto triste, che avesse perso la moglie, forse il figlio). E Rizzati, diceva mia madre, si è comportato più che come un padre, perché l’ha curato anche se ha avuto tutti i medici contro per gelosia: l’hanno addirittura denunciato dicendo che lui aveva ricoverato un malato altamente pericoloso, in quanto contagioso, vicino a gente che invece non era contagiosa. Lui sosteneva la tesi che il bacillo di Koch, portatore della tisi, non viveva con temperature corporee alte: chi è malato di tisi, diceva, ha febbri su 38° non di più, mentre mio padre aveva la febbre anche a 41°. Mia mamma ricordava che l’aveva curato con delle iniezioni che contenevano all’interno delle pagliuzze d’oro, che avevano un potere cicatrizzante: Rizzati pensava infatti che in mio padre ci fosse qualche “ferita” interna che si apriva momentaneamente. Vicino a mio padre era stato messo mio zio, che lavorava anche lì. Rizzati l’aveva distaccato, perché un malato aveva detto al direttore: “Ah, si vogliono molto bene fra di loro gli infermieri!”, poiché sembra che una notte, mentre mio papà aveva la febbre molto alta e chiedeva da bere, l’infermiere che era di turno dormisse. E, continuava il malato, “Se non scendevo io a dargli da bere, nessuno gliene dava”. Allora il Direttore aveva distaccato mio zio perché stesse vicino a mio papà. Questo medico era una persona molto umana e molto ca-


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pace, probabilmente anche innovativo per quel periodo, siamo a prima della 2a guerra mondiale, però dava un po’ fastidio, probabilmente perché era ateo, uno di certe idee e allora … Comunque pur senza antibiotici mio padre si salvò, anche grazie al fatto che era molto robusto! Mio padre è stato molto riconoscente al dottor Rizzati e mia madre voleva ringraziarlo pubblicamente tramite un articolo sul giornale, ma lui le ha chiesto di non farlo: “No, no, ho già avuto troppe grane, meglio che lasciamo lì”. Anni dopo scoprirono poi che il problema di mio padre era dovuto probabilmente ad una varice nell’esofago, che si induriva e si spaccava e quindi gli causava questi sbocchi di sangue. Mio padre allora fumava, poi quando ha capito ha smesso di colpo!

Cin

Cinema I FILM DEGLI OSCAR di Cecilia Siccardi

Il 26 febbraio 2017, al Dolby Theatre di Los Angeles, verranno consegnati i premi più ambiti della stagione cinematografica, gli Oscar. Saranno nove i film a contendersi il titolo di miglior film dell’anno; La La Land, già recensito il mese scorso, parte da favorito, avendo ricevuto un enorme

Lib

Libri a cura di Barbara Negro

“Femminile plurale” è un romanzo scritto a 4 mani dalle sorelle Benoite e Flora Groult nel 1965. Attraverso l’alternanza delle voci narranti delle protagoniste femminili Marianne e Juliette, si snodano gli avvenimenti di un anno di condivisione dell’amore per un unico uomo, Jean Dastier: marito per la prima e amico di vecchia data per

successo di pubblico e critica, nonché ben quattordici candidature ai premi Oscar. La sua vittoria in questa categoria non è però da considerarsi del tutto scontata: Arrival, ad esempio, appare come un probabile contendente. Sulla storia di una linguista col compito di provare a comunicare con gli alieni appena arrivati sulla terra, il film è stato soprattutto lodato per il suo originale contributo al genere della fantascienza. Anche Moonlight, sulla vita e la scoperta della sessualità di un giovane afroamericano, ha ricevuto una calda accoglienza da parte della critica, e può essere considerato uno dei favoriti nella corsa finale. La battaglia di Hacksaw Ridge, ultima fatica di Mel Gibson, racconta invece la storia del primo obiettore di coscienza americano a vincere una medaglia al valore, ed ha ricevuto sei nomination. La trama di Lion, con Nicole Kidman e Dev Patel, verte invece sulla ricerca delle sue origi-

