INSONNIA Maggio 2019

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 113 Maggio 2019 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Da otto mesi il Parco di Racconigi è chiuso, qualcuno invece ha aperto una Pagina Facebook per protestare la chiusura e anche con ragione: coloro che hanno comprato un abbonamento per queste visite sentono che gli è stato “tirato un pacco”. A pagina 4 di Insonnia si possono leggere i dettagli di questa iniziativa che ha coinvolto fino ad ora 6.500 persone. Noi invece abbiamo ripreso in mano gli atti di un convegno che parte di noi, oggi “insonni” ma allora attivi nella “Lega Ambiente Racconigi”, avevamo organizzato; “Racconigi quale Parco” era il titolo del convegno e la data il 10 aprile 1988. Rileggendo gli interventi degli invitati di allora abbiamo ancora una volta compreso che il nostro Parco è un sistema complesso ma è sempre una grande risorsa per il territorio racconigese. La questione, di cui si diceva in apertura, delle mancate visite nei mesi trascorsi e la assoluta mancanza di informazioni sul tempo che dovrà trascorrere prima che il bene comune potrà essere riaperto, è solo uno degli aspetti del problema. Il Castello di Racconigi fa parte del complesso ed i turisti vengono a visitarlo anche perché il Parco annesso, nella edizione del 2010, è stato vincitore del premio “Il Parco Più Bello d’Italia” e gli ingressi costituiscono un introito non indifferente, ma il turismo porta anche vantaggi economici e non solo all’intera città di Racconigi. Al momento non abbiamo potuto sapere quale è il progetto scelto per un corretto uso di questo bene; chi negli ultimi tempi ha potuto accedere alla visita, al di là della giusta messa in sicurezza dei percorsi di escursione, avrà potuto notare che gli interventi sul patrimonio boschivo sono di ben altra portata. Si stanno abbattendo alberi di grandi dimensioni e piantumando nuove essenze. Il criterio che viene adottato per questa manutenzione, se di manutenzione si tratta, è però sconosciuto al pubblico.

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La protesta dei commercianti racconigesi

“Parcheggi blu? No, grazie”

Dal report di Legambiente sullo stato di salute dei corpi idrici in Italia al ciclo di incontri sul tema

Terminata la raccolta firme, il Comune risponde a cura di Guido Piovano

Venerdì 5 aprile, alla conferenza stampa dei commercianti racconigesi promotori della raccolta firme contro l’iniziativa del Comune di istituire nel centro di Racconigi

BUONE E CATTIVE ACQUE

304 parcheggi blu, erano presenti i signori Antonello Ambrassa della merceria Gribaudo (AMG) di via San Giovanni, Giuseppe Ferrero (Beppe) della pasticceria Milleba-

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EUROPA: È TEMPO DI VOTARE

Il 26 maggio si vota per le elezioni del Parlamento Europeo (e non solo)

di Francesca Galante

L’acqua è un bene comune che spesso viene dato per scontato. Una risorsa fondamentale per ogni forma di vita e per gli ecosistemi che viene, poco saggiamente, sprecata, inquinata e non tutelata. Inoltre i frequenti fenomeni di siccità che si sono susseguiti negli ultimi anni, conseguenza diretta dei cambiamenti climatici in atto, hanno messo in ginocchio interi territori rendendo ancora più evidente la necessità di intervenire in maniera concreta e risolutiva sulla gestione di questo bene in termini di tutela, prelievi, uso e sprechi. Legambiente presenta la situazione dei corpi idrici italiani tramite il suo dossier “Buone e Cattive Acque” e rileva l’urgenza e la necessità di intervenire al più presto per una maggiore tutela delle nostre acque. Gli strumenti per farlo sono a portata di mano. Un’adeguata attuazione delle direttive europee, che indicano la strada da seguire in tema di acqua potabile, acque reflue urbane, protezione degli habitat, acque di balneazione, inondazioni, inquinamento da plastica, emissioni industriali e restrizioni all’uso di sostanze chimiche pericolose, permetterebbe di monitorare costante-

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di Giancarlo Meinardi

Settantaquattro anni. Tanti ne sono passati dalla fine della seconda guerra mondiale. Due generazioni di europei hanno avuto la fortuna di non vivere guerre devastanti e totali come quelle che hanno insanguinato la prima metà del secolo scorso. C’è chi la guerra l’ha conosciuta, purtroppo: come nella ex Jugoslavia, nel Kossovo, in Ucraina. Ma, senza nulla togliere al dramma di quelle guerre,

alle sofferenze, alla morte che hanno seminato, non paragonabili alle due guerre mondiali. Due guerre che hanno devastato l’Europa e, soprattutto la seconda, gran parte del mondo e che in Europa hanno avuto origine. Ecco, quando penso all’Unione Europea questo è il primo pensiero che mi viene in mente. L’Unione Europea ci ha risparmiato l’immane tragedia di una nuova guerra mondiale.

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RIDATECI IL PARCO pag. 4

Insonnia Giovani

pag. 8-9-12

Eutanasia

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MANDACARU' pag. 13


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La libertà MA COS’È LA LIBERTÀ?

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di Maria Teresa Bono

Ogni individuo nasce libero e tutti noi dovremmo godere di questo diritto in egual misura senza alcuna distinzione. Per libertà s’intende una condizione di vita nella quale ogni persona può pensare ed agire, senza costrizioni, libero di scegliere, compatibilmente alla libertà degli altri, senza limitare ed osteggiare le scelte altrui, poiché viviamo in una società organizzata, dove sarebbe indispensabile il rispetto reciproco e delle regole per una convivenza civile. La libertà è da sempre stata perseguita dall’uomo, con gli anni questa “parola” ha preso forma, l’uomo ha incominciato ad identificare il suo significato, ha lottato per conquistarla e per liberarsi dalla schiavitù fisica e psicologica della quale era prigioniero. Si sono susseguite nel corso dei secoli rivolte, rivoluzioni e ribellioni per riscattare questo diritto. I più forti hanno sempre cercato di sottomettere i più deboli, gli ingenui, i poveri, gli indifesi. Non è mai stato e non è facile essere uomini liberi. Secondo me ci si può sentire liberi in modi ed occasioni diverse. C’è chi si sente libero dopo aver interrotto un rapporto con una persona che cercava di appro-

priarsi in modo sbagliato della sua vita e quando questo rapporto si tronca si riprende in mano il suo futuro senza più condizionamenti, prepotenze ed affanni. Respira nuovamente a pieni polmoni per intraprendere un nuovo cammino. C’è chi si sente libero dopo aver sconfitto una brutta malattia che si era appropriata non solo del suo corpo ma anche della sua mente, perché quel male era il primo pensiero del mattino che lo accompagnava tutta la giornata per poi sprofondare in un sonno senza quiete. Ma ecco che il tuo corpo ti appartiene nuovamente, l’ospite indesiderato è stato sconfitto e tu sei nuovamente libero, riprendi la tua vita, cammini, nuoti, corri, sorridi perché sei rinato. Gli adolescenti rivendicano la loro libertà nei confronti dei genitori perché vogliono essere liberi di uscire e gestirsi senza dover dare troppe spiegazioni, convinti di essere oramai grandi e responsabili. Uno studente si sente libero dopo avere sostenuto gli esami pensando con felicità alle vacanze. A fine settimana i lavoratori pensano al week end, liberi da ogni impegno di lavoro. Chi di noi non ha mai detto: “Oh oggi sono libero!” oppure “D’ora

in poi sono libero!”. Ognuno di noi ha un piccolo angolino interiore per ritrovare la propria libertà. Ma noi siamo veramente liberi? Anche se non ne siamo consapevoli tutti noi siamo schiavi di abitudini quotidiane. Oramai siamo dipendenti da certe “comodità”: telefonini, tv, social, centri commerciali, auto, ecc. Tutte queste “comodità” potrebbero essere gestite in modo più morigerato, ma ben si sa che l’uomo si affeziona a queste opportunità diventandone schiavo ed inseparabile. Questa purtroppo è una nuova forma di schiavitù della quale è vittima l’uomo. Ma allora non è poi così facile essere liberi? La libertà quindi è una condizione di vita molto complessa che ognuno di noi può ritrovare singolarmente. Sicuramente i nostri padri-nonni avevano un’altra opinione sulla libertà. Avevano le idee molto chiare. Loro hanno dovuto combattere il fascismo per riprendersi le loro vite, per poter avere un loro pensiero, la loro parola, il loro TUTTO, poiché con il fascismo avevano perso TUTTO, anche le loro anime. Hanno riscattato con sangue e morte questo diritto, ci hanno la-

sciato una grande eredità, non dimentichiamolo mai! Portiamo a loro il dovuto rispetto per il loro sacrificio. Sono stati anni duri e di lotta, non ci sono revisioni storiche o giri di parole, il 25 aprile non è e non è mai stato un derby tra fascisti e comunisti, ma è stato il giorno della Liberazione del nostro Paese dal regime fascista! Oramai noi diamo per scontati i diritti acquisiti, ci muoviamo liberamente, ci esprimiamo, manifestiamo, condividiamo o meno. Ma stiamo in guardia, oggi più che mai la democrazia è in pericolo, non diamo spazio ad ideali troppo nazionalisti, a coloro che vedono nemici ovunque, che ci vogliono “difendere”, difendiamo ed onoriamo in primis la libertà. Non diamo spazio all’odio, alle armi, all’intolleranza, il Mondo ha bisogno di ben altro perché con l’avvento di armi ed odio si potrebbe perdere anche la libertà, come si può trovare già testimoniato nei libri di storia. La nostra terra ha bisogno di amore, condivisione, integrazione e rispetto per l’ambiente. Forse sto divagando? Questa è un’altra storia. Concludendo: abbracciamo la libertà!

25 APRILE 1945 - 25 APRILE 2019 RIFLESSIONE SULLA DEMOCRAZIA di Mario Rossetti

La Liberazione non fu soltanto opera del popolo, perché determinante e sostanziale fu l’apporto dato dalle forze armate alleate e dai partigiani, nel sostenerne gli oneri in una realtà caratterizzata dall’indifferenza della maggioranza degli italiani. Buona parte di essi infatti, accettò l’ascesa del fascismo, senza tanti patemi d’animo: la stessa Chiesa, per bocca del suo papa, definì Mussolini “l’uomo della provvidenza”. OGGI, sono passati 74 anni, LA REALTÀ È ALQUANTO DIVERSA; abbiamo un’ottima Costituzione, un Parlamento liberamente eletto e ben diverso da quello che fuggì sull’Aventino per protestare contro la politica del fascismo, lasciando in tal modo via libera al dittatore per ben vent’anni. Il Presidente della Repubblica oggi svolge con nobiltà e umanità il suo compito, non stancandosi mai di evidenziare con forza gli ideali che devono ispirare il popolo che rappresenta: solidarietà e accoglienza a esseri umani che fuggono da Paesi in cui vivere è molto difficile. Quando dico che oggi la realtà è diversa, mi riferisco al fatto che il Presidente Mattarella non

firmerebbe mai una legge vergognosa come quella sulla razza (che fece tanto felice Hitler), non manderebbe mai a morire, in guerra, migliaia di cittadini. Oggi il cittadino gode di più rispetto: NON È

PIÙ CARNE DA MACELLO! Ciò non toglie che non possa ridiventarlo, basta individuare un nuovo pericolo, un nuovo nemico e Salvini l’ha già trovato: è il migrante, quello che viene a portare via il pane ai nostri figli!!! Quello che, a dir suo, importa solo sporcizia e malattie e, invece, ha solo fame di alimenti e di dignità. Che viene qui a richiedere (senza guerre) almeno una piccola fetta della torta, che il ricco Occidente gli ha rubato nei secoli passati. Ricordo quindi, forse noiosamente, che SIAMO IN DEMOCRAZIA (per adesso!) e quindi dobbiamo diventare PARTIGIANI di questa immensa fortuna che possediamo e che è sempre da difendere. Ecco quindi evidente l’importanza del LIBERO VOTO, per eleggere i propri governanti. DEMOCRAZIA VUOLE DIRE LIBERTÀ e chiudo, ricordando e ringraziando quei ragazzi che “Sono morti sognando libertà, un mattino senza libertà”.


