INSONNIA Gennaio/Febbraio 2019

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Insonnia n° 110 Gennaio/Febbraio 2019 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

PROGETTO CANTOREGI E LA S.O.M.S.

Iniziamo il nuovo anno in ritardo, sarà significativo per l’andamento del nostro giornale? Partiamo male? Essere in ritardo è un difetto ma a volte può essere un vantaggio; riflettere a lungo su che cosa è meglio fare o dire spesso sortisce interessanti risultati. Ci sono modi di dire che sostanzialmente affermano que- di Anna Simonetti sto: prima di aprire bocca penL’ a s s o c i a z i o n e saci due volte. Scrivo questo editoriale non “Progetto Cantorepensando al futuro anche se gi” ha stipulato un non sarebbe male farlo essendo contratto di locanoi in questo periodo in cam- zione per la gestiopagna sottoscrizioni che, ne della S.O.M.S. se va bene, ci darà la possibilità Ci è parso utile di continuare ad uscire mensil- conoscere direttamente, ma proprio per questo mente dal presivoglio tornare indietro a quan- dente, Marco Pauto abbiamo fatto fino ad ora e tasso, modalità, prima di dire ai nostri lettori progetti e obiettivi “aiutateci a continuare questo dell’associazione. nostro e vostro giochino dandosegue pag. 3 ci un contributo in denaro (ma se volete anche in idee e pensieri)” voglio riassumere in numeri di che materia è composto questo innocente passatempo. Guido che è il nostro esperto in numeri, ma non solo, dietro mia richiesta di aiuto è andato a scartabellare i numeri da febbraio a dicembre del 2018 (10 mesi) per vedere chi ha scritto insonnia, quanti articoli ha di Valentina Chiabrando scritto e che cosa ha scritto; ne è venuta fuori una fotografia det- A Carmagnola potrebbe sorgere il più tagliata, quasi una radiografia, grande polo logistico italiano della perché si vede abbastanza bene catena di supermercati LIDL. Un dentro alle pagine senza adden- hub di oltre 54.000 metri quadri, pari trarci ulteriormente: una TAC a quasi 8 campi da calcio, con un’alsarebbe un esame troppo com- tezza di oltre 19 metri per tutta la plesso e difficile da sintetizzare. superficie dell’edificio. In pratica un Si sono raggruppati alcuni ge- parallelepipedo da 1.000.000 metri neri di collaboratori distinti in cubi, alto come un palazzo di 6 pia1. redattori, 2. collaboratori fis- ni, previsto tra via Parrucchetto e via si, 3. collaboratori esterni (che Ceresole. hanno scritto, in questo perio- La notizia viene resa pubblica oltre do, da 2 a 4 articoli cadauno), 4. collaboratori esterni (che nello stesso periodo hanno scritto un solo articolo cadauno). In questo conteggio non sono state tenute in considerazione le persone che mensilmente tengono una rubrica ormai storica (Zanzarino, Fico, Diversamente chiesa, Cinema, Musica, Libri ecc.).

Marco Pautasso, presidente dell’associazione, ci parla dei progetti per ridare vita alla S.O.M.S.

SUOLO A RISCHIO

In progetto a Carmagnola il più grande polo logistico italiano della Lidl la metà di dicembre, qualche giorno prima di Natale. I primi a preoccuparsi per l’impatto del progetto sono i membri di Legambiente, intesi come Legambiente Circolo locale il Platano (Carmagnola, Carignano, Villastellone, Santena) e Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta, allarmati per l’ennesimo insediamento su suolo libero e per il notevole impatto che la struttura potrebbe avere dal punto di vista paesaggistico.

a cura di Rodolfo Allasia

Tutto è iniziato con ONDA. ONDA è un Osservatorio Scientifico indipendente che studia le condizioni di salute della donna anziana. Si avvale della consulenza di illustri clinici – geriatri, psichiatri, neurologi, epidemiologi – e valuta gli standard offerti dalle Residenze Sanitarie Assistite. Organizza annualmente il concorso letterario nazionale ‘Dai voce alla tua storia’ per premiare le più convincenti testimonianze di chi ha dovuto ricoverare un familiare anziano in una RSA. ONDA, come una vera onda ha ricondotto il mio amico Giovanni Bonavia in luoghi per lui noti e ormai quasi dimenticati. A febbraio 2018 ha vinto il concorso letterario con il racconto “Dove porta l’onda” che insonnia aveva poi pubblicato nel numero di maggio ed è stato premiato a Montecitorio nel Salone Aldo Moro, dove in un tempo lontano – un’altra vita – lui si era trovato a lavorare. Per ONDA è stato poi giurato nella selezione di progetti terapeutici non convenzionali (ha fatto carriera nella stima dell’Osservatorio!). Il 29 novembre scorso l’Osservatorio ha presentato la sesta edizione del Libro Bianco sulla salute degli Italiani. In quell’ambito ONDA gli ha chiesto una testimonianza nella sua qualità di caregiver, che è poi il termine inglese comunemente

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CAMPAGNA SOTTOSCRIZIONI 2019

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Giovanni Bonavia sull’ONDA

Lo riceverai direttamente a casa tua

EUTANASIA

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Decreto Disumanità

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Giornata della Memoia

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MARRAKESH

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IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE Il viaggio può essere occasione di nuove esperienze, conoscenze, relazioni. Diventa allora scoperta di mondi diversi mentre il viaggio è in corso; e cambia il modo in cui si guarda il proprio mondo dopo che si è tornati. Il viaggio può essere anche emozione, perché la sua dimensione fisica, fatta di spazi, incontri, immagini, accadimenti, si intreccia con la sua dimensione mentale, fatta di rappresentazioni personali, fantasie, impressioni. E allora il suo ricordo può diventare racconto, in cui le due dimensioni si intrecciano e confondono lungo l’incerto confine che separa realtà e sogno. Il racconto fotografico di questo mese ci porta in Marocco. Le fotografie, come il racconto pubblicato in questo stesso numero di Insonnia, sono di Giancarlo Meinardi. Le foto sono riconoscibili perchè circondate da una cornicetta nera.

Gennaio/Febbraio

Ritorno

2019

insonnia

di Luciano Fico

Il furgone che gli aveva prestato suo cugino era davvero perfetto: ci stava tutto, compresi gli attrezzi per scavare. Dal finestrino aperto entrava l’aria tiepida del quel fine luglio, il cielo era piacevolmente stellato e luna era del tutto scura, quella notte, cosa che gli aggradava alquanto. La serata era ideale per viaggiare con i finestrini aperti, come quel trasporto imponeva. Mariano era quasi euforico e trovava ogni canzone trasmessa alla radio irresistibile: cantò, quella notte, come non aveva mai cantato prima. La strada si snodava lungo la periferia della città che aveva accolto suo padre tanti anni prima, quando se ne era venuto dalla campagna in cerca di un lavoro e di una moglie. La necessità aveva piegato quell’uomo tenace ed ostinato, temprato dalla terra e dal sole, fino a farne il pallido e immusonito operaio che Mariano ricorda nella propria infanzia. Senza un soldo, e con tante speranze di rivalsa, si dovette accontentare di quel lavoro ingrato per tutta la vita e crebbe i suoi due figli nella casa, che costruì suo suocero per la figlia. I ricordi del padre sono stati scanditi dalle regole severe, che impose in casa, e dai ricordi della vita in campagna, che cercò di instillare nei figli per il timore che andassero persi. Negli anni, Mariano vide il padre smarrire la sua forza e le sue sicurezze: l’ultima battaglia persa fu quella con la moglie per tornare nel paese dove era nato, appena conquistata la pensione. Lei fu irremovibile; lui sbraitò, minacciò la separazione e poi tacque, fino alla sua morte. Mariano aveva sempre conservato

un ricordo rancoroso di quel padre troppo severo e mai felice, ma da qualche tempo aveva cominciato ad amare quell’uomo tragico, beffato dal destino. Iniziò a scoprire in sé i segni di un’eredità inaspettata eppure inevitabile. Era stato per primo lo specchio a mostrargli un volto sempre più simile a quello scavato del padre. Poi si accorse che anche il carattere non era poi così dissimile. Infine sentì che la sua stessa vita non poteva che compiersi portando a termine il cammino che suo padre non seppe percorrere. Si era ritrovato a piangere rabbia un giorno di Novembre davanti alla tomba di famiglia. Le foto del padre e della madre se ne stavano appaiate: lei era dolce e sorridente, ma a lui sembrò anche compiaciuta per aver trattenuto il suo uomo finanche nella tomba; lui gli parve triste e disperato per dover giacere in una tomba non sua e sotto un cielo perennemente grigio di smog. Ci aveva messo parecchi mesi, ma alla fine aveva capito cosa avrebbe dovuto fare. Guardò suo padre, per la prima volta, con uno sguardo complice, quella sera; ancora tratteneva quello sguardo serio mentre apriva il furgone, finalmente in campagna. Faticò tutto il resto della notte, ma quando se ne andò, salutando quell’albero proprio in cima alla collina, aveva il cuore leggero ed era certo che sotto la terra smossa un uomo finalmente sorrideva. Nel Cimitero di città nessuno riuscì mai a capire per quale motivo qualcuno si fosse preso la briga di violare una tomba di famiglia e di sottrare i resti di un pover uomo morto più di venti anni prima tra l’amore dei suoi cari…


insonnia

Gennaio/Febbraio

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PROGETTO CANTOREGI E LA S.O.M.S.

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Marco Pautasso, presidente dell’associazione, ci parla dei progetti per ridare vita alla S.O.M.S. segue dalla prima

Quali sono i termini del contratto? Durerà sei anni, però con la possibilità di recesso anno per anno. Sei anni ci danno la possibilità di un lavoro almeno a medio termine per iniziare poco per volta il lavoro e riuscire a gestire questo spazio nel modo cui abbiamo pensato. Come pensate di utilizzare e gestire i tempi e le aperture? Noi lo pensiamo come spazio di “comunità”. La nostra vocazione è teatrale ma non sarà l’utilizzo esclusivo che avrà questo spazio, sarà solo uno dei prevalenti, non l’unico. Deve essere uno spazio come laboratorio di idee generatore di prossimità, dove le persone si incontrano indipendentemente da censo, età, provenienza. Insomma le solite categorie giovani, vecchi, immigrati, devono sparire, deve diventare un posto quello della S.O.M.S come era nelle sue origini: una esperienza di associazionismo e di mutualità. I tempi sono cambiati ma io credo che tutte le città, e anche Racconigi, abbiano bisogno di uno spazio in cui le associazioni si possano incontrare, in cui ci siano stimoli di natura culturale che il teatro potrà offrire, ma anche uno spazio in cui le persone possano trascorrere qualche ora leggendo un libro, un giornale sorseggiando un caffè. Questo è un obiettivo che forse non riusciremo a raggiungere nell’immediato, ma i sei anni di contratto ci consentiranno di farlo, ovviamente se siamo bravi, se la città risponderà e vorrà condividere il progetto che non è solo della Cantoregi, ma di tutti. Uno sguardo in giro ci fa pensare che siano necessari interventi strutturali. Faremo degli interventi e stamattina siamo qui nei locali della S.O.M.S. proprio per questo. La ristrutturazio-

