INSONNIA Febbraio 2020

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mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 119 Febbraio 2020 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

NÉ “MAMMONI” NÉ “BAMBOCCIONI” Giovani e lavoro secondo il segretario della sezione PD di Racconigi di Federico Soldati

Nella serata di venerdì 31 gennaio a Cuneo, all’evento “Senza Maestri: i giovani e la politica” con Anna Ascani è stata data l’opportunità ad alcuni giovani della provincia, impegnati sul territorio in varie realtà civili e politiche, di intervenire per raccontare qualcosa della propria generazione e per portare delle questioni all’attenzione della Politica. Io ho parlato della condizione di precarietà dei giovani della mia generazione, di chi oggi ha tra i venti e i trent’anni. Giovani che vivono in larga parte in condizioni di precarietà lavorativa e di incertezza, che non consentono loro di essere indipendenti e mettere su famiglia; e della condizione delle donne, che ancora oggi vivono situazioni di disparità ed in molti casi si trovano a dover scegliere tra carriera lavorativa e maternità, perché lo Stato non mette a loro disposizione strutture e misure che consentano di conciliare le due cose. Qui sotto riporto un breve estratto del mio discorso, per chi ha piacere di leggerlo... “Provate a fermare qualche giovane intorno ai trent'anni per strada, magari neolaureato, e chiedetegli se lavora, che lavoro svolge, se il lavoro che svolge è attinente alla propria formazione scolastica. Avrete uno spaccato della società di oggi, una società in cui i giovani vivono in condizioni di costante precarietà.

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Racconigi è in letargo? Quale futuro c'è per chi non vive il presente di Virna Lava

Negli ultimi tempi mi è capitato di notare un cambiamento qui a Racconigi, vorrei dire che questo è positivo, ma in realtà ciò che vedo di positivo ha ben poco.

Queste righe che scrivo non sono per far polemica, ma bensì per portare l'attenzione su quella che a mio avviso, sta diventando una rotta sbagliata, senza ritorno. segue pag. 7

Da colonia inglese a prima regione amministrativa speciale della Cina

Hong Kong: "L'Oriente che incontra l'Occidente”

Il dovere morale e civile di sostenere chi lotta e rischia la sua vita per la libertà e la democrazia Classe III L – Liceo scientifico “Arimondi-Eula” di Racconigi

Una giovane racconigese ci scrive da Bologna

MAREGGIATA: L’ONDATA DELLE SARDINE INVADE LE PIAZZE di Francesca De Simone

Domenica 19 gennaio, a Bologna, ha avuto luogo il mega-evento organizzato dalle Sardine: “Bentornati in mare aperto”. La manifestazione si è svolta lì dove tutto ha avuto inizio, in piazza. Si è trattato di una “grande festa della democrazia”, così come definita dalle Sardine stesse, una giornata frizzante dedicata all’arte, alla musica ed alla cultura, con tanti ospiti, alcuni anche di fama internazionale, che hanno partecipato gratuitamente schierandosi a favore della causa.

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Le nuove generazioni sono spesso protagoniste di grandi e importanti battaglie: pensiamo alle moltitudini di ragazzi che scendono in piazza per manifestare in difesa dell’ambiente, ai giovani che in prima fila lottano contro l'omofobia o la mafia, oppure ancora ai più recenti movimenti giovanili nati dalla esigenza di sensibilizzare la società su tematiche politiche urgenti. Le giovani generazioni sono state nella storia spesso portatrici di grandi cambiamenti, col loro entusiasmo e la voglia di capire e di essere protagoniste del loro futuro. E da giovani studenti è partito anche il forte movimento di protesta che in questo momento sta infiammando la città di Hong Kong, di cui quotidianamente sentiamo parlare su media e social. Si tratta di ragazzi di pochi anni più grandi di noi, e questo ci ha stimolato a cercare di capire meglio le ragioni della loro ribellione e quindi a fare delle ricerche su questa lontana città, che finora ci era nota solo per i suoi grattacieli.

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SIGNORE e SIGNORI pag. 3

Bolivia

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Droga

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ARTE pag. 12


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MARISA Un caro ricordo di Danila, Elvira, Francesca

È con infinito rammarico che ricordiamo la dipartita di Marisa Mo. Figura emblematica di Racconigi. Chi non la ricorda, sempre indaffarata, a fare commissioni per l’uno e per l’altro! Dal farmacista, dal medico di famiglia, una visita alla casa di riposo o a portare qualche documento c/o il Poliambulatorio. Sfrecciava sulla sua bicicletta sempre sorridente e salutando a piena voce chi incrociava il suo cammino. Sembra impossibile, ma se n’è andata senza fare rumore e senza recare disturbo alcuno, in una manciata di giorni. Ricorderemo di te la tua generosità, la tua disponibilità e la tua competenza. Ci mancherà la tua squillante voce nei corridoi del Poliambulatorio che tu hai vissuto come casa. Riposa in pace, ciao Marisa