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La protesta dei commercianti racconigesi

“Parcheggi blu? No, grazie”

Terminata la raccolta firme, il Comune risponde segue dalla prima

ci di via Morosini, Daniela Lazzaro del negozio di abbigliamento Il Bimbo di Piazza degli Uomini, Giovanna Rosso della Lavasecco Mini Panda Sec del Borgo Macra e Valeria Testa dell’ortofrutta Mar.Val di via S. Maria. La loro voce esprimeva unanimemente soprattutto sconcerto “È troppo, così è troppo, bisognerebbe farlo bene, ragionare bene. Racconigi non è né Carmagnola, né Savigliano, Racconigi è una bomboniera”. “Non è per vendere di più che protestiamo, noi vendiamo. È che Racconigi sta andando giù, sicuramente bisognava metter mano a questa cosa, ma non in questo modo. È mancata la mediazione, non capisco perché uno debba avere ragione e l’altro torto, la ragione è a metà. Noi l’abbiamo cercata una mediazione quando a inizio dicembre siamo andati in Comune, ma non siamo stati minimamente ascoltati, questo ci ha dato fastidio, ci hanno subito detto che non è possibile fare un 70% a disco orario e un 30% a pagamento o un 60/40 oppure anche un 50/50 perché loro non hanno un vigile che possa andare in giro a fare contravvenzioni. Ma è mai possibile? abbiamo detto ‘se gli altri mettono un ausiliario, mettetelo anche voi’, se c’è la volontà di farlo lo si fa”. “Abbiamo chiesto ‘ma è una tassa che volete mettere su chi abita in centro?’ perché già chi lavora in centro è soggetto a subire di più rispetto a una attività commerciale di un’area periferica; ci sono le feste, i mercatini, le manifestazioni… Posso anche andare a mettere

l’auto al cimitero, ma il furgone lo devo per forza mettere lì perché mi serve per metterci la merce e non lo posso allontanare più di tanto. Loro non la considerano una tassa, la considerano una regolamentazione dei parcheggi, contro il parcheggio selvaggio. Ma quelli che controlleranno i parchimetri non andranno a controllare le auto fuori posto, per cui il problema multe sussisterà ancora. Ci hanno detto che nessuna ditta farebbe un appalto con meno di 304 posti-auto blu, perché non sarebbe economicamente sostenibile. Ma sarà poi vero che incasseranno quanto prevedono? Non sarebbe meglio pensare prima alla viabilità? C’è come un muro. Ci dicono ‘tanto poi vi troverete bene’. E noi ‘Non potremmo cominciare con piccoli passi, se non funziona, tra un anno, torniamo indietro’, avremmo sbagliato noi”. E ancora “Perché il cliente dovrebbe venire da me e pagare i 70 centesimi quando spostandosi di 200 metri non pagherebbe nulla? Altrove esistono navette che consentono gli spostamenti, qui, no. Persone che vivono con 700 euro al mese ti lasciano per non pagare 30 centesimi. Dei clienti mi hanno detto ‘se mettono il parcheggio blu non vengo più da te, vado da un’altra parte dove prendo tutto’. La cosa va sistemata, oggi ci sono i disco orario, ma nessuno li rispetta perché tutti sanno che non passano a fare le multe. E chi non ha capito le zone, ti dice ‘ma tanto c’è la piazza tale’, ma se gli dici ‘guarda che anche lì sarà blu’, allora ti dice ‘dammi il foglio che

firmo, firmo subito’. “Speriamo ancora nel buon senso loro. Parleremo. Vedremo. Abbiamo 55 attività con noi, non siamo pochi”. Fin qui la conferenza stampa del 5 aprile. La raccolta firme è poi proseguita fino al 24 aprile. Il giorno 29 le firme sono state presentate al Comune, dopo aver eliminato quelle incomplete o poco chiare. In tutto le firme valide sono state 2576, di cui 2079 di residenti e 479 di non residenti. Al momento di scrivere, si è in attesa di una risposta del Comune. Noi di Insonnia abbiamo ritenuto doveroso ascoltare i promotori di una iniziativa che tanto interesse ha riscosso da parte dei cittadini ma, in chiusura, mentre invitiamo l’Amministrazione comunale ad esprimerci il proprio punto di vista, ci sembra opportuno sottolineare che l’assenza di dialogo tra le parti sembra aver connotato l’intera vicenda. Non è certo una bella cosa, soprattutto in considerazione del fatto che sono in

discussione decisioni che coinvolgono larga parte della cittadinanza. Da parte nostra, noi non siamo contrari a priori all’adozione dei parcheggi blu, ne riconosciamo pro e contro da valutare a fondo ed è sotto gli occhi di tutti l’insostenibile situazione del centro storico del tutto soffocato dalle auto. Temiamo tuttavia che la semplice adozione di questa misura non basti da sola a risolvere i gravi problemi del centro cittadino, riferibili anche alla viabilità, pedonale e non, e alla mancanza di marciapiedi adeguati. Allo stesso modo non ci pare che i problemi del commercio racconigese siano soltanto riconducibili alla fruibilità dei parcheggi. Dovremo riprendere questi temi. Per chiudere in bellezza: si è pensato a dove parcheggeranno pullmann, camper e mezzi dei giostrai ora che l’apposita area presso il ponte sul Maira è stata assorbita dalla costruenda tangenziale ovest?

Parcheggi blu: ultime notizie Martedì 30 aprile il Consiglio Comunale ha discusso la proposta di revoca della delibera che prevede l’istituzione di 304 parcheggi a pagamento a Racconigi. La discussione si è conclusa con un voto. La maggioranza ha votato compatta per il mantenimento della delibera, mentre le minoranze hanno votato per la revoca. Quindi per ora il percorso per la realizzazione dei parcheggi va avanti. Torneremo sull’argomento nel prossimo numero.


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RIDATECI IL PARCO DEL CASTELLO a cura di Virna Lava

Ci sono luoghi che fin dalla prima volta in cui ti ci trovi ti senti bene, in armonia con quello che ti circonda; per me è stato così quando sono entrata per la prima volta nel parco del Castello, qui a Racconigi. Il Castello è maestoso, imponente, impossibile da non vedere anche solo passando per Racconigi, ma il parco no, lui è nascosto dietro le mura, dietro il Castello stesso, custodito come si custodisce un piccolo tesoro. Per me è stato come trovare il giardino segreto di cui ho letto da bambina, un parco con un lago, quasi un bosco da scoprire, e la sorpresa ancor più grande arrivando alle Margarie. Tutto ma proprio tutto merita di essere visitato, ma è proprio questo il problema, non è più possibile entrarvi da ben 8 mesi. Ad agosto un albero è caduto e il Polo Museale ha ritenuto fosse il caso di chiudere per effettuare una manutenzione, fin qui niente di strano, anzi, ben venga, il parco necessita sicuramente di manutenzione. Ma ora sono passati 8 mesi e di apertura non se ne parla, anzi dal Polo museale non arriva alcuna notizia. E così ho deciso che era ora di far sentire la nostra voce, quella di tutti quelli che come me, racconigesi e non, amano il nostro parco, non attendono che la primavera per poterci tornare e che ora, chissà per quanto non potranno farlo. Mi aspettavo partecipazione, ma non così tanta, ad oggi sulla pagina siamo più di 6460, ma sono bastati pochi giorni per essere migliaia, tutti pronti ad unirsi per dire #ridateciilparco. Chi raccontando la sua visita, altri con foto di momenti vissuti nel parco. Perché alla fine il parco non rappresenta solo un luogo di cultura, ma un luogo di ricorso vissuto per chi ha portato i suoi bimbi piccoli ora cresciuti, chi ci è stato in gita scolastica, chi si è sposato e ha fatto il servizio fotografico lì. È anche un luogo per chi ama passeggiare o correre, ci si porta il proprio amico a 4 zampe. Il parco è un bene di tutti, una risorsa, che purtroppo viene svalutata e mal gestita, perché i numeri parlano chiaro, solo nell’aprile 2017 gli ingressi sono stati 12.971, quindi è un luogo di interesse. Il motivo di tutto questo, di questa mancata manutenzione che non permette di aprire il parco è da chiedere al Polo Museale, che però ad oggi non ha fatto una sola dichiarazione. Già dai primi giorni d’apertura della pagina mi sono attivata e con me Elena Vassallo, per

contattare giornali, esponenti politici, esperti d’arte, per dare risalto a ciò che stava accadendo qui a Racconigi. L’Assessore regionale Antonella Parigi si è subito mostrata interessata, e lo staff di Chiamparino ci ha risposto in meno di 24 ore. Insieme hanno incontrato il Ministro Bonisoli, in visita a Torino in occasione della mostra su Leonardo da Vinci, il quale ha dichiarato che il parco riaprirà a maggio. Ma non riaprirà il parco, se riaprirà, sarà solo il primo anello, quindi praticamente nulla e ovviamente il costo dell’ingresso sarà lo stesso, nonostante la parte visitabile sia un terzo dell’intero parco. Inoltre al momento all’interno del parco nessuna attività è presente, dalla manutenzione ordinaria a quella straordinaria per la messa in sicurezza. Non sono stati rinnovati gli appalti per chi gestiva attività all’interno, e dal Polo Museale non ci sono notizie di un’eventuale riapertura così a breve. Per questo motivo con il Comune di Racconigi, che fin da giugno 2018 cerca di comunicare con il Polo, si è deciso di organizzare una manifestazione. In questo giorni il Comune inviterà tutte le associazioni presenti sul territorio racconigese ad unirsi a questa manifestazione, commercianti e cittadini. Tutti insieme per far sentire la nostra voce, perché la chiusura del parco sta portando disagi e perdite economiche

e d’immagine alla nostra città, e questo è inaccettabile, inoltre questo silenzio da parte del Polo Museale, nella persona della Dottoressa Ivaldi, mi fa dubitare dell’interesse della stessa verso il proprio lavoro. Proprio di questi giorni ci sono lamentele di turisti, scritte sulla nostra pagina, che per mancanza di personale si sono trovati a non poter visitare neanche il Castello, perché oltre al parco anche il Castello necessita di cure e manutenzione ma al momento non vengono effettuate, persino il piazzale fino a poche settimane fa, prima delle riprese del film, era ricoperto d’erbacce. Il problema qual è? Mancanza di fondi, di risorse, di volontà, di capacità di non dover seguire per forza il manuale alla lettera? Questo non è dato a sapersi, però le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, basti vedere Venaria che non è gestita dal Polo e Racconigi o Moncalieri, con il castello che dopo per altro aver impiegato denaro per ricostruirlo dopo l’incendio è chiuso definitivamente. Chi di dovere, quindi il Ministro Bonisoli, spero saprà trovare le cause di queste gravi mancanze e spero soprattutto che vi porrà rimedio, anche togliendo chi non avrà saputo svolgere il proprio incarico se è il caso. Nel frattempo io non mi fermo, noi non ci fermiamo, la petizione è sempre online, ad oggi conta 1978 sostenitori, e a breve ci ritroveremo a manifestare tutti davanti al Castello, la presenza di ognuno di voi è importante.

In questi giorni il Comune, nelle persone dell’Assessore Annibale e del Sindaco Valerio Oderda, si è attivato, convocando tutte le associazioni presenti sul territorio racconigese, per invitarle ad un incontro nel quale si stabiliranno i termini della manifestazione, che probabilmente sarà il 18 maggio, ma per la data certa vi invito a fare riferimento alla pagina Ridateci il parco del Castello di Racconigi, essendo sempre aggiornata e sulla quale pubblicherò l’evento con tutti i dettagli, per permettere a tutti di esserci quel giorno.


