INSONNIA Giugno 2018

Page 1

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 104 Giugno 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

Un terremoto Con queste parole Marco Revelli, docente universitario di Scienza della Politica a Torino, ha qualificato le elezioni politiche del 4 marzo. Un pubblico molto interessato ha seguito con attenzione una analisi del voto precisa e documentata (si è fatto riferimento alle ricerche condotte dal centro studi dell’università Luiss, dall’IPSOS, da gruppi di ricercatori dell’università di Torino, da studi sul campo nelle aree industriali). Una analisi che ha offerto molti spunti di riflessione sulla situazione attuale. Non soltanto per quanto riguarda la lettura del risultato elettorale ma anche per le prospettive politiche che si aprono in questa complicata fase che si è conclusa con la formazione del nuovo governo. E, più in generale, sul quadro socio e politico complessivo nel nostro Paese. Che Revelli avesse toccato i tasti giusti per suscitare l’interesse dei partecipanti lo si è capito anche dal fatto che la serata non si è chiusa con la fine dell’intervento, come spesso succede, ma è proseguita con un dibattito vivace e partecipato, in cui numerosi presenti hanno sentito il bisogno non solo di porre delle domande ma anche di esprimere i propri punti di vista. Questo per noi di Insonnia è importante, perché il confronto costituisce un aspetto fondante del nostro giornale. Il confronto. Facile a dirsi, molto meno facile da praticare. Non perché la gente non abbia le proprie idee (basta andare in un bar, o nella pubblica piazza, o nelle case per sentirne esprimere di tutti i tipi), ma perché oggi è spesso difficile che si abbia la voglia di confrontarsi veramente, forse perché manca quel desiderio di partecipazione che in passato è stato più forte e che oggi, come ha avuto modo di sottolineare lo stesso Revelli, è molto più latente.

segue pag. 16

Quarant’anni senza manicomio

Due parole sul sessantotto e su qualcos'altro

La legge Basaglia, numero 180 fu varata il 13 maggio 1978, il tema era “accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”. Sette mesi dopo veniva approvata la legge 833 che istituiva il Servizio Sanitario Nazionale ed al suo interno conteneva quasi gli stessi articoli della legge 180. Comunemente questa legge è definita legge Basaglia per il grande apporto dato da Franco Basaglia (Psichiatra -Direttore OP di Gorizia-1961, di Colorno-1969 e di Trieste-1971. Nel 1973 fonda il Movimento Psichiatria Democratica) per la riforma psichiatrica in Italia. Il tema psichiatrico era ancora regolato dalla precedente legge del 1904.

Scriveva Pier Paolo Pasolini: “La Resistenza e il Movimento Studentesco sono le due uniche speranze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano. Intorno c'è silenzio e deserto: il qualunquismo, la degenerazione statalistica, le orrende tradizioni sabaude, borboniche, papaline”. È una considerazione che risale a più di quarant'anni, una delle tante terribili profezie pasoliniane. Il 25 aprile è appena passato, celebrato con i soliti cortei imbalsamati, ai quali nessuno ha badato. L'evanescente sinistra odierna ha balbettato per l'occasione solo le solite retoriche frasi di circostanza, mentre sui canali televisivi, per “celebrare” l'anniversario della Liberazione dal nazifascismo, sulla sola Raiuno alle 11,30 c'è stata la Cerimonia del presidente della Repubblica all'altare della patria, poi per il resto della giornata più nulla. Su la7, alle 21,10, è andato in onda un film certamente molto bello, “Mussolini ultimo atto” di Carlo Lizzani, che però ha più a che vedere con il duce che con la Resistenza. Su rete 4 si è poi consumato un vero obbrobrio: nella trasmissione “Quarto Grado” il conduttore, un giornalista, tale Gianluigi Nuzzi, ha presentato una specie di inchiesta dal titolo “Mussolini-Gli ultimi giorni”, nella quale ha proposto una visione diversa della morte del duce.

a cura di Rodolfo Allasia

segue pag. 3-4-5

L’AUMENTO DELLA TASSA SUI RIFIUTI di Melchiorre Cavallo

Facciamo un po’ di chiarezza. Le famiglie e le attività commerciali racconigesi sono state in questi giorni raggiunte dalle cartelle della TARI (Tassa Rifiuti) del 2018. Gli aumenti della tariffa sono pesanti per tutti. Il Consorzio che si occupa della raccolta e smaltimento dei rifiuti per il nostro Comune ha recentemente rivisto l’appalto e la nuova organizzazione del servizio ha comportato un incremento dei costi per il nostro Comune, nonostante i servizi resici siano addirittura diminuiti. La precedente Amministrazione Comunale che, ricordo, aveva ridotto per ben due volte la tariffa

(grazie alla collaborazione dei cittadini), si era prodigata in molti modi per modificare le previsioni del servizio che si stavano facendo all’inizio del 2017 (la gara è poi avvenuta nell’estate) riuscendo solo in parte ad attenuare gli effetti negativi. Purtroppo nel nostro Consorzio contano sempre meno gli Amministratori e sempre più i Funzionari che, nella pratica, sono coloro che decidono veramente. Negli ultimi giorni della legislatura, però, si era aperto uno spiraglio importante, potenzialmente decisivo.

segue pag. 7

di Vincenzo Esposito

segue pag. 7 INSERTO SCUOLA

pag. 8/9

Terremoto Politico

pag. 10/11

Peace Walking Man

pag. 9

LUDOPATIE

pag. 12


2

Giugno 2018

20 aprile e 16 giugno

Caffè Alzheimer: momenti di solidarietà e festa a cura dell’Associazione AMA di Carmagnola

La serata del 20 aprile, organizzata dall’Associazione AMA di Carmagnola presso il cinema teatro Elios, è stata un incontro tra il divertimento e la solidarietà. Il sodalizio, ormai consolidato, tra la famiglia Spina e Telecupole-Evita ha dato l’avvio all’organizzazione di questa serata che si prefiggeva due scopi: ricordare Micky Spina e raccogliere fondi per il Punto Alzheimer di Carmagnola. Gli artisti Sonia De Castelli e Pino Milenr, con il loro esilarante spettacolo “Torniamo indietro?!”, hanno allietato i presenti trascinandoli in un vortice di risate, grazie alla loro verve e simpatia, in un simpatico ritorno nel tempo, scandito dalle canzoni più famose degli ultimi 40 anni. Il pubblico, numeroso, ha risposto positivamente all’iniziativa. Il successo della serata è stato possibile grazie al prezioso lavoro di Telecupole-Evita che si è occupata della pubblicizzazione mediante passaggi su rete Telecupole e distribuzione locandine negli esercizi commerciali, oltre ad una donazione a sostegno delle attività realizzate dall’Ama. Prezioso è stato anche il lavoro dei nostri volontari ed un ringraziamento particolare va ai diversi sponsors che, con le loro donazioni, hanno contribuito al sostegno delle spese per la realizzazione dell’evento. Il ricavato dalla vendita dei biglietti dello spettacolo, realizzata da Magic Moment, cui va il nostro sentito ringraziamento, sarà utilizzato dall’AMA di Carmagnola per dare continuità alle attività del Punto Alzheimer. Mai come in questo caso il motto “l’unione fa la forza” si è dimostrato veritiero: un sentito ringraziamento a tutti! Gli incontri del caffè Alzheimer si concluderanno, prima dell’usuale pausa estiva, il 16 giugno con un momento di festa collettivo: una “merenda sinoira” presso il bar della Società operaia Francesco Bussone -Via Valobra, 143, allietata da un intervento musicale. Gli interessati potranno dare la loro adesione dal 1 al 12 giugno presso il bar stesso. Vi aspettiamo numerosi per condividere un momento conviviale!

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE a cura di Giacomo Castagnotto

Le foto di questo mese del Racconto Fotografico sono di Davide Cerullo, un amico, scrittore e fotoreporter che vive a Napoli nel quartiere Scampia. Impegnato da anni nel campo educativo con i bambini e i ragazzi del quartiere, è stato invitato recentemente dalla cooperativa “Fuori di Pizza” di Prato a partecipare ad un viaggio in India. Da alcuni anni la cooperativa è impegnata in un progetto nel manicomio di Cochin nello stato del Kerala, 1,5 milione di abitanti. Il progetto si chiama “Settlement” e riguarda 210 internati tenuti continuamente sedati da soli due operatori in una situazione veramente disumana. Le persone tenute ammassate, considerate come scarto senza la possibilità di andare oltre il muro e il cancello della struttura. Questa esperienza sarà raccolta in un libro di prossima uscita: Settlement, il villaggio dei matti. La cooperativa di Prato, quando visita questa struttura cerca di coinvolgere i pazienti in attività di aggregazione e di manutenzione, facendo pittura e attività mirate al coinvolgimento e al protagonismo, facendo sentire utile la persona e aiutandola a riacquistare fiducia in se stessa. Davide in questa struttura nonostante tutto ha trovato tanta umanità e strette di mano che fuori non ha trovato. Ghandi diceva che “la civiltà di un popolo si misura da come tratta chi non si può difendere”. In certi luoghi è più sacra la vita di un elefante che non la vita di una persona. “Quando siamo arrivati al Settlement la prima volta nel 2007 poche persone avevano il coraggio di entrarci e quando lo facevano si limitavano a dare un contributo economico per poi allontanarsi velocemente. Noi, invece, abbiamo portato “ l’assemblea di reparto”, in cui tutti gli ospiti del Settlement possono esprimere i loro bisogni, le loro esigenze soggettive e quasi sempre alla fine dell’incontro ci donano la loro voce, le loro canzoni, le loro storie. Il raccontarsi, il narrarsi, sono aspetti fondamentali del progetto”. Le foto sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera.

La vita in scatola

insonnia

di Luciano Fico

Nella penombra della sera (certi momenti hanno bisogno della penombra per rivelarsi) gli scatoloni, accatastati in sala, incombono sbilenchi. I mobili attendono vuoti nelle stanze della nuova casa: hanno bisogno di riempirsi ancora una volta di cose per tornare a vivere. Giacomo siede a terra e guarda, con sfinimento, le pile irregolari di scatole che contengono tutta la sua vita: libri; vestiti; oggetti inutili chissà perché conservati negli anni; lettere; appunti; documenti sanitari, documenti fiscali, documenti di ogni tipo e genere; stoviglie, bicchieri, le tazze per il caffè e quelle per il the; la spugna con cui si lava ogni mattina, le lamette con cui si rade, il filo interdentale e lo spazzolino; il telefono ed il pc portatile che lo tengono connesso al mondo; le fotografie accumulate negli anni; i soprammobili che non servono a nulla, ma che disegnano lo spazio conosciuto; le scarpe con cui esce di casa ogni mattina e le ciabatte che lo aspettano al ritorno, la radio che tiene tanta compagnia… Sicuramente, pensa, per un nomade non è così: i pochi oggetti che si porta dietro sono quelli indispensabili per sopravvivere e devono essere pressoché gli stessi per tutti, mentre la sua vita si snoda nei paesaggi che attraversa, si sostanzia delle persone che lo seguono e degli animali che lo accompagnano, si riconosce dalla tribù a cui appartiene. Giacomo si rende conto, al cospetto di quelle torri incerte che lo circondano, cosa vuol dire, invece, essere stanziali e vivere in un paese occidentale. Ogni attimo della propria vita, passata, presente e futura, si tramuta in un oggetto e allora le

nostre case diventano dei complessi archivi di memoria. Se si tratta di memoria del passato quegli oggetti diventano i nostri ricordi, che riposano magari in fondo ad un cassetto o nelle insondabili profondità dei ripiani alti dell’armadio, ma che così permangono in noi e talvolta, con stupore commosso, riaffiorano. Le memorie del presente si chiamano abitudini e guai a cambiarle! Basta non trovare le chiavi al solito posto o entrare in una casa nuova che ha un diverso odore, per sentirsi smarriti e spaesati. Immediatamente il nostro cervello si attiva per costruire una nuova ragnatela di gesti consueti e rassicuranti. Anche il futuro ha bisogno di memoria, strano a dirsi. È la memoria di ciò in cui vogliamo proiettarci, della meta a cui tendiamo: come l’orizzonte è il richiamo per il nomade così il progetto è la sfida per lo stanziale. Guai a dimenticare i nostri sogni ed i nostri desideri! Altri oggetti ci circondano e ci orientano al nostro futuro… Un trasloco, non è mai un semplice spostamento di cose, ma un rimescolamento delle nostre memorie. Giacomo, ora immobile nell’oscurità che si è fatta densa, sente dentro di sé le risonanze dei tanti ricordi smossi, svuotando i cassetti: tante cose le ha gettate via, per far spazio a vita nuova, ma non senza rimpianto. Nel silenzio avverte, con un brivido di paura, la sua fragilità che si è fatta manifesta in quello spazio incerto, ancora estraneo e non riconoscibile. Esce sul balcone e respira a lungo l’odore di terra bagnata che sale dopo la pioggia. Domani, pensa, se fa sole, bisognerà tagliare l’erba nel prato prima che diventi troppo alta…


insonnia

Giugno 2018

Quarant’anni senza manicomio

3

segue dalla prima

Basaglia era impegnato nel compito di riformare l’organizzazione dell’assistenza psichiatrica, ospedaliera e territoriale proponendo il superamento della logica manicomiale. “Non è importante tanto il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, e importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che

c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione”. Con la legge 180 vennero aboliti gli ospedali psichiatrici, fino ad oggi l’Italia è l’unico paese al mondo che abbia adottato un simile provvedimento. Nel giornale non abbiamo sufficiente spazio per trattare la bontà o le lacune di questa legge, ma vogliamo riportare le impressioni che alcuni personaggi,

implicati in questo ampio mondo della malattia mentale, ebbero nel momento in cui tutto questo stava avvenendo. Due documenti che riportiamo sono tratti dalla pubblicazione “una Finestra Aperta” che negli anni della presa di coscienza successivi alla legge Basaglia, motrice di questa grande trasformazione, si stampava ciclostilato all’interno dell’OP di Racconigi: sono

la testimonianza del dott. Roberto Marocchino e quella dell’ospite della struttura, Alessandro Mantelli. Mentre la terza è una suggestione dell’infermiere Bruno Crippa che racconta il riscatto di “Geniu”; lo scritto contiene il momento in cui Bruno seppe della morte dell’amico (ricorre a luglio l’undicesimo anniversario della sua scomparsa).

