INSONNIA Maggio 2020

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NESSUNO CE LA FA DA SOLO !!!!!!!!!!!

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 122 Maggio 2020 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

DOPO L’EMERGENZA a cura di Giancarlo Meinardi

MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

Luis Sepúlveda

Il giorno 1° giugno la maestra Maria Camisassa raggiunge la bella età di cento anni. La redazione di insonnia è lieta di dedicarle un caloroso omaggio ospitando nelle sue pagine una nota biografica del prof. Gianfranco Capello insieme al saluto del rettore di San Domenico padre Vincenzo Mattei ed all’augurio affettuoso di alcuni suoi ex alunni e alunne.

di Luisa Perlo

a cura di Guido Piovano

Viviamo giorni di emergenza. Sanitaria, economica, sociale. Destinati forse a continuare ancora a lungo, fino a quando non sappiamo. È difficile di questi tempi immaginare il futuro. Quando la casa va a fuoco ci si affanna a mettersi in salvo, a salvare quello che si può salvare, c’è poco tempo e voglia di pensare a come e quando si ricostruirà la casa. Ora siamo ancora nel pieno dell’incendio. I numeri della pandemia restano alti e drammatici, l’economia srotola numeri da capogiro di gente che perde lavoro e reddito, l’isolamento e la rarefazione dei rapporti sociali alimentano sofferenza e insofferenza. Eppure… Eppure c’è dell’altro. Lo si coglie anche nei pensieri e nelle parole di tanti lettori che, raccogliendo l’invito della redazione, hanno manifestato il bisogno di raccontare il loro personale in Insonnia di aprile. Nelle risposte c’è tanto vissuto, ricco di mille sfaccettature; ma c’è anche tensione nel ripensare il presente per costruire un futuro diverso. Gli spunti sono veramente tanti. La devastante impronta umana sulla terra, il recupero del rapporto con una natura malata per causa nostra e la revisione del nostro modo di stare al mondo. Il valore dei rapporti sociali, della solidarietà, dell’umanità, il bisogno di tenersi per mano, perché nessuno si salva da solo. L’umiltà a fronte della scorpacciata di presunzione, arroganza senso di onnipotenza che la nostra specie coltiva. I dubbi sulla capacità di imparare da questa esperienza tremenda per costruire il proprio futuro. Il bisogno di normalità, ma diversa.

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Legambiente scrive ai sindaci delle città italiane

OSARE LO STRAORDINARIO

Storia di un poeta e del magico dono che fece agli altri uomini I cieli cileni sono attraversati in questi giorni da un’ombra lieve, un’immagine dotata del senso dell’infinito, della imperturbabilità che solo la consapevolezza del non finito garantisce: è Fortunata, la gabbianella a cui Luis Sepúlveda, per mezzo del gatto Zorba, insegnò a volare e ad abbattere gli ostacoli. La sua tristezza è la nostra, da quando abbiamo saputo che il maledetto Covid-19 si è portato via lo scrittore, il menestrello, il poeta cileno, privandoci così del dono della sua parola. Raccontare la storia dell’uomo nato a Ovalle, in Cile, nel 1949, è come fissare lo sguardo in un caleidoscopio, dove frammenti di vita e di esperienza si mescolano e si riflettono per originare figure sempre diverse, ma sempre simmetriche.

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da Legambiente Circolo “il Platano”

Prepararsi a ripartire. È questo lo scopo della lettera che Legambiente, attraverso i propri circoli diffusi su tutto il territorio nazionale, ha inviato ai sindaci italiani. Un momento eccezionale come quello che stiamo vivendo ha bisogno di risposte altrettanto eccezionali e dovremo arrivare pronti all’appuntamento delle prossime settimane.

La “riapertura” del paese porterà con sé numerose sfide e dal modo in cui queste verranno affrontate dipende la buona riuscita del ritorno alla normalità. Molte di queste avranno un impatto diretto ed immediato sulla vita dei cittadini che riprenderanno a lavorare e circolare ma dovranno fare i conti con gli strascichi di un’emergenza non ancora passata.

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5 MISURE CONCRETE PER RIPENSARE LA MOBILITÀ POST COVID 19 • • • • •

Mezzi pubblici sicuri con monitoraggi Distanze tra persone, tornelli, mascherine Più bici e nuove ciclabili in città Più sharing mobility, rottamazione auto e mobilità sostenibile Smart working e vantaggi fiscali per aziende e lavoratori che scelgono il lavoro agile

COVID

Smart Working

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Numeri Utili Emergenza

KARMADONNE pag. 20

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IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE

Il treno della memoria Kulturjam un Magazine on line di Cultura, Società e Ambiente ha pubblicato 28 immagini fotografiche del nostro amico Angelo Gambetta il 25 aprile 2020 con un suo articolo “ Il treno della memoria”. Angelo è stato l’anno scorso ad Auschwitz proprio con la “Associazione Treno della Memoria” e da questa esperienza ha tratto le immagini definite “L’architettura dell’anti-liberazione” . Noi gli abbiamo chiesto l’autorizzazione a pubblicarne una selezione per il nostro ”Racconto fotografico” del mese di maggio: concessa! L’uso del bianco e nero, la drammaticità dell’ambiente, la maestria di Angelo ci sono parse adatte in questo momento di storia; tragico non solo per il Covid19 ma anche per le recrudescenze fasciste e naziste che continuano ad affacciarsi sul nostro territorio, non solo nazionale. https://www.kulturjam.it

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La rivoluzione grammaticale di Luciano Fico

Prima di quel tempo, i libri di storia annotavano i grandi eventi dell’Umanità, soffermandosi sulle guerre, soprattutto, e sugli equilibri che seppero smuovere; poi guardavano alle grandi Rivoluzioni sociali, che seppero far virare il destino di interi popoli; senza dimenticare le innovazioni tecnologiche, che mutarono radicalmente il modo di vivere nell’intero pianeta e non solo per gli umani. Dopo l’ultima grande rivoluzione anche i libri di storia dovranno prendere atto del nuovo, radicale e, forse, definitivo cambiamento che ormai si sta realizzando in tutto il Mondo. Al culmine della grande crisi, che seguì alla devastante sequela di pandemie, si costituì miracolosamente l’OME, ovvero l’Organismo Mondiale per l’Evoluzione. Dopo un anno circa di lavoro congiunto, la commissione mista, composta da filosofi, psicologi, antropologi, economisti, giuristi, biologi, fisici e maestri di varie tradizioni spirituali, sorprese il Mondo intero con una prescrizione inaspettata. C’era chi si aspettava un cambiamento completo del sistema economico mondiale, chi un incentivo alle tecniche di manipolazione genetica, chi la scelta di puntare su una forma radicalmente nuova di energia. Qualcuno, addirittura, si era spinto ad immaginare un progetto pilota di migrazione di massa verso un nuovo pianeta! Immaginate allora lo stupore quando, in mondovisione, fu comunicato a tutti gli umani che da quel preciso istante era bandito l’uso dei verbi in forma futura o condizionale. Rimaneva lecito il ricorso alle diverse forme del Passato, ma ne veniva raccomandato un uso cauto e moderato, al fine di concentrare il nostro pensiero nella forma del presente indicativo. A rincarare la dose venne anche bandito l’uso dei cosiddetti “avverbi frasali”: quindi ogni frase sarebbe stata orfana, da quel giorno, di orpelli quali il “forse”, il “probabilmente” ed il “certamente”. Ai più parve subito una colossale sciocchezza e non mancarono le solite battute su tutti i social. Poi…iniziò il cambiamento!

I primi a cadere sotto la sferza della novità furono i politici, che si trovarono obbligati a parlare solo di ciò che stavano facendo, non potendo più rifugiarsi nelle promesse future. Molte religioni sentirono anch’esse il colpo, perché non si poteva proprio più promettere meraviglie nella vita dopo la morte: molti pulpiti si ammutolirono, mentre altri si ricordarono del Messia cristiano che in un passo aveva anticipato tali eventi dicendo “Il vostro parlare sia sì sì, no no. Tutto il resto viene dal Maligno” o del continuo richiamo al presente del Buddha. La pubblicità crollò come sistema, non potendo più abbinare un prodotto ad un benessere futuro: messaggi crudi come “Bevi più alcool” o “Compra questa macchina”, senza il suadente abbinamento ad un futuro migliore, avevano molto meno appeal. Anche la vita privata ne rimase sconvolta. I primi a scomparire furono gli amanti indecisi, quelli sempre pronti a frasi come “Amore, appena potrò, lascerò mia moglie e vivremo felici io e te”: stando rigorosamente nel presente indicativo, chi si amava si sceglieva e gli altri scomparivano. I genitori dovettero cominciare a confrontarsi sul serio con i propri figli, non potendo più rifugiarsi nel comodo “Quando sarai grande capirai…” Pian piano si perse l’abitudine di promettere a sé stessi cambiamenti che non avvengono mai; si cessò di aspettare il fine settimana o le ferie estive o, ancor peggio, la pensione per vivere le proprie passioni e questo portò ad una totale riorganizzazione del lavoro. Ora tutti lo abbiamo capito: le parole creano la realtà e stiamo quindi molto, molto più attenti a ciò che diciamo…


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Luis Sepúlveda

Storia di un poeta e del magico dono che fece agli altri uomini segue dalla prima

Avventuroso, idealista, sostenitore indefesso delle proprie convinzioni, pronto a battersi nel vero senso della parola con chi si frapponesse nel suo cammino verso l’utopia, verso il non luogo che sperava un giorno di veder concretizzato, Luis Sepúlveda è anche e soprattutto lo scrittore, colui che ha raccontato incredibili avventure e favole moderne che lo hanno portato al successo mondiale. La sua vita potrebbe far invidia anche ad Indiana Jones: nato già fuggitivo, cresciuto da un nonno anarchico che fece scaturire in lui l’amore per i romanzi d’avventura, visse il dramma del colpo di stato nel suo paese, che portò alla dittatura militare di Pinochet. Né il carcere né le torture e le condanne subite plasmarono il suo animo ribelle, che continuò a manifestarsi durante i suoi viaggi tra l’Europa e il Sud America, tra le spedizioni che lo portarono a vivere per lunghi mesi a contatto con gli indios o a partecipare alle lotte in mare di Greenpeace contro lo sterminio delle balene. Il tempo della vita di Luis Sepúlveda è stato un tempo denso e spesso, mai sfilacciato, in cui gli impulsi della ragione e quelli del cuore erano in perenne contrasto, senza che mai uno dei due venisse soffocato. E così l’uomo, il combattente, è stato anche giornalista, uomo di teatro e scrittore, quest’ultimo soprattutto nella seconda parte della sua vita. Poiché la sorte è beffarda, colui che era sopravvissuto ai getti d’acqua gelida delle baleniere giapponesi, alla prigione e alla tortura volute da Pinochet, ai proiettili delle mitragliatrici in Nicaragua e alle gigantesche zanzare dell’Amazzonia è stato sconfitto da un virus subdolo e potente, al quale ha dovuto arrendersi. Saranno i suoi libri a continuare a farlo vivere tra di noi, come sempre accade ai grandi scrittori capaci di raccontare il mondo da un punto di vista insolito. Luis Sepúlveda lo ha fatto ad esempio nelle sue favole, libri con protagonisti gli animali che parlano e ragionano come quelli di Esopo e di Fedro, lasciandoci una morale semplice ma cristallina. Fu proprio la gabbianella Fortunata, con la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, a rivelare la sua capacità di trasformare in favola il suo vissuto, le sue ansie e le sue gioie. Ma poi arrivarono la Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, la Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza, la Storia di un

cane che insegnò a un bambino la fedeltà e infine la Storia di una balena bianca raccontata da lei, considerato un piccolo capolavoro, un pamphlet filosofico moderno.

Facendo propria la tecnica dello straniamento, Sepúlveda ha ribaltato i punti di vista, è la lettura del mondo nell’ottica dell’animale a costituire il cuore del racconto, con un finale narrativo edificante, tanto semplice quanto incisivo. Il mondo, ci racconta l’autore, è costituito di dicotomie, di opposti, o c’è la vita o c’è la morte, o il bene o il male, o la povertà o la ricchezza e via discorrendo: pronti sempre a collocarci dalla parte del giusto, veniamo messi a dura prova nelle nostre caparbie convinzioni quando proviamo ad ascoltare la voce della balena, della lumaca, del cane. L’insegnamento è tutto lì, racchiuso in un finale che apre a mille possibilità, nella convinzione che la lettura sia una chiave d’accesso ad un mondo migliore: non saranno i letterati a cambiare il mondo, ma certo il loro apporto sarà fondamentale. D’altra parte, sin dal suo romanzo d’esordio, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore, il suo esse-

re un menestrello moderno, un aedo senza tempo, era apparso evidente: come il vecchio Antonio Josè Bolìvar Proano, con i suoi segreti nascosti nel più profondo anfratto del suo cuore, anche lui è vissuto tra gli indios nella grande foresta e ha capito qual è il legame che deve unire l’uomo alla natura, troppo spesso ferita. Raccontare tutti i personaggi, molto spesso caratterizzati fortemente da pennellate autobiografiche, è impresa ardua, in quanto sono tanti, troppi e tutti ugualmente belli. A volte Sepúlveda è autobiografico esplicitamente, come accade nel resoconto del viaggio compiuto in Patagonia e nella Terra del Fuoco (Patagonia Express), altre volte lo ritroviamo tra le pieghe di protagonisti come Juan Belmonte, l’uomo che insieme alla sua compagna ha vissuto sulla propria pelle la dittatura e non riesce a scollarsela di dosso, maturando disillusioni, rimpianto e sfiducia, prima del guizzo di vita finale. Come non vedere l’autore tra le righe di Ultime notizie dal sud, storia di un fotografo e di uno scrittore in viaggio nella steppa patagonica, dove raccolgono immagini di una natura ancora padrona di se stessa e ascoltano storie popolate di fantasmi, di folletti, di un passato in bilico tra magia e realtà. Il passato in realtà non ti abbandona mai, è il frutto di ciò che si è stati, anche se lo scorrere del tempo modifica molte cose: lo sanno bene i protagonisti di L’ombra di quel che eravamo, storia di militanti sostenitori di Allende che si ritrovano a decenni di distanza per tentare un’ultima azione rivoluzionaria. A ben vedere, la vita di ciascuno è una storia e per Luis Sepúlveda la vita è piena di storie, che si snodano e si intrecciano mettendo a nudo difetti e qualità, menzogne e verità nascoste, basta saperla leggere: come fa lui stesso cercando di riannodare i fili delle vite disperse di alcuni ragazzini immortalati in una fotografia, col desiderio di scoprire il loro destino personale insieme a quello di un paese, il Cile, uscito da una lunga e sanguinosa dittatura (Ritratto di gruppo con assenza). Luis Sepúlveda ci ha lasciato le tracce del suo passaggio, della vita dell’uomo che è stato definito l’ultimo cantastorie e ci ha fatto dono di parole, poiché le parole sono come il vino: hanno bisogno di respiro e di tempo perché il velluto della voce riveli il loro sapore definitivo (La lampada di Aladino).