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BUONE E CATTIVE ACQUE

Dal report di Legambiente sullo stato di salute dei corpi idrici in Italia al ciclo di incontri sul tema segue dalla prima

mente la qualità dei nostri corpi idrici e di limitare tempestivamente fenomeni di inquinamento e cattiva gestione. Una di queste direttive, in particolare, è la 2000/60, la Direttiva Quadro sulle Acque, che stabilisce parametri e criteri per classificare i corpi idrici, superficiali e profondi, in “classi di qualità” per lo stato ecologico, chimico, e quantitativo e ne chiede il raggiungimento o il mantenimento del buono stato ecologico entro il 2027 (termine prorogato, rispetto alla prima scadenza fissata al 2015). Obiettivo che, nonostante la scadenza posticipata di 12 anni rispetto a quanto previsto inizialmente, resta ambizioso e soprattutto non più rimandabile se si vuole evitare di mettere a repentaglio la disponibilità della risorsa idrica di buona qualità per gli ecosistemi e le persone. In base ai monitoraggi eseguiti per la direttiva Quadro Acque lo stato attuale dei corpi idrici italiani vede solo il 43% dei 7.494 fiumi in “buono o elevato stato ecologico”, il 41% è al di sotto dell’obiettivo di qualità previsto e ben

il 16% non è stato ancora classificato. Un quadro preoccupante, dichiara Legambiente, anche al netto dei numerosissimi corpi idrici ancora non classificati. Secondo i dati Ispra le principali pressioni che ostacolano il raggiungimento degli standard ambientali dei corpi idrici sono principalmente l’agricoltura e lo sviluppo urbano per quanto riguarda i corpi idrici superficiali mentre le attività industriali incidono di più sulle acque sotterranee. Senza tralasciare i prelievi e le derivazioni dei corpi idrici che incidono notevolmente sul loro stato di salute; pressione che potrebbe diminuire se si affrontasse il problema delle perdite di rete: basti pensare che ogni anno si perdono 7 miliardi di metri cubi di acqua, il 22% del prelievo totale di cui il 17% solo nel settore agricolo. Secondo Legambiente, per riuscire a raggiungere gli obiettivi imposti dalla Direttiva europea ci deve essere una importante inversione di marcia, il cambiamento necessario deve passare attraverso alcune parole chiave come

riqualificazione dei corsi d’acqua e rinaturalizzazione delle sponde, contrasto all’impermeabilizzazione dei suoli, miglioramento del trattamento di depurazione e implementazione del riutilizzo delle acque a 360 gradi (dai fini industriali a quelli irrigui e domestici), rafforzamento dei controlli ambientali, innovazione e completa attuazione delle direttive europee. Per aiutare i cittadini a comprendere meglio questo importante tema e soprattutto per conoscerlo sul locale, Legambiente Il Platano ed il Museo di Storia Naturale di Carmagnola propongono un ciclo d'incontri dal nome "Buone e Cattive Acque". Le serate si svolgeranno tutte a partire dalle ore 21 presso la sala Monviso, sita nel Parco Cascina Vigna di Carmagnola, con il patrocinio del Comune di Carmagnola, il supporto della BCC Casalgrasso e Sant'Albano Stura e la collaborazione di molte realtà del territorio, tra cui l'Ente di gestione delle Aree Protette del Parco del Po Torinese, Pro Natura Carmagnola, le GIAV

di Carmagnola, l'ATAAI ed il circolo Legambiente Protezione Civile. Il tema sarà sviluppato grazie ad esperti ed associazioni che si dedicano all'acqua, in diversi suoi aspetti, e accompagneranno i partecipanti in un percorso alla sua scoperta, mettendone al centro la tutela e la buona gestione. Le serate sono tutte gratuite, è possibile partecipare ad uno o più delle stesse ed è gradita, seppur non obbligatoria, la prenotazione all'email: ilplatano.legambiente@gmail.com 9 maggio - Giancarlo Perosino (CREST) –Il bilancio idrologico: alluvioni, siccità e inquinamento. 16 maggio - Gianni Delmastro (Museo Carmagnola) e Paolo Lo Conte (città metropolitana Torino) - Passato e presente dei pesci della pianura cuneo-torinese. 23 maggio: Stefano Fenoglio (Uniupo) - Ecologia fluviale: studi, temi e problemi nel territorio piemontese.

EUROPA: È TEMPO DI VOTARE

Il 26 maggio si vota per le elezioni del Parlamento Europeo (e non solo) segue dalla prima

Sì, ha tanti difetti e tanto resta da fare, ma questo non lo posso dimenticare. Non c’è solo questo. C’è l’Europa dei diritti civili, dei valori democratici, della libera circolazione delle persone e delle idee, degli scambi commerciali, e tante altre cose. Il risultato di un lungo e complicato processo che ha visto tanti Stati europei imparare faticosamente ad utilizzare le armi del dialogo piuttosto che il dialogo delle armi. Non mancano i limiti, e sono tanti. Questa Europa ha troppo spesso parlato con la voce dei burocrati piuttosto che dei cittadini; non ha contrastato abbastanza i privilegi e ha spesso lasciato indietro i più deboli; è sovente prigioniera di nazionalismi ed egoismi locali; non ha saputo costruire una

politica estera comune, una gestione condivisa dell’immigrazione ecc. Sono limiti gravi, che in parte almeno spiegano la disaffezione, quando non l’aperta avversione, di tanti cittadini europei verso l’Unione Europea. Ci sono delle ottime ragioni per criticarla così come la conosciamo e sperimentiamo. Per volerla diversa. Ma sono convinto che senza di essa, o fuori di essa, non andiamo da nessuna parte. L’Italia non è certo immune da questo rischio. Anche da noi le sirene del nazionalismo e del sovranismo illudono con le rappresentazioni di un Paese che torna a riprendersi la propria sovranità, difende gli interessi degli italiani sopra a quelli di tutti gli altri, torna a governare una “sua” moneta,

spende a prescindere dei debiti, rivendica il primato della politica nazionale a dispetto dei vincoli internazionali, della logica economica, della complessità di un mondo globalizzato. Credo che una parte della politica italiana e tanti italiani fatichino oggi a riconoscere, accanto alle indubbie risorse, i limiti e le fragilità di un Paese come il nostro e la necessità di farsi forte stringendo legami con gli altri Paesi europei. Per questo andrò a votare. Per questo voterò per avere più Europa, non meno Europa. Per questo voterò per avere un’Europa diversa, più inclusiva, più partecipativa, più giusta.


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Fabrizio De Andrè

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LA BUONA NOVELLA-9 a cura di Guido Piovano

La conclusione dell’opera di De André è speculare a com’era iniziata. “Laudate Dominum” è il brano iniziale, per soli coro e orchestra, ora incontriamo “Laudate Hominem”, un cambiamento di nome non certo privo di significato.

LAUDATE HOMINEM Laudate dominum Laudate dominum [Gli umili, gli straccioni] "Il potere che cercava il nostro umore mentre uccideva nel nome d'un dio, nel nome d'un dio uccideva un uomo: nel nome di quel dio si assolse. Poi, poi chiamò dio poi chiamò dio poi chiamò dio quell'uomo e nel suo nome

nuovo nome altri uomini, altri, altri uomini uccise". Non voglio pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio. Laudate dominum Laudate dominum Ancora una volta abbracciamo la fede che insegna ad avere ad avere il diritto

al perdono, perdono sul male commesso nel nome d'un dio che il male non volle, il male non volle, finché restò uomo uomo. Non posso pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio. Qualcuno qualcuno tentò di imitarlo se non ci riuscì

fu scusato anche lui perdonato perché non s'imita imita un dio, un dio va temuto e lodato lodato... Laudate hominem No, non devo pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio. Ma figlio dell'uomo, fratello anche mio. Laudate hominem.

Il commento De André, come egli stesso ebbe a sottolineare, con la Buona Novella ha voluto celebrare l’uomo Gesù, investito di una particolare missione da Dio. Questo fatto risulta di particolare evidenza in questo "Laudate Hominem”, brano di chiusura dell’intera opera, che pur mantenendo la solennità dell’iniziale “Laudate Dominum”, ci restituisce un Gesù che,

proprio in quanto uomo, è facile pensare come nostro fratello. Esplicito è a tal proposito il ritornello del brano - Non posso pensarti figlio di Dio ma figlio dell'uomo, fratello anche mio -. Questa evoluzione all’interno dell’opera sottolinea la scelta dell’Autore che partendo dal divino giunge a privilegiare l’aspetto umano.

ECCOCI DI NUOVO La notizia

Una costola di santa Bernadette di Lourdes, dall’aprile scorso e fino ad agosto, sta percorrendo l’Italia attraverso 33 diocesi. Ad ogni tappa del tour sono in agenda lodi, rosari, adorazioni eucaristiche, processioni e messe.

Che dire?

Qui mi preme soltanto condividere con voi un paio di domande: perché la Chiesa con questi “tour del sacro” consente queste vere e proprie for-

me organizzate di superstizione che hanno in sé qualcosa di macabro e di pagano? Perché parroci e vescovi lucrano sulla buona fede e sulla semplicità di tanti fedeli? Ancora un dubbio: Maria non appare mai a protestanti e ortodossi. Chi ha fatto diventare solo e pienamente cattolica la donna ebrea, madre di Gesù e credente pienamente inserita nella tradizione ebraica?

Chi è Bernadette Soubirou

È la pastorella veggente di Lourdes. Malaticcia e analfabeta, ha 14 anni

quando nel 1858 riferisce per la prima volta che le è apparsa la Madonna. Seguiranno altre 17 visioni, sempre nella grotta di Massabielle, nei decenni successivi meta di pellegrinaggio per milioni devoti mariani ammalati in cerca di guarigione e conforto. Bernadette all’inizio faticherà a farsi credere dalla Chiesa cattolica del tempo. Nei rigorosi interrogatori cui verrà sottoposta da una cinquantina di vescovi che a turno la incontrano per provarne l’attendibilità, però, la pastorella non

A PROPOSITO DI RELIQUIE: SAPEVATE CHE?

Di Giovanni Battista: tre dita sono nella chiesa di Saint-Jean-de-Maurienne, in Savoia, un dito è al Museo dell'Opera del Duomo di Firenze; ceneri si trovano alla cattedrale di San Lorenzo di Genova, altre ceneri nella Chiesa dei Disciplinanti bianchi di Loano (SV) e, con alcuni ossicini, a Chiaramonte Gulfi (RG).

Una mano si trova in Montenegro, l'altra mano si conserva a Rapagnano (FM). La testa del Battista è esposta a Roma, nella chiesa di San Silvestro in Capite e – udite, udite - altre teste del Battista sono conservate nel Palazzo di Topkapi ad Istanbul, a Monaco di Baviera, a Damasco, e ad Amiens. E ancora: il braccio

è nella Cattedrale di Santa Maria Assunta di Siena, il mento è nel Museo del Colle del Duomo di Viterbo, il piatto che ne ha accolto la testa è in San Lorenzo a Genova. Uno scempio dei poveri resti! Un po’ meno clamoroso è il caso di Santa Caterina da Siena della quale il corpo si conserva e ve-

cadrà mai in contraddizione e racconterà sempre la stessa versione. A 22 anni la giovane si fa suora, poi, infastidita dalla notorietà, si rifugia a Saint-Gildard, la casa madre della Congregazione delle suore della carità di Nevers. Qui deve far fronte alla tubercolosi e ad un tumore alle ginocchia che, a soli 35 anni, la porteranno alla morte. Nel 1925 è Pio XI a beatificarla e nel 1933 è lo stesso papa a farla santa.

nera alla Basilica di S. Maria sopra Minerva a Roma, una costola è a Astenet in Belgio, un piede nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo a Venezia, la testa e un dito nella Basilica di San Domenico a Siena. Sappiamo prendere le distanze? È questa la nostra fede!


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Maggio

2019

7

Chi decide sul fine vita?

