INSONNIA Luglio 2018

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"Prime le italiane" alla staffetta 4x400 ai Giochi del Mediterraneo

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 105 Luglio 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

L’eco lontana di quelle voci

ADULTI AUTOREVOLI Per valorizzare al meglio i nostri beni, AL TEMPO DI INTERNET Castello e Parco, ci vuole confronto

LA MONARCHIA È FINITA,ANDATE IN PACE

Pensare al mese di giugno senza una serata da trascorrere al Parco dell’ex O.P. di Racconigi non ci par vero! Abituati come eravamo, noi della Can- di Rodolfo Allasia e Guido Piovano toregi, ad organizzarci per far sì che dal nulla quello spazio Ora che la StraRacconigi del 2 diventasse un palcoscenico giugno si è svolta solo grapronto ad ospitare il meglio zie alla iniziativa del sindaco del “Teatro Contemporaneo Valerio Oderda che interveniva italiano”, quel teatro che fa per evitare possibili problemi di dell’impegno sociale il centro ordine pubblico e che la tapdella propria ricerca espressi- pa racconigese del 24 giugno va. Sì, perché così era da 17 della Maratona Reale si è potuta anni a questa parte… a Rac- svolgere solo su un percorso alconigi! Era uno dei punti di ternativo messo a punto sempre riferimento più interessanti dal sindaco in accordo con gli nel circuito dei Festival estivi. organizzatori e con l’Assessore Dopo l’incredulità dei pri- Regionale al Turismo dottoressa mi momenti alla notizia del Antonella Parigi, è giusto che mancato sostegno economico ci si chieda a che punto siamo per questa 18^ edizione del- nei difficili rapporti del Comune la Fabbrica delle Idee-Rac- con la Direttrice del Polo Museconigi Festival, da parte del ale del Piemonte, la dottoressa maggior sostenitore che per Ilaria Ivaldi , la quale sembra 17 anni aveva creduto nella aver fatto tutto il possibile programmazione di Proget- perché le due manifestazioni to Cantoregi, ci siamo cala- racconigesi fallissero. ti nella realtà del momento e con amarezza ne abbiamo preso atto ripensando al vissuto delle passate edizioni. Ricordare attori e tecnici di tutte le circa 170 Compagnie ospitate in questi anni, ripensare ai rapporti amichevoli che con ognuna di loro abbiamo vissuto nei giorni di permanenza al Festival, rivivere il nostro prodigarci affinché il Aboubakar Soumahoro, diriloro seppur breve soggiorno gente sindacale italo-ivoriano fosse gradevole e confortevo- della Unione Sindacale di Base: le, grazie anche alla collabo- «Per l’uccisione di Soumaila abrazione dei B & B locali che biamo ricevuto messaggi di solieffettivamente li accoglievano darietà non solo dei braccianti come “ospiti di casa loro”, agricoli, ma anche dei lavoratori alla cordialità e disponibilità precari e disoccupati. Si è trattadel “nostro ristorante” dove, to di un crimine, la magistratura Patrizia e tutto il suo staff, farà il suo corso, stabilirà la veriogni sera dopo gli spettacoli, tà e la giustizia come continuano a tarda ora, ci aspettava in- a chiedere i compagni dell’USB e torno ad una tavola imbandi- i parenti di Soumaila Sacko. Souta per rifocillarci in un clima maila ha una figlia di 5 anni e una compagna. di affettuosa e calda amicizia. Il problema che noi viviamo è che segue pag. 16 ci sono 146 milioni di tonnellate

Come sono cambiati i sistemi familiari e i metodi educativi in 50 anni di Grazia Liprandi Rete Insegnareducando

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“Noi la pacchia non l’abbiamo mai conosciuta” Testimonianza di un migrante dirigente sindacale

di agrumi che vengono prodotti in Italia.

Chi era Soumaila Sacko?

Soumaila Sacko, 29 anni proveniente dal Mali, lottava da anni come sindacalista dell’USB (Unione Sindacale di Base) per i diritti e la dignità dei braccianti nella Piana di Gioia Tauro. È stato ucciso il 2 giugno scorso mentre aiutava due suoi compagni a recuperare dei vecchi pezzi di lamiera abbandonati per costruire una baracca.

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A Carmagnola si perpetua da 6 anni un’iniziativa che ha qualcosa di speciale sia per il numero di persone che aggrega, circa 400 ad ogni incontro, sia per l’occasione di apprendimento congiunto che offre a genitori e insegnanti insieme. Cosa rara! Le “Serate formazione” sono organizzate da un minuscolo team (rappresentativo dei tre istituti comprensivi della città) che sceglie con cura i formatori, osservandone l’impegno nell’ambito dell’età evolutiva. Nell’incontro di aprile gli organizzatori hanno invitato il Dottor Matteo Lancini della Fondazione Minotauro di Milano, docente di psicologia all’Università Bicocca. Brillante e coinvolgente, Lancini ha condotto il pubblico avanti e indietro nel tempo, facendolo saltellare tra i “modi” utilizzati dalle famiglie 50 anni fa da quelle di oggi. Per tutta la serata le risate per gli aneddoti raccontati hanno accompagnato la riflessione e la profonda analisi del professore che ci ha aiutato a capire come mai gli adulti si sentano così spiazzati di fronte ai bambini moderni, in mille occasioni, quando ad esempio essi

segue pag. 8 FABBRICA delle IDEE

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Alternanza Scuola Lavoro

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De Andrè

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Biblioteca civica con la collaborazione degli studenti del liceo “Arimondi –Eula” di Racconigi

LETTURE SOTTO L’ALBERO… IN NOTTURNA

(attività riservata ai bambini fino agli undici anni) Venerdì 20 luglio, alle ore 21,00, nei giardini antistanti la biblioteca civica, divertenti giochi di gruppo dedicati ai bambini, cui seguiranno letture animate nei locali della biblioteca stessa, per l’occasione aperta al pubblico. In concomitanza, apertura straordinaria del Museo della Seta, con ingresso gratuito. Vi attendiamo numerosi per una serata tra allegria e rilassanti letture!

Un piccolo nobile gesto Pubblichiamo l’appello che alcuni maturandi del liceo classico di Faenza hanno consegnato insieme al tema di italiano: "Io sottoscritto, in riferimento alla situazione delle persone migranti, pretendo il rispetto dell'articolo 2 della Costituzione, che recita: la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Chiedo che questo mio messaggio sia recapitato al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, al ministro degli Interni e al ministro dell'Istruzione”.

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE

Nel precedente mese di giugno ci siamo occupati di Manicomi in riferimento al quarantennale della legge Basaglia ed in questo numero ricordiamo Cantoregi che chiude la sua ormai storica rassegna teatrale all’interno del Manicomio racconigese. A partire dall’editoriale passando per gli articoli all’interno del giornale, anche il “racconto fotografico” narra questa bellissima esperienza, attraverso le immagini che hanno segnato in questi anni l’avventura della FABBRICA DELLE IDEE. Le didascalie delle fotografie (questa volta di vari fotografi) sono i titoli di alcuni significativi spettacoli allestiti da Cantoregi e che si sono rappresentati in queste rassegne. Le foto sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera.

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Un battesimo inatteso di Luciano Fico

Il cielo era luminoso e bello solo qualche settimana prima; ora è grigio, lontano e freddo. Lorella si guarda le mani, a lungo, le riguarda, girandole in tutte le posizioni possibili. Niente. Non le riesce proprio a riconoscere! Hanno perso familiarità, sono estranee e mute: la pelle è pallida ed i segni sulla pelle le raccontano una storia sconosciuta, che, per altro, non le interessa neanche un po’. Ancora il telefono che la avvisa di un qualche messaggio, la vuole richiamare all’incontro con altri, ma lei non ci fa neppure caso, mentre sul fondo dell’anima sente nascere un fastidio sottile, ma preciso: “Non rompetemi il cazzo!!!” Sono ormai quasi due mesi che non vede nessuno e nessun le manca per davvero. Troppo faticoso lasciarsi incontrare, troppo minaccioso comunicare in qualche maniera, molto meglio il silenzio della sua camera e quella densa atmosfera di sospensione. Non aspetta nulla, non fugge nulla, non desidera più…da tempo… Il tempo è perfettamente immobile; come l’alcool nei barattoli, conserva i ricordi come frutta ormai morta, ma che ancora può essere assaporata. I ricordi riportano continuamente Lorella in un passato, che non può più cambiare, ma che continua a vivere nella colpa e nel rimpianto. Ecco l’unica sua attività di questi tempi: riandare con la mente a quel giorno in cui lui l’ha lasciata, ripercorrere i passi che l’hanno portata a farsi licenziare e poi anche a perdere la tutela della sua piccola Ramona. Passi sempre più decisamente orientati alla fine della sua vita. Cosa può desiderare ora questa donna, se non morire, se non spegnersi in un buio che promette al-

Cantoregi: 2015.A bitter Story

meno la perfetta amnesia: game over…finito tutto…la pace, forse… Ma Lorella è stanca, maledettamente stanca e ci vuole energia, mica solo coraggio, per riuscire a farsi fuori! Per ora si accontenta di succhiare un poco di conforto dall’immaginare la sua morte, il modo preciso in cui andarsene, senza avere la forza di agire in alcun modo. Per un attimo si fa prendere dal pensiero del suo funerale, si racconta chi ci sarà e cosa diranno di lei, ma subito si fa pena da sola per quella banale indulgenza all’autocompiacimento e le sale una rabbia mista a vergogna. Si raggomitola sul letto e sente quell’odore dolciastro: è il suo odore, da troppi giorni non si lava più… Le fa schifo quella puzza di carne sporca e si ritrova a strapparsi di dosso i vestiti per andare nuda in bagno. Ora è sotto l’acqua calda che le cade sulla nuca per poi scendere su tutto il corpo: il capo è leggermente chino, quasi a ricevere una benedizione. Passano i minuti e il calore dell’acqua le entra dentro, piacevolmente… Ora le scappa da ridere, mentre rilascia ogni controllo e sente quel getto ancora più caldo dell’acqua che le scende tra le cosce, giù fino alle caviglie. In quell’attimo di abbandono al piacere antico di farsela addosso, senza più controllo né vergogna, Lorella cessa di essere la donna di quasi cinquant’anni carica di problemi e fallimenti. L’urina calda ed innocente lava via ogni suo peccato. All’acqua e all’urina si aggiungono ora le lacrime: ha sentito di nuovo la vita scorrere, insensata e bellissima, e ha voglia di uscire da quella doccia, da quella casa, dal suo passato…


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LA MONARCHIA È FINITA, ANDATE IN PACE Per valorizzare al meglio i nostri beni, Castello e Parco, ci vuole confronto segue dalla prima

È giusto cominciare col dire che da queste vicende possiamo comunque cogliere anche dei segnali positivi che ci permettono di guardare con fiducia al futuro del nostro Castello. Intanto abbiamo un sindaco ben consapevole dell'importanza del Castello per quello che ha da essere il ruolo dello stesso nello sviluppo del nostro territorio – di questo riferiamo a parte – ed abbiamo un Sovrintendente al Castello, il dottor Riccardo Vitale, che ci dà piena garanzia di apertura e disponibilità nella collaborazione con l’Ente Locale. E c’è la dottoressa Parigi che sembra aver ben compreso quelle che sono le necessità del territorio in rapporto all'utilizzo di un bene che non può essere gestito secondo modalità che si rifanno, per quel che concerne la fruizione, ad un vecchio modo di intendere il “Museo”. Già mesi or sono, in una serie di articoli, insonnia si era occupato delle iniziative in corso da parte di un neonato Comitato Cittadino di collaborazione con il Sovrintendente. In quegli articoli, oltre ad informare sulle attività che si potevano progettare, tessevamo gli elogi alla gestione Vitale, per la sua volontà di operare un rilancio delle attività all’interno della ex Residenza Sabauda, talmente evidente che dopo poco non fu più necessaria l’esistenza dello stesso Comitato. La nuova gestione, infatti, stava portando un rinnovato interesse turistico per la nostra città. Ora veniamo a conoscere che la nostra ex Residenza Sabauda ha una nuova testa… coronata che decide, e che noi popolo non abbiamo alcuna voce in capitolo su di un bene che sembra essere diventato un suo patrimonio privato. La nuova Regina sembra essere la dottoressa Ilaria Ivaldi.