1945

di Costanzo Liprandi

E respiravi parole di vento sognando la libertà e immaginavi viaggi senza frontiere scritti senza censura pensieri senza catene. Incontrarsi per la strada d'opinioni diverse di colori contrastanti ed abbracciarsi fratello col fratello non più Caino per un posto al sole. Sole di tutti sulle scogliere del mondo. E intanto abbassavi la testa

per non vedere l'impiccato, ma quel corpo penzolava nella notte tra rabbia e speranza. E il pane era di tessera e il grano all'ammasso e i cibi senza sale e il latte senza zucchero. Ma quando la sera si oscuravano le finestre per continuare la vita alla tremolante luce del lume a petrolio

"Beppino" il partigiano liberava sogni di libertà e noi recitavamo rosari di pace. E un giorno lo vidi partire con altri nel sole del mattino. Quattro non tornarono più. Ma due giorni dopo ero un bambino libero: potevo inventare la vita. (dalla raccolta “Uomo”, 1999 2° Edizione)


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Legambiente scrive ai sindaci delle città italiane

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OSARE LO STRAORDINARIO segue dalla prima

Una sfida fondamentale sarà proprio quella della mobilità, che subirà un drastico rinnovo forzato per venire incontro alle esigenze sanitarie e che dovrà fronteggiare le comprensibili paure dei cittadini. Per questo l’associazione lancia alcune proposte concrete e attuabili nell'arco di pochi mesi e con un utilizzo di risorse relativamente contenuto, consapevole delle difficoltà anche economiche che si dovranno tenere in conto. Lo scopo è quello di ripartire e rimettersi in moto, ma farlo in modo semplice e sostenibile, così che il dopo sia meglio del prima, che la “normalità” possa diventare migliore di quanto non fosse stata fino ad oggi. 1. Sicuri sui mezzi pubblici. Lo sappiamo, le persone avranno paura a prendere bus e treni, tram e metro per timore del contagio. Dobbiamo fare in modo, mano a mano che le città ricominceranno a muoversi, che i mezzi pubblici siano in grado di garantire distanze di sicurezza. Si dovranno programmare con attenzione le corse,

bisognerà ripensare anche gli orari della città per evitare congestione e traffico nelle ore di punta. Sarà fondamentale un continuo e attento monitoraggio, sia dei mezzi che delle stazioni, dove si dovranno introdurre controlli e tornelli per contingentare gli ingressi oltre a garantire una quotidiana sanificazione. In Spagna il Governo ha stabilito l’obbligo di mascherine sui mezzi pubblici e ha garantito la distribuzione di oltre 10 milioni da distribuire nelle stazioni principali. Per fare tutto questo ci vogliono risorse. In parte il governo ha risposto, ma è evidente che non basta perché le aziende pubbliche hanno bisogno di investimenti e

già soffrono per la riduzione di introiti da biglietti dovuta a questi mesi di stop. 2. Più persone in bici e percorsi ciclabili nuovi. La bici è il mezzo che permette il migliore distanziamento: per cui è ora il momento di realizzare percorsi ciclabili temporanei (con segnaletica orizzontale e verticale) lungo gli assi prioritari e le tratte più frequentate, riservando lo spazio per poi dotarli di protezioni e passaggi esclusivi mirando a trasformarli nei mesi successivi in vere ciclabili. È la soluzione che stanno praticando tante città in giro per il mondo: a Montpellier con una striscia di vernice e cordoli di pro-

tezione con conetti provvisori, a Berlino allargando le piste ciclabili con nuove strisce laterali. Stesse misure decise a Bogotà come a Vancouver, a New York come a Boston e Parigi. In Nuova Zelanda il Governo ha deciso di finanziare queste misure da parte dei Comuni. Questi interventi sono a costo quasi zero e le risorse per realizzare vere ciclabili ci sono: nella Legge di Bilancio 2020 sono stati stanziati 150 milioni di Euro per il co-finanziamento di percorsi ciclabili urbani. Cosa aspetta il Ministero delle Infrastrutture a emanare il Decreto che fissa i criteri per l’erogazione dei fondi? Intanto però i Comuni si possono


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preparare, in modo da avere progetti seri da candidare e un piano da cui “si evinca la volontà di procedere allo sviluppo strategico della rete ciclabile urbana”, come sottolinea la Legge, in modo che nel 2021 possano partire i cantieri. E che si tratti di reti ciclabili fatte bene, magari copiando il format della Bicipolitana di Pesaro e replicandolo ovunque. 3 Rafforzare la sharing mobility. Le più efficienti alternative all’auto privata in città, per chi non vorrà prendere i mezzi pubblici, dovranno diventare tutti i mezzi in sharing: auto (meglio elettriche), bici, e-bike, scooter elettrici e monopattini. I Comuni dovranno stringere accordi con le imprese per avere più mezzi e in più quar-

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tieri, a costi molto più contenuti. Serviranno risorse, ma il servizio potrà avere grande successo e in parte ripagarsi. In ogni caso saranno soldi ben spesi quelli per potenziare il servizio (con controllo, sanificazione e ridistribuzione dei mezzi nelle diverse ore e luoghi della città) perché avremo offerto mobilità sostenibile a buon mercato a milioni di cittadini. 4 Aiutare i cittadini a rottamare l’auto e scegliere la mobilità sostenibile. Qui i Sindaci devono farsi sentire, perché le risorse ci sono! Cosa aspetta il Ministero dell'Ambiente a mettere a disposizione i fondi per “Programma Buoni di mobilità” previsti dal decreto Clima approvato a dicembre scorso? Sono previsti 75 milioni

per il 2020 e 180 milioni di euro per le annualità successive. Si tratta di 1.500 euro alle famiglie che rottamano una vecchia auto che non può più circolare (Euro3 o più inquinante) oppure 500 euro per un vecchio ciclomotore, per acquistare abbonamenti, e-bike e sharing mobility. Si potrebbe così subito dimezzare la spesa media per i trasporti per 250 mila famiglie italiane (3.500 euro all'anno secondo l'Istat). 5. Più smart working. L’esperienza di queste settimane ha dimostrato che il modo di lavorare può cambiare, riducendo spostamenti e organizzando riunioni a cui partecipare on-line, permettendo alle persone di sprecare meno tempo in auto o sui mezzi

pubblici. Si chiede di spingere questa prospettiva per riorganizzare il lavoro dell’amministrazione pubblica e di aiutare tutte le attività che scelgono di andare in questa direzione. Serviranno risorse, ma soprattutto idee nuove e andrà coinvolto il Governo, ma esistono tutte le possibilità per premiare con vantaggi fiscali sia le aziende che i lavoratori che decideranno di puntare su soluzioni innovative di smart working e mobility management di comunità. Ad esempio i vantaggi fiscali di cui oggi beneficiano le auto aziendali possono essere estesi anche a mezzi e investimenti organizzativi per il lavoro a distanza, ai mezzi pubblici, alla condivisione e alla mobilità elettrica o muscolare in tutte le sue forme. Da questa vicenda il mondo ne uscirà cambiato. Le nostre città possono essere un fantastico banco di prova per dimostrare che si può cambiare il mondo in meglio, sperimentando le vie green verso nuovi modelli di sviluppo. Per questo la richiesta va estesa non solo ai sindaci, ma all’intera comunità. Non limitiamoci all’ordinario, non riprendiamoci le vecchie città. Ora come non mai serve visione di futuro, soluzioni inedite, capacità di viaggiare verso frontiere nuove. E oggi che tutti abbiamo sperimentato una condizione eccezionale, non c’è momento migliore per osare lo straordinario. Insieme ce la possiamo fare.

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a cura di Guido Piovano

IL SENSO DEL FUTURO AI TEMPI DEL CORONAVIRUS Scrive il filosofo Umberto Galimberti: «Il cambiamento imposto dal coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. […] Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non controlliamo nulla nell’istante in cui la biologia esprime leggermente la sua rivolta. Dico leggermente, perché questo è solo uno dei primi eventi biologici che denunceranno, da qui in avanti, gli eccessi della nostra globalizzazione. Se questo è il quadro, c’è forse un’incapacità di evolverci, come esseri umani? Il Cristianesimo ha diffuso in Occidente un ottimismo che ci ha insegnato a pensare in questi termini: il passato è male, il presente è redenzione e il futuro è salvezza. Questa modalità di considerare il tempo è stata acquisita dalla scienza, che a sua volta dice che il passato è ignoranza, il presente è ricerca e il futuro è progresso. Persino Karl Marx è un grande cristiano quando predica che il passato è ingiustizia sociale, il presente farà esplodere le contraddizioni del capitalismo e il futuro renderà giustizia sulla Terra. E Sigmund Freud, che pure scrive un libro contro la religione, sostiene che i traumi e le

nevrosi si compongono nel passato, che il presente sia magico e che il futuro sia guarigione. Non è così. Il futuro non è il tempo della salvezza, non è attesa, non è speranza. Il futuro è un tempo come tutti gli altri. Non ci sarà una provvidenza che ci viene incontro e risolve i problemi nella nostra inerzia. Speriamo, auguriamoci, auspichiamo: sono tutti verbi della passività. Stiamo fermi e il futuro provvederà: non è così». da https://www.gqitalia.it/news/ article/umberto-galimberti-filosofo-coronavirs

affermazioni. Mi soffermerò invece sul riferimento che Galimberti fa al Cristianesimo. È indubbio che un certo cattolicesimo della tradizione trasmetta questa immagine secondo la quale il futuro è per intero nelle mani di Dio, così come lo stesso presente. Se ci fate caso gran parte delle preghiere è ancora oggi Signore fa’ che… dove la parte dell’uomo è semplicemente quella di affidarsi docilmente alle mani di Dio, alla “provvidenza”, alla madonna, ai santi. Lo si è visto anche in questi giorni di coronavirus: abbiamo un bel fare discorsi di una certa levatura se poi affidiamo Racconigi alla Immacolata e le chiediamo che ci salvi oggi dal coronavirus come ci ha salvati dalla peste nel 1631! In questo modo, ricorriamo ad un pensiero talmente forte da superare tutte le più belle parole e intenzioni e andare diritti all’immaginario dei fedeli ed al … Medioevo. Stupisce però che anche intellettuali e pensatori della levatura di Galimberti in tema di religione si riferiscano ad una fede che, l’abbiano abbandonata o meno, è probabilmente ancora quella di catechistica memoria. È quel tipo di fede che prefigura un futuro radioso: come potrebbe la “provvidenza” non condurci ad esso! In ottica “provvidenza” avrebbe dunque ragione Galimberti: per la religione, il futuro, anche quello terreno, è la salvezza. Tutti vediamo però che questo non è nella realtà delle cose. Galimberti poi però recupera la figura dell’uomo che si confronta col dolore legato alla sua stessa dimen-

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sione di creatura, quando scrive: «Quindi cosa dobbiamo fare? Non c’è niente da fare, c’è da subire. Accettiamo che siamo precari: ce lo siamo dimenticati? Rendiamoci conto che non abbiamo più le parole per nominare la morte perché l’abbiamo dimenticata. […] (Una volta) C’erano le guerre, le carestie, le pestilenze. Esisteva, concreta, una relazione con la fine. Oggi l’abbiamo persa. Quando qualcuno sta male, mancano le parole per confortarlo. Diciamo: vedrai che ce la farai. Che sciocchezza. Che bugia. Perché abbiamo perso il contatto con il dolore, con il negativo della vita». E richiama al valore della solidarietà: «(l’egoismo) È già il valore primario nella nostra cultura. La solidarietà è andata a picco in questi anni. Individualismo, narcisismo, egoismo: sono tutte figure di solitudine. La socializzazione si è ridotta alla propria parvenza digitale. […] Nell’isolamento e nelle avversità, gli esseri umani hanno bisogno di sentire di non essere soli a lottare». Allora, come non avvertire la necessità di abbandonare il Cristianesimo della “provvidenza” per un Cristianesimo che faccia riferimento al Dio di quel Gesù che ci chiama alla solidarietà, alla condivisione, a superare egoismi e tornaconti. Un futuro migliore da solo non verrà mai, lo sarà soltanto se sapremo unirci gli uni agli altri in progetti concreti, in una parola se lo sapremo costruire nella realtà. Sicuri che non lotteremo da soli.

L’AMORE TRASGRESSIVO

Umberto Galimberti

Mi guarderò bene dal commentare gli aspetti storico-politici di queste

Con l'approvazione papale, la Pontificia Commissione Biblica ha pubblicato presso la Libreria Editrice Vaticana "Che cosa è l'uomo?", un testo di 336 pagine che al paragrafo 181 denuncia l'incesto, l'adulterio, la prostituzione e l'omosessualità come “modalità trasgressive dell'amore”, comportamenti offensivi del

bene e contrari al volere divino. La presenza dell’omosessualità in questo elenco ferisce molte persone e colpisce per la sua anti-storicità. Purtroppo però rende giustizia di presunte aperture vaticane che non hanno in realtà mai trovato compimento. Incredibile!

Una nuova normalità di Zanza Rino

Se qualcuno nutre ancora dubbi circa l’impronta umana sull’ambiente può guardare le immagini provenienti dal satellite spaziale Copernicus dell’ESA (Agenzia Spaziale europea). Documentano una drastica diminuzione sulla pianura padana della nube di biossido d’azoto che in tempi normali

la ricopre. Un gas prodotto dalla combustione di fonti energetiche fossili (impianti di riscaldamento, impianti industriali, motori dei veicoli, centrali termoelettriche). Tra gli inquinanti dell’aria è quello che risponde più rapidamente alle variazioni di emissioni, e l’attuale riduzione coincide con l’adozione delle misure per contrastare la diffusione dell’epidemia da covid19 che hanno determinato una drastica riduzione delle attività industriali e del traffico. Sono noti gli effetti negativi del biossido d’azoto sui polmoni, soprattutto per chi ha problemi respiratori. L’Italia è il primo Paese in

Europa per morti premature dovute al biossido d’azoto, quasi 15mila l’anno. La soddisfazione per la riduzione delle emissioni è mitigata dal fatto che alla sua origine c’è il dramma della pandemia e dal fondato timore che una volta passata l’emergenza tutto torni come prima. Ma tutto questo, forse, ci insegna qualcosa. Anzi, ce lo insegna di sicuro. È meglio dire allora, da tutto questo, forse, possiamo imparare qualcosa. La riduzione delle emissioni di biossido d’azoto “testimonia l’esigenza di puntare al più presto, non appena saremo usciti da questo

momento di seria emergenza nazionale, su una nuova normalità, con forme di mobilità il più possibile sostenibili e che riducano drasticamente l’impatto sull’ambiente… la nostra priorità è costruire un modello di sviluppo ambientalmente sostenibile, capace di invertire in maniera drastica e immediata l’abitudine al sovra inquinamento, al sovra consumo e sfruttamento delle risorse naturali. È un modo di vivere non più accettabile e tollerabile” E se questo non lo dice un vecchio zanzarino brontolone che non conta niente, ma il ministro dell’ambiente Sergio Costa, qualche speranza, forse, ce l’abbiamo.