Un po’ di informazione e qualche riflessione sulla cosiddetta buona morte - 4 di Giancarlo Meinardi

“Sul tuo fine vita preferisci decidere tu o vuoi che decida io?” Con questa domanda, rivolta dal filosofo Paolo Flores d’Arcais all’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, prende il via il dibattito sul tema “Eutanasia. Crimine o diritto” (Torino, 30 marzo). Un confronto interessante, incisivo, non privo di spunti critici. Ma soprattutto pacato, rispettoso dei punti di vista dell’altro. Non è poco in questi tempi che ci hanno abituato agli scontri verbali, urlati, mirati a sopraffare piuttosto che a confrontarsi. Un dibattito tanto interessante da indurmi a tornare sul tormentato tema del fine vita. Difficile rendere in poche righe la ricchezza e le sfumature degli interventi. Ci provo, sperando di non fare troppi torti all’uno e/o all’altro. Flores pone al centro della questione la domanda: chi decide sulla propria vita? Oggi è riconosciuto nella nostra società ad ognuno di noi il diritto di decidere su momenti anche essenziali della vita: sposarsi (se e con chi), aderire ad una confessione religiosa (se e quale). Ma non se vivere oppure no. Se decido di porre fine alla mia vita, chi mi aiuta in qualsiasi modo a porre in atto la mia intenzione commette un reato e rischia fino a 12 anni di reclusione. È della mia vita che si tratta, ma la decisione è rimessa a qualcun altro, chi deteneva il potere politico quando

l’attuale codice penale è stato approvato (1930, durante il regime fascista). Quando si muore si muore soli, risponde Zuppi. In quel difficile momento per me è importante la sicurezza di avere la protezione di persone competenti (i medici), tutte le cure necessarie senza nessun tipo di accanimento, l’accompagnamento di chi mi vuole bene (i familiari). Preferisco decidere io, dunque, ma nella consapevolezza dei limiti che incontra la mia volontà (per cui non posso decidere solo io). La mia decisione non può prescindere dalla volontà di chi mi cura e dei miei familiari. Queste tre volontà vanno contemperate. Se dice di voler decidere insieme a medici e familiari, ribatte Flores, è sempre lui che decide; ma se, giustamente, vuol decidere sul suo fine vita, lo stesso deve valere per tutti. Le possibilità sono soltanto due: o sul proprio fine vita ha diritto a decidere chi quel fine vita lo sta vivendo (e allora ci sarà chi vorrà viverlo fino in fondo, chi vorrà ridurre il dolore attraverso le cure palliative o chi vorrà abbreviare la sofferenza del fine vita) o il diritto a decidere spetta a qualcun altro, chiunque esso sia: maggioranza parlamentare del momento, referendum popolare, prete, medico, familiare. I progressi enormi della medicina consentono di mantenere in vita sempre più a lungo, aumenta quindi la probabilità per una per-

sona di trovarsi in una condizione di sofferenza fisica o psichica che sente come inumana e che vorrebbe interrompere. Perché qualcuno dovrebbe invece imporle di continuare a vivere? Perché chi lo aiuta a morire invece di essere ringraziato per il suo atto di umanità viene incriminato? Posso anche decidere di non decidere oppure fino a che punto voglio decidere, insiste Zuppi. Sono padrone della mia vita, ma ci sono anche gli altri, serve un bilanciamento di questi diversi aspetti, non posso decidere tutto io e voglio affidarmi a chi ha cura di me. Nessun accanimento e nessun abbandono. Posso decidere tutto della mia vita, non di togliermela; e se tu mi chiedi di togliertela non ti aiuto, cerco di aiutarti a non soffrire. Mette in guardia sul rischio di un “eccesso dell’io”, cioè di una decisione personale che non tenga conto della dimensione relazionale in cui ognuno di noi è immerso: i rapporti affettivi e la responsabilità verso i familiari, le competenze e il ruolo dei medici. Riconosce il diritto a non soffrire (sì dunque alle cure palliative), ma una cosa è togliere la sofferenza un’altra è togliere la vita. La chiave fondamentale quindi è la conciliazione della volontà individuale con quella dei familiari e quella dei medici. Ma alla fine a chi spetta decidere? domanda Flores. È ovvio che ognuno di noi sta dentro un fascio di relazioni, ogni decisione

dipende anche da altri, ma se non si arriva a una decisione condivisa qualcuno deve decidere. O sono io a farlo o sarà qualcun altro, e quindi io sarò privato della possibilità di farlo. Non c’è giustificazione sostenibile alla negazione di questo diritto, a meno che non si ritenga che della vita l’uomo non possa disporre in quanto dono di Dio. Per Zuppi la limitazione al diritto di disporre della propria vita si giustifica non solo in una ottica religiosa, ma umanistica. Vale comunque, a prescindere dalle motivazioni religiose, il principio per cui i diritti individuali (in questo caso il diritto sulla propria vita) trovano sempre una moderazione nel bene comune. Flores ritiene invece che proprio l’idea della sacralità della vita donata da Dio sia alla base della posizione di Zuppi. Ma sotto il profilo dei diritti civili è nella Costituzione che occorre trovare il punto di riferimento. Non a caso la Corte Costituzionale ha messo in discussione la legittimità della norma del vigente codice penale italiano che assimila l’istigazione al suicidio e l’aiuto al suicidio del consenziente, in quanto implica una limitazione alla libertà di autodeterminazione della persona nella scelta delle terapie che lo riguardano, comprese quelle finalizzate a liberarlo dalle sofferenze.

FACCIAMO TESTAMENTO?

I risultati di due anni di Testamento Biologico a Racconigi a cura di Guido Piovano

La legge sul Testamento Biologico (L.219/2017) o DAT (Disposizione anticipata di trattamento), è in vigore dal 31 gennaio 2018. Essa "tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona" riconoscendo e regolamentando le Disposizioni Anticipate di volontà nei Trattamenti sanitari, le cosiddette DAT, un vero e proprio testamento biologico che offre al cittadino la possibilità di accettare o rifiutare determinati trattamenti sanitari nel caso in cui dovesse trovarsi ad affrontare una malattia terminale, irreversibile o invalidante nella condizione di incapacità di esprimere il proprio diritto di acconsentire o non acconsentire alle cure proposte. A Racconigi il Regolamento per le DAT è stato approvato dal Consiglio Comunale il 26 aprile 2017, prima ancora che entrasse in vigore la legge nazionale, mentre l’inizio della raccolta delle sottoscrizioni di adesione al Testamento Biologico è del giugno dello stesso anno. Ritenendo che possa essere interessante, a distanza di due anni, capire come sono andate le cose nella nostra città, vi presento, in due tabelle distinte,

i risultati che mi ha fornito l’Ufficio Anagrafe del Comune.

Tab 2

Tab 1 Anno

le femmine rispetto ai maschi, 41 contro 19, pari al 68%.

Femmine Maschi

Totale

2017 (dal 1/06/ ’17)

2

1

3

2018

25

13

38

2019 (al 11/04/’19)

14

5

19

Totale

41

19

60

Dunque sono 60 i cittadini che hanno sottoscritto un testamento biologico e non mi sembrano pochi. I dati della tabella 1 evidenziano inoltre che in questa prima fase di applicazione del Regolamento le persone che decidono di sottoscrivere un testamento biologico sono in continuo aumento e mostrano anche una netta prevalenza di adesioni da parte del-

Età

Femmine Maschi

Totale

< 40

8

3

11

40/60

23

8

31

60/80

10

8

18

La tabella 2 offre invece i dati suddivisi per fascia di età e mostra come circa il 50% delle persone che optano per il Testamento Biologico assumono questa decisione tra i 40 e i 60 anni e che in generale le donne racconigesi sono più precoci nella loro decisione dei racconigesi uomini. In conclusione, mi sembra di poter dire che l’opportunità offerta ai cittadini racconigesi stia avendo un buon riscontro e che le femmine siano più sollecite dei maschi nell’orientarsi verso il Testamento Biologico.


Maggio

8

2019

insonnia

“SEDERCI ACCANTO AI DETENUTI NON È STATO FACILE”

I liceali racconigesi e gli studenti reclusi incontrano la scrittrice Nadia Terranova di Laura Bertola, I Liceo Scientifico “Arimondi-Eula” di Racconigi

Io e i miei compagni di I e II Liceo Scientifico dell’“Arimondi-Eula” di Racconigi, nell’ambito del progetto “Adotta uno scrittore” promosso dal Salone del Libro di Torino, mercoledì 17 aprile abbiamo incontrato la scrittrice Nadia Terranova insieme alle classi del Corso di Liceo Artistico attivo presso la Casa di Reclusione “Morandi” di Saluzzo. Un’attività che, permettendoci di entrare nella sezione carceraria di Alta Sicurezza e di interagire con gli studenti ristretti, si è rivelata un’occasione preziosa di arricchimento non solo culturale ma anche e soprattutto umano. Ad accoglierci un edificio enorme e grigio, perso in mezzo ai campi… meticolosi controlli, tante porte che si chiudevano alle nostre spalle, occhi che osservavano dall’alto mentre attraversavamo il cortile. Entrare in un’aula-cella e sederci accanto ai detenuti non è stato facile…un po' di imbarazzo e qualche timore iniziale, ma poi a poco a poco abbiamo incominciato a sentirci a nostro agio…e a riflettere. Non avevamo solo oltrepassato un muro di mattoni, ma anche una barriera molto più spessa e ardua da abbattere: quella dei pregiudizi. Come ha sottolineato la professoressa Scotta, docente di Italiano nella scuola carceraria, il laboratorio integrato di “Adotta uno scrittore”, che si ripete da 7 anni al “Morandi”,

rappresenta un momento importante di “Educazione diffusa”: parlare insieme di scrittura e di libri serve anche a promuovere l’Inclusione e le Pari Opportunità, a favorire le buone prassi della Cittadinanza attiva. Lo studente esterno entra in carcere, in orario extracurricolare (!), spinto dalla curiosità…alla curiosità subentra però l’esperienza vissuta, l’incontro con le persone, oltre che con i personaggi letterari. Il risultato è che i ragazzi escono avendo abbattuto il muro del pregiudizio, mentre i detenuti tornano alle sezioni con il sentimento di fare ancor parte della società civile. A fare da filo conduttore tra il vissuto di noi “ospiti” e quello, profondamente diverso, degli alunni “dentro” la bravissima scrittrice messinese che, partendo dal suo ultimo romanzo “Addio Fantasmi” (candidato al premio Strega 2019 per Einaudi), ha saputo coinvolgere ed emozionare: il risultato è stato uno scambio reale e sincero di esperienze, passioni, curiosità con gli studenti che l’hanno adottata. La discussione di gruppo è stata poi integrata con la lettura di testi creativi e l’analisi di produzioni artistiche degli alunni; particolarmente toccanti i lavori dei carcerati, con le loro storie e i loro dolori: si intuiva che temi come quello della memoria e dell’abbandono, dominanti nel romanzo, erano diventati per loro un’occasione di rielabora-

zione del proprio vissuto, di resa dei conti coi propri “fantasmi”. Da questo incontro abbiamo imparato che dietro ogni recluso c’è un uomo, che ha compiuto errori gravissimi e che giustamente sta scontando le sue colpe, ma che ha diritto a una seconda possibilità. Se “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”, la nostra società ha il dovere di provvedere ad attivare condizioni che permettano che questo avvenga, e in questa prospettiva la scuola può rappresentare, per chi ci crede, un’oasi di salvezza in un contesto di degrado e abbruttimento, un prezioso strumento di risocializzazione. Sul ruolo dell’istruzione in carcere ci hanno colpito le riflessioni profonde di Emilio, che sta scontando una condanna all’ergastolo: una parte di noi è sicuramente qui per aver fallito nelle scelte vitali dell’esistenza. Questo è dovuto anche all’impreparazione intellettuale e cognitiva che per moltissime ragioni riguarda una consistente parte dei detenuti. Per colmare questi gravi impedimenti dobbiamo ricordare come - per scegliere - si deve conoscere e - per conoscere - si deve sapere. Senza questa consapevolezza, non si è in grado di comprendere quali siano le alternative a nostra disposizione. Per questo sono fondamentali i contenuti culturali che la scuola ci mette a disposizione,

ben oltre i normali piani didattici previsti nei programmi. Letture mirate, proiezioni di film significativi sui temi di volta in volta affrontati e dibattiti tra le diverse componenti della società ci aiutano a conoscere noi stessi, a relazionarci con la collettività e a ipotizzare un più costruttivo patto sociale in cui noi cessiamo di essere un problema e iniziamo ad essere una risorsa per la società. Dal carcere siamo usciti tutti un po' migliori, anche se molto provati. Una esperienza dal contenuto emotivo altissimo, come l’ha definita Nadia Terranova, che ci ha regalato storie ed emozioni che ci resteranno per sempre cucite addosso. “Cosa tenere cosa buttare”, recita un mantra del mio libro, e forse ognuno di noi che era lì ci ha pensato, ci pensava. Cosa tenere cosa buttare della propria vita. In carcere è una domanda pesantissima, a scuola è una domanda piuma. Per me, non l’ho ancora capito. Io, comunque, di “Adotta uno scrittore” tengo tutto. Tutto, proprio ogni virgola, e qui lascio il mio grazie. Sicuramente anche ognuno di noi studenti si porterà dietro questo momento straordinario di scuola, conservandolo con cura, nella consapevolezza che resterà unico e indimenticabile.


