INSONNIA Gennaio 2018

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insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 99 Gennaio 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Il sole che splende nel cielo ostinatamente senza nuvole, la terra della campagna riarsa e compatta sotto i piedi, il fumo degli incendi che divorano per settimane i boschi rinsecchiti della valle di Susa, le nuvole di polvere sollevate dai trattori nei campi autunnali, la cappa di smog che a lungo soffoca Torino. Sono le immagini che restano impresse di una estate insolitamente lunga che ha segnato un poco invidiabile record della storia recente. Oggi è un ricordo. Perché parlarne oggi che l’emergenza è rientrata, fa freddo e abbiamo il ghiaccio per le strade? Perché il problema è proprio la cultura dell’emergenza. Quando la siccità colpisce campi e colture ci preoccupiamo della siccità, quando le piogge violente sommergono di fango le nostre case ci preoccupiamo della pioggia, quando lo smog avvolge le città ci preoccupiamo dello smog. Ripariamo i danni, invochiamo strategie e dimentichiamo. Corriamo dietro l’emergenza e fatichiamo a guardare lontano. Quelli che abbiamo vissuto nel corso della lunga estate passata sono effetti a casa nostra del cambiamento climatico che sta sconvolgendo a livello globale il mondo che conosciamo. I primi allarmi, pochi decenni fa, sembravano vaneggiamenti di folli. Poi, piano piano, i dati e le analisi del mondo scientifico hanno posto tutti di fronte alla realtà, una parte del mondo politico ne ha preso atto, le preoccupazioni tra la gente sono cresciute. Il clima sta cambiando, e questa di per sé non è una novità. Nel corso di milioni di anni il clima ha conosciuto cambiamenti epocali, che hanno disegnato e ridisegnato l’aspetto fisico della terra, la vita di innumerevoli specie animali e vegetali, l’ambiente in cui esse vivono.

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IL TESTAMENTO BIOLOGICO È LEGGE Una conquista di civiltà che ora bisogna difendere di Giancarlo Meinardi

180 sì, 71 no, 6 astenuti. Questa è l’ampia maggioranza con la quale il Senato della Repubblica, dopo l’approvazione della Camera dei Deputati, ha approvato in via de-

finitiva il disegno di legge riguardante le Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.

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Aula del Senato: le lacrime di Emma Bonino, la gioia di Mina Welby (Da Repubblica 14 dicembre 2017)

La destinazione dell’ex Salone SOMS

C’ERA UNA VOLTA UN CINEMA… ECCO APPUNTO! Spendere il giusto nella direzione giusta

Anche gli studenti diventano INSONNI

Un nuovo progetto di collaborazione tra le Scuole Superiori e il nostro giornale di Luisa Perlo

Quando la Redazione di Insonnia ha proposto alla nostra Scuola Superiore di collaborare al giornale mi sono detta “Perché no? E’ una bella occasione per mettere in contatto due realtà diverse tra loro, gli studenti ed il paese, che, pur convivendo, non si conoscono mai a sufficienza.” Ma subito dopo il mio pensiero è andato oltre, riportandomi alla mente tutte le occasioni in cui avremmo voluto, come scuola, offrire ai nostri ragazzi qualche possibilità in più, qualche collegamento più stretto col mondo al di fuori dell’istituto scolastico nel quale trascorrono migliaia di ore della loro adolescenza. Ho pensato che i ragazzi hanno occhi coi quali riescono a vedere ben oltre la realtà contingente, hanno pensieri che sanno ancora liberarsi dalle sovrastrutture imposte dall’esterno e sfuggire ai condizionamenti del tempo adulto, hanno sogni, speranze e illusioni che noi abbiamo abbandonato col trascorrere degli anni.

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di Elisa Reviglio

Occorrerebbe tornare indietro con la memoria a quello che è stato l’ultimo uso del nostro Salone Sociale per realizzare che era stato destinato a cinema e già allora con scelte discutibili, come per esempio investire denaro per renderlo fruibile ai fumatori, invece di investire per la sua conservazione, oppure non seguire con decisione una scelta che magari avrebbe portato adesso ad avere un cinema “consolidato”. segue pag. 4

GIORNO DELLA MEMORIA

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Bilancio Comunale

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Agricoltura e profughi

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PUGILATO

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Anche gli studenti diventano INSONNI

Un nuovo progetto di collaborazione tra le Scuole Superiori e il nostro giornale segue dalla prima

Tutta questa ricchezza, che noi insegnanti abbiamo il privilegio di scoprire passo passo mentre li accompagniamo dai 14 ai 19 anni, trova adesso, attraverso la pagina di un giornale, il modo di arrivare più lontano, e questo è un bene. Ai ragazzi viene richiesto un impegno serio e continuativo (ed anche questo è un bene, perché li sradica dall’idea del tutto e subito!) in cambio di una voce che li renda partecipi di una comunità. Trascorriamo ore a costruire progetti da far quadrare coi costi, col tempo, colle esigenze plurime e non ci accorgiamo che le soluzioni sono davvero a portata di mano, tanto semplici quanto belle. La Redazione di Insonnia ne ha trovato una alla quale l’Istituto di Istruzione Superiore “Arimondi Eula” di Racconigi aderisce con entusiasmo, con tutti i suoi corsi, liceale, tecnico periti e tecnico geometri.

Proveremo, nei mesi a venire, a ragionare sui temi che più toccano gli adolescenti in crescita, sulle parole che usiamo quotidianamente senza ricordare la potenza del loro valore semantico, proveremo ad abbattere i muri di indifferenza che si ergono nel nostro quotidiano, daremo voce alla generazione futura, a cui toccherà far funzionare il nostro paese negli anni a venire. Non so cosa ne penseranno i lettori (e ci piacerebbe tanto saperlo, aprendo con loro uno scambio di riflessioni), ma noi iniziamo a percorrere questa strada con grande piacere e con un po’ di timore, quello che sempre accompagna ogni nuova esperienza. Sperando che ZanzaRino sia clemente coi nostri incerti passi iniziali, ringraziamo di cuore Insonnia e i suoi collaboratori, dando a tutti appuntamento a febbraio 2018.

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Il destino dello Jedi di Luciano Fico

Il manico della scopa urta inevitabilmente i bicchieri messi ad asciugare ed il fragore accompagna i mille frammenti di cristallo che si spargono in cucina. La spada Laser ha appena disintegrato la corazza dell’odiato nemico: la Forza fluisce potente… - Cosa fai??? Guarda che disastro! Ma quante volte ti ho detto di non farlo in cucina… Lui si ferma attonito e la guarda già china a terra mentre raccoglie i bicchieri rotti. - Scusa…Stavo combattendo per salvare la Repubblica galattica… - Gino!!!! Hai quasi ottant’anni…Non ne posso più… Gli occhi di lui si smarriscono in una vuota tristezza, quando vede quelli di lei pieni di lacrime; posa la spada laser con cautela e si siede stanco sulla sua poltrona. - Vengono i figli a mangiare oggi a pranzo? Mi piacerebbe fare due tagliatelle all’uovo… - Guarda che oggi abbiamo già mangiato pranzo, stavo finendo di lavare i piatti prima che tu distruggessi tutto con la scopa! - Spada Laser! Ma davvero abbiamo già mangiato? - Sì… - Ah… Anche stavolta la rabbia della donna si spegne presto e si avvicina al marito per carezzargli la testa, come fosse un terzo figlio, il più testone, ma anche il più amato. - Come sei dolce Maria…Io è da tempo che ti tengo d’oc-

chio; prima o poi vedrai che io e te ci mettiamo insieme! - Fatti furbo! Ha fatto finta che la sua fosse una battuta, ma sa che lui diceva sul serio e continua a carezzargli la testa guardando fuori dalla finestra: sta piovendo. - Domani finirà anche quest’anno: cosa vuoi che mangiamo per il Cenone? - È già finito l’anno? Mi prendi in giro!!! Ma se siamo appena tornati dal mare… A meno che ci sia stata una distorsione spazio temporale; saranno quei bastardi dell’Impero??? Lei si alza e svuota il lavandino dall’acqua saponata. Le spalle sono un po’ più curve e le gambe sembrano più incerte nel sorreggerla. Quando torna dal marito viene sorpresa da uno sguardo lucido e penetrante: le lacrime gli rigano le guance scarne, solenni e spudorate. - Sai Maria…stavo pensando che non sto mica morendo: mi sto solo dissolvendo. Noi Cavalieri Jedi non possiamo morire, ma ci dissolviamo quando è finita la nostra missione. Le dà una carezza sul volto e la guarda dritta negli occhi. - Mi sto solo dissolvendo, cara Maria…stai tranquilla…magari a Capodanno sarò già con te in un’altra forma. Lei lo bacia come quando erano ragazzi e lui ride; sembra molto felice. - Cos’hai da ridere? - Sono contento…ma non mi ricordo perché…


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IL TESTAMENTO BIOLOGICO È LEGGE

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Una conquista di civiltà che ora bisogna difendere segue dalla prima

Quello che, con espressione imprecisa ma efficace, viene comunemente chiamato Testamento Biologico è oggi legge dello Stato.

un oggetto di consumo usa e getta piuttosto che uno strumento di regolazione della convivenza sociale. In realtà non è così. L’obiezione di coscienza è regolata in

dono (in particolare la sospensione per volontà del paziente della idratazione e della alimentazione assistite). In realtà l’obiezione di coscien-

Una buona legge, sia per il contenuto sia per la chiarezza. E non è poca cosa per un Paese come il nostro in cui l’arte del compromesso, la pratica frequente dell’ambiguità, gli equilibrismi espressivi, gli impianti normativi farraginosi rendono spesso di complessa e incerta applicazione le leggi. Gli organi di stampa nazionale si sono ampiamente occupati dell’argomento, per cui ci limitiamo a dare nel box a fianco una sintesi delle norme fondamentali.

Italia dalla legge ed è attualmente prevista solo in tre casi: aborto, fecondazione assistita e sperimentazione animale. Non può quindi essere invocata in questo caso. C’è chi si spinge oltre, invocando il diritto all’obiezione di coscienza non solo per gli operatori sanitari ma anche per le strutture sanitarie, quindi la possibilità per ospedali e cliniche private (cattoliche) di non applicare quanto le norme preve-

za, quando anche fosse esercitata, non può che essere, per sua natura, strettamente personale; mentre, come dice chiaramente la legge, “ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei princìpi di cui alla presente legge”. Anche più grave è che queste pressioni abbiano prontamente trovato un riscontro nelle aperture

Una buona legge, chiara e equilibrata. Ma siamo in Italia, e tutto questo non basta. È legge dello Stato, come tale va applicata e rispettata, ma già c’è chi trasforma il proprio sia pur legittimo dissenso in un grimaldello per svuotarla. Oltre alle formazioni politiche che hanno votato contro, a far sentire la loro voce di protesta sono ampi settori della gerarchia ecclesiastica cattolica. In nome delle sacralità e indisponibilità del diritto alla vita non solo contestano nel merito la legge (come è nel loro diritto), ma invocano l’obiezione di coscienza per i medici che si troverebbero coinvolti nella sua applicazione. Sembra ininfluente che la legge non preveda l’obiezione di coscienza, poiché, a detta di qualcuno, non escludendola esplicitamente essa sarebbe ammissibile. Tipico esempio del bizantinismo giuridico che nel nostro Paese rischia spesso di fare delle leggi

La legge ha il suo fulcro in due punti fondamentali: il consenso informato e le disposizioni anticipate di trattamento. Diamo una sintesi delle disposizioni principali.

