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ISTRUZIONI PER EVITARE IL CONFLITTO Detti proverbiali piemontesi Piè ‘l temp còme a ven e le gent come a son. Venta nen dè un scopass a tute le mosche Bisogna vive e lassè vive

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mensile di confronto e ironia

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Insonnia n° 93 Maggio - Giugno 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Viviamo in un mondo denso di conflitti. Ora più che mai sembra che il mondo non possa vivere in pace. Questo conflitto esiste tra le nazioni, le etnie, tra gli individui, a casa propria, anche dentro noi stessi. Il compito che spetta a tutti è quello di tentare di trovare soluzioni al conflitto. Noi non abbiamo soluzioni preconfezionate, ma soprattutto ci pare che ognuno debba trovare una soluzione per conto proprio e per questo ci mettiamo, per ora da parte, con le nostre riflessioni; però abbiamo chiesto a collaboratori esterni di prepararci una loro riflessione sul tema del conflitto. Abbiamo invitato anche persone che hanno sporadicamente collaborato a Insonnia e altri che per la prima volta scrivono sul nostro giornale. Coloro che hanno scritto gli articoli non conosceranno i testi degli altri se non leggendoli all’uscita del giornale, questo perché non volevamo fossero condizionati dalle altrui riflessioni. Questo numero speciale quindi è ricco di riflessioni originali alle quali noi per primi vogliamo attingere e le proponiamo ai lettori in questo momento di crisi generalizzata che ha come base proprio il conflitto stesso. Se vogliamo, anche le elezioni amministrative hanno la caratteristica del conflitto poiché ogni schieramento tenta di battere gli altri, è logico, ma spesse volte questo scontro assume un aspetto feroce; nelle pagine centrali di questo numero presentiamo i candidati sindaco che hanno accettato di rispondere alle nostre domande. Crediamo che il confronto che, in questo modo, abbiamo fatto venir fuori sia privo di toni accesi e polemici ma metta in evidenza le differenze tra i candidati. Ci auguriamo che questo sia un numero utile a tutti e se qualche lettore fosse disposto a confrontarsi, noi siamo disposti ad aprire la redazione.

SPECIALE ELEZIONI COMUNALI

I CANDIDATI SINDACO A CONFRONTO

“Come liberarsi dei migranti italiani? Uccidendoli”

A tutto campo al servizio degli elettori

Storie di conflitti e di intolleranze a 90 anni dalla morte di Sacco e Vanzetti

di Marco Capello

di Francesca Galante

Racconigi è una piccola città, dove quasi tutti si conoscono, ci si saluta spesso per strada e tutti i volti sono pressoché familiari. Ma è anche un paese con i problemi dei grandi centri urbani: lavoro, inquinamento, sicurezza. Alle porte delle elezioni amministrative, abbiamo intervistato i candidati sindaci, tutti racconi-

gesi dalla nascita, per conoscerli meglio ed avere da ognuno di loro idee e opinioni sui fatti mondiali e sul futuro di Racconigi: Chi sono? Cosa pensano del problema dell’immigrazione? E dell’inquinamento dell’aria? Cosa pensano di fare per migliorare la viabilità a Racconigi? E del futuro del Chiarugi?

segue pag. 7

ILTEOREMA DELLA PIGNA

Elogio del conflitto di Alessia Cerchia

Penso che non sia un mistero, per chi mi legge ogni tanto su questa Rivista, la forte attrazione esercitata su di me dallo studio del conflitto e delle sue proiezioni sociali. Ovviamente uso il termine

conflitto per indicare quell’irrinunciabile incontro-scontro di idee, cose, persone, che tanta parte ha avuto, ha e avrà nella crescita e maturazione del singolo e della società.

segue pag. 3

Dal 1876 al 1915 furono ben 14 milioni gli italiani che, armati solo di tanta speranza e di una valigia di cartone, lasciarono le proprie case per cercare fortuna altrove. Tra questi c’erano anche Bartolomeo Vanzetti (originario di Villafalletto) e Nicola Sacco, immigrati italiani in America, divenuti famosi in tutto il mondo per la loro vicenda giudiziaria, frutto di razzismo e intolleranza verso gli italiani. Sacco e Vanzetti nel 1920 furono infatti arrestati con la falsa accusa di aver ucciso, nell'ambito di una rapina, un cassiere e una guardia dell'officina di South Braintee e poi furono sottoposti ad un processo senza prove. I due furono infine condannati a morte e uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, nel penitenziario di Charlestown. Sacco e Vanzetti sono stati vittime del pregiudizio sociale e politico e a 90 anni dalla loro morte, possiamo dire che la società d’oggi è migliorata ed ha imparato dagli sbagli del passato? “Come liberarsi dei migranti italiani? Uccidendoli” era il titolo di un articolo sul problema dei migranti italiani del quotidiano “The Mascot” nel 1888.

segue pag. 5 Testamento Biologico

pag. 2

Conflitti ancora aperti

pag. 6

Einstein Freud pag. 4 Conflitti a scuola

pag. 12


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Un uomo tranquillo di Luciano Fico

ISTITUITO IL REGISTRO DEI TESTAMENTI BIOLOGICI Uno degli ultimi atti dell’Amministrazione Brunetti di Bruna Paschetta

….è, infatti, una cosa buona quella che il Consiglio comunale della nostra città, su proposta della Giunta, ha deliberato il 26 aprile scorso, nella sua ultima seduta. Si tratta del Registro dei testamenti biologici a disposizione di quei cittadini racconigesi che intenderanno affidare al Comune la custodia, in busta chiusa con firma autenticata, della loro volontà riguardante le disposizioni da seguire in merito al fine vita, ed in particolare ai trattamenti sanitari a cui essere o non essere sottoposti qualora non fossero più nelle condizioni di esprimere autonomamente la propria volontà. Non vado oltre in questo mio tentativo approssimativo di definire una materia tanto complessa, che peraltro è già stata affrontata in modo esauriente e documentato su questo giornale alcuni mesi fa da G. Meinardi. Saranno quindi ne-

cessari ulteriori approfondimenti sia di tipo tecnico per la stesura e il deposito del testamento, sia riguardanti l’ambiente socio-sanitario che viene coinvolto. La decisione assunta da questa Amministrazione comunale, che si affianca a quella di altri Comuni vicini (Alba, Bra, Fossano), potrà anche contribuire al superamento di troppe remore pseudo-politiche/sociali/religiose che nel Parlamento nazionale fermano il passaggio del testo sul testamento biologico dalla Camera, dove è già stato approvato, al Senato. Va evidenziato ancora che la delibera del Consiglio comunale cittadino riguardo l’istituzione del registro dei testamento biologici è stata presa all’unanimità: una giusta ed esplicita affermazione di rispetto e di considerazione del diritto all’autodeterminazione dei cittadini.

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo numero I temi di grande respiro possono essere sviluppati con parole ma anche con immagini, ce lo hanno dimostrato alcuni grandi fotografi. In questo numero di maggio, nel quale riflettiamo sul grande tema dei CONFLITTI, abbiamo nuovamente chiesto ad Angelo Gambetta di raccogliere una serie di sue fotografie che potessero rappresentare in generale il grande tema dei conflitti, il loro insorgere ed anche la loro risoluzione, le troverete distribuite nel giornale, indipendentemente dall’articolo che affiancano e contraddistinte da una cornicetta nera. Quello che vi proponiamo è un racconto fotografico per leggere il quale dobbiamo farci guidare dallo sguardo e cogliere le sensazioni che SOLO il linguaggio visivo può suscitare.

Fu già un inizio difficile il suo. Nessuno può dire come, ma appena uscito dalla calda tranquillità uterina, Ernesto (così si chiamerà da lì a poco…) percepì un clima che non ammetteva alcun aggravio di emozioni: inghiottì, pertanto, il suo bisogno di gridare a pieni polmoni e si racconta che il suo primo respiro arrivò dopo un largo e stupefacente sorriso. Non andò meglio negli anni successivi, schiacciato tra un padre iracondo ed una madre votata alla sottomissione come scelta di vita. L’immancabile domanda cretina, che segna la vita di molti bambini, lo colse quindi già solidamente preparato: “Vuoi più bene a mamma o a papà?”… “Voglio bene a tutti!”, fu la sua risposta, gettando le fondamenta del mito che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. La sua esistenza non ha mai conosciuto la rabbia e neppure il conflitto aperto: il suo sorriso lo ha protetto, come un mantello magico, da qualsivoglia ostilità. Il sorriso di Ernesto ha attraversato indenne le rabbie premestruali della moglie e le rimostranze del suo avvocato dopo la loro separazione, le ingiustizie subite sul lavoro, due figli adolescenti, una sporca manovra della sorella per sottrargli la casa di famiglia, nonché le immancabili protervie di automobilisti testosteronici e le beghe condominiali. Tutto è sempre scivolato su di lui, senza mai scalfirlo.

Inconsapevolmente la sua vita è diventata una sfida al mondo per dimostrare che lui non perderà l’auto controllo e mai, ma proprio mai, si arrenderà alla rabbia. Anche quando, quel giorno di Marzo, si trovò a lottare con tutte le sue forze contro cinque uomini in divisa, anche mentre respirava l’odore acre del suo sudore, Ernesto continuò a tenere il volto segnato dal sorriso: fu proprio questo particolare a seminare il terrore fra i giovani Carabinieri chiamati a portarlo di forza in Ospedale. Quando il gatto dei vicini era entrato nel suo ordinatissimo appartamento per defecare sul prezioso tappeto di seta indiano, in lui si era rotta una diga e la rabbia era fluita immediata in tutto il suo corpo, gonfiando i muscoli poderosi, costruiti con anni di estenuanti esercizi in palestra di cui nessuno aveva mai compreso il senso. Quando i vicini lo videro scaraventare i mobili in strada, chiamarono il 118… Ora si dice che stia molto meglio, ma molti rimangono perplessi, perché non sorride più come prima… Ernesto ha cambiato lavoro, ha fatto causa a sua sorella e ed è diventato lo spauracchio dell’Amministratore di condominio. Ernesto ha preso un cane e lo lascia dormire sul tappeto di seta. Ernesto si è finalmente innamorato e litiga furiosamente con quella donna tanto amata, per poi farci l’amore come mai ha fatto prima…


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IL TEOREMA DELLA PIGNA

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Elogio del conflitto segue dalla prima

Parlo di quella definizione di conflitto che vi invito a riscoprire da soli, se avete a portata di mano un dizionario di latino: cercando il verbo confligere, la prima traduzione che trovate è “incontrare”, riferito ad un passo scritto da Lucrezio nel suo “De rerum natura” sulla procreazione. Io l’ho letto e mi sono convinta che il conflitto è il principio e la fine stessa della vita, l’alfa e l’omega dell’essere umano e oltre. Dal big-bang è nato l’universo, dall’incontro-scontro di due gameti nasce la vita, dalle esplosioni vulcaniche emergono nuovi atolli, da fallimenti personali nascono idee uniche e geniali. L’homo sapiens è il prodotto più evidente del conflitto: conflitto tra le precedenti “famiglie” umane, tra l’uomo e l’ambiente, tra l’uomo e se stesso. L’evoluzione darwiniana è fondata sul conflitto. L’esistenza stessa di movimento – nel tempo, nello spazio e nello spirito – è fonte di conflitto e il conflitto è il motore del movimento. Non esisterebbe l’uno senza l’altro. A questo punto vi starete domandando cosa c’entrano le pigne. Direi che è una legittima curiosità. Il teorema della pigna l’ho elaborato da poco, pensando e ripensando ad un gruppo di amici che oggi si trova a dover decidere se lasciarsi andare e ricadere nello schema di questo teorema od opporsi ad esso e trovare una strada diversa. Concentratevi allora, insieme a me, per un momento, sulla evoluzione di una pigna. Nasce come manifestazione di vita, di potenza, di creatività dalla sua pianta madre. Se mi passate l’espressione, è un atto di volontà - manifestazione dell’energia vitale della pianta, in cui si concentrano speranze, possibilità e il futuro della pianta stessa. Con il passare del tempo la pigna si ingrossa e arriva a maturazione: racchiude in sé tutta la forza delle sue origini, sotto forma di pinoli vitali, che crescono e maturano al suo interno, fino a raggiungere la loro massima dimensione. A questo punto, però, con la maturazione la pigna tende ad aprirsi: è ancora ben attaccata alla pianta, alle sue origini, alla sua ragion d’essere, ma qualcosa nell’equilibrio iniziale che l’ha portata a nascere e crescere è già irrimediabilmente mutato. E un tale mutamento è connaturato alla funzione per cui la pigna è nata, anche se probabilmente nemmeno lei lo sa:

sviluppare e diffondere l’impulso creativo della pianta d’origine. Probabilmente (non sono una biologa) con la piena maturazione della pigna anche le sue energie, dopo aver raggiunto l’apice tra la primavera e l’estate, cominciano progressivamente a ridursi, nel doveroso rispetto delle leggi di natura. Infine sopraggiunge l’inevitabile, quanto auspicabile destino: il rapporto con la sua fonte creatrice viene meno e la pigna cade a terra. Ciò che mi ha sempre col-