insonnia

Maggio

2019

Migrazioni itineranti di fantasmi

Addio fantasmi di Nadia Terranova

Il libro di Nadia Terranova non è facile, rilassante o allegro. È un lavoro letterario che ti lascia dei pensieri addosso: anche quando l’hai finito, rimane con te. A lungo. Non so che effetto produce nei cittadini liberi ma credo che molti dei temi trattati alberghino, in vari modi e in differenti misure, nelle vite dei prigionieri. Questo testo costringe ad una dolorosa ma fertile riflessione e volendo utilizzare le parole dell’autrice, incastonate in una scrittura di rara efficacia, i ricordi disturbano il presente e se non li si racconta non ce se ne libera, anche se non tutti sanno mettere nelle storie il dolore che non sa stare altrove. Nadia ne è capace, l’ha fatto, e di dolore, nelle sue pagine, ce n’è proprio tanto. Anche se la lettura può essere un mezzo per non sentire il rumore dell’infelicità, in questo caso non è così, perché le emozioni e i sentimenti del libro parlano a quelli delle nostre anime e ci ricordano la loro esistenza, dato che le cose che non abbiamo il coraggio di dire neppure a noi stessi ci assediano. Noi siamo dei professionisti, quasi come Ida, a fare finta di niente, sempre, anche se tutto arriva prima o poi a distruggere le persone che siamo state o crediamo di essere. Sempre continuando ad utilizzare gli strumenti verbali del libro, spesso noi prigionieri neghiamo ciò che siamo stati, ci tramutiamo in qualcosa di differente e poi dimentichiamo di averlo voluto. Alcuni di noi reagiscono al dolore con l’aggressività, altri la dissimulano e spesso siamo contrariati per l’imprevisto che si intromette tra noi e le cose che avevamo scelto di

Non è stata una lettura facile quella di Nadia Terranova perché il suo libro trasuda di sofferenza, è complesso e profondo allo stesso tempo, ti coinvolge portandoti alla ricerca dei fantasmi che probabilmente tieni ben nascosti nel suo inconscio, anche se credi di non averne. Quello che voglio dire o fare non è sicuramente una recensione del libro, non ne sono in grado e nemmeno me la sento di provarci, ma al contrario voglio esternare le emozioni che questa lettura mi ha dato. Ho trovato nelle affermazioni della scrittrice frasi che mi hanno fatto riflettere e che in qualche modo ho sempre condiviso nella mia maniera di essere e di vedere le cose. All’inizio del suo racconto Ida parla del proprio matrimonio, dandone uno spaccato molto realistico, anche se per alcuni può essere crudo. Il modo in cui nasce e il modo in cui muore il matrimonio viene individuato nella parola e nel silenzio, nella comunicazione e nella fine della comunicazione, nella confidenza della testa e del corpo. Trovo importanti i pensieri di Ida sulla vita di coppia: “nella sua assenza imparo ad amare la sua presenza”; oppure: “il corpo aveva smesso di essere il luogo della comunicazione, vivevamo all’ombra l’uno dell’altra, avevamo smesso di funzionare insieme, di incastrarci nel sonno e nella veglia che lo precede, eravamo diventati respingenti l’uno per l’altra”. Potrei citarne ancora a decine, tante sono le affermazioni che la protagonista usa per affermare il fallimento della coppia, la quale senza comunicazione e senza il coinvolgimento tra le lenzuola è costretta a ripetere gli stessi gesti abitudinari e quotidiani che negli anni rendono l’uno estraneo all’altra. La storia di Ida è sconvolgente, non credo sia facile capire quello che può provare un adolescente quando il proprio padre scompare da un giorno all’altro, quello che può provare a piangerlo tutti i giorni (come dice la bambina/adulta) senza sapere se è vivo o se è morto e allo stesso tempo senza avere un luogo o un posto dove saperlo sepolto in pace. Il ritorno dopo anni nella città della sua adolescenza e dalla madre per la vendita della vecchia casa, le risveglia nuovamente quei ricordi e quei fantasmi del passato, che non aveva mai cacciato né dimenticato, intensifica i dolori di quel trascorso mai dimenticato. Con dei flashback inseriti alla perfezione Ida ripercorre la sua vita, la sua infanzia, quello spazzolino con la scia simile a una bava di lumaca, segno indelebile e preciso della

di Emilio, un diversamente libero di Saluzzo

ignorare. In questo caso l’imprevisto è il libro di Nadia, che si abbatte su di noi come la Nemesi, per ricordarci che siamo tutti dei sopravvissuti, ciascuno alla propria battaglia, e che anche in noi, nonostante decenni di prigionia, il desiderio di pace non si arrende. Come Ida, anche noi siamo schiavi di quello che ci è successo, siamo responsabili anche di quello che non abbiamo voluto vedere e, come Nikos, ci sono risposte che non riusciamo a darci. Forse è per questo che non tutti sono ancora vivi e alcuni scelgono di abbandonare il “per ora”. A volte, come Sara, non riusciamo più a tollerare il dolore degli altri, perché ne abbiamo uno tutto nostro che si è ingigantito o, per la verità, più d’uno. Ci capita, contro la morte, anzi contro i vari tipi di morte, di voler utilizzare anche noi la formula magica niente mi appartiene più, sebbene, alla fine, non si possa fuggire da noi stessi. Pensandoci bene, anche a noi succede di pensare che ci siamo rovinati la vita per non aver saputo dire la parola rimedio. Potremmo saccheggiare ancora a lungo i tesori linguistici di Nadia, ma preferiamo ringraziarla per averci aiutato a guardare in faccia alcuni dei nostri fantasmi, impedendoci fughe vigliacche e ipocriti infingimenti. Tre domande: come è avvenuta la genesi di questo libro, perché ha deciso di scegliere questo tema e quali sono i mutamenti, se ce ne sono, che questo scritto ha prodotto in lei. Grazie Nadia

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di Gian Luca

scomparsa del padre, stampato nella sua memoria come se lo avesse davanti in ogni istante. Il suo primo rapporto sessuale, non per amore ma per noia, o per sentirsi diversa o simile agli altri. La sua scatola rossa piena di ricordi del padre, compresa quella pipa di cui assapora ancora una volta l’odore mai dimenticato, dando al lettore la sensazione di vivere la scena e di sentire lo stesso odore del tabacco che fumava il padre, di entrare in una dimensione parallela alla sua. L’incontro con l’unica amica di un tempo, Sara, la quale le dice chiaramente tutto quello che non sopportava di lei e del suo modo di fare, lasciandola senza parole per il tono e per il modo in cui l’aveva trattata, per poi continuare coi suoi problemi personali, uniti al dolore di un aborto e della impossibilità di avere altri figli. Mi piace la frase con cui Ida si giustifica davanti alla amica per il suo modo di essere, definendosi: “l’ingrediente sbagliato, che ha fatto impazzire la maionese”. Profonda è quella parte di storia vissuta con Nikos, l’operaio intento a sistemare il terrazzo di casa sua, il quale la invita a fare una passeggiata al castello diroccato del puparo. Tra una birra e l’altra le confida il suo amore per una ragazza che amava, ma che era la fidanzata dell’amico, ignaro del loro amore. Quella ragazza muore abbracciata a Nikos, mentre sono in moto e una macchina li investe al rientro dalla loro ennesima fuga d’amore, lontani dalle chiacchiere e dagli occhi della gente per vivere il loro rapporto clandestino. Il suicidio di Nikos è quasi una sorte di liberazione, dopo una confessione che non aveva mai fatto a nessuno. Ida davanti alla sua bara e circondata dal dolore della sua famiglia fa diverse riflessioni e paragoni con la scomparsa di suo padre, capendo l’importanza del piangere qualcuno dentro una bara una volta sola, invece che portarselo dietro per un’esistenza intera. Mentre fa ritorno a casa, lancia dal traghetto la scatola rossa dei ricordi liberandosi così dal rimorso, dalle colpe e dai rammenti che l’hanno sempre attanagliata per ventitré lunghi anni, dando una tomba in fondo al mare a quel padre scomparso chissà dove e chissà come, facendolo uscire di scena una volta per tutte. Quel gesto liberatorio probabilmente le concederà l’opportunità di cacciare i fantasmi vissuti in lei per decenni e di esorcizzare allo stesso modo l’orario delle sei e sedici, che da sempre la accompagnava, segnando per l’ultima volta le sei e diciassette, svoltando definitivamente la pagina un minuto dopo.


Maggio

10

2019

L’ORGOGLIO FEMMINILE DEL RACCONIGI ‘86

insonnia

di Francesco Cosentino

Racconigi ha una grande tradizione calcistica, evidenziata dalla presenza di ben tre società che ormai da decenni raccolgono ragazzi e ragazze del territorio e dei dintorni. Sin dalla tenera età i piccoli calciatori sono accompagnati in un percorso di formazione sportiva e non solo, all’insegna del divertimento e dell’educazione. In questi ultimi anni la novità è rappresentata dalla presenza di una squadra femminile, l’unica sul nostro territorio e vero e proprio vanto del Racconigi ’86. Era il 2013 quando le calciatrici del Pro Polonghera non poterono più contare sul proprio comune per strutture adeguate e furono costrette ad affidarsi all’AC Racconigi, prima società che permise loro di utilizzare i propri spazi, collaborando strettamente con la formazione polongherese. Dopo una stagione sperimentale, la squadra passò definitivamente sotto il Racconigi ’86 che si dimostrò sin da subito molto interessato al progetto e accolse con entusiasmo le giocatrici. La società biancorossa già da tempo vedeva di buon occhio la presenza femminile in campo: basti pensare alle numerose ragazze già iscritte nel settore giovanile dove, fino all’età di 14 anni, la FIGC acconsente a squadre miste. Con il passare del tempo, il progetto è cresciuto a tal punto che si sta lavorando in previsione di una futura squadra Under 14 interamente femminile, seguendo con particolare attenzione le giovani calciatrici presenti nel settore giovanile, senza timore di affiancarle appena possibile alle ragazze della prima squadra. L’investimento che il Racconigi ’86