Guardando una cartina di Racconigi è facile accorgersi che Castello e Parco - senza tenere conto di tutte le ex cascine reali, oggi del tutto private - occupano più o meno pari superficie rispetto al territorio cittadino; questa constatazione dovrebbe far capire a tutti che noi cittadini racconigesi, Amministrazione Pubblica ed Enti operanti sul territorio, non possiamo più essere tagliati fuori da qualunque scelta che riguardi il Castello ed il Parco e questo a partire dal 2 giugno 1946, quando la popolazione italiana scelse di trasformare l’Italia da Monarchia a Repubblica. Non vogliamo più né re né regine, fino ad un nuovo referendum, se mai dovesse esserci. Il Castello ed il Parco sono nostri. Vogliamo che gli interessi di questo bene prezioso coincidano con i nostri interessi e vogliamo che le attività che vi si svolgono portino ad incrementare il nostro benessere e che ci rendano fieri di vivere in questa città. Forse è il momento che quel Comitato che era divenuto inutile, riprenda ad operare, questa volta avendo come alleati Riccardo Vitale, Valerio Oderda, Mario Turetta, Antonella Parigi. Questo è il nostro augurio. Ogni Amministrazione, Ente, Organismo, per ragioni diverse, può avere validissimi motivi per prendere decisioni anche in contrasto con le decisioni di altri, ma queste scelte vanno spiegate ed è necessario confrontarsi. Una diversa interpretazione del ruolo di amministratore, commissario, direttore o altro, è sicuramente sbagliata: i problemi che costoro trattano, le loro decisioni, ci riguardano, per questo abbiamo il diritto di essere informati sul perché delle scelte. Non deve essere possibile nascon-

Cantoregi: 2012-La crociata dei bambini

dersi dietro il paravento della burocrazia; un Paese, più grande è, più ha bisogno di regole per poter funzionare bene, ma queste non possono essere usate per l’immobilità o addirittura come ostacolo alle iniziative. La guerra tra gli organismi

è l’esatto contrario del confronto. Il nostro giornale nei prossimi mesi si occuperà di mettere il naso, profondamente, in quelle che sembrano essere incongruenze gravi nella gestione dall’alto del NOSTRO patrimonio.

Ci ha detto il Sindaco Oderda “Il Polo Museale ha il compito di costituire una sorta di raccordo con gli Enti locali, con le Amministrazioni e con il mondo esterno al Polo. Poi ci sono i direttori che hanno il compito di gestire il singolo insediamento. ”

“Credo che il dialogo debba essere alla radice di qualsiasi tipo di sviluppo di attività; ma, ad oggi, nonostante innumerevoli tentativi degli ultimi due mesi per stabilire un contatto e sederci attorno a un tavolo a discutere le oggettive difficoltà che può avere un Direttore del Polo Museale, non ho avuto la possibilità di parlare con la dottoressa Ilaria Ivaldi. Ho visto solo suoi atti unilaterali, arrivati nel momento in cui abbiamo fatto delle richieste di collaborazione. ” “La nostra proposta consiste nel formalizzare un accordo di valorizzazione aperto, che preveda delle date per eventi da tenersi nel Parco sulla base di accordi preordinati. Ne abbiamo bisogno proprio per la posizione strategica che ha il Castello nel tessuto cittadino. La valorizzazione ha da essere una valorizzazione comune per iniziative da fare insieme in modo programmato. È interesse reciproco. Il Comune è pronto ad assumersi tutte le responsabilità che gli competono, ma io non so se vale

la stessa cosa per la direttrice del Polo. Devo registrare una assenza di dialogo che non va bene.” “Questo dell’assenza di rapporto con il Direttore del Polo Museale, è un problema che non abbiamo solo noi, ma che è proprio di tutti i Musei del Polo, ma noi rischiamo davvero di interrompere un momento che dopo tante sofferenze si presenta come positivo: abbiamo un turismo, sì giornaliero, ma di qualità, di gente che viene e si ferma l’intera giornata, non più legato solo alle scuole o a grandi spettacoli. Un turismo molto prossimo alla città, grazie anche al direttore, l’architetto Vitale, persona di grande responsabilità, molto disponibile, che ha le idee e la volontà di portarle avanti e con cui è difficile non trovare un accordo pur nella distinzione dei reciproci ruoli.” “Noi sentiamo una responsabilità, quella di far diventare il Castello di Racconigi, il Castello della Provincia, facendo atterrare qui più iniziative possibili ed è uno sforzo che stiamo facendo… Per questo abbiamo aperto un dialogo con la Direzione Nazionale dei Musei e scritto all’Assessore Regionale al Turismo Antonella Parigi esponendole con chiarezza le nostre difficoltà.”

Cantoregi: 2016-La vita non è che un'ombra che cammina


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LUDOPATIE

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Come riconoscere la patologia del gioco d’azzardo a cura dell’Associazione “Punta su di te 2.0”

Il gioco d’azzardo patologico (gap) è un problema che si presenta in modo subdolo e complesso. Spesso chi è affetto da questo tipo di disturbo non è in grado di chiedere aiuto; in buona parte dei casi è il coniuge, un figlio, un genitore o altro parente o persona vicina alla famiglia a cercare informazioni, chiedere supporto ed in generale ad attivarsi per preoccupazione o per disperazione. Come cogliere i primi segnali? Possono sorgere sospetti più o meno fondati o esservi ragionevoli certezze che il problema sia quello del gioco, anche se tendenzialmente i giocatori negano o minimizzano. Vi sono campanelli d’allarme aspecifici e specifici che permettono di porre il sospetto della presenza di una modalità di gioco problematica/ patologica; riconoscere i primi segnali può essere un modo di affrontare il problema prima che le perdite economiche e la cronicizzazione della malattia rendano la situazione drammatica. Tra le caratteristiche aspecifiche si possono osservare: 1) alterazioni del tono dell’umore (depressione, instabilità emotiva) 2) irrequietezza, irritabilità, ansia, insonnia 3) comportamenti anomali rispetto al passato (uscite in orari anomali, vaghezza nel dare spiegazioni, utilizzo della rete eccessivo e in contesti appartati…) Inoltre si possono osservare caratteristiche più specifiche delle problematiche legate al gioco:

1) aumento della frequenza delle giocate e della spesa legata a tale comportamento 2) irrequietezza e irritabilità quando non può giocare e quando si affronta l’argomento 3) tentativi di ridurre o interrompere l’attività del gioco che non portano a risultati 4) eccessivo coinvolgimento nel gioco d’azzardo (pensieri perennemente rivolti al gioco, a pregresse esperienze di gioco, a come trovare denaro per giocare) 5) bugie per mascherare il proprio coinvolgimento nel gioco 6) difficoltà economiche e spese non giustificabili 7) richieste incongrue di denaro, non solo a parenti ma anche ad amici e conoscenti adducendo scuse poco credibili 8) indebitamento con banche, finanziarie, nei casi più complessi, usura 9) difficoltà lavorative, scarso rendimento, licenziamenti, utilizzo non giustificabile dell’eventuale tfr, frequenti cambi di attività lavorativa e cessione del quinto 10) illeciti per procurarsi denaro o beni Cosa fare in caso di sospetto? Se si ha anche solo il sospetto che un proprio familiare giochi in maniera problematica è consigliabile osservarne attentamente i comportamenti, prendere nota delle spese effettuate, essere attenti alle richieste di denaro ingiustificate, non elargire denaro contante, controllare denaro nel portafogli, estratti conto bancari e spese con carte di credito (attenzione

alle piccole spese/pagamenti bancomat ripetute in brevi lassi di tempo), non lasciare denaro in casa in vista, controllare oggetti di valore (orologi, gioielli..). Inoltre è bene non assumersi compiti e responsabilità della persona affetta, non giustificare di fronte ad altri ammanchi, ritardi, inadempienze, conseguenze legate al gioco: tali modalità attuate con fine protettivo permettono il procrastinarsi di una condizione patologica e l’aggravamento della situazione. Rivolgersi a personale specializzato che possa fornire indicazioni e dare informazioni dettagliate. Una delle finalità del progetto “punta su di te 2.0” è proprio quella di facilitare l’accesso ai servizi di cura creando una rete e diversi canali di accesso (sito, sportelli telefonici, sportello mobile) perché chi ha dubbi in proposito possa trovare ascolto e risposte utili ad affrontare il problema. I servizi specializzati nel trattamento del disturbo da gioco d’azzardo sono i Serd territoriali, dove un’equipe multidisciplinare composta da psicologi, medici, educatori assistenti sociali e infermieri valuterà la situazione e proporrà al giocatore ed alla famiglia un percorso di cura appropriato. Come in tutte le dipendenze è indicato il coinvolgimento della famiglia o della coppia. L’accesso al Serd è gratuito e diretto, non sono richiesti il pagamento del ticket né la richiesta del Medico curante. Possono accedere tutti i cittadini, anche minorenni.

La Fabbrica delle idee quest’anno cessa la propria attività

Grazie di cuore, a tutti di Bruna Paschetta

Si dice spesso che per apprezzare il valore di cose o persone che ci vengono date, bisogna arrivare a perderle. È certamente un luogo comune, ma è ciò che sta accadendo al progetto teatrale - La Fabbrica delle idee – che da quest’anno cessa la propria attività, ideata e costruita quasi una ventina di anni fa da una ‘famiglia culturale’ di belle menti che già operavano nella compagnia teatrale CANTOREGI originaria di Carignano. Il luogo scelto per questa attività è stato l'ex-manicomio provinciale di Racconigi che divenne il sito ideale per rappresentare e narrare in scena quanto di più diffuso e istituzionalmente ignorato appartiene da sempre alla condizione umana. Vennero così presentati, ogni estate per diciassette anni nel cuore del Parco Neuro spettacoli che restituivano dignità di rappresentazione alla quotidianità individuale, ma anche storie di vi-

cende o personaggi messi a nudo nella loro collocazione storica. ‘La Fabbrica delle idee’ è stata anche una rassegna delle proposte teatrali di singoli attori, più innovativi, provenienti dal circuito nazionale, e non solo. Spettacoli spesso molto belli, alcuni altri anche sconcertanti; ma, mai banali. È soprattutto Vincenzo Gamna che ha reinventato il Neuro: da luogo di costrizione, di emarginazione, a luogo di riflessione e creatività: appunto, La Fabbrica delle idee. È stato un onore per la città di Racconigi ricevere questa speciale ‘promozione’. A questi appuntamenti estivi, la presenza tra il pubblico di spettatori racconigesi è sempre stata molto ridotta; più numerosi erano coloro, spesso assai giovani, che venivano da fuori. Verrebbe da farsi qualche domanda su questo aspetto; ma quali che siano le risposte va comunque constatato

che tra i racconigesi presenti non si sono visti i giovani studenti, il cui eventuale ingresso agli spettacoli era peraltro agevolato dalla gratuità, semplicemente autocertificandosi appunto come studenti all'ingresso. A mio avviso anche questa assenza è stata una bella opportunità, persa anch’essa, di sperimentare, in diretta, quanto si studia nei percorsi scolastici, spesso poco agevolati dai tradizionali apparati didattici. È stato proprio dalle pagine di Insonnia che, per contribuire a cambiare questa situazione, mi sono permessa di abbozzare una piccola proposta, oserei dire di mediazione culturale. Consisteva nel fatto che qualche insegnante dei locali Istituti Superiori avrebbe potuto individuare nella scaletta della Rassegna particolari spettacoli da proporre in visione a gruppi di ragazzi, adeguatamente preparati e motivati, ai quali si potevano riconoscere dei

corrispondenti ‘crediti formativi’. E potevano essere ben altre ancora le proposte provenienti dagli stessi docenti. Ma non ci sono state. Anche qui, una bella opportunità: persa, però… Mi viene spontaneo chiudere questa chiacchierata con un altro luogo comune, secondo il quale ‘le cose belle durano poco’; ma di mio aggiungo che nel caso della Rassegna teatrale - La Fabbrica delle idee - poteva andare diversamente. E proprio in ultimo, voglio esprimere e credo non solo a nome mio, un GRAZIE di cuore a tutta questa bella e brava Compagnia: a partire da chi ogni serata staccava i biglietti; da chi, tra un temporale e l’altro, allestiva le scene; da chi organizzava e gestiva le cose amministrative; fino a chi progettava, produceva o sceglieva gli spettacoli. GRAZIE di cuore, a tutti.