Consenso informato

Nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata. Ogni persona ha il diritto di essere informata riguardo alla diagnosi, alla prognosi, ai benefìci e ai rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto degli stessi. Ogni persona capace di agire ha il diritto di rifiutare o di revocare il consenso prestato a qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario. Sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale. Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente e, in conseguenza di ciò, è esente da responsabilità civile o penale. Ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce la piena e corretta attuazione della legge. Il medico deve adoperarsi per alleviare le sofferenze del paziente, anche in caso di rifiuto o di revoca del consenso al trattamento sanitario. Deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o spropor-

della ministra della salute, che si è detta disponibile ad un confronto su questa materia. La difesa della vita è una nobile causa, ma diffido delle tesi di chi sostiene di farlo “senza se e senza ma”, senza aver fatto pienamente i conti con la propria storia. Questa Chiesa (qui intesa come gerarchia ecclesiastica) che oggi difende strenuamente la sacralità e intangibilità della vita non è forse la stessa che in altre epoche (non tanto lontane) si è fatta coinvolgere nelle guerre “sante” tra cristiani e musulmani, tra cristiani (cattolici) e cristiani (non cattolici), nella persecuzione all’interno del mondo cattolico di streghe ed eretici, nella applicazione della pena di morte (praticata nello Stato pontificio fino al 1870), nella benedizione delle armi di tutti gli eserciti in guerra? Ed ora, senza aver fatto i conti fino in fondo con tutto questo, come può invocare la sacralità e indisponibilità della vita contro una legge che riconosce il diritto all’autodeterminazione di ognuno per quanto riguarda la propria vita? C’è stato un tempo in cui una certa dottrina della Chiesa ha sostenuto e giustificato la condanna a morire. Oggi sostiene e vorrebbe imporre la condanna a vivere.

zionati. In presenza di sofferenze refrattarie ai trattamenti sanitari, il medico può ricorrere alla sedazione palliativa. Il consenso informato al trattamento sanitario del minore è espresso o rifiutato dagli esercenti la responsabilità genitoriale o dal tutore tenendo conto della volontà della persona minore. Il consenso informato della persona interdetta è espresso o rifiutato dal tutore, sentito l'interdetto ove possibile.

Disposizioni anticipate di trattamento

Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso le Disposizioni Anticipate di Trattamento, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche. Indica altresì una persona di sua fiducia che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l'ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all'annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie.


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La destinazione dell’ex Salone SOMS

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C’ERA UNA VOLTA UN CINEMA… ECCO APPUNTO! Spendere il giusto nella direzione giusta segue dalla prima

Ma oggi pensare di poter riprendere quel cammino, credendo di poter competere con le multisale o i piccoli cinema di nicchia, comunque sempre sull’orlo del tracollo, significherebbe non risolvere un problema, ma crearne uno nuovo. Tutte le amministrazioni degli ultimi 30 anni hanno inserito tra le priorità dei loro programmi il restauro del Salone Sociale, ma nessuna lo ha fatto realmente e probabilmente anche questo ha contribuito a far lievitare i costi del recupero. L’ultima amministrazione lo ha fatto, ha speso molto, forse troppo, però ora finalmente abbiamo un contenitore vuoto da sfruttare e modellare secondo le esigenze della Città. Ma siamo certi che l’esigenza sia un cinema, quando in 10 minuti possiamo raggiungere la più vicina multisala? Oppure avremmo maggiormente bisogno di un locale veramente polivalente, in grado di poter essere adattato a più scopi: la mostra, la conferenza, la recita di fine anno, il concerto, la cena sociale, il veglio-

ne in maschera, …la sagra della trippa. E invece no! Noi vogliamo un cinema e poi andiamo a casa dei nostri cugini francesi e ci stupiamo della loro “Agorà”, con cucina, tribune a scomparsa, impianto luci e audio, capace di trasformarsi da sala per concerti a sala da pranzo… E noi? E noi restiamo ancorati alle nostre posizioni e ancoriamo le sedie al pavimento, perché costa meno, perché non ha senso accendere un mutuo per arredare il Salone. Certo acquistare tribune a scomparsa, predisporre una cucina, acquistare impianto audio e luci sono costi elevati, ma sono acquisti che rappresentano la volontà di dare alla struttura non una, ma molte possibilità, di dare un senso a tutto il denaro speso fino ad ora, che sarebbe veramente troppo se finalizzato alla creazione di un cinema. Perché non è spendendo poco che si spende meno, bensì è spendendo il giusto, nella direzione giusta che si restituisce alla Città un bene fruibile.

Un po’ come se uno scalatore, dopo 5 ore di faticosa arrampicata, decidesse di rinunciare alla vetta per l’ultimo quarto d’ora di salita.

BIBLIOTECA ... "IN VIAGGIO"

...ho i libri che mi girano: benissimo!!

a cura di Rodolfo Allasia

Dalla rubrica “Qualcosa di buono c’è” pubblicata dal nostro insonnia dello scorso dicembre 2017 è scaturito un seguito che come la precedente ha per tema i libri nelle strutture socio-assistenziali: nel 2008 partendo da una serie di considerazioni intorno al disagio ed alla salute mentale le seguenti organizzazioni - Associazione DIAPSI Onlus, Savigliano-Fossano Dipartimento interaziendale di salute mentale ASL CN1 – SC. Psichiatria Savigliano Associazione Presidi del Libro del Piemonte, presidio Cussanio-Savigliano - hanno dato il via ad attività che ruotano materialmente intorno ai libri. I punti nodali di queste considerazioni sono: • Promozione di una riflessione e di una battaglia contro lo stigma sociale, il pregiudizio. • Valorizzazione delle diversità, contaminazione culturale e intervento sociale sul territorio, attraverso il lavoro di relazione e comunicazione con l’esterno, in particolar modo con l’area sanitaria non psichiatrica. • Costruire e attivare un lavoro di rete con l’associazionismo sociale e culturale, le istituzioni sanitarie e culturali (in particolare l’associazione Présidi del Libro del Piemonte), le strutture del Dipartimento di Salute Mentale (CSM), il volontariato, il mondo della cooperazione sociale. Il piano prevedeva un progetto a tappe coinvolgendo soggetti diversi: 1° fase: - catalogazione cartacea di libri precedentemente acquisiti secondo il sistema alfanumerico. - foderatura dei libri. - allestimento sala biblioteca all’interno della

casa di riposo. 2° fase: - pubblicizzazione a mezzo organi di stampa locale e diffusione di volantini e locandine. - organizzazione di un evento pubblico di presentazione dell’iniziativa. - attivazione del servizio di prestito libri, con inizio previsto entro il mese di ottobre 2010. La realizzazione di quanto sopra è a cura del gruppo di attività grafica del Centro Diurno di Cussanio e del CSM Savigliano-Fossano; è previsto nella fase di catalogazione-foderatura e allestimento, il coinvolgimento di dieci utenti affiancati da quattro operatori. • 2008 raccolta, catalogazione, foderatura, pro-

duzione cataloghi di consultazione e spedizione al carcere di Volterra – nome progetto “un libro per chi non è libero”. • 2009/a tutt’oggi “biblioteca in viaggio” ( modello Ospedale pediatrico “regina Margherita” Torino). catalogazione, foderatura, produzione cataloghi di consultazione e costruzione carrello. Presenza di due utenti, nei reparti di riabilitazione dell’ospedale di Fossano, il martedì e il venerdì pomeriggio, per gestire le attività inerenti al prestito. • 2011 catalogazione, foderatura, produzione cataloghi di consultazione e consegna, alla casa di riposo Sordella di Fossano. • 2013/a tutt’oggi catalogazione, foderatura, produzione cataloghi di consultazione. Presenza di due utenti, nel SPDC presso l’ospedale di Savigliano, il giovedì pomeriggio, per gestire le attività inerenti al prestito. • segue catalogazione, foderatura, produzione cataloghi di consultazione e consegna, alla casa di riposo di Cavallermaggiore. Agli utenti che partecipano all’ attività grafica, viene erogato assegno terapeutico dall’Associazione ONLUS DIAPSI Savigliano. Il responsabile medico del progetto è il dr. Gianni Roagna. Avendo il nostro giornale messo in contatto operatori della struttura RSA di Racconigi (Matteo Mondino) con operatori del progetto sopra descritto, lo “SCAFFALE”, di cui si parlava nel numero di dicembre verrà rifornito di nuovi libri, rilegati e catalogati. Insomma: da cosa nasce cosa, i progetti a volte non si impantanano ma vanno avanti.


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COMBATTERE, FUGGIRE, O…

Uno studio sugli effetti della mediazione nella gestione dei conflitti di Alessia Cerchia

In queste ultime settimane ho ricevuto molti stimoli, da alcuni cari amici ma anche da emeriti sconosciuti, per una riflessione sulle risposte che possiamo mettere in atto quando dobbiamo fronteggiare un trauma, una situazione di stress molto elevata o un conflitto. Che la situazione si realizzi sul posto di lavoro, in famiglia, tra amici o compagni di una vita poco importa: le reazioni di ciascuno di noi, pur essendo ovviamente personali e caratterizzate da connotazioni e modalità certamente differenti, sono già state studiate e categorizzate. Si tratta, evidentemente, di meccanismi di difesa che il nostro corpo, i nostri geni, hanno sviluppato in migliaia di anni e che hanno sempre avuto come fine ultimo quello di tenere in vita l’uomo, facilitando le sue reazioni immediate. È la nostra eredità più antica, frutto di migliaia di anni di sviluppo e adattamento. Ciò che mi chiedo, come molti altri più titolati di me, è se una simile risposta “ancestrale” possa essere “efficiente” in un mondo completamente diverso da quello in cui si è sviluppata, al fine di salvare davvero l’uomo da sé stesso e dai suoi simili. Le reazioni umane (ma anche animali) ad una situazione di stress sono inizialmente state definite come “Fight or Flight”, letteralmente come “Combatti o Scappa”. Certo, sono le reazioni più diffuse di fronte ad un pericolo di qualsiasi genere: più facili da individuare dove il pericolo è di natura fisica (un’aggressione, una minaccia anche verbale), lo sono un po’ meno quando la minaccia avvertita è di natura psicologica o relazionale. Pensate alla fine di una relazione: una tra le reazioni umane che possiamo certamente osservare su noi stessi o su altri vicini a noi è quella di accettare – almeno fino ad un certo punto – comportamenti e azioni dell’altro che in condizioni diverse non avremmo mai accettato. Siamo pronti, poi, a giustificare questo tipo di atteggiamento con frasi tipiche come “lo fa per non perdere l’altro o l’altra”, oppure “sta combattendo per salvare la relazione”. Ma siamo proprio sicuri che questo tipo di risposte siano riconducibili nella categoria del “Fight”, del “Combattere”? Non dovrebbero, invece, essere considerate come forme di fuga? Un sistema per rinviare l’inevita-