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Pensieri e Parole in quarantena

Pensieri in libertà

In questi giorni difficili, di bollettini di morte, di restrizioni perduranti, di informazioni confuse, le rondini son tornate a volare nei cieli di primavera, i cavalieri d’Italia sono già in competizione per scegliere l’isolotto migliore dove costruire il nido e un ultimo ritardatario esemplare di gru fa una breve tappa alla volta della tundra del Nord Europa. Sono sempre stata amante della campagna, ma ancor più in questo periodo, emerge in modo prepotente quanta forza abbia la Natura, anche in termini di supporto psicologico: basta guardare il volo libero degli uccelli, il rifiorire degli alberi per convincersi del fatto che, dopo una pausa, vien comunque la ripresa, perché la Natura - e noi con lei - siam fatti per sopravvivere. Ora come non mai scopriamo quanto sarebbe bello fare anche solo una passeggiata, essendo limitati negli spostamenti, fare due passi in Natura proprio per ricaricare le energie fisiche, ma anche per accumulare un po’ di bellezza negli occhi e per recuperare quel sottile equilibrio psico-fisico che ci governa. Ecco, questo non dovremmo dimenticarci: la Natura governa e alimenta la nostra interiorità e dovremmo sempre custodire e difendere il diritto di avere del tempo quotidiano dedicato a ristabilire questo contatto. Ho letto della Svezia, dove sul posto di lavoro è obbligatorio fare mezzora di attività fisica a metà giornata, perché è dimostrato che la resa lavorativa è migliore. Spesso guardiamo con ammirazione queste iniziative, seppur convinti che da noi siano irrealizzabili: non credo sia poi così difficile applicare degli elementi migliorativi a queste vite frenetiche e stressanti che ci siamo creati con le nostre stesse mani. Già qualcun altro ci aveva suggerito che “Homo faber ipsius fortunae” [Appio Claudio Cieco ([350–271 a.C.), ndr], l’uomo è artefice del proprio destino.

Gabriella Vaschetti

Tutto bene?

Non voglio perdere l’abitudine di pensare, perché, come si è già detto, in questo momento storico emergono pensieri unici e profondi (ovviamente per me). Non vorrei che questi pensieri fossero dispersi, me li appunto e fino a che c’è un mensile che li pubblica rendo partecipi anche altri. Questa notte mi risuonava in testa il saluto di un amico incontrato al mercato: TUTTO BENE? Già prima del Covid un po’ mi infastidiva questo tipo di saluto e spesso, polemicamente, rispondevo “Quanto tempo hai per sentire la mia risposta?” perché nella maggior parte dei casi la mia risposta a questo saluto è del tutto indifferente a chi pone la domanda.

Infatti già in tempi normali non può mai andare “Tutto bene” ed allora si replica con una risposta altrettanto stereotipata tipo “benissimo”, “mai”, “la facciamo andare”, risposta che non viene neppure ascoltata. Ma ora, la risposta breve più adeguata sarebbe “non scherziamo!”. Visto che ho un sacco di tempo per pensare, anche alle cose quasi futili e che dopo il Covid sarà bene cambiare un sacco di cose perché non potremo continuare come siamo andati avanti fino ad ora, io provo ad iniziare con quelle più piccole, come il saluto. Toglierò queste frasi stereotipate dal mio lessico. Piuttosto userò un saluto generico: Buongiorno, Buonasera, ciao, ma mai più “Tutto bene?” che qualche volta sarà scappato pure a me. Oppure potrei inventarmi qualcosa di nuovo del tipo “Buongiorno, cosa sta facendo oggi ?” Non è una forma di curiosità bensì un interesse vero. Se poi si ha una maggiore confidenza con la persona “Ciao, cosa hai da raccontarmi oggi?”. Questo periodo di “distanza sociale” non dovrebbe diventare una distanza vera e propria ma al contrario dovrebbe trasformarsi in una maggior vicinanza umana e quindi anche l’approccio per strada dovrebbe tendere ad una maggior famigliarità. Ovviamente io inizierò con i miei amici più cari e se funzionerà via via lo applicherò ad altri meno intimi. Ripeto questa non vuole essere una interferenza nella vita privata bensì un invito, una disponibilità ad una maggior confidenza e visto che confidenza chiede confidenza dovrò essere pronto anche io ad essere più socievole e disponibile. Ognuno di noi, per sua propria natura, ha un diverso livello di confidenza col prossimo ma non importa io ci proverò. Se non va posso tornare al “buongiorno”, “Buonasera”, “Ciao”; meglio questo che una finta cordialità fatta di luoghi comuni o stereotipati. Meglio un saluto formale che una finta cordialità.

Rodolfo 24 aprile

Non so

Afferro solo un’idea e le parole raccolte negli incontri, nello studio anche nell’amicizia con Beppe Marinetti. Non so cosa avrebbero detto “loro”: i partigiani in questo momento dove una minuscola particella sta spazzando una generazione di “grandi” vecchi. Forse loro non avevano nemmeno questi “grandi vecchi” dai quali raccogliere utopie, speranze, a volte illusioni per nutrire la voglia di libertà ed il coraggio per inseguirla. Loro erano protagonisti delle loro vite in una speranza collettiva. Io mi sento un orfano collettivo. Orfano di un rapporto, di una catena valoriale necessaria e fonda-

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mentale per il bene delle nostre comunità. Domani o dopodomani quando saremo fuori da questa “disgrazia” questo filo narrativo ci mancherà, non basteranno i libri o gli studi, ci sarà bisogno di ri-raccontare le “storie” di questi uomini e donne. Ci sarà bisogno di nuovi e bravi narratori che sappiano tirar fuori da ognuno di noi le necessarie emozioni per credere al futuro senza dimenticare la nostra storia. No, non avremo bisogno di lottare per la nostra libertà, non lo penso ma avremo bisogno di non essere ingannati dalle false libertà, avremo bisogno di concretizzare un’idea di futuro vera, giusta, sostenibile. Abbiamo discusso per anni di sicurezza: di armi, di droni e di polizia e ci siamo dimenticati della nostra fragilità intrinseca, della forza di un virus. Abbiamo smantellato servizi sanitari e sociali territoriali, abbiamo demandato ad una tecnologia imperante la cura, abbiamo pensato di essere invincibili o di essere capaci di aggiustare tutto, sempre e comunque. Non è stato possibile, non era possibile. Ora siamo qui, orfani dei “grandi vecchi” e a corto di idee. Non so. Lo scultore Brancuse diceva “la semplicità è una complessità risolta”… ora che tutto è complesso e forse da ricostruire, ora che anche noi abbiamo resistito molto più comodamente dei “grandi vecchi” potremmo provare a dare gambe a ciò che loro, dopo la lotta, provarono a costruire purtroppo riuscendoci solo in parte: un equilibrio nuovo. Non so.

Livio Tesio

Sarebbe bello…

Ciao. Sarebbe tanto bello se non sprecassimo questa “opportunità di passaggio” che l’emergenza ci offre. Mi spiego (cifre messe a muzzo ma è per dare l’idea): - valore auto bella 30.000 - valore cellulare bello 800 - valore orologio bello 2.000 - valore aperitivo venerdì sera? - valore cena con amici? - valore abbraccio? - valore bagno al mare? - valore camminata in montagna? - valore …. Se la felicità è il rapporto tra ciò che si ha e ciò che si vorrebbe avere sarebbe bello che imparassimo a desiderare ciò che realmente ci rende felici. Rendendoci conto di quanto siamo ricchi.

Melchiorre Cavallo


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PITTURA IN QUARANTENA L’Italia è in quarantena e il mondo la sta seguendo come le maglie di una catena che scivola, trascinata da un’ancora troppo pesante. Oppure come i grani del rosario che Salvini fa scorrere tra le dita durante i programmi di Barbara D’Urso. La mia vita personale, nel frattempo, non è molto cambiata. Sto a casa e vado in studio come facevo nel periodo pre-covid. Certo, ho meno contatti umani, che si sono ridotti a cenni di saluto quando esco col cane e incontro altri esseri con due sole zampe. Il resto è simile a prima, visto che ho sempre lavorato da sola, nonostante sia malata di empatia estrema. Né pre-covid però, mentre ero chiusa a casa o in studio, creavo molto di più. Oggi mi viene più difficile. Eppure il tempo non mi manca. E non mi manca neanche lo spazio. Cosa mi manca è una sorta di leggerezza d’animo che in altri periodi mi consentiva di tuffarmi in un mio mondo personale. Di crogiolarmi nei miei malesseri interiori, nei miei pensieri di luce o nei miei pensieri bui. Comunque di perdermi in me stessa. Tutto ciò mi provocava un domino di idee ed ispirazioni di immagini, luci e colori. Tutto questo era pre-covid. Ora, in periodo covid, difficilmente mi consento di viaggiare dentro di me. Ho troppi pensieri che riguardano il fuori. E da questi difficilmente riesco a trarre ispirazione, almeno non

per ora. Un rimbalzare di cifre, dati, morte e previsioni catastrofiche che per ora mi tengono troppo cosciente per permettermi di navigare nel mio piccolo mondo creativo. Quando ci riesco però è un gran regalo. Ogni tanto capita, per brevi periodi. Sono momenti (in verità durano ore) in cui, in mezzo all’orrore che mi circonda, riesco ad avere boccate di pura libertà. Libertà vera perché è quella dell’animo. Insomma, nel complesso a me personalmente importa relativamente poco di non poter uscire di casa. Sto bene dove sto (che culo!) sempre che riesca a uscire dal mondo per entrare in me. Mi importa molto di più, sempre in questi sprazzi di incoscienza, di non potermi procurare il tubetto di colore ad olio “terra verde” che è uno dei 7 colori principali della mia tavolozza e che mi durerà solo fino a domani. Mi importa di non trovare la tela di cotone fino (o anche di lino, per carità) di almeno un metro per ottanta. Già perché finalmente sapevo cosa dipingere, ma a questo punto non posso più procurarmi il materiale! Allora riduco le dimensioni e mi arrangio con quello che ho in studio. Allora eccolo qua, un piccolo quadro di un interno ricco di luce che entra dalla finestra. Eccolo lì un altro più buio, da cui qualcuno è appena uscito, che aspetta me, me che ora lo dipingo con delle belle

Io resto a casa cm24x30 - Olio su tela pennellate grasse e ricche di colore (tutti i colori ma niente terra verde, peccato!). E tutto questo mi fa felice e mi carica come l’elastico della fionda che usava mio fratello quando eravamo piccoli (quasi ci ammazzavamo una signora).

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E mi rendo conto di essere molto fortunata perché io ho la mia finestra che dà sul mio mondo personale. Che quasi sempre è meglio di quello fuori. Ora più che mai. Luisa Albert


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CI HANNO SCRITTO A PROPOSITO DEL NUMERO DI APRILE tutti.

Roberto Baravalle Care Amiche e Cari amici, oggi sono 30 giorni che Anna Lia ci ha lasciati. Vi chiedo se ne avete tempo e voglia, di unirvi idealmente a Marco e a me, alle ore 11, anche solo per un minuto, in una “catena” che ce la faccia sentire ancora più vicina. Un ricordo, un saluto, una preghiera: quello che volete: Ognuno per conto suo, a casa propria. Contemporaneamente, mi permetto di segnalare lo spezzone della trasmissione “Report” andata in onda ieri su Rai 3 e riguardante alcuni aspetti della scellerata gestione di questa emergenza in Piemonte. Vedere i volti della stupidità, dell’impreparazione e del pressapochismo fa male ma fa anche bene per non dimenticare e ricordare le colpe di chi ha mal gestito questa vicenda, mala gestione dalla quale ha anche avuto origine la morte della nostra cara Lia. Un caro saluto a

Adri Stupendo il numero di Insonnia, l’ho letto e riletto. Umanità a piene mani, frasi che arrivano dal cuore. Un caleidoscopio di sentimenti, paure, sensi di colpa, speranze, sicurezze ed insicurezze che arrivano dal trovarsi immersi in questa situazione diversamente reale. Penso che nello scritto spedito ad Insonnia molti abbiano parlato a se stessi, abbiano esternato quelle sensazioni che si sentono in sé ma che hanno bisogno di esprimersi per essere comprese. Raccogliere questi stati d’animo all’interno di una comunità è stata una cosa eccezionale. Complimenti. Margherita Bella edizione! Avevi ragione a chiedere ad amici e lettori riflessioni e pensieri! Ne viene fuori un arcobaleno profondo di sentimenti e reazioni che solo la forzata permanenza, con noi stessi e su noi stessi, avrebbe potuto regalarci. Mi è piaciuto l’articolo sull’eliminazione del superfluo ed ho sorriso sulle domande finali, che non hanno risposta, almeno per chi non vive di certezze. Ho letto anche Alessandra, ed anche questo mi ha fatto piacere, al di là della sostanza e del contenuto…ma il tema per tutti,

è quello del virus sempre! Continuate, magari non in maniera così grande, ma certo, per almeno un annetto, modo di riflettere e cose da esternare potranno essercene. Poi bisognerà vedere cosa avremo capito e come usciremo da tutto ciò! Pino Perrone Ringrazio tutta la redazione per l’impegno profuso nella realizzazione del numero di aprile in questo stato di pandemia e scoramento generale. Insonnia è vicino ai lettori ed i cittadini che si possono godere un’ora di “evasione” dai pensieri che lo status quo ci impone. In particolare alle persone sole, oggi ricorrenza pasquale, contribuisce a dare compagnia e, perché no, speranza. Sapere che ci sono persone che credono ancora nei valori, dà ottimismo e la giusta carica per affrontare i problemi quotidiani. Ancora grazie ed auguri di buona Pasqua, credenti e non. Cecilia Diaz Complimenti per portare avanti il giornale, anche in questi tempi difficili. Mauro Fissore Grazie alla valorosa redazione, me lo sono letto tutto oggi – mattina di Pasquetta. Poi si va sul balcone per il pic-nic (vista sul castello del Valentino di

sguincio). Avete fatto un gran lavoro di elaborazione e “incredibile” sono tornate le parole scritte (invece degli emoticon e dei like). La forza delle parole e delle belle immagini (complimenti). Avete anche mostrato il buono della tecnologia digitale, rapida, efficiente e senza contaminazioni. Però un po’ mi manca sempre il ”bordero” su cui tutti mettevano le mani per far quadrare la pagina, anche se oggi saremmo forse tutti infettati o comunque macchiati di inchiostro! (n.d.r. – si riferisce al giornale che negli anni 1980 facevamo Carmagnola e Racconigi insieme: sottosopra). Buona Pasquetta. Esi Grazie dell’invio di ieri sera, non ho letto sarebbe stata una lettura frettolosa, ho voluto godermi il tutto stamattina ed è stato davvero un bel risveglio, ho davvero apprezzato molto: l’affettuoso ricordo di Roberto, i vostri pensieri le vostre opinioni, i diversi punti di vista, il racconto di Luciano. Buonissima giornata. Giovanni L’ho ricevuto anche per mail e ho cominciato a leggere. È davvero un bel lavoro. Complimenti a voi!