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Memoria di Luciano Fico

E dire che aveva chiesto di essere inviato in Giappone per l’inaugurazione della nuova linea ferroviaria capace di far viaggiare i treni a velocità inimmaginabili fino a pochi anni prima… Invece il capo gli aveva appioppato quell’articolo noioso per la giornata della Memoria. Ogni anno era la stessa storia: bisognava provare a rendere interessanti eventi risalenti ai decenni passati, che nessuno aveva davvero voglia di ricordare, anche perché era chiaro che quella era Storia, quello era il passato e mai si sarebbe potuto ripetere: quelli furono tempi strani e particolari, mentre ora l’umanità era protesa verso una spettacolare evoluzione. Da quando esiste il giornalismo, però, un giovane tirocinante deve fare quello che il Capo vuole e così Edoardo provò a rendere vivido il ricordo di quei fatti lontani. “Lo scontro tra fazioni si era consumato, fino a quel maledetto giorno, nelle immagini televisive, nelle parole scritte sui giornali, nei mille rivoli di quei canali virtuali chiamati Social. Il livello di violenza verbale era salito molto, questo è certo, ma nessuno immaginava che l’incubo potesse uscire dai video ed infestare le vite reali. Nessuno lo pensava, fino a quel sabato mattina. Enrico Guidotti, che da mesi era a capo di un movimento di opinione molto attivo sui Social, venne svegliato alle quattro del mattino dal rumore della porta sfondata. Pochi spaventosi minuti e, senza che potesse capire cosa stesse accadendo, si trovò a guardare il sangue che usciva a fiotti dalla

sua testa, anch’essa sfondata a bastonate. Il tutto avvenne senza il minimo fingimento: improvvisamente la realtà irruppe dura e terribile in quegli anni e nessuno seppe reagire davvero. Di fronte alla protervia del sangue, il paese si inchinò docile, vigliaccamente rassicurato di poter stare dalla parte del più forte. In pochi mesi le sfide virtuali cessarono del tutto ed il paese si arrese quieto alla dittatura: le rarissime voci critiche svanirono ben presto. Ci sono voluti più di vent’anni per uscire da quell’incubo collettivo ed oggi ognuno di noi deve rimanere vigile affinché un tale tragico destino non si abbatta ancora sul nostro paese e sul mondo intero.” Lo aveva scritto di getto ed ora, rileggendolo, gli pareva francamente scontato e ampolloso. D’altra parte era ormai chiaro a tutti, che certe cose non sarebbero più potute succedere nel mondo moderno; solo una certa cultura nostalgica, imponeva ogni anno quello stanco rito della Memoria. Edoardo guardava annoiato il suo prodotto sul video e pensava con rimpianto ai colleghi che in quel momento si stavano godendo il brivido di viaggiare a più di 500 km orari in Giappone. Mancava ancora il titolo e poi poteva inviarlo: “16 Marzo 2020 quando il mondo improvvisamente crollò” Fatto. Adesso era finalmente libero di collegarsi con in colleghi in Giappone e poi il solito aperitivo in piazza, perché certe abitudini non cambiano mai…


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Signore e Signori il conto è servito!

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Dio ci ha dato quanto basta per tutti: siamo noi che dobbiamo cominciare a dividercelo con giustizia (Anne Frank) di Maria Teresa Bono

L’Africa è un continente tanto magnifico quanto maledetto, pur essendo una terra ricca di oro, metalli preziosi, petrolio e gas, da sempre rappresenta la povertà, ma allora chiediamoci il perché la vita sia così impossibile e dannata per queste popolazioni. Per comprenderne le cause si dovrà tornare indietro nei tempi. La popolazione africana è stata vittima dello schiavismo sin dal Medioevo, perpetuato dagli Arabi. Questo fenomeno però assunse dimensioni impressionanti nel XVII-XVIII secolo quando i portoghesi iniziarono ad esercitare il commercio degli schiavi, seguiti a breve dagli altri Paesi europei che avevano colonie in America. Il destino di questi esseri umani era il loro sfruttamento nelle miniere, nelle piantagioni di caffè, canna da

zucchero, cotone. La mano d’opera nera era molto richiesta perché resisteva al clima caldo, costava poco ed era facilmente soggiogabile essendo gente mite, ingenua, incapace di difendersi. Perlomeno 4 milioni di schiavi sono passati per il Mar Rosso, altri 4 milioni dall’Oceano Indiano, 9 milioni hanno attraversato il deserto del Sahara, circa 11-15 milioni hanno solcato le acque dell’Oceano Atlantico. Queste sono cifre da capogiro, precisamente sono vite RUBATE e sradicate dalla loro terra senza alcun diritto, un onta indelebile. Nel XIX secolo ebbe inizio il colonialismo europeo, durante il quale le grandi potenze europee si spartirono ed occuparono la quasi totalità delle terre africane. Queste colonie furono conquistate molto facilmente, essere co-