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“Noi la pacchia non l’abbiamo mai conosciuta” Testimonianza di un migrante dirigente sindacale segue dalla prima

Questi agrumi che arrivano nei nostri mercati, sui banchi, nei supermercati attraverso la filiera della grande distribuzione, sono raccolti da lavoratori sfruttati e schiavizzati che si trovano in una sorta di gabbia legislativa: questa gabbia legislativa ha un nome, si chiama Bossi-Fini. È una legge che non tutela e non aiuta l’attività sindacale che Soumaila ha portato avanti insieme a noi in questa piana, come in altri territori dell’Italia, non solo nel sud ma anche nel nord e nel centro Italia; ci rende invece vulnerabili, ricattabili, perché sottomette i lavoratori alla volontà dei padroni che il più delle volte impongono contratti da fame, contratti che prevedono il lavoro dall’alba al tramonto mentre le ore che vengono riconosciute sono meno di quelle realmente lavorate. Questo per fare in modo da non rendere possibile il raggiungimento delle giornate necessarie per la disoccupazione agricola. Inoltre c’è l’elevato numero degli infortuni. Insomma è una guerra

al lavoro! Noi chiediamo per i lavoratori, indipendentemente se bianchi, gialli, rossi, uguale lavoro, uguale salario per tutti! Questo Soumaila ha sostenuto insieme a noi e questo è quello che noi continueremo a sostenere e a fare attraverso l’USB!». Ospite a Propaganda Live il programma di Diego Bianchi in onda su La7, Aboubakar Soumahoro ha parlato di discriminazione, delle condizioni di schiavitù in cui i braccianti, tanto stranieri quanto italiani, sono costretti a lavorare e della mancanza di una vera sinistra in Italia. «Il governo deve capire una cosa, che lì dove le persone vivono in miseria, i diritti dell’uomo sono violati, indipendentemente dal pezzo di carta che hanno in tasca, che siano rossi gialli o bianchi. Quando il governo si riunisce per i lavori del Consiglio dei ministri e vede delle arance deve chiedersi: in quale contesto vengono prodotte?». «Bisogna chiedersi se le condi-

zioni di lavoro nella grande filiera della distribuzione organizzata sono o no di schiavitù». «Noi viviamo ormai da anni in un contesto in cui si è giunti alla “razializzazione” attraverso lo sfruttamento lavorativo e culturale. Il diverso è visto come qualcosa di inferiore, il migrante è povertà, precarietà e marginalità». Sempre affrontando il problema della discriminazione razziale in ambito tanto culturale quanto politico, Soumahoro ha detto che «è il frutto di un pensiero che poi si esprime attraverso le norme approvate dal Parlamento e che hanno un nome, Bossi Fini». Aboubakar Soumahoro non risparmia nemmeno la sinistra:

Cantoregi: Sono incazzato nero

Cantoregi: Sono incazzato nero

Cantoregi: Uccidere non Uccidere

«La sinistra va ricostruita a partire dai luoghi delle contraddizioni sociali, deve mettere insieme soggetti diversi che non devono entrare in contrasto tra loro, ma devono essere accomunati da bisogni comuni.” Uno sguardo anche alle periferie, luoghi da cui la sinistra si è da tempo allontanata: «Bisogna andare dalle periferie alle aree rurali, dal centro fino ai luoghi sperduti perché fino a quando un lavoratore o un sindacalista non viene fucilato i riflettori in quei posti non si accendono». Soumahoro commenta anche le parole del ministro dell’Interno Salvini sui migranti: «Non abbiamo bisogno di sentirci dire ‘è finita la pacchia’, noi non l’abbiamo mai conosciuta».


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Fabrizio De Andrè

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LA BUONA NOVELLA a cura di Guido Piovano

A partire da questo numero di Insonnia, vi presento “La Buona Novella” di Fabrizio De Andrè, accompagnando i singoli testi con un breve commento. L’album, allora dicevamo l’LP, pubblicato nell'autunno del 1970, si ispira alla lettura di alcuni Vangeli apocrifi e in particolare al Protovangelo di Giacomo e al Vangelo arabo dell'infanzia e rappresenta per me il momento più alto del De André poeta e cantautore. È diviso in due parti: il lato A narra la vita di Maria e Giuseppe prima della nascita di Gesù; il lato B narra gli eventi della passione e morte di Gesù. Mi ha sempre colpito l’umanità e la tenerezza di figure come Maria, Giuseppe e dello stesso Gesù, che siamo abituati a vedere rappresentati in un alone di sacralità che ce li rende più distanti. E mi sorprendono figure minori come i ladroni Tito e Dimaco, crocefissi insieme a Gesù, nella cui presenza trova evidenza la vocazione umana e terrena, provocatoria e rivoluzionaria del Gesù storico nella Palestina di duemila anni fa. I vangeli apocrifi costituiscono una bella lettura. Ebbe a dire De Andrè: «Quando scrissi "La Buona Novella" era il 1969. Si era quindi in piena lotta studentesca e le persone meno attente, compagni, amici, coetanei, considerarono quel disco come anacronistico. Mi dicevano: "Ma come? Noi andiamo a lottare nelle università e fuori dalle università contro abusi e soprusi e tu invece ci vieni a raccon-

tare la storia - che peraltro già conosciamo - della predicazione di Gesù Cristo". Non avevano capito

che in effetti La Buona Novella era un’allegoria che si precisava nel paragone fra le istanze migliori e più sensate della rivolta del '68 e istanze da un punto di vista spirituale sicuramente più elevate, ma da un punto di vista etico-sociale direi molto simili,

che un signore 1969 anni prima aveva fatto contro gli abusi del potere, contro i soprusi dell'autorità, in nome di un egalitarismo e di una fratellanza universali. Si chiamava Gesù di Nazaret e secondo me è stato ed è rimasto il più grande rivoluzionario di tutti i tempi. […] Ho preso spunto dagli evangelisti cosiddetti apocrifi. Apocrifo vuol dire falso, in effetti era gente vissuta: era viva, in carne ed ossa. Solo che la Chiesa mal sopportava, fino a qualche secolo fa, che fossero altre persone non di confessione cristiana ad occuparsi, appunto, di Gesù. Si tratta di scrittori, di storici, arabi, armeni, bizantini, greci, che nell'accostarsi all'argomento, nel parlare della figura di Gesù di Nazaret, lo hanno fatto direi addirittura con deferenza, con grande rispetto. Tant'è vero che ancora oggi proprio il mondo dell'Islam continua a considerare, subito dopo Maometto, e prima ancora di Abramo, Gesù di Nazaret il più grande profeta mai esistito. Laddove invece il mondo cattolico continua a considerare Maometto qualcosa di meno di un cialtrone. E questo direi che è un punto a favore dell'Islam, quello serio, non facciamoci delle idee sbagliate». Ancora De André: «Avevo urgenza di salvare il cristianesimo dal cattolicesimo».

L'INFANZIA DI MARIA Coro Laudate dominum (3 volte) Voce Forse fu all'ora terza forse alla nona cucito qualche giglio sul vestitino alla buona forse fu per bisogno o peggio per buon esempio presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio. Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete a consolare il pianto a calmarti la sete dicono fosse un angelo a raccontarti le ore a misurarti il tempo fra cibo e Signore a misurarti il tempo fra cibo e Signore. Coro Scioglie la neve al sole ritorna l'ac-

qua al mare il vento e la stagione ritornano a giocare ma non per te bambina che nel tempio resti china ma non per te bambina che nel tempio resti china. Voce E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio avevi dodici anni e nessuna colpa addosso ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio la tua verginità che si tingeva di rosso la tua verginità che si tingeva di rosso. E si vuol dar marito a chi non lo voleva si batte la campagna si fruga la via popolo senza moglie uomini d'ogni leva del corpo d'una vergine si fa lotteria del corpo d'una vergine si fa lotteria.

Il commento Nel Protovangelo di Giacomo, Maria è concepita dopo un lungo periodo di sterilità dei genitori Gioacchino e Anna. Per ringraziare Dio del miracolo, la piccola Maria viene portata al Tempio -“presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio”- dove vivrà un'infanzia da segregata, vittima del potere religioso. L'impurità delle prime mestruazioni -"per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso"- provoca poi il suo allontanamento perché non contamini il tempio del Signore, lei, una ragazzina che sta crescendo per diventare donna -“avevi dodici anni e nessuna colpa addosso”-. Quindi, la scelta dei sacerdoti di farla sposare, tirando a sorte -“del corpo di

Coro Sciogli i capelli e guarda già vengono... Guardala guardala scioglie i capelli sono più lunghi dei nostri mantelli guarda la pelle viene la nebbia risplende il sole come la neve guarda le mani guardale il viso sembra venuta dal paradiso guarda le forme la proporzione sembra venuta per tentazione. Guardala guardala scioglie i capelli sono più lunghi dei nostri mantelli guarda le mani guardale il viso sembra venuta dal paradiso guardale gli occhi guarda i capelli guarda le mani guardale il collo guarda la carne guarda il suo viso guarda i capelli del paradiso guarda la carne guardale il collo sembra venuta dal suo sorriso guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso. Voce E fosti tu Giuseppe un reduce del

passato falegname per forza padre per professione a vederti assegnata da un destino sgarbato una figlia di più senza alcuna ragione una bimba su cui non avevi intenzione. E mentre te ne vai stanco d'essere stanco la bambina per mano la tristezza di fianco pensi "Quei sacerdoti la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa". Secondo l'ordine ricevuto Giuseppe portò la bambina nella propria casa e subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea. Rimase lontano quattro anni.

una vergine si fa lotteria”- con Giuseppe il falegname, un vedovo buono, a sua volta uno tra gli ultimi, un vecchio, -"la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una rosa"- che la accetta per dovere -“una bimba su cui non avevi intenzione”- in contrasto con l'invadente coro dei vedovi libidinosi -“guardala, guardala”-, invito a guardare le parti del corpo di Maria e raffigurazione del profondo disagio di chi viene esposto come oggetto. Giuseppe, migrante in cerca di lavoro fuori dalla Giudea, deve poi lasciare Maria per quattro anni -“il deserto, una distesa di segatura”, metafora del mestiere di Giuseppe - come vedremo la prossima volta ne Il ritorno di Giuseppe. Ora, per assaporare appieno il lavoro di De Andrè non vi resta che ascoltare “La Buona Novella”; purtroppo non lo potrete fare da queste pagine!


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UN TEMPO PER OGNI COSA

Aikido: un tempo per praticare e un tempo per osservare di Alessia Cerchia

Ho scritto molto, su questa rivista, sulla mia pratica di aikido. Oggi mi trovo a scrivere sulla mia “non pratica”. Sì, perché da almeno quattro anni a questa parte le mie occasioni di salire su un tatami si sono ridotte sempre di più, fino al punto di non sapere più se e quando riuscirò a rimetterci i piedi sopra, in modo stabile. Lo dico con un po’ di amarezza nel cuore, perché l’Aikido e le arti marziali sono parte integrante della mia vita. Sono molte le riflessioni che in questo periodo ruotano intorno all’assenza di pratica. Una delle conclusioni a cui sono giunta è sicuramente che l’aikido e i miei compagni si tengono per sé una parte della gioia che mi illuminava il cuore ogni volta che avevo l’occasione di “giocare” con loro. L’aikido mi ha sempre chiesto tantissimo, si è preso tantissimo, ma mi ha anche donato tantissimo. Amici, famiglia, benessere. Gioia. Le cause che hanno portato ad una riduzione della mia pratica, tuttavia, sono altrettanto profonde: il desiderio di passare tutto il tempo possibile con mio figlio, nei momenti più teneri e divertenti della sua crescita, la famiglia che chiede attenzione, il lavoro che – proprio come un bambino – mi reclama a gran voce per poter essere seguito. Nuove e vecchie responsabilità, nuove e vecchie avventure.

Non sono triste. La consapevolezza di non poter vivere bene senza calcare un tatami mi dà la sicurezza che presto o tardi troverò il modo di tornarci, con più entusiasmo ed energia di prima. La consapevolezza dell’importanza di ciò che abbiamo e rischiamo di perdere è un potente motore di cambiamento. Occorre solo scegliere i momenti giusti per combattere e quelli per attendere pazientemente. Mi tornano così in mente, tra i pensieri sparsi che vi si affollano, le parole sagge dell’Ecclesiaste: “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci”. Io aggiungerei, indegnamente, “c’è un tempo per praticare e un tempo per osservare”. Questo è il mio tempo per osservare,

per continuare a lottare per le mie discipline ma su altri terreni, diversi dal tatami, forse anche più difficili. In questi cicli e ricicli della mia storia personale ho però avuto modo di vedere, con piacere, crescere i frutti di ciò che ho seminato. Tra questi vorrei citare un incontro recente con alcuni membri della comunità di Racconigi, lettori di Insonnia. Parlo di giovani avvocati, ma con sogni ben più grandi, che ho avuto il piacere di seguire durante i loro anni di formazione. Anni in cui parte del mio tempo sottratto alla pratica è stato investito proprio all’Università, una delle altre mie passioni. Ri-

vederli a distanza di tempo, come giovani colleghi pieni di entusiasmo e di energia mi ha davvero emozionato. Probabilmente loro non lo sanno, ma fanno parte della mia storia (e in qualche modo io faccio parte della loro) e danno un senso a ciò che faccio. Fanno parte della mia pratica di aikido e forse, un giorno, avrò anche l’occasione di spiegare loro in che modo. Fino a quel momento, continueremo a seguire il ciclo del tempo e della vita, ricordando che le onde del mare si allontanano dalla spiaggia per poi tornare ogni volta da dove sono partite.