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

La maestra Maria Camisassa compie i suoi primi cento anni

“La pietra vivente della memoria” di Gianfranco Capello

Sta per compiere il giro di boa del secolo di vita una figura veramente storica nel piccolo mondo racconigese: il primo giugno 1920, da famiglia caramagnese, era nata colei che sarebbe diventata la “maestra” elementare per antonomasia nelle locali scuole per l'infanzia. I familiari di Maria Camisassa riposano per l'eternità nella tomba di famiglia all'interno del camposanto di Caramagna P.te: anch’ella, quando arriverà (tra molto tempo…) la notte che non conoscerà più l'alba, ha già scelto di tornare in loro compagnia, in quel sacello di affetti antichi nel quale un loculo resterà per sempre vuoto e triste, nell'inutile attesa del ritorno dell’adorato fratello alpino Domenico (1922/’43), uno dei mille e mille dispersi cuneesi sul fronte del Don in Russia, al termine della più spietata sconfitta nella storia dell'esercito italiano unitario. La tragedia familiare del giovane fratello scomparso a causa della guerra fascista (peraltro comune a tante altre famiglie racconigesi e

Maria è nata in quel 1920 che ha dato all'Italia anche un presidente della Repubblica (Carlo Azeglio Ciampi, 1920/2016) ed un pontefice massimo della Chiesa di Roma (Karol Wojtila, 1920/2005): la famiglia si era stabilita a Racconigi perché il padre era diventato capostazione titolare delle FF.SS. (un impiego assai rilevante a quei tempi) nella fermata ferroviaria allora spesso frequentata dai sovrani d'Italia, dai membri della corte, dai loro ospiti romani ed internazionali. Sempre in quel 1920, in un altro comune della provincia di Cuneo, ma con parentele racconigesi, era nato un personaggio che sarebbe diventato un fraterno amico spirituale di Maria, dall'adolescenza fino alla morte: don Francesco Brondello (1920/2015) viceparroco di Valdieri durante la guerra mondiale e poi parroco di Limone P.te per lunghi anni, fondatore della struttura religioso-turistica dell’Alpe di Papa Giovanni a Limonetto e poi proclamato “giusto fra le nazioni in Israele” per il riconoscimento dell'

Nella foto a sinistra di Maria vediamo il bidello "Cianin" piemontesi) ha segnato con un marchio a fuoco la vita di Maria Camisassa: la sua esistenza, lunga e operosa, si è sviluppata da allora attraverso due direttrici fondamentali e cioè, la prima, un'intensa attività didattica nelle scuole elementari e, la seconda, un'affettuosa ricerca di informazioni e di ricordi su tutti i Caduti e Dispersi in guerra.

aiuto continuativo prestato a famiglie ebraiche in difficoltà durante l'occupazione militare nazista a Cuneo dal 1943 al ‘45. Dopo il diploma magistrale, Maria Camisassa era rimasta per qualche anno in quella città e insegnava alle scuole elementari di Borgo San Dalmazzo, ma tornava continuamente nella casa dei suoi genitori al piano superiore della

stazione di Racconigi, per stare in compagnia dell'amatissimo fratello (anch’egli diplomatosi maestro) e dei suoi amici racconigesi che stravedevano per lei, bella e colta, elegante e determinata. L'estate del 1942 è quella in cui inizia la tragedia per molte famiglie e anche per i Camisassa: la guerra mondiale divampa su tutti i fronti, l'Italia sta perdendo tutte le campagne, il Duce vuole tentare il colpo d'azzardo dell'invasione in Unione Sovietica accanto alle truppe della croce uncinata. Anche Domenico Camisassa è arruolato nel Battaglione “Mondovì” della Divisione Alpina Cuneense e sale su una delle tradotte militari che, dal 9 luglio, porteranno i sedicimila alpini della nostra provincia verso una sicura e gelida morte in grigioverde, nel corso di un’avventura bellica che tutti sapevano essere un massiccio suicidio annunciato (almeno quelli che avevano letto “Guerra e pace” di Tolstoj sull'esperienza napoleonica del 1812 nelle steppe russe). “Cinque di marzo del ’43… nel fango le armate del duce e del re… grandi promesse, la patria e l'impero, ma sempre più donne vestite di nero…”: anche Maria Camisassa avrà sentito questa malinconica cantilena allorché, in quei giorni del “tragico ‘43”, la campagna di Russia era ufficialmente conclusa con la presa d'atto della ritirata italiana: i soldati non più presenti ai loro Comandi (oltre diecimila su sedicimila della “Cuneense”) venivano dichiarati “irreperibili” (e fra questi vi era Domenico Camisassa), anche se non era ancora chiaro se fossero vivi o morti, prigio-


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

nieri o sbandati dopo i seicento chilometri di “avanzata all'indietro” a piedi nella steppa russo-ucraina dal Don alla Polonia, a 38-40 gradi sotto zero, senza cibo, con armi non più funzionanti, senza mezzi di comunicazione, con il fiato sul collo dei partigiani sovietici assetati di sangue degli invasori. Solo qualche mese più tardi sarebbero stati trasmessi alle famiglie i nomi dei morti, definiti “Caduti” perché il loro decesso era certificato, mentre per la maggioranza degli altri il concetto di “irreperibili” si sarebbe trasformato nel più vago e sconcertante “Dispersi”, perché nessuna istituzione militare italiana avrebbe potuto fornire prove certe della fine di migliaia di giovani in Russia. Nel 1943, il padre di Maria comincia a lamentarsi di una malattia intestinale che lo porterà alla tomba nell'ottobre del ‘44, a cinquantasei anni; mentre anche a Racconigi si vivono le giornate cupe della guerra civile tra fascisti ed antifascisti, la maestra Camisassa ottiene una cattedra a Cavallermaggiore e poi a Racconigi e si impegna in una austera convivenza con la madre rimasta sola e con poca salute, che si protrarrà fino al 1987. Le due donne devono anche cambiare la residenza, perché quella ferroviaria è andata in scadenza, e devono affrontare faticosamente la realtà dell'assenza del fratello e figlio, che diverrà definitiva nonostante Maria faccia veramente di tutto per avere qualche notizia sulla possibilità che Domenico sia ancora vivo, anche se magari prigioniero o malato: alla fine del 1945, la visita ad uno degli ultimi alpini reduci dal fronte russo le farà perdere ogni speranza. Anche a Racconigi, sulle lapidi ufficiali, i Dispersi sono molti di più dei Caduti: soltanto nel 1960 il governo Tambroni equiparerà gli uni agli altri, ai fini giuridici, matrimoniali, ereditari; intanto, però, già nel novembre 1959 in Piazza Castello è stato inaugurato il monumento all' “alpino che non è tornato”, di cui Maria Camisassa è stata una fiera sostenitrice morale e finanziaria. Nei primi anni del dopoguerra, la maestra Maria è protagonista della vita educativa nelle scuole elementari di via Levis, insieme al longevo Direttore Didattico Guglielmo Groppo e ad una generazione di insegnanti che tutti ricordano e dei quali lei è stata “bandiera”: le maestre e i maestri Carandino e Soldano, Cristoforo Bessone, Bettina Mariano, Carla Burzio, Giuseppe Sapino, Alfredo Perletto, i coniugi Bourlot, i coniugi Delbosco, i coniugi Rosano, i coniugi Pollano, i coniugi Martina, Ada Robba Rossi, Adriana Albertino, Rosalba Gianoglio, Elisa Sismonda Chistè, Amalia Rossetti; insieme a tutti questi, per tre anni, dal 1950 al ‘53, nella pluriclasse della frazione Tagliata è titolare di cattedra la maestra monregalese Lidia Beccaria Rolfi, scampata al lager femminile nazista di Ravensbrück e divenuta una importante “testimonial” delle brutture dell'Olocausto. Insieme all'indimenticabile bidello “Cianin” (Sebastiano Mo, 1921/2000), anch’egli reduce mutilato di Russia e già amico del compianto fratello Domenico, Maria Camisassa diviene un oracolo della terrificante vicenda storica militare della Divisione Alpina Cuneense (a Racconigi, i soldati Caduti e Dispersi

in quella tragedia sono settantanove sui centoventisette ufficialmente uccisi nella seconda guerra mondiale sui vari fronti, anche se questo calcolo è difettoso) e interviene in varie occasioni a conferenze e a incontri memorialistici su scala provinciale. Dopo la costruzione del monumento all' “alpino che non è tornato” nel 1959, la maestra Camisassa partecipa alla rifondazione a Racconigi, nel 1960, dell'associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra (già nata nel 1924 per opera dell’allora regina madre Margherita di Savoia), alla quale collaboreranno fattivamente tutti i membri della famiglia Rolando (di cui un giovane fratello, Carlo, era anch’egli tra i dispersi di Russia): quest’associazione, che è tuttora esistente, è stata al fianco delle altre associazioni reduci-

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decisivo per l'autore nell'opera di ricerca e di raccolta delle lettere ancora conservate presso le famiglie. A partire dal 1961, intanto, i reduci della “Cuneense” hanno acquisito a San Maurizio di Cervasca un santuario alpino in cattivo stato, ma ancora bello ed in posizione panoramica tra le valli Grana e Stura: intendono farne un sacrario per le memorie della “divisione martire” e hanno bisogno di appoggi politici e di aiuti finanziari. Maria Camisassa, ancora una volta, offre una bella somma per il restauro dell'altare, a ricordo del proprio fratello ed è attiva con i fratelli Rolando (dei quali uno è, all'epoca, consigliere provinciale) e con don Francesco Brondello, operante al centro di molte conoscenze politiche. Nel 1980 la maestra raggiunge la pensione scolastica, insieme alla medaglia d'oro della

Donne al lager di Ravensbrück stiche, ma con compiti più memorialistici, e ha ottenuto, nel 1967, che l’antiquata via Circonvallazione fosse sostituita, nello stradario racconigese, dall'attuale via “Divisione Alpina Cuneense” e che nascesse la via “Caduti e Dispersi in Russia”. Tra il 1970 ed il ‘71, l'attività di recupero della memoria storica da parte di Maria Camisassa vive un’impennata importante: per un paio d'anni frequenta la sua casa e quella dei fratelli Rolando un personaggio cuneese che si è già affermato come studioso di storia provinciale e come scrittore di memorie della seconda guerra mondiale. Si tratta di Nuto Revelli (1919/2004), già ufficiale di carriera negli alpini della “Tridentina”, campione sportivo dell'esercito, poi comandante partigiano della brigata “Giustizia e Libertà” in Valle Stura, ferito e decorato, infine generale nel ruolo d'onore degli Alpini: dopo avere pubblicato alcuni testi fondamentali già negli anni Sessanta (“Mai tardi”, “La guerra dei poveri”, “La strada del davai”), nel 1971 Nuto Revelli vuole raccogliere le ultime lettere dal fronte russo della maggior parte possibile dei soldati caduti e dispersi con la “Cuneense”. Ne nascerà uno splendido libro di modello epistolare, “L'ultimo fronte”: per la parte di Racconigi, Maria Camisassa ha costituito un aiuto

pubblica istruzione (dopo le leggi Monti-Fornero del 2011, ciò non sarebbe più possibile): resta immutata, però, la sua volontà di contribuire a recuperare le memorie artistiche di Racconigi e dunque, ancora a nome del fratello, elargisce denaro al mantenimento delle due più belle chiese di Racconigi e cioè San Domenico e la Madonna della Porta, in accordo con il veterinario dr. Aldo Mainardi (1920/’99) a suo tempo studioso delle chiese racconigesi e autore del fondamentale libro “Le chiese di Racconigi” in collaborazione con il grande Carlo Sismonda (1929/2011). Continua anche il suo impegno all'interno della sezione racconigese della A.N.F.C.D.G. (Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra. n.d.r.) e favorisce l’inaugurazione di una lapide a tutti i caduti di Racconigi in mezzo a quelle poste intorno al sacrario di San Maurizio di Cervasca (1982): per molti anni ancora è la fiamma viva dell'associazione locale, prima di affidarla ai rappresentanti di una generazione successiva, composta di nipoti e pronipoti dei Caduti e Dispersi, invece dei loro familiari diretti. È stata una lunghissima vita, quella di Maria, ma è stata una vita ben spesa: a lei vanno gli auguri che possa ancora durare almeno per un po' ...