lonizzatori era un prestigio nazionale, oltre ad avere un lauto tornaconto economico. L’Africa per un secolo intero è stata derubata non solo delle sue preziose risorse, ma anche della propria identità culturale e religiosa, costretta ad abbracciare la cultura europea impostagli con violenza e lasciando questa popolazione smembrata dalle proprie radici. Tutto questo venne giustificato in quanto la superiorità dell’uomo bianco, più evoluto aveva la missione di civilizzare queste popolazioni, una vera arma di propaganda che lasciava trapelare non solo molta presunzione ma anche una grave forma di razzismo. La fine del colonialismo ebbe termine nei primi anni sessanta ed in tutto questo periodo l’Africa subì un’altra spietata forma di schiavitù che coinvolse uomini, donne e bambini. Il decolonialismo non ha però migliorato le condizioni di questo Continente, poiché non sono stati demoliti gli interessi economici europei su questo paesi. Il petrolio, i minerali preziosi, i diamanti, sono tutt’oggi sotto controllo delle multinazionali complici di governi corrotti ed autorità locali. Qui ritroviamo la schiavitù di uomini donne e bambini che lavorano nelle miniere in condizioni ed orari disumani, senza alcuna misura di sicurezza, retribuiti per un pezzo di pane al giorno. A questo si aggiunge il danno ambientale causato dalle estrazioni (inquinamento falde acquifere, esplosioni, incendi), governi dittatoriali, disoccupazione, epidemie, e guerre civili che si combattono con armi vendute a loro dalla stessa Europa e dalle grandi potenze mon-

NUOVA VITA (D)AI TUOI VECCHI JEANS Da Falpalà a Mai+sole Bella l’idea proposta dalla titolare del negozio di abbigliamento FALPALÀ di piazza Castello a Racconigi: rottamare jeans usati per ottenere uno sconto sull’acquisto di un nuovo paio di jeans griffati. Dietro all’operazione di marketing si nasconde la volontà di aiutare persone meno fortunate. I jeans dismessi, infatti, sono stati regalati all’Associazione Mai + sole impegnata in un progetto di cucito che prevede un percorso formativo per donne in difficoltà, condiviso con la D.A.Psi (associazione difesa ammalati psichici) di Savigliano. I jeans verranno trasformati in borse e pochette dalle donne inserite nel progetto, che avranno la possibilità di acquisire nuove competenze ed intraprendere un percorso lavorativo spendibile in futuro. Gli articoli prodotti verranno messi sul mercato a offerta libera. Un grazie particolare a Rosella Barbero per l’iniziativa dalle volontarie di Mai + sole.

diali. Non dimentichiamo che anche l’Italia fa parte di questo commercio tanto brutale quanto redditizio. Purtroppo di tutti questi tesori la popolazione africana non porta benefici anzi sono motivo per lo sfruttamento dei più deboli che sovente cercano una vita migliore in altri paesi con un’immigrazione forzata. Questa immigrazione vista da molti come una invasione è poco gradita. “Aiutiamoli a casa loro”, sovente si dice per risolvere TEORICAMENTE questo problema. Ma come e perché aiutarli a casa loro quando basterebbe liberare casa loro, lasciare la loro terra libera con le rispettive risorse che noi occidentali abbiamo sempre cercato di avere a poco prezzo. In merito a questa piaga umana, qualcuno ha fatto un bilancio dal quale è risultato che il mondo occidentale dovrebbe risarcire il Continente nero di 70.000 miliardi di Euro RUBATI in questi secoli. Tutto questo è spiegato in modo dettagliato in un libro molto importante di Paola Caforio e Maurizio Marchi con i contributi di Jeff Hoffman e Lucy Pole “QUANTO L’EUROPA DEVE RESTITUIRE ALL’AFRICA”, scaricabile anche in rete. Come nel processo di Norimberga vengono presi in considerazione tutti i misfatti europei (sia nell’ambito economico sia nell’ambito storico culturale) nei confronti dell’Africa e grazie a questa ricerca si è arrivati a questa conclusione. Come ben si sa, dopo un lungo e lauto pasto arriva sempre il conto! Non penso di avervi raccontato nulla di nuovo o sconosciuto ma è solo per non dimenticare … Tutto qua!


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Una giovane racconigese ci scrive da Bologna MAREGGIATA: L’ONDATA DELLE SARDINE INVADE LE PIAZZE segue dalla prima

Quella avvenuta in piazza VIII agosto è stata una manifestazione che ha unito giovani e meno giovani nella lotta contro ogni forma di sovranismo e a sostegno dei diritti fondamentali dell'uomo. Scaltra l’idea degli organizzatori di combinare in un unico evento parole e musica, riuscendo così, ad accontentare le aspettative ed i gusti di un pubblico variegato. La manifestazione, infatti, ha riscosso molto successo, con un bilancio di oltre 40.000 presenze. Unico neo: l’età media relativamente alta. Soltanto verso sera, infatti, si è assistito ad un “ringiovanimento” della piazza, che, fino a quel momento, contava una larga maggioranza di partecipanti over 30. Questo dovrebbe portare a chiederci se i giovani si sentano poco coinvolti o se abbiano perso interesse nella politica. E, nel caso in cui fosse così, perché? Credo sia importante investire tempo e risorse per riconquistare questa fascia della popolazione e far riavvicinare i giovani alla politica, perché sono loro il futuro e saranno loro a dover prendere decisioni in merito per mandare avanti il Paese nel migliore dei modi.