ne ha dei vizi progettuali, soprattutto nell’acustica. Per rendere questo spazio interamente fruibile, come era già nel progetto iniziale, occorrerà fare degli interventi costosi. Come finanziarli? Cercheremo dei finanziamenti, delle sponsorizzazioni, oltre ad un autofinanziamento. Non sarà possibile avere tutto in una volta, ma poco per volta cercheremo di rendere questo spazio attrezzabile, fruibile e funzionale ai nostri progetti. Avete idea dei costi? Sì, abbiamo idea dei costi… Sono molto alti? Sì, sono alti però nulla è impossibile. Si può lavorare anche in economia, si possono chiedere sponsorizzazioni anche solo per piccoli progetti, vedremo caso per caso e un po’ alla volta. Come vi rapporterete con le altre Associazioni? Cercheremo di inaugurare entro la primavera, non abbiamo ancora un’idea precisa, ma in quella occasione ci sarà modo di fare una chiamata pubblica e poi da lì in poi diremo veramente quello che Cantoregi vorrebbe diventasse questo spazio. Saremo disponibili a sentire, ad ascoltare tutte le voci della città, ma vorremmo che fosse uno spazio anche per altre città, ecco uno “spazio di comunità”. Quali progetti? Avremo una programmazione culturale abbastanza continua, anche se all’inizio non sarà tanto facile e dipenderà dalle risorse economiche disponibili, ma la nostra idea è che questo diventi un posto dove ci possono essere corsi di musica, di yoga, di meditazione, dove poter organizzare feste private, per compleanni di bambini. Oltre questo grande spazio, ce ne sono altri più

piccoli che si prestano anche a vocazioni diverse da quelle spettacolari, ma soprattutto dobbiamo fare in modo che si possa avere un’ottima acustica. Progetto grande a lungo termine? Un festival che si chiama “Cuneiforme”: dovrebbe partire quest’anno, e pur essendo Cantoregi l’ente organizzatore, non riguarderà soltanto Racconigi. Quindi Cantoregi avrà un programma teatrale? Sì, ci apriremo anche ad una modalità di teatro che finora abbiamo trascurato, faremo anche spettacoli per bambini. Qualche tempo fa avete lanciato l’idea di laboratori teatrali per i giovani, sono sempre nei vostri programmi? Proseguiremo su questa falsariga, il

laboratorio è l’anticamera in cui prende forma lo spettacolo. Qui faremo le prove, anche se i laboratori non è detto che riguarderanno solo Cantoregi. Se ci fossero altre realtà che necessitano di uno spazio per i loro spettacoli, noi siamo aperti a diverse esperienze. Questo vuol dire aprire anche ad altri gruppi teatrali? Senz’altro… Una apertura a 360 gradi… Sì, nel vero significato del termine, è uno spazio a conduzione Cantoregi, ma, ripeto, è uno spazio della città. Quindi finalmente Racconigi riuscirebbe ad avere uno spazio polivalente come era alle origini e come in effetti desiderava l’ amministrazione Brunetti che ha messo in atto la ristrutturazione. Non potrà accadere alla velocità di uno scrocchio di dita, ci vorrà lavoro, un percorso, la voglia, le competenze ... …e la partecipazione della città? Io penso che come per effetto delle onde concentriche, quando lanci un sasso nello stagno, le onde partono, noi dovremo essere bravi a lanciare il sasso e far partire le onde. Vuoi aggiungere ancora qualcosa? Voglio solo parlare di una esperienza bellissima di Bologna che si chiama “Social street” che ha fatto sì che in una via della città ci sia una condivisione totale di momenti di festa, di lutto, di difficoltà, ecco vorrei che questo diventasse un posto del genere dove tutti, racconigesi e non solo, potessero stare insieme. Ora che sono scomparsi altri luoghi di incontri sociali, vorrei che la S.O.M.S diventasse, fra sei anni, alla fine di questo percorso che spero positivo, uno spazio aperto a tutti e per ogni necessità. .

Ogni promessa è un debito di Zanza Rino

Sto proprio diventando vecchio, fatico a capire. Il Governo italiano e la Commissione europea hanno alla fine trovato un accordo. Ma parlano della stessa cosa? La Commissione dice che il Governo ha dimostrato buona volontà nel venire incontro alle richieste di aggiustamento del bilancio. Non è che si fidi proprio del tutto… per ora resta a guardare. Il Governo dice che la Commissio-

ne ha capito le ragioni del Governo e che nulla è cambiato. Su reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni non ci sono passi indietro e tutto sarà come previsto. È stato tagliato qualche miliardo di euro dalle previsioni di spesa, ma si sono accorti che si erano tenuti un po’ larghi e in realtà quei miliardi non servivano. Se lo dicevano prima magari lo spread non saliva e gli italiani risparmiavano qualche miliardo, ma alla fine poco importa. In fondo reddito di cittadinanza e quota 100 sono salvi. Perché questo è il punto. In campagna elettorale si sono fatte delle promesse, senza stare lì a fare troppi conti. La maggioranza degli italiani ci ha creduto e ha votato di conseguenza. Ora le promesse vanno mantenute.

Per mantenerle magari serve fare qualche previsione azzardata di crescita economica; andare a testa bassa contro l’Europa che ha il torto di chiedere il rispetto di regole che anche noi abbiamo sottoscritto; isolarsi da tutti gli altri paesi europei (sovranisti in testa) che pretendono di non pagare i nostri debiti. Ma le promesse vanno mantenute, altrimenti che dicono gli italiani?

presentata all’ultimo momento, nessuna possibilità di leggerne il testo nelle poche ore a disposizione, dibattito ridotto al lumicino e voto di fiducia. Un capolavoro. La centralità del Parlamento, espressione diretta della sovranità popolare, è finalmente ristabilita. La colpa ovviamente è della Commissione Europea, che ha messo il bastone tra le ruote e ha fatto perdere tempo prezioso.

Se le risorse non ci sono facciamo finta che ci siano. Se autorevoli osservatori economici richiamano l’attenzione sui segnali di una nuova recessione che potrebbe arrivare ci inventiamo un prossimo boom economico grazie al digitale. Per evitare che nella discussione in Parlamento venga fuori che il re è nudo evitiamo di discutere: legge di bilancio

Ma questo è il Governo del cambiamento. Aspettiamo di vedere i cambiamenti che ci saranno. Magari ha ragione chi governa e gli italiani saranno contenti. Magari no, e gli italiani pagheranno. Ma intanto le promesse vanno mantenute, a ogni costo.


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A PROPOSITO DI EUTANASIA IL CASO DI DJ FABO

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insonnia

Un po’ di informazione e qualche riflessione sulla cosiddetta buona morte - 1 di Giancarlo Meinardi

Decine (qualcuno dice centinaia) di italiani si recano ogni anno in Svizzera. Per morire. Fare stime precise è ovviamente difficile. Ogni tanto qualche caso sale alla ribalta della cronaca, come quello di Fabiano Antoniani (Dj Fabo), allora se ne parla ed esplodono le polemiche. Poi tutto torna nell’ombra. Eppure sono tante le persone che vivono il dramma di una vita che sono arrivati a considerare intollerabile a causa delle sofferenze fisiche e psichiche provocate da una malattia incurabile; e che maturano il desiderio di una morte dignitosa e senza dolore. Sono passati più di due anni da quando abbiamo cominciato ad occuparci su questo giornale di testamento biologico. Da allora tante cose sono cambiate. Ora in Italia c’è una legge, una buona legge, che regola la D.A.T. (Dichiarazione Anticipata di Trattamento, comunemente chiamata testamento biologico). E a Racconigi è stato istituito un registro dei testamenti biologici per i residenti. Passi avanti importanti sulla delicata e discussa problematica del fine vita. La legge stabilisce in modo chiaro che chiunque, maggiorenne e capace di intendere e di volere, può rifiutare trattamenti sanitari contrari alla sua volontà; e, attraverso la D.A.T., può

dichiarare anticipatamente il proprio consenso o rifiuto ai trattamenti sanitari qualora non sia più in condizioni di intendere e di volere. Oggi drammi come quello di Englaro o di Welby (ne ho parlato nei numeri 86 e 87 di Insonnia) si possono evitare. Ma perché, allora, il caso di Dj Fabo ha suscitato tanto scalpore e ha dato il via ad una vicenda giudiziaria? Perché è un caso diverso. Ricordate? Da tempo colpito da una grave disabilità a causa di un incidente, nel 2017 Fabo viene accompagnato da Marco Cappato, esponente della associazione Luca Coscioni, in una clinica svizzera dove si offre l’assistenza per praticare il “suicidio assistito”. Dopo la morte di Fabo, Cappato si auto denuncia per aver aiutato Fabo a realizzare il suo proposito, accompagnandolo nell’ultimo viaggio. Comportamento sanzionato dal nostro Codice Penale, che all’art. 580 punisce “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione”. La Corte d’Assise di Milano assolve Cappato per quanto riguarda l’imputazione di istigazione al suicidio; mentre, per quanto riguarda l’aiuto al suicidio emette una ordinanza di remissione per il giudizio di costitu-

zionalità della norma alla Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale sospende il giudizio fino al 24 settembre 2019, ritenendo che l’attuale ordinamento normativo in Italia non copra tutti i casi possibili e lasci prive di adeguata tutela situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione, da bilanciare con altre costituzionalmente protette. Chiede quindi al Parlamento di intervenire sulla materia entro tale scadenza. A questo punto dovrebbe essere chiaro il problema. La legge sulla D.A.T. evita che una persona debba subire contro la sua volontà trattamenti sanitari senza i quali morirebbe; non riguarda la situazione di quelle persone che, pur in presenza di una malattia inguaribile e che provoca gravi sofferenze, possono sopravvivere anche in assenza di specifici trattamenti sanitari. Entriamo qui in un altro campo, destinato a sollevare polemiche anche più feroci e a creare schieramenti ancora più contrapposti. Di cosa parliamo? Di eutanasia. Una parola carica di una enorme forza emotiva, con potenti implicazioni giuridiche, etiche, religiose, ideologiche, che rendono assai difficile un confronto sereno. Non è un caso se dal 2013 una proposta di legge di

iniziativa popolare per regolare l'eutanasia (e non è l’unica) è ferma in Parlamento, senza che si sia trovato non il tempo (che evidentemente ci sarebbe stato) ma la volontà politica di aprire la discussione su di essa. E questo la dice lunga sulla delicatezza della questione. E allora proprio di lì intendo partire nel prossimo numero di Insonnia, anche perché in questo modo spero di chiarire i termini in cui si pone oggi la questione in Italia.

Pubblichiamo queste brevi note che Tiziana ci ha inviato, esse costituiscono, nel bene e nel male, uno spaccato di vita. Cogliamo l’occasione per augurare a Tiziana e al marito un sereno 2019.