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

100 anni di Maria Camisassa Volentieri mi unisco agli auguri che tanti, e sono spesso ricordati dalla Maestra gli alunni che rivolgono a colei che ha lasciato un bel segno nella loro vita: hanno imboccato strade diverse, ma nel ricordo di colei che era a volte severa, ma che ha lasciato un posto nel loro cuore, con loro e con Lei vorrei ringraziare il Signore per i suoi cento anni. Nei nostri incontri per l'Eucarestia, si preparava sempre come a una festa. In quella mezz'ora passata insieme, oltre a parlare di vita dello spirito, amava ricordare i tempi belli come maestra. Ci accomunava

il ricordo degli anni della grande guerra: per lei la perdita del fratello Domenico disperso in Russia, come nella stessa situazione mio zio materno Guido, e in campo di concentramento in Germania, deportato e morto di fame mio fratello Giovanni... per loro e per tutti i caduti pregavamo (lei ha chiesto di mettere una Targa che tutti ricorda sul pinnacolo che è sormontato dalla croce sulla facciata della chiesa). Racconigi è fiera di una “centenaria” che a tutt'oggi, con mente lucida ricorda e prega per tutti coloro che le hanno comunicato una ragione di vita; anni di insegnamento

nella scuola, senso umano e civico che ha saputo trasmettere. Affezionatissimo al suo “san Domenico” continua a chiedere su cosa si fa per renderlo sempre più accogliente, si rivede con tutti i fedeli a pregare insieme, mi chiede di portare i suoi saluti (è stata una delle prime a iscriversi all'Associazione Chiesa san Domenico). Incontrarla mi ha aiutato a vedere nella sua saggezza un mezzo di cui si serve il Signore per indicare a me e a lei una strada. Ad multos annos!; Auguri Maria! p. Vincenzo Mattei

Carla Rosano 28 – 2 - 1963 Classe II A

TEMA: Quale dei tuoi insegnanti ha influito maggiormente sul tuo carattere e sulla tua formazione culturale e morale? L'insegnante che mi ha lasciato un bel ricordo di sé e à più influito sul mio carattere è la mia maestra elementare. Con lei ho trascorso i cinque anni delle elementari, e ora mi sono accorta che essi sono passati troppo in fretta! Io ho sempre voluto bene alla mia maestra, anche dalla prima elementare, quando non la conoscevo ancora abbastanza. Mi ha ispirato fiducia e per questo le ho sempre detto tutto, nonostante le sgridate della mamma, perché le dicevo quello che facevamo in casa. Ora vado spesso a trovarla a scuola, ma i volti delle scolare non sono più quelli delle mie ex compagne; sono bambine che la signorina maestra cura con lo stesso amore che usava con noi, sue scolare di sette anni fa. In cinque anni di scuola ho imparato dalla maestra a non arrivare mai in ritardo a scuola. Ella era sempre puntuale o arrivava in anticipo sull'orario; solo qualche volta ritardò, ma aveva la mamma che stava molto male e un'altra volta le successe un piccolo incidente stradale. La signorina maestra da noi volle soprattutto la pulizia fisica e della scuola, e per questo a casa raccolgo sempre un pezzo di carta o una briciola caduti per terra. Imparando da lei, sono riuscita a migliorare di molto il mio carattere, non dei migliori. Il suo grembiule era sempre pulito e stirato e noi cercavamo

di fare di tutto per averlo come il suo. Non arrivò mai a scuola spettinata o col vestito in disordine e io e le mie compagne, prima di entrare in classe ci aggiustavamo il colletto, cercavamo di pulire qualche macchiolina sul grembiule e ci davamo una pettinata, per non farci scoprire in disordine. Inoltre, dalla mia maestra, ho imparato ad amare grandemente lo studio. Quando spiegava, eravamo tutte attente e non si sentiva una mosca volare. Io non perdevo una sua sola parola e mi interessavo sempre più e mi rammaricavo quando suonava il campanello. La signorina ci faceva leggere molto e insisteva perché leggessimo molti libri della biblioteca; per questo ora mi piace leggere molti libri e anche imparare cose nuove. Le materie di studio mi piacevano di più, anche nelle parti più difficili o più noiose. Imparavo la lezione con più facilità, dopo aver sentito la sua spiegazione in scuola, e mi piaceva molto essere interrogata, perché la maestra aveva un modo particolare di interrogare, che rendeva le domande più facili. Conservo ancora tutti i temi svolti nelle elementari e ogni tanto penso ancora come abbia potuto scrivere un tal numero di fogli. Ogni settimana svolgevamo un tema in classe e uno a casa, riempiendo le cartelline. Ogni tanto mi ricordo ancora di quei giorni di scuola e

mi pare ancora di udire la cara voce della signorina che ci ammoniva, che spiegava o che interrogava e rimpiango di aver già passato tutti quegli anni da molto tempo!

L'originale della prima pagina del tema di Carla Rosano

Affetto e riconoscenza Con il prossimo 1 giugno la mia maestra compie 100 anni. Che bel traguardo per una vita intera trascorsa per e con i suoi allievi ed ex allievi.

Allievi ed ex allievi che la "maestra" ha sempre seguito con affetto e con partecipazione ai loro problemi. Grazie signora maestra.

La ricordo e la saluto con tanto affetto e riconoscenza. Luigi Imberti


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

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"Ciò che un insegnante scrive sulla lavagna della vita non potrà mai essere cancellato" La nostra Maestra delle elementari il 1° giugno 2020 compie 100 anni! Grazie a Lei abbiamo imparato a scrivere, leggere contare... ma soprattutto ci ha insegnato il rispetto, l'educazione, la disciplina... la bella calligrafia! Le pagine dei nostri quaderni, scritte con pennino intinto nel calamaio dovevano essere perfette e ordinate. Molti sono i ricordi: la medaglia che a turno portavamo sul nostro grembiule nero con collettino bianco, una per la bontà ed un'altra per lo studio. Ci ha sempre spronato a dare il massimo. Ora grazie a Lei siamo le persone che siamo e per questo la ringraziamo!!! Con affetto, gratitudine e gioia auguriamo a Lei BUON COMPLEANNO! a nome di tutte le sue allieve, classe 1960, Lella Clerici

Noi del '60 che in prima elementare scrivevamo con pennino e calamaio

Un rinnovato grazie Cara MAESTRA una foto in bianco e nero che ritrae un gruppo di ragazzine in posa, disposte su tre livelli differenti, tutte rigorosamente col grembiule nero ed il clas-

La classe 5°A nell'a.s. 1965/'66 sico colletto bianco, mi ha rimandato indietro nel tempo di oltre mezzo secolo. Lo scatto mi ha riportato agli anni della scuola elementare in cui gli accadimenti erano scanditi da tempi precisi, da rituali ripetuti, ma non per questo banali o privi di senso. Ogni cosa aveva un significato: l’appello era il modo di salutarci ogni mattina e rispondere “presente” il segno di appartenenza a quella piccola comunità.

La recita di una poesia, la correzione dei compiti, il dettato erano piccole “prove di concerto” che noi allieve mettevamo in atto grazie alla sapiente guida di una direttrice d’orchestra. Ai miei occhi tale appariva la mia, la nostra MAESTRA, con la sua bacchetta di legno che magicamente si trasformava in strumento per indicare o, se battuta sulla cattedra, diventava un mezzo per catturare la nostra attenzione o stoppare un chiacchiericcio inopportuno. “L’ha detto la MAESTRA”, frase ripetuta fra noi bambine, ma condivisa anche dalle nostre famiglie, era l’espressione per riconoscere alla MAESTRA CAMISASSA l’autorevolezza che la distingueva, la professionalità, lo stile di insegnamento e le modalità educative adottate. Ha saputo darci dei confini, mettere dei paletti e farci capire che le regole condivise vanno rispettate. Ci ha inculcato la curiosità di sapere, di scoprire e di imparare cose nuove. Ripenso al suo modo di spiegare di “prenderci” come diremmo ora. Mi sembrava di ascoltare una favola. La capacità di modulare il tono della voce, le pause, gli sguardi accendevano nella mente immagini ed emozioni che ricordo con tenerezza a distanza di anni. Mi rendo conto di aver parlato sempre al passato, nonostante il fatto che ancor oggi ho l’opportunità e la fortuna di poter comunicare con la mia

MAESTRA. Né lo scorrere del tempo, né le prove della vita sono riuscite ad intaccare la sua lucidità di pensiero e la sua splendida memoria. È sempre un piacere incontrarla e, in questo particolare momento storico, sentirla telefonicamente. Il 1° giugno prossimo sarà un gran giorno, una ricorrenza da ricordare e un momento speciale per augurarle BUON COMPLEANNO ed esprimerle un rinnovato GRAZIE. Sono certa che le 100 candeline le spegnerà con un solo soffio! Non si smentirà, conoscendola, neppure stavolta… Con affetto Marilisa Rosso

Ex alunne alla festa degli 80 anni

Signora Maestra La maestra è stata, senza retorica, uno dei pilastri della mia vita. Cinque anni insieme, quasi ogni giorno, hanno costruito una grossa parte di me. La parte “buona”, direi, quella che ha sempre studiato, ha sempre cercato di “fare il suo dovere”, ha avuto una certa disciplina nella vita.

La Maestra, oltre a svolgere con competenza i programmi ministeriali, insegnava un metodo di studio, un modo di realizzare un bagaglio culturale, un sistema di immagazzinare le nozioni che sarebbero poi servite in futuro. Da questo punto di vista le devo tutto, nel senso cioè che ho potuto affrontare e conclude-

re, grazie a quei primi insegnamenti, il Liceo, l’Università, le Scuole di Specializzazione. Il suo insegnamento andava oltre la materia di studio, era orientato verso lo scopo di farci raggiungere un senso di dignità e maturità personale, di rispetto, di decoro, di senso critico, tutte caratteristiche di cui era

ed è ricchissima (oltre che di una notevole dose di ironia, che ancora la accompagna). A Lei va tutto il mio più sincero grazie, e tanto tanto affetto (rispettoso, s’intende). Buon Compleanno, Signora Maestra, tanti auguri !!!! Maria Paola Bonavia


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

Da bambino, della mia maestra ero innamorato Lunedì 1° giugno taglia il traguardo dei cento anni Maria Camisassa, per tutti la “Maestra” che in 40 anni di carriera ha insegnato a leggere, scrivere, fare di conto, e soprattutto a vivere, a ragazzi e ragazze delle leve 1938/39 come supplente, poi ininterrottamente a Racconigi dal ’41 al ’70. È stata la mia prima insegnante, quella che fra elementari, medie e superiori, ha lasciato di più il segno. Severa ma giusta, alta, elegante nei suoi camici rigorosamente neri, non ha mai avuto bisogno di alzare la voce: bastava un suo sguardo per congelare e zittire anche il discolo più indisciplinato. Era impensabile dare del tu alla maestra, e quando entrava in classe si scattava tutti in piedi con un “Buongiorno Signora Maestra”. Ero anche stato uno dei suoi primi allievi, con la presunzione di essere annoverato fra i suoi preferiti. Del resto, una volta finite le elementari ho sempre mantenuto i rapporti con

la “maestra”. Andavo, non spesso come avrei voluto, a trovarla a casa, incontrandola al mercato quasi ogni giovedì, telefonando a Natale, Pasqua e il giorno del compleanno. Da bambino io, della mia maestra ero innamorato, come lo può essere di un’adulta un ragazzino di 7/8 anni. Sapevo che strada percorreva per andare a scuola, così la aspettavo, la accompagnavo per gli ultimi metri. Mi chiedeva sempre notizie dei suoi ex allievi, dei quali ricordava il nome e sapeva tutto delle vicende familiari e lavorative. Leggeva tutti i miei articoli, fino a che la vista glielo ha consentito, poi se li faceva leggere e li commentava. Ha vissuto da sola in casa fino a quando la salute glielo ha consentito: oggi da qualche mese è ricoverata alla residenza Angelo Spada, dove a causa dell’emergenza sanitaria non potrà neppure festeggiare pubblicamente il suo “primo” secolo di vita. Che dire? Della vita di Maria Cami-

La Maestra è qui con Aldo Mano alla festa degli 80 anni sassa ci sarebbero da scrivere pagine e pagine. Facendomi interprete del pensiero di quelli che chiama ancora “i miei ragazzi”, molti dei quali oggi già nonni, insieme ad un ringraziamento per quanto ha fatto, mi limito a

porgere alla maestra Maria Camisassa i più sentiti e calorosi auguri, anche se oggi solo virtuali, un grande abbraccio.

Aldo Mano

Uno straordinario rapporto Appare difficile descrivere lo straordinario rapporto che, nei tanti anni di insegnamento, la Maestra Maria Camisassa ha saputo creare con suoi allievi (i suoi alunni, come direbbe lei), di cui sono orgoglioso di fare parte; la quantità di nozioni, la passione e l’amore per la conoscenza che ha saputo trasmettere loro; il senso civico, il ruolo che ogni cittadino, ragazzo, uomo o donna che sia, sarà chiamato ad avere nella società che ha saputo radicare nei loro animi, di pari passo alla consapevolezza della necessità di avere conoscenze e competenze, insieme al rigore e alla disciplina, come armi vincenti per essere dei cittadini con la “C” maiuscola. Forse, unendo le tante voci di suoi alunni, colleghi, famiglie, riusciremo, in questa occasione così importante, nell’impresa. Poi ci sono i tanti ricordi personali, che desidero condividere con voi, come il primo giorno di scuola, quando ci insegnò l’importanza della postura da adottare sedendo sul banco di scuola; la necessità di

non prevaricare gli altri, di parlare uno alla volta, e questo non tanto per il rispetto nei confronti del proprio precettore, quanto piuttosto per il rispetto dovuto agli altri bambini che sedevano di fianco a noi. E ci insegnò anche il rispetto per noi stessi, per la funzione propria di ciascuno ed anche il senso di responsabilità, senso di responsabilità che ha scandito tanti anni della mia vita e che sento ancora oggi, nella funzione di Sindaco della mia amata Città. Mi ricordo anche la didattica innovativa, l’insegnamento della matematica, che a me piaceva particolarmente, e le esercitazioni pratiche, messe in atto per combinare le conoscenze teoriche e la loro applicazione reale, la mente e il corpo. Non posso neanche scordare l’esame di seconda elementare e quello della quinta elementare, a cui ci siamo approcciati tutti con timore, ma anche con la volontà di metterci in gioco, forti dell’insegnamento ricevuto dalla nostra Maestra di non sottrarci alle responsabilità, al giudizio, in poche parole dandoci gli

strumenti, fin dalla tenera età, per essere, da un lato, competitivi e dall’altro solidali e sappiamo bene quanto di questo abbia bisogno la nostra società, specialmente in questi momenti. La fortuna ha consentito a tutti noi allievi di conservare la nostra cara Maestra e di giungere oggi ad una importante cifra tonda, ma la cosa più importante è quanto oggi sia ancora capace di darci dei consigli, come ha fatto con me tante volte, di raccontarci e di essere memoria viva dei periodi storici passati, in particolare del secondo conflitto mondiale, del quale rimane testimone profondamente toccata. Spero di avere ancora molte opportunità di confrontarmi e di ascoltarla, così come ha fatto Lei con me in tante occasioni, anche le più intime, come solo la Maestra sa fare e come solo la Maestra Maria Camisassa sa farlo. Racconigi, 27 aprile 2020

Valerio Oderda

Grazie signora maestra Sulle sue capacità professionali ed umane penso non ci siano dubbi: non posso dimenticare la "fermezza" con cui ci ha insegnato la grammatica italiana (uso del congiuntivo! che ancora oggi mi ossessiona) o le piccole filastrocche per meglio ricordare

le regole (ce, ci, acca si; ca, cu, co, acca no). A tutti ha dato la capacità di esprimersi in modo corretto, apprezzando la bellezza della nostra lingua, così ricca, e guardando a lei non si possono dimenticare il senso del dovere, la disciplina ma anche la ge-

nerosità, il valore dell'amicizia e la passione per il proprio lavoro. Grazie signora maestra.