Quell’intenso profumo di tigli di Roberto Marocchino

La gentilezza di una amica mi ha fatto giungere, al mio ospedale di oggi, qualche numero di “Una finestra aperta”. Aperta sul mondo. Sul mondo che è oltre le mura del vecchio ospedale psichiatrico. Una finestra che è, per me che leggo queste pagine, un colpo di brezza che mi inebria e mi eccita dolcemente. Sarà la stagione. La primavera avanzata che va verso l’estate. Il profumo che l’accompagna ed in me esalta il senso della vita che va avanti. No, non è questa volta un profumo della mia infanzia, della cittadina di mare in cui sono nato. È il profumo dei tigli che non avevo sentito così intenso, così avvolgente come in quel giugno 1968, quando venni a lavorare come medico all’Ospedale Neuropsichiatrico della provincia di Cuneo, a Racconigi. Fu quello un passaggio importante della mia vita, uno di quelli che lasciano il segno per sempre, qualunque cosa venga poi a succedere. Mai dimenticherò il grande parco verde, ombroso di tigli, attraverso cui mi spostavo camminando da un reparto all’altro. Reparti in cui vivevano centinaia di persone, uomini e donne di tutte le età, tutte uguali nelle squallide divise, con qualche sola eccezione. Qualche ammalata che in tanti anni si era guadagnata la fiducia di essere accolta a fare lavori e lavoretti vari, sempre gli stessi, tutti i santi giorni dell’anno presso la Casa delle Suore.

A loro era concesso qualche cosa di più civile addosso, e qualche libertà di movimento fuori del reparto. Era quasi estate. Giornate lunghissime di sole si alternavano ad altre grigie, di pioggia che rinverdiva più ancora il parco e ne esaltava il profumo di tiglio. Giunsi un giorno luminosissimo. Senza preannunciarmi. Quasi per curiosità, mandato dal Direttore della Clinica delle Malattie nervose e Mentali dell’Università. Tutt’altro ambiente, per la verità. Mi accolse a braccia aperte un collega, rimasto dopo tanti anni un caro amico, il dr. Giuseppe Morino di Fossano. E subito mi presentò con elogi al Direttore di allora, il prof. Giacomo Donegani, profondo studioso dell’anatomia cerebrale. L’ospedale aveva allora, mi pare, più di milletrecento ricoverati. Se entravo io, i medici da quattro diventavano cinque. Anzi, da tre a quattro per i turni di guardia. Mi trovai dopo poco, infatti, in quello stretto ingranaggio di guardie, e per me, più giovane di tutti, festivi, prefestivi, e anche postfestivi. Vi si faceva un po’ di tutto. Senza strumenti, e senza il conforto degli altri specialisti, se non l’aiuto, sempre generoso e tempestivo, di quell’ottimo chirurgo che era il dr. Vittorio Sapegno. A qualunque ora del giorno o della notte lo si chiamasse, si precipitava a tutta velocità da quel di Rivoli. Di lui mantengo un

ricordo meraviglioso, come uomo e come chirurgo. C’era, non distante, l’ospedale di Savigliano, con il suo pronto soccorso. Ma i pazienti di ospedale psichiatrico non erano idonei ad un ospedale ‘civile’. Dovevamo fare tutto da noi, anche nelle situazioni più critiche. Per fortuna c’era Rivoli, che non è proprio dietro l’angolo di Racconigi, il buon Vittorio Sapegno che correva subito. Dimenticai persino le montagne che ero abituato a frequentare per molte domeniche all’anno. Uscii dal giro. Ed anche il Monviso, così vicino a Racconigi, che avevo già salito molte volte, un po’ da tutte le parti, si allontanò sempre di più. Sono passati quasi trent’anni. Ho continuato a tempo pieno a fare il medico per i pazienti “da ospedale psichiatrico”, vecchi e nuovi. Ho ritrovato, le montagne. Quelli di allora intanto, in molti avevano smesso. Altri hanno fatto delle montagne una professione: guide alpine, gestori di rifugio, maestri di sci. Oggi lavoro in un ospedale ‘civile’. Vedo, vicinissime, le montagne della Valle di Susa e del Delfinato. Senza, anche di questa stagione, il profumo dei tigli. Mi trovo immerso, con tutti i miei collaboratori, nella complessità dei problemi della nuova organizzazione psichiatrica, da scordarmi del tutto del vecchio ospedale psichiatrico. Ma se da qualche parte mi giunge quell’intenso profumo di tigli, di colpo rimbalza tutta la mia sensualità, in un caleidoscopio di emozioni e ricordi di quei giorni. Un sole caldo, alto sulle campagne attorno all’ospedale, che sembra non voler tramontare mai, nemmeno dopo che i ricoverati se ne stanno tutti già nei dormitori, dopo il pasto serale, come fosse già notte. Una natura attorno grassa, ribollente di luce e calura. Più nessuno a spasso per il parco. Nei reparti maschili, un acre odore di grasso stantio, di sudore, di fumo vecchio, che impregna camice e i pochi indumenti di

sotto. Poi le labbra di velluto avvolgenti, un corpo di donna, caldo come la natura attorno. Le prime musiche di “bossa nova” che arrivano allora in Italia, traboccanti di sensualità e di ‘saudade’. Ricordo che al primo stipendio corsi in città a fare incetta di dischi di Jobim, Joao Gilberto, Vinicius De Moraes, e di un ‘hi-fi’ per la mia stanza di ospedale: ormai ci vivevo, vi avevo portato le mie cose, non il pianoforte che era un problemaccio trasportare e poi non ci stava affatto. E tanti ricordi di ‘follia’, di quella ‘follia’ da ospedale psichiatrico, che nessun altro voleva attorno a sé. Fu lì che conobbi le leggi perverse del manicomio. Ma quello non era certo il peggior manicomio d’Italia. Ne visitai tanti: era certamente tra i migliori. Mi sentii anch’io un escluso. Anche se del mio tempo libero fuori dell’ospedale potevo fare quello che volevo. Non mi adattai. Sentii crescere in me la rabbia della rivolta. Rischiai il posto come un sovversivo, nonostante il giudizio favorevole del direttore. Fui salvato in extremis dall’intervento deciso di un collega esterno all’ospedale psichiatrico, il dr. Gianfranco Donadei, neurologo, che allora, nella tranquilla provincia cuneese, animava tutti i movimenti non violenti di progresso civile. La 180 venne molto tempo dopo. Ormai non ero più a Racconigi. E neppure ai Centri di Igiene Mentale di Cuneo o di Saluzzo, dove intanto con altri medici arrivati da altre esperienze, avevamo tentato a fatica, anzi tempo, osteggiati un po’ da tutti, di avviare una certa psichiatria “sul territorio”. In Francia avevo conosciuto la psichiatria “di settore”: Cuneo e Saluzzo mi sembravano lo spazio ideale, per avviarla. Oggi le cose non sono più quelle di allora. E lo si vede da questa vostra “Finestra aperta”. I problemi profondi della psichiatria rimangono. È vero: si tratta di una sofferenza ‘umana’ che non ha pari in nessun altra malattia. Una sofferenza spesso rimossa, respinta, scomoda, che disturba, che ‘rompe’. Anch’io mi affaccio alla mia finestra aperta. E lontano dal vostro verde parco mi investe, come allora, quel profumo di tigli. Mi illumino e vedo che, anche a Racconigi, tutti questi anni non sono passati invano. - da “Una Finestra Aperta”, n. 8, giugno 1994 – (Il dottor Marocchino ci ha lasciati lo scorso 27 dicembre all’età di anni 80.[n.d.r])


Giugno 2018

4

insonnia

EUGENIO, L’AMICO DI SCARNAFIGI di Bruno Crippa

Eugenio Ballari è un “matto” che ha trascorso l’intera sua esistenza nel Manicomio di Racconigi, nativo di Scarnagifi (Camamis come lo pronunciava lui). Sin da giovanissimo trascorre le giornate all’interno del Reparto Chiarugi con altri 350 pazienti. Poco so di lui fino a quando nel 1991 entra a far parte della mia vita lavorativa e non solo. Con l’apertura della Comunità Monviso è il primo paziente ad accettare con entusiasmo questo cambiamento con altri dieci ospiti di altri reparti. Entro subito in sintonia con lui e man mano che i giorni passano il rapporto tra “Infermiere e Ospite” lascia il posto a un rapporto tra “amico e amico”. La vita in Comunità lo appaga pienamente, tantissime cose potrei raccontare, dal suo comportamento gioviale con gli altri ospiti, al suo dire con il sorriso sulle labbra di quanto al Chiarugi era brutto vivere. Gli agnolotti erano la sua passione e quante volte, a casa mia, l‘ho visto contento mangiarli con gusto. Ma il periodo più bello è quello dei soggiorni marini a Laigueglia presso la Pensione Armida. Era il cocco di tutti i pensionanti, per la titolare e le sue figlie c’era solo Geniu e lo si capiva dalle porzioni a pranzo e cena. Quante risate sulla spiaggia, al momento di fare il bagno con il suo immancabile salvagente o seduto al bar della passeggiata a gustarsi un marsalin. Nel 1999 poi, fa la sua esperienza nel teatro di Cantoregi con i registi Gamna e Koji, frequentando prima con entusiasmo il laboratorio

teatrale di Grazia Isoardi. Fu emozionante per me condividere con lui palcoscenici torinesi come il Teatro Carignano e il Teatro Regio con gli spettacoli Voci Erranti e Barium, che fecero dimenticare ad entrambi i tetri dormitori e gli angusti cortili dove era impossibile vivere e sognare. Il mio pensionamento non disperde la nostra amicizia. Visite e uscite in città però si fanno man mano meno frequenti perché la sua salute glielo impedisce. Anno del Signore 2007 Gennaio ci ha visti sessantenni io e il mio amico Giancarlo e per festeggiare l’evento decidiamo di organizzare una camminata. Da tempo ci frulla per la testa un tracking in Islanda e così sarà. Con noi Ezio (trentacinquenne, sarà il nostro badante…). I preparativi all’evento mi eccitano, lo zaino preparato con meticolosità, Giancarlo ha tracciato l’itinerario. Saranno 180 km da percorrere in otto giorni. La partenza è fissata per il 15 luglio. Ma una parte di me è triste. Da giorni il mio amico Geniu è immobile in un letto della Comunità “Le Villette”. Alla vigilia della partenza vado da lui per un saluto, una stretta di mano, un sorriso. Gli porto la maglietta di Voci Erranti con la sua immagine stampata dell’indimenticabile scena delle barchette (lo spettacolo nel parco dell’ex Neuro “Voci Erranti” nell’estate 2000). Mi sorride stringendola a sé, mi riconosce e negli occhi vedo la sua gioia. So che non gli rimane molto da

vivere, purtroppo. Prego che non accada durante il mio viaggio, che mi aspetti. Giunti in Islanda, dopo aver lasciato Rejkiavjk la capitale, iniziamo il cammino tra deserti lavici, vulcani attivi, ghiacciai e cascate, consapevoli che per tutto il percorso saremo isolati e nessun contatto telefonico ci potrà raggiungere. Se il peso dello zaino mi rende il cammino faticoso, il paesaggio mi riempie gli occhi, il mio pensiero va spesso a Geniu e vorrei averlo a fianco per condividere queste bellezze. Al sesto giorno di cammino (21 luglio) ci troviamo nella incantevole zona di Skaftafell tra montagne di basalto, ghiacciaio e cascate, la nebbiolina e le nubi rasenti le nostre teste rendono il paesaggio fantastico. Sono diverse ore che camminiamo con addosso le nostre mantelle da pioggia e la meta del ghiacciaio è ormai alla nostra portata. È circa mezzogiorno (ora locale) quando uno squillo e poi un altro del mio cellulare irrompe in tutto quel silenzio. Sorpreso e stupito, mi raggiunge una voce femminile annunciandomi che poche ore prima Geniu era deceduto. Pochi secondi e ritorna il silenzio. La voce dell’Educatrice è volata via. Rimango impietrito. Giancarlo e Ezio, pochi metri avanti a me, non si accorgono di nulla. Provo e riprovo a ricollegarmi, torno sui miei passi… nulla! La nebbia si dirada, il ghiacciaio è lì davanti, imponente, la pioggia si fa più forte e fredda. Tutto è irreale. Po-

chi passi e sarei con gli amici ma le mie gambe si fermano. Guardo quel cielo plumbeo, le lacrime si mescolano alla pioggia e una preghiera esce spontanea dal cuore. Quel giorno in quel posto incantato e alla fine del mondo, non può essere stato che un folletto dei ghiacci o un trolls della foresta, a volermi far giungere quella notizia… Riprendo il cammino, avverto la sua presenza, Geniu è accanto a me, mi sorride e mi saluta. Un raggio di sole improvvisamente spunta fra le nubi. Mai come ora è libero da tutto e da tutti. Ottobre 2007