Le disavventure di un disabile non finiscono mai neppure a Natale, purtroppo mio marito Fernando tetraplegico si è sentito male il 23 dicembre, ed il servizio di guardia medica di quella sera è stato impeccabile (il medico di turno il Dr. Francesco Marenco era uno specializzando in Medicina Fisica del pregiatissimo Dott. Enrico Chesi dell'Unità Spinale di Torino, Dio esiste!). I problemi sono giunti il giorno successivo il 24 dicembre, quando i medici consigliano di portare il paziente in ospedale per ulteriori controlli, e qui voglio portarvi nel nostro mondo. Le ambulanze normali non sono predisposte per il trasporto delle carrozzine, servono quelle attrezzate, con un necessario preavviso di circa una settimana, utile al fine organizzativo dei volontari (vedasi in allegato alla presente e-mail l'elenco dei numeri di telefono della Croce Verde con ambulanze e volontari/disponibili al servizio a pagamento,

ovviamente dopo il 6 gennaio, durante le festività natalizie il volontariato viene sospeso per riprendere l'operatività il 7 gennaio). In presenza di casi/trasporti urgenti in ospedale, il disabile viene sdraiato sulla barella di una ambulanza comune con il rischio di piaghe di decubito se lasciato nella stessa posizione per più di qualche ora (a volte basta molto meno), comunque sia il rientro/ritorno a casa non è previsto e si consiglia di utilizzare il proprio mezzo con tutte le problematiche del caso. Giusto per tranquillizzare gli animi,

sono riuscita a portare Fernando in macchina al Pronto Soccorso presso il CTO di Torino posto esattamente di fronte all'Unità Spinale, queste sono strutture d'eccellenza per le persone con problemi alla colonna vertebrale ed al midollo spinale, (i problemi di trasporto non dovrebbero esistere per un paraplegico/ tetraplegico le loro sintomatologie vengono immediatamente diagnosticate nei posti giusti) le visite sono rapide, lo staff

è preparato a gestire, spostare, curare e dimettere in tempi brevi una persona praticamente immobile, che non vede l'ora di tornare a casa per festeggiare il Natale... e se tutto va bene... riuscire a non pensare per un paio d'ore alla propria condizione. Cordialità. Tiziana Rutigliano N.B. Resto a disposizione per qualsiasi delucidazione in merito.


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Gennaio/Febbraio

2019

27 Gennaio 2018 Giornata mondiale della Memoria

“La nostra voce… per non dimenticare” di Gaia Margherone, 3^L Liceo Scientifico Arimondi

Il 27 Gennaio si celebra la Giornata Mondiale della Memoria, istituita nel 2005 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite al fine di ricordare le ingiustizie e le violenze subite da milioni di innocenti durante la Shoah. È stata scelta questa data poiché proprio il 27 Gennaio del 1945 le truppe

aiutarli a capire che tutto ciò che è stato storia, è la storia oggi, si sta paurosamente ripetendo” (Elisa Springer, ebrea di origine austriaca, sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz). Ciascuno ha il dovere di ricordare che cos’è successo in passato, per evitare di commettere gli stessi er-

dell’Armata Rossa abbatterono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, scoprendo i crimini nazisti perpetrati contro gli Ebrei e contro tutti coloro che erano considerati “indesiderati”, come zingari, omosessuali, malati di mente, avversari politici. “La nostra voce, e quella dei nostri figli, devono servire a non dimenticare e a non accettare con indifferenza e rassegnazione le rinnovate stragi di innocenti. Bisogna sollevare quel manto di indifferenza che copre il dolore dei martiri! Il mio impegno in questo senso è un dovere verso i miei genitori, mio nonno, e tutti i miei zii. È un dovere verso i milioni di ebrei passati per il camino, gli zingari, figli di mille patrie e di nessuna, i Testimoni di Geova, gli omosessuali e verso i mille e mille fiori violentati, calpestati e immolati al vento dell'assurdo; è un dovere verso tutte quelle stelle dell'universo che il male del mondo ha voluto spegnere... i giovani liberi devono sapere, dobbiamo

rori di coloro che hanno utilizzato il proprio potere con odio e rancore mettendo fine alla vita di persone innocenti. È questo il significato più autentico della Giornata della Memoria: spetta a tutti e alle giovani generazioni in particolare il compito di mantenere desta l’attenzione perché il ricordo di certe pagine buie del passato sia un monito per il presente e non si trasformi in un momento di vuota retorica.

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Alla bottega del Mandacarù

COMMERCIO EQUO E SOLIDALE: UNA SCELTA RESPONSABILE di Chiara Reviglio

Perché oggi, alle soglie del 2019, è ancora (o dovrei dire, sempre più) attuale parlare di Commercio equo e solidale? Le ragioni sono tante ma proverò a sintetizzarle in tre punti fondamentali: commercio non assistenzialismo; scelta etica verso l'uomo e verso l'ambiente; qualità dei prodotti. Lo slogan “Not aid but trade” chiarisce la logica con cui il Commercio equo e solidale s'inserisce nel mondo economico attuale: si cerca di uscire dall'ottica dell'assistenzialismo verso i Paesi in via di sviluppo per instaurare rapporti commerciali e culturali paritari. Il punto di partenza è quindi quello di entrare in comunicazione diretta con i piccoli produttori dei PVS, offrendo loro la giusta retribuzione per il lavoro e l'incentivo all'instaurarsi di processi di autosviluppo sostenibili che permettano di spezzare i forti legami di dipendenza economica dei Paesi industrializzati. La proposta del Commercio equo è allora quella di dare origine ad una forma di mercato alternativo che rispecchi un nuovo modo di pensare e di instaurare relazioni commerciali tra Nord e Sud del Mondo. L'aspetto più rivoluzionario è il prezzo che viene stabilito dai produttori in base al costo del lavoro locale e delle materie prime, così da garantire loro una retribuzione dignitosa e permettere con il surplus di sviluppare progetti locali autogestiti (ai consumatori viene invece garantito il prezzo trasparente). I rapporti tra chi produce e chi commercia devono avere la maggiore continuità possibile per garantire costanza di produzione e di occupazione. Il prefinanziamento, garantito ai

produttori, evita il ricorso agli intermediari e mette al riparo dall'indebitamento delle Banche che applicano tassi di interesse elevatissimi, oltre che dalle oscillazioni del valore delle commodities (materie prime alimentari) quotate in Borsa. Pertanto si comprende in che senso la scelta del consumatore del CeeS sia rispettosa del lavoro dell'uomo e salvaguardi l'ambiente e la sostenibilità del prodotto. Infatti esso deriva da materie prime presenti in loco, coltivate preferibilmente con metodi di agricoltura biologica e non intensiva, che vengono lavorate con metodi compatibili con la biodiversità presente. Il prodotto che il consumatore acquista è pertanto un prodotto di alta qualità, garantito da marchi internazionali di certificazione agricola, frutto di un sapiente lavoro dell'uomo e non del suo sfruttamento, che non lascia nel suolo inquinanti di varia natura e contribuisce a mantenere integro l'ambiente in cui è stato coltivato. Infine, aspetto non meno trascurabile, il consumatore acquisisce insieme al prodotto anche la storia del progetto che lo ha reso possibile e delle persone che hanno contribuito alla sua realizzazione, trovando in esso un aspetto di comunicazione/informazione che avvicina chi consuma a chi acquista, da un capo all'altro del Mondo. Per tutti questi motivi e per molti altri ancora, per le storie dell'umanità che ha contribuito a costruire, per tutto ciò che di bello e buono c'è in esso, la domanda da fare è non “Perché scegliere il Commercio equo?” ma semmai “Perché no?”.


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Fabrizio De Andrè

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LA BUONA NOVELLA-6 a cura di Guido Piovano

Alla quinta tappa del nostro percorso siamo stati nella bottega del falegname che costruisce le croci per Gesù e i due ladroni; ora Gesù, croce in spalla, è sulla strada che lo conduce al Golgota, dove sarà giustiziato. La “via della croce” è preghiera dolcissima, ricca di spiritualità.

VIA DELLA CROCE "Poterti smembrare coi denti e le mani, sapere i tuoi occhi bevuti dai cani, di morire in croce puoi essere grato a un brav'uomo di nome Pilato."

fedeli umiliate da un credo inumano che le volle schiave già prima di Abramo, con riconoscenza ora soffron la pena di chi perdonò a Maddalena,

Nessuno di loro ti grida un addio per esser scoperto cugino di Dio: gli apostoli han chiuso le gole alla voce, fratello che sanguini in croce.

Ben più della morte che oggi ti vuole, t'uccide il veleno di queste parole: le voci dei padri di quei neonati, da Erode per te trucidati.

di chi con un gesto soltanto fraterno una nuova indulgenza insegnò al Padreterno, e guardano in alto, trafitti dal sole, gli spasimi d'un redentore.

Han volti distesi, già inclini al perdono, ormai che han veduto il tuo sangue di uomo fregiarti le membra di rivoli viola, incapace di nuocere ancora.

Nel lugubre scherno degli abiti nuovi misurano a gocce il dolore che provi; trent'anni hanno atteso col fegato in mano, i rantoli d'un ciarlatano. Si muovono curve le vedove in testa, per loro non è un pomeriggio di festa; si serran le vesti sugli occhi e sul cuore ma filtra dai veli il dolore:

Confusi alla folla ti seguono muti, sgomenti al pensiero che tu li saluti: "A redimere il mondo" gli serve pensare, il tuo sangue può certo bastare. La semineranno per mare e per terra tra boschi e città la tua buona novella, ma questo domani, con fede migliore, stasera è più forte il terrore.

Il commento Le prime tre strofe ci portano voci cariche d’odio - poterti smembrare coi denti e le mani, sapere i tuoi occhi bevuti dai cani -, sono quelle dei padri dei neonati a suo tempo sterminati da Erode che, ritenendolo responsabile - da Erode per te trucidati -, augurano a Cristo atroci sofferenze - trent'anni hanno atteso col fegato in mano, i rantoli d'un ciarlatano - e ringraziano Pilato che l’ha condannato. Le donne ebree no. Dipendenti dai mariti, per la cultura del tempo, anche dopo la morte di questi - fedeli umiliate da un credo inumano che le volle schiave già prima di Abramo -, sono con Gesù e nelle tre strofe successive le vediamo nascondere invano il dolore sotto le vesti - si serran le vesti sugli occhi e sul cuore ma filtra dai veli il dolore -. Per loro Cristo è quello che ha perdonato Maddalena l’adultera e che, compien-

Il potere vestito d'umana sembianza, ormai ti considera morto abbastanza e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni degli umili, degli straccioni. Ma gli occhi dei poveri piangono altrove, non sono venuti a esibire un dolore che alla via della croce ha proibito l'ingresso

a chi ti ama come se stesso. Sono pallidi al volto, scavati al torace, non hanno la faccia di chi si compiace dei gesti che ormai ti propone il dolore, eppure hanno un posto d'onore. Non hanno negli occhi scintille di pena. Non sono stupiti a vederti la schiena piegata dal legno che a stento trascini, eppure ti stanno vicini. Perdonali se non ti lasciano solo, se sanno morir sulla croce anche loro, a piangerli sotto non han che le madri, in fondo, son solo due ladri.

do questo gesto, ha predicato anche la loro liberazione. Lo riconoscono dunque come redentore. Nascosti tra la folla - confusi alla folla ti seguono muti -, già pensando alla missione - la semineranno per mare e per terra tra boschi e città la tua buona novella -, incapaci anche solo di salutare Gesù - nessuno di loro ti grida un addio -, compaiono ora gli apostoli, sopraffatti dallo spavento e dal dolore - stasera è più forte il terrore -. Nelle scene che seguono troviamo gli uomini del potere – il potere vestito d'umana sembianza -, che hanno condannato Gesù e che ora vedendolo prossimo alla morte più non lo temono - ormai ti considera morto abbastanza -, e guardano invece con circospezione alle intenzioni dei poveri - e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni degli umili, degli straccioni -. Le ultime tre strofe sono per i due ladri che accompagnano Gesù - eppure ti stanno vicini - nel cammino verso la crocifissione…