Lalla Quaglia

Un abbraccio molto affettuoso Sono Giordano Stefano, e ho il piacere di festeggiare con LEI il suo compleanno, i suoi cento anni (la Maestra vuole che io le dia del tu ma io non oso). Noi l’abbiamo sempre in mente, la ricordiamo sempre, mi rincresce solo di non poterla più andare a trovare al pensionato, ma appena tutto questo sarà

finito (coronavirus, n.d.r.) ho la speranza che ci si possa di nuovo vedere in buona armonia. Con la Maestra ho fatto tre anni di scuola elementare, parliamo degli anni 1948-49-50. Ricordo la festa bellissima che le abbiamo dedicato in occasione dei suoi ottant’anni all’Albergo Ca-

stello: c’era una tavolata per ciascuna delle annate di scuola. Sempre attiva e in forma al massimo, sempre perfetta nel presentarsi, ricordo dell'ultimo nostro incontro un lungo abbraccio molto affettuoso.

Stefano Giordano


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MARIA CAMISASSA HA FATTO CENTO

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Buon compleanno signora Maestra I 100 anni di Maria Camisassa

Cara maestra, questa importante meta fa di lei una testimone della nostra storia, un rigoglioso albero. Quello che lei rappresenta è qualcosa cui molte giovani generazioni possono attingere per imparare ad avere radici e ali: le radici della memoria e le ali della speranza e della fiducia. Auguri di cuore!

La “mia” maestra

Il nostro primo incontro avvenne nell’autunno del 1971. Ventisei scolaretti, tutti maschi, ad armeggiare per la prima volta con quaderni e matite. Silenzio, tutti in piedi: “Buongiorno, signora maestra”. Al momento dell’appello non ebbi il coraggio di guardarla in faccia e così fino all’intervallo. Quando lanciai un’occhiata alla cattedra, vidi finalmente la maestra Camisassa. Tirò fuori dalla borsa un astuccio tondo, lo aprì, prese un piumino tra le dita e, guardandosi allo specchio, si tamponò la punta del naso e del mento. Tutto intorno si diffuse una fragranza di cipria. Quel gesto e quel profumo accompagnano i ricordi della mia maestra.

La punteggiatura è il tono della voce

Gennaio 1973. Tema: “La mia mamma”. “Ieri la mia mamma è andata a parlare alla mia maestra. Arrivata a casa ha detto che sono molto fortunato ad avere la Camisassa perché è la più preparata e intelligente. Io penso che è anche la più bella: io la adoro.” Con un solo tema riuscii a fare più danni. Mia mamma scoprì di aver perso il primato della bellezza, almeno ai miei occhi. La maestra non apprezzò che avessi parlato di lei. Queste furono le sue correzioni: “Si adora soltanto Dio. Attento a non andare fuori tema. Ricordati che la punteggiatura è il tono della voce!”. Perle di saggezza.

Galeotta fu l’insiemistica

Nei primi anni settanta si fece strada in Italia un vento di cambiamento nell’insegnamento della matematica basato sulla teoria degli insiemi, anche per la scuola elementare. Mia madre Rita, giovane insegnante elementare, chiese alle colleghe chi fosse interessata a partecipare a un corso annuale sull’insiemistica, a proprie spese, che si teneva a Savigliano. Rispose entusiasta solo la maestra Camisassa. Come Thelma & Luise nel film di Ridley Scott, ogni settimana Rita e Maria partivano insieme con la macchina per apprendere non solo un nuovo metodo di insegnamento della matematica, ma soprattutto un linguaggio, una logica, un modo di

esprimere in modo sintetico le situazioni e risolvere i problemi. “È stato un anno bellissimo” confessa la Camisassa “E io per sdebitarmi nei confronti di tua mamma che veniva a prendermi con la macchina e mi riaccompagnava a casa, cosa le ho regalato? Una torta! Ma ti rendi conto? Una torta!”. In realtà le regalò molto di più: un rapporto di stima e fiducia tra due colleghe, durato tutta la vita.

I luoghi della memoria

Terminare la scuola elementare fu per me un dramma. Lasciavo Racconigi per il collegio e pure la mia maestra. Per consolarmi, la Camisassa mi regalò un libro: “Pattini d’argento” di Mape Dodge: storia di amicizia e solidarietà tra due fratelli in una famiglia unita. Proprio come casa Camisassa. Papà, classe 1887, capostazione a Racconigi; mamma, classe 1893, dedita ai due figli: Maria del 1920 e Domenico del 1922. “Noi siamo di Racconigi, ma i miei vecchi erano di Caramagna” mi confida. “Mio nonno paterno era stato segretario comunale a Racconigi e Caramagna. Il papà di mamma, invece, era stato sindaco a Caramagna. Hai mai sentito parlare del Canonico don Giacomo Camisassa?” mi domanda. Io, come fossi a scuola, non so cosa rispondere. “È il cugino di mia nonna, nato a Caramagna, cofondatore dei Missionari della Consolata” spiega. “È sepolto accanto al beato Giuseppe Allamano nella cappella della Casa madre dei Missionari della Consolata, in corso Ferrucci a Torino”.

Tutta sua madre

Le lezioni con la maestra proseguono da circa 40 anni. Non ci sono giorni prestabiliti, perché ora vivo a Roma. Non devo più prepararmi su determinati argomenti. Ma tutte le volte che torno a Racconigi e incontro la maestra, lei mi regala una lezione di vita. A partire dalla prima grande scelta, compiuta nel 1944. Maria aveva solo 24 a_ni quando morì il papà. Poteva andarsene di casa, inseguire la sua vita. Invece ha scelto di rimanere accanto alla mamma fino alla sua dipartita. “Mia mamma era veramente bella, molto fine” mi confida. “Papà la provocava dicendo: ma mamma era proprio tanto bella? Lei rispondeva:

La Maestra con l'ex alunno Gianni Liprandi come era? Lo sono ancora.” Ora so da chi ha preso la maestra: fine, elegante, raffinata.

L’ultimo fronte

C’è un filo rosso che in tutti questi anni accompagna i nostri incontri. Il racconto di suo fratello Domenico e dei miei due zii, dispersi in Russia. Domenico Camisassa era un giovane studente di Racconigi che frequentava la 2° magistrale superiore quando venne mandato al fronte russo. Partì nell’agosto 1942 insieme ai soldati della Divisione Cuneense, composta da 15.000 uomini. “Nel settembre del 1945 un reduce dalla prigionia, Vincenzo Dalmazzo della Valle Pesio, ci disse che in luglio Domenico era ancora vivo, nel campo 29/3 di Taskient, nelle baracche dei distrofici.” La voce le si spezza. Dall’agosto del 1942 al gennaio del 1943 Domenico scrisse ben 86 lettere, pubblicate nella 1° edizione del libro di Nuto Revelli “L’ultimo fronte”. Poi più nessuna notizia.

Un insegnante ha effetto sull’eternità

L’affetto immutato della maestra verso suo fratello si è tradotto in un impegno civile e culturale per la comunità racconigese. Per tenere viva la memoria dei “nostri” caduti e dispersi in Russia, la maestra ha provveduto a restaurare i tetti e il frontale della chiesa di san Domenico, come pure gli affreschi della chiesa di Madonna della Porta. “Ho venduto un alloggio a Racconigi per restaurare la cappella di Cervasca dedicata ai caduti e dispersi in Russia”. Perché lo ha fatto, le domando. “Se mio fratello fosse stato vivo, questa sarebbe stata la sua proprietà. Penso sempre che i soldi sono di mio fratello ed è giusto utilizzarli così”. Un gesto di grande generosità e riconoscenza. È vero quello che scrive Henry Adams: “Un insegnante ha effetto sull’eternità; non può mai dire dove termina la sua influenza”.

Gianni Liprandi


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SMART WORKING: LUCI E OMBRE

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Benefici e criticità del telelavoro, impatto sull’ambiente e sulle persone di Giacomo Castagnotto

L’epidemia di coronavirus ha portato molte aziende ad attivare uno strumento ancora poco utilizzato in Italia: lo smart working o telelavoro. Le aziende hanno adottato questo sistema di lavoro per dare continuità al proprio business tutelando contemporaneamente la salute dei dipendenti. Il lavoratore non deve più affrontare uno spostamento e recarsi in un ufficio, ma può svolgere il proprio lavoro in qualsiasi ambiente e in qualsiasi momento utilizzando le tecnologie di informazione e di comunicazione. Il coronavirus ha obbligato le aziende ad adottare questo strumento superando una certa diffidenza del mondo manageriale da una parte e richiedendo una maggior responsabilizzazione del lavoratore dall’altra. Questo ha imposto un vero e proprio cambiamento culturale della leadership, abbandonando una serie di pregiudizi fondati sulla paura che lo smartworker non lavori, evidenziando invece il contrario e dimostrando un impatto positivo sulla produttività. Lo smart working ha portato comunque dei benefici e delle criticità a livello globale e a livello personale. Uno dei benefici che si è evidenziato di più in questo periodo è l’impatto ambientale: il traffico sulle strade si è ridotto drasticamente (purtroppo non solamente per il telelavoro) riducendo così le emissioni inquinanti da un lato e aumentando il risparmio energetico dall’altro. Risparmio che pesa positivamente sulle tasche dei lavoratori che non dovendosi recare in uffi-

cio, lasciano la propria auto ferma in garage, ottenendo un risparmio di benzina o biglietti del trasporto pubblico (nel mio caso specifico un risparmio di 200 euro in un mese). Secondo ENEA, “lo Smart Working riduce la congestione, i consumi energetici e, in generale, l’impatto ambientale degli spostamenti casa-lavoro sui nostri sistemi urbani. C’è anche un altro importante aspetto, connesso al cibo consuma-

milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030 e si eviterebbero 115 milioni di ore annue di spostamento casa/lavoro. Sarebbe interessante conoscere i numeri per l’Italia ma il traffico attorno ai centri urbani negli orari di apertura e chiusura degli uffici, ci fa pensare che i valori non si discosterebbero molto da quelli inglesi. Quindi sembrerebbe che lo smart working venga promosso a pieni

to fuori casa. Esso richiede un consumo di quantità di energia maggiore e, in aggiunta, viene imballato quasi sempre in contenitori di plastica. Gli interventi di risparmio energetico, inoltre, sono molto più semplici da realizzare in uno spazio contenuto e conosciuto: la casa”. Secondo Regus, una agenzia di co-working con sede a Zurigo, con lo smart working nella sola Inghilterra si risparmierebbero circa 8

voti su tutti i fronti. Ma è veramente così? Sperimentandolo in prima persona da ormai 50 giorni, mi sembra di individuare alcune criticità che si incrementano ancora di più per le donne. L’utilizzo da casa della connessione internet per svolgere le mansioni professionali, rende sempre più difficile prendere le distanze dalle attività lavorative. In effetti, essere

always on, e cioè sempre raggiungibili e disponibili per il datore di lavoro e per i colleghi, può accentuare il conflitto tra il lavoro e la famiglia o comunque la propria sfera personale, perché il confine tra lavoro e vita privata tende a scomparire. L’iper-connettività espone a maggiori rischi la salute - tanto fisica, quanto mentale - dei lavoratori da remoto, i quali possono incorrere più facilmente in patologie quali il techno-stress, la dipendenza tecnologica, il burnout. I confini tra vita professionale e vita personale tendono a confondersi favorendo quella che si chiama in inglese time porosity, ovvero la reciproca interferenza e sovrapposizione tra tempo di lavoro e tempo di vita, che può essere fonte di conflitti personali e familiari. Da una ricerca condotta per analizzare il mondo del lavoro smart in Italia, emerge che per le donne in particolare il lavoro è poco smart. La responsabilità della cura famigliare continua a gravare specialmente sulle donne che in questo periodo oltre a garantire l’attività professionale, devono anche occuparsi del manage famigliare reso molto più complicato dalla convivenza forzata. Si deve con fatica far quadrare lavoro, casa e scuola dei figli con la didattica a distanza. Quindi, ben venga lo smart working con tutte le implicazioni e i risvolti positivi sull’ambiente e sulla gestione del tempo, ma sarebbe auspicabile una maggiore disciplina del lavoro agile con norme e contratti chiari che tendano a regolamentarlo.


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Facciamo la maglia?

L’aiuto delle nostre mani per superare le difficoltà di Grazia Liprandi

Gabriel mi guarda a lungo mentre sferruzzo. - Nonna che fai? - Una maglia, tesoro - Ah sì? Ma le maglie si fanno? - Si possono comprare o fare. - E cosa sono quei cosi? – indicando i ferri - Non li hai mai visti, vero? Hai ragione, li avevo dimenticati in un cassetto da anni. Chissà perché ora m’è presa nostalgia. In questo periodo avete notato che abbiamo ripreso ad usare le mani? Impastiamo, ritagliamo, sferruzziamo, suoniamo la chitarra impolverata riesumandola da un angolo della casa, zappettiamo, seminiamo e potiamo, laviamo a mano indumenti e stoviglie e rimestiamo, peliamo, tagliuzziamo, cuciniamo, cuciamo, sfogliamo, sfioriamo… abbiamo riattivato le mani in modi diversi a seconda del nostro sentire. Esse hanno ripreso a gestire luoghi e tempi, da protagoniste. E anche i bambini lo stanno

imparando: mai come ora strappano, ritagliano e incollano, colorano e disegnano, pasticciano… Nell’ultimo viaggio in Vietnam che ho fatto a dicembre con i miei cari amici, al nord sulle montagne rimanemmo incantati dall’abilità e la destrezza di tante mani povere e impolverate che creavano dal nulla meravigliosi tessuti e ricami, intagli e intrecci… in una danza velocissima e creativa che abbelliva la vita…. Mi parvero antichi e ora… come li sento più vicini! E accade che, mentre guardo ammirata e stupita le mie mani improvvisamente abilissime che, nonostante l’oblio non hanno dimenticato nulla di quel sapere antico che mia nonna mi insegnò a 5 anni quando mi insegnò a fare la mia prima sciarpa, leggo - neanche a farlo apposta – questo meraviglioso articolo di Elena Bernabè, laureata in Psicologia e responsabile della redazione di Eticamente: "Nonna, come si affronta il dolore?" "Con le mani, tesoro. Se lo fai

con la mente il dolore invece di ammorbidirsi, s'indurisce ancora di più." "Con le mani nonna?" "Sì. Le nostre mani sono le antenne della nostra anima. Se le fai muovere cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o sprofondandole nella terra invii segnali di cura alla parte più profonda di te. E la tua anima si rasserena perché le stai dando attenzione. Così non ha più bisogno di inviarti dolore per farsi notare." "Davvero le mani sono così importanti?" "Sì, bambina mia. Pensa ai neonati: loro iniziano a conoscere il mondo grazie al tocco delle loro manine. Se guardi le mani dei vecchi ti parlano della loro vita più di qualsiasi altra parte del corpo. Tutto ciò che è fatto a mano si dice che è fatto con il cuore. Perché è davvero così: mani e cuore sono connessi. I massaggiatori lo sanno bene: quando toccano il corpo di un'altra persona con le loro mani creano una connessione profonda. È proprio da questa

connessione che arriva la guarigione. Pensa agli innamorati: quando le loro mani si sfiorano fanno l'amore nel modo più sublime." "Le mie mani nonna... da quanto tempo non le uso così!" "Muovile tesoro mio, inizia a creare con loro e tutto dentro di te si muoverà. Il dolore non passerà. M si trasformerà nel più bel capolavoro. E non farà più male. Perché sarai riuscita a ricamarne l'essenza." Incantata da tanta saggezza, chiedo alla redazione di Insonnia di lasciarmi condividere con voi, per una volta integralmente, l’articolo trovato sul web perché la bellezza non puoi tenerla nel cuore, devi regalarla. E scopro che la saggezza può anche appartenere alla giovinezza: Elena Bernabè è infatti una mammina di tre bambini. Credo che la lettura dei suoi articoli su https:// www.eticamente.net sia un grande spunto per tutti noi, oggi più che mai.