Il punto di… di Alessandro Mantelli, ospite Comunità Monviso

Sono passati tantissimi anni, direi dall’altro secolo, proprio dalla fine del 1000ottocento fin verso i giorni nostri quanti malati dall’apertura dell’Ospedale alla chiusura direi di questi giorni. In concreto negli anni passati da me personalmente nel vecchio Ospedale Neuro quanti malati che ho conosciuto e tanti ho visto morire, all’incirca nel trentennio di ricovero. Ora le vecchie strutture dell’ex Ospedale Neuro non esistono più. Ogni reparto con il tempo si tramuterà in Comunità. Noi della Comunità Monviso, loro della Comunità Giardino, ed in breve tempo si formeranno altre Comunità maschili e femminili; non ci vuole più molto, sono alloggi le Comunità, con stanzette per dormire a due letti, salotto per il pranzo e la cena e corridoi dove si può passeggiare. Un viale alberato, direi un giardino, ove si sosta con i familiari o da soli su comode panchine. Già alla mattina presto camion di varie misure entrano e escono dalla porta dell’ex Neuro. Educatori, educatrici, infermiere o insieme in discussione con gli ammalati o che vanno a ritirare il pacco dalla farmacia. Un via vai che allora non esi-

steva. Io personalmente esco da solo per la città di Racconigi; altri miei amici escono con le infermiere o con gli operatori o con i signori medici. Stiamo per concretizzare direi, come sosteneva la dottoressa Casi, una città nella città. Gli ospiti penso, secondo il mio pensiero, sono contenti. Pulmini dell’ospedale entrano e escono; soggiorni in Liguria a Laigueglia e così via “Semper ad meliora” come dicono i latini antichi. Ora scrivo e non mi dilungo più a lungo, che bello, i giorni passano, attendiamo i nostri familiari, e si pensa ai giorni che passeremo al mare il prossimo mese di settembre, e non ci vuole molto, vero, la fine dell’estate molto prima dell’autunno direi un’allegra brigata verso la Liguria. Penso che fra due o tre anni ognuno soggiornerà in vera Comunità Alloggio!! Con ciò concludo il mio scritto: proprio una città nella città. - da “Una Finestra Aperta” n. 3 – marzo 1993 – (L’amico Mantelli ci ha lasciati il 18 gennaio del 2013 all’età di anni 71.[n.d.r])


insonnia

Giugno 2018

5

Montagnaterapia alle pendici del Monviso

Presentazione del libro “ Un Quintino di Salute – Esperienze di montagnaterapia alle pendici del Monviso” e … riflessioni in ordine sparso! di Domenico Alessio

Lunedì 14 maggio al Salone internazionale del Libro di Torino l'Arena Piemonte era gremita in ogni ordine di posti quando verso le 12,30 Livio Tesio, attuale dirigente regionale della Coesione Sociale, ha dato il via alla tavola rotonda che ha visto la partecipazione degli Assessori Regionali Augusto Ferrari e Alberto Valmaggia, oltre a quella della D.ssa Daniela Massimo, psicologa dell'ASL CN1 e di Elena Perizzolo, educatrice professionale dello Cssac di Chieri. Il motivo di questo appuntamento era la presentazione del libro "Un Quintino di Salute - Esperienze di montagnaterapia alle pendici del Monviso", nato dalla raccolta di testimonianze di utenti di svariati servizi, operatori, amministratori, volontari, rappresentanti delle istituzioni, familiari, richiedenti asilo ed esperti di montagna che il 28 e 29 agosto 2017, in chiusura dell'attività di Officina Monviso, sono saliti e hanno pernottato al rifugio Quintino Sella, raggiungendo poi quasi tutti il giorno seguente la cima del Viso Mozzo. Da segnalare che la sera del pernottamento nel refettorio del rifugio, magicamente trasformato in sala riunioni, con tanto di proiettore per filmati, si è tenuto un vero e proprio “convegno”, con oratori istituzionali e non e dove hanno preso la parola tantissime persone, che hanno dimostrato di essere a proprio agio e libere di esprimere i loro pensieri. Nella sua riflessione riportata nel libro, Livio dirà “Ho partecipato al convegno più bello della mia vita: in un posto magnifico, con gente bellissima, con la partecipazione di tutti … mai successo in una vita di convegni a cui ho partecipato!”. Coloro che sono saliti al rifugio nelle due giornate hanno condiviso un'esperienza unica. Attraverso i loro scritti hanno poi raccontato quanto accaduto e, come una lente d'ingrandimento, messo a fuoco e reso percepibili le emozioni. Dalla raccolta di queste, con il collante di bellissime foto - favorite da condizioni meteo stupende - è nato un vero e proprio libro di 60 pagine, che dimostra come camminare insieme sia stato un modo per "accorciare le distanze" e favorire contaminazioni professionali, culturali e generazionali che sono state la vera forza e bellezza dell'esperienza. Ci sono tanti modi diversi per assaporare e vivere la bellezza della montagna. Il libro contiene pertanto una pluralità di pensieri e di punti di vista, che si completano a vicenda e

danno pari valore al tutto. Per rientrare nello specifico della presentazione, erano circa 200 i presenti, provenienti da gran parte dei servizi che aderiscono abitualmente alle uscite organizzate nell'ambito di Officina Monviso dal coordinamento Montagnaterapia Piemonte. Con loro anche quattro "ragazzi del Carlo Alberto", che da oltre un anno partecipano stabilmente alle nostre attività e forniscono un validissimo aiuto a chi ne ha bisogno, dimostrando altresì un chiaro esempio di integrazione! Giunto a questo punto mi viene spontanea una riflessione, che esula forse un po’ dall’argomento specifico della presentazione del libro, ma che ci può stare … se si allarga un po’ l’orizzonte! Fra i servizi partecipanti alle uscite di montagnaterapia i numericamente più consistenti sono quelli legati alla disabilità – nelle sue varie forme – e quelli della salute mentale. E qui si inserisce la mia riflessione “allargata”: i servizi legati alla salute mentale, dapprima istituzionali e successivamente territoriali, hanno costituito il mio campo di lavoro per ben 35 anni! Pochi giorni fa si sono ricordati i 40 anni dall’entrata in vigore della legge 180, la legge Basaglia. La domanda che mi pongo - e che so improponibile - è questa: non dico 40 anni, ma anche soltanto 35 o 30 anni fa, sarebbe stato ipotizzabile pensare di accompagnare in montagna persone con il passato di “una vita” trascorsa fra quattro mura, con pochissime relazioni extra istituzione, comprese quelle con i parenti più stretti, con la presunzione che ciò servisse a qualcosa? Eppure, grazie a quella legge al tempo tanto osteggiata, e al giorno d’oggi applicata non senza difficoltà, fra progetti magari ancora incompleti/incompiuti/sicuramente da migliorare, da un po’ di anni si può fare e si può affermare che l’obiettivo del reinserimento sociale di persone meno fortunate di noi, non è più utopia. La storia del “superamento” del Neuro di Racconigi ne è un esempio: l’obbligo di “dover chiudere tutto” nei tempi previsti dalla legge ci ha “costretti” il 16 marzo 1992 ad “aprire” la Comunità Alloggio Monviso, fuori dagli spazi abituali del neuro. Uso termini brutti, ma vi assicuro, erano proprio quelli! Da questa data, dopo l'avvio di Comunità Alloggio e Gruppi Appartamento, è iniziato un percorso di cambiamento nella vita abituale di persone prove-

nienti per la maggior parte dai reparti tradizionali, volto prevalentemente all’esterno. Questo“rodaggio” non è certo stato facile, né tantomeno breve … Fra gli aspetti positivi, legati alla costante frequentazione del mondo dell' apparente normalità, mi permetto di segnalare che nel mese di agosto 2003, dopo una estemporanea gita su un sentiero di montagna, è arrivata da parte di Alessandro, Renato, Franco, Mario, ecc. la richiesta di programmare ancora altre uscite per camminare assieme. Poco dopo abbiamo appreso che iniziative simili alla nostra erano partite anche in altri servizi territoriali legati alla salute mentale e non solo in Piemonte. Era nata la “montagnaterapia”, termine per tanti versi non bello, ma che sottintende un obiettivo, un progetto: far sì che tutti, ma proprio tutti possano star bene godendo della bellezza, della tranquillità, dell’amicizia di compagni di viaggio... e scusatemi se è poco!


Giugno 2018

6

Oggi si benedice di tutto: non solo i caschi, ma libri e animali, acqua e rami d’ulivo, case e ospedali, candele, statue, immaginette e medaglie, morti, bare e reliquie, armi ed eserciti (come fare un uso evangelico delle armi? qualcuno potrebbe pensare all’idea di “guerra giusta” su cui già don Milani ebbe ad

insonnia

esprimere la sua contrarietà). Secondo la Chiesa, anche se a benedire sono gli uomini, si tratta comunque di benedizione divina. Dio si serve di uomini per elargire la sua benedizione. Cerchiamo di ricordarcene prima di “benedire”, col rischio di chiamare Dio ad assecondare i nostri capricci.

“IL BUON PASTORE” - GIOVANNI 10, 11-18

commento alla lettura biblica di domenica 22 aprile

a cura di Guido Piovano

SACRAMENTALI E SACRAMENTI La benedizione dei caschi che il parroco don Maurilio ha impartito domenica 20 maggio in San Giovanni e poi in piazza Caduti per la Libertà ha fatto discutere. Il parroco stesso nella omelia ha sentito il dovere di precisare che benedizioni come queste non devono essere ritenute “atti di superstizione” - come certi, sedicenti tali, teologi potrebbero supporre! - ma sono “sacramentali” che mirano ad “avvicinare a Dio”. Sacramentali non sacramenti. La distinzione è propria della Chiesa Cattolica: mentre i sacramenti derivano da un ordine divino, i sacramentali sono istituiti dalla Sede Apostolica al fine di ottenere benefici spirituali. Recita il Catechismo della Chiesa Cattolica agli articoli 1677 e 1678: “Si chiamano sacramentali i sacri segni istituiti dalla Chiesa il cui scopo è di preparare gli uomini a ricevere il frutto dei sacramenti e di santificare le varie circostanze della vita.” “Fra i sacramentali, le benedizioni occupano un posto importante. Esse comportano ad un tempo la lode di Dio per le sue opere e i suoi doni, e l'intercessione della Chiesa

affinché gli uomini possano usare i doni di Dio secondo lo spirito del Vangelo.” Tutto bene dunque: usiamo i caschi, le moto, la strada e quant’altro al meglio, secondo lo spirito evangelico. Non mi convince. Non voglio certo fare quel teologo che non sono, ma più semplicemente condividere alcune riflessioni. Credo che il sacerdozio non presupponga l’esclusiva su lettura e interpretazione del Vangelo; forse sulle norme stabilite dalla Chiesa Cattolica nella storia, sì. Quando a fronte di una qualsiasi prassi ecclesiale si propone come unica giustificazione una norma della Chiesa, un po’ storco il naso. Il moltiplicarsi di benedizioni, processioni, consacrazioni mi lascia perplesso: sa di assecondamento, se non di sfruttamento, di tradizioni popolari che per quanto animate da una fede genuina rischiano di cadere per l’appunto nella superstizione. Nessun giudizio sulle persone, ma compito della Chiesa non dovrebbe essere proprio quello di guidarle ad una fede adulta che si motivi nell’Evangelo, invece di accrescere fittiziamente il sacro?

"Io, dice Gesù, sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me". Ecco il messaggio profondo ed impegnativo della parabola: solo se si conosce la vita concreta delle persone, se si ascoltano le loro voci, se ci si lascia coinvolgere nei loro vissuti, se si prende sul serio la loro esperienza e la loro saggezza, se si valorizzano i loro talenti di amore e di profezia quotidiana, solo allora si diventa "pastori che conoscono il gregge". Oggi chi non ascolta con il cuore l'esperienza e il grido di chi è ai margini della chiesa e della società, chi non ascolta le voci delle donne, degli omosessuali, degli stranieri, dei separati e divorziati, dei tanti/e delusi dalla chiesa... vive fuori

dalla realtà e, pur tra mille parole e iniziative, resta chiuso nel mondo di una cristianità scomparsa e ignora lo spazio di quel cristianesimo profetico che va cercato più nella strada che nelle canoniche. È la "puzza del gregge", dice papa Francesco, che può risvegliare la chiesa. Io direi che è il "profumo del gregge", il vocìo delle persone, la loro voglia di vita e di cambiamento, la loro richiesta di autenticità che può ridonare freschezza e passione a tutti e tutte coloro che sentono la responsabilità di un servizio di animazione nella comunità ecclesiale. Sapranno i vescovi nel prossimo sinodo ascoltare le autorevoli voci del popolo di Dio? don Franco Barbero, 21 aprile 2018

RELIGIONI E POTERE "Religioni unitevi per il rispetto della dignità umana. San Francesco e Buddha siano le nostre guide, mettiamo fine ai pregiudizi": l’appello di papa Francesco nel suo recente viaggio in Myanmar non sembra aver migliorato la dura realtà di quel Paese. Infatti, nell'ex- Birmania il governo buddista dopo la feroce persecuzione contro la minoranza

musulmana Rohingya è passato ora a perseguitare la minoranza cristiana. Il buddismo come ‘religione della nonviolenza’ sta evidenziando tutta la sua inconsistenza. Il fatto è che, se a contatto del potere o con l’arrivo al potere, le religioni, tutte le religioni, diventano violente. Nessuna esclusa.

TirietichetiTARI di Zanza Rino

Un brivido ha colto i cittadini racconigesi: è arrivata la TARI e non ha portato buone notizie. Si paga di più. “Ma come, l’anno scorso è diminuita… e quest’anno è aumentata… governo ladro”. Piano, piano, prima di sparare condanne. Qui il Comune c’entra poco, come potete leggere in un altro

articolo. I costi di raccolta sono cresciuti, vanno coperti con la TARI e quindi… E quindi paghiamo, ma… Nel programma della campagna elettorale, un anno fa, chi oggi amministra Racconigi non aveva scritto che intendeva ridurre i costi e migliorare i servizi? Il nuovo appalto era già in gestazione, che non erano fiori si sapeva, perché promettere quello che non si poteva mantenere? È pur vero che in campagna elettorale le promesse si sprecano e non costano nulla, come ragionava il cacciatore che vendeva la pelle dell’orso prima di averlo preso. Eh…va bè… però il servizio… È migliorato? Le strade sono più pulite? Le cacche dei cani sono spa-

rite? La raccolta funziona meglio? Ditelo voi. Per la verità il sindaco nell’ultimo Consiglio comunale ha detto con orgoglio che Racconigi è il primo comune del consorzio per la raccolta differenziata. È bello sentirlo dire, quando stava all’opposizione gli era forse sfuggito che Racconigi era diventato il primo già dal 2015 e primo è rimasto in tutti gli anni successivi. Ha ringraziato i racconigesi, per questo risultato, e ha fatto bene. Si è dimenticato di ringraziare chi quel risultato ha reso possibile con un faticoso lavoro di riorganizzazione senza il quale dovremmo fare i conti con 80/100mila euro in più di costi annui, da ripartire sulla nuova già salata TARI.