tivo. Fino a quando le energie di tutti i membri originari del gruppo restano alte - alimentate dalla passione originaria - e gli intenti comuni sono chiari e condivisi, tutti i partecipanti si sentono stretti l’uno all’altro e il gruppo è forte, ben “attaccato” a quell’impulso vitale originario da cui tutto è iniziato. Talvolta, in questa fase, il gruppo risulta talmente compatto, concentrato nello spasmodico processo di raggiungimento del proprio obiettivo, da configurarsi proprio come una pigna nei suoi stadi iniziali,

za possibile, nella speranza che ciascuno di loro possa attecchire altrove, dando origine a nuovi progetti vitali, oppure sceglierà di rimanere attaccata alla pianta, trovando nuova linfa vitale dal progetto originario, ormai mutato? La risposta io non ce l’ho, sono curiosa di scoprirla. L’unica riflessione che mi permetto fare, a conclusione di questo mio strano teorema è che, come al solito, non esiste “LA” soluzione, la scelta migliore in assoluto. Sia che i pinoli riescano a trovare un nuovo

pito in quest’ultima fase di evoluzione è che l’impatto al suolo, evento traumatico per eccellenza, è funzionale ed indispensabile per permettere a questo piccolo cono legnoso di raggiungere il suo obiettivo: scagliare i semi che ha portato con sé per così tanto tempo, proteggendoli come un bene prezioso, il più lontano possibile dal suo punto d’impatto e dalla pianta d’origine, disperdendoli a 360 gradi, per donare loro la possibilità di creare nuova energia e dare avvio a nuovi progetti di vita. L’evoluzione di molti gruppi di lavoro, dal mio punto di vista, segue perfettamente le fasi di evoluzione della pigna. Molto spesso i gruppi nascono da persone che si trovano insieme perché spinte da un obiettivo, un desiderio comune, al solo scopo di muoversi compatti verso quel preciso obiet-

dove nulla può entrare e nulla può uscire, in un equilibrio perfetto – ma cristallizzato – di energie. Poi, però, il gruppo matura, gli spazi tra i suoi membri iniziano ad allargarsi e qualcosa inizia a filtrare dall’esterno: i raggi del sole entrano nel cuore della pigna e qualche pinolo comincia a lasciarsi cadere, rivelando spazi vuoti sempre più ampi. Infine arriva il giorno della grande sfida, perché il gruppo ha raggiunto il suo obiettivo o perché, nel percorso verso il suo raggiungimento, i singoli sono maturati in maniere differenti e hanno imparato la lezione che dovevano imparare, a prescindere dall'obiettivo iniziale comune. Cosa sceglierà la nostra pigna a questo punto? Si lascerà cadere e libererà i suoi pinoli, cercando di scagliarli alla maggiore distan-

obiettivo comune, per proseguire insieme il vecchio (ma nuovo) cammino di maturazione, sia che scelgano, invece, più o meno volontariamente, di lasciarsi cadere e avviare nuove esperienza personali e sociali, saranno il tempo e il mondo a trovare i modi più inaspettati per mettere a frutto ciò che hanno fatto fino a qui e ciò che di nuovo potranno fare in futuro. Ai nostri pinoli la consapevolezza (ma soprattutto la fierezza) di aver preso parte a qualcosa di unico e irripetibile che, comunque vada, ha già cambiato il mondo intorno a loro (e loro stessi) e molti altri mutamenti è destinato a produrre, tanto sconosciuti quanto entusiasmanti. A tutti noi la speranza che la nostra pigna trovi nuove sfide in cui trascinarci e nuovi orizzonti da esplorare.


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Sarà mai possibile liberare l’uomo dalla guerra? Il carteggio tra Einstein e Freud – anno 1932 di Isabella Garavagno

Caro Sigmund Freud, c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? Incomincia così la lettera che Einstein scrive a Sigmund Freud il 30 luglio del 1932. Einstein era stato incarico dalla Società delle Nazioni (un’organizzazione simile a quella delle attuali Nazioni Unite, costituita dopo il primo conflitto mondiale con l’intento di promuovere azioni di pace e di giustizia) di aprire un tavolo di discussione su un tema di grande rilievo con un personaggio di fama internazionale. Einstein, pacifista militante, membro della “razza umana” come ama definirsi, scienziato noto in tutto il mondo, sceglie come interlocutore Sigmund Freud, studioso della psiche umana, pacifista convinto; anche lui ebreo. E sceglie il tema del conflitto. Più precisamente il problema di come liberarsi dalla fatalità della guerra. In quell’epoca era diffuso tra gli intellettuali il timore che presto ci sarebbe stato un nuovo conflitto. Il contesto storico era sicuramente difficile: la prima guerra mondiale si era manifestata nella sua potenza devastatrice e in Europa si andavano diffondendo i totalitarismi. E il giorno successivo alla data della lettera di Einstein, i nazionalsocialisti di Hitler sarebbero diventati il primo partito tedesco. Su questo sfondo matura il pacifismo militante di Einstein, sorretto dalla necessità di trovare soluzioni per pacificare il mondo e per scongiurare il ricorso alla guerra, male assoluto da cui l’umanità deve fuggire. Perciò lo scienziato domanda al medico Freud, conosciutissimo nel mondo, se sia possibile, alla luce dei suoi studi sulla vita istintiva umana, trovare metodi educativi che portino a superare la violenza bruta e permettano all’uomo di resistere alla psicosi della violenza e dell’odio. Einstein, che è immune da sentimenti nazionalistici, è convinto che sia necessario dare forza a una

autorità legislativa e giudiziaria con il mandato di comporre tutti i conflitti che sorgono tra i vari stati. Egli non si nasconde la difficoltà di creare un organismo internazionale che sia in grado di far rispettare regole condivise di pace e non si fa molte illusioni sulla classe dominante che può ricavare vantaggi personali, politici, economici da una guerra. Ma quello che lo stupisce – ed è questo il quesito psicologico che pone a Freud – è come sia possibile che le masse si lascino trascinare nelle guerre quando, da una guerra, hanno solo da soffrire e da patire. Certo, Einstein non sottovaluta l’importanza del ruolo della stampa e della scuola nell’indottrinamento della massa da parte della minoranza che è al potere. Eppure questo non basta a spiegare il fatto che la massa si lasci così suggestionare fino ad arrivare all’olocausto di sé. Conosce forse

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XVII RASSEGNA TEATRALE “LA FABBRICA DELLE IDEE” RACCONIGI SALA POLIVALENTE SOMS 12 spettacoli dal 10 giugno al 3 luglio 2017

l’uomo il piacere di distruggere e di odiare? Caro signor Einstein,… amico dell’umanità… Freud risponde nel settembre del 1932 e le sue parole sono dure, lucide e chiare: l’uomo ha pulsioni distruttive, spesso mascherate, che confliggono con quelle di vita. E non c’è speranza di sopprimerle interamente. Da sempre l’uomo ha provato a risolvere i problemi con l’uso della forza, prima solo muscolare e poi sorretta da strumenti tecnologici, e da sempre ha provato a trarne benefici: l’uomo può uccidere oppure può soggiogare il suo simile per sfruttarlo. Diritto e violenza sono per noi – sostiene Freud - termini opposti, ma si sono sviluppati l’uno dall’altro e sempre il diritto deve fare i conti con nuove forme di violenza, con gruppi che si impongono sugli altri, con qualcuno che tenta di erigersi al di sopra degli altri. Ed è proprio per questo che Freud concorda con Einstein sul fatto che ci debba essere un’autorità centrale al cui verdetto debbano sottostare tutti quanti, ma l’impresa è difficile… Uno sguardo alla storia dell’umanità mostra la lunga serie di conflitti che possono aver portato anche all’unità, come la preziosa pax romana. Ma ben presto le unità create si disgregano e nascono nuove rivalità. Perciò, Freud non nutre molte speranze: “Si dice… che in contrade felici dove la natura offre a profusione tutto ciò che vuole l’uomo, ci siano popoli miti. Posso a malapena crederci… Anche i bolscevici sperano di far scomparire l’aggressività, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali, stabilendo l’uguaglianza

tra i membri della società. E intanto si sono diligentemente armati…”. Tuttavia, se non si può abolire completamente l’aggressività, almeno la si può limitare creando legami, relazioni che pur essendo prive di meta sessuale, assomiglino a quelle che hanno un oggetto d’amore. Si dovrebbero creare legami di identità, si potrebbe educare – suggerisce Freud - una categoria di persone dotate di indipendenza di pensiero, cultrici di verità, chiamate alla guida dalla massa. Sicuramente è una speranza, ma forse anche questa è utopistica… Freud, dunque, sembra vedere ostacoli seri e importanti per la realizzazione della pace, ma la sua conclusione lascia ad Einstein – e a noi lettori – un’unica, disperata e insieme ragionevole speranza: è pur vero che la guerra sembra conforme alla natura umana, ma la guerra annienta vite umane, le degrada, distrugge preziosi valori materiali e, la guerra di domani, a causa del perfezionamento dei mezzi di distruzione, significherebbe lo sterminio di uno o forse di entrambi i contendenti. “Tutto ciò – e questo viene scritto da Freud nel 1932 – è talmente evidente che ci meravigliamo che il ricorso alla guerra non sia ancora stato ripudiato… Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal progresso civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più… Nel frattempo - e così conclude - tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra”.


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MICHELA: “Io faccio quello che posso e amo quello che posso fare” I conflitti di una vita “diversa” di Michela Della Valle

Fin da piccolina ho capito che non mi potevo muovere come avrei voluto e che dovevo conoscere come si muoveva il mio corpo. Le persone che credono che io sia stata felice e abbia accettato il mio stato immediatamente, si sbagliano: ho dovuto capire che il mio corpo non si muoveva come quello di una persona normale e poi farmi accettare dagli altri. È stata dura perché le persone di fronte a una tetraparesi spastica rimangono imbarazzate. All’asilo, l’imbarazzo più grosso è stato per me quello di affrontare i bambini che camminavano, giocavano normalmente e cominciavano a conoscere una vita diversa dalla mia. Non riuscivo a capire perché questi bambini erano nati in un certo modo e io in un altro. Non mi è mai piaciuto andare all’asilo, perché non ho potuto fare i giochi che facevano gli altri bambini. Poi, papà dedicandomi il suo tempo, mi ha fatto ragionare e poco alla volta sono riuscita ad amare il mio corpo e ad amare me stessa. Non è stato facile, ma oggi sono ben contenta di aver fatto questo cammino. Ancora adesso non è sempre facile, a volte viene la voglia di fare una gita e ti dicono che non c’è un pullman adatto a te. Papà questo non me l’ha mai fatto mancare, ma solo perché abbiamo la possibilità di usare altri mezzi; vorrei però che la cosa cambiasse per chi non ha i miei mezzi. In passato, ho anche pianto. Mi sono dovuta formare una corazza e, solo crescendo, dopo i tanti tentativi fatti da papà in Svizzera e a New York, ho capito che questa situazione non sarebbe più cambiata. Mi sono guardata allo specchio e mi

sono detta “io sono questa e da oggi in poi devo garantire a papà una minima felicità, quindi chi non mi vuole non mi merita!”. In ambito scolastico, finite le medie, mi sono iscritta all’Istituto Professionale di Savigliano. Lì tutto bene la scuola e l’inserimento con i compagni, un inserimento bellissimo che se tornassi indietro rifarei. Non così l’insegnante di sostegno che si occupava di me: ancora adesso si trova qualcuno che fa lo sbaglio di non volerti aiutare a soffiare il naso. Avevo allora una signora pagata dal Comune, ma anche lei non accettava di assolvere a certe incombenze. Ho versato tante

andare avanti con la scuola. Ho cercato di sfruttare le tante opportunità che mi sono state date anche a casa, però la scuola mi è mancata. Spero che oggi sia cambiato qualcosa e che altre persone non debbano vivere la stessa mia esperienza. Alla fine sono esperienze positive, ma solo alla fine… ma tanta sofferenza ti segna nella vita. Oggi come oggi, io so che sono così e se qualcuno mi manca di rispetto o non si comporta bene con me a causa delle mie difficoltà, guardo agli altri. Ho cercato di creare un augurio di Pasqua “mio”, qualcuno l’ha apprezzato e qualcuno no - ognuno ha la propria libertà di pensiero - ma

lacrime. Papà doveva lasciare il lavoro e venire a Savigliano per soffiarmi il naso e cambiarmi il pannolone. Questo resta il motivo per cui non ho continuato la scuola. È stato un grosso dispiacere per me, perché io sapevo di avere le possibilità di

io faccio quello che posso e amo quello che posso fare. Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che si può fare. Adesso, nonostante che io abbia sempre bisogno di tutti e in particolare di una donna che mi aiuti - e per fortuna c’è - non è più un

problema. Per il futuro prenderò quello che viene. Con le cose che ho sofferto, più di tanto non credo mi possa ancora capitare. La vita certo ti presenta sempre nuovi conflitti: l’importante è arrivare ad accettarsi perché dopo uno riesce ad avere una pace interiore che è difficile spiegare. Io non ho mai messo il mio handicap contro di me e consiglierei proprio di non mettere mai quanto succede nella vita quotidiana contro se stessi. Se avessi cominciato a dire: “Come sto male, come sarà la mia vita… allora chissà. Ho cercato di accettare la realtà. Da piccola immaginavo la realtà come un cartone animato, un fumetto: immaginavo un puffo sulla carrozzina e un altro puffo che ti accettava e ti aiutava. Non ho mai “distrutto” neanche la mia carrozzina. La mia nonna mi ha insegnato a pregare e la ringrazio, mi ha convinta che non è stato Dio a volermi così. I miracoli accadono, ma non è detto che il miracolo sia “alzati dalla carrozzina e cammina”; miracolo può essere che tu riesci piano piano ad alzare un braccio o ad afferrare una cosa dopo tanto tempo e sei apprezzata per questo, anche se per altri può non essere niente. Il fatto che mi sia stato chiesto di esprimere in queste righe i conflitti che ho vissuto, è stato per me una grande soddisfazione: significa che la persona che me l’ha chiesto crede in quello che faccio. Allora uno dice “quello che pensavo è vero, vale proprio la pena di vivere, perché si trovano persone che credono in quello che fai e in quello che dici”.