LA DICHIARAZIONE DI ISLAMABAD In Pakistan, lo scorso 6 gennaio, sotto l’egida del Consiglio degli ulema (Puc), più di 500 imam hanno firmato un documento in 7 punti che condanna il terrorismo, le violenze compiute in nome della religione e le fatwa, editti emanati dagli ulema radicali, insieme ad una presa di posizione a favore di Asia Masih (Asia Bibi), la donna cristiana condannata a morte e assolta dall’accusa di blasfemia dopo 9 anni di prigione, ora in pericolo a causa dei radicali islamici e in attesa di lasciare il Pakistan. Per la Repubblica islamica del Pakistan, segnata da continui attentati fondamentalisti contro le minoranze religiose cristiane e contro gli ahmadi e gli sciiti, si tratta di un documento storico che guarda al Pakistan come Paese multi-etnico e multi-religioso. Al punto 1, il documento condanna gli omicidi

compiuti «con il pretesto della religione», perché «contro gli insegnamenti dell’islam». Al punto 2 dice che «nessun leader religioso ha il diritto di criticare i profeti e nessuna setta può essere dichiarata infedele». Al 3, è scritto che nessuno, musulmano o non musulmano, può essere dichia-

rato meritevole di uccisione da sentenze estranee ai tribunali e che i fedeli di ogni religione o setta hanno il diritto di vivere nel Paese secondo la propria cultura e dottrina. Ne scaturisce, punto 4, il diritto a organizzarsi in maniera autonoma con il consenso delle amministrazioni locali e, punto 5, il divieto di pubblicare libri, opuscoli, audio che incitino all’odio religioso. Il punto 6 sottolinea che «è responsabilità del governo proteggere la vita e le proprietà dei non musulmani che vivono in Pakistan». In ultimo, al punto 7, il documento ribadisce l’importanza del Piano d’azione nazionale nella lotta al fondamentalismo e decreta il 2019 anno dedicato a «sradicare il terrorismo, l’estremismo e la violenza settaria dal Paese». (ved. www.asianews.it e www.sosmissionario.it)


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UN GRUPPO DI ACQUISTO SOLIDALE A RACCONIGI Qualità del prodotto, dignità del lavoro, rispetto dell'ambiente di Valerio Gallo

Sì, anche a Racconigi esiste un Gruppo di Acquisto Solidale. É nato nel 2010 quando un gruppo famiglia parrocchiale stava riflettendo sulla possibilità di avere uno stile di vita più “sobrio”, non nella sua accezione negativa, di privazione, rinuncia, ma di ritorno ad uno stile di vita più consono alle nostre risorse. Sobrietà di linguaggio, sobrietà nei comportamenti, nel possedere e quindi nell'acquistare. L’ultima tappa di questo percorso di riflessione, prevedeva l’incontro con un G.A.S. di Savigliano: l’associazione Kerigma. L’incontro fu organizzato invitando chiunque fosse interessato all’argomento e fin da subito venne palesato un forte interesse sia a sapere cos’era un G.A.S., ma soprattutto al poter acquistare tramite un G.A.S. Dopo una prima serie di acquisti con il gruppo Kerigma, capimmo che potevamo avere forze e risorse per provare a metterci assieme e creare un nostro gruppo di acquisto. Così è partito il G.A.S. di Racconigi. Per lo stoccaggio e la distribuzione della merce, la parrocchia ci ha concesso l’utilizzo gratuito di un proprio garage, don Aldo prima e don Maurilio oggi si sono sempre dimostrati sensibili all’argomento.

Per il resto è sufficiente un giro di mail per comunicare quando e cosa è possibile acquistare, un foglio di ordine da compilare per segnare il proprio fabbisogno e un’organizzazione che permetta di scaricare la merce e smaltirla in breve tempo. Che cos’è un Gruppo di Acquisto Solidale? Beh, ridotto ai minimi termini: è un gruppo di amici che si mette assieme per avere un maggior poter di acquisto e quindi spuntare dei prezzi convenienti, e soprattutto per decidere in autonomia da chi comprare. Ecco nascere gli acquisti delle arance direttamente dalla Sicilia, da una cooperativa che vendendo ai soliti canali avrebbe ricevuto un compenso di circa 6 centesimi a kg raccolto e quindi si sarebbe trovata nell’impossibilità di dare uno stipendio adeguato ai propri dipendenti e addirittura sarebbero stati destinati alla chiusura dell’attività. Rivolgendosi ai G.A.S. possono vendere a un prezzo decisamente superiore che rimane conveniente al cliente finale e permette una giusta retribuzione, e non sfruttamento, degli addetti alla raccolta. Raccolta che avviene nella settimana della consegna, solo dopo aver ricevuto l’ordine dei G.A.S., quindi nessun passaggio nei fri-

goriferi e maturazione assolutamente naturale, senza forzature chimiche. Altri acquisti, invece, si fanno sul territorio per avere merce a km zero: ad esempio, acquisto di mele dalla nostra Valle Bronda (CN) dove oltre a limitare i km percorsi dalle mele, usiamo un accorgimento con il fornitore, nell’imballaggio. Le scatole di cartone con le quali arrivano le mele vengono restituite alla consegna successiva: in questo modo il costo non grava sul cliente finale e non c’è uno spreco di imballaggio. In occasione dei gravi eventi naturali (terremoti) non è mancato l’acquisto di parmigiano dalle zone terremotate, servito per far riprendere l’economia delle piccole realtà che erano state danneggiate e avevano bisogno di consegnare nel breve i loro prodotti. Nel tempo abbiamo acquistato anche fragole dai paesi limitrofi, farine, olio dalla Liguria e dalla Sicilia, patate, kiwi e altri prodotti. Il gruppo conta attualmente 115 iscritti, ognuno compra quando lo ritiene, senza obblighi e senza spese fisse, proprio come si fa quando si è tra amici. Per saperne di più scrivete a: gasracconigi@gmail.com

SUOLO A RISCHIO

In progetto a Carmagnola il più grande polo logistico italiano della Lidl segue dalla prima

L’area su cui dovrebbe sorgere l’insediamento LIDL, già destinata dall’attuale Piano Regolatore del Comune di Carmagnola all’uso industriale, è stata recentemente oggetto di una variante che ha portato l’Indice di Utilizzazione Territoriale dal 30% al 43%, con un’occupazione di suolo diventata quindi pari al 140% di quanto previsto dal PRG. Di conseguenza la Superficie Utile Lorda è passa-

sitivi per la qualità dell’aria della città dove risulta già pessimo il suo stato: da anni bollino rosso per i livelli di PM10”, con riferimento ai 122 sforamenti (a fronte dei 35 consentiti per legge) registrati dalla Centralina Arpa “I Maggio” di Carmagnola del 2017. Secondo l’opinione di Fabio Dovana e Giorgio Prino, presidenti di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta e del circolo Legambien-

ancora troppo sottovalutato. Per questo invitiamo la Giunta comunale di Carmagnola e i vertici della catena tedesca della grande distribuzione a dimostrare lungimiranza e amore per il territorio individuando un sito alternativo per l’insediamento, dove il suolo già compromesso ma non più produttivamente utilizzato possa essere riconvertito ad ospitare la logistica, anche a costo di rivedere in parte il progetto e la sua dimensione”.

L’opinione di un esperto

ta da 37.000 metri quadri a oltre 54.000, mentre l’altezza dagli 11 metri previsti dal PRG fino ad oltre 19 metri. Un progetto che avrebbe indubbiamente, per la quantità importante di mezzi di trasporto quotidianamente coinvolti, pesanti ripercussioni anche sul traffico di Carmagnola, almeno fino a quando i lavori della Bretella Est non faranno dei passi avanti. Difficile immaginare sviluppi po-

te Il Platano: “Un progetto che rischia di ridisegnare pesantemente l’orizzonte o, più propriamente, di coprirlo. In Italia, più che altrove, dovremmo saper e voler salvaguardare il suolo e la bellezza con azioni e politiche concrete. Sembrerà banale ricordarlo ma il suolo è fondamentale nel contrasto ai cambiamenti climatici perché racchiude il più importante stock di carbonio terrestre, un aspetto

Flavia Bianchi, urbanista e membro del consiglio di presidenza di Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta, è così intervenuta sull’argomento: Se solo si continuasse ad edificare seguendo quanto già previsto dai piani regolatori esistenti il Piemonte continuerebbe a perdere suolo fertile ancora per decenni. Oggi abbiamo invece la necessità non solo di evitare che nuovi piani regolatori aggiungano ulteriori aree edificabili ma di far sì che quelli esistenti vengano rivisti cancellando aree edificabili già previste, coniugando in questo modo la sicurezza del territorio con la salvaguardia di zone di prestigio ambientale e paesaggistico. Sarebbe importante che il Sindaco di Carmagnola, in occasione del-

la prossima revisione generale del Piano Regolatore, seguisse l’esempio virtuoso di Matilde Casa, sindaco di Lauriano e Ambientalista dell’anno 2016, che tra i primi ha voluto trasformare terreni edificabili del proprio Comune in terreni agricoli”.

Il consumo di suolo

Un tema importante di cui pochi ancora oggi parlano con sufficiente consapevolezza. Il suolo è stato il protagonista della serata organizzata la Legambiente il Platano a Carmagnola lo scorso 18 gennaio, sono intervenuti sul tema il Presidente Nazionale Legambiente, Stefano Ciafani, Alessandro Mortarino, coordinatore nazionale del Forum Salviamo il Paesaggio e Matilde Casa. Una serata importante per comprendere la centralità della questione che, come aria e acqua, condiziona la qualità delle nostre vite. Un bene comune da salvaguardare e di cui prendersi cura.


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Giovanni Bonavia sull’ONDA

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segue dalla prima

impostosi per definire chi assiste una persona ammalata, quasi sempre un anziano con disabilità funzionali; proprio come sua mamma Teresa che lui assiste con solerzia ed amore. Così Giovanni è intervenuto nella Sala delle Conferenze Stampa, alla Camera. Un altro luogo della sua vita precedente: “Andavo a parlare di vecchiaia altrui e mi ritrovavo nella mia perduta gioventù”. Me amis, su mia richiesta, è stato così gentile da trascrivere per noi, sunteggiando, il suo intervento di novembre; tutto quanto lo abbiamo voluto ricopiare qui di seguito per intero, data l’importanza dei dati che riporta e dei sentimenti, che descrive, di coloro che nella vita si sono trovati, quasi per caso, a diventare caregiver. Anche io lo sono stato per un po’ per Mariuccia, mia madre, nella stessa struttura dove Giovanni, ora, lo è per Teresina. ----------------------------------------“Grazie per questo invito che mi onora e mi lusinga. Giungo qui alla fine di un banchetto dove son state ammannite prelibatezze. Dure prelibatezze, quali sono quelle contenute nella Sesta Edizione del Libro Bianco. Cosa potrei mai offrire ai commensali ormai satolli? Solo una confessione: mesi fa, all’improvviso, mi son reso conto di essere un caregiver! Essì, perché la mansione di caregiver informale è così informale, così fisiologica che sembra far parte dell’onda inaggirabile del metabolismo personale. Un caregiver spesso non sa di esserlo! Ma è appena giusto: per intenderlo basta approdare ad una delle prime aspre verità offerteci dal Libro Bianco. Come osserva la senatrice Rizzotti: il Libro Bianco non edulcora verità innegabili. E la verità è questa: la situazione demografica italiana è segnata da

una continua contrazione delle nascite e da un progressivo invecchiamento della popolazione. Il grafico che ne raffigura le risultanze statistiche non è più la salda rassicurante piramide dove tutti hanno il loro posto ed ognuno sa che posto ha; ora il grafico è una trottola. E si sa: la trottola gira, gira vorticosamente. Nella trottola i meno accorti non sanno più da che parte sono girati.