Ascolti, sindaco Valerio. Mi scusi se mi rivolgo a lei con questo tono un po’ confidenziale, ma oggi i sindaci non mancano mai di dichiarare che vogliono essere i sindaci di tutti (perfino il nuovo capo del governo ha dichiarato di voler essere l’avvocato di tutti e sa il cielo se noi di Insonnia ne abbiamo bisogno) e quindi lei è anche il mio sindaco. Ascolti sig. sindaco, è poi così difficile riconoscere il lavoro che altri hanno fatto e di cui si beneficia senza sforzo? Come si usa dire: “non impegna e fa fine”. Comunque c’è ancora tempo. Per migliorare il servizio e per tornar a contenere i costi. Ma c’è tanto da fare.


insonnia

Giugno 2018

7

L’AUMENTO DELLA TASSA SUI RIFIUTI segue dalla prima

Il 22 maggio 2017 (a pochi giorni dalle elezioni comunali) sulla Gazzetta Ufficiale veniva pubblicato il Decreto del Ministero dell’Ambiente dal titolo “Criteri per la realizzazione da parte dei Comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati”. Il Decreto entrava in vigore dopo 15 giorni dalla pubblicazione (6 giugno) e prevedeva che, entro due anni, i Comuni avrebbero dovuto adottare la tariffazione puntuale dei rifiuti ovvero fare in modo che gli utenti pagassero in base alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta. Questa norma rappresenta un’evo-

luzione epocale e, considerando che l’appalto per i rifiuti avrebbe avuto una durata di sette anni, tutto l’impianto del servizio, a nostro avviso, avrebbe dovuto essere rivisto alla luce dell’esigenza, da parte di tutti i Comuni del Consorzio, di adeguarsi alla nuova tariffazione (con inevitabili ricadute anche sulle modalità di raccolta e conferimento). C’era quindi la possibilità concreta di richiedere una sospensione della gara, con una proroga del servizio allora in essere, per rivedere tutto l’impianto. Com’è noto la passata Amministrazione non è stata riconfermata, ma l’attuale Sindaco è stato, subito dopo l’insediamento, informato di questa possibilità. È possibile che, nella frenesia dei primi giorni, non sia stata tentata alcuna azione. E questo è un peccato, perché adesso ci troviamo a pagare di più, con meno servizi e con la prospettiva di dover comunque trovare delle soluzioni (che potrebbero comportare un ulteriore in-

cremento dei costi) per arrivare alla tariffa puntuale nei tempi previsti dalla normativa. Ho voluto chiarire questa vicenda poiché mi è giunto all’orecchio che qualche Amministratore, per giu-

stificare gli aumenti della TARI, ha brillantemente scaricato le responsabilità sull’Amministrazione precedente. È giusto che i cittadini dispongano sempre di tutti gli elementi per poter giudicare con serenità.

Due parole sul sessantotto e su qualcos'altro

segue dalla prima

E la Resistenza? Certo ha a che fare con la morte di Mussolini, ma è stato anche tanto altro.

Per il resto delle reti televisive un mare di film, spettacoli musicali, telefilm, talk-show, dibattiti sul futuro governo. Uno squallore. E il Sessantotto? Che c'entra con tutto questo? Riprendiamo le parole di Pasolini. Insieme alla Resistenza sarebbero “le due uniche speranze democratico-rivoluzionarie del popolo italiano”. Infatti tutti sappiamo che la Resistenza ha sconfitto il nazifascismo, ha ispirato i principi fondamentali della Costituzione repubblicana italiana, che per la prima volta introduceva nel nostro paese il suffragio universale. È stata realmente la prima e forse unica lotta democratica condotta dal popolo italiano. Anche il Sessantotto fu un grande movimento democratico e rivoluzionario. Fu una grandiosa insurrezione giovanile, che non durò qualche settimana o qualche mese, come è avvenuto per altre proteste studentesche scoppiate negli anni successivi. Il Sessantotto è stato un fenomeno unico e credo irripetibile. In primo luogo non fu solo italiano, ma si diffuse dappertutto, dagli Stati Uniti, da cui partì, a molti paesi europei. Mise a soqquadro città intere e università, contestò l'autoritarismo della società borghese, il perbenismo e l'ipocrisia delle classi dirigenti, denunciò lo sfruttamento del lavoro operaio e lottò per la formazione di una società basata veramente sulla giustizia e sull'uguaglianza. Utopia? Può darsi. Tanti di quegli obiettivi non furono mai raggiunti. Errori? Certo, ne furono commessi tanti, ma non tutto finì nel nulla. Fu grazie alle lotte tenaci condotte da quegli studenti che la società, soprattutto quella italiana, subì una profonda trasformazione e poté raggiungere obiettivi di vita civile che resero il nostro paese più libero e più democratico. Penso alle leggi sul divorzio e sull'aborto, alla nascita del femminismo e alla democratizzazione della vita scolastica. Dalla lotta partigiana sono passati più di settanta anni, dal Sessantotto cinquanta. Cosa ne rimane oggi? Sembra che ne sia rimasto ben

poco. La società italiana che si apriva alla vita democratica nel dopoguerra e all'emancipazione civile nei primi anni Settanta oggi è immersa in una palude soporifera, nella quale sembrano scomparse le differenze sociali e politiche. Non si parla più di lotta di classe e di sfruttamento, una terminologia che appare obsoleta, che non vuole dire più nulla, che non definisce aspetti fondamentali della vita sociale. Sono scomparsi i datori di lavoro e i lavoratori dipendenti? I loro interessi non sono più inconciliabili? Non esiste più l'accumulazione del profitto attraverso lo sfruttamento del lavoro? Si diventa ricchi per miracolo? In altre parole non esiste più la lotta di classe? Allora vuol dire che viviamo in pieno socialismo, se non esistono più conflitti sociali ed economici. Infatti le forze politiche emergenti, in particolare la Lega e il M5S, affermano di non essere né di destra, né di sinistra. Il Partito Democratico, erede del Partito Comunista, non è più il partito dei lavoratori, non ha più una classe sociale di riferimento. Sembra veramente che non esistano più differenze di classe. Tutte le forze politiche sono diventate interclassiste, almeno apparentemente, in un magma indistinto nel quale non esistono più punti di riferimento e ci si fida del primo ciarlatano che parla di onestà e di difesa dei propri più o meno miserabili interessi. La verità è che questa situazione porta sempre vantaggi ai ceti ricchi, che si arricchiscono sempre di più, mentre la classe media va scomparendo e i ceti popolari si vanno impoverendo senza sapere a chi rivolgersi per ottenere un più degno livello di vita. È vero, aveva visto giusto Pasolini, solo la Resistenza e il Sessantotto hanno prodotto profonde trasformazioni nel tessuto sociale del nostro paese, rendendolo più libero e più democratico. Oggi c'è solo silenzio e deserto, qualunquismo e degenerazione statalistica, un oscuro tunnel in fondo al quale non si intravede ancora nessuna luce. 16/ maggio 2018


ins

onn insonnia ia g iov an

Giugno 2018

8

ALFABETIZZANDO..... LE PAROLE DEI GIOVANI

i

OPPORTUNITÀ

Realizzato da Alessandro, Alessia, Andrea, Darius, Marco, Matteo, Roberto

Opportunità è una parola che ci fa sognare e accende in noi pensieri ed emozioni aiutandoci a progettare il futuro. “Il pessimista in ogni opportunità vede una difficoltà. L’ottimista in ogni difficoltà vede un’opportunità.” (Winston Churchill) I media digitali offrono opportunità per ampliare i saperi, cercare lavoro, ma anche molti rischi, come la dipendenza. Le relazioni virtuali comportano anche molti pericoli: l’opportunità può trasformarsi in rischio

se non è calibrata consapevolmente. Anche le occasioni mancate possono trasformarsi in opportunità perché accrescono le nostre esperienze e ci pongono in un atteggiamento di maggiore attenzione verso la vita. Quando meno te lo aspetti le occasioni tornano e possono essere afferrate senza più esitare. Spesso abbiamo paura degli ostacoli che troviamo sul nostro percorso, l’opportunità si presenta raramente e dobbiamo coglierla al volo cercando di dare il meglio di noi.

Opportunità è una parola difficile che noi non possiamo spiegare con una semplice frase, è un insieme di piccole circostanze e sensazioni che ci portano a nuove emozioni. “È chiaro che il futuro offre grandi opportunità. È anche disseminato di trabocchetti. Il trucco consiste nell’evitare i trabocchetti, prendere al balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena.” (Woody Allen) L’opportunità porta la felicità quando si incontra con le nostre abilità.

cativo troppo permissivo e uno scarso controllo, da parte dei genitori, di ciò che i figli fanno sul web. Riteniamo, inoltre, che una delle cause dell'impoverimento culturale e della scarsa disciplina di questa generazione sia l’aboli-

zione della leva militare obbligatoria: trascorrere un anno nell'esercito, infatti, portava i giovani a coltivare gradualmente un senso di responsabilità, sentimento che non sempre appartiene, invece, ai giovani d'oggi. Un uso sbagliato della tecnologia, abbinato allo scarso controllo da parte dei genitori e alla mancanza di limiti personali, può persino portare i ragazzi ad essere travolti dal "lato oscuro" del web. Per invertire la rotta è necessario che gli adulti vigilino sui "movimenti" dei giovani tra nuove applicazioni e social-network: in questo modo si accoglierebbero le innovazioni frutto dell'evoluzione tecnologica, senza perdere di vista le sane "vecchie" abitudini, come un post-it sul frigo con scritto «Buona giornata!».

DA POST-IT A POST di Simone Atzori, Andrea Bianco, Mihai Zamfir - 4ᵃ A Periti

Facciamo parte della "generazione della tecnologia", un’era in cui possiamo relazionarci con persone di ogni tipo e in tempi brevi, pur essendo a grandi distanze. Viene, però, da chiedersi: tutte queste agevolazioni ci aiutano veramente? Con l’avvento delle innovazioni tecnologiche, gran parte della popolazione ha iniziato ad acquistare dispositivi elettronici e questo ha portato spesso le persone a sentirsi parte più del mondo virtuale che di quello reale. Soprattutto nei giovani, i cosiddetti "nativi digitali", cresciuti a pari passo con la tecnologia, si nota maggiormente questo fenomeno: l’attenzione dei ragazzi, infatti, è tutta rivolta al bisogno di sentirsi parte integrante della nuova società 2.0. Ecco perché è fondamentale avere interessi e obiettivi nella vita: in questo modo si evita di cadere in un circolo vizioso che porta alla noia e a chiudersi nei social, un

rischio che spinge al disinteresse verso ogni aspetto della vita reale. Facendo un piccolo salto indietro nel tempo, è possibile notare che le abitudini sono cambiate radicalmente. Fino a vent'anni fa, il modo più usato per relazionarsi, per esempio, con l’altro sesso, era semplicemente trovarsi in luoghi comuni, passando le giornate a parlare e a scambiarsi idee: ora, invece, "per fare colpo", ci si ritrova a usare faccine ed emoji. Allo stesso modo, se, in passato, i migliori della compagnia si distinguevano per il coraggio o per le abilità atletiche, ora viene indicato come leader colui che è più conosciuto nel mondo del web. Questo cambiamento lascia il morale a terra alle vecchie generazioni e a chi crede ancora nell’importanza della personalità e dei rapporti umani. Alla base di questo preoccupante fenomeno ci sono quasi sempre, secondo noi, un modello edu-

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

info@maipiusole.it Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684


insonnia

ins

onn

Giugno 2018

Quaquaraquà

di Lorenzo Sperino – cl IV L Liceo Scientifico

Il sicilianismo quaquaraquà entra nella nostra lingua dopo la pubblicazione del romanzo di Leonardo Sciascia Il giorno della civetta (1961), in una pagina del quale, durante un interrogatorio, il boss mafioso don Mariano Arena spiega al capitano dei Carabinieri Bellodi la sua visione del mondo: Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l'umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz'uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Se i primi sono quelli che riescono a pensare con la loro testa, ad avere rispetto per gli altri e a difendere un proprio ideale, i quaquaraquà scambiano il dire per il fare: importante per loro è parlare e far parlare di sé, per ricavarne vantaggi, anche a costo di diven-

tare calunniosi e maledicenti; ai quaquaraquà interessa pertanto solo parlare per parlare: alla loro loquacità (che ricorda il verso delle anatre) non corrisponde una capacità effettiva, e per questo sono individui poco affidabili, talvolta molto pericolosi. E di quaquaraquà purtroppo è sempre più pieno il mondo, in quanto siamo sempre più travolti dalle parole: parole vuote, inutili, sbagliate, false, volgari, inopportune… In realtà la parola dovrebbe essere preziosa poiché essa distingue l’uomo da ogni altro essere vivente; con essa costruiamo il nostro pensiero e operiamo sulla realtà: bisognerebbe imparare a misurarla, a sceglierla con ponderazione, a usarla con senno; le parole sono pietre recita il titolo di un romanzo di Carlo Levi, mentre la nostra esistenza è sommersa dalla verbosità, dal turpiloquio, dalla aggressività verbale, dalle false promesse. E se questo disturba nella quotidianità, a scuola, al lavoro, in casa, diventa insopportabile quando avviene in quelli che dovrebbero essere i livelli più nobili e colti della società, negli ambienti della politica e delle istituzioni. Viviamo in un contesto politico in cui lusinga, inganno, manipolazione, superficialità, banalizzazione delle complessità ed interessi personali sono spesso alla base dell’atteggiamento di molti governanti, preoccupati esclusivamente di guadagnare il favore di un elettorato forse troppo disinformato, ignorante e

9

ia gi ova ni

frammentato. La democrazia rischia dunque di degenerare in demagogia: per ottenere la notorietà e il consenso, per conservare la poltrona, per assicurarsi vantaggi, si è disposti a far propri malumori e rivendicazioni delle masse e promettere soluzioni, non importa se realizzabili, utili, razionali … pur di raggirare il cittadino e di accontentare ipocritamente i suoi sentimenti. Sotto un certo punto di vista non c’è neanche troppo da stupirsi: si tratta di una atteggiamento politico da sempre praticato; già Socrate, nel V secolo avanti Cristo, dimostrava come i governanti ateniesi fossero abili oratori che, però, spesso ignoravano il senso reale e la fattibilità di ciò che dicevano. La naturale conseguenza di questi comportamenti diventa la sfiducia verso le istituzioni e verso i partiti, visti paradossalmente come ostacolo alla democrazia e alla libertà, e, cosa ben più grave, un atteggiamento di scetticismo e di cinismo verso gli altri e verso la possibilità di giungere alla Verità. O forse il problema è un altro: esiste una unica Verità? Feyerabend, filosofo della scienza del 900, ammonisce in proposito: Non è vero che abbiamo l’obbligo di seguire la Verità. La vita umana è guidata da molte idee e la Verità è una di esse. Se la Verità, com’è concepita da alcuni ideologi, entra in conflitto con la Libertà allora possiamo scegliere. Potremmo anche abbandonare la Verità.