In ogni caso, il numero di giovani presenti domenica 19 gennaio in piazza VIII agosto era sicuramente maggiore di quelli presenti oggigiorno in qualsiasi partito italiano. Questo indica che forse i partiti hanno perso il loro ruolo e che il modo di fare politica può e

deve cambiare. A proporre un nuovo modo di fare politica sono proprio le Sardine che si slegano (in tutti i sensi) dai vecchi apparati di partito per riorganizzarsi in un movimento fisicamente attivo e presente in tutte le piazze italiane. Un movimento che ai botta e risposta sui social preferisce il confronto faccia a faccia. Un movimento che ai talk show preferisce le piazze. Un movimento per cui il “porta a porta” non è solo una trasmissione, ma un modo per coinvolgere le persone. Un movimento che non suona i campanelli per accusare ingiustamente la gente, ma, piuttosto, per invitarla a partecipare attivamente. Il movimento della Sardine deve sicuramente molto a Mattia Santori, che, volente o nolente, è diventato il vero e proprio leader del movimento, un personaggio estremamente affascinante, un abile comunicatore che ci sa fare con le parole e che, innegabilmente, è molto ferrato sugli argomenti che tratta. I suoi interventi sono sempre brillanti ed illuminanti e forse è proprio questa sua capacità dialettica a smuovere le coscienze della gente e a trascinarle in piazza. Un altro punto a suo favore è indubbiamente la sua giovane età, che incarna perfettamente la voglia di partecipare e di rivoluzionare le cose.

Insomma, Mattia sa il fatto suo e merita tanta stima per quello che sta costruendo insieme ai suoi fedeli compagni. Più che offrire nuove proposte, il movimento si pone come una "spinta nuova" che punta a risvegliare la coscienza delle persone, a far loro esercitare (finalmente) il senso critico senza restare tramortite e passive davanti a ciò che accade, a protestare se le cose non ci vanno bene, ad agire, invece di fare i “leoni da tastiera”. Ma il fatto che, per il momento, le Sardine non siano interessate a diventare parte dell’offerta politica, non è necessariamente un male, anzi, far riaffiorare la voglia di partecipare e scendere di nuovo in piazza per far sentire la propria voce è un ottimo punto di partenza! E il fatto di aver riempito una piazza con 40.000 persone dimostra che la voglia di partecipare e di cambiare le cose c’è e si vede. Proprio per questo il Movimento delle Sardine ha già vinto: una partecipazione di massa come quella che hanno ottenuto può già considerarsi una grande vittoria, perché ci hanno letteralmente spinti ad uscire dalla nostra stanza, dalla nostra bolla, dalla nostra zona comfort per scendere in piazza e reagire, rialzarci, rimetterci in gioco, finalmente… Bentornati in mare aperto!


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Da colonia inglese a prima regione amministrativa speciale della Cina

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Hong Kong: "L'Oriente che incontra l'Occidente”

Il dovere morale e civile di sostenere chi lotta e rischia la sua vita per la libertà e la democrazia segue dalla prima

Hong Kong viene descritta come "l'Oriente che incontra l'Occidente", dal momento che la sua cultura è stata profondamente influenzata da oltre cento anni di dominio britannico. Il 1º luglio 1997 la città ha però cessato di essere una colonia inglese ed è diventata la prima regione amministrativa speciale della Cina. Da questo momento Hong Kong, pur conservando il suo primato mondiale a livello economico e finanziario, ha dovuto affrontare il problema del delicato rapporto politico con la Repubblica Popolare Cinese, soprattutto in tema di riforme democratiche e suffragio universale. In effetti, nonostante la città possieda un sistema multipartitico, solo un piccolissimo elettorato controlla la sua legislatura: il capo del governo è deciso da un comitato elettorale che varia da 400 a 1200 membri appena (su 7 milioni di abitanti!) e la scelta dei candidati è pilotata da Pechino, come risulta anche dalla componente fortemente filocinese dell’attuale governo del premier Carrie Lam. E il futuro non sarà migliore: nel 2047 Hong Kong entrerà a tutti gli effetti a far parte della Cina, perdendo definitivamente ogni autonomia politica, economica ed istituzionale. Una prima ondata di proteste si è avuta nel 2014, quando Pechino ha annunciato di voler riformare il sistema elettorale della regione; si è trattato della cosiddetta Rivoluzione degli ombrelli, iniziata il 26 settembre e durata 79 giorni: simbolo della protesta furono appunto gli ombrelli gialli alzati dai manifestanti per difendersi dai lacrimogeni della polizia.