“Come liberarsi dei migranti italiani? Uccidendoli”

Storie di conflitti e di intolleranze a 90 anni dalla morte di Sacco e Vanzetti segue dalla prima

“Noi i negri non li vogliamo. Non è un consiglio, è una minaccia” è invece il messaggio che alcuni cittadini di Roata Canale (Cuneo) hanno appeso per il paese per evitare di accogliere 24 profughi africani nel proprio territorio. A distanza di quasi 130 anni l’atteggiamento di intolleranza e di rifiuto è lo stesso. Sul tema dei migranti pesano ancora al giorno d’oggi pregiudizi e luoghi comuni: si teme l’invasione, la diffusione del terrorismo, della malavita e delle malattie; si teme che l’emergenza si traduca in minaccia per la nostra economia. In realtà, gli studi confermano che non si tratta di un’emergenza ma di un cambia-

mento geopolitico e demografico strutturale che condizionerà i prossimi decenni; non c’è nessuna invasione in atto nel vecchio continente e le attuali migrazioni

possono essere una risorsa e non un problema. La nascita dell’Osservatorio sull'accoglienza dei profughi, nato da poco a Cuneo e composto dall’associazione di

promozione sociale MiCò, dal presidio cuneese di Libera e dalla Cgil di Cuneo è sicuramente un primo piccolo passo verso un percorso proficuo di integrazione. L’Osservatorio nasce infatti con l’obiettivo di favorire buone pratiche nell’accoglienza, per evidenziare inadempienze, per richiedere un efficace e doveroso sistema di controllo atto a limitare e contrastare le situazioni più gravi e deteriori. A 90 anni dalla morte ingiusta di Sacco e Vanzetti, italiani immigrati, morti a causa del razzismo e dell’intolleranza, il nostro paese e noi tutti cittadini, abbiamo il dovere di intraprendere un percorso di rispetto reciproco e di tolleranza.


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conflittualMENTE

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…a volte i conflitti restano aperti di Elena Mazzone

Rifletto sul conflitto: per certi versi mi sento molto esperta ma, allo stesso tempo, estremamente impreparata. Procedo con ordine: per prima cosa apro il dizionario di italiano, dal latino confligere significa cozzare insieme, combattere. Non contenta ricorro ai dispositivi tecnologici per capire quanti sono i conflitti che si possono innescare tra me e i miei figli; come se non lo avessi già constatato! Ma in termini psicologici, mi dice il computer, che il conflitto indica uno scontro tra ciò che una persona, o il proprio gruppo di appartenenza, desidera e una richiesta interiore, o una spinta sociale che invece impedisce la soddisfazione di quel bisogno. Ma non ho competenze per iniziare le mie riflessioni con questo approccio e così partirò forse in modo disordinato ma assolutamente originale, cioè mio. Per essere una persona che non ama per niente lo scontro, devo dire che nella mia vita il conflitto continua ad avere un ruolo da vero protagonista. Le ragioni sono molteplici e sfaccettate: un divorzio e tre figli adolescenti mi procurano in ogni caso materiale sufficiente a garantirmi notti piene di pensieri stupendi e giornate in trincea nel tentativo di portare avanti un progetto educativo coerente ed una miriade di conflitti che si battono all’interno della mia testa e che scorrono attraverso i miei poveri nervi. Così catalogo i conflitti in due gruppi ben distinti: quelli ‘di serie’ e quelli ‘optional’. Intendo dire che mi sembra impossibile educare ed accompagnare in questa vita dei figli evitando quegli scontri che sono alla base del loro percorso di

TU CREDI?

crescita. Sono passaggi fastidiosi, impegnativi, a volte insopportabili, ma pur tuttavia inevitabili. Gli ‘optional’, invece, sono più sofisticati, non comuni a tutti. Per quanto mi riguarda, considero questi ultimi come dei veri fallimenti. Un matri-

stazione. I conflitti ‘optional’ sono invece degli incidenti di percorso e hanno degli effetti che potrebbero essere paragonati a quelli di un organismo che si riprende dopo una grave malattia ma non senza strascichi. Da questo genere di con-

condati da esempi sulle pagine di tutti i giornali ma, se apriamo un pochino gli occhi, non dobbiamo nemmeno andare tanto lontano per scorgere tanti profondi contrasti. La parola chiave, una parola con la quale mi imbatto sovente quando

monio può finire, ma un conflitto continuo con il padre dei tuoi figli è il vero fallimento del rapporto, che trascende e rende persino insignificante tutto ciò che è venuto prima. Questi due gruppi ben distinti di conflitti hanno quindi, secondo me, dei postumi molto differenti. Nei conflitti ‘di serie’ ci si scontra per costruire, come ho detto prima sono transizioni sgradevoli ma il fine è nobile e l’obiettivo chiaro. Potrei paragonarlo ad un allenamento faticoso, indispensabile però per affrontare una gara e sperare di ottenere una buona pre-

flitti si rimane, insomma, un po’ intossicati. E quindi? Quindi sarebbe bello poter cambiare certe equazioni della vita, per esempio quella che afferma come IO diverso da TE debba per forza diventare io contro di te. Lo scontro sembra essere profondamente radicato nella natura umana e il disperato tentativo di autoaffermazione o il bisogno di controllo ci porta a fare cose che finiscono poi con l’essere più dannose che utili, soprattutto per noi stessi. E purtroppo siamo cir-

mi arrovello su certi ragionamenti è ‘equilibrio’ Mi piace pensare che un individuo benedetto da una condizione di equilibrio interiore sia meno incline a scatenare conflitti e scontri. Purtroppo però è una situazione transitoria: ci si lavora tanto, la si ottiene e poi in un attimo la si perde di nuovo. Ed ecco che si piomba facilmente in un circolo vizioso. Avevano ragione i latini quando dicevano ‘se vuoi la pace, prepara la guerra’? Questo potrebbe essere un buono spunto di riflessione, ma il rischio di perdere il controllo c’è.

Nel ventre di una donna incinta si trovavano due bebè. Uno di loro chiese all’altro: Tu credi nella vita dopo il parto? Certo. Qualcosa deve esserci dopo il parto. Forse siamo qui per prepararci per quello che saremo più tardi. Sciocchezze! Non c’è una vita dopo il parto. Come sarebbe quella vita? Non lo so, ma sicuramente... ci sarà più luce che qua. Magari cammineremo con le nostre gambe e ci ciberemo dalla bocca. Ma è assurdo! Camminare è impossibile. E mangiare dalla bocca? Ridicolo! Il cordone ombelicale è la via d’alimentazione … Ti dico una cosa: la vita dopo il parto è da escludere. Il cordone ombelicale è troppo corto. Invece io credo che debba esserci qualcosa. E forse sarà diverso da quello cui siamo abituati ad avere qui.

Però nessuno è tornato dall’aldilà, dopo il parto. Il parto è la fine della vita. E in fin dei conti, la vita non è altro che un’angosciante esistenza nel buio che ci porta al nulla. Beh, io non so esattamente come sarà dopo il parto, ma sicuramente vedremo la mamma e lei si prenderà cura di noi. Mamma? Tu credi nella mamma? E dove credi che sia lei ora? Dove? Tutta in torno a noi! È in lei e grazie a lei che viviamo. Senza di lei tutto questo mondo non esisterebbe. Eppure io non ci credo! Non ho mai visto la mamma, per cui, è logico che non esista. Ok, ma a volte, quando siamo in silenzio, si riesce a sentirla o percepire come accarezza il nostro mondo. Sai? ... Io penso che ci sia una vita reale che

ci aspetta e che ora soltanto stiamo preparandoci per essa ... Sarà ma io mi fido poco o nulla di quello che non vedo... Estratto dal libro Morfogenia di Pablo J. Luis Molinero


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SPECIALE ELEZIONI COMUNALI RACCONIGI

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I CANDIDATI SINDACO A CONFRONTO A tutto campo al servizio degli elettori segue dalla prima

Partiamo dall’argomento sulla bocca di tutti, l’immigrazione: l’Italia è sia una terra di sbarco e arrivo sia una terra di passaggio per migliaia di migranti disperati, cosa pensa della situazione attuale in Europa e in particolare in Italia?  BISSARDELLA: Le politiche estere degli Stati più influenti stanno sconvolgendo il quadro politico di una parte del medio oriente ed una parte del nord Africa; questo crea movimenti di persone disperate in fuga da guerre e da problemi economici. Bisogna far sì che cambino le regole europee e che non sia solo l’Italia a doversi occupare del problema investendo persone e denaro pubblico. Si dovrebbero quindi creare dei centri di accoglienza già sulle coste di partenza. Si sta anche innescando un business dell’accoglienza che trovo immorale.  BRUNETTI: L’immigrazione non è una situazione nuova, la viviamo almeno dagli anni 90. L’Europa, a differenza dell’Italia, ha una tradizione secolare di colonialismo e avendo avuto questo fenomeno molto prima di noi, non lo sta affrontando in modo corretto. L’Italia, per la sua storia e tradizione cristiana ha un modo diverso di accogliere le persone e Racconigi ne è un esempio dato che è sempre stato un paese disponibile e accogliente verso l’immigrazione.  ODERDA: Vanno fatti due ragionamenti distinti, uno riguarda la disgrazia di chi intraprende questi viaggi incredibili, il secondo che mi sconvolge, è il business che gira intorno a questo fenomeno. È necessaria una presa di posizione da parte di tutti, ma che è di difficile governabilità. L’Europa non dovrebbe spendere soldi solo nell’accoglienza, ma risolvendo i problemi direttamente nelle nazioni di provenienza.  TOSELLO: L’argomento è delicato. Queste persone sono disperate per ciò che hanno sopportato e sopportano tuttora. Ma ciò che io rimprovero alla politica è la mancanza di strategie future. Mi piacerebbe ci fosse una contropartita al costo che sosteniamo per accoglierli come ad esempio l’impegno da parte loro di 3 ore al giorno di lavoro socialmente utile e 2 ore al giorno di studio della nostra lingua e tradizione. In questo modo l’opinione pubblica sarebbe

meno indisposta e loro si integrerebbero meglio. Subito domanda da rischiatutto: secondo lei quanti sono gli stranieri residenti in Racconigi, dati Istat gennaio 2016, (sono 1072 pari al 10.7%) e in Italia invece (5 milioni pari al 8.3%).  Tutti i candidati hanno risposto conoscendo bene la situazione sia racconigese che italiana. Sappiamo che gli immigrati devono sostenere enormi spese per far rientrare le salme dei loro cari nei paesi d’origine, come si comporterebbe se le chiedessero di destinare un’area cimiteriale per seppellirle secondo le tradizioni islamiche?  BISSARDELLA: Assolutamente favorevole, nessuno a livello costituzionale può vietare che qualcuno professi la propria fede e abbia il diritto di seppellire i propri cari in un’area a loro dedicata.  BRUNETTI: L’integrazione avviene soltanto col rispetto reciproco, da entrambe le parti. Quindi sono favorevole, tra l’altro esiste già un progetto, condiviso anche con la comunità islamica.  ODERDA: Se la legge italiana lo permette, sono d’accordo. Le persone che vivono sul nostro territorio hanno diritti e doveri e vanno mantenuti entrambi da entrambe le parti.  TOSELLO: È già prevista, sarebbe un modo per favorire l’integrazione. L’Italia è visitata annualmente da 400 milioni di turisti l’anno (Istat 2015). Anche il Piemonte, grazie alle sue peculiarità enogastronomiche, naturalistiche, culturali sta diventando sempre più meta di turismo. Come vede Racconigi in questa realtà turistica?  BISSARDELLA: Racconigi ha grandi potenzialità essendo strategicamente ben posizionata: si trova a metà strada tra Torino, Langhe e montagne. Non ha però strutture ricettive di livello, si devono quindi agevolare B&B e un uso alternativo delle case sfitte con il sistema di portali come Airb&B che ancora sono poco conosciute dalla comunità.  BRUNETTI: Mi sembra che la ripresa turistica sia avvenuta anche a Racconigi. Il Castello ha ripreso il suo regime di visita, negli

ultimi 2 anni i turisti hanno iniziato a visitare anche la città. Con l’accordo che è stato fatto tra Comune, Castello e guide turistiche c’è un’offerta ampia, che va oltre il Castello, addentrandosi nella città e nella sua storia millenaria, come per esempio la produzione della seta.  ODERDA: Nel 2016 il Piemonte ha avuto un notevole incremento percentuale nel settori agricoltura e turismo. Su quest’ultimo manca però una proposta d’insieme, un marchio di qualità piemontese unico. Racconigi al momento

personali del sindaco sui social network.  BRUNETTI: Credo sia importante implementare l’impostazione attuale che parte dalle guide turistiche, dalla cittadinanza temporanea (progetto sviluppato con il parco del Monviso) che dà la possibilità ai turisti di usufruire di tutti i servizi della città, ottenere degli sconti e poter essere avvisati di tutti gli eventi futuri. Oltre ad avere una storia da raccontare bisogna lavorare affinché il turista si senta benvenuto e accolto.  ODERDA: Data la carenza ri-