Cantoregi: 2007 - Il peso delle stelle

A Cesare quel che è di Cesare, a dio quel che è di dio di Zanza Rino

Non ti scandalizzare, lettore, per la minuscola. Se hai la pazienza di leggere, capirai. Succedono eventi strani a Racconigi. Succede che il cancello di accesso al cortile sud del castello resti inspiegabilmente chiuso con i catenacci di fronte a 1.100 partecipanti alla StraRacconigi. Succede che questo avvenga anche se l’amministrazione comunale, la direzione del castello, le associazioni cittadine sostengono la manifestazione che ormai da diversi anni attira tante persone. Succede che un sindaco arrabbia-

to minacci di emanare una ordinanza a tutela dell’ordine pubblico se il cancello non viene aperto. Succede che la minaccia inneschi misteriosi conciliabili telefonici tra il castello e le sacre stanze dove si radica il potere. Succede che i catenacci cadano e il cancello resti chiuso. Succede che il cancello senza catenacci non resista alla pressione istituzionale e popolare. Succede che finalmente la manifestazione possa avere corso, come tutti gli altri anni, con soddisfazione dei partecipanti ma non senza malumori. Succede che di questa incredibile vicenda scarso sia l’eco sulla stampa locale, forse perché sfuggono le sue implicazioni. Roba vecchia ormai. Ma succede

che per la Maratona Reale le cose non vadano meglio, i cancelli restino serrati per i maratoneti e questa volta il malcontento generale trovi voce sulla stampa locale e non solo. E cosa c’entrano Cesare e dio (minuscolo)? A Cesare quel che è di Cesare, a Dio (maiuscolo) quello che è di Dio, è stato detto. Sig. sindaco Valerio, il Cesare di turno. Ha fatto quello che andava fatto e lo ha fatto bene, ha fatto sentire il peso della volontà della comunità che rappresenta e ne merita l’apprezzamento. Per chi invece Dio non è, ma forse si sente potente come un dio (minuscolo) nell’esercizio della sua imperscrutabile volontà, si fatica a riconoscere analogo apprezzamento. Ma a tutto c’è rimedio. Sarebbe

bello se volesse discendere dalla sua scrivania per spiegare alle istituzioni e alla comunità racconigese le ragioni per le quali i cancelli devono restare chiusi ad eventi così importanti per il territorio, moltiplicatore di notorietà e fonte di entrata significativa per questo nostro bellissimo sito. Chissà, se ci fossero ragioni ragionevoli, sarebbe bello conoscerle. Oppure, a dirla con le parole del sommo poeta “Vuolsi così colà dove si puote, e più non dimandare”? Per questo siamo lieti di offrire uno spazio di questo giornale a sua signoria la direttrice del polo museale Irene Ivaldi. Se vorrà degnarsi di scendere tra noi.


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ADULTI AUTOREVOLI AL TEMPO DI INTERNET

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Come sono cambiati i sistemi familiari e i metodi educativi in 50 anni segue dalla prima

riescono a interrompere la più severa delle sgridate di un maestro per dire a un compagnetto che gli è caduto il tappo della penna e si buttano tutti a quattro zampe per raccoglierlo e restituirglielo. A volte gli adulti credono che molto dipenda da internet, ma la cosa pare essere assai più complessa. DAL PADRE SIMBOLICO ALLA MADRE VIRTUALE Prima la famiglia era organizzata intorno all'idea che il bambino fosse un soggetto da controllare. Apparentemente innocente, ma arido, il piccolo doveva essere guidato a crescere e veniva “registrato" secondo il modello normativo condiviso dalla famiglia, come fosse una sorta di tabula rasa. Se non obbediva alle regole, c'era uno strumento eccezionale: il ritiro della relazione. Insomma, bastava uno sguardo del padre o della madre e il piccolo capiva. Era il sistema educativo della colpa, del super-io, quello insomma che ha rovinato la vita a molti di noi perché trasmetteva l'idea che è più importante l'oggetto, ovvero l'altro, che non ciò che desideri tu. Questo modello educativo è stato chiamato “padre simbolico”: questa figura ce l'avevi dentro; anche quando non era presente, sapevi esattamente cosa fare. Avresti, ad esempio, avuto la smania di uscire, di oltrepassare quella soglia e sbattertene dei compiti per correre col motorino dagli amici… e ci provavi anche, ma qualcosa dentro ti frenava "Prima il dovere poi il piacere!". Così, anche se il padre non era presente, tornavi a sederti al tavolino e ultimavi il tuo compito. In 50 anni cambia completamente il contesto e cambiano i modelli educativi: dal “padre simbolico” passiamo alla "madre virtuale". Oggi si va incontro al bambino prima che egli arrivi, lo si fotografa nel grembo materno con l'ecografia, si comunica con lui attraverso le pareti uterine con la musica, tutti pronti ad attendere la creatura che arriva e ... quando viene al mondo, il pargolo non viene di certo considerato un soggetto da soggiogare e da inquadrare. Tutt'altro! I genitori lo guardano pieni di aspettative ed è come se gli dicessero: "Benvenuto in questa equipe chiamata famiglia! Crescerai in questa organizzazione così composta: noi, papà e mamma, andremo a lavorare, saremo lontani, ma in realtà staremo sempre con te; tu sarai accudito da un’agenzia che abbiamo creato apposta per te; si chiama nido,

scuola materna... Noi saremo presenti a distanza, e lo saremo molto più di quanto erano vicini a noi i nostri genitori, sempre presenti fisicamente, ma impegnati a fare altro". Così il bambino inizia molto presto a vivere con i suoi pari, ma monitorato in tutto dalla "mamma che non vede ma c’è”. La distanza fisica diventa perciò vicinanza virtuale. Il primo aspetto di internet. SEMPRE CONNESSI Questi bimbi fin dai primissimi mesi di vita vivono la giornata immersi in esperienze con i coetanei e monitorati dall'agenzia familiare. Non solo a scuola, ma anche dopo, si inseriscono in altri gruppi per fare esperienze. Basta poco ai genitori per lanciare il piccolo verso grandi opportunità: è sufficiente vederlo un paio di volte arrampicarsi dal divano su per il muro per iscriverlo immediatamente a un corso di arrampicata. Certo, ci vuole un mezzo per poter orientare tutta questa organizzazione. In quest'ottica si comprende bene il motivo per cui il telefonino, che ai suoi albori pesava due chili e mezzo, si sia diffuso immediatamente, in forma esponenziale. Oggi viene regalato dai genitori ai figli dagli 8 ai 12 anni. La connessione è assicurata. Quando si parla di “madre virtuale”, s'intende ad esempio questo: all'uscita della scuola appaiono tutta una serie di figure che vengono a prendere il bambino ed eseguono il programma stabilito solitamente dalla grande organizzatrice, questa “mamma virtuale” perché ha dotato l'intera l'equipe di numeri di telefono e monitora l'organizzazione a distanza: "State eseguendo il programma stabilito per il piccolo?" A volte accade che un nonno, appartenente al paradigma famigliare "preistorico", decida di sua iniziativa di cambiare il programma e ad esempio andare a prendere lo zucchero filato al posto di... Beh, facilmente, l'indomani non lo si vede più perché è stato "licenziato". CON CHI VUOI TU La cosa bella di tutto ciò è che i bambini imparano molto presto l'amicizia. Appena nati sono immersi nella socializzazione. I pari diventano per loro un grandissimo punto di riferimento. Nido a sei mesi, festicciole al Mc Donald a 4 anni... non è concepito come “spazio educativo” alcun momento di solitudine. Se la mamma, andando a prendere il bimbo

alla scuola, lo vede in un angolo da solo, difficilmente ringrazia la maestra che gli sta facendo sperimentare la dimensione della solitudine che gli sarà chiesta dalla vita tantissime volte, quando dovrà studiare da solo o quando dovrà riflettere su momenti cruciali dell'esistenza. Educare alla solitudine vuol dire rendere autonomi i nostri cuccioli, ma è lontano questo concetto della mamma moderna che si preoccupa immediatamente al vederlo “isolato”, tanto da decidere per lui una festa in più apposta per "sbloccarlo". Tutto questo “bagno sociale” non può che influenzare positivamente i piccoli verso l'amicizia e la dimensione relazionale. Ecco perché i bambini di oggi hanno in grandissima considerazione i coetanei, sicuramente per l'estrema socializzazione nella quale sono stati immersi fin da piccolissimi, ma anche per la continua visione di cartoni animati dove i piccoli si organizzano, risolvono problemi, molto meglio degli adulti, come accade ad esempio alla maialina tanto amata Peppa Pig, capace di risolvere tutti i guai sbeffeggiando il padre imbranato. La cosa interessante è che sono loro a determinare le frequentazioni dei genitori perché è sufficiente che due bambini si parlino al di fuori della scuola materna perché i genitori si sentano in dovere di evidenziarlo, di parlarne a tutti, invitandosi reciprocamente e iniziando a frequentarsi con la famiglia dell'amichetto. Da lì ad organizzare le ferie insieme è un attimo! Che differenza dalle relazioni vissute dalla nostra generazione! Arrivavi a casa per la merenda dopo aver giocato da solo nei prati o nella strada e ti dicevano: "Cambiati che stasera si va da Giorgio". Giorgio era l’amico di papà. Nessuno ti chiedeva se ti andava la cosa, i bambini dovevano frequentare i figli degli amici dei genitori, per forza, senza sé e senza ma. Se i figli di Giorgio erano antipatici, te li sorbivi lo stesso e guai a litigare perché te le passavano se avevi fatto il maleducato a casa d'altri. Perché erano i grandi che decidevano le frequentazioni e i figli si adattavano. FACCIAMOCI UN SELFIE I bambini di oggi prima di nascere vengono già fotografati. La visibilità a tutti i costi permea la loro crescita. Gli spettacolini della scuola sono ripresi da migliaia di telecamere dei cellulari e socializzati nei gruppi WhatsApp e sui social. Chissà poi perché, quando i figli arrivano in adolescenza, i genitori vanno in crisi e si chiedono come

mai il ragazzo stia totalmente concentrato sul cellulare anche in pizzeria e non si relazioni ai presenti, a meno che qualcuno gridi “Facciamoci un selfie!”. PROTETTI NEL CORPO La percezione di una comunità educante quando noi eravamo piccini era forte. I bambini andavano a casa da scuola da soli. Si cresceva con l'idea che prima o poi qualcuno ti avrebbe dato la caramella drogata. Ci si chiedeva l'un l'altro “Ma a te l’hanno già offerta?” Nessuno l’ha mai ricevuta ma tutti sapevamo che poteva succedere ed eravamo pronti e preparati a rispondere “NO”. Insomma, c'era l'idea di un pericolo, ma anche la consapevolezza della presenza di tanti adulti che vigilavano sulla comunità. Si attraversava la sfida delle strade con questa sicurezza. Poi si arrivava al cortile, (questo luogo che fra qualche anno vedremo evocare nelle mostre sull’educazione all’autonomia) luogo di gioco, lancio di fionde, cerbottane, di piccole crudeltà fatte agli animali, di ginocchia sbucciate... le mamme che gridavano dai balconi di salire e darsi una ripulita. Oggi i bambini giocano con armi pericolosissime, coltelli, mazze, sparano pallottole che squarciano corpi e spappolano cervelli che schizzano da ogni parte, ma quando la mamma chiama per venire a tavola, essi hanno il corpo pulito, intonso e si possono sedere a mangiare senza neanche passare dal bagno a lavarsi le mani. La violenza agita negli occhi, nella mente. Il corpo è protetto. L’IMPORTANTE È FARSI SENTIRE Oggi un aspetto inquietante è che internet ha determinato la caduta dei confini tra intimo e pubblico. Questo non riguarda solo la pornografia, ma la necessità di esprimere sempre il proprio parere e renderlo “social”. L'idea che devi dire la tua su qualunque cosa, la necessità di esprimerti sempre e ad ogni costo, fa parte di questa moderna società narcisistica, che i bambini assorbono. Gli insegnanti lo sanno bene: nelle classi di bambini vivaci è un continuo commento su tutto, su ciò che sanno e ciò che non sanno. Perché l’importante è farsi sentire. SEGUIRE UN INFLUENCER Oggi abbiamo una preadultizzazione dell'infanzia e una infantilizzazione dell'adolescenza. Una delle questioni più complesse sta nel riadattare il modello educativo usato per i piccoli,