Il nostro amico John Mpaliza, "The Peace Walking Man"

Da Reggio Emilia a Ginevra a piedi per chiedere pace per il Congo di Angela Inglese

Abbiamo percorso con John l'ultimo tratto da Mousullaz a Ginevra, (6 km) ultima tappa della sua marcia per la pace nel Congo, partita da Reggio Emilia il 22 aprile e terminata il 26 maggio davanti al palazzo delle Nazioni Unite a Ginevra. Organizzata da Peace Walking Man Foundation e dal comitato #Stand4DRCongo, costituito da 30 giovani studenti di alcune scuole di Reggio Emilia, la lunga camminata intende richiamare l’attenzione di istituzioni, media e opinione pubblica sulla crisi attualmente in corso in Congo. Ha percorso 560 chilometri, attraversando la Pianura Padana, le Alpi, la parte sud orientale della Francia, per arrivare in Svizzera, dove hanno una loro sede le Nazioni Unite per consegnare : • Un messaggio di pace ai potenti del mondo: fate cessare le violenze e la guerra in Repubblica Democratica del Congo. • Una missiva semplice ma accorata, davanti agli 8 milioni di morti stimati negli ultimi vent’anni in questo clima di guerra che si protrae nel cuore dell’Africa. • Un messaggio del quale non si fanno più portatori solamente i congolesi, ma che viene condiviso anche da tanti italiani. Da 10 anni attraversa l’Europa a piedi per sensibilizzare governi e opinione pubblica sulle devastazioni prodotte

in Africa dalla “Guerra del coltan”, minerale preziosissimo impiegato dalle industrie hi-tech come componente di pc, cellulari, tv e apparecchi elettronici. John Mpaliza, ingegnere informatico 49enne originario del Congo, denuncia la guerra che insanguina il suo Paese: «Il conflitto serve a favorire l’accaparramento illegale e a basso costo del coltan, che in Congo è pagato poche decine di centesimo al kg, mentre in Europa è rivenduto a 600 dollari. Questa guerra ha mietuto in 20 anni 8 milioni di morti e altrettanti profughi, e il rapporto mapping dell’Onu ha parlato di un vero e proprio genocidio

avvenuto tra il ’93 e il 2003». Oggi in Congo sono visibili ovunque i segni della distruzione: «Scuole, ospedali, infrastrutture, tutto distrutto. Migliaia di donne e bambine sono state vittime di violenze, con conseguenze fisiche e psicologiche che le hanno segnate a vita» dice John, spiegando che il coltan «viene spesso estratto da minatori bambini, con gravi effetti per la salute perché è un materiale radioattivo, senza contare i frequenti crolli dei tunnel d’estrazione». Dopo l’Europa, John ha deciso di portare la sua marcia in Africa: «Se vogliamo cambiare le cose lì, non basta agire in Occidente» ci dice. «Il

vero cambiamento deve nascere dal Congo, dall’Africa stessa, perché non è scontato che la popolazione sia informata correttamente di quanto sta avvenendo nel proprio Paese, e della relazione tra il genocidio e gli interessi economici dei Paesi stranieri. Gli africani devono capire che loro per primi possono avere in mano le leve del cambiamento». A Carmagnola, l’associazione Karmadonne ha sposato la causa di John , sostiene la sua marcia accogliendolo nella sua sede Casa Frisco e supportandolo nell’opera di sensibilizzazione. Il 3 e 4 maggio John ha fatto tappa a Carmagnola dove ha incontrato piu' di 300 studenti dell'IISS Baldessano-Roccati,i giovani del circolo ArciMargot, la cittadinanza , le donne dell'Associazione Karmadonne e alcuni nostri ragazzi richiedenti asilo ed insieme abbiamo percorso un tratto di strada fino a Moncalieri dandoci appuntamento a Ginevra e cosi' e' stato. A Ginevra la comunita' congolese ci ha accolti con calore, preparandoci un gustoso picnic consumato nel parco del lago Leman.Tanta simpatia e solidarieta' ed ancora una volta ci siamo sentiti profondamente legati alla stesso destino. La pace è possibile ma non può arrivare se non la si cerca “dice John .


Giugno 2018

10

TERREMOTO

insonnia

La sinistra di fronte al risultato delle elezioni di marzo: resoconto dell'analisi di Marco Revelli nell'incontro a Racconigi a cura di Giancarlo Meinardi

Il 4 marzo 2018 è successo un terremoto. Viene da trasformazioni profonde della nostra società (e del corpo elettorale), ma non giunge del tutto inaspettato, perché i segnali già c’erano nelle elezioni del 2013. Nel 2008 circa l’80% del corpo elettorale era focalizzato su due poli, il centro sinistra intorno al Partito Democratico e il centro destra intorno a Forza Italia. Nel 2018 entrambe queste forze politiche sono praticamente dimezzate. In dieci anni si sono spostati 20 milioni di voti (circa la metà dei votanti). Cosa è successo?

L’analisi del voto

Se guardiamo alla distribuzione territoriale del voto, ecco cosa salta agli occhi: - il sud è dominato dal Movimento 5stelle - il nord e un pezzo del centro vanno alla coalizione di centro destra a trazione leghista - una fascia residua del centro vede prevalere la coalizione di centro sinistra. Una distribuzione del voto che ha anche una valenza sociale. Nel mezzogiorno a prevalenza 5stelle sono più diffuse le condizioni di indigenza; nel nord e nel centro dove la Lega ha avuto maggiori successi e il PD è stato penalizzato sono più forti i segnali di ripresa in diversi distretti industriali. Nella ripartizione del voto per condizione professionale i 5stelle sono il primo partito tra i ceti produttivi (operai, impiegati del settore privato, artigiani e piccoli imprenditori). Il PD perde in modo consistente consensi in queste categorie, anche tra gli impiegati pubblici e gli inLa Clinton è andata a parlare di green economy e di programmi per abbandonare il carbone ai minatori del Kentucky, in comunità nelle quali identità e orgoglio sono legati al carbone. Nel comizio conclusivo la Clinton ha parlato nell’aula magna dell’università della Pennsylvania alla presenza del corpo docente universitario, il jet set di Hollywood, brindando a champagne. Trump ha parlato in West Virginia in un parcheggio di supermercato pieno di lavoratori ancora in tuta da lavoro, ha aperto il discorso alzando il pugno e dicendo “finalmente la classe operaia americana batterà il suo colpo” (sembrava Lenin, il miliardario, dipinto sporco, brutto e cattivo, proprio come quei lavoratori che la Clinton aveva definito “disgustosi”).

differenze anche profonde, c’è un denominatore comune ad entrambi gli elettorati: la richiesta di un segno di rottura rispetto al passato. Il governo 5stelle-Lega in qualche misura incarna una risposta a quella domanda.

Allarghiamo lo sguardo

segnanti tra i quali ancora nel 2013 restava forte. Tra gli operai i 5stelle sono al primo posto (37%); seconda è la Lega (24%); terza Forza Italia (12,5%); il PD è solo quarto (11%). Tra i disoccupati al primo posto sono ancora i 5stelle (37,5%); seguono Forza Italia (20,4%), Lega (18,2%), PD (10,3%). Il PD consegue i suoi migliori risultati tra i pensionati (27,6%) e i ceti medio elevati (22,5%). Se si guarda alla ripartizione del voto per fasce di età, il PD è al primo posto solo in quella superiore ai 65 anni, mentre nelle altre fasce di età, in particolare dai 18 ai 34 anni, è preceduto da 5stelle e Lega.

Cosa ci dicono questi numeri? Quali prospettive aprono?

La parte produttiva del Paese è uscita dalla sinistra ed è passata ai cosiddetti “populisti”, che hanno raccolto i consensi anche delle fasce più giovani. Quella sorta di grande “contenitore” della sinistra che è il PD, si è rotto; ma gli scissionisti e gli altri spezzoni della sinistra “radicale” non sono riusciti a intercettare il voto in fuga. Questa onda è finita altrove, in maggioranza ai 5stelle (quasi 50%), alla Lega (intorno al 25%), all’astensione (20%). Questo significa che l’elettorato ha bocciato tutta la sinistra. La sinistra viene disertata dal “suo popolo” e il cosiddetto populismo si alimenta delle componenti più classiche del tradizionale voto di sinistra. Con questi risultati, quale governo ci si può aspettare? L’unica alternativa teoricamente possibile, e rapidamente accantonata, poteva essere una alleanza tra 5stelle e PD “derenzizzato”. L’unica formula rimasta ora in campo è quella 5stelle-Lega. Pur nelle

Tutto quello che sta succedendo sta dentro lo schema del “populismo” del terzo millennio che coinvolge tutto l’occidente. È cambiato profondamente l’atteggiamento dei diversi strati sociali. Una immagine emblematica di questo cambiamento è Trump che firma il provvedimento per aumentare i dazi, circondato da operai, donne e uomini, bianchi, neri e latino americani nelle loro tute da lavoro. Un “mondo alla rovescia”: un miliardario, evasore fiscale, di destra, favorevole all’uso indiscriminato delle armi, che firma un atto così importante circondato da lavoratori. Rappresentazione emblematica di una mutazione genetica nella struttura sociale dei paesi industrializzati. È veramente finito il novecento, il secolo del protagonismo politico del lavoro e dei suoi progetti di redistribuzione del reddito, di giustizia sociale, di diritti universali.

Dal lavoro al denaro

Il terzo millennio si è rimangiato molte conquiste del lavoro del novecento. Dalla prima metà degli anni ottanta al 2010 nei paesi OCSE si sono spostati una quindicina di punti percentuali di PIL dai salari ai profitti, in larga misura finiti non in investimenti produttivi ma nei circuiti finanziari. Il lavoro ha perso il primato nella produzione delle ricchezza, a vantaggio del denaro. Il denaro produce denaro e nel generare ricchezza conta di più un guru di Wall Strett

che una fabbrica con migliaia di lavoratori. Il peso della ricchezza finanziaria (15 volte il PIL) è determinante e i lavoratori sono i servi di questi flussi di denaro. Alla crisi del 2008 si è posto rimedio immettendo nuova liquidità, moltiplicando ancora la ricchezza finanziaria. È un meccanismo destinato ad implodere su se stesso? Con quali costi per tutti? Quali forze sociali possono oggi mettere in moto un processo di cambiamento coerente con i valori della sinistra così come il lavoro salariato ha fatto nel novecento?

Cosa è il popolo?

C’è una recente ricerca che prova a capire cosa è successo, in questo nuovo contesto, al “popolo” (quello che nel novecento si identificava in larga misura nella sinistra, contrapposto ai “privilegiati” identificati nella destra) anche sulla base delle mappe elettorali. Il Partito Democratico conserva una parte del proprio elettorato nelle grandi città, all’interno di esse nei quartieri centrali e abitati dal ceto medio e medio alto (come la Crocetta a Torino, i Parioli a Roma, il Vomero a Napoli); allontanandosi dal centro verso le periferie il PD perde, fino a raggiungere il minimo nelle periferie più degradate a reddito più basso. Seguendo queste mappe per cercare di scoprire cosa è successo al popolo nelle periferie, si scopre che quella che prima appariva come una collettività relativamente omogenea, che condivideva condizioni disagiate insieme all’orgoglio del proprio ruolo produttivo e alla disponibilità all’impegno collettivo nelle proprie rivendicazioni, non c’è più. Non ci sono più categorie così omogenee. In un caseggiato popolare della periferia, ad esempio, si può


insonnia

Giugno 2018

11 rio, ma perché dava loro l’impressione di considerarli, mentre gli altri non li vedevano più. Il voto “populista” transitato dalle sinistre ai nuovi soggetti è anche un voto di vendetta di una parte della società che si è sentita abbandonata dalla sinistra.