ni da parte di un ragazzino indiano cresciuto in Occidente. Molto quotato anche Manchester By The Sea, dramma familiare interpretato da Casey Afflek e Michelle Williams. Da non dimenticare anche Fences, sui problemi di una famiglia afroamericana negli anni Cinquanta, e Hidden Figures (Il diritto di contare), che narra la vera storia del contributo di tre matematiche afroamericane alle

prime missioni nello spazio della NASA. Infine, chiude la lista Hell or High Water, con Chris Pine e Jeff Bridges, su due fratelli americani che si danno alla vita da fuorilegge per salvare il ranch di famiglia. Affrettatevi ad andare al cinema! (ndr. voi che state leggendo queste note, sapete già chi ha vinto, adesso lo sappiamo anche noi!)

la seconda. Jean e Marianne sono una coppia adulta consolidata, genitori di due figli e protagonisti ormai da dieci anni di un matrimonio apparentemente felice e affiatato. L’attraente Juliette invece, vecchio e casto amore di un Jean adolescente, è diventata per entrambi una carissima e intima amica di famiglia. L’uomo ama profondamente la moglie Marianne che per lui rappresenta la morale e il dovere, la consuetudine e l’inesorabile scorrere del tempo fianco a fianco; nonostante questo sentimento, Jean cede alla tentazione di ritrovare il lontano tempo perduto tra le braccia di Juliette. Rivelando i propri sentimenti, Jean pretende di poter continuare ad amare entrambe, nel folle intento di dividersi pur rimanendo un tutt’uno con se stesso e le proprie abitudini. Le antagoniste, oltre a vedersi negare il proprio predominio amoroso, dovranno dimenticare la loro

amicizia, costrette a iniziare un nuovo capitolo della loro vita in cui, loro malgrado, si metteranno a nudo, sviscerando i propri sentimenti, scoprendo le infinite e talvolta incompatibili sfaccettature dell’amore, alla ricerca del significato più profondo delle relazioni umane. Un turbinio di emozioni si alternano in giorni di agognata quotidianità: insicurezza e gelosia, considerati sentimenti volgari e fuori moda, costituiscono ancora una gabbia da cui sembra impossibile uscire, mentre rabbia e rancore, repressi in un primo momento, potranno essere finalmente liberati attraverso un tormentato percorso di riscoperta

interiore. Un diario doloroso e angosciante che mette a nudo con disincanto e sincerità l’imperfezione dei legami più profondi.

FEMMINILE PLURALE B.e.F GROULT pp.338, Bompiani Editore, prima edizione italiana 1969


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Mus

Musica

TOLSTOY VIKTORIA MEET ME AT THE MOVIES di Giorgia Audisio

Una indubbia predisposizione artistica anima la famiglia della cantante svedese Viktoria Tolstoy. Il suo trisnonno era il leggendario romanziere russo Lev Tolstoj, mentre suo padre era un rinomato musicista jazz svedese, che ha appunto introdotto sua figlia nella scena musicale del suo Paese. A soli venti anni, nel 1994, Viktoria ha inciso il suo primo album. Due anni dopo, con l’album Älskad För, ha scalato le classifiche

svedesi. Ciò ha preparato il terreno per la sua collaborazione con il pianista Esbjörn Svensson, che ha prodotto e scritto le canzoni per “White Russian”, il primo album scandinavo pubblicato dalla leggendaria etichetta Blue Note. In quel periodo Tolstoy ha iniziato anche a lavorare con Nils Landgren e nel 2003 è diventata come lui un’artista esclusiva dell’etichetta tedesca ACT. Da allora, i suoi lavori per la ACT hanno permesso a Viktoria di affermarsi come una delle protagoniste del jazz vocale europeo. A tre anni dalla registrazione di “A Moment Of Now”, che l’ha vista nella cornice intima di un duo con il pianista Jacob Karlzon, la cantante Viktoria Tolstoy presenta il suo nuovo album incentrato sulla musica da film. “Meet Me At The Movies” è un viaggio emozionale attraverso la storia del cinema e delle colonne sonore. Un percorso che spazia da “As Time Goes By” tratta dal film “Casablanca”, fino al “New World” di Björk tratta dal film “Dancer In The Dark”. Si va da “Smile” di Charlie Chaplin (“Modern Times”) a “Kiss From a Rose” di Seal, da “Batman Forever” passando per “Out Here On My Own” (dal film “Fame”) e “Angel” di Sarah McLachlan (dal film “City of Angels”). I