NIKO BISSARDELLA età: 44 anni studi: perito meccanico famiglia: fidanzato lavoro: impiegato passioni: fare musica in una band è al palo poiché mancano strutture ricettive e siamo sganciati dai flussi turistici (che si indirizzano a Torino e nell’albese per esempio). Ci vuole quindi un vero rilancio, che può passare per esempio attraverso l’ATL, Le Terre dei Savoia, il sistema delle residenze sabaude.  TOSELLO: Racconigi ha una potenzialità enorme grazie al Castello che può e deve essere il catalizzatore dei turisti anche per la città. Bisogna saper prendere esempio dalle buone esperienze degli altri comuni e occorre affidarsi a dei professionisti per strutturare questo settore. Un buon turismo potrebbe portare un incremento anche agli esercizi di ristorazione e commerciali. Quali sono i suoi punti di forza e quali invece i punti su cui massimizzare le energie per il futuro? Le sinergie tra Castello, centro cicogne e anatidi e centro storico devono essere favorite per poter offrire una buona offerta. Come concretamente?  BISSARDELLA: Tramite l’utilizzo maggiore dei social media e di internet; solo aggiornando costantemente il sito del comune, lo stesso può essere fonte di informazione di iniziative e di manifestazioni. Utili anche le pagine

cettiva di Racconigi, bisogna pensare a come dare un’opportunità completa al turista che vuole passare la giornata intera in città. La combinazione tra attività produttiva e turismo è la chiave di volta per rilanciare uno sviluppo del territorio. Gli esercizi di prossimità devono tornare ad essere protagonisti insieme ad iniziative continuative e strutture di supporto per catalizzare di più le attrattive nella città e nel Castello con l’obiettivo di mantenere un turismo di ritorno. Bisogna anche rilanciare sulle particolarità che abbiamo come per esempio le erbe officinali di cui Racconigi ha una storia e vocazione.  TOSELLO: Il Castello ad oggi ha ancora molte potenzialità non sfruttate come l’armeria, la biblioteca con le sue pergamene ed una importante raccolta fotografica mai esposta. La città deve prepararsi ad accogliere i turisti tramite il futuro museo della seta o con le guide turistiche che ne aumenteranno la visibilità. Dopo l’incognita immigrazione altro dilemma sulla bocca di tutti è l’ambiente, Trump che ritorna al carbone facendo un passo indietro rispetto agli accordi presi alla Cop 21 di Parigi,


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E e l’avvento L A CI di nuove super-

come la Cina SPEancorapotenze troppo legate al com-

bustibile fossile, che idea si è fatto di questo periodo?  BISSARDELLA: I fossili sono le stesse persone che credono nel fossile. Non si può pensare di dover dipendere dal carbone o dal petrolio, fonti legate alle lobby di potere che influenzano le decisioni politiche degli Stati. Ci sono tecnologie all’avanguardia che permettono di produrre e utilizzare energia pulita come l’eolico e il solare senza dover bruciare fonti fossili che producono oltretutto solo effetti dannosi alla salute e all’ambiente.  BRUNETTI: Mai come in questo momento storico siamo vicini a livello mondiale ad una situazione di grande pericolosità, da Trump a Putin al dittatore nordcoreano. L’Europa può avere un ruolo molto importante nel collaborare a stabilire un equilibrio mondiale diverso, ma deve riuscire ad essere coesa e avere una politica economica ed estera comune.  ODERDA: Il ritorno ai combustibili fossili non è una strada percorribile perché sono fonti soggette ad esaurimento. L’ambiente è uno solo e va salvaguardato, le fonti rinnovabili sono il futuro ma la pressione di alcune lobby multinazionali non ne favorisce lo sviluppo. Sono a favore del nucleare come strumento per traghettarci verso questo cambio che mi auguro prima o poi arrivi.  TOSELLO: È un’assurdità tornare al carbone, soprattutto dopo la corsa degli ultimi tempi al fotovoltaico e alle nuove energie. Noi per esempio, avendo il Maira, dovremmo puntare di più sull’idro-

elettrico. Le energie rinnovabili vanno sostenute perché sono un vantaggio per tutti. Sono favorevole anche al nucleare, se è sicuro e conveniente. Uno dei principali problemi dell’ambiente è la qualità dell’aria. La Commissione Europea nei giorni scorsi ha invitato con un “ultimo avviso” al nostro

sero di più gli scuolabus anziché le auto personali. Inoltre bisogna incentivare il trasporto ferroviario facendo forti pressioni sulla Regione per evitare un pendolarismo su gomma.  BRUNETTI: Una delle soluzioni è la deviazione del traffico pesante all’esterno di Racconigi. Per questo son partiti gli espropri per la costruzione della bretella che

GIANPIERO BRUNETTI età: 62 anni studi: diploma famiglia: sposato, 2 figli universitari lavoro: direttore operativo di un’azienda di servizi passioni: la famiglia, leggere e ascoltare musica Paese ad adottare misure di contrasto all’inquinamento da polveri sottili. In Italia lo smog provoca più di 66 mila morti premature (dato AEA). Dalla relazione Arpa del 2015 sull’analisi dell’aria tra novembre e dicembre 2014, con centralina davanti al municipio, sono stati registrati ben 6 superamenti giornalieri (come le peggiori aree urbane della provincia granda di Alba e Bra). Quali soluzioni?  BISSARDELLA: Va rivisto il modo in cui ci spostiamo: cambiando le nostre abitudini e facendo costantemente informazione e sensibilizzazione. I polmoni di tutti i racconigesi ringrazierebbero per esempio se si utilizzas-

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) ITALIA Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684 Email:

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permetterà sia di deviare il traffico all’esterno della città sia di migliorare il funzionamento dell’altra bretella costituendo un anello. L’impianto di teleriscaldamento ha comunque già migliorato molto la qualità dell’aria di Racconigi. La viabilità potrà ulteriormente migliorare una volta trovata una soluzione per il Chiarugi.  ODERDA: L’inquinamento di Racconigi non penso sia legato alle attività produttive che sono ridotte al lumicino, ma piuttosto al riscaldamento degli edifici oppure al posizionamento geografico della città. Il teleriscaldamento credo abbia risolto in parte il problema, ma per trovare delle soluzioni decisive bisogna conoscere bene le cause specifiche di questo inquinamento.  TOSELLO: Manca ancora una parte di tangenziale che eviterebbe il passaggio dei camion e diminuirebbe l’inquinamento. Si deve pensare anche a soluzioni come per esempio il pedibus, il divieto di arrivare con le auto davanti alle scuole o l’incentivazione all’uso della bicicletta per spostarsi in città. Questo però può essere utile solo con la collaborazione attiva dei cittadini e facendo educazione nelle scuole coinvolgendo i bambini in modo continuo. Alcune considerazioni legate alla mobilità ed alle barriere architettoniche, come vede oggi Racconigi?  BISSARDELLA: A Racconigi c’è bisogno di un progetto di qualificazione delle piste ciclabili, in modo che siano interconnesse con tutti i luoghi di interesse della città e bisognerebbe attivare anche il bike sharing: biciclette pubbliche posizionate in posti strategici.

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Ben vengano anche le ciclovie che sono state create.  BRUNETTI: Parecchi passi sono stati fatti per il superamento delle barriere architettoniche, ma bisogna continuare per esempio con la risistemazione di tutto il porfido nel centro storico. Con un progetto di ripavimentazione e con il miglioramento o in parte l’eliminazione dei marciapiedi si potrebbe avere una mobilità più vivibile nella nostra città.  ODERDA: Racconigi ha bisogno di un piano del traffico organico che consenta una buona mobilità in auto e di un parcheggio che possa ospitare in modo definitivo le auto, questo eviterebbe il parcheggio selvaggio e agevolerebbe il passeggio a piedi in città. È anche giunto il momento in cui gli enti si facciano capifila di una trasformazione della mobilità urbana, dando più possibilità per l’uso delle biciclette e proponendo e invogliando il cittadino a nuove forme di mobilità come per esempio le auto elettriche.  TOSELLO: Sono sensibile alle barriere architettoniche, quando sono stato Sindaco ho puntato molto sul loro abbattimento e sull’installazione di montascale in scuole e luoghi pubblici. Per me questo è un argomento di primaria importanza. Le porto alcuni esempi: cosa fare per diminuire il pericolo per i molti pedoni e podisti per Canapile e via Stramiano?  BISSARDELLA: Negli ultimi 10 anni Racconigi ha pensato alle vie del centro dimenticandosi delle periferie e delle frazioni, molti soldi sono stati spesi non considerando la viabilità cittadina. L’esempio sono i 3,5 milioni di euro spesi per la bretella che è inutile, consuma suolo e crea costi futuri aggiuntivi anziché utilizzarli per la sistemazione delle strade esistenti per renderle più fruibili e sicure.  BRUNETTI: Su via Stramiano c’è un progetto, in via di finanziamento, di pista pedonale/ciclabile con l’utilizzo delle strade bianche esistenti che collegherebbe Racconigi a Stupinigi e alla Corona Verde di Torino. Per Canapile non penso che il senso unico sia una soluzione, ci sono percorsi alternativi alla strada asfaltata.  ODERDA: Per via Stramiano occorre sfruttare le strade bianche e secondarie già esistenti; da assessore avevo proposto, tramite finanziamenti europei, il progetto Ciclo Territoire che poi non è stato portato avanti dalla successiva amministrazione. Per Canapile la strada è stretta, non si può fare altro che tratteggiare delle aree di salvaguardia.  TOSELLO: Partendo da via


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Stramiano bisogna riprendere il progetto di collegare la pista ciclabile già esistente alla Corone verde, anche per accrescere il turismo su due ruote. È importante partecipare ai bandi europei per riuscire a far finanziare questi progetti. Per quanto riguarda il Canapile, con l’avvento della tangenziale più comoda per gli automobilisti, la vecchia strada potrebbe essere riservata a chi va in bicicletta o a camminare. E via Priotti? L’accesso pedonale è pressoché occupato interamente da automobili in sosta. Cosa si potrebbe fare secondo Lei?  BISSARDELLA: Bisogna partire dalla civilizzazione e sensibilizzazione delle persone. Oltre a questo, negli orari di punta si potrebbe coinvolgere un vigile oppure si può ovviare con l’installazione di pali lungo la riga bianca per evitare la sosta selvaggia.  BRUNETTI: L’occupazione da parte delle macchine del passaggio pedonale non è facile da controllare perché i vigili sono pochi. Si potrebbe creare una zona di pista ciclopedonale dal lato dove ora c’è il marciapiede e sul lato opposto zone di parcheggio alternate, in questo modo si manterrebbe il doppio senso di marcia e si obbligherebbe anche al rallentamento, aspetto importante dato che un altro problema di via Priotti è la velocità sostenuta. Questo progetto è stato presentato ad un bando regionale sulla mobilità.  ODERDA: Solamente una soluzione organica del traffico ci permetterà di risolvere il problema e va fatta esaminando nel complesso mobilità, parcheggi, strade fruibili ed ergonomiche per cittadini e turisti. Le soluzioni di via Priotti possono essere tante, ma non possono essere disgiunte dal resto della città. Una proposta risolutiva potrebbe essere quella di fare un grande parcheggio, per esempio nel vecchio consorzio agrario provinciale: da un lato libererebbe la città dalle auto parcheggiate e dall’altra creerebbe un parcheggio indispensabile anche per i turisti.  TOSELLO: Viabilità e parcheggi sono una priorità da risolvere e va fatto un ragionamento di viabilità complessivo. Un’ipotesi potrebbe essere quella di un ampliamento del parcheggio di Piazza Luigi Gallo utilizzando l’area dove attualmente è situato il poliambulatorio allargando la piazza e il parcheggio esistente e spostando il poliambulatorio dall’altro lato della strada. Il suolo è una risorsa non rinnovabile che l’uomo, con le sue attività ‘consuma’. Se da un lato l’urbanizzazione si manifesta

in forme sempre più pervasive e complesse, dall’altra il nostro Paese è invaso da case vuote, fragili, dispendiose e insicure come castelli di carta. Perché si è arrivati a questa situazione? E Racconigi? Dopo 20 anni è cambiato il piano regolatore, ma secondo Lei come dovrà modellarsi Racconigi nei prossimi 5 anni?  BISSARDELLA: È stata fatta una variante generale al Piano regolatore, una variante espansiva inutile e dispendiosa, di cui non c’era bisogno dato che la popolazione racconigese non cresce dal 1861.  BRUNETTI: Io penso che Racconigi rispetti l’ambiente e che faccia attenzione al consumo del suolo. Non siamo una città a consumo zero, perché l’amministratore comunale deve porre attenzione a mantenere un equilibrio particolare su tutte le problematiche della città, per questo nel nuovo piano regolatore ci sono aree di espansione, ma limitate. Nel PRG viene favorito il recupero delle zone