Il recente ciclo di proteste ha avuto avvio invece dal tentativo dell’amministrazione di Hong Kong di introdurre una nuova legge che avrebbe previsto la possibilità di estradare nella Cina continentale tutte le persone accusate di reati gravi, ovvero di crimini punibili con una pena superiore ai sette anni di detenzione; all’origine delle proteste vi era dunque soprattutto la preoccupazione da parte dei cittadini hongkongesi circa il fatto che la richiesta di estradizione desse adito a violazioni dei diritti umani e che venisse usata come pretesto per raggiungere i dissidenti politici fuggiti a Hong Kong dal territorio cinese. Dal primo giugno del 2019 il mondo ha assistito a sei mesi di scontri, proteste e arresti, nelle piazze e all’interno del campus del Politecnico, dove si sono asserragliati in ultimo i giovani studenti. Una protesta “moderna” per i mezzi usati dai manifestanti: tra gli altri, laser e maschere antigas per evitare il riconoscimento facciale; chat via Telegram per eludere la sorveglianza digitale cinese; poster in stile manga fatti circolare viralmente in rete; distruzione dei “lampioni intelligenti” dotati di sensori per il riconoscimento facciale… Il ritiro dell'emendamento alla legge sulla estradizione, concesso dal governo, non è stato sufficiente a fermare le proteste; ora gli studenti vogliono anche l'istituzione di una commissione indipendente di inchiesta sulle violenze della polizia (un morto e molti feriti è il tragico bilancio degli scontri), l'amnistia per i manifestanti arrestati (oltre 4000), ma soprattutto il suffragio universale. Una opposizione poli-

tica a cui certo la Cina non è abituata e che si teme potrebbe non più tollerare, come dimostrano la presenza dell’esercito cinese lungo i confini della città e l’invio di militari “in abiti civili” sul suolo di Kong Kong per ripulire le strade (?) dopo gli scontri. Forse la memoria di Pechino va a venti anni fa, quando il mondo si commosse di fronte a un giovane rivoltoso che nel mezzo della piazza Tienanmen, solo e disarmato, si parò davanti a una colonna di carri armati per fermarli: era il 1989 ed erano i giorni della Primavera democratica cinese, che, attraverso una serie di dimostrazioni di massa di studenti, intellettuali e operai, fece conoscere all’esterno la repressione del governo cinese in tema di diritti umani e libertà di espressione. Certo l’astuzia e la tecnologia non basteranno a questi Davide a sconfiggere Golia, ne sono consapevoli i ragazzi

stessi che hanno lanciato appelli alle autorità occidentali, ignorando la forte censura messa in atto. E a loro sostegno è arrivata la mozione dell’Unione Europea il giorno seguente la nomina di Ursula von der Leyen a presidente della Commissione e, recentemente, la firma da parte di Donald Trump del “Hong Kong Human Rights and Democracy Act”. Ma anche l’attenzione di tanti intellettuali, tra cui Roberto Saviano che, con il suo intervento alla trasmissione “Che tempo che fa”, si è schierato apertamente con i dimostranti. In realtà, di fronte a questi fatti nessuno può restare indifferente: soprattutto noi giovani abbiamo il dovere morale e civile di sostenere chi, all’incirca della nostra età, a migliaia di chilometri di distanza, lotta e rischia la sua vita perché crede nella libertà e nella democrazia.

Quando la droga si fa giovane

"Facciamoci" un pensiero su di Michela Umbaca

Avevo tredici anni quando lessi per la prima volta "Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino" di Christiane F. Un libro sfacciatamente spudorato, drammaticamente vero nella sua onestà. Sono trascorsi parecchi anni da quando sfogliai le pagine di quel libro: tutto in quello che i miei occhi da adolescente leggevano tra quelle pagine sembrava lontano e incoerente con quell'idea di me, una ragazzina come tante altre, che stava crescendo, cercando di definire le geometrie di uno spazio nuovo e sconosciuto. Christiane F. è una drogata. Una tossicodipendente abbandonata alla deriva dagli eventi e dalla spasmodica ricerca di una felicità vacua ed effimera: l'eroina. Non ha altro che quello in testa, perché "quella" è la sua felicità e il suo annichilimento, il suo benessere e la sua autodristruzione, la sua fuga e il suo ritorno alla vita. Erano gli anni '70. Gli anni di David