Che fare?

trovare un caleidoscopio di posizioni sociali: il disoccupato, l’operaio di ditte in appalto e subappalto, la coppia di giovani precari che non può permettersi di fare un figlio, il commerciante a rischio di pignoramento perché non riesce a pagare le tasse, l’artigiano in difficoltà perché il debitore pubblico non paga. Troviamo una disarticolazione dei punti di vista, accompagnati da un senso di pessimismo verso il futuro che si scontra con il racconto ottimistico “renziano” di un’Italia che va bene e migliora.

Una crisi di fiducia

Ciò ha prodotto una reazione di rabbia, la tendenza a scaricare l’incertezza sui nemici più facili (come i migranti), una domanda di Stato (ma non di partecipazione) che qualche anno fa non c’era. Una ri-

chiesta di intervento dall’alto per risolvere problemi che il singolo non sembra in grado di risolvere. C’è una crisi di fiducia nei propri mezzi, l’idea di vivere in una società in cui l’unica cosa che conta è il denaro. Questo ruolo decisivo del denaro emerge in tutte le interviste: comanda chi ha i soldi, non c’è modo di ribaltare questa situazione. Sono aspetti che si ritrovano in tutte le crisi economico sociali dell’occidente. Trump ha preso la maggior parte dei voti tra il tradizionale elettorato di destra, repubblicano e conservatore. Ma a far pendere il piatto della bilancia dalla sua parte sono gli stati ex industriali delle acciaierie e delle miniere di carbone: gli operai, che avevano sempre votato democratico, hanno votato in massa per Trump (dal 70 all’80%). Non perché si fidassero di quel miliarda-

Centro diurno Alambicco

PORTE APERTE gli Operatori del centro diurno Alambicco

In occasione dell’iniziativa “RAI porte aperte”, l’apertura con visite strutturate alle scuole delle sedi Rai nazionali, abbiamo chiesto di partecipare visitando il C.R.I.T. (Centro ricerca e innovazione tecnologica) a Torino. Ricevendo grande disponibilità e interesse alla nostra richiesta, abbiamo concordato una visita dedicata che venisse incontro ai nostri bisogni speciali e che creasse una sorta di modello di visita per realtà come le nostre: è stato ridotto al minimo il percorso di informazione tecnica dei vari contenuti, privilegiando un percorso esperienziale concreto. Accolti nel salone principale siamo stati proiettati in immagini in 4k trasmesse da due enormi televisori disposti ad angolo, le immagini molto colorate e movimentate creavano un effetto inglobante e molto coinvolgente, successivamente abbiamo conosciuto le innovazioni proposte a partire dal settore della facilitazione alla fruizione dei programmi televisivi (RAI Lis, e la Stretch tv) sino ad arrivare agli ologrammi in 3D e le sperimentazioni in ambito riabilitativo con la Kinect. RAI Lis è una piattaforma che permette di tradurre con degli attori virtuali la lingua italiana in lingua dei segni adot-

tando le ultime tecnologie di computer grafica. Un avatar interagisce con noi attraverso la lingua dei segni rendendo accessibili i contenuti a persone con disabilità uditive. Stretch Tv è la televisione che si adatta ai nostri tempi; ci permette la fruibilità dei programmi televisivi rallentandoli in modo da agevolarne la comprensione non solo a persone che hanno problematiche specifiche, ma agevolando la comprensione anche agli stranieri che si approcciano alla nostra lingua o per facilitarci nella comprensione di una lingua straniera. Vedere un piccolo ologramma ci apre a scenari fantascientifici, ma sicuramente più pratica e immediatamente efficace è la sperimentazione in atto, in collaborazione con l’università, dell’uso della Kinect (strumento nato per la consolle xbox 360) per attuare la prosecuzione della riabilitazione a domicilio in soggetti post traumatici. La Kinect è uno strumento che ”legge” il corpo che gli sta davanti o lo proietta con una sorta di attore virtuale (avatar) nello schermo. Questo avatar si muove nello schermo come la persona nella realtà, permettendogli però di interagire nel mondo virtuale dello schermo: costruendo giochi finalizzati

La strada non sta in soluzioni di ingegneria politica, nel rimettere insieme i pezzi della sinistra. Il problema è più grave, la sinistra deve ripensarsi dalle radici. Da una ventina di anni non è in grado di affrontare le sfide dell’epoca contemporanea, di trovare una risposta sociale. In certi casi ha realizzato politiche antisociali; oppure ha dato risposte retoriche, ha ripetuto slogan basati su linguaggi politici del novecento che non funzionano più con i rapporti sociali di oggi. È allora necessario ripartire dalle condizioni materiali del lavoro. Serve capire cosa è il lavoro oggi, in un’epoca in cui il lavoro è stato privato non solo dei suoi diritti ma anche della sua identità collettiva. Serve capire cosa è il popolo oggi, che linguaggio parla, che priorità si pone, quali valori ha, che immagine ha di sé. Serve capire perché il disoccupato meridionale ha votato i 5stelle che promettono il reddito di cittadinanza; perché la piccola impresa che aspetta da troppo tempo il pagamento dei crediti verso lo Stato applaude Salvini e aspetta il condono come occasione per so-

alla riabilitazione cognitiva e corporea si permette, divertendosi, di allenare e recuperare specifiche abilità e tutto dal salotto di casa propria! Il programma di intervento domiciliare è predisposto dal centro riabilitativo che ha effettuato, in ricovero, la prima parte della riabilitazione ed è costantemente monitorato. Oltre all’effettivo miglioramento della qualità di vita, quest’esperimento presenta costi molto contenuti se raffrontati a quelli di una più lunga degenza ospedaliera. Inutile dire che ci siamo immediatamente resi disponibili a entrare nella sperimentazione di questo progetto e speriamo che questa collaborazione possa avere luogo, adattata alle nostre esigenze. Abbiamo concluso la visita immersi nell’ascolto in cuffia delle melodie dell’orchestra RAI percepite con la tecnica dell’ascolto Binaturale: la possibilità di inviare il suono in cuffia con caratteristiche percettive identiche alla realtà e con la possibilità di giocare con la diversa localizzazione dei suoni nel momento percettivo, un’esperienza veramente affascinante e che ha molto stupito i nostri ragazzi. Dopo la visita siamo stati invitati a pranzo nella mensa aziendale che ci ha aiutato in tutte le nostre richieste “speciali”, mangiare fuori è sempre molto apprezzato dai nostri ragazzi ed è stato il momento conclusivo perfetto, accompagnato dal regalo di numerosi gadget da portare a casa. Quest’esperienza, insieme a tantissime altre che stiamo attuando da anni (sensibilizzazione nelle scuole, integrazio-

pravvivere. Si tratta di andare a vedere come funzionano materialmente le cose, e questo la sinistra non lo ha più fatto. E ha lasciato che altri rispondessero a una domanda rimasta inevasa.

Cosa sono diventati i cantieri navali di Monfalcone? Sono stati sempre una roccaforte della sinistra dagli anni trenta in poi, fino a pochi anni fa quando gli operai hanno votato un sindaco leghista. Cosa sono diventati i lavoratori dei cantieri? Non sono più una massa compatta e omogenea di operai qualificati. Sono i dipendenti di un pulviscolo di imprese in appalto e subappalto, lavorano in condizioni devastanti, anche per due euro all’ora, turni massacranti, polverizzazione delle situazioni, una quarantina di diverse etnie spesso con contratti di lavoro dei paesi di origine. E allora può succedere che un operaio pakistano sia buttato giù dal pulmino su cui viaggiavano altri lavoratori. E cosa sono i giovani di Foodora? Utilizzati in un lavoro per ragazzini alla ricerca della paghetta e diventato lavoro a tutti gli effetti per giovani e meno giovani, comandati da algoritmi che ne definiscono i percorsi, che si scoprono licenziati quando si accorgono di essere stati disconnessi dalla app delle chiamate.

ne con altri centri attraverso attività di danza, videogiochi e laboratori espressivi, collaborazioni con le estati ragazzi, gite a tema, e tantissimo altro ancora) sono la risposta alla nostra volontà di aprirci all’esterno, di confrontarci e crescere in questo scambio reciproco; da ogni esperienza abbiamo sempre avuto un regalo e speriamo di averne dati anche noi. Insieme si cresce, da soli si rischia di vedere solo il proprio orizzonte, che è sempre e solo una parte del tutto. Questa volta è la Rai ad averci aperto le porte, noi per fortuna, l’abbiamo fatto già tanto tempo fa.


Giugno 2018

12

LUDOPATIE

insonnia

Quanto spendono gli italiani per il gioco? a cura dell’Associazione “Punta su di te 2.0”

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha recentemente diffuso i dati relativi al gioco in Italia sulla spesa e sulla raccolta nel 2016 e nel primo semestre del 2017. Innanzitutto, chiariamo che la differenza tra la spesa e la raccolta deriva dalle vincite: l’effettiva spesa dei giocatori è data dalla raccolta meno queste ultime. Nel 2016 gli italiani hanno speso quasi 20 miliardi di euro per il gioco, il 20% della raccolta, che ammonta a circa 96 miliardi. Nel primo semestre del 2017 sono stati spesi circa 9,3 miliardi di euro, il che significa che mediamente ogni italiano maggiorenne ha giocato d’azzardo per almeno un euro al giorno (a Racconigi, nello stesso periodo, la spesa è stata di ben 625.620 euro). Tra il 2016 e il 2017 la spesa si è mantenuta sostanzialmente stabile, consolidando l’aumento rispetto al periodo compreso tra il 2009 e il 2015, anni durante i quali gli italiani hanno speso annualmente circa 17 miliardi di euro. Andando ad analizzare i dati piemontesi del primo semestre 2017 vediamo una sostanziale diminuzione delle perdite nelle 6 città in cui è stata applicata la limitazione dell’orario di funzionamento, come

previsto dalla Legge regionale 9/2016. Nei Capoluoghi dove l’adempimento appare più formale che sostanziale (Asti, Alessandria e Vercelli) la riduzione è compresa tra il 3 e il 4%, mentre nei Capoluoghi dove invece si è emanata un’Ordinanza “ragionata” in base alla finalità della Legge, la riduzione è nettamente più elevata: tra il 9% di Cuneo e il 22 % di Verbania. La sentenza di sospensione delle ordinanze comunali di Novara e Torino del Consiglio di Stato del

novembre 2016 e del gennaio 2017, sono costate ai giocatori di quelle città complessivamente oltre 12 milioni e mezzo di euro in un semestre, in quanto il Tar del Piemonte solo a luglio 2017 ha definitivamente sgombrato il campo riguardo alla legittimità di merito dei provvedimenti amministrativi delle 2 città. Ad Agosto 2017 erano complessivamente 162 le amministrazioni che avevano emanato ordinanze restrittive o, più raramente, approvato regolamenti comunali comprensivi di un contenimento degli orari di funzionamento degli apparecchi. Numeri non entusiasmanti, nonostante nel panorama nazionale il Piemonte sia all’avanguardia: in Italia i 162 provvedimenti piemontesi rappresentano il 43% di quelli totali (374). Sarà fondamentale, per capire il reale impatto della Legge Regionale sul giocato e sulla spesa in Piemonte, aspettare i dati complessivi del 2017, così da unire alla limitazione degli orari di funzionamento, l’applicazione delle distanze degli apparecchi di gioco dai luoghi sensibili, in vigore il 20 Novembre 2017.

E il re disse alla serva raccontami una storia … e la storia incominciò…. BELLE E LA BESTIA SONO REALMENTE ESISTITI? di Daniela Anna Dutto

Molte favole di Walt Disney hanno radici in un passato profondo, nascono da leggende, fatti accaduti e eventi tramandati nel tempo. Un caso significativo è la fiaba de La bella e la Bestia. Si racconta che molto tempo fa, un principe viziato ed egoista vivesse tra gli agi del suo palazzo. Un giorno, una vecchia bussò al portone ed il principe la cacciò malamente. La donna era una strega e lo trasformò in una creatura mostruosa e ogni abitante del castello fu mutato in un curioso oggetto casalingo animato. Solo se il principe avesse scoperto l'amore entro il suo ventunesimo compleanno l'incantesimo si sarebbe spezzato. Passò del tempo e arrivò nel castello un uomo che si era perso e cercava accoglienza, Maurice, ma venne rinchiuso nella prigione. Belle, la figlia di Maurice, chiese alla bestia di liberare il padre e in cambio sarebbe rimasta lei nel castello. Il popolo scoperta l’esistenza della Bestia cercò di ucciderla, Gaston un giovanotto innamorato di Belle sferrò un colpo mortale ma la giovane ragazza, che aveva conosciuto l’animo della Bestia dichiarò il suo amore trasformandolo in un bellissimo uomo con un gran cuore. Molti ne ritrovano le origini nel racconto di Apuleio Amore e Psiche, che, in realtà, si presuppone risalga ad una tradizione orale antecedente

all'autore. La prima versione ufficiale edita fu quella di Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, pubblicata in La jeune américaine, et les contes marins nel 1740. Ma molte fonti attendibili, invece, attribuiscono la ricreazione del racconto originale a Giovanni Francesco Straparola nel 1550. Un racconto che potrebbe essere stato ispirato da una storia vera avvenuta sulle sponde del Lago di Bolsena, in provincia di Viterbo[2]. Il fatto narra delle avventure di Pedro de Gonzales, un uomo ritenuto un selvaggio per il suo aspetto molto peloso, in realtà affetto da ipertricosi, una malattia causata da un’iperattività ormonale che determina un’eccessiva crescita di peli sul volto e sul corpo. Lo sventurato che faceva parte della popolazione dei Guanci, venne catturato a Tenerife, rinchiuso in una gabbia e presentato al cospetto del Re di Francia Enrico II come dono per le sue nozze con Caterina de Medici. La notizia di questo bizzarro dono si diffuse rapidamente presso tutte le corti d’Europa, ed il re decise di “educare” l’uomo tramutandolo in un cortigiano colto e molto signorile. La regina a questo punto, contribuì trovandogli una moglie, con l’idea di avere al servizio del re di Francia, una dinastia di “selvaggi”. Entra in scena Bella una ragazza dalla bellezza sorprendente

scelta dalla stessa Caterina de Medici. I due si sposarono, e misero su famiglia; i primi due figli furono una delusione per la regina poiché non ereditarono la malattia del padre, al contrario del terzo e del quarto figlio che invece soddisfecero la “strana” volontà della regina. In realtà, all’epoca dei fatti pare fosse motivo di ilarità e divertimento per le corti collezionare animali esotici, ed il povero Pedro con i suoi figli risultavano essere in linea con questa usanza al punto che la famiglia

veniva raffigurata in ritratti che ebbero una notevole diffusione nell’intera Europa. Dopo il declino dei Valois, la famiglia di Pedro finì sotto la protezione ed il dominio dei Farnese principi di Parma, che riconobbero all’uomo il rango di cortigiano al proprio seguito attribuendogli dignità, in cambio della sua esibizione a corte. Ai Gonzales venne quindi, assegnata una casa a Capodimonte, un borgo sulle sponde del lago di Bolsena, che a quel tempo era sotto il controllo dei Farnese.