La Presidente dell’Osservatorio, nel suo proemio al Libro Bianco, osserva invece che il 17,4% della popolazione residente opera ad un qualche titolo come caregiver. Si tratta di otto milioni e mezzo di persone. La cifra più impressionante è tuttavia quella riportata dalla relatrice del Libro Bianco per la parte dedicata ai caregivers: essi sarebbero in

ni. Secondo la migliore letteratura fantascientifica – o la peggiore, decidete voi – quella degli alieni infiltrati nell’umanità è una presenza massiccia e tanto discreta da tracimare nella invisibilità. Forse gli alieni siamo noi, che assistiamo i nostri cari. Siamo tanti e invisibili. Mi chiedo quanto io sia rappresentativo di questo esercito discreto. Se ci atteniamo ai nudi numeri ed

È quel che spesso accade ai caregivers. Anche i numeri, implacabili a loro volta, variano a seconda di come vengono considerati. L’onorevole Boldrini, ad esempio, osserva che il 5,5% della popolazione italiana ha disabilità funzionali gravi: si tratta di un milione e mezzo di persone che vengono assistite da circa tre milioni di parenti e congiunti, per lo più donne tra i 44 ed i 55 anni.

realtà – secondo i dati ISTAT consolidati del 2011 – 15.182.000, pari a un quarto della popolazione. Un esercito. Un esercito ‘di eroi di ogni giorno’, secondo la lusinghiera definizione che leggiamo nel Libro bianco. Il 90% di questo esercito è composto da donne. 15.182.000. Più uno. Io che vi parlo. Siamo noi. I caregivers. Il formicaio invisibile. È come se fosse già iniziata l’invasione degli alie-

ai crudi dati statistici direi: poco. Quasi niente. Niente. Il caregiver è infatti al 90% una donna di una fascia etaria compresa tra i 44 ed i 55 anni. Consideriamo poi il cosiddetto burden, cioè quel fardello di insoddisfazione, senso di colpa, rabbia, impotenza, sfinimento, quel tenesmo esistenziale che spesso sfianca il caregiver. Secondo Elizabeth Blackburn, Nobel per la medicina, il burden riduce da 9 a 17 anni


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la aspettativa di vita del caregiver. Quindi è probabile che domani, quando mi presenterò al Ricovero di Via Ormesano, a Racconigi, per assistere mia madre Teresina, alla fine del turno non verrò mandato a casa ma direttamente ricoverato a mia volta. Davvero: chi assiste un congiunto rischia quello che voi tecnici definite l’effetto burnout, cioè il ritrovarsi schiantato o, letteralmente, ’cotto’. E noto di passaggio che l’italiano, per dire cose naturalissime, come assistere l’amato e patirne, ricorre alla terminologia inglese. Rimozione, credo, mascherata da esterofilia. Nel Libro Bianco si tenta una interpretazione culturale della assistenza informale – cioè non istituzionale – che viene prestata. Le donne parteciperebbero con un maggior carico emotivo e con un più intenso scambio comunicativo. L’onorevole Lorefice e la senatrice Cantù, ad esempio, ribadiscono che la donna è per sua natura incline a sovvenire i più fragili. L’uomo sarebbe più pragmatico. Talmente pragmatico da non presentarsi all’appello. Secondo la mia minuscola esperienza le cose stanno cambiando. Anche perché la trottola gira e modifica tutto. Lo stesso Libro Bianco lo riconosce: aumenta il numero di adolescenti richiamati nei ranghi della assistenza; non solo: con gli attuali parametri statistici non si può quantificare l’afflusso maschile tra i caregivers; se ne ipotizza tuttavia un forte aumento. Quindi, nonostante io sia un inguaribile passatista, sono mio malgrado anche l’uomo del futuro. Noi che assistiamo i nostri vecchi siamo la Generazione Sandwich. Quella schiacciata in mezzo. Troppo giovane per essere considerata definitivamente vecchia. Troppo vecchia per poter ancora accampare i sacri diritti e le guarentigie di gioventù. Della generazione sandwich io sono il pane un po’ raffermo e la proteina sfilacciata. Cari amici, credo che la mia vicenda personale sia rappresentativa della condizione di caregiver alme-

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Opera di Luigi Benedicenti

no per un elemento: conosco sulla mia pelle tutte le tappe del percorso dell’assistenza. Ho cominciato col primo impatto devastante della sintomatologia materna. Mi trovo all’estero. Missione di lavoro. Mi giungono nuove catastrofiche che mi impongono un catastrofico ritorno. Prime fratture. Primi ricoveri. Prime riabilitazioni. So subito che al passo con cui si sfarinano le ossa di mamma si sbriciola una vita personale e professionale, la mia, costruita con gioia meticolosa. Arriva poi la badante. L’altra caregiver. Con lei affronto altri ricoveri; con lei affronto anche le istanze preposte alla erogazione dei sussidi per la progressiva demenza materna. Lo dico con dolore patriottico: ad

un comune cittadino, già stremato, queste istanze paiono impenetrabili, mute, sadicamente bizantine. C’è poi il crollo della badante per consunzione e collasso ripetuto. Non so come si dica burden in rumeno. Non so come si dica burnout in moldavo. Però son cose che funzionano anche lì. Alla fine c’è l’ingresso di mamma - perpetrato con l’inganno – nel ricovero. Rimorsi atroci e sensi di colpa. Solo dopo un bel po’ mi rendo conto che il ricovero è un osservatorio unico e rigenerante su un’altra verità inaggirabile: l’implacabilità della vita. Cari amici, Onorevoli Parlamentari: è senza dubbio cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte d’una qualche salvezza che si parli di vec-

chiezza, di malattia, di demenza, di assistenza qui, in Parlamento, nel tempio della democrazia. Un principio sacro della democrazia è che venga lasciata autorevole voce alle minoranze. Ebbene, i nostri vecchi, che son così numerosi, che si incamminano nel viale del fine vita navigando spesso sulle acque sussurranti della demenza costituiscono una cospicua minoranza. Essi ci dicono una verità fondamentale: la implacabilità della vita. Anche noi, che di loro parliamo, fra poco saremo tra le loro fila. La loro voce è soltanto più esile, più appartata. In questo mondo illusorio, però, le loro parole non sono necessariamente più illusorie delle nostre.”


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DECRETO DISUMANITÀ

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In nome della sicurezza negati i diritti umani! di Anna Simonetti

Ho esitato a lungo prima di affrontare su questo giornale una analisi del decreto Salvini, ormai diventato legge di stato. Vi chiederete, perché tanta esitazione? Perché questa legge ha dell’incredibile, perché chi ha anche solo qualche contatto con i ragazzi richiedenti asilo non può accettarla, è una legge cattiva e disumana. Chi sono i “richiedenti asilo”? Sono quei giovani che incontriamo ormai da più di due anni per le strade di Racconigi. Qualcuno è nero, chi più chiaro e chi più scuro, qualcuno è solo di carnagione olivastra, ma in questi due anni di loro presenza in città non si è avuta notizia di alcun problema di tafferugli, di disordini, di violenze. Alcuni di loro, a turno, hanno svolto lavori di volontariato in riconoscenza dell’ospitalità ricevuta. Siamo stati fortunati? Da noi sono arrivati solo i più bravi? Non credo, sono stati considerate persone, sono stati riconosciuti diritti e doveri da ambo le parti nel rispetto reciproco. Ora direte, ma cosa c’è che non va nella legge, in fin dei conti l’Italia non

può accogliere tutti i migranti, abbiamo già tanti poveri italiani! Innanzi tutto se è vero che gli approdi sono diminuiti e questo si è verificato già con il decreto Minniti, se è vero che le Ong sono state tagliate fuori dai porti, bisogna anche dire che gli approdi avvengono ugualmente ma vengono ignorati; i migranti intraprendono altre vie per cui approdano in Spagna, in Grecia. In proporzione al numero di arrivi i morti sono aumentati, anche se non ne abbiamo una conoscenza precisa: avere estromesso le navi Ong dai soccorsi in mare, è servito anche a potere ignorare il destino di molte persone che scompaiono in fondo al mare all’insaputa del mondo che conta. Ma passiamo all’analisi della legge. Cosa c’è che fa indignare? La volontà di tenere delle persone rinchiuse in centri senza possibilità non solo di lavorare, ma anche di fare volontariato. Non potranno fare richiesta di residenza e quindi avere accesso al servizio sanitario, non potranno avere un conto in banca, ma soprattutto non potranno avere un regolare contratto

di lavoro e saranno ottime prede per caporalati e lavoro nero. Creeremo delle gabbie umane! Viene eliminata la protezione umanitaria finora concessa nell’80% dei casi, della durata di due anni, era rinnovabile per altri due ed era possibile trasformarla in permesso di lavoro. Si potrà avere protezione per asilo politico (persecuzione per motivi politici, religiosi, di razza), mentre la protezione sussidiaria potranno ottenerla solo i profughi provenienti da Afganistan, Iraq, Siria, Sudan e Somalia in quanto paesi in guerra. Si potrà avere la protezione per cure mediche certificate (6 mesi o finché dura la malattia), ma non si sa se trasformabile in permesso di lavoro; per calamità naturali nel paese di origine (terremoti…); per fatti di valore civile (atti eroici), trasformabile questo in permesso di lavoro. Quando verrà notificato il rifiuto di permesso al richiedente asilo, questi potrà fare ricorso in Cassazione a sue spese, ma entro un mese dovrà uscire dal C.A.S., e nel caso in cui abbia un contratto di lavoro questo non potrà

essere rinnovato alla scadenza. E così, grazie a questa famigerata legge, negheremo a migliaia di persone quei diritti che, tutelati dalla nostra Costituzione, conferiscono dignità alle persone!

Qui, in pochi, nuotammo alle vostre spiagge. Che razza di uomini è questa? O quale patria così barbara permette simile usanza? Ci negano il rifugio della sabbia; dichiarano guerra e ci vietano di fermarci sulla terra più vicina. Se disprezzate il genere umano e le armi degli uomini, temete almeno gli Dei, memori del bene e del male. [Virgilio, Eneide I 538-543]

WELCOMING EUROPE

PER OGNI ESSERE UMANO NATO LIBERO ED EGUALE IN DIGNITÀ E DIRITTI La Campagna “Welcoming Europe” è un'Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) che deve raccogliere un milione di firme in 12 mesi in almeno 7 paesi membri. È un importante strumento di democrazia partecipativa all'interno dell'Unione europea con cui si invita la Commissione Europea a presentare un atto legislativo in materie di competenza UE. Ecco i tre temi della campagna “Welcoming Europe”: DECRIMINALIZZARE LA SOLIDARIETÀ: in ben 12 paesi dell’Unione Europea distribuire alimenti e bevande, dare un passaggio, comprare un biglietto o ospitare un migrante sono comportamenti per cui è possibile ricevere una multa o addirittura essere arrestati dalle autorità. CREARE PASSAGGI SICURI: dal 1990 a oggi sono morti più di 34.000 migranti nel tentativo di raggiungere via mare l’Europa. PROTEGGERE LE VITTIME DI ABUSI: molti migranti sono vittime di sfruttamento lavorativo, abusi o violazioni dei diritti umani, in particolare alle frontiere, ma trovano grandi difficoltà nell'accesso alla giustizia. Il giorno per firmare nelle Botteghe del Mondo era sabato 12 gennaio e ringraziamo i tanti cittadini racconigesi che in quella giornata sono passati a

trovarci al Mandacarù di Racconigi per apporre la loro firma e i molti che hanno scelto l'adesione on line. Per chi fosse ancora interessato a conoscere questa Iniziativa dei Cittadini Europei e a firmare on line si riferisca al sito www.welcomingeurope.it. a cura del Mandacarù