Ritiene esistano alternative all'abbattimento del Chiarugi e, in caso affermativo, cosa crede si possa fare in concreto per il suo recupero?  BISSARDELLA: Va intavolata una trattativa seria con l’ASL, che deve assumersi la responsabilità e pagare i danni per tutta la situazione che si è creata intorno al Chiarugi. La nostra costituzione dice che bisogna preservare tutti i beni culturali, quindi bisogna cercare di trovare delle soluzioni diverse dall’abbattimento.  BRUNETTI: Per quanto riguarda il Chiarugi tutto è recuperabile, ma bisogna vedere a quali costi. Purtroppo secondo me né l’Asl né il Comune potranno sostenere i costi necessari per il suo recupero. Il sindaco non è un tecnico e quindi deve occuparsi dell’incolumità dei cittadini, della viabilità e della vivibilità della città. L’edificio in queste condizioni crea solo disagi e quindi c’è urgenza di procedere all’abbattimento.  ODERDA: La città ha consegna-

VALERIO ODERDA età: 52 studi: diploma istituto tecnico famiglia: sposato lavoro: agente assicurativo passioni: sport: ex agonista e istruttore di karate, presidente Lions Club di Racconigi vecchie di Racconigi, adesso bisogna incentivarlo tramite il regolamento edilizio e poi intervenire facendo pagare oneri più bassi a chi recupera.  ODERDA: Questo è sempre stato un argomento di battaglia per me. Indubbiamente se vogliamo che siano riqualificate le aree dismesse bisogna partire con il comprimere le aree di nuova edificazione. Racconigi ha bisogno di una ricucitura in alcune zone, ma non bisogna esagerare, perché non è conveniente, sia in termini economici che ambientalistici. L’eccesso di nuove aree edificabili non dà sviluppo e non incentiva alla riqualificazione. Sono per esempio sempre stato contrario alla costruzione di un nuovo centro commerciale e credo invece nel mercato di prossimità.  TOSELLO: Dovrebbe esserci un incentivo a ristrutturare le case vecchie al posto che costruirne di nuove. A Racconigi ci sono molte case sfitte, in passato abbiamo svolto insieme all’ATC un lavoro di recupero rendendole case popolari.

to nelle mani dell’Asl la propria storia e ad oggi il Chiarugi è una spina nel fianco, l’ente proprietario lo ha restituito alla comunità sotto forma di rudere. È essenziale una presa di responsabilità degli enti proprietari, anche perché ci sono moltissime famiglie danneggiate. Le soluzioni deve indicarcele l’Asl, con i tempi e le modalità.  TOSELLO: Sul Chiarugi si sono perse purtroppo diverse occasioni: sarebbe potuto diventare un albergo grazie a dei finanziatori veneti oppure un campus universitario per ospitare le facoltà di agraria e veterinaria, ma l’Asl ha sempre temporeggiato e perso queste opportunità. Realisticamente ormai non ci sono alternative all’abbattimento, almeno per le parti più pericolose perché nessuno ha i soldi per poter sostenere il recupero e perché c’è urgenza di risolvere i problemi di viabilità intorno all’area. Quale ruolo in concreto può svolgere l’amministrazione sul rilancio produttivo della città? Cosa ha in mente per rilanciare

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l’economia a Racconigi?  BISSARDELLA: La realtà industriale a Racconigi sta cambiando, hanno chiuso diverse fabbriche ed è ora di ripartire. Per esempio dal turismo, con studi seri e contributi importanti per il rilancio di questa attività o dall’agricoltura incentivando per esempio nuove colture in sostituzione delle tradizionali come il mais.  BRUNETTI: Non è facile un intervento dell’amministrazione sull’economia, lo può fare rendendo la città più accogliente e puntando su un incremento del turismo ed anche tramite un piano regolatore che favorisca l’accesso all’attività economica e all’impianto di nuove attività commerciali, artigianali o industriali.  ODERDA: Bisogna potenziare gli investimenti e creare una condizione di sburocratizzazione tale da facilitare l’apertura di nuove attività. Immagino quindi uno sportello dedicato che agevoli e aiuti a crearne. Oltre a questo bisogna lavorare in sinergia con Confindustria, Api e tutte le associazioni di categoria.  TOSELLO: Al momento ci sono poche opportunità, la situazione produttiva è in declino da diversi anni. Il Comune potrebbe offrire o mettere in connessione nuovi compratori con i proprietari di capannoni vuoti.

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Quali sono le esigenze prioritarie delle città di Racconigi che vorrebbe risolvere se eletto?  BISSARDELLA: Le priorità sono quelle che interessano il maggior numero di cittadini possibile. Facendo per esempio dei piani di accantonamento, bisogna tornare ad occuparsi dell’ordinario, a partire dal conosciuto problema della viabilità. Bisogna avere la volontà di capire i cambiamenti a livello economico e sociale che sta avvenendo.  BRUNETTI: Secondo me ce ne sono tante, sia di grandi e importanti, che di piccole e di poco conto e sono queste ultime che influiscono molto sulla vivibilità, come ad esempio le attività sportive, le attività per i giovani, la gestione complessa degli sfratti.  ODERDA: Le scommesse su cui voglio puntare sono il mondo dell’agricoltura che ha un asset importante dal punto di vista economico e della salvaguardia dei territori, l’incentivazione delle attività produttive, il turismo e il mondo dello sport e della fruibilità della città da parte dei cittadini.  TOSELLO: Bisogna essere lungimiranti e lavorare con progetti a lunga scadenza, come per esempio con lo studio iniziale del sottopasso di Via Caramagna. Le cose

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viabilità, la sicurezza delle scuole, la sburocratizzazione degli uffici comunali tramite la creazione di uno sportello unico, il mantenimento e la cura del patrimonio comunale (come palazzetti e impianti sportivi). BISSARDELLA: Lei è l’unico candidato che rappresenta un suo progetto elettorale legato ad un partito politico, come mai secondo lei? Perché il movimento è l’unico luogo in cui si può esprimere qualsiasi opinione, è slegato da interessi personali e quindi riesce ad avere obiettività. Chiunque fa parte del movimento sa che non farà carriera politica e quindi l’obiettivo è esclusivamente quello di fare il bene dei cittadini. Non ci devono

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essere le persone al potere, ma le idee e i metodi, slegati da tutte le logiche politiche a cui siamo stati abituati negli ultimi 70 anni. BRUNETTI: nel gergo sportivo il secondo scudetto è sempre più difficile da raggiungere rispetto al primo, è d’accordo? Dipende dai punti di vista. Secondo me sì perché al secondo scudetto oltre a guardare al futuro, si ha alle spalle il primo e quindi bisogna fare i conti con quello che si è fatto e in questo il giudizio delle persone sull’operato conta moltissimo. ODERDA: La vostra lista si definisce trasversale ed eterogenea, quali le difficoltà e quali i punti di forza? I punti di forza sono le spiccate professionalità e rappresentanze di quello che è l’insieme della collettività racconigese. Siamo un contenitore di idee e non di ideo-

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ADRIANO TOSELLO

età: 74 studi: laureato in fisica e matematica famiglia: sposato, 3 figli, 5 nipoti lavoro: insegnante Uni3 ed ex insegnate superiore di matematica e fisica passioni: letture di tutti i generi logie, tra di noi ci sono molte differenze, sia in termini di età che di professionalità, ma penso che queste diversità siano una ricchezza e non una debolezza. TOSELLO: il suo passaggio in passato da “insieme di partiti” ad oggi come lista civica è una evoluzione ed un bene per Rac-

conigi? Secondo me è stato un bene perché in questo modo ho evitato tutti i legami e le pretese legate ai partiti. All’interno del gruppo nessuno ha pretese, siamo tutti allo stesso piano e lavoriamo in base alle competenze creando dei pool tematici.

Le storie di Mario...

Peru, peru munta su… di Mario Monasterolo

D’estate, qualcuno andava alle colonie; i più, invece, al torrente, che fosse il Maira o il Varaita o il Varin, poco importa, e ancora ci si faceva il bagno, stando attenti ai tumpi che erano traditori; già adolescenti ci si immaginava improbabili Tom Sawyer sulle rive d’un immaginario Mississippi, al quale le doppie rafforzavano il senso di esotico; semplici capanne di frasche diventavano tepee indiani da assediare (gli indiani allora erano “sempre” i cattivi) urlando anche yu-hu Rinti e sperando nell`arrivo del tenente Masters e del sergente O’ Hara. Oppure, si innalzavano ingegnosi vulcani di sabbia umida e, accendendovi sotto un focherello (avendo rubato a casa qualche brichet ‘d bosc) ci si immaginava alle prese con avventure lontane su isole sperdute… In fondo, anche Sandokan era nato così, da fantasie coltivate in riva al Po. In mezzo ai pioppi, un grosso ramo a cavalcioni tra le gambe diventava il cavallo su cui giocare al cavaliere medievale: alla Tv dei ragazzi imperavano Ivanhoe, Ser Lancillotto del Lago e Robin Hood, e ci voleva poco per scambiare un b-ssun con le brughiere di Scozia o la foresta di Sherwood.

Amedo Nazzari / Pugacev e la sua figlia del capitano evocavano romantiche siberie (posto in cui ci si mandava spesso, oltre che ‘n s'la pij auta). Loretta Goggi, la Freccia Nera e la guerra delle rose tra gli York ed i Lancaster ci avrebbero trovati già più cresciuti e scafati. Nel torrente, soprattutto alla fica - ci si perdoni se siamo in… fascia protetta, il fatto è che si pronuncia con una ma andrebbe scritta con due “c” - si pescavano quei pescetti piccoli, che hanno un nome ma non importa quale, che si mangiavano fritti tutti interi, prendendoli dalla coda e portandoli alla bocca dalla testa. Mordendoli crocchiavano, come i grissini. Lungo gli stradelli di campagna, si giocava, così, alla buona, a raccogliere il ciuffo terminale d’una diffusa pianta spontanea, di cui si è perso anche il nome (è l’orzo selvatico), e lo si infilava su per le maniche cantilenando il rituale “peru peru munta su, cala cala mai pì giù”. D’altra parte, quelli erano gli anni in cui “giuanin pet pet sigala a fasija l’aviatur... ” e, mancata la benzina, nel serbatoio ci faceva la pipì… Per far la quale tra l’altro, ma solo

Foto: Soldati 1° guerra mondiale stampata da lastra rinvenuta tra le macerie della ristrutturazione del Setificio Manissero

i maschi, si aveva a disposizione per tutto il paese un’adeguata serie di cippi vespasiani (pissur), nelle due principali tipologie “con o senza ali”. D’estate lavare i panni ai lavatoi pubblici era certo meno pesante che in brutta stagione. I lavatoi erano disseminati qua e là in paese in punti “strategici” ed ogni burg aveva il suo: qui, circondato dai figli, nei giorni di bucato si ritrovava un ciarliero mondo femminile. Usando la brussa, cioè la spazzola di legno con le setole di saggina, tutto veniva insaponato e risciacquato più volte in quell’acqua sempre gelida, e poi portato a casa con i carin o le car-tte, già ben strizzato, in basin di diverse dimensioni, a seconda delle diverse dimensioni della biancheria appena lavata. Strizzare i panni, soprattutto le lenzuola, pesantissime perché inzuppate, era un’operazione che sarebbe piaciuta a Tersicore: la mamma ad un capo girava verso sinistra, all’altro il figlio girava verso destra, et voila, il lenzuolo prendeva la forma di un lungo, bianco e grondante turcett prima di essere infornato. Questa incombenza era considerata sufficientemente virile; la vera tortura per i maschietti era aiutare le madri a dipanare le matasse di lana per farci i gomitoli. Una volta lavata, la roba (concetto caro a Pavese oltre che a Verga) veniva stendua, o sulla lobia, o nel cortile: qui su lunghe distese di fili legati ai due terminali ad un sostegno bello solido, e tenuti su a intervalli più o meno regolari da puntaj ottenuti da robusti rami biforcuti. Accanto a lenzuola e federe, si esibivano senza gena indumenti e biancherie assai “vissuti” e la cui vetustà era documentata soprattutto dalla varietà e dimensione dei rammendi. Rammendare (tacuné) era un’arte molto coltivata; mamme e nonne trascorrevano parecchie ore ad occultare con grazia buchi e sfrangiature in calze (con l’apposito uovo), mutandoni, maglie di lana, camisole, sottovesti, camicie di stoffa ruvida; o a rivoltar colletti e polsini... Chi vi si trovava comodo, i panni li lavava alla bialera, e allora ci voleva lo scagn; e dato che i sistemi fognari erano quelli che erano, al contatto diretto con la maleodorante sostanza era per tutti più facile capire il sottile significato di merda munta scagn, dove, una volta salita, o a spussa o a fa dan.