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nel momento in cui il figlio diventa adolescente, momento in cui i genitori si accorgono che il metodo è troppo morbido. Così i ragazzi per la prima volta si sentono dire: “Non puoi uscire sempre! Ora stai a casa da solo a studiare!” Oppure: “Smettila con quel cellulare, ci sei sempre attaccato!” L’adolescente guarda con stupore questo genitore che gli parla così diversamente da come gli ha sempre parlato. Non lo riconosce. Lo trova assurdo e ridicolo. Quando è piccolo infatti lo abbiamo guardato negli occhi con amore e gli abbiamo detto: "Devi essere creativo, espressivo, avere tanti amici e stare sempre in contatto con me". Poi in adolescenza modifichiamo il tiro e ai suoi occhi risulta più o meno così: "Ora basta, abbiamo cambiato idea: hai troppi amici, non frequentare tutti, spegni quegli strumenti elettronici, chiuditi nella stanza e studia". Il ragazzo reagisce: "Ma siete sicuri? Non era l'adolescenza il tempo dell'amicizia? Prima mi spingevate a stare con gli altri e ora che ne ho bisogno me lo vorreste limitare?" Questo vago tentativo di ripristinare il controllo di colpo e dare regole rigide da parte dei genitori al 14enne viene visto dal ragazzo come un voltafaccia e non viene preso sul serio. Infatti non funziona! Così lui sceglie di rivolgersi agli "influencer", che sui social orientano mode, gesti e tendenze. (Un influencer è un utente con migliaia (se non milioni) di seguaci sparsi sui vari social network; può essere uno YouTuber, un Instagramer, un blogger o avere semplicemente una pagina su Facebook dove condivide foto, video e contenuti vari. Fin qui è come un qualsiasi utente nella rete, ma a differenza degli altri, l’Influencer è in grado letteralmente di influenzare i suoi followers). Allora capire quali influencer attraggono i nostri figli è molto importante. Attualmente molti Rapper sono seguiti da milioni di ragazzini ed è interessante vedere come insegnano ad affrontare la vita attraverso i testi delle loro canzoni. INCAPACI DI REGGERE LA DELUSIONE Oggi non si cresce per opposizione come accadeva 50 anni fa. Col “padre simbolico” bisognava lottare, reagire, provarci almeno, sennò non riuscivi a determinarti e crescere. Oggi invece per l’adolescente il problema è stare in piedi dopo il confronto tra aspettative ideali e la cruda realtà che si percepisce in questo periodo. Tollerare la delusione è il grande problema dell'adolescenza oggi. Semplicemente il ragazzo non si sente così bello e di successo come credeva d'essere. Lo sanno i SERT che fanno prevenzione: il consumo di cannabinoidi non è diminuito, ma aumentato, però oggi chi prepara i percorsi per le scuole deve usare paradigmi totalmente diversi. Un tempo l'erba si usava per

opposizione, per contestare e esaltare la vita libera. Oggi invece è un anestetico, un anti-noia, una sostanza prestativa. Non è contro qualcuno. È un mezzo che si usa per lenire un dolore grande che emerge confrontando la realtà con le aspettative che hanno accompagnato la crescita del bambino fino a oggi. Ecco allora che il consumo di canne, erba o altro oggi non ha nulla a che fare con la voglia di trasgressione. Almeno nella maggior parte dei contesti. Diciamo che ha una funzione diversa (Funzione - aggiungo io - molto simile a quegli antidepressivi che inghiottiamo noi adulti che non ci facciamo le canne. Questo sentimento opprimente che ci abbatte tutti, adulti e ragazzi insieme, sarebbe interessante che iniziassimo a chiederci da dove viene). ABBIAMO FORSE SBAGLIATO QUALCOSA? Forse dovremmo fermarci a pensare

che in questo nuovo sistema educativo-relazionale qualche esagerazione c'è stata, anche se la famiglia tradizionale non si rimpiange per tutti i limiti psicologici che essa immetteva nel bambino fin da piccolo, con quell'idea del dovere che dominava la vita nel bene e nel male. Oggi, all'opposto, sarà il caso di tentare di correggere le esagerazioni, partendo dai … corsi preparto. Si, perché l'educazione si fa pian piano. Non possiamo dire di un ragazzo di 15 anni che fa tutto ciò che vuole se per tutta la vita in modo sottinteso glielo abbiamo chiesto, concesso e suggerito. Chiediamoci piuttosto: chissà dove e perché ha imparato a fare così? Certe modalità educative creano un cambiamento se costruite lentamente. Diversamente non ha effetto imporre dei limiti in adolescenza se non c'è mai stato prima uno stop. Oggi tutti gli adulti che educano devono farsi carico della complessità che loro stessi hanno creato. QUALI PUNIZIONI? La punizione privativa non funziona più. Tu gli togli qualcosa pensando che la mancanza lo faccia riflettere.

9 Ma i bambini di oggi non hanno il "dispositivo interno" per comprendere questa riflessione. Sono espertissimi di relazione e per loro funziona molto la punizione aggiuntiva. Fargli fare qualcosa in più, non in meno. Se non hanno fatto i compiti invece potrebbe esserci sotto un altro problema: spesso il problema compiti è legato alla difficoltà dei bambini/ragazzi di oggi di stare soli a farli, perché la solitudine angoscia. Alla solitudine non sono abituati perché gliela abbiamo evitata il più possibile. EDUCARE A INTERNET? Gli adulti che vogliono fare un vero accompagnamento educativo forse dovrebbero iniziare a limitare la domanda "Cosa hai fatto oggi?" che per altro non dà risposte soddisfacenti e piuttosto iniziare a fare la domanda "Come va in internet? Procede o trovi qualche intoppo?" Non è una battuta, ma l'idea di ac-

compagnare-affiancando, che non vuol dire giocare insieme ai videogiochi che è una noia pazzesca, ma parlare di quel mondo che i ragazzini vivono per ore. È importante che essi percepiscano la possibilità di parlarne con l'adulto. E non è togliendo che si educa, ma responsabilizzando, proprio come faceva quella vocina interiore del padre simbolico che ti frenava di fronte ad un dovere da espletare. Solo chi educa alla gestione responsabile di internet ha individuato la strada per mantenere una relazione significativa, anche nel momento della crisi o della difficoltà dell'adolescente. Oggi vediamo che i ragazzi a cui accade qualcosa di brutto a livello virtuale faticano a raccontarlo agli adulti, ma non per paura d’esser sgridati, ma per il senso di delusione che sanno di dare a se stessi e ai genitori che li amano. Temono di agitarli troppo, credono che essi non reggano e sono certi di non reggere loro stessi questa delusione. Lo sguardo molto valorizzante, che gli adulti hanno avuto per anni sul loro pargolo, crea una precocizzazione del bambino, ma sviluppa al con-

tempo un'angoscia di delusione nell'adolescente che si trova a fare i conti tra l'aspettativa e la realtà. ALCUNE CURIOSITÀ Molti 18enni non smaniano per prendere la patente, anzi tergiversano. Perché? La questione della patente è legata alla relazione: ma dove vai oggi col motorino che sono tutti chiusi in casa a giocare in forma virtuale? La polizia milanese ha fatto indagini dato che negli ultimi anni sono diminuiti i reati tra i giovani: è risultato che la causa stia proprio nel fatto che passando moltissime ore a fare aggressioni in “virtuale” non c'è più tempo né interesse per farlo nel reale. E la violenza? La trovano su internet e nei videogiochi? Attenzione a non demonizzare. C’è una questione che come adulti stiamo sottovalutando ed è la spettacolarizzazione delle morte e della violenza

reale per fare audience. I telegiornali con molti servizi crudi e notizie sempre allarmanti e le trasmissioni ridondanti sulla cronaca nera hanno modificato la percezione che gli adulti hanno della realtà. Molti credono ad esempio che siano aumentati i crimini quando invece i rapporti della polizia ne registrano una diminuzione. La tv ha condizionato la nostra percezione, inconsapevolmente. ADULTI E INTERNET Internet è un AMBIENTE non uno strumento. Condiziona enormemente le nostre vite, ma è a sua volta influenzato dal modo in cui viene utilizzato. Un esempio: hanno aperto il più grande centro commerciale in casa nostra: Amazon. Lo usiamo in tantissimi. Non abbiamo neanche bisogno di scrivere cosa ci serve perché viene "intuito" dai social in base ai nostri link; internet capisce dallo sguardo cosa ci interessa. E l'indomani un drone scarica il pacco che abbiamo ordinato virtualmente. Quando rimproveriamo i nostri figli perché stanno troppo in internet, se ci guardano perplessi forse ci stanno chiedendo: “E voi?”.


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IL PROGETTO DI “ALTERNANZA SCUOLA- LAVORO” A RACCONIGI Un’esperienza altamente formativa

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di Silvia Alasia, Francesca Cavallo, Khadija El Rhorfi

Il progetto di Alternanza Scuola-Lavoro (ASL) è una delle innovazioni più significative della legge 107 del 2015, la cosiddetta legge della “Buona Scuola”; entrato a regime dal 2016, esso prevede durante il triennio di scuola superiore un’esperienza “lavorativa” di 400 ore per gli alunni degli istituti tecnici e professionali (invece delle 200 precedenti) e, novità assoluta, di 200 ore per i licei. Si tratta di un tirocinio pratico, presso imprese private o enti pubblici, che

si propone di superare lo scollamento tra mondo accademico e mondo del lavoro, che da sempre è stato la pecca del sistema scolastico italiano, soprattutto liceale. In realtà l’innovazione ha suscitato anche perplessità, in quanto per molti non ha valenze didattiche di rilievo e rischia di essere uno “sfruttamento legalizzato” dei

giovani studenti, in quanto non prevede nessuna forma di retribuzione o di rimborso spese. Al di là del dibattito tra favorevoli e contrari, dal momento che l’attività è obbligatoria, e per di più dal prossimo anno andrà a pesare sul voto di maturità, in quanto la relazione sulla Alternanza sostituirà la tesina del colloquio orale, diventa importante fare esperienze di livello, possibilmente coerenti con il percorso di studi. In questo modo il tirocinio può aiutare

ternanza presso la Reggia di Racconigi, in qualità di sorveglianti all’interno del parco e di guide accompagnatrici dei turisti nel castello: un’esperienza altamente formativa in quanto preparata in classe attraverso approfondimenti di carattere storico e artistico. Quest’anno, invece, le proposte si sono diversificate, sempre però in sinergia con il territorio: un gruppo di studenti ha scelto di fare tirocinio in campo naturalistico presso il Centro

consistita nell’avvicinare i bambini al mondo dei libri, attraverso letture coinvolgenti proposte dai ragazzi più grandi. Sempre nell’ambito del medesimo progetto, nel periodo estivo, gli studenti animeranno due serate di apertura straordinaria “notturna” della Biblioteca, rivolte a bambini fino agli 11 anni e alle loro famiglie; in queste occasioni, insieme alla associazione Sul Filo della Seta, i ragazzi orga-

Cicogne di via Stramiano, due alunni presso il Centro Alambicco, accanto a disabili gravi, con i quali i ragazzi hanno condiviso svariate attività, dalla ippoterapia, alla piscina, alla danza. Molti studenti infine hanno aderito al progetto “Letture sotto l’albero”, promosso dalla Biblioteca Civica e rivolto a bambini della scuola dell’infanzia statale “Muzzone” e dell’asilo “Ribotta”; l’attività, sotto la supervisione della bibliotecaria Valeria Buscatti, è

nizzeranno anche visite guidate del Museo della Seta racconigese. Tutte queste iniziative hanno suscitato grande entusiasmo nei giovani liceali, perché hanno permesso loro di coniugare attività pratica e conoscenze teoriche, lavoro e cultura, sempre con un occhio di riguardo alle esigenze della realtà cittadina, obiettivo fondamentale all’interno del loro percorso di Educazione alla cittadinanza.

a consolidare le proprie conoscenze, a testare sul campo le proprie capacità e, soprattutto, a orientare il futuro dal punto di vista scolastico e lavorativo, permettendo di valorizzare vocazioni, interessi, competenze personali. L’anno scorso gli studenti del liceo scientifico racconigese “Arimondi-Eula” hanno svolto l’attività di al-


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Centro diurno Alambicco

Seconda collaborazione con il settore elettrotecnica del Vallauri a cura degli Operatori del centro diurno Alambicco