Da "ALBUM" di Marco Cazzato

bile, accettando forme di sopruso inaccettabili, con la scusa di combattere così per una relazione in crisi? Non dovrebbe essere considerato, all’opposto, un modo per non combattere per sé stessi e per la propria felicità? Non sono né una psicologa, né una studiosa di psiche, quindi non ho una risposta. Ho solo tante domande che condivido con voi, nella speranza di avviare una riflessione comune. Proprio per lo stesso motivo non mi soffermerò sugli sviluppi di questa teoria e non vi parlerò delle altre due reazioni che sono state categorizzate dai veri studiosi, ovvero quella del “Freeze” (Congelamento) e del “Fright” (Immobilità Tonica). Vi parlerò, invece, della terza “F” che qualche anno fa è stata individuata da uno studio sugli effetti della mediazione nella gestione dei conflitti: la nostra “F” è quella del “Face It”, dell’affrontare il problema. Non combattere, non fuggire, ma affrontare. Una terza Via molto vicina a quella che

l’Aikido propone a tutti i suoi praticanti. “Affrontare” è un tipo di azione molto interessante perché, a differenza del combattere, dal mio

punto di vista racchiude in sé una serie complessa e fantastica di azioni. Affrontare include, anzitutto, l’osservazione e la comprensione profonda di ciò che sta accadendo di fronte a noi. Non uno sguardo superficiale al “ciò che vorremmo che fosse” ma uno sguardo profondo, per certi versi spietato e doloroso, al “ciò che realmente è”. Affrontare implica, a questo punto, dopo aver preso consapevolezza della situazione reale, la necessità di comprendere quelle che sono le ombre dei nostri desideri e aspirazioni rispetto ad essa. Cosa vorremmo che succedesse? A quali obiettivi stiamo aspirando? Quali sono le nostre paure, i nostri desideri, i nostri bisogni reali? A questo punto arriva la parte più difficile: raccogliere il nostro “fagotto” di desideri, paure e aspirazioni e scegliere come affrontare il nostro problema, optando per la soluzione più “efficiente” rispetto alle forze in gioco ed ai giocatori. Dovremo scegliere la Via che possa salvaguardare l’incolumità di tutti, non solo di noi stessi o della persona amata o, più in generale, dell’altro. Un lavoro davvero molto difficile, che di istintivo ha poco o nulla. Come insegnano, però, anni di Aikido e centinaia di migliaia di ripetizioni della stessa tecnica, non sempre il nostro istinto ci garantisce risposte “attuali” ed efficienti, ma l’istinto può essere educato e orientato a cercare l’armonizzazione con chi ci attacca, alla ricerca di un nuovo equilibrio, che salvi entrambi.

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Pannella, per citare solo i più noti, per giungere nel 1972 alla legge Marcora e al riconoscimento dell'obiezione di coscienza. Ciò nonostante, per quanto io mi sia sforzato, non ho compreso le motivazioni che sono alla base della minaccia di obiezione che all’approvazione della cosiddetta legge sul Testamento Biologico s’è levata da ampi settori dell’associazionismo cattolico e dalla stessa Cei. Non vedo in essa una battaglia in favore dei diritti ma per la

L’OBIEZIONE DI COSCIENZA ALLA LEGGE SUL FINE VITA

Personalmente ho grande rispetto dell’obiezione di coscienza e degli obiettori, persone che trasgrediscono

negazione di un diritto, il diritto all’autodeterminazione, alla possibilità di decidere, non già della propria vita – il tema non è l’eutanasia – ma delle proprie cure e della propria salute. Una battaglia di retroguardia che spero non venga combattuta nel tentativo di ottenere privilegi sottobanco dalla politica o di minare alla radice la legge appena approvata, come le prime dichiarazioni del ministro della salute Lorenzin potrebbero far pensare.

AIUTARLI A CASA LORO

a cura di Guido Piovano

Esponenti del massimo livello – i cardinali Parolin, Segretario di Stato vaticano e Bassetti, Presidente CEI hanno iniziato una campagna nei confronti della legge. Si sostiene il diritto delle strutture sanitarie cattoliche a fare obiezione di coscienza, soprattutto alla norma sull’idratazione e nutrizione come trattamento sanitario. Noi Siamo Chiesa fa appello all’area conciliare e laica del mondo cattolico ad opporsi a questa arroganza antistituzionale non fondata su alcun vero valore cristiano. [Tratto da Noi Siamo Chiesa del 23 dicembre]

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ad una legge, si autodenunciano e subiscono una condanna per far sì che la propria testimonianza civile faccia progredire il Paese sul piano dei diritti. È successo col Testimone di Geova Remigio Cuminetti, primo obiettore italiano, che nel 1916 in piena Grande Guerra, finì sotto processo per diserzione a causa del suo rifiuto di indossare l'uniforme ed è successo molte altre volte fino, negli anni sessanta, agli obiettori cattolici, Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini che subirono il carcere per non aver ottemperato al servizio di leva. E ci sono volute forti prese di posizione in favore dell'obiezione di coscienza al servizio militare di uomini come don Lorenzo Milani – L’obbedienza non è più una virtù - Ernesto Balducci, Aldo Capitini e Marco

Non smetteremo mai di ricordarlo: i Paesi più poveri sono i più ricchi! Semplicemente sono sfruttati, depredati delle loro materie prime, ovvero delle loro immense ricchezze. “Aiutarli a casa loro” non significa mettere in campo progetti umanitari di assistenza ma più semplicemente fare in modo che le multinazionali dell'agricoltura e dell'estrattivismo, abbandonino quei territori permettendo alle popolazioni locali di utilizzare le proprie risorse. Ma questo renderebbe più povero il Nord del mondo e non ci conviene. Lo scorso anno la Oceana Gold (prima era la Pacific Rim Mining Corp.) aveva denunciato il governo del piccolissimo El Salvador perché negava i permessi di estrazione e per questo chiedeva un risarcimento di 250 milioni di dollari per i mancati guadagni. Per fortuna in ottobre lo Stato ha vinto la causa. Ma il problema rimane perché, secondo le Nazioni Unite, El

Salvador ha il più alto grado di degrado ambientale nella regione dopo Haiti. Solo il 3% della foresta naturale rimane incontaminata, i terreni sono compromessi da pratiche agricole ed estrattive che eliminano la biodiversità, inquinano e riducono in miseria i campesinos che non hanno più nemmeno quei pezzetto di terra da coltivare per il proprio fabbisogno. Il 6 febbraio scorso i vescovi salvadoregni hanno chiesto all'Assemblea Legislativa di emanare una legge per vietare l'estrazione dei metalli da parte di compagnie minerarie transnazionali. È il risultato di una campagna della Caritas e dell’Università CentroAmericana (Gesuiti) che ha documentato i danni provocati all’ambiente e alla popolazione. Si tratta di tradurre in pratica l'Enciclica Laudato si'. Né più né meno. Tonio Dell'Olio (da Mosaico di pace, 9 febbraio 2017)

QUANDO LA FEDE È SUPERSTIZIONE E AFFARI Sono RELIQUIE: il Maqam Ibrahim, la pietra con l'orma di Abramo chiusa in un tabernacolo alla Mecca, la colonna della flagellazione di Gesù a Roma, il sangue e il latte di San Panteleimone, la testa di Gregorio di Nazianzo, il piatto dell'ultima cena, il baule dei vestiti della Vergine, i vasi d'oro con i doni dei Magi, la griglia su cui fu arrostito san Lorenzo, schegge

di ossa, fiale con il sudore, resti di capelli o di unghie, il prepuzio di Gesù, i corpi imbalsamati e plastificati di uomini e donne considerati santi. [Silvia Ronchey in "La cattedrale sommersa”, Rizzoli Editore] Voglio sperare che la chiesa cattolica denunci prima o poi questa macabra prassi.

Tutti al Pantheon di Zanza Rino

“Per poco ballavo” disse la signorina quando l’aitante giovanotto invitò l’amica seduta accanto a lei. “Per poco ce lo prendevamo noi” avrà pensato qualche racconigese alla notizia. Vicoforte è così vicino. Ci siamo persi questo grande onore. Signor sindaco, cosa ci combina? Il sindaco di Vicoforte, lui sì, ha fatto

il colpaccio. Va bene, loro hanno il santuario, ma noi abbiamo il castello. Qui ci stavano proprio bene le sacre spoglie del penultimo re d’Italia. L’effetto a Vicoforte già si vede. Cominciano ad arrivare pellegrini, nostalgici dei fasti monarchici, curiosi, la ribalta mediatica è assicurata; e Vicoforte avrà la sua fama, i commercianti i loro profitti, i cittadini il loro orgoglio. Peccato per Racconigi, un’occasione persa. O forse no. Il dubbio viene ad ascoltare Vittorio Emanuele (figlio di Umberto II, ultimo re d’Italia) e quel genio del di lui figlio Emanuele Filiberto, di cui forse l’impresa più nota è la pubblicità per le olive Saclà. Molto orgoglioso dell’operazione condotta a termine

di rientro in Italia delle spoglie del bisnonno, ma anche polemico. Vicoforte non è che una tappa di passaggio, il posto giusto è il Pantheon a Roma. Un onore che gli spetta, sostiene lui, a fianco degli altri Savoia che hanno regnato sull’Italia. Non sarà certo un modesto zanzarino a mettere in dubbio i meriti e il contributo che i Savoia hanno dato alla nascita e alla costruzione di questo Paese. Ma per quanto riguarda Vittorio Emanuele III la cosa è più complicata. Me ne parlava anche mio nonno Zanza Leone, per me affettuosamente nonno Zanzarone, eminente storico autore di un’opera purtroppo misconosciuta dal titolo “Storia generale di come gli zanzarini hanno dato il tormento all’Italia”. Ma non

voglio farne una questione di famiglia, storici ben più noti hanno documentato le responsabilità di Vittorio Emanuele III, ci sono articoli, in questo stesso numero di Insonnia, che aiutano a rinfrescare la memoria. Avrebbero fatto meglio i discendenti di casa Savoia ad adottare un profilo più basso, ma non è nelle loro corde (pensare che Emanuele Filiberto, senza il provvidenziale referendum del 1946, avrebbe potuto diventare re d’Italia fa venire un leggero brivido). Una semplice sepoltura privata e non staremmo qua a parlarne. Ma il Pantheon… quello no. A meno che si fossero accontentati del piccolo Pantheon di Racconigi, avrebbero fatto felice monsignore.


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27 GENNAIO, GIORNO DELLA MEMORIA Commemoriamo il passato, guardiamo il presente e non sottovalutiamo il futuro di Maria Teresa Bono

“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, poiché esse sembrano assurde ed inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo.” (dal diario di Anna Frank) Come tutti sappiamo il giorno della memoria è una ricorrenza internazionale che si celebra ogni anno il 27 gennaio, poiché in tale data nel 1945, le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando i prigionieri. L’apertura, l’abbattimento di quei cancelli e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono per la prima volta al mondo intero l’orrore del genocidio nazista in tutta la sua ferocia, agli occhi degli alleati si presentò uno scenario infernale, che mai nella storia si sarebbe potuto immaginare. In questa giornata si ricordano 15 milioni di morti rinchiusi ed uccisi nei campi di concentramento, dei quali 6 milioni appartenenti alla Comunità Ebraica. Il popolo ebraico fu sterminato non per ragioni politiche o espansionistiche ma perché dichiarato “non degno di vivere”, secondo il regime nazista. In queste metropoli della morte, come Auschwitz e tutti gli altri campi di sterminio, vennero anche rinchiusi: zingari, omosessuali, apolidi, testimoni di Geova, dissidenti alla

politica nazista, altre piccole minoranze e tutti gli indesiderati. Questa fu una forma di razzismo radicale che voleva il mondo “RIPULITO”. Il termine “GENOCIDIO” non esisteva prima del 1944 e con esso s’in-

Tutte le forme di morte in massa furono progettate, tutti gli isolamenti nei ghetti, tutti i trasporti furono architettati per accumulare più persone ed abbreviare i tempi per condurle alla morte.

tende la distruzione in massa di un gruppo etnico, di un popolo, spazzando via non solo la loro esistenza, ma anche la loro cultura i loro valori e la stessa dignità.