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Imparare divertendosi:

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LA RICETTA VINCENTE DEL CIRCOLO TENNIS RACCONIGI di Francesco Cosentino

Il movimento tennistico racconigese affonda le sue radici agli inizi degli anni Settanta, quando la struttura comunale di via Bonneville (ormai scomparsa) iniziò a portare problemi di gestione e si decise di aprire un nuovo impianto nelle vicinanze degli altri impianti sportivi, dove tutt’ora il circolo è pienamente attivo. Dopo un breve periodo in cui la struttura rimase nelle mani della gestione comunale, alcuni degli appassionati presero a cuore il progetto e si occuparono direttamente di gestire l’impianto. Fu così che nel 1976 nacque la Società Tennis Racconigi, gestito da un direttivo che di anno in anno viene eletto dall’assemblea dei soci. Nel 1987 venne ufficialmente costituita l’Associazione Sportiva, il Circolo Tennis Racconigi, che nel giro di pochi anni crebbe in maniera esponenziale, riuscendo anche a su-

perare i 200 tesserati. Lo scopo principale del circolo, sin dagli inizi, fu quello di insegnare il tennis ai ragazzi mantenendo una filosofia legata al divertimento e al gioco: l’idea del tennis racconigese non è legata strettamente ai risultati, bensì all’educazione dei ragazzi attraverso l’apprendimento del tennis. Ad oggi il circolo racconigese appoggia il progetto Tennis+, gestito a livello nazionale dall’ideatore Graziano Siligardi e seguito nella nostra città dal maestro interno Fabrizio Iellamo. Il progetto prevede l’organizzazione di una serie di corsi per ogni livello, dal principiante all’agonista, a partire dalla tenera età di quattro anni. Seguendo tutto il percorso formativo, si può iniziare dal minitennis sin da piccoli fino ad arrivare ai livelli regionali e nazionali. Grazie a questa modalità di lavoro la struttura al momento coinvolge ben 30 bambini,

suddivisi per età e categorie e seguiti direttamente da Iellamo. Il circolo può contare su due squadre agonistiche: la D2 maschile e l’under 14 maschile. Particolare menzione va fatta per il classe 2003 Gioele Ainaudi, classificato 3.3 (categoria di buon livello nel mondo del tennis, soprattutto considerata la giovane età del ragazzo), e i due classe 2006 Simone Giraffi e Amedeo Graglia, che proprio con l’under 14 maschile si sono aggiudicati il premio allo sport a livello regionale. La D2 maschile è la squadra di riferimento. Questa, a partire da maggio, affronterà come ogni anno un campionato della durata di cinque domeniche e suddiviso in quattro incontri di singolo e due di doppio. La manifestazione è libera, ciò significa che non implica un’età minima, e questo permette di aggregare anche i ragazzi dell’under 14 alla squadra formata dallo stesso Fabrizio Iellamo, Andrea Elmi, Gioele Ainaudi e Alessandro Minero. Gli scorsi anni questa competizione è sempre stata affrontata al meglio: la selezione racconigese è sempre riuscita a salvarsi e considerando l’alto livello degli avversari questo non può che essere considerato un buon traguardo. Inoltre, c’è una buona possibilità di poter assistere all’introduzione di una squadra femminile, la quale parteciperebbe al campionato di categoria. Nulla di ufficiale, ma la speranza del circolo è quella di dare vita a questo nuovo progetto già da quest’anno, grazie alla disponibilità da parte di Lucia Graglia, Gloria Tavella, Elise Bertinetto e Camilla Albertino di buttarsi in questa nuova avventura. Da quest’anno il circolo aderirà alla

FJP (Fit Junior Program), una serie di appuntamenti domenicali dove i bambini avranno la possibilità di confrontarsi con i pari età e livello in una serie di incontri amichevoli, organizzati con lo scopo di far divertire i partecipanti e allo stesso tempo indirizzarli verso competizioni vere e proprie. Oltre a questa iniziativa, nel 2019 sono in programma tre tornei che riusciranno a coinvolgere nella misura massima i soci del circolo, dal torneo amatoriale TPRA fino ai più impegnati limitato 3.3 e open. Ci sarà, infine un evento che inaugurerà la stagione estiva, dove sarà invitato chiunque fosse interessato ad affacciarsi nel mondo del tennis. L’iniziativa, denominata “prova racchette head”, permetterà ai curiosi di interfacciarsi al mondo tennistico e ai più esperti di passare una giornata insieme provando nuove racchette.


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Raccontami...

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La piazza di Marrakesh ovvero Piccole storie di presunzione ferita di Giancarlo Meinardi

“Mustafà … amico … ho un cosciotto di pollo per te … amico mio”. La voce allegra del venditore si fa strada a fatica nel vociare confuso della piazza, mentre galleggiamo tra i suoni gli odori i colori di Djemaa el-Fna. Le ombre del crepuscolo spengono i riflessi rossastri del giorno appena finito e la piazza sonnolenta si risveglia accogliendo come sempre il popolo di Marrakesh, diventa cosa viva sotto la terrazza al secondo piano del café. Movimenti intrecciati di uomini e donne che si fanno più fitti danno forme e colori a una folla che si scompone e ricompone di continuo. Un richiamo irresistibile. Ed ora siamo anche noi parte di quella folla, di quella piazza. Uguali e diversi. Ci facciamo largo a fatica tra djellaba e caftani, fez e hijab; incantatori di serpenti, giocolieri, cantastorie, danzatori, musici, acrobati, maghi, donne che disegnano tatuaggi di henné, cavadenti, barbieri, scrivani, ven-

ditori di acqua; bancarelle con spiedini d'agnello, cosce di pollo, pesci sfrigolanti, zuppe fumanti, spremute di arancia, datteri, frutta secca, odori di spezie. Djemaa el-Fna, il raduno dei morti, esplode di vita e le teste dei giustiziati esposte sulla piazza sono un lontano ricordo. “Mustafà ... una spremuta d'arance ... le arance più dolci di questa terra benedetta da Allah”. Immerge il mestolo di stagno nel pentolone ricolmo di succo e mi porge un bicchiere che deve aver perso da tempo la trasparenza del vetro. Bevo e il mio sguardo è attratto dalla piccola folla che circonda di rispettoso silenzio un vecchio berbero seduto, avvolto in un bianco djellaba; tiene tra le mani la mano di un uomo e pronun-

cia parole che non capisco. L'uomo ascolta e non parla, solo di tanto in tanto un cenno del capo. Poi si alza e lascia nella mano del profeta una moneta.

“È Amid el Farouti, il profeta di Djemaa el-Fna ...” bisbiglia l'ambulante che ha colto la mia curiosità. “... lui vede il tempo che sarà nella tua mano e nei tuoi occhi. Non sbaglia mai”. Non trattengo un sorriso al pensiero di questa gente sempliciotta e credulona che affida timori e speranze a un vecchietto che campa sulla loro ingenuità. È in quel momento che gli occhi del vecchio si alzano e incontrano il mio sguardo. Un cenno della mano. M'avvicino incerto e incerto mi siedo al suo invito gentile e autorevole. Ora la mia mano è nella sua mano; la sfiora soltanto con un dito, gli occhi dritti nei miei occhi. Un disagio sottile. Poi parla. ”NEL FIUME DI PIETRA AFFOGA LO SCORPIONE BORIOSO” “PER UNA MANCIATA DI MONETE UNA TENDA DI STELLE”

“LA STRADA DÀ, IL TEMPO TOGLIE”. Ora tace, e nei suoi occhi mi sembra luccicare un sorriso malizioso, ma forse è soltanto immaginazione. Capisco che non ci sarà altro, mi alzo e lascio una moneta, m'allontano e penso d'aver dato anch'io il mio obolo alla sopravvivenza di un furbo vecchietto. Mi volto un momento e incontro i suoi occhi che mi seguono ... un lampo ironico ... forse ... scrollo le spalle e mi tuffo nella vita di Djemaa el-Fna. Le Fiat Uno salgono lente gli ampi tornanti che si snodano verso Imlil, porta dell'Alto Atlante, la nostra base per il Toubkal. Salgono lente ma sicure, fiere di mostrare le doti magnificate dal noleggiatore, che questa mattina ci ha consegnato gli “scorpioni del deserto”, come qui chiamano queste auto che non di rado incrociamo sulle strade del Marocco. Un paesaggio austero scorre davanti a noi, lo guardiamo rapiti e ricordiamo le voci, i colori, gli odori che ci hanno travolti

la sera passata a Djemaa el-Fna. Il sole sparisce quando svoltiamo nella sterrata che si snoda tra montagne ora imponenti; il crepuscolo arriva in fretta e saliamo con fatica tra i sobbalzi della strada sempre più sconnessa. Ormai andiamo avanti a passo d'uomo, i fari che frugano il buio alla ricerca del passaggio migliore. D'un tratto sbucano dall'ombra due sagome scure, scivolano veloci dalla scarpata e ci affiancano. Sgambettano accanto all'auto, bussano sul cristallo del finestrino, borbottano qualcosa in quella lingua che non capiamo. Siamo un po' allarmati, ma non sembrano minacciosi; alla fine ci fermiamo, cerchiamo di capire. Indicano la strada davanti a noi e poi uno scassato pickup che si è accodato alle nostre due auto. “Vrrrrrr ... vrrrr ... vrrrr” ripetono ruotando vorticosamente le mani, indicano il torrente che scorre accanto alla strada; ci sembra di capire che dovremmo parcheggiare le nostre auto e salire sul furgone per raggiungere Imlil. “No ... no ...”, cerco di spiegare, con poche parole e tanti gesti, che non ci sono problemi, la strada non ci fa paura, ormai mancano pochi chilometri. Loro insistono, noi non cediamo e riprendiamo la nostra strada. “Ma come ... ma cosa si credono? Che non abbiamo mai visto una strada di montagna? E poi noi abbiamo i nostri scorpioni! Venti, trenta minuti e siamo arrivati. E cosa vogliono dire con quel vrrr ... vrrr?”. Non vedo più gli uomini, ma il furgone ci segue. “Sono testardi ... peggio per loro. Noi non ci caschiamo”. La strada ora è orrenda, le pietre sempre più grandi, le buche più profonde. Sobbalzi e cigolii. L'auto si ferma con un sussulto, slittando su un letto di ghiaia e di pietre. Proviamo a riprendere la marcia. “Vrrr ... vrrr ...”


insonnia

Gennaio/Febbraio

2019

13 gesto della mano che indica la sabbia. Capisco, capiamo. La sabbia sarà il nostro giaciglio, il cielo stellato il nostro riparo. Questo è tutto, per il prezzo che abbiamo pagato. Tra la veglia e il sonno s'insinua e svanisce l'immagine del berbero profeta.