Anche quest’anno il Centro Diurno Alambicco ha intrapreso un percorso di conoscenza e di collaborazione con il settore elettrotecnica dell’ I.I.S. Vallauri di Fossano. Ogni anno concordiamo un nuovo progetto con gli studenti affinché possano comprendere le esigenze di alcuni degli ospiti dell’Alambicco, ideando e elaborando un “prodotto” ad hoc per le necessità dei ragazzi. Durante l’anno scolastico gli alunni, coadiuvati dal prof. Ingaramo, si sono potuti interfacciare con il Responsabile del Centro e con le educatrici. Esperienza sempre positiva ed arricchente sotto molti punti di vista, ma soprattutto un ponte tra la scuola e il “mondo” dei disabili. L’obiettivo finale degli studenti è stato quello di realizzare, grazie alle conoscenze tecniche acquisite nel corso di studio dai ragazzi, un “gioco” interatti-

vo utile a sviluppare le abilità e le capacità sensoriali dei nostri ospiti. Pensare a dei giochi per ragazzi con disabilità fisico-psichico-sensoriale e che hanno una ri-

Cantoregi: 2011-Addio mia bella addio

duzione dell'autonomia personale così compromessa, non è sicuramente facile. Nonostante le difficoltà incontrate durante la costruzione, dobbiamo sicuramente fare un plauso a questi ragazzi per aver portato a termine un ottimo lavoro. L’oggetto pensato e costruito aveva lo scopo di intrattenere dal punto di vista sensoriale gli ospiti e lo possiamo annoverare tra le tecnologie assistive, cioè quell’insieme di strumenti o sistemi hardware/software che consentono alla persona disabile di accedere a servizi, accedere a informazioni, aumentare la qualità della vita, comunicare, avere una grande o piccola autonomia quotidiana. Il 13 giugno 2018 è stato consegnato presso il centro il gioco composto da una scatola di legno al cui interno, tramite una logica a relè alimentati a batterie, si sono realizzate sequenze logiche con blocchi a sagoma di animali o forma geometriche. La realizzazione della sequenza giusta

da parte del ragazzo comporta l’ottenimento di una gratificazione visiva (lampade che si illuminano), sonora (versi di animali) e materiale (l’apertura di un cassetto dove all’interno può essere inserito un premio come ad esempio una caramella). Gli ospiti del centro si sono dimostrati decisamente entusiasti. Speriamo che la collaborazione con il “Vallauri” continui anche negli anni a venire, poiché per il centro “Alambicco” è un’ottima possibilità per farci conoscere, per realizzare un legame con il mondo della scuola e mettere a frutto le conoscenze degli alunni delle scuole superiori per realizzare strumenti utili alla nostra vita quotidiana. Un sentito grazie va al prof. Ingaramo P. insieme ai due ragazzi di quinta (Rosso A. e Mannai C.) per l’ascolto e per la disponibilità che ci hanno dimostrato, ma soprattutto per la pazienza e la voglia di mettersi in gioco in un contesto diverso da quello scolastico.

Cantoregi: 2015.A bitter Story


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DISCIPLINA E CARATTERE PER ARRIVARE IN ALTO Alla scoperta del karate racconigese di Francesco Cosentino

Fin dagli anni ’70 a Racconigi si sentì il bisogno di fondare un’associazione che permettesse agli appassionati di Karate di avere un punto di riferimento anche sul territorio cittadino. Nasce così la palestra Rembucan, che fin da subito fa riferimento alla filosofia del maestro Miura, responsabile del Karate a livello europeo e fondatore della S.K.I.-I (Shotokan Karatedo International- Italia), l’associazione che gestisce la disciplina del karate a livello mondiale. Ad oggi l’associazione racconigese è presieduta da Luciano Mondino e nella stessa struttura convivono atleti di tutti i livelli, dalla cintura bianca a quella nera. Questo fa capire come il Karate debba essere visto come un percorso senza un traguardo: il vero unico obbiettivo è quello del continuo miglioramento, giorno dopo giorno, ottenuto solo grazie all’allenamento e al sacrificio. Come ci racconta Danilo Bertone, per arrivare a quei livelli è necessario un percorso formativo che ti permette di iniziare da zero per arrivare alla cintura nera, passando in ordine per la cintura bianca, quella bianca superiore, quella gialla, quella arancio, quella verde, fino ad arrivare a raggiungere livelli più alti vestendo la cintura blu, poi tre gradi di cintura marrone ed infine dan (livelli) di cintura nera. Per poter passare da un grado al successivo è necessario superare un esame composto da tecniche di combattimento, da combattimenti figurati fatti

singolarmente (chiamati Katà) e da combattimenti veri e propri. I Katà si dimostrano sempre più complicati da seguire e aumenta il numero delle mosse e delle competenze minime richieste. Ad esempio, oltre certi livelli, per superare un esame il karateca

è tenuto a eseguire con un compagno una sequenza di ben trenta tecniche ideate da lui e salendo ancora viene richiesta la stesura di una tesi. Gli esami fino al conseguimento della cintura blu vengono eseguiti nella palestra cittadina, sotto l’attenta osservazione di un istruttore riconosciuto dalla federazione, mentre i tre esami per il conseguimento delle cinture marroni vengono gestite a livello provinciale da Fabio Lucignani (responsabile del Karate in provincia di Cuneo e cintura nera di settimo dan). La cintura nera, invece, viene ottenuta superando una prova a livello nazionale grazie a degli stage in tutta Italia.

Per arrivare a certi traguardi bisogna avvicinarsi a questo mondo sin da piccoli. Nella palestra di Racconigi si contano una ventina di bambini di tutte le età ad inizio esperienza che si allenano due volte a settimana. Osservando i più grandi, si può notare un’evidente cambiamento in positivo anche della condizione mentale degli atleti. Il progresso a livello fisico si ripercuote automaticamente a livello psicologico, formando atleti disciplinati e caratterialmente forti e insegnando valori importanti come il rispetto delle gerarchie. Secondo la filosofia di Miura, solo lavorando così un Karateka può arrivare a trovare se stesso. Con questa metodo di lavoro a Racconigi si sono ottenuti risultati incredibili, come il raggiungimento dei vertici nazionali da parte della cintura nera Massimo Carrera e la vittoria della Coppa Italia a squadre con il team del Piemonte da parte di alcuni ragazzi iscritti al movimento racconigese. Ognuno combatte per se stesso, ma allo stesso tempo si è circondati da compagni. Questo aiuta molto per trovare fiducia in se stessi e per formare la persona anche al di fuori della palestra. In questo sport non ci sono differenze nella difficoltà delle tecniche e delle mosse, richiede la stessa coordinazione da entrambi i sessi, ma osservando il percorso dei karatekai è facile capire sin da subito che le donne hanno la tendenza di imparare prima, probabilmente per una questione di scioltezza fisica. Insomma, il Karate è uno sport per tutti, una disciplina completa, che aiuta a crescere sia come persone, sia come atleti.

E il re disse alla serva raccontami una storia … e la storia incominciò…. IL PAESE DEI SÌ, IL PAESE DEI NO E IL PAESE DEI SÌ E DEI NO di Daniela Anna Dutto

Questa favola è stata scritta per la mia amica Simona mamma di tre bambini che aveva qualche difficoltà a fare comprendere le regole e i divieti ai suoi figli. C’era una volta un bambino di nome Pietro. Era buono ma anche monello, faceva i capricci e la sua mamma si arrabbiava. A Pietro piaceva tanto dire No ma non voleva ascoltare nessun No. “Mangia la verdura” e lui urlava “No”, “Metti a posto i tuoi giocattoli”, “No, No” diceva pestando i piedi. Ma se chiedeva di poter mangiare un altro gelato e la mamma rispondeva “No” si buttava a terra piangendo. Un giorno Pietro fu particolarmente monello, la mamma gli disse di bere il latte, lui rispose “No” buttando la tazza a terra e fu mandato a letto senza cena. La mamma era preoccupata per il comportamento del bambino e chiese aiuto alla sua fata amica che promise di parlare con Pietro. Andò in camera e lo trovò sdraiato sul letto singhiozzando. “Che cosa è accaduto piccolino?” ”La mamma mi ha punito, ma non è giusto devo sempre fare quello che vogliono i miei genitori e quando chiedo qualcosa mi rispondono di No!!!”. “Smettila di piangere e fammi un bel sorriso. Questa notte ti regalerò un viaggio, ti porterò nel paese dei No, nel paese dei Sì e nel paese dei No e dei Sì. Adesso chiudi gli occhi”. E la fata con una magia lo portò nel Paese dei NO. Che meraviglia Pietro poteva dire tutti i No che voleva e nessuno si arrabbiava. “Mettiti il golfino” “No” “Mangia la zuppa” ”No”. Ma quando chiese qualcosa la risposta era sempre

No. “Posso mangiare il gelato” “No” “Posso uscire in giardino” “No”. Pietro ritornò dalla fata “Che posto orribile, voglio andare via” “Perché? Qui puoi dire tanti No senza essere sgridato” “ Lo so, ma ogni volta che chiedo qualcosa mi rispondono di No, non è giusto”. La fata lo portò nel paese dei Sì. “Posso mangiare un’altra fetta di torta?” “Sì” “Posso guardare la televisione fino a tardi?” “Sì” “Posso uscire in giardino senza berretto?” “Sì” Pietro era felice!! Che posto fantastico rispondono sempre di sì. E anche se Pietro doveva dire sempre sì perché il quel paese il no era vietato, era felice perché poteva mangiare tutto quello che voleva e stare in piedi fino a tardi. Dopo qualche giorno la fata ritornò e trovò un bimbo raffreddato con tanto sonno e mal di pancia per i troppi dolci. “Non ti piace più stare nel paese dei sì?” gli chiese la fata “All’inizio era bellissimo ma adesso non so… È meglio quando la mamma mi mette a letto alla sera presto e mi lascia mangiare solo una piccola fetta di torta”. E allora la fata lo accompagnò nel paese dei sì e dei no, dove alle richieste di Pietro a volte rispondevano sì e a volte no e lui poteva rispondere sì o no. Talvolta i suoi no venivano accettati, altre volte con calma gli spiegavano che non era corretto dire no e lo convin-

cevano a dire sì. “Mi piace questo paese“ disse Pietro alla fata “È giusto che ci siano i sì e i no” “È quello che accade a casa tua”. “Mamma e papà mi dicono sempre no!” “I tuoi genitori ti dicono tanti sì ma non li ricordi. A volte la tua mamma ti dice No per il tuo bene, altrimenti come è accaduto nel paese dei sì, se non ci sono regole ti ammali, non dormi a sufficienza, ti viene mal di pancia. Ma ti dicono anche tanti sì per i giochi, guardare la televisione, andare in bicicletta nel parco”. “Hai ragione fata voglio tornare a casa” e così Pietro si svegliò nel suo letto, quello che lui credeva fosse stato un lungo viaggio in realtà era durato solamente una notte. Dopo l’avventura con la fata Pietro non divenne un bimbo modello e continuò a fare i capricci ma spesso si ricordava dei paesi che aveva visitato in quella notte magica e quando stava per dire No pestando i piedi, si calmava, rifletteva e diceva un bel Sì sorridendo oppure se la sua mamma gli diceva No non si arrabbiava anzi la abbracciava forte.


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13 Non sarebbe neppure il caso di presentare questo testo che compare questo mese nella nostra rubrica, perché si spiega da solo. Due parole però voglio dirle ugualmente. Giacomo è il sindaco neo eletto di Rittana: un piccolo Comune dell’inizio della valle Stura, dalla quale bisogna uscire a destra poco dopo Gaiola. Questo sindaco vuole far rivivere il paese e riparte dalla Cultura! Sembra una idea folle ma gli auguriamo che abbia molto successo, forse anche per questo. Il testo che riportiamo è quello che apre il bel catalogo edito per accompagnare la mostra che viene citata e che si intitola “Natura!”. Ma capite che volo? Un catalogo per la mostra di quattordici artisti, mostra che sarà aperta fino al 2 settembre. È tutto straordinario, piccolo e straordinario, non solo “bello”.