Fu un piano diabolico studiato da menti malate ed esaltate da funesti ideali. La giornata della memoria non è nata per solidarietà questo oramai

sarebbe inutile, ma bensì per un atto di riconoscimento nei confronti di tutte le vittime dell’Olocausto, prendendo atto di tutto il male di cui l’uomo è stato autore. Con tutto ciò non si vuole sottovalutare gli altri genocidi, né si vuole anteporre il dolore ebraico a quello di altri popoli ma richiamare le coscienze di tutti e portarci a riflettere ed a rammentarci che ogni giorno esistono tante discriminazioni verso i più deboli ed i diversi. Non dimentichiamo i popoli che oggi soffrono come i Siriani, i Palestinesi, I Rohingya, I Yazidi, questi tutti popoli senza diritti. Verso queste ingiustizie un po’ per comodità, un po’ per egoismo non alziamo la voce, ci crogioliamo nel nostro piccolo mondo e nel qualunquismo ignorando le sofferenze altrui e cadendo nell’indifferenza totale. Non abbassiamo la guardia contro il negazionismo, nuovi atti di intolleranza e di razzismo che vediamo riprodursi in questo periodo delicato dove i “mostri” del passato vengono rivalutati dove il revisionismo storico si sta facendo spazio mettendo la democrazia in serio pericolo.

PER NON DIMENTICARE C’era una volta un re… di Maria Teresa Bono

C’era una volta un Re … questa è la frase che sovente si legge all’inizio di una favola … e vissero a lungo felici e contenti … purtroppo in questo caso non si concluse così la favola nera del Re Vittorio Emanuele III. Su questo regnante pesano molte colpe, molte responsabilità nei confronti dell’Italia e degli Italiani. Un Re succube del Duce, conseguentemente sostenitore del regime fascista, che ha firmato le leggi razziali, mandato a morire migliaia di Italiani in guerre di colonizzazione assurde, tradito il suo popolo abbandonandolo in un momento tanto tragico che poi è sfociato in una guerra civile, lasciato allo sbaraglio tutti i suoi soldati sul fronte di guerra senza una guida ed un piano logistico.

In quei giorni dove la sua presenza avrebbe dovuto essere un punto di riferimento e di forza, lui ha pensato esclusivamente a salvare se stesso e la sua famiglia. A mio giudizio, non merita quindi nessun atto di pietà e tanto meno di glorificazione. Sarebbe stato molto più dignitoso, anche per lui, lasciarlo riposare in terra straniera. Comprensibile quindi e condivisibile la disapprovazione da parte della Comunità Ebraica e dell’ANPI, dopo i fatti successi non c’è alcuna possibilità di riconciliazione e riabilitazione. È giusto e dovuto il rispetto ai morti, ma è doveroso non dimenticare la storia, poiché un popolo senza memoria e senza storia è un popolo senza futuro. Etiopia 1937: massacri perpetrati dagli Italiani ad Addis Abeba


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IL MONDO AGRICOLO INCONTRA I RICHIEDENTI ASILO L’esperienza di una azienda agricola del saluzzese di Anna Simonetti

Presentiamo l’intervista al dr. Enrico Airale, imprenditore agricolo di Verzuolo. Perché questa intervista e perché al dr. Enrico Airale, laureato in economia e commercio, imprenditore agricolo per passione oltre che per eredità familiare? Come è noto ai cittadini della nostra città, ormai dal settembre 2015 all’ex hotel Carlo Alberto vengono ospitati circa 45 giovani ragazzi richiedenti asilo. Li abbiamo visti impegnati, nella passata amministrazione, in lavori di volontariato come la pulizia dei giardini e dei bordi della statale lungo le mura del castello. Un lavoro volontario, non retribuito quasi una espressione di ringraziamento per l’ospitalità di cui godono, che alla società costa circa 35 euro al giorno, percepiti dalla cooperativa per i servizi, mentre sono nella disponibilità dei rifugiati soltanto 2 euro e mezzo giornalieri. Il tempo di attesa per ottenere o no il riconoscimento di rifugiato dalla commissione territoriale di Torino, va oltre l’anno; nel frattempo viene concesso un permesso di soggiorno che consente loro di lavorare. Quest’estate molti dei rifugiati hanno trovato lavoro presso imprenditori agricoli della provincia, generando in noi di Insonnia, sempre desti, si sa, la voglia di conoscere le motivazioni che hanno spinto gli agricoltori a impegnare giovani africani, pachistani e di altre parti del mondo, nei lavori dei campi; che tipo di indicazioni se ne poteva ricavare e perché non

erano stati impegnati giovani italiani tra i quali è alta la disoccupazione nella fascia di età 18/25. INTERVISTA A ENRICO ARIALE Che tipo di azienda agricola è la sua? Sono titolare della omonima azienda agricola di circa 20 ettari coltivati a piccoli frutti (lampone, mirtillo, mora), ciliegie, kiwi, pesche e mele. Necessita di tanta mano d’opera? Nella passata stagione abbiamo impiegato 36 lavoratori, nel 2020 contiamo di arrivare a 60. Quale lavoro svolgono? Raccolgono e posizionano i frutti nei cestini (125 gr.): 8 cestini per 1kg di frutta. È un lavoro delicato? Senz’altro, deve essere veloce altrimenti viene penalizzato il risultato finale, ma non è complicato perché si sceglie in base al colore. Richiede spesso orari lunghi, le 8 ore a volte vengono richieste su 8 giorni da maggio a settembre. Come è arrivato alla coop. Liberi Tutti? Un socio e collega della coop. Agrifrutta, di cui sono vice presidente, mi ha segnalato la possibilità di impiegare mano d’opera gestita e in parte formata, autonoma nel trasporto per e da azienda, della coop. Liberi Tutti di Racconigi. In questa stagione ho impegnato 10 persone della cooperativa, arrivavano puntuali al mattino con la navetta, il pranzo al sacco e la sera venivano ricondotte a Racconigi.

Sono stati stipulati dei contratti? Le assunzioni sono state tutte regolate con contratto agricolo da cui risulta l’attività del lavoratore, busta paga (7 euro all’ora), visita medica. In questo modo è cresciuto il rapporto tra imprenditore e gestione della cooperativa nella figura di Matteo Monge: lui proponeva i lavoratori, seguiva immediatamente la trasmissione dei documenti al consulente, per cui 48 ore dopo erano già nei campi a lavorare. In questi giorni si sta strutturando l’agenda di lavoro per il 2018. Sono stati impiegati in modo continuativo o saltuario? Il lavoro è determinato dal flusso della maturazione dei frutti da marzo a settembre: i primi mesi hanno lavorato 20 gg su 30, ad agosto 12 e a settembre 10. Ci sono già contratti per il 2018? Poiché sono lavoratori adatti a questo tipo di lavoro, due di loro sono stati scelti per una ulteriore formazione, quella per la potatura. Quale era la loro provenienza? Africani, pachistani, afgani, oltre che albanesi e rumeni. Non ci sono stati problemi di integrazione.

Questo dipende dalla gestione della cooperativa? Il punto di forza sono loro, gli operatori della cooperativa, che ritengo facciano un’attenta valutazione prima di proporre le persone. È un modello proponibile, dunque? È un modello proponibile, non è un’agenzia di lavoro, ma c’è un avvicinamento tra impresa agricola, che necessita di tanta mano d’opera, e la cooperativa: rappresenta a 360 gradi quello che potrà essere il modello futuro della gestione delle mano d’opera, partendo già da ora per il fabbisogno del personale nel 2018 e, alla fine del 2018, per quello del 2019. In questo modo gli operatori hanno modo di trovare chi vuole lavorare, formarli, verificarne la disponibilità e quindi proporli agli imprenditori che li assumeranno, senza doverli cercare attraverso agenzie. Se e quando avranno il permesso di soggiorno, potranno continuare a lavorare per la sua azienda? La mia intenzione è di farli tornare a lavorare per me, perché li ho trovati capaci, pieni di volontà di


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fare e imparare, c’è stato un ottimo rapporto di integrazione umana, un bellissimo dialogo. È un modo altro di vedere la problematica dei rifugiati richiedenti asilo!? Per me il futuro sarà creare un progetto che li leghi al lavoro; molti di loro sono molto colti, laureati, sono una mano d’opera che si ferma qui per un preciso motivo, che sarà qui per del tempo, che deve integrarsi. Erano contenti? Sì, molto soddisfatti perché forse il fatto di essere colti li porta ad apprezzare di sentirsi utili. Infatti, in qualsiasi operazione io li abbia impegnati, hanno dato ottimi risultati: sono sicuro che per loro sia meglio lavorare che passare il tempo in casa senza fare niente. Si può migliorare questo sistema, come? Può essere ampliato, gestito in modo che possa coprire 12 mesi, perché la frutta si raccoglie d’estate e d’inverno si lavora; si potrebbero contattare i vari interlocutori della filiera quali i magazzini di ricovero, confezionamento e trasformazione della frutta e si coprirebbe il lavoro per tutto l’anno. Voi non avevate già personale proveniente da altri paesi come

Romania, Polonia, Albania ecc. Visto l’andamento dell’economia italiana non c’è più questo accorrere per il nostro lavoro, gli albanesi non emigrano più in Italia e il nostro settore che necessita di tanta mano d’opera può essere una grande opportunità di lavoro per i rifugiati che potrebbe portare ad una integrazione totale di ruolo e a dare loro un motivo di più per essere qua. C’è un’alta percentuale di disoccupazione tra i giovani italiani, perché non lavorano con voi? I giovani italiani preferiscono andare altrove, non ritengono questo lavoro gratificante. Il mondo della frutta deve essere nel dna, chi lo ama lo persegue e chi non lo ama e non lo sente proprio, scappa. Ma sono disoccupati e rifiutano un lavoro con contratto di lavoro regolare?

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Non considerano questo tipo di lavoro all’altezza delle loro prestazioni e mentre un pachistano laureato viene a lavorare con me, un diplomato italiano disoccupato si sente frustrato: è chiaro, è un atteggiamento mentale! Eppure non si fa altro che dire che gli immigrati portano via il lavoro agli italiani. Siamo molto razzisti nel dire questo, occupano un posto che rimarrebbe comunque vuoto, gli italiani hanno un problema di fondo che si chiama “voglia”. In questo modo noi abbiamo arricchito le altre nazioni: 40 anni fa i soldi giravano nelle nostre province, i giovani lavoratori venivano dalle nostre vallate, servivano di sostegno alle famiglie e spendevano nel circondario; ora paghiamo stipendi a persone che spediscono immediatamente i soldi, con bonifico ban-

cario, nella loro nazione. In questo modo l’Italia si impoverisce attraverso il lavoro che viene fatto da persone che esportano il denaro guadagnato qui, creando economia nel loro paese. I nostri soldi vanno ma non tornano e questo crea un impoverimento generale. La potrei definire un imprenditore illuminato? No, realista! Ci sono altre imprese che hanno seguito questo percorso? Le 5 imprese che fanno parte della cooperativa per il 2018 hanno raddoppiato il numero di lavoratori, grazie alla gestione di Monge, al fatto che i ragazzi sono stati all’altezza della situazione e che nessuno di noi ha avuto problemi. Ora bisogna capire se questa cooperativa ha la voglia di continuare in questo modo perché, lo ripeto, per noi è importante avere personale disponibile e formato. È importante chi le gestisce? Monge sa quello che fa, parte da finalità umanitarie e le trasforma in un progetto sociale che porta questi giovani ad essere utili attraverso il lavoro, dà loro la possibilità di avere in mano uno stipendio e nello stesso tempo di capire l’opportunità che viene loro offerta attraverso un percorso protetto.