Bowie, delle Olimpiadi di Monaco, di Guerre Stellari. Ma erano anche gli anni dell'eroina, della cocaina; gli anni delle pere e delle "spade". Gli anni delle morti per overdose, dei tossici alle stazioni e degli spacciatori. Erano gli anni di esistenze bianche. L'approccio alle droghe l'ho sempre paragonato all'infatuazione amorosa: a una prima timidezza inziale, segue la curiosità ferina nel voler conoscere a tutti i costi l'altro, ogni sfaccettatura e dettaglio, per poi giungere a quell'ossessione, vile e meschina, che annebbia occhi e mente, dove non esiste altro, dove tutto gravita intorno a quell'idea, a quell'attimo di leggerezza e di benessere che, veloci, ti scorrono nelle vene. E in un attimo non si esiste più. Il rapporto tra giovani e droga è cambiato radicalmente nel corso degli anni: quello che negli anni '60 era, con marijuana e LSD, cool e rivolu-

zionario, negli anni '70, con l'eroina, si è ridotta a pura addiction, con l'inevitabile corollario di morti e violenza. Negli anni Ottanta e negli anni Novanta le droghe sono cambiate, e con esse l’atteggiamento dei giovani nei loro confronti: quello verso la cocaina negli anni Ottanta non è certamente lo stesso diffuso oggi tra i giovani, mentre le droghe sintetiche degli anni Novanta godono ancora di discreto successo nelle mille diverse interpretazioni del tema. L'incessante necessità di appartenere a una categoria, a un'idea che concretizzi in azioni ciò che siamo, e il modo in cui vogliamo che gli altri ci vedano, è solo l'incipit della diffusione dell'utilizzo di doghe tra i giovani. Fare "un tiro di sigaretta" durante l'intervallo è il modo più concreto di sentirsi accettato dall'altro, perché ti omologa e soddisfa quella necessità di appartenere ad gruppo "giusto". I

motivi che portano all’iniziazione del consumo di droghe tra i giovani sono spesso banali: accondiscendenza al gruppo, riflesso conformistico all’interno di un atteggiamento anticonformistico, timore di essere da meno e dunque esclusi. Tutto riporta alla pressione del gruppo dei “pari” e al desiderio di appartenenza identitaria tradotto in emulazione di comportamenti trasgressivi. “Si imparava in maniera del tutto automatica che tutto quello che è permesso è terribilmente insulso e che tutto quello che è vietato è molto divertente.” Oggi, come nella Berlino di Christiane F., quella "gioventù bruciata", che si arrende alle debolezze e agli incessanti ostacoli della vita, c'è e continua a nascondersi, subdolamente, tra le mura di una casa e nella mente di un giovane arreso a se stesso e al bianco accecante che lo circonda.


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a cura di Guido Piovano

UN COMPROMESSO CON LE DESTRE Il patto è siglato: Ratzinger ritira la firma (dal libro in difesa del celibato dei preti, gp) e Francesco dichiara piena continuità con Wojtyla e l'antipapa. La destra questa volta è riuscita a

dedizione ai poveri, la sua impronta ecumenica, la sua stimolante analisi delle ingiustizie, la sua vita di testimone, ma non è in grado di spostare di un millimetro il "sistema strutturale e dogmatico". […]

bloccare le pur timide, ma promettenti, aperture di papa Francesco. Se fra poche settimane le Edizioni San Paolo pubblicheranno il preannunciato volume "San Giovanni Paolo Magno", con la firma di papa Francesco, saremo al solenne elogio del papa polacco per trovare un compromesso con le destre ecclesiali. La cosa può dispiacere, ma papa Francesco non ha la statura teologica che sarebbe necessaria in questo momento. Restano preziose la sua

In barba ai tre papi, i preti continuano a vivere con disagio le loro relazioni etero e omo e tutti lo sanno. L'importante è salvare la legge! La metà dei preti che io conosco vive una relazione, sia pure con l'intralcio di questa assurdità del celibato obbligatorio.

Il tramonto di una illusione?

L'idea che una vera riforma della

chiesa cattolica romana possa nascere dall'alto, cioè da qualche papa carismatico, è un sogno che ricompare nelle mille notti oscure della istituzione ecclesiastica. Il risveglio molto presto dissolve il sogno. Forse dobbiamo guardare al futuro del cristianesimo nell'ottica di Gesù di Nazareth: sono le pietre scartate, i poveri, gli eretici, gli "impuri", le prostitute, le persone emarginate… il "luogo epifanico di Dio", il "terreno" dal quale giunge il grido e lo spazio dal quale e nel quale Dio ci invita alla conversione nostra e della chiesa. I "sacri palazzi" ammansiscono anche i profeti, invitano a diventare prudenti, a non uscire dai "tracciati" sicuri, a diventare "equilibrati" ed equilibristi. Forse commettiamo

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un grave errore. Guardiamo troppo ai "sacri palazzi" anziché aver cura degli appiedati, delle donne e degli uomini che umilmente lavorano ogni giorno nel popolo di Dio. Abbiamo bisogno di sinodi veri, deliberativi, che non chiedano permesso a nessuno, ma abbiano come riferimento il messaggio profetico delle Scritture e la presenza di Dio nella storia. E intanto valorizziamo quel poco o quel tanto che, pur tra mille contraddizioni, ci viene anche da papa Bergoglio, da parecchi pastori che tentano di guardare oltre la congiura dei reazionari in atto nella vita politica ed ecclesiale. don Franco Barbero, 21 gennaio 2020