Una stagione dedicata all’arte di Giacomo Doglio

Una volta si chiedeva all’intellettuale e all’artista: “Quando cominci a lavorare?”, perché occuparsi di cultura e arte non era considerato un vero lavoro e in quel modo, si diceva, “né si mangia, né si va lontano”. Ma, come avviene anche per altre cose, la vecchia domanda oggi non è più così sensata. Non solo la cultura è fattore essenziale della qualità della vita e addirittura ne aumenta l’aspettativa, ma costituisce una importante risorsa della comunità. Ne rappresenta un elemento distintivo; è veicolo di valorizzazione e crescita delle sue componenti sociali ed economiche e dunque di sviluppo. Questo vale in modo particolare per le aree marginali e le piccole realtà per le quali appare ancora più deleterio il perdurare della stagnazione come condizione ineluttabile, piuttosto che il processo stesso di indebolimento al quale

sono sottoposte. In ogni caso proprio per questi territori vale un progetto che sulla cultura faccia perno e tracci un percorso per riconquistare sviluppo e futuro. Certo è più facile fare cultura dove c’è prosperità, a partire dalla densità della popolazione, che per la cultura è come il liquido amniotico per una nuova vita. Provateci, con poche persone e con scarse risorse : non è altrettanto semplice. Ma, come avviene anche per altre cose, cultura e ricchezza non coincidono per forza e dunque la prima non viene negata a chi ne ha più bisogno. Qui ci si vuole provare. Rittana è un piccolo paese (poco più di cento anime) che sulla cultura vuole reinventarsi. L’obiettivo non è certo quello di ritornare ai “fasti” di un tempo (ad inizio del secolo scorso Rittana contava oltre 1400 abitanti, 4 scuole elementari e 9

osterie solo nel capoluogo), per i quali air che era stata iniziata nel 1987 dalla non ci sarebbero più le condizioni, ma amministrazione di Catterina Belmonpiuttosto quello di ricreare un minimo do. di struttura che consenta al paese di Poi le esposizioni di alcune sculture in potersi qualificare come tale, e cioè bronzo di Sergio Unia e di una serie di rimettere in piedi qualche attività eco- disegni inediti di Ego Bianchi. La prinomica in misura e numero sufficienti ma mostra, all’aperto, nel giardinetto per radicare nel modo più dignitoso, e della ex canonica, ripropone a Rittana nel tempo, delle giovani famiglie. alcune opere che erano già state espoQuesto lo si può fare ma, efficacemen- ste, all’inizio di quest’anno, in una imte, solo con progetti non banali (nel portante antologica nel complesso mosenso di convenzionali e perciò incolti) numentale di San Francesco a Cuneo. che invece valorizzino quel patrimonio La seconda presenta, per la prima voldi storia, tradizioni e ambiente del luo- ta, una selezione di 37 disegni di Ego go, patrimonio pertanto unico ed irri- Bianchi, ritrovati di recente nella casa producibile. di Genova di Ermanno Rolandone, fraUn modo per cominciare è anche tello di Maddalena Rolandone (Dada), quello di riprendere fiducia e consa- moglie di Ego. Si tratta di un evento di pevolezza, attirare e incontrare nuove assoluto rilievo, dedicato a un artista la persone, far parlare del paese e accre- cui vita e attività sono profondamente scere l’affezione nei suoi confronti. Per legate alla provincia di Cuneo. tutti questi motivi abbiamo pensato ad Due mostre che pongono al proprio una estate ricca di appuntamenti con centro l’essere umano, a partire dalla musica, cinema, arti figurative ed an- bellezza colta nella sfera della innoche con la promozione di una tipica cenza di bambini e fanciulle, fino alla produzione locale (la patata) con con- maggiore complessità dell’esistenza nesse esperienze didattiche e gastro- che contempla inquietudine e sofferennomiche. Sono tutti eventi legati da za. un unico filo conduttore: la memoria. Infine la collettiva “Natura! Un piccoMemoria come elemento di riflessione lo repertorio”, con 14 artisti di grande e costruzione del futuro, dunque attiva, rilievo ed oltre 60 opere. Una mostra capace di elaborare le informazioni che si ricollega a quel filo conduttore che conserva in funzione di sviluppo della “memoria” di cui si diceva prima. e crescita. In questo caso si tratta della memoria In questo contesto, un ampio spazio dei cicli vitali della natura dei quali il è dedicato all’arte figurativa con più mondo contemporaneo pensa di fare eventi in grado di catalizzare attenzio- a meno e che ritiene trascurabili in rani e riflessioni: è superfluo sottolineare gione di una troppo rassicurante fiducome l’arte rappresenti un potente fat- cia nel progresso scientifico. La mostra tore di comunicazione di idee, emozio- vuole rivolgere la propria attenzione al ni, visioni del mondo, bellezza, critica difficile rapporto tra uomo e ambiente e contestazione e come consenta di naturale, ponendosi nel campo del dicomprendere meglio l’uomo, la sua battito sui destini ecologici della nostra storia, il suo ambiente, ma anche le sue civiltà - come scrive il curatore Roberutopie ed i futuri possibili. to Baravalle nella sua presentazione – Sono programmati quattro eventi in non con una visione da day after, quancontemporanea. to piuttosto con un atteggiamento più La presentazione di tre nuove opere composto e riflessivo che è forse più che andranno a incrementare quelle già utile a cogliere giusti segnali e ritrovare presenti su muri del paese e ad accre- nuovi percorsi. scere quella singolare galleria en plein Programma Estate Rittana: http://www.comune.rittana.cn.it

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

info@maipiusole.it Cantoregi: 2008-L'acerba e amara mia passione (Catterina de Mattei)

Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684


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Raccontami...

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DIMENTICARE PALERMO? di Roberto Baravalle

Palermo, si sa, può apparire troppa: troppo Ballarò, troppa Vuccirìa (piena di pankabbestia provenienti da tutta Italia e da tutta Europa). Troppe storie di mafia e troppe rinascite mancate, troppo traffico, troppo casino. Inflazione di intelligenze sottili, oceano di restauri incompiuti. Troppe “metafore della Sicilia che sono metafore della vita stessa”, troppi ammiccamenti alle “mediazioni gattopardesche” . Troppe “intitolazioni” a Falcone e Borsellino che qui vennero trucidati e che qui sono continuamente richiamati, citati. Usati. Troppi soldi dati a Wenders per un film bruttino, qualche anno fa, che non parlava di Palermo. Semplicemente, gli han dato un milione di euro perché lui venisse a Palermo a “pensare” a un altro film che voleva fare. Troppe sirene e troppe scorte. Prezzi troppo cari. In piazza San Domenico chiedi un gin tonic e ti portano una spremuta di limone col bicchiere in mano: “cinque euro”. Senza traccia dell'analgesico liquore al ginepro. I troppi turisti si aggirano smarriti, specie gli stranieri. Oh, quella comitiva di francesi (loro, si sa, sono intolleranti: e i francesi che s'incazzano) che trova il museo archeologico chiuso! Volevano vedere l'Ariete di Siracusa (les pauvres) e trovano un vetusto cartello, dilavato dalle piogge e arso dai raggi solari: “CHIUSO PER RESTAURI”: C'est incroyable. E pensare che Sciascia l'hanno tradotto molto e ha circolato parecchio, in Francia, ma non basta a perdonare. Neppure a comprendere, perché, si sa, comprendre c'est tout pardonner. Forse non bisogna più perdonare. Le belle menti di Sicilia (Verga, Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Sciascia, Bufalino, Guttuso e i Quattro, Goliarda Sapienza, per citare soltanto alcuni tra gli Ultimi) appaiono lontane, in orbita su un'altra galassia, che ruotava attorno a un Sole che si chiamava Speranza, che si chiamava Fede. Dignità. Un sole che si è spento. Certo, la Regione (o la Provincia Regionale, come si dice qui) sventola ancora i loro nomi come logore icone: parchi letterari, passeggiate, giornate di studio, premi. Ma tutto è faticoso, una corsa a ostacoli, tra chiusure e inaugurazioni faraoniche, tra soldi buttati e dipendenti soprannumerari. Si avverte che anche loro, in fondo (e neanche tanto in fondo) non ci credono. Sarà colpa di questo vento teso che spazza la città e fa rumoreggiare sinistramente le innumerevoli impalcature e i tralicci dei cantieri abbandonati. Palazzi dove ha dormito Garibaldi e residenze di duchi e principi. Tutto sbarrato, tra carcasse d'auto, fasci di fili elettrici che cascano dall'alto e immigrati che si aggirano smarriti. I più disinvolti giocano una specie di dama africana in mezzo al vicolo. Più in là un centro Caritas innestato su un vecchio oratorio sembra il cortile di una missione del continente nero. Una gentile bambina di otto anni mi prende per mano a San Giovanni degli Eremiti (“Le scuole di Palermo adottano i monumenti della città”) e mi chiede se voglio che mi racconti la storia di quella chiesa. Certo, cara. Qualcuno lotta ancora. Qualcuno ci crede. Lo Zen non si chiama più così. Hanno cambiato il nome al quartiere. Ora si chiama San Filippo Neri. Più in sintonia coi tempi. Una pezzuola a mascherare lo sfacelo di sempre. Un linimento su una gamba di legno. Coi disegni dei bambini hanno fatto un calendario, sponsorizzato dal Lions Club: “come vorrei il mio quartiere”. Loro, i piccoli, ci hanno disegnato i contenitori

per la raccolta differenziata. Tutto molto politicamente corretto anche se quaggiù il politicamente corretto assume un aspetto particolarmente sinistro. Ma lasciamo che ogni generazione abbia la sua speranza. Sabato sera, Notte dei Musei. Il gioiello arabo-normanno della Zisa (una piccola Alhambra) è aperto sino all'una. L'amico che ci conduce abita a duecento metri, ma per trovare un accesso gira con la macchina un buon venti minuti. I “Cantieri Culturali” presentano un cancello rigorosamente sbarrato. Finalmente, arriviamo. Custodi infreddoliti e profumatamente pagati si lamentano che a loro “lo straordinario non lo passano”. Davanti all'introvabile ingresso, un praticello smunto coperto di rifiuti e di plastica: quello è un albero del cotone. E quelli sono i sacchetti del supermercato. Altrove, sarebbe tutto illuminato e tirato a lucido. Penso a quello che fanno in Spagna con i loro monumenti. Sì, la crisi è anche là, ma quando passerà loro si troveranno con strutture e servizi funzionanti, noi con macerie, fatiscenze e collusioni. I soliti volenterosi amici palermitani ci portano a cena in Borgo Vecchio, dove uno di loro è nato e cresciuto. Niente roba per turisti, stasera. In un ristorante gestito da un tipo alla Ciprì e Maresco (a proposito, dove saranno finiti?), maglietta della salute in lana adeguatamente bisunta e barba di sei giorni mangiamo indubbiamente bene, immersi in quel clima di familiarità un po' cialtrona che, attorno a un desco imbandito, trasforma gli sconosciuti in amici di vecchia data. La stessa che aleggia sulla piazza della kalsa dove alle sette di sera ardono già le braci delle grigliate, con il pesce esposto, pronto per i turisti. I medesimi che alla Focacceria San Francesco si abboffano, diligenti e compunti, di panini con la milza. A casa loro, magari, buttano via anche il grasso del San Daniele. Nella chiesa accanto, uno dei tanti matrimoni in grande spolvero, con profusione di fiori, basette lucidate, tette fuoriuscenti, borsettine da teatro, tacchi di quaranta centimetri e abiti da serial TV. Nei dintorni ruggiscono inquiete le mercedes decapottabili. Mezzanotte. Un fiume di traffico scende per corso Vittorio Emanuele dalla Porta Nuova. Tutto è bloccato, un'ambulanza tenta di farsi strada nel muro compatto di lamiere. Meno riesce a passare e più aumenta l'intensità della sirena. Più avanti, di fronte al Palazzo Riso, che ospita una galleria d'arte, sembra che sia appena terminato un baccanale. C'era pure un buffet: un fiume di piatti e bicchieri di plastica fuoriesce dal portone a ingombrare gli angusti marciapiedi. La gente urla per parlarsi anche perché dalle auto coi finestrini abbassati arrivano decibel da sordità totale. Il mattino seguente, via Roma è chiusa al traffico. Ci sono le bancarelle che vendono l'origano di Trapani e i farmacisti di Palermo che misurano gratis la pressione. Di fronte al banchetto dell'onnipresente Lions Club, uno strano trombettiere intona bandiera rossa e bella ciao. L'arteria, normalmente intasata da un traffico indicibile e frequentata da migliaia di pedoni, rimarrà rigorosamente deserta per tutta la giornata. “Oggi ci sono le comunioni” ci dice un tassista e, quindi, “queste isole pedonali lasciano il tempo che trovano”. In centro è tutto abbastanza normale ma appena si va un po' verso i quartieri periferici montagne di sacchetti di spazzatura circondano i cassonetti