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“25 APRILE 2017” LA RESISTENZA 70 ANNI DOPO Tra qualche giorno sarà ricordato il “25 Aprile 1945”, anniversario della “Liberazione”, del ripristino dello stato democratico. Un altro “25 Aprile”, ma quanti! Sono un vecchio partigiano protagonista di quei lontani avvenimenti ma ormai per me è come se il fiume della vita accelerasse verso il traguardo che non vedo ma che intuisco dietro il tramonto di ogni giorno. Pensavo di finire in bellezza ma purtroppo le mie giornate sono piene di annunci di orizzonti foschi, di promesse di sacrifici, di possibili fallimenti da allontanare. Non mi stupisco più di tanto ma tutto questo mi fa pensare ai giovani sempre meno tutelati, a un futuro che mai avrei immaginato. In questo buio, in questa nebbia che rende tutto precario, compreso il posto di lavoro, avremmo bisogno ancora di quelle tante persone straordinarie che ho conosciuto lungo la strada della mia vita, persone, a dirla con una espressione che non va più di moda, che “hanno messo la faccia”, si sono sempre esposte in prima linea, protette dalla loro onestà, dirittura morale, scelte senza misure, attente ai diritti dei meno tutelati. Certo, si dice, erano altri tempi, oggi tutto è cambiato, ma il loro esempio resta lì a ricordarci che le battaglie per i diritti occorre farle innanzitutto con la faccia pulita e soprattutto per gli altri e non solo per noi stessi e senza troppo clamore.

A DESTRA DELLA SINISTRA O A SINISTRA DELLA DESTRA? Qualcuno dice che non ha più senso parlare di Destra e di Sinistra in ambito politico. Continuo a credere, però, che la confusione non aiuti. Sinistra e Destra non sono due tifoserie. Sono insiemi di valori, di priorità, di punti di riferimento diversi, molto diversi. Oggi fatichiamo a chiamare le cose con il loro nome. Ma ci sono visioni del mondo lontane. Per questo fatico a capire certe alleanze. Con riferimenti divergenti

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Certo sarò un po’ noioso a ripetere queste cose ma nel chiasso di questi tempi forse è il momento di riflettere sul futuro con un occhio al passato, un passato che ha ancora qualcosa da insegnarci. Io ormai sono vecchio ma riesco ancora a sorprendermi, ad interessarmi agli eventi che mi scorrono davanti ogni giorno, lasciandomi coinvolgere nell’avventura del vivere. Non so più dare risposte ma ancora mi faccio domande e nelle lunghe solitudini rivivo la mia infanzia e mi viene da pensare a coloro che in questo mondo super erudito, super tecnologico sono ancora senza una casa o un posto per dormire, senza un lavoro, che si sentono pietra di scarto davanti ai monumenti della sicurezza altrui. L’odore nauseante del denaro sovrasta quello pungente della povertà e degli affetti e mi chiedo: quale lezione si può apprendere da questa crisi, non solo economica ma soprattutto morale, quale senso hanno ancora le parole, in questi anni tanto declamate, come: Democrazia, Libertà, Diritti… Le risentiremo ancora nella ricorrenza del prossimo “25 Aprile”, ma per noi, per me, saranno vuote di quel significato in cui abbiamo creduto e combattuto non solo come partigiani. Racconigi, aprile 2017 Beppe Marinetti, “Pepi”

si può anche fare opposizione insieme. Ma si può governare insieme? E se sì, a quale prezzo? In questi anni abbiamo visto impavidi e puri paladini della Sinistra non abbassarsi a cercare di migliorare le cose, pur avendone le possibilità, per non contaminarsi con una maggioranza da combattere. Li abbiamo visti tenere addirittura all’oscuro i propri compagni sulle possibilità che venivano loro offerte per mettere mano direttamente alle questioni amministrative. Quegli stessi paladini oggi accettano di contaminarsi con quanto di più lontano politicamente ci sia per cercare di andare a governare (?) (e lo fanno nuovamente fregandosene dell’opinione di tanti compagni). Se fossero in Francia avrebbero votato Le Pen? Cosa hanno fatto, di Sinistra, questi paladini, in questi anni, oltre ad indignarsi? Essere Sinistra, a mio modesto parere, vuol dire alzarsi sempre un po’ più presto alla mattina, per cercare di dare dignità a chi fatica di più. E questo l’amministrazione uscente, pur tra mille difficoltà, l’ha fatto. La Sinistra è lì, il resto sono opportunismi. Melchiorre CAVALLO

Cari Amici, dopo molti dubbi ho deciso di ripresentare la mia candidatura alle elezioni Amministrative dell’11 giugno. Chi mi conosce e mi è vicino sa che la decisione è stata sofferta. Non certo per il venir meno dell’interesse verso questa città a cui tanto tengo, bensì per l’impegno, il tempo e i sacrifici che questo ruolo richiede. Cinque anni fa, quando decisi di candidarmi con Giampiero Brunetti, scrissi una lettera al mio piccolo bimbo, che allora aveva appena un anno e mezzo, spiegando le ragioni della mia scelta. Ora il mio bimbo, con i suoi sei anni, non è più così piccolo e, come ogni bimbo, giustamente reclama sempre più il suo papà. La scelta non è quindi stata facile. -In questi cinque anni ho cercato e credo di esser riuscito a conciliare famiglia, lavoro e Comune, anche se spesso a fatica. Nonostante questo, l’interesse per Racconigi e la continuità nel lavoro svolto con Giampiero e i miei amici di Giunta mi hanno fatto scegliere. La volontà di continuare, oltre che dall’amicizia che mi lega a Giampiero e a tutta la squadra, deriva dal voler completare il lavoro sui rifiuti, rispetto ai quali tanto è stato

fatto ma tanto c’è ancora da fare e migliorare, oltre che dal voler lavorare alla realizzazione di una città più innovativa, più sostenibile, più vivibile per le persone e soprattutto per le famiglie. Il far parte di un gruppo ricco di giovani, aperti, ricchi di idee, non timorosi di esporsi e andare controcorrente pur di cambiare nel meglio la realtà che li circonda, ha fatto il resto. Non faccio promesse. Non ne ho mai fatte. E credo che una persona seria di questi tempi non dovrebbe farne. Posso solo promettere di impegnarmi così come ho fatto finora e di farlo al meglio delle mie possibilità, come e finché sarò in grado di farlo. E lo faccio perché penso che alla fine ognuno di noi deve dare qualcosa alla propria comunità, alla propria gente, al proprio Paese. Non si può solo chiedere e ricevere. Il mondo in cui viviamo è quello che noi creiamo, col nostro lavoro, le nostre passioni e spesso i nostri sacrifici. Se riusciamo a trasmettere questo ai nostri figli sono convinto che il domani sarà migliore. Questo spiegherò, questa volta a parole, al mio piccolo grande bimbo. Un saluto a tutti. Luca MEINARDI


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IL CONFLITTO DELLE NOSTRE MASCHERE Chi litiga davvero? Dubbi sul conflitto, a partire dalla scuola di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Quante litigate nella classe seconda C! Soprattutto le bambine sono terribili: riescono a ferirsi con frasi perfide, toccando il punto debole dell’amichetta improvvisamente passata dalla parte del nemico. Potremmo non farci caso, forse, ma…quale miglior occasione educativa ci viene offerta? Devo confidarvi che le strategie messe in atto dal team degli insegnanti sono tantissime: dapprima un grande lavoro per provare a “entrare nei panni” dell’altra persona, poi la creazione di uno spazio individuale dove i due contendenti possano raccontarsi con calma insieme ad un adulto, tentando di far ordine nel caos emotivo che li domina. Da ultimo, sperimentiamo quello che io chiamo il “Metodo Grazia” perché lo adottavo a casa quando le mie ragazzine preadolescenti erano decisamente “toste”. I miei alunni lo conoscono benissimo e lo apprezzano molto, anzi, me lo chiedono. I due contendenti vengono portati in uno spazio isolato e tranquillo nel quale devono restare fino a quando non si sono chiariti e scusati vicendevolmente. È impressionante vedere l’efficacia di questo metodo (quasi quasi gli metto il copyright!) I bimbi non fanno una piega: vanno nell’interspazio, una stanzina tutta a vetri con un tavolone, qualche sedia e una lavagna; io chiudo la porta e loro restano lì, soli, fino a quando il conflitto non è concluso. Solitamente ho appena il tempo di rientrare in aula che loro bussano alla porta e chiedono di entrare: tutto risolto! “Siete sicuri? Ditevi tutto quello che avete da dirvi nell’interspazio, perché in classe non potrete più litigare”.

Caro Sacha,

“Tranquilla maestra, ci siamo spiegati. Io le ho chiesto scusa e poi lo ha fatto lei; abbiamo anche scritto alla lavagna, se vuoi vedere”. Come mi piacciono i bambini! Veloci, determinati, senza paranoie. Risolvono guerre mondiali in quattro e quattr’otto, poi… amici come prima, anzi più di prima. Vado a leggere sulla lavagna: “Non volevo dirti quella parola cattiva, ma mi hai fatto arrabbiare tantissimo” e sotto “Mi dispiace, non ho pensato a quello che dicevo perché ero anch’io arrabbiata”. Fatto. Finito. Senza intermediari! Ogni volta che uso il “Metodo Grazia” ho la conferma di un’ipotesi che da tempo mi stuzzica: e se tutte le litigate del mondo, non solo a scuola, ma anche tra gli adulti, non fossero altro che una performance teatrale per dare risalto alle proprie maschere? E se l’essere umano, quello vero, nella sua essenza profonda non avesse nessun bisogno di confliggere? Guardate, ogni qual volta la relazione umana entra in una dimensione “vis a vis”, gli occhi che si guardano reciprocamente colgono qualcosa di diverso dell’altro: non più la sua rabbia, il suo odio, la sua distanza, ma qualcos’altro nascosto sotto la maschera. L’essenza della persona. Ricordo una testimonianza del bellissimo docufilm HUMAN: un soldato raccontava d’essersi trovato con gli occhi incollati a quello del nemico, loro due soli, pressappoco la stessa età. Quello sguardo era riuscito a toccare corde profonde, sciogliendo l’idea su cui si fondava la rappresaglia. La guerra, dopo, non aveva più nessun sapore. Non era successo così nella tregua di

ho pensato molto a te nei tuoi giorni difficili. Avrei tante volte voluto incontrarti e guardarti nel profondo degli occhi come quando eri bambino. Ma oggi, accompagnandoti al funerale, sono smarrita come tutti: come si può morire a 32 anni? E mentre questa domanda collettiva si alza verso il cielo, senza risposta, sorge in me il desiderio di alzarmi in piedi per dirti “Grazie”. Grazie d’ esser stato su questa terra, anche se per poco tempo. Ti ho accompagnato ogni giorno dai 6 anni agli 11. Ero la tua maestra di italiano. Tu eri un bambino bellissimo, riccioloni biondi e occhi azzurri. Ricordo la tua vivacità, la tua energia. Ti accendevi come un fiammifero per un nonnulla, ma avevi una tenerezza infinita nel cuore. Ricordo che eri difficile e dolce allo stesso tempo. Non è stato facile farti scuola, ma è stato bello! Quando eri sereno, ridevi volentieri e tutta la classe si riempiva della tua luce. Ho pensato che di fronte alla morte non importa la quantità di tempo che abbiamo vissuto. Quello che resta davvero in coloro che ci hanno conosciuto sono gli attimi di luce che lasciamo sulla nostra

Natale del 1914? Eh sì, ammettiamolo, non capita solo ai bambini. Nella vita si cambia, ci sono anni in cui sembra impellente il bisogno di confliggere: la litigata crea energia, carica di adrenalina, fa sentire vivi. Per questo molti non vi rinunciano. Ma chi è che litiga? La persona o la sua maschera? Poco fa mi è successo di essere aggredita in pubblico, travolta da una martellata di frasi aggressive. Sapendo di non aver nulla a che ridire con la persona in causa, finito l’incontro, la chiamo e le chiedo di parlare un momento, “vis a vis”. Come accade ai bimbi, si ripete identica la stessa magia: gli occhi miei incollati ai suoi… “Che succede? Non capisco tanta aggressività, cosa ti ho fatto?” E la maschera “dura” si scioglie come burro al sole. Emerge una persona dolce, confusa.