L’EPIFANIA – ARRIVANO I RE MAGI E LA BEFANA di Daniela Anna Dutto

Il 6 gennaio è l’Epifania, una festa cristiana, che ricorda la visita dei tre Re Magi nella grotta dove nacque Gesù. Guidati da una stella cometa andarono a far visita e a portare i doni al Signore. Ma la Befana? L’Epifania è anche la festa della vecchietta che, cavalcando una scopa, regala calze piene di dolci. Ma quale collegamento c’è tra i Tre Re Magi e la Befana? Leggete questa simpatica favola scritta da don Giampaolo Perugini (versione ridotta). In un villaggio viveva una giovane donna che si chiamava Befana. Non era brutta, però aveva un pessimo carattere, era egoista e ossessionata dalla pulizia. Aveva sempre in mano una scopa, e la usava così rapidamente che sembrava ci volasse sopra. E poi faceva la calza. Ne faceva a centinaia per passare il tempo. Aveva da poco compiuto settant’anni, quando una carovana giunse nel paese. Curiosa com’era, vide subito che c’erano tre uomini vestiti sontuosamente e, origliando,

seppe che erano dei re, i Re Magi. Era la sera prima del 6 gennaio. Befana si era messa a fare la calza quando sentì bussare alla porta. Si trovò davanti uno di quei re che le chiese: “Buonasera signora, posso entrare?”. Befana rimase come paralizzata e rispose : “Prego, si accomodi”. Il re le chiese gentilmente di poter dormire in casa sua per quella notte e Befana non ebbe né la forza né il coraggio di dirgli di no. L’uomo le parlò del suo viaggio: andavano a trovare il bambino che avrebbe salvato il mondo dall’egoismo e dalla morte. Gli portavano in dono oro, incenso e mirra. “Vuole che portiamo al Salvatore

un dono anche da parte sua?”. Fare un regalo ad uno sconosciuto? Mai pensò Befana. Ma durante la notte mise una delle sue calze, una sola, dove dormiva il re magio, con un biglietto: “per Gesù”. Passarono trent’anni. Befana ne aveva appena compiuti cento. Era sempre sola, ma non più cattiva. Quella visita inaspettata l’aveva profondamente cambiata. Anche la gente del villaggio aveva cominciato a bussare alla sua porta. E a ciascuno che veniva, Befana regalava una calza con un sorriso. Nel frattempo dalla Galilea giungevano notizie di un certo Gesù di Nazareth, nato a Betlemme trent’anni prima, che compiva ogni

genere di miracoli. Befana capì che si trattava di quel bambino a cui aveva donato una calza. Ogni notte il suo cuore piangeva di vergogna per il misero dono che aveva fatto a Gesù: una calza vuota… una calza sola, neanche un paio! Poi giunse la notizia che Gesù era stato ucciso e che era risorto dopo tre giorni. Befana aveva allora 103 anni. Pregava e piangeva tutte le notti, chiedendo perdono a Gesù. Desiderava più di ogni altra cosa rimediare in qualche modo all’egoismo e alla cattiveria di un tempo. Una notte Gesù risorto le apparve in sogno e le disse: “Coraggio Befana! Io ti perdono. Ti darò vita e salute ancora per molti anni. Volerai da ogni capo all’altro della terra sulla tua scopa di paglia e porterai una calza piena di caramelle e di regali ad ogni bambino . Ma deve essere stato buono… altrimenti gli metterai del carbone dentro la calza sperando che l’anno dopo si comporti da bambino generoso”. E la Befana , da allora, vola a consegnare i doni. Durante tutto l’anno, piena di indicibile gioia, fa le calze per i bambini… ed il sei gennaio le porta piene di caramelle e di doni. È talmente felice che, anche il carbone, quando lo mette, è dolce e buono da mangiare.


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BILANCI E SCELTE POLITICHE

Bilanci comunali a confronto tra attuale e passata amministrazione a cura di Melchiorre Cavallo

Il bilancio comunale rappresenta il documento più importante che una amministrazione propone e approva durante l’esercizio finanziario. Nel bilancio preventivo il compito degli amministratori è quello di prevedere le spese e come farvi fronte. A livello di scelte sulle entrate gli ultimi anni sono stati caratterizzati da indirizzi relativamente costanti. Anche l’attuale amministrazione, infatti, non ha modificato le aliquote dell’Imu e dell’Addizionale Comunale. Quindi possiamo dire che a livello di entrate si rileva una politica in continuità con le scelte della passata amministrazione. Solo la TARI aumenterà (come evidenziato anche nel riferimento in calce alla tabella), ma, come detto, questo argomento merita un capitolo a parte, con un approfondimento sui prossimi numeri del giornale. Per quanto riguarda le spese, invece, il bilancio preventivo consente di valutare gli indirizzi che una amministrazione vuole dare, nel concreto, al proprio operato. E’ chiaro che le scelte sono sempre legate anche ad un discorso di disponibilità. Non si può privilegiare tutto e buona parte delle uscite sono in qualche modo già “vincolate”. Il bilancio comunale è un documento molto complesso che solo pochi addetti ai lavori sono in grado di leggere. Abbiamo scelto di confrontare i bilanci preventivi degli ultimi due anni utilizzando una parte del documento del bilancio, ovvero la destinazione delle spese per “missione”. Questa è una novità introdotta dallo scorso anno. Nel documento vengono raggruppate alcune significative voci di spesa per la loro destinazione ideale (o “mission”). Per semplificare abbiamo considerato le imputazioni per competenza sommando sia le previsioni di spesa corrente che quelle in conto capitale (investimenti). E’ ovvio che, nel corso dell’anno, gli amministratori possono apportare dei correttivi alle varie voci, compatibilmente con quanto consentono le entrate, ma la tabella, a nostro avviso, propone uno spaccato significativo rispetto alle impostazioni delle due amministrazioni. A parte i due capitoli trattati nelle note possiamo notare una suddivisione molto differente degli interventi. L’amministrazione Oderda intende chiaramente privilegiare le spese e, in particolare, gli investimenti, finalizzati al turismo. In particolare il consistente incremento di spesa dovrà servire al proseguimento della pista ciclabile di via Stramiano. Per quanto riguarda le opere pubbliche la giunta Oderda aumenta la previsione di spesa per la gestione dei beni, l’urbanistica e l’assetto del territorio, ma complessivamente, se consideriamo anche le spese per la viabilità e quelle per la difesa del suolo, il totale è in netta diminuzione. Le altre voci che risultano in netta diminuzione (e forse questo è il dato politico più rilevante) sono quelle legate al sociale e alla cultura: scuola (ad eccezione dell’Asilo Nido), Sport, Anziani, Giovani, Diritto alla casa, Sociali in genere e Protezione Civile. Un vecchio amministratore diceva che i bilanci dicono più dei programmi.

TIPOLOGIA SPESA

BIL. PREVISIONE 2017 (GIUNTA BRUNETTI) 74.041 Spese correnti organi istituzionali 475.130 Spese correnti segreteria generale 235.930 Gestione economica, finanziaria, programmaz., provveditorato 88.400 Gestione entrate fiscali e servizi triburari 200.563 Gestione beni demaniali e patrimoniali 194.750 Spese Ufficio Tecnico 167.253 Spese elezioni e consultaz.popolari anagrafe e stato civile 58.673 Spese risorse umane 208.700 Spese altri servizi generali 444.360 Spese polizia locale e amministrativa 228.000 Spese istruzione prescolastica 199.040 Spese altri ordini di istruzione 316.695,5 Spese servizi ausiliari all'istruzione 6.255 Valorizzaz.beni di interesse storico 133.587 Spese attività culturali e interventi in campo 340.350 Spese sport e tempo libero 50.000 Spese per giovani 40.667 Sviluppo e valorizzazione turismo 58.250 Spese urbanistica e assetto del territorio 162.150 Spese difesa del suolo 66.210 Tutela, valorizzazione e recupero ambientale 970.914 Spese per rifiuti

Spese servizio idrico integrato Spese aree protette, parchi naturali, protez. naturalistica e forestazione Spese tutela e valorizzaz. Risorse idriche Spese viabilità e infrastrutture stradali Spese sistema di protezione civile Spese per infanzia, minori e asili nido Spese interventi per la disabilità Spese interventi per anziani Interventi x soggetti a richio esclusione sociale Interventi per il diritto alla casa Spese programmaz.e governo servizi sociosanitari e sociali Spese servizi necroscopici e cimiteriali Altre spese in materia sanitaria Spese per industria PMI e artigianato Spese commercio, reti distributive, tutela consumatori Sviluppo settore agricolo e agroalimentare Accantonamento fondo di riserva Accantonamento fondo svalutazione crediti Accantonamento altri fondi Quote capitale mutui

20.894 96.000

BIL. PREVIDIFFERENZA SIONE 2018 (GIUNTA ODERDA) 43.130 -30.911 461.360 -13.770 284.867 48.937 88.070 252.164 195.140 143.700 55.323 185.050 446.480 220.870 184.651 276.020 6.255 107.019 199.600 48.550 397.908 182.540 16.000 64.050 1.150.802

18.933 92.280

-330 51.601 390

-23.553(*) -3.350 -26.650 2.120

-7.130 -14.389 -40.675,5 0 -26.568 -140.750 -1.450 357.241 124.290

-146.150 -2.160 179.888(**) -1.961 -3.720

0 822.312 15.750 227.500 10.000 59.852 2.350 54.600 532.250

1.000 610.190 11.450 241.620 10.000 8.900 0 33.600 527.460

1.000

117.081 1.800 6.347 8.021

110.035 1.664 5.924 10.671

-7.046 -136 -423 2.650

2.300 30.000 83.561 10.000 289.913

1.300 30.000 106.390 67.240 261.855

-1.000 0 22.829 57.240

-212.122 -4.300 14.120 0 -50.952 -2.350 -21.000 -4.790

-28.058

(*) Nel 2017 ci sono state le elezioni comunali, le cui spese gravano sulle casse del comune, per questo motivo in sede di bilancio di previsione per l’anno 2017 è stato necessario aumentare la previsione di spesa. (**) Per il 2018 entra in vigore il nuovo appalto dei rifiuti, che prevede importanti aumenti complessivi (e, difatti, la tariffa aumenterà in misura significativa, per coprire l’incremento dei costi). Probabilmente sarebbe stato possibile agire per diminuire l’impatto degli aumenti sulle famiglie e sulle attività commerciali, ma di questo argomento ci occuperemo prossimamente.