le ruote girano vorticosamente senza trovare la presa, l'auto slitta, sussulta, si ferma di nuovo. Riproviamo “vrrr ... vrrr ... vrrr”. Niente. Ricompaiono i neri fantasmi che avevamo lasciato indietro. Indicano la frana che sbarra la strada ai nostri scorpioni, indicano il furgone con le larghe ruote da fuoristrada. Il buio è profondo, qualche timore rimane, ma non abbiamo scelta. Contrattiamo rapidamente il prezzo, parcheggiamo le auto, ci ammucchiamo noi, i bagagli e l'orgoglio ferito sul cassone del pickup e ripartiamo. Venti minuti di burrascosa navigazione sul fiume di pietre ci sbarcano a Imlil, immersa nel silenzio della notte. Pago felice l'autista felice, in fondo ai suoi occhi mi sembra luccicare un sorriso malizioso. Un pensiero s'affaccia alla mente ... la piazza di Marrakesh ... solo un momento ... svanisce subito nella stanchezza e nella tensione che si scioglie alla voce del muezzin che attraversa il buio. Andiamo a dormire. Il Toubkal ci aspetta. La salita al tetto dell'Alto Atlante, l'immenso scenario che si stende intorno alla vetta, la discesa sul bianco improbabile che spezza il giallo, l'ocra, il marrone dei pendii più in basso e dell'altopiano lontano, sono ormai un ricordo indistruttibile. I nostri scorpioni, sempre tenaci e un pochino più umili, hanno lasciato alle spalle tanta strada, l'hanno abbandonata e ora sollevano alte nuvole di polvere dalla pista che incide un desolato deserto di pietre, lo sconfinato spazio vuoto dell'hammada. Da qualche tempo si è materializzata davanti a noi una linea incerta e tremolante. Ed ora, minuto dopo minuto, le rosse dune di Merzouga riempiono sempre più l'orizzonte. Le ombre fresche dell'oasi ci accolgono quando il sole del tardo pomeriggio infuoca le onde di sabbia che si innalzano appena oltre le palme. Là tra le palme troviamo quel che cerchiamo. Un beduino dalla nera jalabiyya si muove tra dromedari accosciati che ruminano pigri con lo sguardo svogliato. L'uomo si muove lento, con gesti sicuri, mentre li prepara per la partenza di un piccolo gruppo in attesa. Iniziamo una laboriosa trattativa sul prezzo per un giro di due giorni nel deserto. Siamo preparati e pronti a dimostrare a lui e a

noi la nostra bravura, i dirhan ballano avanti e indietro, ma non molliamo e quando alla fine troviamo l'accordo siamo contenti di noi. Ora la carovana si muove silenziosa lungo una pista invisibile che si snoda tra le dune. Voci, battute, risate si sono spente da tempo, note stonate in quell'aria sospesa tra sogno e materia

inerte e selvaggia. I rossi forti del tramonto si sono smorzati e incupiti, nel cielo che si fa rapidamente nero si accendono una dopo l'altra luci che ora brillano a migliaia e il disco bianco della luna scompare e riappare sopra le dune. Il passo lento e ondeggiante dei dromedari ci culla e ci trasporta fuori del tempo, attraverso uno spazio sempre uguale e sempre diverso, verso un luogo che non conosciamo. Nessuno osa parlare, nessuno può profanare la magia del viaggiare. Non so quanto tempo è passato. Quando, poco lontano, si profila nella notte la nera sagoma di una grande tenda, mi riscuoto dal sogno, penso “ci siamo”. Ma ora la carovana si divide; i nostri compagni casuali vanno verso la tenda, noi proseguiamo. Siamo sorpresi, un poco inquieti per il nostro destino, ma non osiamo parlare. La marcia continua nella notte, finché l’uomo si ferma in mezzo alle sabbie che ci circondano e fa sdraiare i cammelli. È ora di scendere. Ci guardiamo intorno: sabbia, sabbia, sabbia. Poche palme dall'aspetto precario. Ai nostri occhi perplessi, alla muta domanda “dove dormiamo questa notte”, l'uomo risponde con un sorriso che mi pare un pochino beffardo e un

Ancora l'asfalto bollente che taglia l'altopiano riarso, scende serpeggiante nelle ombre di una gola profonda e risale nella luce abbagliante. Anche Merzouga è lontana, lontana e indelebile l'emozione di quella notte sospeso tra sabbia e cielo, parte del respiro potente della natura. Una piccola ferita per la presunzione di mercanti improvvisati ... una esperienza inattesa e totale. La luce trasparente della luna che svela e nasconde le linee delle dune, la cupola del cielo tempestata di stelle che si curva attorno a noi fino a saldarsi con la sabbia, il silenzio appena scalfito da un leggero fruscio e dal respiro di chi già dorme, il desiderio di non cedere al sonno per vivere fino alla fine quel sogno ad occhi aperti ... gli occhi che piano piano si chiudono ... per riaprirsi alle prime luci del giorno che pezzo per pezzo

strappano le ombre alle dune. L'uomo del deserto è sveglio, in ginocchio sulla sabbia e lo sguardo volto a levante già dorato dal sole che sorge, mormora una sommessa preghiera al suo dio; c'è magia intorno a quella figura, c'è una forza che cancella il disappunto della sera prima ... la forza di un legame tra l'uomo e la terra, tra l'uomo e il cielo, tra l'uomo e il tempo di cui fa parte senza volerlo

governare e piegare. Ed ora l'asfalto che scorre, il tempo che riprende una forma plasmata dall'uomo, la corsa verso un giorno, un orario, un volo verso casa. Il tempo si è ripreso quella notte ... quella notte ha segnato nel profondo il mio tempo. Il cammino volge verso la fine, ma non è finito. Dietro la curva, l'ultimo incontro. Una donna ferma sul ciglio della strada, su un muretto geodi multicolori brillano sotto la luce violenta del sole, gialli, rossi, turchesi. Un richiamo a cui non posso resistere. Ancora una trattativa, breve, fatta di gesti; il pesante geode dai cristalli sanguigni passa nelle mie mani ... un affare ... un affare? Non so ... forse ... ma quel colore ... un colore così non l'ho visto mai, unico. Ora i rossi cristalli brillano sul ripiano della libreria, accarezzati dalla luce del giorno, rinnovando i ricordi di quella terra, le emozioni, i colori, le immagini: il passo ondeggiante dei dromedari sulle sabbie di Merzouga, la voce del muezzin nel buio di Imlil, la folla variopinta di Djemaa el-Fna. Vita e sogno che s'intrecciano e rendono difficile separare esperienze e suggestioni. Come quella, insinuante e potente, del berbero profeta e delle parole profetiche che per un momento hanno fatto tremare le mie razionali certezze. Il FIUME DI PIETRA, LA TENDA DI STELLE, suggestioni, coincidenze fortunose, niente di più. E poi, che profeta può essere se è un profeta soltanto a metà: LA STRADA DÀ ... IL TEMPO TOGLIE ... fantasie ... qui non è stato così fortunato. Ogni giorno che passa si porta dietro gesti, affanni, pensieri che fanno del viaggio un ricordo lontano su cui si posa il velo del tempo. Anche la rossa luce del geode si appanna sotto la polvere. Ci vuole una bella ripulita sotto l'acqua corrente. Con l’acqua i cristalli ritrovano lucentezza ... ma non il colore sanguigno. Il colore si è sciolto nell'acqua, svelando il trucco consumato a mie spese: un comune geode, fatto unico con l'aiuto di polverine misteriose. Ancora una piccola lezione, che mi strappa un sorriso. Ma poi, improvviso mi scoppia nella testa il ricordo: LA STRADA DÀ, IL TEMPO TOGLIE. La mia mano nella sua mano, i suoi occhi nei miei occhi, mi pare che il vecchio profeta sorrida divertito.


Gennaio/Febbraio

14

2019

MATTEO E L’ARCOBALENO

insonnia

di Bruno Crippa

La voglia di leggere fa sì che mi ritrovi tra le mani il libro “Suonerà una certa orchestra” di Franco Piccinelli, pubblicato nel 1974, e da allora non più letto. Racconta di un ragazzo chiuso nel manicomio di Racconigi e del suo rientro a casa in un paese della Langa. Il primo capitolo descrive l’arrivo della mamma alla stazione ferroviaria di Racconigi per poi avviarsi all’ospedale a trovare il figlio. L’autore descrive benissimo il tragitto dove la ciminiera dell’ospedale fa da faro al percorso della signora. É in quel momento che i miei occhi si staccano dalla pagina e dalle righe e piano piano la mia mente torna ai primi anni ’70 quando prestavo servizio come infermiere al manicomio di Racconigi. Il reparto è il Morselli ed è domenica. Matteo è un ragazzino oligofrenico e tutte le domeniche pomeriggio riceve la visita della mamma. Matteo non parla e il suo camminare è difficoltoso. Il portinaio avverte in reparto dell’arrivo della mamma, così troverà il figlio in parlatorio, una stanzetta piccola e anonima con due sedie e un tavolino. Dalla finestra del parlatorio vedo arrivare una donnina minuta, vestita di nero, con un foulard in testa e una borsa al braccio. Dopo quel tragitto dalla stazione all’ospedale, è ancora lungo il viale che porta al reparto. Mamma e figlio finalmente insieme. Volgo lo sguardo al giardino, sotto ad una fila di platani c’è una panchina ed è lì che mamma e figlio si siedono. Dalla borsa esce un contenitore di alluminio (barachin) colmo di fumanti agnolotti. Matteo li divora con avidità, un bicchiere di acqua e una carezza della mam-

ma al figlio, e poi rientro in reparto. Aprendo loro la porta e vedendo il disagio della donna nel distaccarsi dal figlio, mi prende, come sempre, un groppo in gola. La signora è di un paesino del Fossanese e per vedere il proprio figlio la domenica viaggia in treno. L’arrivo a Racconigi avviene alle 12,20 e il rientro alle 16,30 circa. Mezz’ora a piedi dalla stazione all’ospedale e mezz’ora al ritorno in stazione fa sì che con il figlio il tempo è minimo. In quegli anni io abitavo oltre la ferrovia e in servizio andavo in auto passando davanti alla stazione. L’orario di entrata in servizio al

pomeriggio era alle 12,30 cosicchè all’arrivo del treno da Cavallermaggiore mi trovavo a passare sul piazzale della stazione. Una domenica incrocio la signora all’uscita della stazione, rallento e offro a lei un passaggio che volentieri accetta. Mi ringrazia e mi benedice per avergli evitata una faticosa camminata, ma soprattutto, per averle dato la possibilità di rimanere più a lungo in compagnia del figlio. E da quella volta altre domeniche ancora mi sono trovato a passare sul piazzale della stazione non a caso, così da permettere ad una mamma di vivere con il proprio figlio un intero pomeriggio.