piani originali di Tolstoj per questo album includevano un’orchestra che appunto richiamasse le sonorità tipiche di Hollywood, ma alla fine la cantante ha scelto invece di affidarsi ad una band minimale con il chitarrista Krister Jonsson, il bassista Mattias Svensson e il batterista Rasmus Kihlberg a cui si aggiunge come ospite il pianista

insonnia

Iiro Rantala. Questa scelta ha permesso a Viktoria Tolstoy non solo di lavorare con musicisti che conosceva bene e con cui dimostra una grande intesa, ma di fare un interessante lavoro negli arrangiamenti e nella rilettura dei brani che acquisiscono, attraverso la sua superba interpretazione, una nuova luce.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

Il nostro sforzo, in queste pagine, è quindi innanzitutto quello di ascoltare e accogliere le tante voci che compongono l’universo femminile racconigese (e non solo): pochi filtri, tanta vita, e anche un po’ di storia, fedeli alla nostra missione di fare di questo mensile uno specchio dell’oggi ma anche uno strumento di condivisione dell’eredità di ieri e di quello che, immancabilmente, dal passato si riflette sul presente. Per questo vorrei ringraziare tutte quelle donne che si sono messe a disposizione per confezionare questo “speciale” di Insonnia con contributi diversi, ma tutti di valore e accomunati dallo sguardo femminile. Attenzione però a non considerarci come minoranza, come una fetta un po’ obliqua e differente rispetto alla lineare narrazione della realtà: perché noi, di questa realtà, siamo parte viva e integrante. Ma quando si parla di pari opportunità, di femminicidio, di maternità, spesso si fa l’errore di considerarle questioni

“da donne”: certamente lo sono, ma guai a pensare che non riguardino la società intera. E le conseguenze di questo pensiero comune sono davanti a tutti: dai dirigenti che penalizzano le donne negli scatti di carriera, agli uomini che non riescono ad affrontare le ragioni che li spingono alla violenza nei confronti di mogli o ex fidanzate, alle politiche che considerano la maternità come un evento che riguarda un solo genitore. Qualche segnale positivo ovviamente c’è, soprattutto per quanto riguarda la maternità: ma la strada da fare è tantissima. Per questo vorrei che questo numero di Insonnia diventasse un’occasione di confronto, che parte tutta al femminile in occasione dell’8 marzo, ma si allarga anche agli uomini: perché solo se diventiamo consapevoli che non esistono problemi che riguardano un genere solo, e che una società migliore si costruisce necessariamente insieme, possiamo imparare a camminare insieme, più uniti, più sereni.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684 Email: info@maipiusole.it

DONNE DALLA PARTE DELLE DONNE

La violenza sulle donne è “pane quotidiano” ce lo dicono le statistiche ed è confermato dalla nostra Associazione che riceve quasi ogni giorno richieste di aiuto. I soprusi e le intimidazioni nei confronti delle donne rappresentano un grave problema sociale e culturale che richiede di essere affrontato in modo serio e con un impegno continuo. L’Associazione Mai+sole, con sede a Savigliano, ha allargato il suo raggio d’azione con altri centri di ascolto a Cuneo, Alba, Bra e Saluzzo. Ciò favorisce un più rapido contatto ed una miglior organizzazione distribuita sul territorio. Periodicamente l’Associazione propone dei Corsi di formazione per coloro che desiderano diventare volontarie di MAI + SOLE o che vogliano anche soltanto approfondire le loro conoscenze sul tema. I percorsi teorico-esperienziali sono condotti da psicologhe con una preparazione specifica. Perché non creare anche a Racconigi un punto di ascolto autonomo in grado di sopperire alle necessità locali? Chi fosse interessata mandi i propri dati a info@maipiusole per essere informata sui corsi futuri.


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