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IL PUGILATO VISTO DA UN CAMPIONE Intervista a Luca Bersano, campione italiano di pugilato ritiratosi nel 2011 di Francesco Cosentino

Ciao Luca. Spesso le grandi passioni vengono coltivate fin dall’infanzia. Tu come ti sei avvicinato al mondo del pugilato? Mio nonno era un pugile e quando da piccolo andavo da lui mi faceva vedere gli incontri di pugilato in televisione. Da lì è nata la mia passione. Io abitavo a Cuneo e in quegli anni non c’erano palestre di pugilato vicine, quindi ho iniziato a fare arti marziali con i miei genitori. A che età hai incominciato? A 8 anni ho iniziato Kung Fu e in seguito ho praticato anche la boxe thailandese. Solo quando ci siamo trasferiti vicino a Savigliano ho iniziato pugilato. Avevo già 21 anni, ma avendo praticato altri sport da combattimento in passato sapevo già cosa mi aspettava. I fondamentali sono molto simili e non è stato difficile ambientarsi al tipo di sport. Ora che ti sei ritirato alleni nella palestra dell’ex GIL. Parlaci della realtà racconigese. A Racconigi il movimento sta crescendo molto. Sono molto orgoglioso dei ragazzi che alleno perché stiamo ottenendo buoni risultati: l’anno scorso abbiamo avuto anche un campione italiano. Una struttura più adeguata ci aiuterebbe a migliorare ancora perché lo spazio che abbiamo a disposizione è piccolo e sono obbligato a dividere gli allenamenti in due turni, ma più di così non posso fare e

Iusco Catalin: campione italiano senior 2016 (quello sotto)

ci sono altri ragazzi che vorrebbero iscriversi. Questo mio appello riguarda anche un discorso di crescita: più pugili ho a disposizione, più gli atleti hanno possibilità di crescere sportivamente e aumenta anche la probabilità di trovare e dare spazio a qualcuno di davvero forte. Ringrazio comunque la nuova amministrazione comunale che si sta rivelando molto disponibile, il sindaco ha praticato karate ed è molto vicino agli sport di combattimento. Esistono corsi anche per bambini? A parte qualche rara eccezione, ora alleno solo pugili dai 20 anni in su. A settembre iniziamo un corso per i bambini dai 9 ai 13 anni. A questa età non c’è contatto: si usa il sacco e si imparano i fondamentali. Solo una volta raggiunti i 13 anni si inizia a combattere contro un avversario. E per le donne? Alleno tre ragazze di cui una di 17 anni e una che è già addirittura mamma. A mio parere le donne hanno una grinta perfino superiore agli uomini. Essendo in poche nella nostra palestra si allenano con gli uomini e questo le aiuta ad acquisire esperienza. Il pugilato femminile sta crescendo sia come movimento, sia come qualità. Rispetto a una volta la tecnica è diventata molto simile a quella degli uomini e ciò fa molto piacere. Con quale frequenza vi allenate? Noi, in quanto dilettanti, ci troviamo 3 volte a settimana, ma quando ero professionista mi allenavo due volte al giorno, tutti i giorni. In quali categorie si dividono i pugili? Esistono tre tipi di categorie: i pugili vengono divisi per età, peso ed esperienza. Per valutare l’esperienza di un pugile esistono tornei a livello regionale. Chi supera i tornei regionali accede a quelli nazionali. Segui o pratichi altri sport? Anche se non sono un fanatico mi piace guardare il rugby. Lo reputo uno sport sano, simile al pugilato: anche lì conta molto il rispetto dell’avversario. Invece la mountain bike, lo sci, il nuoto e la corsa sono sport che mi piace praticare appena posso, ma al contrario del rugby non li seguo. Quali sono caratteristiche del pugilato che lo differenziano dagli altri sport? Il pugilato ha tolto tantissimi ragazzi dalla strada. Dà la possibilità di sfogare le proprie tensioni e di imparare le regole e il rispetto. Ha una capacità incredibile di

integrazione: nella mia palestra si allenano o si sono allenati, tra gli altri, anche ragazzi di diverse nazionalità, tra cui: albanesi, rumeni, marocchini e anche un afgano. A me piace molto il fatto che culture e religioni così diverse siano unite da un unico sport. Paragonato ad altre discipline c’è un rispetto incredibile nei confronti del più debole: un veterano non si permetterebbe mai di far del male ad un principiante. Per rendere un allenamento più sicuro è infatti necessario evitare che due principianti combattano uno contro l’altro poiché non avendo esperienza colpirebbero usando solo la forza bruta. Spesso il pugilato viene descritto come uno sport violento. È davvero così? Assolutamente no. Consiglierei a tutti di fare un qualsiasi sport di combattimento perché lo reputo necessario per la propria integrità morale e per la propria difesa personale. Non è demonizzando gli sport da combattimento che si risolve il problema della violenza. Il mondo è sempre stato duro da affrontare e se non si accetta questo c’è il rischio di non saper affrontare determinate situazioni. Il pugilato è molto formativo, per questo, darei la possibilità di av-

vicinarsi sin dalle elementari nelle ore di ginnastica (come fanno alcuni miei colleghi del torinese): è uno sport che sa dare sicurezza e fiducia in se stessi. Quando uno è abituato a difendersi sul ring gli viene istintivo farlo anche nella vita di tutti i giorni. Una volta il pugilato era seguito da tutti e non era considerato uno sport violento. Bisogna tornare a quel modo di pensare. Un altro mito è quello che vede il pugile come una figura che usa tanto i muscoli quanto poco il cervello. Cosa vuoi dire a proposito? Anche questo è un falso mito. Per farti un esempio, nella nostra palestra abbiamo diversi laureati e chi non è laureato ha il diploma. Nella boxe inoltre occorre intelligenza. Non basta picchiare, ma devi essere in grado di prendere meno botte dell’avversario, altrimenti la carriera si accorcia. Il ring è duro, ma le botte sono l’ultima cosa a cui pensare: bisogna lavorare sul superamento delle paure e sull’approccio mentale al match. Un pugile è preparato psicologicamente e fisicamente. Non fosse uno sport per persone intelligenti non ci sarebbe un processo così graduale. Io stesso ne ho dovuti fermare tanti perché volevano combattere senza essere pronti.


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L’UOMO, IL SIMBOLO E LA MEMORIA

Vittorio Emanuele III e una buona occasione (persa) per essere piemontesi di Luca Giordana

Del ritorno di Vittorio Emanuele III in Italia si è già discusso anche troppo, quindi vedremo di non dilungarci. La notizia, ormai, è nota: la salma del penultimo Re d’Italia è stata prelevata dalla Cattedrale di Alessandria D’Egitto e tumulata qui vicino, nel Santuario “Regina Montis Regalis” di Vicoforte, affianco a quella della sua consorte, la Regina Elena di Montenegro. Il feretro è giunto all’aeroporto di Levaldigi, trasportato a bordo di un aereo militare e accolto da un piccolo picchetto di soldati, sotto lo sguardo distante dei fotografi che hanno immortalato la scena. Il risultato: reazioni contrastanti e divisioni, com’era logico attendersi. I più, infastiditi, quando non seriamente turbati da una simile cerimonia; un pugno di nostalgici entusiasti; alcuni familiari soddisfatti, altri meno, poiché, sobriamente, avrebbero preferito il Pantheon. Coi tempi che corrono, più forte di tutti è risuonato l’intramontabile interrogativo (direi più che comprensibile, in questo caso): “chi paga il conto?”: personalmente, non ne ho idea. Né il sito del Quirinale né quello del Ministero della Difesa riportano comunicati ufficiali in tal senso; alcuni quotidiani sostengono di aver appreso, da fonti attendibili, che sarà la stessa ex famiglia reale ad accollarsi le spese, come ragione imporrebbe. Nel dubbio, la questione è divenuta in breve tempo oggetto del contendere politico e in futuro potremo ottenere risposta o, come spesso

accade, dimenticarci la domanda. Vedremo. Resta, però, un altro interrogativo di fondo: la morte (e il tempo) ci rendono uguali? Bastano a cancellare le nostre responsabilità? La nostra storia recente non è nuova a domande di questo tipo. Basti pensare ai dibattiti feroci che si ripetono puntualmente, ogni anno, sulle celebrazioni in memoria dei caduti repubblichini e sulla loro equiparazione agli altri soldati e partigiani che persero la vita nel corso dell’ultimo conflitto mondiale. Dice il protagonista di “La Casa in Collina”, di Pavese: “Ma ho visto i morti sconosciuti, i morti repubblichini: sono questi che mi hanno svegliato. Se un ignoto, un nemico, diventa morendo una cosa simile, se ci si arresta e si ha paura a scavalcarlo, vuol dire che anche vinto il nemico è qualcuno, che dopo averne sparso il sangue bisogna placarlo, dare una voce a questo sangue, giustificare che l’ha sparso”. Il passo è spesso citato dai sostenitori dell’equiparazione al fine di legittimare la propria rivendicazione, forti dell’apparente appoggio, in tempi peraltro ben poco lontani dagli avvenimenti in questione, di uno tra i letterati più importanti del Novecento italiano. Personalmente, mi pare una lettura piuttosto forzata; il cuore del messaggio di Pavese è ben diverso: nel soldato repubblichino caduto, il protagonista ritrova non più un avversario disumanizzato, un nemico senza volto e identità, bensì un uomo fatto della stessa carne, un

nome e una storia. Il nemico ritorna uomo, e in questo senso, e questo soltanto, è uguale al protagonista stesso. Ma la pietà per l’uomo non nobilita l’idea per cui è morto, non giunge mai a cancellarne le colpe e le responsabilità. Parafrasando Orwell, se è vero che, nella morte, tutti gli uomini sono uguali, ebbene alcuni morti sono più uguali degli altri. Anche Vittorio Emanuele III è stato figlio, padre e marito. Ha amato, gioito e sofferto come ogni uomo. E, come ogni uomo, infine, è morto. È comprensibile che i suoi cari, avendone la possibilità, vogliano conservarne le spoglie vicino a sé, in quella che, da pochi anni a que-

sta parte, è tornata ad essere “casa” anche per loro. Ma l’umana pietà per l’uomo, non cancella le responsabilità del Re; non cancella la sua complicità nella deriva autoritaria del Paese, le leggi razziali, la seconda guerra mondiale e l’ignominiosa fuga dell’8 settembre. Non si può scindere l’uomo dal simbolo, dalla personificazione di un’istituzione che ha trascinato il nostro Paese dalla parte sbagliata della storia. Non merita fiato commentare le richieste di traslazione nel Pantheon, affianco agli altri sovrani d’Italia. Già il privilegio di poter godere l’eterno riposo all’ombra di uno dei capolavori del barocco piemontese risuona francamente inopportuno, pensando ai tanti che ancora giacciono dispersi in terra di Russia, nei deserti di Libia, nelle colline greche e albanesi, e ai loro cari, privati per sempre del conforto di un luogo di veglia e di pace. I modi e le forme in cui si sono svolti i fatti hanno trasformato la (legittima) volontà di ricordare l’uomo in una celebrazione dell’idea e dell’istituzione che egli rappresentava, del tutto inopportunamente, alla luce del giudizio della storia. Buon senso avrebbe suggerito una cerimonia privata, un luogo non accessibile al pubblico e che non esponesse Vicoforte al rischio di trasformarsi in una Predappio monarchica, grottesco luna park per pellegrini nostalgici. Così non è stato. Ironicamente, intorno alla figura di un Re che, come talvolta sottolineato dai suoi stessi contemporanei, prediligeva spesso altri piemontesi nei ruoli chiave della corte e delle istituzioni, è mancato, oltre al già citato buon senso, uno dei tratti distintivi di noi sabaudi: l’innato senso della discrezione.