AMORI CONSACRATI La volta scorsa ho presentato in questa rubrica il libro di don Franco Barbero “Amori consacrati, testimonianze di suore, frati e preti omosessuali” Gabrielli Editori. Oggi ospito il pensiero di un prete che sa ascoltare e testimoniare la necessità di un cambiamento. Egli scrive: Sono don Roberto prete diocesano di Bergamo da 16 anni e ho appena terminato di leggere il libro "Amori consacrati". Mi sono imposto di leggerlo a piccoli sorsi, due storie per sera, perché fin dall'inizio mi ha coinvolto parecchio e l'avrei letto tutto di un fiato. Ho preferito leggerlo a piccoli sorsi, lasciandomi ogni sera interrogare dalle storie raccontate. A fatica ho trattenuto le lacrime nel leggere alcune drammatiche testimonianze. Cosa mi ha colpito di più di questo libro? Da una parte il coraggio e la ricerca di sincerità e di verità delle persone coinvolte, spesso superando ostacoli di ogni tipo. E il sollevare il velo su una realtà - quella dell'omosessualità in ambito religioso - di cui tutti sanno ma di cui nessuno vuole né prendere coscienza né tanto meno affrontare. Mi ha fatto male leggere come spesso sia mancata accoglienza da parte delle istituzioni nei confronti di queste persone. […]

Si tratta di condividere quell'umanità a cui tutti noi apparteniamo e di sentirci fratelli legati dalla stessa povertà esistenziale che ci accomuna. Mi ha ferito veder usare il buon Dio come scudo dietro a cui trincerarsi per difendersi dalle proprie paure e dalle proprie immaturità. Usare la preghiera come fosse una medicina per guarire da chissà quali mali. Usare la Chiesa come scusa per non assumersi le proprie responsabilità. Una sfilata di Ponzio Pilato e di novelli Giuda pronti a tradire per i trenta denari della propria comodità e del proprio tornaconto ogni uomo e donna senza nessuna colpa se non quella della ricerca della verità. Vorrei invitare uno per uno le persone che hanno regalato la loro testimonianza: per chiedere scusa come prete per l'ottusità della chiesa ufficiale. Ma soprattutto per offrire loro uno spazio di ascolto e di accoglienza. […] Grazie per il coraggio che avete dimostrato e la vostra preziosa testimonianza! Che non sia semplicemente un sasso lanciato nell'acqua ma l'inizio di un cammino di rinnovamento! Grazie! don Roberto Falconi - Diocesi Bergamo

Anno nuovo… vita vecchia di Zanza Rino

Per prima è stata la BEFANA. Sì, proprio lei, la vecchietta che portava mandarini, cioccolatini e… carbone se proprio eri stato cattivo (ma per fortuna arrivava sempre quello dolce). In fondo era buona la vecchietta e

non deludeva le attese. È stata la prima ad essere scoperta, il primo mito infantile a infrangersi contro i duri scogli della realtà. Ma non è stato un grande trauma. Con BABBO NATALE è stato diverso. Per la verità, allora, quando ero ancora piccolo, era GESÙ BAMBINO. Lui portava i regali importanti, se ero stato buono. Arrivava la notte tra il 24 e il 25, dopo la messa di mezzanotte e la cioccolata calda a casa nelle tazze blu delle grandi occasioni. Poi a dormire, sapendo che la mattina avrei trovato i regali sotto l’albero. Non ero poi così piccolo

quando il seme del dubbio cominciò ad insinuarsi, complici i compagni più smaliziati. E allora quella notte mi sforzai di stare sveglio per svelare l’inganno. Occhi socchiusi per non tradirmi, orecchie dritte. Nessun movimento sospetto e la mattina… i regali erano lì sotto l’albero. Questa era la prova che desideravo… poteva essere stato solo Gesù Bambino. Difesi a lungo la mia tesi disperata contro le ondate crescenti di scetticismo, mentre i miei genitori se la ridevano. Ma poi venne il tempo che dovetti cedere e… lo ammetto… anche per me questo

mito è caduto. Ultimo è rimasto l’ANNO NUOVO. Quello che porta la VITA NUOVA. In fondo è bello crederci. Durante l’anno capita di tutto: guerre, catastrofi naturali, fanatismo, intolleranza, squallidi teatrini politici… È bello aspettare che l’anno nuovo spazzi via tutte queste miserie e ci apra le porte di un mondo diverso. Poi arriva il nuovo anno e… guerre, catastrofi naturali, fanatismo, intolleranza, squallidi teatrini politici. Altro che vita nuova. Anche questo nuovo anno è nato vecchio.