sta attuando sulle proprie giocatrici è in crescita continua: lo si è potuto notare anche l’anno scorso quando la società ha aderito a Football Lab, un progetto che ha permesso alle ragazze di migliorarsi in maniera significativa sulla tecnica individuale, dimostrando di avere una marcia in più rispetto a moltissimi team di pari livello. Quella che sta terminando in questi mesi è stata una stagione particolare per tutte le società femminili dilettantistiche, in quanto la Federazione ha deciso di unire le due categorie della Serie C e della Serie D, suddividendo le squadre del Piemonte e della Liguria in due soli gironi. Con questa nuova formula, il Racconigi ’86 si è dovuto confrontare con squadre che durante la scorsa stagione si trovavano nella categoria superiore, ma non ha affatto sfigurato: l’obbiettivo dichiarato ad inizio anno era quello di essere la migliore tra le squadre che fino all’anno scorso partecipavano al campionato di Serie D e a poche giornate dal termine si può ancora dire che le biancorosse sono in linea con le proprie ambizioni, segno di una programmazione solida e di un gruppo unito, pronto ad affrontare anche formazioni di maggiore caratura. Questi risultati sono arrivati soprattutto grazie alla preparazione tecnica del mister Davide Mollica, che già la passata stagione aveva seguito il progetto di Football Lab, e a giocatrici di ottimo livello. Una di queste è Giulia Ponzio, centrocampista della squadra e fresca vincitrice degli Idea Awards 2018 come miglior calciatrice della provincia di Cuneo. Giulia, infatti, non è passata inosservata e quest’anno è stata scelta per prendere parte al Torneo delle Regioni, un’importante competizione dilettantistica a livello nazionale che mette di fronte le migliori cal-

ciatrici, selezionate da ogni Regione. Quest’anno è stato proprio il Piemonte della Ponzio ad aggiudicarsi l’ambito trofeo: un forte segnale anche per il Racconigi ’86, che si è reso così partecipe a modo suo di questa vittoria. La presenza di una realtà come il Racconigi ’86 femminile è l’espressione più sana di un movimento in forte crescita a tutti i livelli. Mai come in questi ultimi anni il calcio femminile italiano ha dimostrato di poter interessare in maniera tanto pura e significativa agli appassionati. Forse per la prima volta si sta superando la concezione sbagliata di uno sport troppo spesso visto come puramente maschile. Occorrono ancora molteplici passi avanti per arrivare ai livelli di altri Paesi, ma la linea da seguire è quella giusta. Ne sono prova l’investimento in squadre femminili di grandi club maschili, prima fra tutte la Juventus. Quest’ultima, per l’appunto, è stata capace in due anni di fondare la Juventus Women e di

vincere entrambi i campionati di Serie A disputati, stabilendo poco più di un mese fa anche il record italiano di spettatori allo stadio per una sfida tra due compagini femminili: quasi 40 mila presenti, numeri da capogiro. Un’altra realtà che si sta prendendo la scena è quella legata all’Inter: la squadra femminile dei nerazzurri quest’anno ha dominato il campionato di Serie B e sembra pronta a fare il grande salto, magari permettendo ai tifosi di assistere ad un sentito derby d’Italia anche tra le donne. La speranza è quella che la passione cresca ulteriormente con l’arrivo dell’estate, quando dal 7 giugno l’Italia parteciperà per la prima volta dopo vent’anni ai Mondiali di calcio femminile, un’occasione da non perdere per avvicinarsi sempre di più a questo movimento, facendolo crescere e permettendogli di arrivare ai livelli che merita.


insonnia

Maggio

2019

SMETTILA DI CHIAMARMI AMORE!

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Adulti asfissianti. Bambini capricciosi. Quando le parole sommergono. di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Sono ubriaca. La testa piena e intontita. Mi preparo a scendere dalla nave con una tale confusione mentale che barcollo, ma non a causa del mare. E non ho neppure ingerito alcun tipo di alcolico! È un’ubriacatura di parole, migliaia di frasi, consigli, domande, sottolineature ascoltate in questo lungo viaggio accanto a giovani genitori che si rivolgevano ai loro figli: - Amore, cosa vuoi mangiare? Dove vuoi andare? Ti piace questo o quello? Amore non fare così, non fare cosà, vuoi venire qui? Vuoi andare là? Perché fai così? E basta, smettila, eh no Amore! Amore, hai sentito Amore? Vuoi vedere il video dell’orsetto? Amore guarda che bello il video, ne vuoi vedere un altro? Amore quale video vuoi vedere? Amore??? Guarda le foto, dai, il video non si vede bene, ma le foto, ti piacciono le foto? Mi ascolti, vero, Amore? Perché non mi ascolti? AIUTO! Ma come fanno queste creature a crescere immerse in questo continuo vociare? Se fossi bambina vorrei risponderti, Mammina Cara, che non ti ascolto perché sei insopportabilmente asfissiante, letteralmente una piaga! Non te ne accorgi? Ma tu non senti e continui a chiamare: - Amore, mangia la pizza, vedi come è buona la pizza? - La pizza non la voglio! Non mi piace! Ha troppo pomodorooooo! - Amore, ma che dici? È buona, vedi com’è buona? Mangiala Amore! - No, No! No e No! Non la mangio! Oh Dio! Per fortuna la nave ha attraccato e si scende. Non potete immaginare quanto sia contenta di lasciare questa confusione! Accanto a me si avvia una famiglia di tedeschi, zitti e sorridenti: i quattro bimbi biondi senza fiatare seguono i due genitori taciturni che con un solo sguardo danno indicazioni su dove andare e cosa fare. Che differenza educativa! Mi ricordo la mia infanzia… che bello essere stata bambina nell’era della invisibilità! Noi piccoli sembravamo trasparenti. Potevamo giocare, litigare, azzuffarci e fare pace, ma difficil-

mente i genitori intervenivano o ancor più ci stavano col fiato sul collo. Se qualche mamma lo faceva – qualcuna raramente – tutti stavano alla larga da quel bambino tenuto nella bambagia. La maggior parte dei genitori ci osservava dalla finestra: sapevano a che gioco giocavamo e con chi, senza intervenire. C’era una grandissima libertà intorno al nostro crescere, libertà di fare e di sbagliare, di decidere e di combinarla. Conoscevamo bene le conseguenze dei nostri guai e visto che una bella sculacciata non piaceva a nessuno, cercavamo di evitarla. Eravamo padroni delle strade e dei cortili, ci organizzavamo in giochi complessi, a volte azzuffandoci, una banda contro l’altra, e decidevamo noi quando fermarci. Litigavamo da morire, ed era così difficile fare pace! Ma visto che senza pace non c’era gioco, qualcuno diventava mediatore, qualcuno di noi, nessun adulto in mezzo per accordarci. Lo avremmo trovato fuori luogo, impiccione e strano. E quante risate si faceva tra noi, da prenderci la pancia in mano… e non avevamo mai abbastanza tempo per terminare tutte le avventure che ci inventavamo, una dopo l’altra. Non esistevano i capricci, non certo nella mia infanzia. Perché per fortuna i grandi non chiedevano a noi cosa fare, cosa mangiare e dove andare. Quando noi bambini eravamo con loro, essi decidevano, senza consultarci. Ma non pensiate che non fossimo liberi, perché la nostra libertà era grande, tra di noi e nel gioco. Due spazi ben definiti: bambini con bambini in autonomia oppure figli con genitori senza tante discussioni. Non si giocava con le mamme, ma le mamme si ubbidivano. E loro non ci riempivano la testa chiamandoci continuamente e ci lasciavano in pace. È stato affascinante crescere in quel tempo! Non era sempre facile, ma imparavamo a vivere e a rapportarci nel mondo. E dopo tante energie rilasciate in strada con i nostri amichetti, ci sentivamo appagati e pieni, ma tranquilli di avere una casa e un abbraccio a cui fare ritorno.

Se fossi una bambina di oggi? Amore qui, Amore là…ma sempre qualche adulto alle calcagna che fa domande e suggerisce cosa fare? Oh, per carità, scusate la franchezza, ma mi sento soffocare al solo pensiero! E anche questo chiamare “Amore” ripetuto, permettetemi ...! Ho un nome, me lo avete dato voi. Un nome è così importante! Mi aiuta a trovare una mia identità, una mia strada… Non ho bisogno, Mammina Cara, che mi domandi continuamente se voglio la Coca-Cola o l’aranciata. Ho bisogno di un po’ di spazio libero, di cogliere la tua presenza con una certa distanza, sapendo che mi osservi con la coda dell’occhio, ma un po’ più

in là. Ho bisogno che mi lasci fare, senza timore, intanto lo so che tu ci sarai quando deciderò di tornare tra le tue braccia dopo aver tanto giocato lontano da te. Così mi sentirò sicuro! Non mi servono le tue continue indicazioni, le sollecitazioni e le tue domande. Mi serve solo sapere che ci sei, a buttar l’occhio dalla finestra, perché il tuo piano non è il mio. È lo sguardo che ci terrà legati, non la tua valanga asfissiante di attenzioni. Se lo capissi, Mammina mia, potrei anche riuscire a crescere forte, senza fare tanti capricci per farti capire che mi manca l’aria.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

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5 Maggio 2019 della Risata

«Se mai c’è stato un bisogno di ridere il più possibile, questo è il momento adatto. Il mondo è in uno stato di confusione e panico. Bloccati dalla recessione economica, dal terrorismo e dalla violenza, sta crescendo un sentimento di impotenza e insicurezza (…). Gli alti e bassi sono una costante dell’esistenza. La qualità della vita non dipende da ciò che ci accade, bensì da quello che facciamo quando ci accade qualcosa. Non possiamo cambiare le circostanze esterne in un giorno, la cosa più facile che possiamo fare è cambiare il modo di sentire dentro, per cui è il tempo adatto per ridere senza motivo, fintanto che un giorno migliorino le condizioni esterne». Sono parole di Madan Kataria, medico indiano ideatore e promotore, nel 1995, della “Giornata mondiale della risata”, che si celebra universalmente ogni prima domenica di maggio e nel 2019 cadrà il 5. In Italia, in alcune città fra cui Roma, Firenze e Milano, ci si riunirà nei parchi e in altri spazi per ridere insieme.

Una ricetta che potrebbe suonare irriverente, in tempi tanto cupi: come ridere, avendo negli occhi immagini come quella di Notre Dame che brucia e nelle orecchie gli echi delle tante miserie e violenze di cui sentiamo parlare ogni giorno? Eppure, afferma Kataria, di fronte a tutto ciò la risata non rappresenta indifferenza o scherno, ma, piuttosto, una medicina. Non a caso, su di essa si fonda lo “yoga della risata” - fondato dal medico stesso, cominciando con cinque persone nel 1995 in un parco di Mumbai - che si è rapidamente diffuso in tutto il mondo e conta attualmente migliaia di “Club della risata” in oltre 65 Paesi. Si tratta di una disciplina di gruppo che combina la respirazione profonda dello yoga alla risata incondizionata praticata anche in assenza di umorismo, per ottenere benessere psicofisico. Ridere fa bene, è risaputo. Si dorme meglio, si ha più energia, il respiro è più lungo e profondo, si provano sensazioni di liberazione e leggerezza; la digestione migliora, per non parlare della pelle, che diventa più luminosa poiché la risata permette di espellere tossine; si riduce lo stress e si può vivere più a lungo perché calano i rischi di malattie al cuore. È uno strumento che ci aiuta a risollevare il morale nei momenti difficili e che può contribuire a sviluppare un’attitudine mentale positiva per ridurre paure e tensioni. E poco importa che la risata sia spontanea o autoindotta: gli effetti, dicono gli scienziati, sono gli stessi. “Porta il tuo corpo a ridere e la mente lo seguirà” af-

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE LAVORO & LAVORI: MOSTRA FOTOGRAFICA

Nel racconto fotografico di questo mese riportiamo alcune foto della mostra fotografica "LAVORO & LAVORI" esposta fino al 12 maggio nel MUSEO DELLA SETA - Piazza Burzio RACCONIGI. Questa mostra fotografica è dedicata a Bartolomeo GAMBETTA, a “Nino” GAMBETTA, artigiano di Racconigi. A 86 anni, al mattino, scende nel suo laboratorio per sedere ancora al tavolo di lavoro…

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ferma ancora Kataria, ribadendo l’importanza di imparare a ridere per scelta, per almeno 10-15 minuti al giorno. Un’abitudine che sarà ancora più salutare se si sceglierà di abbracciare la risata stessa come filosofia di vita. La risata, infatti, non si può comprare, è qualcosa che ti viene da dentro, un atto che compi quando una persona ti fa stare bene o quando immagini delle cose positive. Ma è anche un atteggiamento che contagia le persone intorno a noi: quando qualcuno ride, crea attorno a sé un cerchio di felicità. Di qui la sua valenza sociale e anche simbolica. L’obiettivo della “Giornata mondiale della risata”, infatti, non è solo promuovere il benessere personale e uno sguardo positivo sulla vita, ma anche sostenere la pace e l’armonia nel mondo. La risata, insomma, può essere considerata anche come un linguaggio internazionale per unire culture e religioni differenti e creare un nuovo ordine mondiale: per dirla ancora con Kataria, “Quando tu ridi tu cambi e quando tu cambi l’intero mondo cambia”. Ecco perché il 5 maggio potrebbe essere un’occasione da non lasciarsi sfuggire per prendere la risata… con più serietà!