Matteo tutt’ora è ancora lì con i compagni di quel tempo, Silvio, Renato, Luciano, Ivo e altri, ma non c’è più il parlatorio, il portinaio, la panchina, Matteo VIVE tra i colori dell’arcobaleno. Tra poco sarà Natale e come ogni anno alla Comunità Arcobaleno sarà vera festa, ospiti, famigliari, operatori e volontari, tutti insieme per festeggiare ed io sarò tra loro, come sempre, in veste di Babbo Natale . C’è gioia, c’è amore e negli occhi dei famigliari percepisco quella serenità e pace che allora nel parlatorio del Morselli mi era sconosciuta. Racconigi, novembre 2018

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Email:

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insonnia

Gennaio/Febbraio

Storia della pizza

2019

15

di Guerra Giovanni, Khadri Youssef, Pecchio Gabriele, Zamfir Mihai, alunni 4°A Liceo Arimondi

La pizza, piatto di origini napoletane, ma gradita già dalle popolazioni greco-persianiche nel 500 A.C. Le sue origini infatti risalgono al neolitico con reperti di piccole forme di impasto appiattito e condito con formaggio, aglio e cipolla; ma per parlare di pizza così come la conosciamo oggi si dovrà aspettare il 1889 quando un panettiere di nome Raffaele Esposito, volendo elogiare la Regina d’Italia Margherita di Savoia, decise, osservando l’impasto delle focacce, di condirne una con pomodoro, mozzarella disposta a forma di margherita ed una foglia di basilico in modo da compiacere la regina ed onorare il Paese utilizzando ingredienti i cui colori rappresentavano la bandiera italiana (pomodoro rosso, mozzarella bianca ed origano verde). E quando la regina chiese il nome della pietanza, le fu risposto: Margherita. Con il passare degli anni, si è assistito ad una grandissima espansione del fenomeno: ad esempio, in America la pizza è diventata il terzo piatto da fast food più apprezzato dopo l'hamburger e l'hot dog ed in quasi tutte le città più importanti al mondo c'è una pizzeria italiana. Essa è definita un ottimo piatto per ogni pasto, pranzo o cena che sia, veloce, leggero, nutriente e soprattutto sano. Oltre che molto apprezzata, la pizza è vista come un'occasione per uscire con gli amici, i famigliari

Cin

Cinema BOHEMIAN RHAPSODY di Cecilia Siccardi

Londra, 1970. Farrokh Bulsara, studente universitario che lavora in un aeroporto londinese, assiste al concerto degli

Lib

Libri di Michela Umbaca

In un remoto paese d’Occidente, una fanciulla, Olympias, si dirigeva presso il santuario di Dodona, per chiedere una benedizione per il figlio che sentiva per la prima volta muoversi in grembo. Da Nord un gelido vento

e chi più ne ha più ne metta. Il 19 maggio 2016, Napoli è stata protagonista del record per la pizza più lunga al mondo con i suoi 1853,88 metri di lunghezza cucinata per ben nove ore da duecentocinquanta cuochi pizzaioli e utilizzando cinque forni diversi. Per onorare questa pietanza è stata istituita, il 17 gennaio, la giornata mondiale della pizza, data in cui viene festeggiato Sant'Antonio Abate, protettore dei fornai e pizzaioli. In questa giornata, tutte le pizzerie rimangono chiuse per festeggiare insieme a famigliari e amici. Il 7 dicembre 2010 la pizza napoletana, in seguito ad un consiglio riunitosi nella lontana Corea del Sud, è stata proclamata patrimonio dell’Unesco. Questo riconoscimento è stato assegnato alla pizza poiché il consiglio ha riconosciuto il mestiere di pizzaiolo un’arte vera e propria, unica nel suo genere. Dopo questa proclamazione, la pizza assume una popolarità ancora più grande al punto da confermarsi miglior cibo al mondo. Nel 1990 a Parma si è tenuto il primo campionato mondiale della pizza; giunto ormai alla sua 28° edizione, si terrà nei giorni 9-10-11 aprile 2019: nelle dodici gare previste ogni pizzaiolo, proveniente da qualsiasi Paese del mondo, potrà cimentarsi nella sua arte.

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Smile, una band locale che di lì a poco verrà abbandonata dal proprio cantante. Farrokh, che si fa chiamare Freddie, si offre di sostituirlo, convincendo i perplessi Brian May e Roger Taylor con le sue doti vocali e il suo carisma; insieme a John Deacon, i quattro formano un nuovo gruppo, i Queen. È l’inizio di una cavalcata trionfale che li porterà nel giro di pochi anni ad assurgere al ruolo di superstar internazionali, a vivere in tournée e a riempire gli stadi. Come prevedibile, però, il successo arriva con un alto prezzo da pagare. Bohemian Rhapsody è un film del 2018 diretto da Bryan Singer, che sta riscuotendo ottimi risultati dal punto di vista commerciale, affermandosi come il biopic musicale di maggior successo di sempre. Il film segue la storia dei Queen dagli esordi fino al Live Aid del 1985 e ha ricevuto un’accoglienza entusiastica

da parte dei fan della band. Molto lodate sono state in particolare la ricostruzione delle sequenze musicali, spettacolari e precise, e la performance di Rami Malek nei panni del protagonista, che riesce bene nel compito non facile di rendere sul grande schermo la personalità straripante di uno dei più carismatici artisti del rock. Non si possono tuttavia ignorare altri aspetti del film, fra cui il più fastidioso è senz’ombra di dubbio il retorico buonismo con cui a tratti viene raccontata la storia (l’apice viene raggiunto con Brian May e Roger Taylor che lasciano la festa decadente di Freddie alle 22, al braccio delle mogli, sdegnati per i suoi eccessi). È difficile trovare originalità in un film di questo genere, ma il tentativo di accontentare tutti condanna Bohemian Rhapsody all’uso di un politicamente corretto che toglie un po’ di anima all’intera vicenda, non riuscendo

soffiava impetuoso tra i rami millenari di quel luogo e agitava le foglie ormai morte ai piedi delle querce millenarie. Fu come un sussurro. Il vento calò e con voce più flebile rivelò alla giovane donna il nome del bambino. Il suo nome era: “Alèxandros”. Da qui prende inizio uno dei romanzi storici più avvincenti e appassionanti nati dalla sapiente penna di Valerio Massimo Manfredi: la storia di Alessandro Magno. Un romanzo che ripercorre per intero la breve vita di uno dei condottieri più giovani e intraprendenti della storia del Mondo, dalla sua nascita, fino alla sua precoce morte tra le mura della leggendaria Babilonia. Da Pella, alle sponde del Nilo, fino agli estremi confini del mondo allora conosciuto, Alèxandros ci consegna immagini e paesaggi fantastici; ci avvicina a personaggi introspettivamente eterogenei e, per

questo, spinti da impulsi e volontà diversi, ma legati tra loro da un indissolubile quanto tenace vincolo di amicizia: la Torma di Alessandro. La bellezza di questo romanzo è racchiusa nell’attitudine, tutta Manfrediana, di saper annullare la diacronia temporale che, inevitabilmente, ci separa dagli eventi narrati, e di catapultarci in un’atmosfera sempre contemporanea e attuale. Alèxandros è una storia di amicizia, di legami, di sogni, di ambizioni. Fatalmente effimeri. Drammaticamente umani.

Valerio Massimo Manfredi “Alèxandros – La Trilogia” 2010, pp. 967, € 15,00 Arnoldo Mondadori Editore

a restituirne la profondità dietro lo spettacolo.


Gennaio/Febbraio

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Mus

Musica Maroccolo Gianni ALONE (VOLUME 1) di Giuseppe Cavaglieri

Per chi non lo conoscesse, in pillole, Gianni Maroccolo ha cambiato la scena musicale italiana fondando i Litfiba negli anni ’80 e i CSI nel decennio successivo. La sua carriera è proseguita poi con innumerevoli produzioni

(una su tutte i Marlene Kuntz) e collaborazioni artistiche, in cui la sua musica ha spesso dialogato con il cinema, il teatro, l’arte contemporanea e la scienza. Contempo Records ha recentemente presentato “Alone”, il nuovo progetto solista di Gianni Maroccolo, o il disco perpetuo, come lui stesso ama definirlo. “Alone” non è un album isolato, ma una vera e propria “collana” che viaggerà all’infinito, senza soluzione di continuità e con cadenza semestrale. Ospiti importanti animeranno i vari volumi di questa collana, al primo capitolo di “Alone” partecipano tra gli altri Edda ed Iosonouncane. Secondo Marok (nome d'arte) è il tempo di «abbandonare il noto per l’ignoto, alla ricerca della contrapposizione a qualsiasi forma di dualità, per celebrare con suoni e note il “qui e ora”: il tutt’uno Cosmico di cui siamo parte vitale, non nella

diversità ma nella consapevolezza che ogni essere vivente sia elemento generatore di UNO. 1+1= UNO». “Alone” è un esperimento privo di confini musicali e sonori, visionario e psichedelico, dove sono la musica e il suono a dettare immaginario e suggestioni. Non vi saranno che poche parole; quelle necessarie, non necessariamente cantate. Se vorrete ascoltare questo disco non cercate di ascriverlo ad un genere o di ingabbiarlo in qualche categoria. prendetelo com'è, tutto d'un fiato. Chi scoprirà “Alone”, avrà il piacere di trasformare ciò che “sentirà” in pensiero o parola,

2019

insonnia

sfogliando le bellissime illustrazioni di Marco Cazzato che curerà con sue opere inedite l’intero artwork della collana, e leggendo i racconti visionari ed immaginifici di Mirco Salvadori, a loro volta ispirati ai singoli volumi della collana e creati per essa.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Alla prima categoria appartengono 6 persone che nel periodo hanno complessivamente elaborato 28 articoli, alla seconda appartengono 5 persone che hanno scritto 15 articoli, alla terza categoria appartengono 9 persone e complessivamente hanno scritto 22 articoli, alla quarta categoria appartengono 25 persone che hanno scritto nel loro insieme 25 articoli. I redattori ed i collaboratori fissi hanno trattato prevalentemente i seguenti temi: IMMIGRAZIONE/LAVORO (7 articoli) SCUOLA/EDUCAZIONE (6 articoli) RELIGIONE/STORIA (4 articoli) I collaboratori più o meno saltuari hanno trattato i temi seguenti: DISABILITÀ (7) RACCONTI (6) PERSONE (6) POLITICA (4) TEATRO (4) SPORT (4) EDITORIALI (3) SANITÀ (2) RIFIUTI (2) Ognuno di voi può trarre da questi dati la propria visione di che tipo di pubblicazione è insonnia e in base a queste considerazioni scegliere se è un giornale che può essere aiutato a continuare ad uscire con regolarità e se a Racconigi ha senso pensare che un simi-

le prodotto possa essere utile a livello di informazione e conoscenza. Anche se i nostri bilanci sono pubblici posso aggiungere che il costo di questo giochino è molto basso e consiste unicamente nella stampa del giornale perché tutto il resto non è pagato è un lavoro di volontariato. Paghiamo alla Tipografia, cooperativa che ce lo consegna a Torino in zona vicino a Nichelino, euro 3300 annui. Le entrate consistono unicamente nei vostri contributi, contributi che paghiamo anche noi redattori e collaboratori, e che vanno a pareggiare all’incirca le spese tipografiche. Non riceviamo alcun contributo pubblico né esistono introiti per pubblicità. Detto questo mi permetto anche io, da questi dati, trarre le mie brevi considerazioni. La prima è una domanda: ma perché facciamo questa cosa? Risposta: è un sacco di tempo che me lo domando e francamente non l’ho ancora capito ma, con alti e bassi, devo ammettere che mi piace, anche ora che scrivo questo editoriale. Riguardo lo zoccolo duro, quello della redazione e dei collaboratori fissi, devo ammettere che i temi che trattiamo sono proprio le cose importanti che vengono vissute in una società e che noi si voglia dare la nostra visione di queste situazioni/

problemi mi sembra che non sia un giochino proprio inutile, per noi e per i nostri lettori. I collaboratori più saltuari trattano temi che sono presenti nel nostro mondo e spesso li osservano, come i redattori, da un punto di vista che, quasi sempre, è originale, ovvero prodotti con il loro cervello e col proprio cuore. Molte persone della nostra età vanno a giocare a bocce,

si trovano al bar o in piazza a chiacchierare, altri si dedicano a qualche forma di volontariato o ad assistere gente più anziana o i propri nipoti, oppure hanno bellissimi hobby; non credo che la nostra sia una attività che possa fare del male a qualcuno, né più pericolosa o inutile di quelle che ho appena detto. a cura di Rodolfo Allasia


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