insonnia

Giugno 2018

13

IL BAMBINO CHE SONO STATO E IL MIO ESSERE GENITORE OGGI Condizionamenti e nuovi modelli educativi a partire dall’educazione ricevuta di Pio Caon - Rete Insegnareducando

Si è svolto a Carmagnola, venerdì 25 maggio presso il Palasport, il secondo incontro di formazione 2018, per genitori ed insegnanti. Le serate di formazione sono uno spazio di ascolto e riflessione sulla bellezza, non esente da fatica, dell’essere educatori nella società di oggi. Un'occasione preziosa per condividere risorse ed esperienze e scoprire nuove strategie educative. All'incontro hanno partecipato circa 250 genitori. La relatrice è stata la dott.ssa Silvana Garello, medico neuropsichiatra infantile (A.S.L. CN 1), docente dell'Università degli Studi di Torino – Corso di Laurea di Educatore Professionale e autrice di numerose pubblicazioni. Nell'ultimo suo libro " Distacchi" -Ed. Primalpe, l'autrice invita i lettori a non temere le lacrime e i dolori. La sofferenza – afferma – come la gioia porta i suoi frutti, ma occorre attendere con pazienza che giungano a maturazione. Silvana Garello è convinta che tutto ciò che accade nella vita abbia un senso, basta scoprirlo. Ciascuno porta dentro di sè una grande potenzialità per trasformare le difficoltà in positività. L' incontro ha affrontato in profondità un argomento delicato che riguarda il rapporto tra l'intervento educativo che i nostri genitori hanno esercitato su di noi, e quello che noi ora adulti, esercitiamo sui nostri figli o alunni. Lo scopo è stato quello di far riflettere i presenti su come molti dei comportamenti dei genitori, affondano le radici nella storia personale di ciascuno. Il bambino o ragazzo che siamo stati, il nostro rapporto con i genitori ha lasciato un segno in noi che si risveglia sempre, ma a maggior ragione nel momento in cui diventiamo genitori. Quando ci troviamo di fronte a nostro figlio o a un alunno, dobbiamo sempre fare i conti con il bambino che noi stessi siamo stati, con le paure, gioie, soddisfazioni, dispiaceri che abbiamo vissuto. Questi ci guidano nella nostra scelta educativa. Non a caso ricordiamo le tante frasi che risuonano nella nostra infanzia (maggior numero di negative e meno quelle positive). Impariamo a fare i genitori dal modo in cui i genitori l ' hanno fatto con noi, sono loro i nostri insegnanti. Possiamo o accettare lo stesso sistema e riproporlo ai nostri figli, se siamo cresciuti senza grosse sofferenze, oppure possiamo cercare di riproporne uno nuovo e tutto il contrario di quanto abbiamo appreso e sperimentato sulla nostra pelle, se abbiamo sofferto. Sono le nostre esperienze passate positive o negative che ci fanno comportare in modo che talvolta non vorremmo, anche se teoricamente sappiamo come sarebbe più utile fare. Non ci siamo mai chiesti perché, pur avendo molta preparazione teorica di educazione o di pedagogia, ci ritroviamo talvolta o spesso a fare e dire cose che non avremmo mai voluto agire, cose che criticavamo nelle nostre famiglie di origine? Ebbene in quel caso è il nostro bambino interiore, il nostro sistema educativo appreso che funziona in modo automatico. Quando siamo diventati grandi abbiamo imparato noi stessi a trattarci come hanno fatto i nostri genitori: diventiamo genitori di noi stessi. Non

ci sono età per diventare genitori di noi stessi, prima o poi tutti faremo così. Schematicamente possiamo dividere i tipi di genitori (o anche insegnanti) in: PERFEZIONISTI cercano nel bambino la perfezione, negano il suo consenso finché non riesce a dimostrare un comportamento più maturo di quanto la sua età non gli possa permettere. La risposta del bambino a tale atteggiamento può essere la preoccupazione di ottenere risultati positivi in campo fisico, sociale, o intellettuale nonché di avere una sorta di insoddisfazione per tutto quanto consegue, perché non è mai abbastanza. COERCITIVI Sono genitori che comandano, controllano, dominano il bambino, proponendo molte regole e disposizioni. In questo modo ignorano completamente il bisogno del bambino di intraprendere e perseguire i suoi interessi personali come parte della sua evoluzione individuale e così il bambino può imparare a contare eccessivamente su direttive provenienti dall'esterno. Può succedere che il bambino esegua o resista a queste imposizioni fantasticando, rimandando, non facendo. REMISSIVI Sono genitori che cedono ad ogni capriccio ed esigenza del piccolo arrivando a ignorare e sacrificare i propri bisogni di adulti. Questo atteggiamento fa del bambino il capo e il genitore lo schiavo. Il bambino può rispondere a questo modo di fare, aumentando le pretese, diventando impulsivo e scoppiando in crisi se non viene soddisfatto ogni suo desiderio. INDULGENTI (ECCESSIVI) Sono genitori che inondano il bambino di oggetti, premure, doni, senza che il bambino li desideri davvero e non considerando che il bambino ha bisogno di sviluppare un suo modo personale di esprimere la sua identità, nel suo ambiente. Mentre il genitore remissivo aspetta le pretese del bambino e le asseconda, il genitore indul-

gente non attende che il bambino segnali i suoi bisogni. La reazione del bambino può essere quella di essere indifferente e annoiato difronte a tutto. Da bambino prima e da adulto poi, trova difficile intraprendere ogni sforzo ed è poco costante. IPOCONDRIACI Sono genitori che focalizzano eccessivamente l'attenzione sulle funzioni fisiche, sulla salute e sulla malattia. Un bambino crescendo in questa atmosfera di eccessiva trepidazione per la salute, può assimilare l'eccessiva inquietudine dei genitori, scoprendo che questo modo può guadagnarsi la benevolenza altrui. E’ possibile che in una stessa famiglia siano mescolati atteggiamenti diversi e prevalgano uno o più degli atteggiamenti descritti. Per chi volesse saperne di più può consultare il testo " Il bambino che sei stato " autore H. Missildine Ed. Erickson Ciascuno di noi se richiama alla memoria i propri ricordi si accorgerà che ci sono stati momenti positivi, altri difficili, ci sono state lacrime, sorrisi, ironie e rancori. I nostri genitori sono stati essere umani che hanno cercato di fare il meglio possibile nelle condizioni in cui si sono trovati a vivere e a educarci. Se ci sono delle cose che non sono state chiare o delle sofferenze dovremmo trovare il coraggio di affrontarle, parlarne prima che loro ci lascino. Riconoscere chi siamo e quali sono state le nostre radici, ci aiuterà ad essere genitori responsabili, non saremo protetti dal commettere errori, ma questo ci porterà ad essere più presenti ai nostri comportamenti. Certi passaggi educativi non sono stati rose e fiori eppure se oggi ci siamo formati una famiglia, abbiamo un partner, un lavoro… anche per i nostri figli potrà essere così: diamo loro fiducia con la possibilità di imparare, sbagliare, riparare e reimparare dagli errori.


Giugno 2018

14

Raccontami...

insonnia

NON TI HO TRADITO di Giulio Siccardi

“No! Non ti ho tradito! Non è andata come credi tu, anche se le apparenze sono contro di me. Lo so, si dice sempre così, ma, se riesci a tacere un attimo, cercherò di raccontarti cosa è accaduto veramente. Dunque, quella sera, appena sei uscito…” “Erano o non erano quasi le dieci?” la interruppe lui. “Erano esattamente le dieci meno un quarto” precisò lei. Michele usciva sempre un quarto d’ora prima che iniziasse il turno. La fabbrica era a meno di un chilometro dal loro alloggetto, ma lui ci andava in macchina, specialmente d’inverno: non sopportava il freddo delle sei del mattino, quando non vedeva l’ora di infilarsi a letto e scaldarsi contro la sua schiena. “E se erano le dieci meno un quarto” riprese lui, “è evidente che sei uscita subito dopo, dato che alle dieci e venti ti hanno vista in quel bar!” “Qui di evidente c’è soltanto la tua testa dura” disse lei cominciando ad alzare la voce, “perché in quel bar, quella sera, io non c’ero, né alle dieci e dieci, né alle dieci e venti, né alle dieci e mezzo, né mai.” “Secondo te” disse Michele, “tu eri qua a dormire.” “Noi” disse lei, e ripeté “noi, eravamo qui a dormire.” Si girò a guardare Fabio, che gattonava e ogni tanto si aggrappava ai cassetti cercando di tirarsi su. Fra non molto avrebbe iniziato a camminare. “Quindi mi avrebbero raccontato una balla.” “Non so neanche chi te l’abbia raccontata.” “Questo non ti deve interessare.” “E invece mi interessa, perché forse dobbiamo smetterla di parlare di fiducia, se credi più a uno sconosciuto che a tua moglie!” “Chi ti ha detto che è uno sconosciuto?” “Ah, bene, allora lo conosciamo… E chi sarebbe, il visionario?” “Perché dovrei dirtelo?” “E perché non dovresti?” Lui si grattò la testa ben rasata. “Gliel’ho promesso” disse. Sandra si alzò. “Cioè, fammi capire: arriva un tale e ti dice che ha visto tua moglie in un bar alle dieci di sera, in centro, mentre tu sei in fabbrica e lei dovrebbe essere a casa a mettere a letto il bambino. E tu non solo gli credi, ma gli prometti anche di non dire chi è!” “E allora?” disse lui. “E allora, amore mio, non ti è passato per la testa che l’uomo misterioso potrebbe semplicemente essersi sbagliato? Se mi conosce appena, per esempio, non potrebbe avermi scambiato per un’altra?” “Questo è impossibile.” disse lui. “Vuoi dire che è uno che mi conosce bene?” “Non l’ho detto.” “Già, mica l’hai detto. Però, adesso, mi fai la santa cortesia” e qui andò a prendere in braccio il bambino, che da un po’ minacciava di piangere, “di dirmelo, chi è questo pezzo di emme, se no quando torni, domani mattina, qui, noi due, non ci trovi più!”

“Sei completamente pazzo!” urlò sottovoce Sandra. “Può darsi” rispose lui. Appena suo marito era uscito per andare in fabbrica (era venerdì, anche quella settimana di notti se dio vuole stava per finire), si era attaccata al telefono. Fabio non voleva saperne di dormire, e con la mano libera lei spingeva lentamente la culla. “Cosa ti è saltato in mente di dire a Michele che mi hai vista in quel bar?” Lui si mise a ridere. “Lo sapevo che saresti riuscita a scucirglielo! E me l’aveva anche promesso...” Lei aspettò che smettesse di ridere. “Allora?” disse. “Be’, non c’eri, in quel bar?” “Certo che c’ero, ma ti ricordo che ero con te!” “E ti ricordi anche cosa mi hai detto?”