Hanno collaborato: Andrea Barra, Andrea Barberis, Nicolò Donadio, Daniele Inturri, Zaccaria Kouhlani, Matteo Preka, Lorenzo Quaglia, Lorenzo Rivoira, Daniele Rolfo (classi I A e I B indirizzo Perito meccanico dell’automazione, Istituto “Arimondi Eula” Racconigi).

In queste pagine le foto in bianco e nero di:

Andrea Burzio, Annasilvia Rolando, Beppe Fava, Elisa Sanino, Federica Chiantia, Giorgio Barberis, Giovanni Cappello, Matteo Gramaglia, Paolo Lanfranco, Pier Paolo Viola, Rocco Agostino, Valeria Testa

Ma se visitate la mostra potrete ammirare anche le opere di:

Simone Albertino, Paolo Allasia, Carlo Avataneo, Antonio Copeta, Angelo Gambetta, Gian Carlo Grosso, Chiara Paschetta, Luca Redigolo, Aldo Rosso, Antonio Russo, Aldo Sartori, Marco Tacchini.

Le foto del racconto fotografico sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera.


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UN CUCCHIAINO DI ZUCCHERO NEL TUO CAFFÈ Una dolce scelta che fai oggi, una scelta sostenibile per il tuo domani di Chiara Reviglio

Questo è lo slogan che accompagna la campagna pubblicitaria dello zucchero di canna del Commercio Equo e Solidale, parole piene di positività basate su solide realtà. Lo zucchero è uno dei beni di consumo più richiesti e diffusi su scala globale, il suo consumo è più che raddoppiato dagli anni '60 ad oggi ed è prevista una crescita costante nei prossimi anni. Un italiano ne consuma mediamente 27 kg all'anno. Circa l'80% del saccarosio prodotto nel mondo deriva da canna da zucchero, coltivata nella fascia tropicale, mentre la restante parte da barbabietola, coltivata nelle zone temperate dell'emisfero boreale, principalmente in Europa. L' America latina assorbe più del 75% della produzione mondiale con 69 mila ettari coltivati, tra cui spiccano Paraguay, Brasile e Argentina. La storia dello zucchero è stata sin dalle origini caratterizzata da dure condizioni di lavoro, sfruttamento e violazioni dei diritti dei braccianti impiegati nelle piantagioni. Generalmente essi vengono contrattati tramite pratiche di subappalto e sono pagati a cottimo, in base al volume delle canne da zucchero tagliate. Sprovvisti di

contratti scritti, il loro potere contrattuale è di fatto inesistente, non godono di nessun diritto e viene impedita loro la libera associazione e l'iscrizione a un sindacato. Dal report 2017 dell'associazione Mani tese sappiamo che gli orari di lavoro superano le 12 ore giornaliere e non ci sono misure di sicurezza che preservino l'integrità

riverbera su tutta la filiera dello zucchero a partire dai lavoratori. Essi infatti sono considerati partner produttivi, non semplicemente fornitori, e il loro compenso è sempre tutelato. Inoltre, i produttori appartengono a comunità molto legate al territorio, autosufficienti per autoconsumo, dove l'alto impiego di lavoro manuale

dei tagliatori di canna, esposti ad un uso massiccio di fertilizzanti e diserbanti chimici che minaccia la loro salute e finisce per contaminare i terreni, le riserve idriche e le coltivazioni delle comunità limitrofe alle piantagioni. Nell'economia fondata sui principi del Commercio Equo, invece, la situazione è molto diversa, con un impatto sociale positivo che si

e la produzione biologica garantiscono un prodotto di altissima qualità al consumatore. L'agricoltura familiare delle aziende del Commercio Equo pone al centro la dignità del lavoratore e dà benefici perché è sensibile al tema della sicurezza alimentare, genera occupazione nelle comunità, garantisce un reddito equo che può essere reinvestito nell'econo-

mia locale, difende l'agrobiodiversità e propone un modello sostenibile per il pianeta. In una Bottega del Mondo, come quella dell'associazione Mandacarù, si trovano due tipi di zucchero di canna, entrambi con certificazione biologica, che non subiscono alcuna raffinazione durante il processo produttivo e conservano la melassa che apporta le caratteristiche tipiche di colore e sapore. Il Mascobado, originario delle Filippine, è uno zucchero di canna integrale prodotto per evaporazione secondo un antico metodo artigianale, ricco di sali minerali e ferro. Il suo inconfondibile colore scuro e l'aspetto cristallino, ha un sapore intenso e un sentore di liquirizia che si sprigiona al meglio nel caffè. Il Dulcita, dall'Ecuador, è anch'esso integrale e presenta la melassa che gli conferisce il caratteristico colore ambrato e un sapore dolce con note mielose, adatto per la produzione di marmellate e dolci casalinghi. Dunque, per rendere dolce e giusto il nostro caffè scegliamo lo zucchero del Commercio Equo e Solidale! Un altro futuro è già presente.

SI È CONCLUSO IL PROGETTO “PIEMEMONTE INSIEME PER LA MEMORIA” a cura dell’associazione Ama Carmagnola

Il 18 gennaio 2019 hanno preso avvio le attività previste dal progetto PieMEMOnte insieme per la memoria: “misura la tua memoria come misuri la tua pressione”. Il progetto, finanziato dalla Regione Piemonte, era volto a prevenire il deterioramento cognitivo e ad affrontare i fattori di rischio dovuti all’invecchiamento. Sul nostro territorio si è potuto realizzare grazie alla collaborazione prestata dalle farmacie Amedei, Appendino, Borgo Vecchio e Comunale che hanno messo a disposizione dei partecipanti personale e attrezzature per la misurazione della pressione e per il controllo della glicemia e del colesterolo. Il

progetto prevedeva inoltre, in uno spazio riservato, un colloquio con una psicologa per valutare mediante semplici test la “vivacità” della memoria. Il numero massimo previsto dal progetto (120 persone), grazie alla collaborazione di tutti partner, è stato ampiamente superato e le richieste di replicare tale intervento sono state numerose. Durante queste giornate i Volontari AMA hanno illustrato le diverse iniziative che l’Associazione realizza sul territorio cittadino e particolare interesse è stato suscitato dai gruppi di prevenzione per il mantenimento della memoria curati dalle psicoterapeute. Molti

ne hanno auspicato la riedizione temporaneamente sospesa. L’Associazione, che può contare solo su donazioni e liberalità, è impegnata a garantire con fondi propri e per 2 giorni alla settimana la palestra cognitiva rivolta a persone a cui il medico o il geriatra abbiano riscontrato un deficit cognitivo. Le attività di prevenzione pertanto possono essere avviate esclusivamente in presenza dei fondi necessari. A tal fine si segnala che è possibile sostenere l’Associazione AMA Carmagnola mediante donazioni con versamenti presso: BCC di Carmagnola IBAN IT 23K0883330800000100109715

(detraibili ai fini fiscali) oppure, in occasione della denuncia dei redditi, donare il 5/000 CF 90021350013. Si ringraziano tutti coloro che hanno aderito al progetto e quanti vorranno sostenere l’Associazione AMA Carmagnola. Si ricorda infine il prossimo appuntamento con il Caffè Alzheimer per il 18 maggio presso il salone parrocchiale Iconà, dove saranno presenti i geriatri dott. Persico e dott.sa Fiorio che illustreranno le scelte terapeutiche effettuate dai geriatri a favore dei pazienti affetti da demenze e malattie di Alzheimer.


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Museo – Giardino della Civiltà della Seta di Racconigi

Il mese di Maggio tra mostre, pedalate e libri a cura di Pino Tebano

Ricco di iniziative anche il mese di maggio per il Museo della seta di Racconigi. Il primo maggio è stata inaugurata la mostra del Circolo Fotografico Racconigese che sarà aperta il 4, 5, 11 e 12 maggio. Tutti in bici il 12 maggio per la pedalata “da Museo a Museo”, iniziativa che vuole lanciare un rapporto di scambio culturale con i musei a

noi vicini. Questa prima tappa sarà da Racconigi a Savigliano con Visita al Museo della Memoria, pranzo al sacco e ritorno nel pomeriggio. È necessaria la prenotazione per la copertura assicurativa (info matteo.racca@alice.it oppure coniglio.67@gmail.com). A seguire, la settimana successiva, inaugurazione sabato 18 alle 16,00 della mostra, con tema seta,

del corso di fotografia dell’Unitre tenuto da Alessandro Bello. La mostra sarà visitabile tutte le domeniche di apertura del Museo fino al 2 giugno. Il 26 maggio in collaborazione con l’Associazione “Tocca a Noi” si svolgerà la Racconigi Photo Marathon, il Museo sarà aperto tutto il giorno e alle 12,00 ci sarà un Aperitivo con prodotti del Gelso, le

Mozzarelle da Re di Antonio Copeta ed un’Azienda produttrice di vini delle Langhe. Nel pomeriggio alle 16.00 chiusura della Racconigi Photo Marathon. Marco Neirotti, alle 17,00 presenterà il suo ultimo libro “Ti ucciderò”, una breve recensione e la locandina le troverete in questa stessa pagina.

TI AMMAZZERÒ STASERA di Marco Neirotti

Un centro di provincia cresciuto rapidamente, non più paese e non ancora città, confuso tra un’identità di antichi valori che si faldano e una nuova identità ricalcata sul modello proposto con insistenza dai media. Qui sono state accolte e integrate nel tempo emigrazioni diverse, ma l’arrivo di profughi sistemati in un’ex caserma fa divampare con violenza l’inquietudine, la paura, il bisogno di nemici che rispecchiano il clima che stiamo vivendo oggi. Dopo il lancio di molotov nella struttura, la tensione irrompe in tutti gli ambienti che costituiscono il paese. Nell’arco di una giornata i pochi militari della stazione dei Carabinieri devono fronteggiare segnali di razzismo violento, l’irrequietezza dei rifugiati, il progetto d’omicidio messo a punto da un esaltato e due suoi gregari, la cecità di genitori, l’ira opposta di gente pacifica che si oppone al nuovo clima. Vittime designate di due azioni sono gli stranieri nell’ex caserma e un ex detenuto per omicidio che, scontata la pena, vive in una baracca fuori paese con un branco di cani randagi ed è l’unico a schierarsi dalla parte della legge. La mattina si annuncia un’azione violenta. I carabinieri cercano di arginare il disastro in un clima in cui più d’uno diventa pronto ad ammazzare. Chi, prima che la giornata finisca, riuscirà nell’intento?