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Gennaio 2018

LA MORTE NON PUÒ ENTRARE A SCUOLA

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Occasioni di apprendimento mancate: tanti programmi e poco feedback sulla vita di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Mario frequenta la prima liceo da settembre. Sta in classe mogio e silenzioso, soprattutto con i prof non ha proprio nulla da dire. Si impegna, vacilla, studia. Ma i risultati sono bassi, senza eccellenze. Prima di Natale suo padre si reca al consueto colloquio e si sente comunicare tutte queste osservazioni dalla referente di classe, una prof che vede il ragazzo un'ora a settimana. Lui ascolta, vorrebbe tacere, ma poi... "Senta professoressa, volevo dirle che se vedete Mario un po' giù, chiuso, silenzioso e triste... forse è ancora troppo fresco il dolore". Lei sgrana gli occhi, non comprende. Il papà la guarda stupito "Per la mamma...". "La mamma... cosa?" riprende la referente. "Professoressa, la mamma di Mario, mia moglie, è morta a luglio, due mesi prima che iniziasse il liceo. Io ho provveduto a segnalare la cosa alla dirigente da subito". "Mi spiace, non sapevo nulla, né io né i miei colleghi siamo stati informati, sa...la privacy". La privacy? Ma che .... ! Non fatemi dire parolacce! Per la privacy non comunichiamo agli insegnanti che un allievo vive un dolore grandissimo? Ma quale modello di scuola abbiamo in testa?!? Mi viene in mente l'incidente che accadde anni fa a una ragazza in quinta superiore. Morì un uomo. La ragazza rimase scioccata, cambiò la sua vita, totalmente; si sentiva in colpa per lo sbandamento della sua auto, nonostante le varie perizie avessero accertato che non andava veloce ... Continuò a frequentare la scuola con regolarità, ma il suo cuore era altrove. Quando le chiedevo "Ma ne avete parlato in classe di quello che ti è successo?" mi rispondeva "Sì, con qualche amica...". “No - incalzavo io - in classe con qualche prof presente. Avete parlato della vita, della morte ...? Ti è accaduta una cosa così grande e dolorosa che non si può far finta di niente. Può essere uno spunto eccezionale sia per te sia per tutta la tua classe, per comprendere mille cose, per maturare, per imparare...". "Ma no, non c'entra nulla il mio incidente con la scuola". È così che i ragazzi la vedono. È così che gliela facciamo percepire. La Scuola è un luogo "altro", distaccato dalla vita, lontano dai problemi personali e sociali, asettico, impermeabile, immutabile. Anche oggi, come allora, non riesco a non incazzarmi. Come possiamo insegnare senza far entrare LA VITA nel percorso di apprendimento? Essa offre un trampolino eccezionale alla conoscenza. Se la lasciamo fuori dell'aula, allora non ci è chiaro che cos'è l'apprendere! È un cammino di riflessione in cui si mettono in discussione le proprie conoscenze alla

luce di una nuova esperienza, di un nuovo stimolo, di un'occasione improvvisa che obbliga a fermarsi perché sconvolge il proprio mondo. Lo stimolo può essere letterario, scientifico, geografico e storico, certo, ma non sarà mai così interessante come quello esperienziale, quel "battere il naso", quel trovarsi nell'incerto, perdere i punti di riferimento, sconvolgere il proprio tran tran. Si apprende moltissimo dalla vita, si apprende ancor più incontrando la morte.

da svolgere... ma quali programmi! Non dovrebbero più esistere. Le nuove indicazioni, che ormai sono già quasi vecchie, parlano d'altro, di individuare alcune competenze, irrinunciabili, da raggiungere con i ragazzi. Tra queste in primis c'è il "saper riflettere sull'esperienza". Perché allora l'esperienza stravolgente del dolore della morte non può avere un posto a scuola? Forse fa male a noi adulti affrontarla. Perché

Ma come fa un ragazzo a percorrere un cammino di apprendimento a partire dal dolore se non viene supportato e sostenuto nel percorso? È un cammino difficile, a volte assurdo, dove solo un Maestro può aiutarti a riflettere sull'accaduto. La Scuola, che dovrebbe essere la sede dell'apprendimento per eccellenza, come può rinunciare a questo suo compito? Quando diciamo che i ragazzi non conoscono il mondo e vivono nel virtuale, non consideriamo le nostre responsabilità come adulti. Da piccini li trattiamo come dei piccoli sovrani. Per loro prepariamo feste, party, viaggi nei fantastici mondi del divertimento. Quando sono più grandi temiamo le loro reazioni, restiamo in sospeso ad aspettare. Se il loro destino li sbatte come pezzi di legno in una mareggiata, restiamo paralizzati, facciamo finta di niente, non affrontiamo l'argomento perché non abbiamo le parole e ci nascondiamo dietro alcune assurdità: la privacy, la mancanza di tempo, il programma

la morte ci scuote. Ci obbliga a ripensare a chi siamo davvero e a come stiamo vivendo. La morte mette a nudo le nostre stupidaggini, illumina ciò che è significativo. Una scuola capace di aprire le porte al dialogo sulla morte potrebbe trovarsi a riflettere sui modi scontrosi, i tempi frenetici, le rigidità, le assurdità che essa stessa promuove. Potrebbe vedersi costretta a cambiare per essere davvero significativa. Potrebbe sentirsi bocciata e incapace ad accompagnare i ragazzi nell'apprendimento per la vita. Allora meglio non rischiare. Non parliamone. E alla fine? La ragazza non ha più concluso la quinta superiore. Chissà se Mario c'è la farà a superare il primo anno di liceo. Forse. Ma solo se un prof tra i tanti saprà aprire la porta della conoscenza fino ad incontrare il suo dolore, quel grido muto che assorbe e ammutolisce tutto il desiderio di sorridere e imparare ancora dalla vita.


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Raccontami...

insonnia

Ester (o dell’amore allegro) di Giulio Siccardi

“Vuoi sentire una barzelletta?” chiese Ester. “Mmm…” disse lui. Le stava baciando il collo, e siccome era domenica pomeriggio ed erano distesi su un grande letto, e in casa non c’era nessun altro, le sue intenzioni erano abbastanza evidenti. “Dunque” disse Ester voltandosi e appoggiando la sua fronte a quella di lui, “nella savana c’è un albero, e sull’albero c’è una scimmietta. Passa di lì una giraffa, e le chiede: ehi, scimmietta, cosa fai? E lei risponde: mah…, non so…, me gratto, me spulcio… E quando passa il leone, gli faccio un culo così!” “Perché la scimmietta parla romanesco?” chiese lui mettendole una mano sul ginocchio nudo con una certa nonchalance. “Non so. Forse aveva trascorso un’infanzia difficile nello zoo di Ostia e poi l’avevano riportata nella savana. Comunque (e non mi interrompere!), dopo un po’ passa una zebra e anche lei chiede: ehi, scimmietta, cosa fai? Mah…, me gratto, me spulcio… E quando passa il leone, gli faccio un culo così! “Scommetto che adesso passa uno gnu” disse lui risalendo lentamente fino al bordo della gonna, già pericolosamente prossimo ai pizzi degli slip. “E invece no, passa una iena, e chiede: ehi, scimmietta, cosa fai lì?” “Certo che in quella savana non ce n’è uno che si faccia i cazzi suoi!” “Tutto il mondo è savana, si potrebbe dire. Comunque, anche alla iena la scimmietta risponde nel solito modo: mah, me gratto, me spulcio, e quando passa il leone, gli faccio un culo così! Dato che, come anche tu hai argutamente osservato, in quel posto nessuno si fa i fatti suoi, il leone viene subito a sapere quello che la scimmietta sta dicendo in giro. E visto che non può sopportare un oltraggio del genere alla sua autorità, decide, anche se di malavoglia (i leoni sono bestie pigrissime), di affrontare di petto il problema. Dunque va anche lui sotto quell’albero e chiede: e allora, scimmietta, cosa fai lì? E lei: mah…, me gratto, me spulcio, sparo quattro cazzate…” Ester s’interruppe e lui, serio, chiese: “È finita?”, ma poi si mise a ridere, e rise per almeno cinque minuti, e rideva ancora mentre le sbottonava la camicetta sotto cui lei, con una certa calcolata malizia, non portava né canottiera né reggiseno. “Dunque mi stai dicendo che è una specie di test” disse Patrizia. “Più o meno…” disse Ester. Erano in pausa pranzo, e stavano mangiando una caprese veloce nel bar di fronte all’ufficio. “Cioè, tu gli racconti una barzelletta, facendo finta di dimenticarti che gliel’hai già raccontata quel tot di volte, e lui fa finta di non ricordarsi che gliel’hai già raccontata; e alla fine ride come un pazzo e tu dietro a lui.” “Più o meno è così” confermò Ester, “anche se ogni tanto faccio delle varianti.” “E dal fatto che lui non si lamenta e ogni volta ride tu deduci che, se è così gentile, è perché ci tiene a te, insomma ti ama ancora, se no…” “Se no” disse Ester sporgendosi pericolosamente sulla caprese, “mi direbbe: che strazio, amo’, co ‘sta scimmietta! Facce passa’ ‘n bracconiere, sotto l’arbero, che ce la levamo dalle palle!” Quando smise di ridere Patrizia disse: “E cosa farai, il giorno che te lo dirà?”

“Oh” disse Ester, “non lo so. Credi che dovrei avere un piano di riserva?” Era di nuovo domenica pomeriggio, ed erano di nuovo su quel letto nella casa vuota; ma stavolta lui le dava le spalle, e sembrava volesse dedicarsi a una silenziosa pennichella.

“Ehi, la vuoi sentire una barzelletta?” chiese Ester passandogli una mano sui capelli radi. “Solo se cambi location” disse lui. Sembrava un po’ imbronciato e distante, da qualche tempo. “Cioè?” “Cioè niente savana, e niente alberi solitari.” “E niente scimmiette?” “Niente scimmiette” confermò lui senza girarsi. Ester capì. Era arrivato il momento. “Ne so una nel deserto” disse. “Vada per il deserto” sospirò lui. “Dunque, c’è l’agente 007 che viaggia su un cammello, nel deserto appunto, ma cammina cammina, a un certo punto si perde.” “Deserto del Sahara?” chiese lui girandosi sulla schiena. “Appena dopo Ouarzazate” rispose lei ricordando a un tratto una delle tappe del loro viaggetto in Marocco dell’anno prima. “Mmm” fece lui chiudendo gli occhi. “Dopo un po’ che si sono persi e girano di qua e di là nel deserto senza fine, a 007 viene una selvaggia voglia di sesso.” “Tipico”, disse lui che degli innumerevoli film di 007 non se n’era perso neanche uno. “Ma l’unica creatura che ha a disposizione è il cammello.” “Il cammello!” “Anche se veramente persino a lui la faccenda sembra un po’ innaturale.”