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SOLIDARIETÀ E VICINANZA IN TEMPI DI CORONAVIRUS Un breve riassunto delle opportunità in città Cerchiamo di dare con questo breve riassunto delle attività e contatti in essere nel nostro comune alcune informazioni utili a livello di cittadinanza in caso di bisogno. Chi vuole e ne ha la possibilità potrà, con donazioni, contribuire alla spesa dei beni di prima necessità per famiglie in situazione di particolare disagio socio-economico conseguente all’emergenza COVID- 19.

Chi chiamare in caso di bisogno

• Il numero verde 1500, è un numero nazionale e serve per informazioni generiche di carattere sanitario e sui comportamenti di prevenzione. • Il numero verde 800.19.20.20 della Regione Piemonte dedicato alle richieste di carattere sanitario sul Coronavirus. È attivo 24 ore su 24. • Il 112 rimane il numero di riferimento per le emergenze sanitarie e altri tipi di emergenze. • “A Racconigi ci ascoltiamo” sportello di ascolto psicologico per gestire l’emergenza Covid-19. L’Amministrazione Comunale, in collaborazione con la Cooperativa Sociale Laboratorio, ha attivato uno sportello telefonico di ascolto, gestito da psicologi e componenti del Volontariato cittadino, per dare un supporto psicologico professionale alle persone che ne hanno necessità. All’iniziativa hanno aderito, con grandissima disponibilità, la quasi totalità dei

medici psicologi racconigesi, oltre a studenti e volontari. È possibile chiamare dal lunedì al venerdì dalle 10,00 alle 12,00 e dalle 16,00 alle 18,00 e la sera per le emergenze dalle 21,00 alle 22,00 i seguenti numeri di telefono: 3423683959 e 3406183948. • Gli angeli della spesa. Il Comune di Racconigi e la CRI Comitato di Racconigi OdV, insieme ad altre Associazioni cittadine (Protezione Civile e Tocca a Noi) hanno organizzato il Servizio di consegna a domicilio, di farmaci, ricette, beni di prima necessità. La croce Rossa risponde al numero telefonico 0712 84644 dal lunedì al sabato dalle ore 9,00 alle ore 16,00. Le consegne saranno effettuate con mezzi e Volontari in divisa della Croce Rossa, affiancati da Volontari con pettorina del Comune di Racconigi, che provvederanno alla consegna della spesa e al ritiro dei soldi, che verseranno successivamente all'esercente. • Misure urgenti di solidarietà alimentare per cittadini in difficoltà, Buoni Spesa. I buoni spesa spetteranno, nell’importo massimo di €. 300.00, ai nuclei familiari residenti a Racconigi da prima del 29 marzo 2020 in situazione di particolare disagio socio- economico conseguente all’emergenza COVID- 19. Potranno essere utilizzati per l’acquisto di generi alimentari e di prima necessità, con esclusione di alcolici e superalcolici, presso gli esercizi commerciali del settore alimentare e della somministrazione al domicilio. I cittadini possono contattare, e richiedere un

E la gente rimase a casa E la gente rimase a casa e lesse libri e ascoltò e si riposò e fece esercizi e fece arte e giocò e imparò nuovi modi di essere e si fermò e ascoltò più in profondità qualcuno meditava qualcuno pregava qualcuno ballava qualcuno incontrò la propria ombra e la gente cominciò a pensare in modo differente e la gente guarì. E nell’assenza di gente che viveva in modi ignoranti pericolosi senza senso e senza cuore, anche la terra cominciò a guarire e quando il pericolo finì e la gente si ritrovò si addolorarono per i morti e fecero nuove scelte e sognarono nuove visioni e crearono nuovi modi di vivere e guarirono completamente la terra così come erano guariti loro. L’attribuzione della poesia è controversa. Sembra che non sia stata scritta da Kitty O’Meary (1839-1888), in occasione di una epidemia di peste, bensì da una quasi omonima nostra contemporanea e vivente, Kitty O’Meara, in occasione dell’epidemia di Covid19, e pubblicata sul suo blog a marzo 2020. Lo scritto sarebbe ispirato ad una poesia di Irene Vella, pubblicata sulla sua pagina Facebook qualche giorno prima. Per dovere di cronaca.

appuntamento, ai seguenti numeri telefonici del Comune-Area Servizi socio assistenziali, per avere maggiori informazioni e per richiedere i buoni spesa: 0172 821615 - 0172 821648. Sul sito del Comune è disponibile il modulo per la richiesta. La somma complessiva erogata al nostro Comune è di 57.000,00 e si stanno valutando eventuali implementazioni che possono arrivare direttamente dalle casse del Comune ed eventualmente dal buon cuore dei cittadini, delle imprese, delle associazioni, che in queste occasioni non si sono mai sottratti dall’esprimere solidarietà.

A chi far arrivare il nostro contributo per le famiglie in difficoltà Per far giungere alle famiglie in difficoltà la nostra vicinanza con una donazione si può versare sull’apposito conto corrente aperto per conto del Comune dalla Compagnia di Santa Barbara e avente i seguenti riferimenti:

IBAN: IT03R0630546690000160158005

Intestato a Compagnia di Santa Barbara con causale Emergenza COVID – 19 integrazione fondo per buoni spesa.

PASQUA 2020 di Giovanni Mattio

È ritornato ahimè l’angelo della notte a ribaltare la pasqua d’Israele, la pazza fuga dentro l’onda rossa il disperante vagare nel deserto. Non reca manna, né di miele orcioli né rugiada del mattino nella fossa solitaria al margine del campo senza orma. Non cercare – è invano - le condotte che cadono precipiti dai monti a placare l’arsura della schiavitù. Brucia sempre il marchio della piaga rossa come il sangue d’agnello sulle porte serrate ai tempi neri di sterminio della spada ingorda ed empia che squarciò la notte silenziosa d’ombre della prima fuga. Alta e nuda la mano dell’arcangelo si leva a dissuaderci dal varcare la soglia della riva sbaciucchiata dal fremito del mare salso e tiepido d’aprile. Beffardo e indifferente il sole nell’azzurro ignora le carezze dell’erba sulla pelle, la porpora soffusa sulle guance scialbe dei fiori spampanati sul gonfiore del frutto. L’orecchio attento alla finestra buia,

udire ancora puoi nell’alba muta armonioso il tintinno del cantore della breve notte dal fitto della ramaglia che si imperla di fresche foglie, tremolanti sugli eliotropi in fiore. E quando l’aria della sera imbruna, torna tra le fronde l’ugola dorata a sfarfallare il canto tremulo d’amore sullo sgomento cuore di silenzio e di pianto. Oh, udire ancora l’Ave della sera che diffonde il buio inquieto che s’addensa sul giorno vacuo, ma zeppo di speranza per la rosata aurora che risorga! E riscintilli con campane a festa l’annuncio del Risorto in questa tarda e lucente Pasqua d’infinito andare e cancelli di dolore! E sulle labbra mute torni il canto nostro, intrepido d’amore.


insonnia

Maggio 2020

Son Chiu o al bu Io n do gli io e pe (E p on dor occhi e nso a t enso m e a te o e pe penso a te nso di M ogo l/Ba a te. ttis ti)

Una canzone per te

Noi al tempo del corona virus di Maria Teresa Bono, 18 aprile Sono al buio e penso a te

Le parole di questa bellissima canzone le dedico a te “Corona Virus”, sì proprio a te che ormai sei il nostro pensiero costante che ci accompagna nella nostra quotidianità, una quotidianità ben diversa da quella vissuta fino a poco tempo fa. All’inizio si deve riconoscere che ti abbiamo sottovalutato un pochino, pensavamo tu fossi un breve temporale, pronto a dissolversi nei colori del primo arcobaleno, ma poi in verità ti sei rivelato un vero uragano e con sinuosità ti sei infiltrato nelle nostre case e nelle nostre vite, ci hai isolati, separati dai nostri affetti più intimi, dal lavoro, dagli amici e dal resto del mondo. Di te si sono già dette tante cose, ma veramente non si è ancora compreso chi sei ed in che modo sconfiggerti. Tanti hanno dato una loro versione, c’è chi sostiene che sei un virus di origine animale, altri suppongono che sei un errore di laboratorio, ed altri ancora, volgendo lo sguardo al cielo, pensano ad un castigo divino o ad un’energia negativa scatenata dal genere umano. Già gli umani, noi in effetti apparteniamo al genere umano ma questo è sufficiente per essere umani? Hai ragione la Terra era stanca, avvilita dalle guerre, dalla corruzione, dall’inquinamento, dal traffico assordante e dall’egoismo dell’uomo. Stava scoppiando dal dolore. In questo periodo il nostro Pianeta ha ripreso a respirare, i cieli sono tornati più azzurri, le acque più limpide e gli animali si sono ripresi gli spazi da noi rubati. Questa primavera pare particolarmente più calda, più colorata, più ridente, quasi a dispetto di noi che dobbiamo ammirarla dalle finestre delle nostre case e non possiamo immergerci in questo spettacolo della natura che continua il suo decorso. Sai da quando siamo isolati, pare che fuori tutto funzioni meglio, tutto più silenzioso, tutto più lento, ma tutto va avanti mentre l’uomo è costretto a questo isolamento forzato. Un isolamento tra le mura di casa, a volte non troppo accoglienti, povere di intimità, amore e comprensione. Proprio qui sovente si nascondono sofferenze, violenze, pianti e non è facile sopravvivere in queste realtà e condividere pochi metri quadrati con persone che si disprezzano o si temono, non tutti vivono in prigioni dorate.

Ma doveva succedere tutto questo per fermarci a riflettere? No … adesso basta, a fare la spesa di tutto ciò ci sono migliaia di persone che soffrono e molti di loro hanno pagato con la vita. È ancora più triste morire con te, si è costretti ad andarcene da soli, poiché contagiosi, privati anche dell’ultima carezza e dell’ultimo sorriso sperato. Te ne devi andare e devi sapere che questa battaglia la vinceremo noi. Sì, dobbiamo uscirne vincitori da questa battaglia ma consapevoli dei nostri errori, perché la Terra non ci appartiene, ed anche noi siamo unicamente ospiti di questo paradiso terrestre, non c’è potere, non c’è arma e tantomeno denaro che ci faccia appropriare di tutto ciò. Siamo stati messi a dura prova, ma adesso la nostra Madre Terra è pronta nuovamente ad accoglierci amorevolmente fra le sue braccia. Tonerà il tempo degli abbracci, delle carezze, delle parole sussurrate alle orecchie, i bimbi torneranno a giocare nei prati, e gli innamorati si perderanno in baci infiniti. Ma non ti dimenticheremo, finirai sui libri di storia e si continuerà a parlare di te.

Personalmente, non spero che tutto torni come prima, vorrei che l’uomo vivesse più di spiritualità, di riflessioni, contemplazioni e rispetto verso la natura e verso gli animali. Vorrei che ognuno di noi sapesse vivere nei propri spazi, ed accontentarsi di quello che ha, perché l’accontentarsi è la parola magica. Sai avrei ancora qualche idea da proporre, vorrei che la prevaricazione del più forte sul più debole fosse sostituita dalla collaborazione sociale, vorrei che le armi si trasformassero in strette di mano, vorrei che lo spreco si mutasse in cibo per tutti, che le urla fossero placate dal silenzio, e che le passeggiate fossero preferite al traffico ed ai clacson assordanti. Tocca a noi adesso dare vita a pagine di storia con lieto fine. La fase 2 dovrà scriverla ognuno di noi con le proprie scelte per il nostro futuro e per i nostri figli. Ma cosa sto a raccontare queste cose a te che sei un virus? Che sei stato così malvagio con noi! Tu non puoi capire. Ma noi siamo stati meglio di te? Addio!