Marco Neirotti

Nato a Torino nel 1954, collaboratore di Tuttolibri dalla fondazione, dal 1978 assunto a La Stampa, è autore di inchieste su criminalità straniera, prostituzione (premio Saint Vincent 1998 di giornalismo), immigrazione clandestina (dal confine friulano a Lampedusa), mondo carcerario e psichiatrico. Nel 2017 ha creato il sito “Storie e pensieri”. È autore negli Anni ’80 di testi per Rai Radio 2 (per Lauretta Masiero, Giancarlo Dettori, Renzo Palmer) e più avanti di serie condotte personalmente (tra queste i commenti alle Agende di Fruttero e Lucentini). Saggistica Invito alla lettura di Fulvio Tomizza (Mursia, 1979, aggiornato nel 1997) Fabrizio De André (Eda, 1980) Milano (Pheljina edizioni d’arte,1993)

Narrativa

Assassini di carta (Marsilio,1987) In fuga con Frida (Marsilio, 1991) La vocazione del falco (Mondadori,1998) Anime schiave (Editori Riuniti, 2002) Stazione di sosta – cronaca di un cancro (Interlinea, 2015, seconda edizione 2016) Ti ammazzerò stasera (Golem, 2019)

Diversidachi di Zanza Rino

Niente di nuovo sotto il sole. Di Maio difende la Raggi e chiede

le dimissioni di Siri. Salvini difende Siri e vuole le dimissioni di Raggi. Il Governo traballa ma resta in piedi, per fortuna sono uniti nel chiedere le dimissioni della Marini. I diversi non sono così diversi. Le ragioni e i torti li deciderà la magistratura e i politici batteranno le mani o inonderanno di critiche a seconda degli interessi politici. Forse ci dobbiamo abituare all’idea che tutti o quasi in qualche modo ci cascano nella trappola del potere. Per disonestà o per incompetenza o perché le cose sono complicate.

E dunque ci rifugiamo nel non voto? Non mi sembra una buona soluzione. Forse siamo tutti o quasi tutti così noi italiani e quando siamo messi in tentazione fatichiamo a resistere. L’occasione fa l’uomo ladro. O meno moralisticamente il mondo è complicato. E allora? Allora lasciamo che chi deve controllare controlli, speriamo che chi sbaglia paghi, facciamo la nostra parte cercando di essere onesti nel nostro piccolo e compiendo il nostro dovere di cittadini con il voto. Forse non è molto, ma forse è meglio che fare niente facendo finta di essere

meglio di tutti gli altri. Mi viene in mente un vecchia lettura. Voltaire, nel suo Candide, ou l'Optimisme esercitava la sua critica corrosiva nei confronti di una visione filosofica che pretendeva di dare una immagine del mondo astrattamente ottimistica, a dispetto del dolore, delle tragedie, delle ingiustizie che lo percorrono. Forse questo non è il migliore dei mondi possibili ma è quello che abbiamo. Facciamo del nostro meglio e che il fato ce la mandi buona.


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Cinema AVENGERS: ENDGAME di Cecilia Siccardi

In seguito allo schiocco di dita di Thanos, che ha portato alla morte di metà

Lib

Libri Una lettera a cuore aperto, da parte di Luigi Ciotti, il fondatore del Gruppo Abele e di Libera, a chi, forse anche inconsapevolmente, pensa e/o agisce da razzista. Dà del tu, Luigi, decidendo di scrivere contro “l’emorragia di umanità, alimentata dagli imprenditori della paura […],

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della popolazione universale, gli Avengers sopravvissuti allo sterminio devono fare i conti con la propria sconfitta, e cercare di andare avanti nella nuova realtà. C’è ancora speranza di riportare indietro chi ha perso la vita? Gli eroi saranno all’altezza di un compito così difficile? È praticamente impossibile parlare di Avengers: Endgame, uscito il 24 aprile in Italia, senza fare spoiler. Il film era attesissimo: dopo il ben riuscito Infinity War (2018), le aspettative dei fan del MCU – e non solo – nei confronti di questo ultimo capitolo erano davvero molto alte, e di certo non sono state deluse. Si tratta di un’opera gigantesca, monumentale, che riesce a portare alla conclusione un discorso veramente ampio, iniziato undici anni fa con il primo Iron

Man; la si potrebbe definire, a tratti, come una lettera d’amore verso i fan. Detto ciò, chi scrive pensa che Infinity War sia stato di gran lunga superiore a Endgame. Dopo un inizio brillante, il film continua infatti con una seconda parte di confuse spiegazioni scientifiche e di interazioni fra i personaggi molto verbosa, che nell’economia di un film da tre ore avrebbe probabilmente potuto durare di meno. Diverso il discorso invece per il finale, caratterizzato da una messa in scena spettacolare e da un susseguirsi continuo di colpi di scena (che personalmente ho trovato un po’ stancanti, alla lunga). Sebbene inferiore al capitolo precedente, dunque, Endgame soddisferà sicuramente i fan della saga, mettendo al centro l’umanità dell’eroe e riuscendo a divertire e emozionare.

perché, di fronte all’ingiustizia che monta intorno a noi, non si può più stare zitti […], per decostruire troppi pregiudizi e affermare i principi di una società più giusta”. Definisce narrazioni tossiche, nate da una ubriacatura razzista, i luoghi comuni che tutti sentiamo, in TV, come al bar…: “Gli stranieri ci stanno invadendo! Tutti a casa loro! Si chiudano i porti! Prima gli italiani!”. Ma, si chiede Luigi, siamo proprio sicuri che la causa di 5 milioni di poveri assoluti in Italia, quasi 10 milioni di poveri relativi, più di 3 milioni di disoccupati, più di 6 milioni di analfabeti totali e 20 milioni di analfabeti funzionali siano i MIGRANTI? I Fatti ci dicono altro! Essi sono un facile capro espiatorio, quando invece contribuiscono pienamente al PIL nazionale e allo svecchiamento della popolazione. Mentre il destino di tanti, alla ricerca di nuove terre per fuggire da fame e guerre, naufraga nel mediter-

raneo, senza far più notizia, sui social (e non solo) lievitano commenti rabbiosi e cinici, anche verso chi tenta di soccorrerli o semplicemente esprime dolore per tanta ecatombe ignorata. Luigi cita papa Francesco che, rivolgendosi ai giovani, ha recentemente affermato: “Voi griderete? Per favore, decidetevi, prima che gridino le pietre!”. Troppo silenzio verso chi insulta e ferisce, o uccide per il colore della pelle. Luigi ci allerta tutti perché la storia insegna: se stiamo zitti, cediamo il passo a nuovi fascismi. Il “tu” di Luigi chiama anche noi!

Luigi Ciotti “Lettera a un razzista del terzo millenio” 2019. pp. 80, € 6,00 Editore: EGA


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Mus

Musica Giua

“PIOVESSE SEMPRE COSÌ” di Giuseppe Cavaglieri

Giua, cantautrice, autrice e pittrice, ama mescolare da sempre musica e pittura, ritmo e colore, amalgamare i gusti contrastanti e muoversi tra sonorità diverse. Con questo nuovo disco “piovesse sempre così” prova ad accorciare la distanza che separa Genova - la sua città, il Mediterraneo, il suo mare - dal

Sudamerica e i suoi oceani, terra dove è nato suo padre, culla di quella musica che fin da quando era bambina le è entrata dentro per poi mischiarsi a quella dei cantautori, al jazz, al rock e alla musica popolare. A dirigere questo viaggio musicale un arrangiatore e pianista straordinario, Paolo Silvestri, con cui la cantautrice ha lavorato in questi anni come musicista e interprete in scena nello spettacolo “Quello che non ho” con Neri Marcorè, assieme ai chitarristi/ polistrumentisti Pietro Guarracino e Vieri Sturlini. Lo spettacolo è stato in tournée per tre anni toccando tutti i teatri italiani più prestigiosi (oltre 150 repliche), ed è stato trasmesso recentemente dalla Rai. È a partire da questa esperienza che Giua decide di creare il suo nuovo lavoro ponendo al centro l’intreccio di voci e chitarre che ha caratterizzato il lavoro con Marcorè; un trio, quello con Guarracino e Sturlini, con cui sarà possibile riproporre le canzoni del disco anche dal

vivo, passando dalle ballate più struggenti (“col naso all’insù”, “argilla”), a brani più scanzonati (“macchina improbabile”, “feng shui”), a quelli più rock (“le luci delle case”, “più lontano di così”), fino ad arrivare ad alcune rivisitazioni di canzoni di De André (“khorakhanè”, “dolcenera”).

Ad affiancarsi al corpo centrale del disco, il batterista Rodolfo Cervetto e il bassista e contrabbassista Pietro Martinelli: è con la formazione al completo che le canzoni trovano la loro massima espressione dal vivo, per i colori, le dinamiche e le timbrature che il quintetto riesce a regalare. Ad

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impreziosire il tutto, il violoncello di Jaques Morelenbaum, ponte tra il cuore e il Sudamerica, che cuce a mano cinque canzoni. Carla Signoris segna un gol in rovesciata trasformando “feng shui” in una canzone postmoderna sospesa tra horror e nonsense, grazie anche alle armonizzazioni spiazzanti dei fiati di Giampiero Lo Bello, Luca Begonia e Paolo Maffi. Paolo Silvestri col suo pianoforte su “col naso all’insù” ci porta a spasso tra i ricordi regalandoci la meraviglia e lo stupore di quando eravamo bambini. Lisa Galantini, con la stessa nonchalance dell’assurdo di un film di Buñuel, ci porta in giro tra i nostri pensieri rumorosi in “cosa penserà la gente”. Tanti anche gli autori con cui Giua ha scritto e ha pensato per dar voce e creare i giusti silenzi nelle sue canzoni: Zibba, Pacifico, Emilio Munda, Mario Cianchi, Gianluca Martinelli, Carlo Fava e Stefano Della Casa.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Non è solo una curiosità la nostra, gli atti del convegno riportano che l’allora Direttore del Castello e del Parco il dottor Giorgio Fea dichiarava che il progetto di apertura del parco di Racconigi non era di competenza del Direttore stesso bensì tutto rientrava nella politica del Ministero dei beni Culturali; si preoccupava inoltre che in una precedente ed estemporanea apertura si era lamentata una scarsa cura da parte dei visitatori che avevano lasciato a terra molti contenitori di spuntini consumanti durante la visita. La Lega Ambiente invece, come pure il dottor Giovanni Boano (direttore del Museo di Storia Naturale di Carmagnola) temevano che una apertura non regolamentata avrebbe fatto emigrare le colonie di uccelli che si erano annidate in quell’ambiente, dopo anni di abbandono totale al termine della gestione Savoia. Il naturalista dottor Ippolito Ostellino come pure l’Architetto Mirella Macera si preoccupavano invece di quale tipo di manutenzione straordinaria dovesse essere adottata tenendo conto di tutti gli interventi di trasformazione avvenuti nel corso della storia; dall’originario bosco planiziale al giardino di Le Notre, alle trasformazioni della Principessa di Lorena e poi

Carlo Alberto fino alla direzione del Giardiniere olandese Saverio Kurten che progettò la struttura che rappresenta in parte l’attuale assetto del Parco. Ovviamente non si tratta solamente di essenze arboree ma anche dell’assetto dei canali, i ponti e il grande lago. Oggi tutte le realtà analizzate nel 1988 sono in buona parte mutate. I visitatori sono tutti più coscienti nel rispetto dell’ambiente, il Parco si è ulteriormente trasformato per gli interventi portati avanti dalla Sovrintendenza, alcuni tipi di uccelli non ci sono più e il territorio circostante si è arricchito di una nuova oasi naturalistica ad opera del concittadino Bruno Vaschetti e della sua famiglia. Forse oggi sarebbe il caso di organizzare un altro convegno riprendendo le analisi che si erano fatte allora ad opera degli esperti nei diversi settori; se questi studi sono stati fatti sarebbe utile renderli pubblici altrimenti sarebbe necessario riprenderli. I sostenitori della petizione per la apertura del Parco (pagina Facebook) a brevissimo tempo organizzeranno una manifestazione improvvisata; sono stati interessati l’Assessore regionale Antonella Parigi, la dottoressa Ivaldi del Polo Museale ed il Ministro Bonisoli. L’anno scorso ci siamo lasciati

scappare l’occasione di ripetere un convegno; sarebbe stato un buon momento per rievocare il TRENTENNIO della apertura del Parco ma forse coloro che sono preposti alla gestione di questa nostra grande risorsa che

abbiamo qui a Racconigi, ad ottobre dell’anno scorso hanno voluto invece rievocare quella data con una CHIUSURA. di Rofolfo Allasia


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