“Quel minimo.” “Naturalmente cerca di trattenersi, ma alla fine non ce la fa più. Allora scende, si mette davanti al cammello e gli fa un bel discorso sull’opportunità che, da brava bestiola quale finora ha dimostrato di essere, adesso non si metta di traverso a un’operazione che sarà veloce e quasi sicuramente indolore, e sulla quale non sarà certo lui, una volta tornati alla civiltà, a fare pettegolezzi.” “Scommetto che il cammello non fa una piega.” “Esatto” confermò Ester, “anzi se ne sta lì fermo e tranquillo mentre 007, sudando sotto il sole del deserto, fa su una montagnola di sabbia per poter arrivare all’altezza del… Insomma, hai capito.” “Una montagnola…” ripeté lui appoggiando la guancia ad una mano e con l’altra cincischiando il nodo dei lacci che tenevano ben chiusi i leggins di Ester. “Alla fine” proseguì lei “sale sulla montagnola, abbassa i pantaloni e… track!” “Track?” “Track: il cammello fa due passi avanti.” “Mmm” fece lui, “povero 007!” “Già” disse Ester, “ma tu lo conosci, l’agente 007 non demorde mai. Tira su i pantaloni, fa un’altra montagnola dietro al cammello, sale, cala i pantaloni, e zac!” “Zac?” “Zac. Il cammello fa di nuovo due passi avanti.” “Un bello stress!” “Puoi dirlo, anche perché la cosa si ripete altre quattro o cinque volte: su i pantaloni, nuova montagnola, salita, giù i pantaloni, e via! il cammello è due passi avanti.” “Povero cristiano” commentò lui; “come minimo gli verrà una congestione.” “Gli sta venendo” disse Ester “quando all’improvviso vede emergere dalla sabbia, qualche decina di metri più in là, una bellissima ragazza.” “Nuda, scommetto.” “No, ha un due pezzi leopardato, ma è svenuta e sembra disidratata. Allora lui tira fuori la borraccia e le fa bere le sue ultime gocce d’acqua, poi la trascina all’ombra del cammello. Lei lentamente rinviene, e non è ancora del tutto sveglia che già è innamorata del suo salvatore.” “Tipico” rimarcò lui. “James…” gli sussurra. “Come fa a sapere come si chiama?” “Presumo che abbia visto i suoi film, come te. James, gli dice, come posso ringraziarti per avermi salvato la vita? Dimmi cosa posso fare per te, chiedimi qualsiasi cosa… e intanto lo cinge dolcemente con le braccia nude e sbatte gli occhioni. Lui la guarda fisso e chiede: qualsiasi cosa? Qualsiasi! Conferma lei. Allora, senti, fammi la cortesia: tienimi fermo questo maledetto cammello!” Lui rise, naturalmente, e mentre rideva senza riuscire a smettere decise che non l’avrebbe più rivista, quella tipa con cui nelle ultime settimane era andato a bere qualcosa dopo l’ufficio. Dio mio, se ci pensava, c’era stata una sera in cui avevano riso di qualcosa? Oh, era carina, niente da dire, e decisamente più magra di Ester, ma mai, mai sarebbe riuscita a farlo ridere come ci riusciva questa donna che adesso gli accarezzava la schiena mentre lui ancora sussultava dalle risate pensando alla faccia del cammello e soprattutto a quella che doveva aver fatto la ragazza col due pezzi leopardato.


insonnia

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Cin

Cinema STAR WARS: GLI ULTIMI JEDI di Cecilia Siccardi

“Il risveglio della forza”, primo capitolo della nuova trilogia di Star Wars, ci aveva lasciati con la solenne immagine della giovane Rey, Jedi in fieri, che porgeva una spada laser a Luke Skywalker, nella speranza di diventare sua allieva. I

Lib

Libri a cura di Barbara Negro

“Come si uccide una città intera? A poco a poco, smontandola. Tagliando le vene delle strade ad una ad una, schiacciando sotto le macerie i luoghi di incontro, le piazze le moschee i caffè, fino

fan hanno quindi passato gli ultimi due anni a speculare su cosa sarebbe successo in seguito a quella scena: bene, ora lo sappiamo. Luke, un tempo detentore del titolo di Jedi più ottimista della galassia, lancia via la spada laser: è diventato un vecchio cinico e disilluso, e Rey avrà non poche difficoltà a convincerlo ad addestrarla. Parallelamente, anche la Ribellione, ridotta ad un pugno di uomini con poco carburante e scarsità di armamenti, non se la passa molto bene, e rischia di essere definitivamente eliminata dal Primo Ordine. L'ex Stormtrooper Finn parte dunque per una pericolosa missione di salvataggio insieme alla nuova amica Rose, con l'appoggio del pilota Poe Dameron ma all'oscuro della principessa Leila. Nel frattempo, il legame fra Kylo Ren e Rey si fa più stretto e complicato. "Gli ultimi Jedi", diretto da Rian Johnson, ha diviso non poco le opinioni dei fan, come del resto aveva fatto anche il capitolo precedente. Alcuni lo accla-

mano come uno dei migliori Star Wars, o comunque come un film molto più convincente de "Il risveglio della forza", mentre i detrattori ne criticano gli aspetti più disparati, dalla comicità, giudicata forzata e troppo infantile, all'inserimento di animaletti solo per merchandising. Probabilmente chi sostiene questo pensa che George Lucas conduca una vita monacale e che abbia rifiutato con sdegno per tutti questi anni i soldi provenienti dalla vendita di innumerevoli gadget, o soffrono di amnesia temporanea per cui dimenticano che il temibile Impero nella trilogia originale viene distrutto da orsetti guerrieri. Insomma, senza trattare Star Wars come se fosse un film di Ingmar Bergman, si può dire che di certo "Gli ultimi Jedi" non è un film esente da difetti, primo fra tutti la ridicola scena di Leila che fluttua nello spazio come un tonno surgelato; d'altronde, però, va riconosciuto al film un certo coraggio, una buona caratterizzazione dei personaggi e un'attenzione all'estetica mai vi-

sta nella saga (la sala di Snoke e la scena dell'ammiraglia che si schianta contro la nave nemica soprattutto). Insomma, o si ama o si odia.

ad inaridirli.” Attraverso una dovizia di particolari quasi poetica, Domenico Quirico racconta l’orrore e le innumerevoli ingiustizie che dal 2011 ad oggi hanno portato alla distruzione della città di Aleppo e dei suoi abitanti. Di una delle più antiche città del mondo, patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO, che ha visto convivere per secoli genti di etnie e religioni differenti, ormai non rimangono che cumuli di macerie e orrore disumano perpetuato, incessantemente, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Come alla ricerca di una verità ormai sfocata ed evanescente, il giornalista racconta la sua drammatica testimonianza dei giorni sul fronte, attraverso forti emozioni contrastanti, da cui traspare il profondo legame affettivo che lo lega alla vicenda. Parallelamente, Quirico analizza in maniera oggettiva l’evolversi dei fatti, ripercorrendo gli anni della guerra civile, a partire dalle ma-

nifestazioni e dai tumulti nei confronti della dittatura sulla scia dei moti della primavera araba, ai sanguinosi scontri tra i ribelli dell’Armata siriana libera, l’esercito di Bashar Assad e le milizie dell’Isis. Il giornalista presenta al lettore alcuni personaggi, combattenti tramutati dalla guerra e dall’odio fratricida da persone normali in feroci assassini dai volti gravi: “Cosa era Saleh prima di vendere l’automobile per potersi comprare un mitra e combattere? Si sentiva un uomo come ora che lo mostra orgoglioso, quasi fosse un figlio?”. Il triste epilogo cui giunge il reporter è che la verità è andata perduta dopo anni di carneficina umana che ha distrutto un’ intera popolazione: “Perché la verità era da un’altra parte. Era con i morti. E forse, ma questa sarebbe la sconfitta più grave, era morta, la verità, con loro. Ad Aleppo”.

Domenico Quirico “Succede ad Aleppo” 2017, pp. 130, € 15 Editore: Laterza


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Mus

Musica HILLMAN CHRIS

BIDIN' MY TIME di Giuseppe Cavaglieri

Chris Hillman, membro fondatore di Byrds, Flying Burrito Brothers, Manassas e Desert Rose Band, è ampiamente riconosciuto come una figura fondamentale del country rock e della musica popolare americana.

“Bidin’ My Time” rappresenta il primo album in studio di Hillman da oltre un decennio ed è stato prodotto da Tom Petty nel suo studio nella California del Sud. I protagonisti e gli ospiti della registrazione sono: i co-fondatori dei Byrds David Crosby e Roger McGuinn; i membri della Desert Rose Band, Pedersen, John Jorgenson e Jay Dee Maness; Petty e altri membri degli Heartbreakers come Mike Campbell, Steve Ferrone e Benmont Tench; Mark Fain, Josh Jové e Gabe Witcher. L'album si apre con una nuova registrazione del brano di Pete Seeger e del poeta Idel Davies “The Bells of Rhymney”, che i Byrds avevano registrato per il loro debutto, “Mr. Tambourine Man”. Un altro ricordo dei Byrds, “Here She Comes Again” è stato co-scritto da Hillman e McGuinn e finora è stato registrato solo su un album dal vivo in Australia. Hillman suona il basso su questo

brano - lo strumento che ha inizialmente suonato con i Byrds, ma che non suonava da più di 30 anni. “She Does not Care About Time” è stata scritta da Byrds co-fondatore Gene Clark, morto nel 1991, e Hillman ha deciso di recuperare questa canzone che forse non ha mai ottenuto l'attenzione che merita. L'album comprende anche riletture di “Walk Right Back” di Everly Brothers, di “Wildflowers” di Petty e di “When I Get a Little Money” scritto da un amico di famiglia,

insonnia

Nathan Barrow. Gli originali di Hillman confermano che rimane un cantautore ispirato. Questo album ci regala l’immagine di un veterano della musica in spelndida forma, che fa musica con i suoi vecchi amici per il puro piacere di farla.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

La novità è che, negli ultimi due secoli / due secoli e mezzo, il cambiamento ha subito una brusca accelerazione e che l’uomo contribuisce in maniera rilevante ad esso. Ormai sono in molti ad esserne convinti. Non tutti. L’incredibile Hulk no. Lui ha altre battaglie da combattere, affiancato dalla sua Barbie plastica e sorriso: ci sono muri da erigere, pipelines da tracciare negli ultimi territori in cui i Sioux di Cavallo Pazzo sono stati relegati, il carbone da rilanciare, interessi di famiglia da tutelare, accordi sul clima da stracciare. E come lui altri faticano a guardare oltre l’orizzonte limitato degli interessi (grandi e piccoli), delle abitudini radicate, della convenienza immediata. C’è sempre chi è convinto che costruire ovunque fa bene all’economia, che è meglio preoccuparsi dei consumi piuttosto che dei rifiuti che i consumi producono, che le crescenti immissioni nell’atmosfera di anidride carbonica non sono una priorità della vita e dell’economia. Intanto il clima cambia, in modo irreversibile. Ed entra nella nostra vita. Le polveri

sottili alimentano le malattie; la carenza di acqua colpisce le coltivazioni tradizionali; la desertificazione dell’Africa subsahariana spinge milioni di profughi verso l’Europa. Una emergenza sanitaria, una economica, una sociale. Sembrano cose così diverse, ma hanno un denominatore comune. Il clima cambia… e cambia la nostra vita. E’ importante prenderne atto e trarne le conseguenze sul piano delle strategie politiche, delle scelte amministrative, dei comportamenti collettivi e individuali. Per questo il nostro giornale si sente impegnato, fin dalle sue origini, in questo campo. Continueremo a farlo, partendo dall’idea che il cambiamento climatico deve necessariamente trovare una risposta negli accordi internazionali, in normative statali adeguate, in una visione diversa del fare impresa. Ma che un contributo possa venire anche dal basso attraverso i comportamenti di ogni individuo, le scelte amministrative di un piccolo comune, l’informazione di un giornale locale come Insonnia. per la redazione Giancarlo Meinardi

2017

entro dicembre 2017 Tel 371 1529504

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