Piano piano il castello che s’era montato perde ad uno ad uno i suoi mattoni. “Non ti conosco, nulla di personale, mi sembri persino una bella persona, ma pensavo ...” – risponde. Cos’è allora il conflitto che attanaglia il nostro mondo? Sarà forse un gioco di potere, quello a cui le nostre maschere non intendono rinunciare? Alcuni saggi di ieri e di oggi lo hanno dimostrato col loro comportamento: l’uomo non ha bisogno di confliggere per far brillare la sua bellezza, a meno che… a meno che non abbia ancora compiuto quel passo evolutivo importante che permette di cogliere l’interconnessione tra gli esseri, quel legame che affiora nell’incrocio di sguardi, quando nell’altro si riconosce la propria essenza. Accade spesso con il proprio cane, lo avete sperimentato, vero? Volete allora che non accada con l’uomo?

strada. E tu caro Sasha ne hai lasciati molti tra i ricordi che ho! E mentre questa tua esistenza si trasforma, provo a comprendere il tuo percorso, come se tu avessi scelto di venire al mondo su una strada faticosa e difficile, imboccando sentieri inconsueti, provocatori e a volte destabilizzanti per lasciarci tutti un po’ così, soprattutto coloro che molto ti hanno amato, frastornati dal tuo passare, dal sole e dall’ombra che si alternavano nella danza della tua vita. C’è sempre un perché dietro ad ogni percorso. C’è sempre un senso in ogni esistenza. La luce che emergeva da te nei giorni di pace era grande, più luminosa che mai; forse l’apprezzavamo perché non era costante. Sarà per questo che era molto bella. Le cose rare e difficili sono sempre le più preziose… La tua maestra Grazia


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Lorenza (o dell’amore in extremis) di Giulio Siccardi

Mi sveglio disteso sulla schiena. Ho un peso addosso, non riesco a muovermi. Gli occhi non si aprono, sembrano incollati da qualcosa di viscido, le orecchie fischiano, e ogni respiro è una fitta: l’aria è rovente, piena di polvere e d’un fumo acido che mi fa venire in mente i fuochi artificiali. Provo ad alzare la testa. “Stia fermo!” sussurra una voce. “Chi è?” chiedo, ma dalla gola non esce niente. Mi sposto forse di un millimetro. “Vuole stare fermo?” “Cos’è successo?” sussurro. “Lei chi è?” chiede la voce. Chi sono? Dio mio, per un attimo non me ne ricordo! “Sono il barista” dico. “Quello con i baffetti?” Al bar ristorante Obicà di Milano Malpensa (orario 4 - 22, servizio esclusivo di take away e mozzarella box), solo io porto i baffi. “Quello” rispondo. “Io sono la suora.” La suora! “É a lei che stavo facendo il cappuccino?” “Credo di sì.” La suora… Era lì al banco, grassa, vecchia, sudata, e io mentre montavo il latte avevo toccato un ginocchio di Ivana e le avevo detto in un orecchio: “Sfiga della suora!” Roba da prima elementare, ma Ivana ride per niente. “Cos’è successo?” bisbiglio. “Una bomba, credo.” “Vuole dire una bomba tipo Bruxelles?” “O Bataclan, se preferisce.” In lontananza si sentono urla, colpi. “Lei ci vede?” chiedo. “Perché?” “Vorrei sapere se stanno arrivando.”

“Non ne ho idea. L’unica cosa che vedo è il suo orecchio.” “Senta…” bisbiglio “non potrebbe spostarsi un po’? Mi sta schiacciando…” Mi sembra di sentirla ridacchiare. “Vuole dire che sono pesante?” “Si figuri, però…” “Bene” dice lei. “Allora è meglio che stia fermo.” Il suo grosso seno mi pesa sul petto; la testa deve essere accanto alla mia. “Non ha paura di morire?” chiedo dopo un po’. “Certo che ho paura.” “Non è sicura di andare in paradiso?” “Eccone un altro,” dice. “Cosa vuole che ne sappia, del paradiso!” Una suora! “Non ha paura di offendere Dio parlando così?” Stavolta ridacchia davvero. “Credo che Dio sia più spiritoso di lei.” I colpi sono vicini, ormai. “Ci vedremo dall’altra parte?” “Non lo so” risponde. “Però ci siamo visti da questa. Magari è sufficiente.” Qualcosa mi copre la faccia, poi un colpo, e il suo seno sussulta. “Puliscigli gli occhi dal sangue” dice una voce quando mi sveglio di nuovo. “Tranquillo, non è il suo. Puoi dire all’autista di spegnere la sirena.” “É il barista nascosto sotto la suora?” “Già.” “Un bel culo.” “Davvero. Non spuntava di un centimetro, da sotto la tonaca.” “Guarda, ha delle forbici in mano.” Stavo aprendo il latte, vorrei dire, ma devo avere qualcosa in gola.

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Cortocircuito di Margherita Pirlato

Tempo fa ho conosciuto una strana coppia, lui si chiamava Corto, lei Circuito. Non ricordo chi me li presentò ma mi pare che fossi ad una cena di beneficenza per qualcosa o qualcuno. Corto era un tipo solare e prendeva la parola spesso, Circuito anche lei non era una che finisse facilmente a corto di argomenti: era piacevole ascoltarli insieme. Una cosa in particolare mi colpì di loro: avevano la capacità di non darsi mai sulla voce. Sembravano conoscere il tempo, il ritmo l’uno dell’altra, e davano la sensazione di non avere mai urgenza di dire la propria prima dell’altro. Era stupefacente, poi, come riuscissero ad esprimere opinioni così diverse senza arrivare mai ad alzare il tono della voce: ti chiedevi come facessero, così lontani fra loro nelle idee e nel modo di

vedere la vita, a non litigare mai. Un po’ di tempo dopo quella cena incontrai al bar vicino casa la mia amica Led. Led è una in gamba, sembra avere il dono di scrutare dentro la mente delle

persone e di vederci chiaro. Anche lei era a quella cena dove avevo conosciuto Corto e Circuito, le chiesi perciò se aveva rivisto i due e come stavano. Mi rispose che si vedevano spesso,

che abitavano nel medesimo quartiere. Presi coraggio e le domandai quale fosse secondo lei il segreto che faceva funzionare così bene quella coppia e lei mi raccontò che non era sempre stato così; disse che un tempo litigavano spesso e facevano scintille ogni volta che discutevano di qualcosa. Erano stati tempi molto bui! Solo dopo molti tentativi avevano compreso quale fosse la loro strada: tenere una giusta distanza. Da quel giorno ognuno seguiva i propri fili e l'altro non interferiva. Erano diventati una coppia brillante, Led stessa, diceva, ne era rimasta illuminata... Guardai l’orologio e mi accorsi che era diventato tardissimo! Salutai Led e mi affrettai verso la mia automobile. Un’altra giornata di lavoro stava per iniziare!


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Maria è stanca di Maria Luisa Busso

Da giorni dedica il suo (poco) tempo libero a riordinare la soffitta, uno di quei lavori che ci si ripropone sempre di fare finendo poi, inevitabilmente, per rimandarlo a tempi migliori. Alla sua età, la fatica inizia a pesare. Ha deciso di prendersi una pausa: cioccolato e caffè, seduta sul divano, le gambe ben alzate nel tentativo di recuperare un po’ di forze. Tra le mani, una vecchia cartellina impolverata che ha deciso, impertinente, di evadere dallo scatolone di ricordi in cui era stata imprigionata, molti anni addietro. Affiorano memorie della gioventù, diari che raccontano di compiti e amicizie lontane, pagelle e qualche tema dal titolo bizzarro, che le ricorda quanto amasse scrivere. Uno, in particolare, che credeva sepolto per sempre in qualche cassetto impolverato ed ora è di nuovo davanti a lei. Lo sfoglia con dolce malinconia. Ogni pagina racconta qualcosa di sè, nascosta dalla fredda veste del saggio critico. Non osa pensare che sono trascorsi decenni, ormai. Sospira, iniziando a scandire le parole nella sua mente. “Quando pensiamo alle cose importanti che ci accompagnano lungo tutto il cammino della vita, a venirci in mente sono, soprattutto, quelle piacevoli: gli amori, le amicizie, le emozioni trasmesse da una bella canzone o dal ricordo di un momento piacevole. Forse anche il ricordo della festa di compleanno di questa sera accompagnerà la mia vita. Tendiamo spesso, quasi fosse una reazione automatica, una forma di difesa, a dimenticarci dei momenti vissuti in conflitto, sia con gli altri che, soprattutto, con noi stessi. Inevitabilmente, finiamo per associarlo all'idea dello scontro, della tensione tra bisogni e visioni inconciliabili, della prevaricazione dell'uno sull'altro su uno sfondo manicheo di bianchi e neri. È un equivoco che nasce, frequentemente, da una visione distorta dei legami affettivi e che interessa dapprima il nostro processo educativo familiare, per poi estendersi, a macchia d'olio, in ogni settore della nostra vita relazionale, dai rapporti di coppia a quelli con gli amici e coi colleghi di lavoro e un domani sarà così anche

per i rapporti con i miei figli. Ne cadiamo vittima, in particolar modo, proprio quando ci prodighiamo attivamente nel prestare attenzione ai bisogni degli altri e nel cercare di soddisfarli al meglio delle nostre possibilità: nel momento in cui gli altri manifestano desideri diversi da quelli che ci attendiamo da loro, entrando in conflitto con noi, ecco che subentrano, inesorabilmente, sentimenti di smarrimento e rabbia, e sentiamo farsi largo in noi quell'ingratitudine tipica di chi vive il conflitto come mancanza d'amore da parte dell'altro. Quante volte, infatti, ci scopriamo a dire: “Come può litigare così, con me, dopo tutto quello che ho fatto per lui?”, ricercando, nelle relazioni, una perfezione artificiosa che non contempla litigi e scontri. Si tratta, tuttavia, di uno dei malintesi più pericolosi tra quelli che possono insinuarsi nel nostro modo di pensare. Solo attraverso il conflitto, infatti, riusciamo ad affermare quelli che sono i nostri bisogni più veri e profondi. Solo attraverso l'incontro-scontro con l'altro, possiamo costruire in maniera sincera la nostra identità, assecondando ciò che siamo veramente. Abituare noi stessi ed i nostri cari ad evitare il conflitto in nome del quieto vivere non è

soltanto dannoso, ma altresì inutile: la nostra essenza più autentica troverà comunque un modo per emergere, persino nel sonno, quando abbassiamo la guardia. Nel frattempo, avremo consumato più energie di quelle necessarie ad un incontro sincero con l'altro, dimenticandoci che gli affetti più importanti sono proprio quelli pronti ad accoglierci nella nostra autenticità. Sia benvenuto il conflitto, allora, vissuto nel reciproco rispetto e amore, quale espressione di quella dialettica profonda indispensabile per crescere nel rispetto della nostra autenticità”. Una macchina di passaggio rompe il silenzio e scuote Maria dal tuffo nel passato. Chiude gli occhi, quasi a trattenere tutta se stessa. Non c'è più, in lei, quel bisogno di lottare a tutti i costi per capire chi è. Avverte, finalmente, una serenità nel suo profondo. Non sa se è frutto dei conflitti della sua vita, con se stessa e con gli altri, ma sente che ora può lasciare andare ciò che non è realmente importante. Riapre gli occhi, e sorride. Ritornando in soffitta, spezza un altro pezzo di cioccolato dalla barretta e lo mangia, appagata e leggera.