Se lo ricordava bene. Non dovevano più vedersi, gli aveva detto. Quella storia era una pazzia, lei aveva un marito, un figlio, e neanche uno straccio di lavoro. Voleva chiuderla lì, in quel momento. “Me lo ricordo” disse soltanto. “E ricordi quello che ti ho risposto?” L’aveva guardata negli occhi e le aveva detto che non avrebbe mai rinunciato a lei. Lei era tutto ciò che di bello c’era nella sua vita. Piuttosto avrebbe affrontato sua moglie, i suoi figli, Michele, e tutto il casino che sarebbe venuto fuori. Era disposto a perdere ogni cosa, ma non lei. “Ho detto a tuo marito di averti vista in quel bar per farti capire fino a che punto sono disposto a spingermi.” “Lui ti ha chiamato?” “Sì, poco fa.” “Cosa gli hai detto?” “Che evidentemente mi ero sbagliato. Se tu dicevi che eri a casa col bambino, vuol dire

che eri a casa col bambino. Dovevo aver visto male. Era soltanto una che ti somigliava.” Lei tacque a lungo, poi disse: “Somiglio a molte altre.” “No” mormorò lui. “Tu non somigli a nessuna.” Si udirono freni stridere. “Dove sei?” chiese lei. “Sto entrando a Milano Centrale.” Lui faceva il macchinista per Trenitalia, e andava su e giù fra Torino e Milano a trecento all’ora. “Quando ci vediamo?” le chiese. “Ho una voglia disperata di te.” “La prossima settimana Michele fa il primo turno” disse lei. “Lunedì mattina” propose lui. La telefonata successiva Sandra la fece a Simona. Simona era la ragazza (in verità una lontana cugina, sola e normalmente disoccupata) che veniva a tenere Fabio quando lei doveva uscire e Michele, prima o dopo uno dei suoi turni, dormiva. La chiamava, in genere, per andare all’ennesimo colloquio di lavoro (tempo e soldi buttati), ma qualche volta per stare qualche ora con quell’uomo di cui, malgrado il pericolo e i sensi di colpa, non riusciva ancora a fare a meno. “Simona, sei tu?” sussurrò. Fabio stava finalmente chiudendo gli occhi. “Chi parla?” “Sono io, Sandra. Non puoi parlare?” “Deve aver sbagliato numero.” “Ho capito, dimmi soltanto dei sì o dei no.” “Se posso aiutarla…” “Michele ti ha chiamata, oggi?” “Sì.” “Ti ha chiesto se una certa sera eri da me?” “Sì, esatto.” “Gli hai risposto come eravamo d’accordo?” “Certo.” “Cioè che dormivi tranquilla a casa tua.” “Proprio così, signora.” “Bene. Senti, lunedì mattina puoi guardarmi Fabio due ore? Poi aggiustiamo come si deve.” “Penso di sì, signora.” “Allora lunedì, alle nove. E grazie.” “Non c’è di che, signora.” Simona spense il telefono e si risistemò sotto il piumone. Faceva freddo. “Chi era?” chiese lui spegnendo la luce. Simona abitava da sola, ma per ogni evenienza aveva preso un letto a due piazze. “Nessuno” rispose lei. “Riesci a chiacchierare anche con quelli che sbagliano numero.” Lei si strinse nelle spalle. “Qualche volta devi convincerli che non sei chi pensavano che fossi.” Si tirò il lenzuolo fin sotto il mento. “Cos’hai detto al medico?” chiese. “Che non riuscivo a piegare la schiena. Un giorno di mutua in tutto, mi ha dato quel cornuto.” “Al venerdì fanno così. Se non altro ti sei tolto una notte.” Tacquero per qualche minuto, poi lei disse: “Sandra si è calmata?” “Quella pazza! Dovevi vedere che scena quan-


insonnia

Giugno 2018

do le ho sbattuto sul muso il fatto del bar! Ha fatto su uno di quei casini… E ha negato alla morte, naturalmente.” “E quello che ti aveva detto di averla vista?” “Puoi fidarti di qualcuno, a questo mondo? Beh, ha detto, se dice che era a casa, era a casa. L’avrò scambiata per un’altra. E poi guarda, ha detto, non ti offendere, ma tua moglie assomiglia a un sacco di donne.” “E tu avevi fatto quella scenata di gelosia!”

Cin

Cinema FESTIVAL DI CANNES 2018 di Cecilia Siccardi

Come ogni anno, il Festival di Cannes, giunto alla sua settantunesima edizione, ha visto la partecipazione

Lib

Libri di Anna Simonetti

Qualcuno si chiederà il perché di questa duplice presentazione, eccone la spiegazione.

L’ultima ragazza

Per prima ho incontrato “L’ultima ragazza” di Nadia Murad. Nadia è una giovane donna, una delle migliaia di yazide catturate dall’ISIS e poi vendute nei mercati e su Facebook, a volte per soli venti dollari. Ha visto uccidere dall’ISIS sei fratelli insieme a tanti altri giovani di Kocho, un piccolo villaggio yazida al confine con la Siria. Come tante donne yazide, è stata violentata, stuprata, schiavizzata, obbligata a pregare in una fede che non era la sua, più volte venduta a personaggi dell’ISIS in un progetto che mirava a far sparire il popolo yazida. Nadia non si arrende alla violenza, trova forza e coraggio per fug-

15 “Be’, non sono cose che facciano piacere.” Tirò fuori un braccio e riaccese la luce. La guardò. “Tu, piuttosto: sei sicura della data? Non è che eri davvero a guardare Fabio?” “Oh, cerca di smetterla!” disse lei voltandosi verso il muro. Però non si spostò quando lui finalmente spense l’abat-jour e abbracciò la sua schiena. Alle cinque suonò la sveglia, e mezz’ora dopo lui

era pronto a uscire. “Ehi” lo chiamò lei da sotto il piumone. “Non mi hai poi detto chi era, quello che ti ha raccontato di tua moglie e del bar.” “Non te l’ho detto?” chiese Michele. “Era il grand’uomo, il preferito.” “Il preferito?” “Il preferito di mia madre, mio fratello Maurizio. Quello che fa il macchinista, te lo ricordi?”

di alcuni fra i più importanti esponenti del cinema europeo e mondiale. Caratterizzato da una forte presenza femminile e da molte dimostrazioni di solidarietà e adesione al movimento Me Too, il Festival si è tenuto a Cannes dall’8 al 19 maggio, e ad aggiudicarsi la Palma d’Oro è stato il giapponese Hirokazu Kore-eda, con “Shoplifters”. Questo film ha prevalso su “Cold War” del polacco Pawel Pawlikowski, considerato fra i favoriti della vigilia, che è stato però premiato per la Miglior Regia. Molto quotato e atteso era anche “BlacKkKlansman” di Spike Lee, uno dei film più politici del Festival: la vicenda raccontata è infatti quella di Ron Stallworth, detective nero della polizia di Colorado Springs, che negli anni ’70 si infiltrò fra

le fila del Ku Klux Klan insieme al collega ebreo Flip Zimmermann. Pur non essendo riuscito a conquistare la Palma d’Oro, il film ha vinto il Gran Prix speciale della giuria. Un ruolo di primo piano è stato giocato dai due film italiani in concorso: “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher ha infatti vinto il Prix du Scénario, premio assegnato alla miglior sceneggiatura, ex-aequo con l’iraniano Jafar Panahi. Marcello Fonte, protagonista di “Dogman” di Matteo Garrone, è invece stato premiato come miglior attore. Entrambi i film sono stati recensiti molto positivamente dalla critica: è già possibile vedere “Dogman”, distribuito nelle sale italiane dal 17 maggio, mentre “Lazzaro Felice” uscirà il 31 maggio 2018. Si tratta

gire dalle mani dei suoi aguzzini mettendosi in salvo presso i curdi dell’UPK, correndo grossi rischi non solo per l’ISIS, ma anche per la continua variabilità delle alleanze tra curdi e iracheni. Il suo non è solo il racconto delle violenze subite dal popolo yazida, è anche la storia della guerra in Iraq a partire dal 2014. È un genocidio quello di cui parla Nadia e scopo della sua vita è diventato riuscire ad ottenere giustizia per la sua gente. E ci è riuscita, almeno in parte. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, all’unanimità, ha istituito un team investigativo per raccoglie-

re le prove dei crimini perpetrati dall’Isis in Iraq per cui, un giorno, potranno essere incriminati e processati i singoli membri dell’Isis. Oggi Nadia Murad è leader degli yazidi, portavoce delle donne, candidata al premio Nobel per la pace e ambasciatrice di Buona Volontà dell’ONU. Leggere questo libro ci fa capire ancora una volta che le vittime della guerra sono soprattutto le donne, il dolore che provano come madri, sorelle, figlie è immenso ma trovano la forza di ribellarsi, di lottare per avere giustizia… un giorno!

Nadia Murad “L’ultima ragazza” 2017, pp. 348, € 20,00 Ed. Mondadori

Caro mondo

Ho incontrato Bana Alabed nel libro “Caro mondo” scritto insieme alla sua mamma. Bana è la bimba di 7 anni che, a partire dal dicembre 2016, dalla zona est di Aleppo dove viveva rifugiata in cantina causa i bombardamenti del regime di Assad e dei russi, ha inviato appelli ai potenti di tutto il mondo chiedendo la fine della guerra. Dall’età di tre anni conosce solo la guerra, ha visto morire la sua amica Yasmine, la sua casa è stata bombardata, ha dovuto lasciare la Siria abbandonando affetti, e non con meno rimpianti, libri, bambo-

sicuramente di appuntamenti da non perdere!

le e i tanto desiderati stivali barbie ricevuti in dono per il suo compleanno. È una bambina e fa stringere il cuore quando descrive i diversi rumori delle bombe e le diverse ferite che procurano; quando ci descrive il dolore che prova a staccarsi da quei luoghi dove è nata e a cui sente di appartenere. Sia Nada che Bana, una donna e una bambina, hanno vissuto la guerra, hanno abbandonato la loro terra e hanno trovato il modo di raccontarci il loro tragico vissuto. P.S.: Entrambi i libri sono disponibili in biblioteca.

Bana Alabed “Caro mondo” 2017, pp. 217, € 14,00 Ed. TRE60


Giugno 2018

16

Mus

Musica ALIA

GIRAFFE di Giuseppe Cavaglieri

“Giraffe” è il nuovo album di Alia, la figura musicale dietro cui si cela il musicista bergamasco Alessandro Curcio. Un lavoro che arriva a quattro anni dal de-

butto “Asteroidi” (2014) e dopo la pubblicazione a dicembre 2016 per Pippola Music del 45 giri digitale “La lista delle buone intenzioni”, a segnare un punto di svolta nel percorso artistico di Alessandro Curcio verso una forma di pop d'autore più matura e compiuta. Nei brani c'è una verticalità ricorrente. Accompagnata dalla sfida di trattare argomenti spirituali con lievità, lontano da ogni propensione dottrinaria ma straordinariamente vicino ad una dimensione umana individuale e universale. “L'attraverso” invita ad essere consapevoli dell'appartenenza alla natura e alla sua caducità muovendosi su un funk melódico, come lo chiamerebbe Caetano Veloso. “La teoria del colore” accenna all'inevitabilità della fine su una quadratura pop da manuale e una serena metafora prelevata dalla moda (“Non mi spavento più / Conosco

la teoria del colore”) fra citazioni programmatiche di Umberto Bindi e Mango. La title-track, con la sua melodia raffinata, lascia sbocciare e incrociarsi le voci del titolare e di Laquidara (“in fondo Dio non è che un motivo, per guardare in alto e ci devi passare”). La fotografia emotiva di “Monviso”, una bossa-nova mascherata, racconta il rapporto fra padri e figli, in cielo come in terra. E poi l'estro visionario di “Alessandra” quale brano su un amore universale e deflagrante. Il ritorno ad una dimensione più orizzontale di “L'India, i bambini”, autentica canzone di protesta sulla confusione di valori del contemporaneo. A fare il paio con la delicatezza di “Sei donne”, ovvero un synth-pop dilatato quantomai attuale nel suo mettere al centro la lingua e la comunicazione fra culture differenti. L'umiltà come misura del valore in “Madonna dell'Umiltà”, dedicata alla

insonnia

folk-singer Judee Sill e arrangiata su una reminescenza Mina Studio Uno. Un'intensa ballad sulla mancanza di una persona che amiamo quale è “Camaiore”. L'uptempo rallentato e riflessivo di “Verso Santiago”, chiusura di un disco che non risparmia temi importanti porgendoli all'ascoltatore con la leggerezza e la semplicità di chi sa cesellare i suoni e le parole.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Forse perché per partecipare bisogna avere la sensazione che questo serva a qualcosa e oggi questa sensazione non è così diffusa. La conoscenza del territorio in cui viviamo, l’informazione, il confronto dei punti di vista sono le ragioni di essere di questo giornale. E la serata con Revelli crediamo ci abbia aiutato molto ad andare avanti su questa stra-

da. Per questo riteniamo di rendere un servizio utile mettendo a disposizione di tutti la lettura che Revelli ha dato delle vicende di questi mesi. Nelle pagine interne proponiamo dunque ai nostri lettori i punti fondamentali dell’analisi di Revelli, cercando di darne un resoconto fedele nonostante il necessario sforzo di sintesi. Abbiamo volutamente evitato

CHIUDE “LA FABBRICA DELLE IDEE” di Marco Pautasso, presidente del Progetto Cantoregi

Dopo 17 anni chiude La Fabbrica delle Idee, la rassegna di teatro di ricerca e dal forte impegno sul fronte civile e sociale, organizzata da Progetto Cantoregi, che ha portato nella cornice suggestiva e fortemente evocativa dell'ex ospedale psichiatrico di Racconigi alcune tra le realtà più interessanti e originali della scena italiana contemporanea. La mancata assegnazione del contributo da parte del bando Performing Arts della Compagnia di San Paolo, storico main sponsor della rassegna, non consente purtroppo la sostenibilità economica necessaria a garantire la realizzazione della XVIII e delle edizioni future. Non è questo il momento delle recriminazioni ma, semmai, dei ringraziamenti: alla comunità di persone che si è coagulata attorno al festival e che ci ha seguito con dedizione e affetto commovente in tutti questi anni, e a tutte le istituzioni pubbliche e private che a vario titolo hanno sostenuto La Fabbrica delle Idee consentendole di

tagliare comunque il traguardo delle XVII edizioni . Si chiude così un’esperienza culturale ma anche umana straordinaria e, crediamo, unica nel panorama dei festival italiani, nata nell’intento non solo di promuovere la cultura teatrale nel territorio cuneese ma di valorizzare un luogo come l’ex manicomio, facendolo diventare uno spazio di confronto, di dialogo, di riflessione, di inclusione. Uno spazio scenico sui generis che si è nutrito in questi anni di accoglienza e ha desiderato incontrare le diversità, tutte le diversità, senza perdere la leggerezza, l’incanto del gioco. Forse era nel suo destino non arrivare alla maggiore età, proprio per non perdere questa leggerezza. Ci sovviene al riguardo ciò che diceva Pasolini quando osservava i ragazzi giocare a pallone: “quei calci rivolti al cielo mi fanno pensare a lanciare i nostri desideri il più lontano possibile, in modo che la gioia del gioco ci accompagni sino alla fine”.

di introdurre nostre personali valutazioni. Quelle le riserviamo ad un altro momento, che vorrebbe essere dedicato alla apertura di un confronto su questi temi. Ci auguriamo che i nostri lettori, quelli che erano presenti

e quelli che non lo erano, abbiano voglia di dare un seguito con le loro personali riflessioni, che saremo lieti di pubblicare. La redazione

scegli energia etica e sostenibile scopri le offerte di ènostra www.enostra.it

2018

entro dicembre 2018 Tel 371 1529504


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.