Notizie dal polo

CHI L'HA VISTA? di Zanza Rino

Sembra che nel parco del castello di Racconigi sia scomparsa una persona L’ultima volta sembra sia stata vista aggirarsi guardinga nei pressi della grotta del Mago

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Merlino Una volta accertata l’identità le ricerche sono state sospese Superato l’iniziale sconcerto la cittadinanza se ne fa una ragione


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Karmadonne

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Il Festival Intrecci raggiunge l’obiettivo di Pino Tebano

Il 14 aprile si è conclusa positivamente con il raggiungimento dell’obbiettivo la raccolta fondi lanciata da Karmadonne di Carmagnola sul sito di crowdfunding Eppela. Sono stati raccolti da 79 sostenitori 4030 euro che sommati al contributo della Fondazione CRT di 3550 euro raggiungono i 7580 euro di raccolta totale. Sappiamo chi sono, le conosciamo bene! La nostra cena del 22 febbraio sul palcoscenico della Soms è stata cucinata da loro, donne dell’Associazione. La nascita dell’associazione è un esempio di partecipazione dal basso e del desiderio di donne migranti di raccontare attraverso la cucina la propria cultura. Sono donne di diversi paesi, sono insieme grazie ad un corso di italiano dove oltre alle ore di studio, sono nate amicizie e il sogno di poter condividere lo stesso spirito di partecipazione. La cucina è uno dei linguaggi: attorno a una tavola è facile dialogare e conoscersi, mentre attorno ai fornelli ci si confronta su ingredienti utilizzati nei modi più diversi a seconda della tradizione culinaria. Dalle cene è nata la Mensa Popolare di Casa Frisco, un sogno che si sta realizzando, dove insieme a una cucina di qualità c'è l'attenzione alle necessità di tutti e un profondo sguardo educativo attraverso la lotta allo spreco alimentare. Oltre a questi sono tanti i progetti che partono dal basso e che si stanno sviluppando: il laboratorio di sartoria Karmafashion che sta gettando le basi per lanciarsi verso piccoli traguardi imprenditoriali; un progetto

di accoglienza straordinaria per cittadini stranieri richiedenti asilo, in atto da tre anni; un "Punto informativo contro le discriminazioni" in Piemonte e, ultimo nel tempo, Spazio Donna, un luogo di incontro per tutte le donne che hanno bisogno di essere ascoltate. A Karmadonne piace guardare lontano con la consapevolezza che solo insieme si potranno raggiungere grandi traguardi. Questo il ringraziamento di Karmadonne diretto a tutti i sottoscrittori che hanno permesso di raggiungere la cifra necessaria allo svolgimento del Festival Intrecci: “C'è un dato che ci fa impazzire di gioia e orgoglio: in tantissimi vi

siete attivati per sostenere la nostra idea di mondo (perché alla fine Intrecci questo rappresenta, per 4 giorni la realizzazione di un mondo che insieme crea qualcosa di bello). Ci piace sognare ma soprattutto ci piace trasformare in realtà i nostri sogni, ma sappiamo che per farlo è necessario l'aiuto di tutti. “Insieme ce la faremo” è il nostro attuale claim che ben rappresenta chi siamo; siamo una comunità, persone che insieme condividono la stessa visione di mondo, che vogliono la realizzazione del Festival Intrecci a giugno ma possibilmente tutti i giorni; siamo quelli che in periodo di crisi oltre a chiuderci in casa abbiamo subito iniziato a pensare

come essere utili per chi è meno fortunato. Siamo quelli che pensiamo insieme un futuro migliore e insieme lo realizzeremo. Grazie, grazie di aver dimostrato ancora una volta che #insiemecelabbbiamofatta. Almeno questo piccolo traguardo lo abbiamo raggiunto, ora non resta che superare questo periodo difficile e tornare a sognare insieme, ma vicini!”. Il Festival Intrecci nasce nel 2018 in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato e del Migrante, per celebrare che l'incontro di persone e culture ha portato ricchezza in tutto il mondo. L'evento si svolge nella città di Carmagnola, famosa per il Peperone e per il Conte citato nei Promessi Sposi, l'ultima città del torinese prima di aprirsi al profondo Piemonte, capace di condividere una vocazione agricola con una industriale e di vivere a pieno il contemporaneo fenomeno delle migrazioni. Nelle prime due edizione di Intrecci quasi 2000 persone hanno partecipato ai nostri dibattiti, alle nostre cene, si sono scatenati ai ritmi più diversi. Il Festival Intrecci è la massima espressione della nostra forza propulsiva e del nostro desiderio di far incontrare le culture. Le nostre volontarie vengono coinvolte tutte nell'organizzazione: c'è chi cucina, chi accoglie, chi mette in gioco le sue capacità organizzative per invitare ospiti e portare nuove idee. Il Festival Intrecci è programmato per giugno, incrociamo le dita!!!! Per maggiori informazioni: www.karmadonne.it


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Maggio 2020

# IO RESTO A CASA: anche per il Punto Alzheimer di Carmagnola

Nel mondo intero si sta vivendo un periodo di forte difficoltà per tutti. Il Governo Italiano, su indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’OMS, al fine di limitare il diffondersi del contagio da coronavirus, come sappiamo, ha disposto l’obbligatorietà di rimanere al proprio domicilio. Per la nostra associazione questo ha significato la sospensione sia della palestra cognitiva che degli incontri mensili del caffè

Cin

Cinema CINEMA AI TEMPI DEL COVID-19 di Cecilia Siccardi

L’emergenza sanitaria che il mondo sta vivendo ha costretto molti settori a una pausa forzata – fra cui, ovviamente, anche quello

Lib

Libri di Michela Umbaca

“Che cosa sono venuto a fare qui? Pranzo bene e spesso. Recito a sazietà versi di tutti. Ma non devo forse alla mia educazione letteraria e alle esigenze del mondo di dover finir a letto con Madame Vernet? Tutti gli amici di una donna sono i

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Alzheimer e non ha permesso l’avvio già pubblicizzato dei gruppi di prevenzione per la memoria e di supporto ai familiari. Per non lasciare doppiamente sole le famiglie da noi conosciute, l’Associazione A.M.A. OdV, di cui il Punto Alzheimer di Carmagnola è parte, ha attivato sul proprio sito web: www.amalzheimer.it il progetto #io resto a casa, dove le persone interessate potranno avere a disposizione video che aiuteranno a mantenere in

allenamento, restando a casa, sia il fisico che la mente. Inoltre, per eventuali necessità o per ulteriori informazioni, i volontari del Punto Alzheimer saranno disponibili al n. di cell 392 2914471 (lasciando un messaggio, sarete richiamati). Speriamo di poter presto tornare ad incontrarci di persona!!

del cinema. Con le sale chiuse e le produzioni ferme, non ci sono certezze su quando sarà possibile riprendere le attività, così come in molti altri settori. L’uscita di No Time To Die, il nuovo capitolo della saga di 007, è stata rinviata da aprile a novembre, e così è successo per la maggior parte dei film previsti fra la primavera e l’estate; Tenet, l’ultimo e molto atteso lavoro di Christopher Nolan, resta invece confermato per luglio negli USA, a settembre in Italia. Solo il tempo potrà dirci se e quando potremo tornare al cinema; nel frattempo, possiamo consolarci con quello che passa in televisione – più film del solito, in questo periodo – e con quello che ci offrono le piattaforme di streaming. Disney+ ha debuttato in terra italica il 24 marzo 2020, permettendo

a centinaia di migliaia di famiglie e nostalgici giovani di intrattenersi con i loro classici Disney preferiti, i film Marvel, la saga di Star Wars e molti altri contenuti originali; Baby Yoda di The Mandalorian è una delle icone pop del 2020, potrebbe valerne la pena anche solo per quello. Netflix e Amazon Prime, invece, fanno parte delle nostre abitudini da più tempo; oltre alle serie TV, hanno in catalogo molti film davvero interessanti, per tutti i gusti. Farne una lista sarebbe davvero troppo lungo, ma sappiate che potete trovare un po’ di tutto, da Blade Runner a Animali Notturni, da Baby Driver a Arrival, dai film di Miyazaki a quelli di Tarantino, da classici del cinema italiano e straniero a film molto più recenti. Non vi resta che recuperare tutto quello

suoi amanti. Lo sanno tutti”. Il Parassita, scritto nel 1892, e pubblicato da Adelphi nel 1974 col titolo “Lo scroccone”, è la storia scritta in prima persona di un sedicente letterato di nome Henri, che entra come un ladro nel cuore di una famiglia borghese, fino a un timido tentativo di violenza carnale, per poi traslocare altrove. Perfido, amaro, irriverente, interiormente confuso, il giovane Henri si muove - a tratti impacciato, a tratti agile - in brevi scene da quinta teatrale, mentre il dialogo scorre via come imparato su copione. Il parassita di professione diventa intimo di uno sciocco benestante, si fa pagare il soggiorno al mare, seduce una Madame Bovary di città e si gonfia le tasche di piccoli inutili spiccioli di felicità, mentre riempie il taccuino di scialbi versi poetici.

Il Parassita è un punto di osservazione con cui l’autore è stato capace di individuare e descrivere minuziosamente tipologie e psicologie con lo sguardo cristallino e a tratti cinico dell’uomo di scienze. Come un piccolo miniatore delle verità umane, Jules Renard traccia in piccole pennellate la tonalità, le ombre, le mezzetinte del suo tempo e della sua società, asserendo, come lui stesso riportò nei suoi diari: “Irriterà molta gente. Ha irritato anche

Jules Renard “Il parassita” Titolo originale “ L’écornifleur” 2009, pp. 150, € 8,00 Edizioni Barbès

che avreste sempre voluto vedere senza mai averne il tempo!

me e mi ha sgualcito l’anima come se la mia anima fosse di carta”.


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Mus

Musica THE ORB

THE ABOLITION OF THE ROYAL FAMILIA di Giuseppe Cavaglieri

Pionieri della ambient-house music, The Orb, capitanati sin dalle

origini da Alex Paterson, annunciano il loro atteso ritorno con “Abolition of the Royal Familia”. Riconosciuti per essere stati i primi ad aver pubblicato musica ambient house, un sottogenere che accosta sonorità ambient e dub all'uso dei campionamenti, gli Orb sono spesso stati influenzati da numerosi generi, stili e musicisti diversi. Gli artisti che Paterson reputa "parte integrante" della sua musica sono King Tubby, Alice Cooper, Prince, i Kraftwerk, Bob Marley e i T. Rex. La musica del collettivo è ispirata, inoltre, secondo quanto dichiarò, da un'esperienza che visse in prima persona: assunse LSD ascoltando gli album Music for Films di Brian Eno e Grosses Wasser dei Cluster. Gli unici album a non seguire in buona parte queste influenze furono Cydonia, Bycicles & Tricicles (più ispirati alla drum and bass e al trip hop), e le ultime pubblicazioni (che

risentono maggiormente l'influenza della techno tedesca. Il nuovo album di studio pubblicato dalla Cooking Vinyl è la continuazione del precedente ed acclamato “No Sounds Are Out Of Bounds” (2018). “Abolition of the Royal Familia” marca la prima importante collaborazione tra Paterson e Michael Rendall come co-writers, segnando inoltre il ritorno di Rendall nella formazione dal vivo, e la produzione di Youth. Numerosi gli ospiti nel nuovo lavoro: da Youth a Roger Eno, da Steve Hillage a Miquette Giraudy (Gong and System 7). Con un titolo provocatorio ed alludente alla mafia ed una copertina altrettanto provocatoria, il nuovo lavoro prosegue il ruolo idiosincratico di The Orb contro l’establishment. L’album è una retrospettiva della protesta contro l’approvazione storica da parte della famiglia reale del commercio di oppio della East India

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Company, che è stato estremamente dannoso per l’India, causando due guerre con la Cina nel 18° e 19° secolo. Umorismo, samples, deep ambience, dub palpitante, classic house, hip hop, psicologia e composizioni straordinariamente profonde sono le caratteristiche di “Abolition of the Royal Familia”, che non manca di essere orgogliosamente pop.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Una raccolta di buoni propositi e ideali destinati ad infrangersi contro le logiche del mondo? È già successo altre volte. Oppure tasselli sparsi ma coerenti di un progetto possibile? Ora viviamo un presente di emergenza, poi verrà il tempo di un futuro di ricostruzione. Ma il futuro può (forse deve) essere già adesso. Il futuro dipende da come, sin da ora, ci prepariamo ad affrontare la fase della ricostruzione. Non per riprodurre un modello di sviluppo che è esso stesso parte del problema; ma per provare ad immaginare e realizzare un modello di sviluppo diverso, più sostenibile dal punto di vista economico, sociale ed umano. E nel contempo praticabile. Forse questo non è il momento di idealismi sterili e spesso inconcludenti, ma di un pragmatismo saldamente ancorato a valori come quelli rivendicati dai nostri lettori e capace di immaginare un futuro diverso ma anche possibile. Sì, possibile. Lo dimostra la ricchezza di esperienze che esistono già oggi, anche in Italia, ma che hanno bisogno di diventare sistema. Indicano strade praticabili, ma implicano scelte strategiche coerenti e coraggiose da parte delle amministrazioni pubbliche, capacità innovativa delle imprese, una vera e propria rivoluzione culturale di ognuno di noi.

Soltanto parole? Forse no. Nessuno può pensare oggi che si possa prescindere da un rilancio delle attività economiche, se si vuole dare risposte al bisogno diffuso di lavoro e di un reddito dignitoso. Ma come può avvenire questo rilancio? È possibile dare nuovo impulso a una espansione edilizia che divora il territorio oppure ristrutturare il patrimonio edilizio esistente puntando sul risparmio energetico. Si può assecondare lo sviluppo di una filiera alimentare ad elevato impatto ambientale e sociale oppure sostenere filiere brevi fondate su un utilizzo sostenibile delle risorse e maggiore giustizia sociale. Si può investire nel mantenimento di una infrastruttura energetica centralizzata disegnata dal predominio dei combustibili fossili oppure percorrere la strada del rafforzamento di una infrastruttura imperniata sulle fonti rinnovabili e sulla produzione diffusa di energia. Si può continuare a rincorrere le emergenze di un territorio sempre più vulnerabile oppure avviare un programma di cura preventiva del territorio. Si può mantenere un modello di organizzazione del lavoro e di mobilità con pesanti ricadute su ambiente e salute oppure ridefinirli secondo una dimensione di maggiore sostenibilità. Qualcuno noterà che c’è un non casuale filo rosso che lega

i diversi temi, il rapporto tra uomo e ambiente. Oggi viviamo una emergenza sanitaria, un domani abbastanza vicino potrebbe scoppiarci tra le mani una nuova emergenza, quella climatica. Corriamo il rischio di lasciarci cogliere anche questa volta impreparati. Sono solo alcuni esempi, che dovrebbero aiutarci a capire che non conta solo rilanciare produzione, lavoro, redditi ma è decisivo il modo in cui lo faremo. Da questa prova tremenda sapremo uscire diversi? Forse no, ma perché toglierci la voglia di sperare? E di dare il no-

stro piccolo contributo per trasformare la speranza in realtà? Per questo vogliamo nei prossimi mesi aprire su Insonnia uno spazio dedicato a questi temi, speriamo anche con la collaborazione di tanti nostri lettori che in queste settimane hanno vinto la loro ritrosia a scrivere. Concludo invitandovi a leggere a pag. 18 i versi citati da un nostro lettore nel precedente numero di Insonnia e che noi pubblichiamo per intero. Per la verità l’attribuzione del componimento è controversa, ma resta comunque particolarmente adatto a rappresentare il senso della nostra proposta.


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