stracolmi. Niente di particolare, nell'Italia d'oggi. Dappertutto, le buone intenzioni “lasciano il tempo che trovano”. A piazza Marina un mercatino che neanche a Pozzolo Formigaro oserebbero proporre. Dicono che dall'altra parte della città, al Capo, c'è molto di più. Sarà. Ma tanto saranno già passati i Sellerio a impinguare la loro collezione di giocattoli antichi. Il giardino Garibaldi con gli alberi giganteschi, dai rami che diventano radici, è rigorosamente chiuso, come i parchi di tutte le ville. C'è il vento: non fosse mai che qualcuno, com'è successo di recente, si prendesse un ramo in testa. A Palazzo Abatellis ci aspetta la vergine blu di Antonello: meno male, uno sguardo che non tradisce. Bene anche la nuova ubicazione della Galleria d'Arte Moderna, alla piazza di Santa Anna. Peccato che tutte le guide, anche recenti, la diano ubicata accanto al Politeama, dove è invece in corso una prolissa Festa della Polizia con i mezzi da sbarco posteggiati sul piazzale. La mattina seguente, per svagarsi, si va a Villa Igea, per provare il brivido del Grand Hotel e vedere l'impareggiabile panorama che da là si gode. L'albergone, ora facente parte della catena degli Hilton, un tetro edificio opera del grande Basile, architetto del Liberty, cui è dedicata una sala malinconicamente buia e deserta, ospita un raduno di guidatori di Harley Davidson. Tatuaggi, bandane e polsiere borchiate lampeggiano sulla terrazza mentre un pauroso spiegamento delle grandi moto occupa totalmente il parcheggio. Nordici turisti, dall'aria vagamente impaurita, si aggirano per il piccolo parco con vista sulla cala dove giace la carcassa arrugginita di un rimorchiatore semi affondato. Forse, pensano al conto. E se ne valeva la pena. Per tornare in centro, il taxi non arriva, sicché ci si avventura per il quartiere circostante, fatiscente il giusto e ornato di cantieri navali in via di dismissione. Alla fine, ci raccoglie un autobus. Un prete polacco ci vende dei biglietti suoi (a bordo non si può fare il documento di viaggio) e un sollecito e cortese autista ci scarica in Via della Libertà, arteria dal tono vagamente internazionale, proprio dove l'altra sera siamo arrivati. L'aereo, per fortuna, e nonostante il vento, riparte. Sui sedili dietro ai nostri, due pie signore conversano su Gesù e sulla “Vergine Maria”. Una ce l'ha con la Gelmini (un'insegnante, forse?) perché dice che anche lei s'è fatta due anni al nord “e non un giorno di assenza”. Solo uno, a dire la verità, per sciopero e “perché le colleghe l'avevano costretta”. In questi giorni ho sentito e letto molto, qui in Sicilia, sull'Unità d'Italia curiosamente sposata con la rivendicazione orgogliosa dell'autonomia. Ma autonomia da che? Troppo di tutto, dicevamo, a Palermo. Troppa mancanza di speranze, forse. Ma è dappertutto la stessa cosa, in questa Italia dal braccino corto e dagli insaziabili appetiti. Sarà per questo che, come titolo di questa noticina, ho scelto il titolo del più brutto dei film di Francesco Rosi. Dimenticare Palermo? Purtroppo, però, non è possibile dimenticare l'Italia di cui la Palermo d'oggi è metafora e specchio. Maggio 2010


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Presentato in Santa Croce l’ultimo libro di Vittorio Gullino

“A caval dij seugn...” a cura di Guido Piovano

Il libro, che Vittorio ha dedicato alla sua Maria Paola (“‘sta òta për ij trant’agn ëd matrimòni, bele se già compì l’àut jer…”), è una raccolta, scandita per temi, di poesie scritte in lingua piemontese e presentate anche in italiano. Ascoltiamo la professoressa Luisa Perlo: «Un libro di poesie è una delle forme più difficili da presentare. Che cosa dire di un libro di poesie? non si racconta un riassunto, non si analizzano dei personaggi, non si trova il bandolo narrativo… e poi, in piemontese, per me un ostacolo insormontabile nella lettura. E questo mi ha fatto pensare a quanto davvero possa

NOSTRA STÒRIA BELA

A mia fomna Che bel posé la testa sla toa spala për senti pi davzin ël tò respir; che gòj patì ël gatij dij tò cavej ch’a balo leger an sla mia facia come carësse d’un sofi ’d vent dlicà; che piasi senti ’l calor ëd toa man gentila ch’a spasëggia meusia sla mia front lassand che, dosman, la seugn am vagna; alora j’euj grev as saro, ma a leso ’ncor, ant lë scur, l’ultim feuj, pen-a scrit, ëd nòstra stòria bela… Vittorio Gullino

Cin

Cinema SOLO – A STAR WARS STOR di Cecilia Siccardi

Agli inizi del dominio dell’Impero sulla galassia, il giovane Han pro-

Lib

Libri di Simona Roccato

Abbiamo bisogno di storie, storie di tutti i tipi: corte, lunghe, tristi, allegre, sconclusionate, buffe, paurose. Abbiamo bisogno di storie e soprattutto di persone che sentano ancora il bisogno forte di

essere stato laborioso per Vittorio comporre un libro come questo. È vero, ormai tutti scrivono poesie, ormai tutti si sentono poeti, tutti pensano che sia sufficiente andare a capo per aver scritto una bella poesia… La poesia è invece uno dei linguaggi più elitari che ci sia. L’ispirazione viene dal cuore, le tematiche vengono dal cuore, ma la produzione è tutta un’altra cosa …». Ed ora il prof. Davide Damilano: «L’Autore fa riferimento ai sogni perché la poesia risveglia l’apparenza dell’irrealtà e del sogno di fronte alla realtà afferrabile e sonora in cui noi crediamo di trovarci».

Nostra storia bella

A mia moglie Che bello posare la testa sulla tua spalla per sentire più vicino il tuo respiro; che gioia soffrire il solletico dei tuoi capelli che danzano leggeri sul mio viso come carezze di un soffio di vento delicato; che piacere sentire il calore della tua mano gentile che passeggia lenta sulla mia fronte lasciando che, dolcemente, il sonno mi vinca; allora gli occhi pesanti si chiudono, ma leggono ancora, nel buio, l’ultima pagina, appena scritta, della nostra storia bella...

getta la fuga dal dominio della signora del crimine Lady Proxima insieme alla sua fidanzata, Qi’ra. Nel tentativo di lasciare il pianeta, però, solo lui riesce nell’intento, mentre lei viene catturata ed è costretta a restare lì. Han diventa un pilota e inizia le sue avventure in giro per la galassia; i due si ritroveranno anni dopo, quando per caso resteranno coinvolti in una pericolosa missione per conto del criminale Dryden Vos. Ma sarà ancora possibile un futuro insieme, o gli anni e l’ambizione avranno cambiato entrambi irrimediabilmente? “Solo – A Star Wars Story” è uscito nelle sale italiane il 23 maggio 2018, e fa parte della trilogia di spin-off della saga di Guerre Stellari. Il film

si concentra sulla giovinezza di Han Solo, uno dei personaggi più iconici dell’universo di Star Wars, ma il successo al botteghino non è stato quello sperato, forse anche a causa del fatto che la data d’uscita segue quella di “The last Jedi” solo di cinque mesi. Il film è comunque stato accolto in modo abbastanza positivo dalla critica, e, sebbene non sia allo stesso livello del precedente “Rogue One”, è assolutamente godibile. Spiccano in particolar modo i personaggi di contorno, come il Lando Calrissian di Donald Glover e il Beckett di Woody Harrelson. Leggero e divertente.

farle nascere dai loro cuori e con amore sentano altrettanto forte il desiderio di farne dono agli altri. Ecco che allora l’immagine della signora dei gomitoli non può che incantare. Che meraviglia poter pensare a una donna che fa precedere il suo arrivo dal profumo di cioccolata e di nuvole. Una donna che semplicemente si siede in mezzo alla piazza di una nuova città, solleva la valigia, suo unico corredo, e tira fuori infiniti gomitoli di lana che srotola quieta ma appassionata. E quando i fili si intrecciato, inizia a raccontare mentre attorno a lei come per incanto si radunano grandi e piccoli. Tutti sono rapiti da questa insolita figura e dal potere universale della parola che narra, creando mondi

unici e meravigliosi in cui trovarsi e un po’ perdersi. Storie che parlano, ripercorrendo l’Italia intera e le mille curiosità delle sue città. Piacevole da leggere per bambini grandi e per grandi che ritornano un po’ piccoli. Con l’augurio che la pioggia di questi giorni ceda il passo a serene giornate estive in cui sarebbe bello trovare nelle piazze delle nostre città una signora dei gomitoli pronta a donare nuove storie

Gisella Laterza “La signora dei gomitoli e altre fiabe su e giù per l'Italia” 2017, pp.134, € 12.00 Editore: Rizzoli

per tornare a sognare.


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Mus

Musica QUINTORIGO Opposites

di Giuseppe Cavaglieri

I Quintorigo celebrano i vent’anni dall’esordio sulla scena musicale con un doppio album composto per metà di brani di propria composizione

e per metà di cover. Insieme al quartetto (Andrea Costa: violino, Gionata Costa: violoncello, Valentino Bianchi: sax e Stefano Ricci: contrabbasso) hanno partecipato al lavoro Alessio Velliscig (voce), Gianluca Nanni (batteria), Enrico Rava al flicorno e Joe Pisto alla voce. Opposizione, giust-apposizione, contrapposizione di fenomeni artistici lontani nel tempo e nello spazio: quanto dista Duke Ellington da David Bowie? Qual è la strada più breve fra Ornette Coleman e i Rage Against the Machine? E spesso, cercano di dimostrare i Quintorigo, le distanze non sono poi così grandi e di conseguenza le opposizioni sono solo apparenti. La Musica è un universo molto più facile da percorrere di quello siderale. Non servono astronavi o ponti di Einstein-Rosen per una gita turistica non

esaustiva ma sensata. Il personalissimo percorso che propongono i Quintorigo è proprio questo: una rivisitazione di classici e un dialogo con essi, in 10 cover e 11 brani originali, con la massima libertà artistica. Un lavoro in cui la conseguita maturità li riporta al fanciullesco stupore di fronte ai propri mostri sacri e al folle proposito di emularli e sfidarli. Un album, anzi due, che suonano “deliranti” nel

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senso etimologico del termine, che escono dal solco dell’artisticamente corretto e soprattutto del già ascoltato.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Ma soprattutto, ci torna alla mente l’esperienza vissuta con coloro che sono stati coinvolti nei nostri spettacoli, quelli prodotti da Cantoregi, senza essere né attori né professionisti ma che, grazie all’abile regia dei nostri Maestri, hanno espresso il meglio di ognuno, in un clima di amicizia vera e rispetto reciproco. In particolare ricordiamo: gli anziani della nostra Città con il “De Senectude”, “Fa che sia seta”, “Il peso delle stelle” “L’acerba e amara mia passione (Beata Catterina de’ Mattei)” “Il Prete Giusto” e “Elogio della mitezza”; gli ospiti dell’ex Manicomio e dei Centri Diurni con “Barium”, “Omnes Colores”, “Uccidere non uccidere”, “Bella Gente” e “La vita non è che un’ombra che cammina”; i Neri-Extracomunitari con “Non smette mai di piovere” e “Sono incazzato nero”; la Comunità cinese di Bagnolo P.te con “A bitter Story”; i Giovani, studenti delle Scuole Medie e delle Superiori racconigesi, con “La crociata dei bambini”, “Cara moglie che tu non mi senti”, “Donne nella grande guerra”, “Addio mia bella addio”; con i Carcerati della “Felicina” di Saluzzo con “La Soglia”, “Il luogo dei cigni”, “Amen”, “Diario di un cane” e “Van Gogh il suicidato della società” e così via…

Ripensare al nostro affezionato Pubblico (oltre 1200 presenze ogni edizione), attento ai temi proposti che parlano di diversità e di disabilità, raccontati con la bellezza del teatro, un pubblico pronto ad applaudire calorosamente, in modo avvolgente come un grande abbraccio (quanta attesa per le due signore ospiti di Villa Tanzi, ogni serata in prima fila della tribuna!). E ancora, la location in cui si svolgeva tutto questo, là in fondo al Parco: la radura nel bosco, nelle notti d’inizio estate. Scenografia naturale a far da cornice a quanto veniva messo in scena, un luogo magico che incantava tutti quelli che arrivavano per “la prima volta” (le Compagnie da Roma, Palermo, Macerata, Firenze, Trieste, Milano, Bologna, Torino), quell’intenso profumo dei maestosi tigli che inebriava tutti quanti, e, poco distante dalla scena, lucciole vagabonde tra le fronde scure degli alberi, quasi a rimarcare quanto fosse unico e affascinante trovarsi lì, soprattutto quando cala la sera, quasi a volerci ricordare cosa è stato nel passato quel luogo, a far rivivere coloro che tanta vita hanno trascorso in quel posto di sofferenza e ora riscattarne la memoria. La produzione di

spettacoli e l’ospitalità di tanti artisti sono stati gesti di solidarietà per restituire voce e dignità a quelle persone. Racconigi può spegnere l’eco lontana di quelle voci?

Tutto questo è la forza e la magia del teatro! Giugno 2018 di Agnese e Bruno Crippa

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2018

entro dicembre 2018 Tel 371 1529504


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