VIA CRUCIS AL CENTRO D’ACCOGLIENZA

Vi presentiamo il testo preparato e poi letto dagli ospiti del Centro alla quinta stazione della Via Crucis lo scorso 14 aprile. Ringraziamo Matteo Monge, responsabile della cooperativa Liberi Tutti che ospita presso l’ex albergo Carlo Alberto di Racconigi una cinquantina di ragazzi di diverse nazionalità, Nord Africa, Afghanistan, Siria…, per averci concesso di pubblicarlo. Lettura del brano di VANGELO: quante vite ridotte in brandelli dai giochi di potere . Abbiamo provato disperazione, pensavamo fosse la quante donne lacerate sulle nostre strade .... fine. Giovanni 19,23-24 quanti bambini sbrindellati dai mercati economici… Dopo molte ore ci hanno salvati. I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, prequanti giovani strappati dalle loro famiglie… Ora qui ho iniziato a RICUCIRE la mia dignità. sero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per quanti anziani scuciti dai loro vissuti… Io sono HAFEEZ non posso dimenticare quando il ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era quanti uomini lacerati dal 1oro passato e obbligati a mare ha STRAPPATO i miei amici più cari. È stata senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo da cima a fare viaggi in attesa di ricucire qualcosa… una situazione molto triste e di dolore per me. fondo. Perciò dissero tra loro: non stracciamola, In questo CENTRO DI ACCOGLIENZA per RAOra qui ho iniziato a RICUCIRE la mia dignità. (pausa di silenzio e due ragazzi stracceranno un GAZZI RICHIEDENTI ASILO vogliamo riflettere, Questo è un pezzo di umanità che geme soffre e con pezzo di stoffa) ma tiriamo a sorte a chi tocca. pregare, sentire forte il grido di un'umanità che urla noi prega il proprio Dio affinché l'uomo smetta di laCosì si adempiva la Scrittura: il suo dolore e la sua disperazione cerare, tagliare, strappare la dignità di tutta l'umanità. “Si son divise tra loro le mie vesti Io sono FARRUK, mi sono STRAPPATO dal Preghiamo: a te o Dio affidiamo le lacerazioni del e sulla mia tunica han gettato la sorte. Pakistan, ho attraversato 8 paesi dove non sono stato nostro mondo, le guerre che stanno insanguinando i E i soldati fecero proprio così.” accolto bene. Non avevo né cibo né un letto. nostri paesi di origine, le famiglie a cui siamo legati Riflessione Ora qui ho iniziato a RICUCIRE la mia dignità. ma da cui siamo stati strappati, i morti che abbiamo Io sono ADEEL in LIBIA la Polizia mi ha STRAPincontrato nei nostri percorsi… donaci la forza di Il verbo su cui desideriamo riflettere è il verbo PATO soldi, documenti, telefono, la mia identità. credere che questa sofferenza non sia inutile e fa che stracciare .... Un mio amico non aveva nulla: gli hanno sparato ogni uomo qui presente sia ago per saper ricucire le ridurre in brandelli un tessuto, lacerare, sbrindellare, davanti ai miei occhi. lacerazioni che vive o che vede vivere. scucire, rompere, rendere inutilizzabile… Preghiera conclusiva di don Maurilio. sono tutti sinonimi di quel verbo che Giovanni utiliz- Ora qui ho iniziato a RICUCIRE la mia dignità. Io sono NASSEM durante il viaggio in mare dalla Musica di sottofondo e consegna di ago e filo menza nel passo di Vangelo letto e che ci fanno riflettere Libia ci hanno STRAPPATO il motore del barcone. tre la gente esce. su quelli che sono gli stracci di oggi…


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Riceviamo e pubblichiamo

Riceviamo e pubblichiamo

IL COMUNE DI RACCONIGI HA ADERITO AL BANDO REGIONALE SUL COMPOSTAGGIO DOMESTICO

COMUNE DI RACCONIGI

Il Comune di Racconigi ha comunicato di aver aderito al Bando della Regione Piemonte che prevede la concessione di contributi per progetti di riduzione della produzione di rifiuti attraverso la diffusione dell’autocompostaggio, effettuato da utenze domestiche e non domestiche. Il progetto presentato dal Comune prevede una spesa di circa 22.000 euro coperti, in caso di accettazione, per l’80% dal contributo regionale e per il 20% dal Comune. Esso si articola in diverse iniziative: a) campagna comunicativa attraverso pieghevoli, locandine, manifesti ed incontri pubblici per fornire informazioni sul compostaggio; b) individuazione e formazione dei “Mastri compostatori comunali”, personale volontario e del Comune con la funzione di referenti territoriali per le attività legate al compostaggio; c) progetto pilota di compostaggio comunitario rivolto a condomini, ristoranti, agriturismi e altre utenze commerciali che somministrino pasti ai clienti; d) monitoraggio, verifica e controllo delle famiglie iscritte all’albo compostatori. Il progetto rientra tra le numerose iniziative che l’Amministrazione Comunale ha portato avanti in questi anni, grazie alle quali si è arrivati a differenziare il 75% dei rifiuti e diminuire la TARI di oltre il 15%. Secondo il referente per l’ambiente Luca Meinardi il bando sull’autocompostaggio è una importante occasione per fare un ulteriore passo in avanti nella riduzione della produzione totale di rifiuti e nel potenziamento della raccolta differenziata e quindi per contenere i costi di smaltimento.

Rientra tra i compiti delle amministrazioni locali contribuire ad assicurare ai cittadini i diritti alla informazione e alla sicurezza. Il Comune di Racconigi ha deciso di dotarsi del servizio iWATCH della ditta BJ Consulting, che lo offre gratuitamente in via sperimentale sino a fine mandato dell’Amministrazione. Come si accede a questo servizio e in cosa consiste? Ogni cittadino, andando sulla home page del sito internet del Comune, sezione News istituzionali, può scaricare gratuitamente un applicativo che permette di ricevere sul proprio smartphone o tablet comunicazioni del Comune riguardanti la sicurezza pubblica (allerta meteo, informazioni su viabilità, chiusura scuole ecc.) e l’ambito turistico (manifestazioni, eventi ecc). Attraverso questo servizio il Comune potrà aggiornare in tempi brevissimi tutta la cittadinanza. Per quanto riguarda la Polizia Municipale, la Protezione Civile, la Squadra Operai il servizio sarà bi-direzionale: essi potranno inviare in tempo reale comunicazioni o foto agli Uffici comunali competenti, in modo da affrontare nel più breve tempo possibile emergenze o situazioni di pericolo venutesi a creare sul territorio comunale. L’Amministrazione comunale intende in questo modo rendere la comunicazione “Ente-cittadino” più rapida ed efficace. Invita quindi tutti i cittadini a scaricare dalla home page del sito internet comunale l’applicazione iWatch.

Cin

Cinema SONG TO SONG di Cecilia Siccardi

Lib

Libri

a cura di Barbara Negro

L’adolescente Tazaki Tsukuri, grande appassionato di stazioni ferroviarie, e il suo gruppo di amici - composto da due ragazze e due ragazzi - legati da un’amicizia leale e profonda, sono inseparabili e complementari: ognuno di loro ha infatti delle caratteristiche nell’aspetto e nella personalità tali per cui tutti sem-

iWATCH: INFORMAZIONE E SICUREZZA ON LINE

Ad Austin, in Texas, la giovane musicista in cerca di successo Faye incontra BV, cantautore idealista che sogna di affermarsi sulla scena musicale grazie all'aiuto del produttore Cook. Fra Faye e BV nasce una storia d'amore, macchiata però da un segreto di fondo: Faye ha anche una sorta di relazione con Cook, diabolico e machiavellico, che la tiene sotto un tacito ricatto emotivo. La ricerca di controllo assoluto sulle persone che lo circondano di Cook è causa di conflitto non solo fra Faye e BV, ma anche nell'animo di sua moglie Rhonda, condannata all'infelicità e al disprezzo di se stessa. Le complesse dinamiche di contrasti emotivi fra i personaggi portano ad un esi-

to tragico; tuttavia, grazie all'amore e al perdono, la conflittualità risulta essere risolvibile. L'ultimo film di Terrence Malick prevede un cast a dir poco stellare: i protagonisti principali sono infatti interpretati da Rooney Mara, Ryan Gosling, Michael Fassbender e Natalie Portman. Inoltre, fanno da comparse di lusso anche artisti come Patti Smith e Iggy Pop. Song to song ci trasporta in un'atmosfera sognante e poetica, ricca di immagini e fotografie di innegabile bellezza; tuttavia, l'iconico stile del regista sembra a tratti essere portato all'estremo, tanto da risultare a volte quasi una noiosa e manieristica parodia di se stesso.

brino completarsi a vicenda. Il caso vuole che ogni personaggio del gruppo contenga all’interno del proprio nome un colore, fatta eccezione per Tazaki, che ricorda bensì un’azione, “costruire”. Al rientro a Nagoya per le vacanze estive, Tazaki viene inspiegabilmente escluso dal gruppo: senza un reale motivo, il ragazzo è completamente tagliato fuori dall’amicizia. L’adolescente si trova a vivere un terribile e incomprensibile conflitto interiore; attraverso un periodo di sofferenza e apatia, il ragazzo riesce a sopravvivere concentrandosi nello studio e nel lavoro. Tazaki sembra costretto, suo malgrado, ad attendere la morte, affinché questa porti finalmente a termine il dolore causato dal vuoto incolmabile che si porta dentro. Soltanto in età adulta, grazie all’incontro con Sara - ragazza energica e curiosa - Tazaki inizia il suo pellegrinaggio alla ricerca della spiegazione al più grande enigma rimasto irrisolto nella sua vita. Ritornato nei luoghi del passato, incon-

tra uno per uno i vecchi amici, trovandoli tremendamente insoddisfatti della propria vita. Ognuno di loro narra la propria versione dei fatti, ma alla fine il motivo della rottura, del loro inspiegabile conflitto, non conta più. Tazaki si rende conto che la sua presenza nel gruppo era importante: nonostante le apparenze, era lui il membro più amato, il vero collante della loro amicizia, che con la sua concretezza ha saputo tenere insieme le loro forti personalità. Il viaggio di Tazaki lascia al lettore spunti sul significato della vita, sul sottile confine tra realtà e apparenza, su come i cambiamenti dolorosi portino con sé il germe di un nuovo inizio.

Murakami Haruki

L'INCOLORE TAZAKI TSUKURU E I SUOI ANNI DI PELLEGRINAGGIO

2013, pp. 260 € Edizioni Einaudi


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Mus

Musica “Canti Ribelli” Giangilberto Monti interpreta Renaud di Giuseppe Cavaglieri

Il progetto “Canti Ribelli” di Giangilberto Monti si propone di far conoscere in Italia i testi e la figura di Renaud, stella del rock d’autore d’oltralpe. Nato nella banlieue parigina l’11 maggio 1952, Renaud incarna nel suo

percorso artistico l’ultima schiera dei “maledetti” che attraversano il Novecento francese. Per il gergo beffardo e le trovate dei suoi testi, l’attitudine scenica, i temi trattati e la sfacciataggine della sua musica - che prende spunto dalle sonorità elettro-rock e contamina la “chanson réaliste”, il folk internazionale, la ruvidità del punk e le ballads alla Brassens, di cui è grande estimatore - Renaud si fa portavoce del disagio periferico e giovanile fin dai suoi esordi, a metà degli anni Settanta. Giangilberto Monti mira a far conoscere e affezionare gli appassionati della canzone d’autore al vastissimo e vario repertorio di un’artista del calibro di Renaud, in grado di trattare argomenti di elevata sensibilità. Chansonnier e scrittore, Giangilberto Monti compone le prime canzoni a metà degli anni Settanta, pubblica i primi dischi e intraprende una parallela attività teatrale: studia canto con Cathy Berberian, recita con Dario Fo e Franca Rame, e durante gli anni Ottanta scrive

testi per diversi comici che frequentano lo Zelig di Milano. Dopo aver messo in scena con la jazzista Laura Fedele il repertorio musicale di Dario Fo (1999-2000), sviluppa un’attività di scrittore e saggista con Garzanti, per cui pubblica il Dizionario dei Cantautori (20032005), firmato con Veronica Di Pietro, il Dizionario dei Comici e del Cabaret (2008) e La vera storia del cabaret (2012), quest’ultimo scritto con Flavio Oreglio. Negli stessi anni rievoca il periodo sessantottino nello spettacolo “Un po’ dopo il piombo” e nell’album di brani inediti “Ce n’est qu’un début”, seguito dal CD “Comicanti” - entrambi pubblicati con Carosello Records nel quale duetta con una quindicina di artisti comici, interpretando i migliori brani della comicità musicale italiana, da Ettore Petrolini a Dario Fo. Nel 2013 pubblica “Comicanti.it”, un doppio album contenente l’intero disco precedente corredato da molti altri brani del cantautorato ironico e un libro che racconta la storia della canzone comica, de-

insonnia

menziale e di protesta, firmato con Enzo Gentile. Nel 2015 pubblica l’album “Opinioni da Clown” che riassume trent’anni di attività, tra cantautorato e comicità. Nel disco si annoverano importanti collaborazioni musicali tra cui quella di Mauro Pagani, Sergio Conforti (il Rocco Tanica di Elio & Le Storie Tese) e il bluesman piacentino Ubi Molinari. Importanti sono anche le presenze di alcuni comici noti, come Nino Formicola, Raul Cremona e Giovanni Storti (del trio Aldo, Giovanni & Giacomo).

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

UTKU di Isabella Garavagno

Mi sono chiesta: ma esisterà un popolo che non conosce il conflitto? Ho cercato girando intorno al globo terrestre e dopo molta fatica l’ho trovato. Gli eschimesi Utku sono un popolo pacifico che non manifesta emozioni che possano turbare l’armonia, soprattutto non manifesta rabbia. Non capita che qualcuno intenzionalmente faccia male ad un altro o che lo offenda in malo modo. Quando uno si sente incompreso dagli altri, invece di manifestare rabbia si isola e diventa qiquq. Nella loro lingua qiquq signi-

fica ostruito, come qiquq è lo sfiatatoio ostruito dell’iglu che non lascia uscire il fumo. Gli altri lo ignorano, lo prendono bonariamente in giro e lasciano che gli passi. Bella storia, ho pensato… Allora ho provato a documentarmi un poco di più sulla loro vita. Gli Utku vivono negli estremi territori del Canada, a nord della baia di Hudson, e sono nomadi. Ho continuato a cercare dettagli. Gli Utku sono un gruppo di 30 persone e vivono su un territorio di 90 mila chilometri quadrati. Certo che è facile per loro andare d’accordo…

2017

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