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“… PERCHÉ QUEL FILO NON È DEL TUTTO TRANCIATO”

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a cura dell’Istituto Arimondi Eula di Racconigi

Questa la frase scritta sullo stendardo che sventola da alcuni giorni sulla facciata dell’IIS ARIMONDI EULA di Racconigi. Dopo un percorso di riflessione e confronto all’interno del Comitato Studentesco (organismo composto dalla Rappresentante di Istituto e dai Rappresentanti di tutte le classi) i ragazzi hanno scelto di creare un segno che fosse di richiamo alla città – lo stendardo – e uno per le classi. Ad esse è stata affidata la cura di un bulbo che fiorirà, simbolo della vita che è più forte di qualsiasi violenza e di qualsiasi prevaricazione, bulbo che non durerà un solo giorno ma che anche nei prossimi sarà lì a ricordarci che la memoria non può esaurirsi in una celebrazione, ma deve crescere, trasformarsi in azioni concrete e diventare parte della nostra vita tutti i giorni. I realizzatori materiali dello stendardo (Alessandro, Catalin e Simone) così spiegano la loro opera: la scritta sullo stendardo ci dice che i fili spinati non sono solo un ricordo, alcuni nel mondo ancora separano terre e uomini e altri crescono nuovamente, anche nella nostra Europa, anche nei nostri cuori … I pilastri sostengono un famoso e riconoscibile cancello, ma si stanno sgretolando. La stella di Davide al centro porta un numero, non è a caso, è quello tatuato sul braccio della Senatrice Liliana Segre che ancora in questi giorni, instancabilmente, ha reso la sua testimonianza per tutti quegli esseri umani «uccisi per la colpa d’esser nati». Il filo spinato cinge i pilastri, si attorciglia e avvolge il fiore … che però non cade e resta in piedi. Le righe seguenti sono la sintesi di alcuni testi scritti degli studenti delle classi quinte lo scorso 27 gennaio. Noi siamo la generazione nata “senza muri” e senza muri siamo abituati a vivere. Non riusciamo nemmeno ad immaginare cosa potesse significare vivere sotto le leggi razziali. Siamo nati con la tecnologia che è riuscita a scavalcare grandi barriere mondiali come la distanza e la difficoltà di comunicazione. Siamo nati dopo il Muro di Berlino, in un’Europa

senza confini, eppure vediamo alzarsi muri tra l’Europa e il resto del mondo. L’odio e l’invidia continuano ad essere presenti nel cuore dell’uomo, la rabbia e l’avversità continuano ad essere usate come armi di difesa e continua la tentazione di attribuire ad altri la ragione dei propri fallimenti cercando così un nemico con cui prendersela. Noi non abbiamo vissuto le tragedie del 900, e questo ce le fa sentire distanti. Ma le abbiamo sentite raccontare dai testimoni, siamo anche tra gli ultimi ad avere la possibilità di ascoltarli perché ormai stanno morendo e per questo abbiamo una grande responsabilità proprio per non perdere la memoria. Ascoltarli suscita in noi rabbia e disgusto, ma non basta solo ricordare e parlare, dovrebbe sorgere in

noi una sorta di “senso di colpa” per quello che è stato e soprattutto per quello che ancora succede oggi, anche se ci sembra di non averne la responsabilità. Siamo chiamati a ricordare tramite azioni concrete che fermino qualsiasi gesto di discriminazione attuale e di negazionismo del passato. Noi abbiamo la possibilità di costruire un mondo senza muri e la speranza è che la nostra e le prossime generazioni, contagiandosi a vicenda, provino sul serio a farlo, convincendoci che il problema di uno è il problema di tutti. Le voci che fanno memoria della Shoah e che denunciano le ingiustizie di oggi rischiano però di affogare nel mare dell’indifferenza, un male da cui proprio Liliana Segre continua a metterci in guardia. È sconvolgente la freddezza con cui ascoltiamo oggi le notizie che ci dicono il numero di morti nel Mediterraneo o le vittime delle tante guerre ancora presenti nel mondo. Con la paura dell’oblio che incombe la Giornata della Memoria deve portarci alla consapevolezza dell’importanza degli ideali di libertà e coscienza critica che ci caratterizzano e che dobbiamo valorizzare. Dobbiamo pensare al presente facendoci ispirare dal passato e traendo da questo quanti più insegnamenti possibili. Piccolo particolare però: il passato bisogna conoscerlo con la memoria del dolore che porta con sé, e allora studiamo storia! E questo ci insegna la scuola il 27 gennaio, a conoscere la storia. La sensibilità possiamo raggiungerla individualmente, magari con metodi e tempi diversi, invece lo studio del passato viene offerto dalla scuola a tutti, senza distinzione; sta a noi la responsabilità di accoglierlo. Dopo 75 anni dall’Olocausto noi oggi possiamo godere dei valori di democrazia, libertà, uguaglianza; nonostante l’attualità non sia rosea e qualcuno provi anche a toglierceli o a farceli dimenticare, nel nostro Paese rimaniamo uomini liberi, ovvero il sogno di chi morì nella Resistenza e in quei campi. Cerchiamo di capire questa nostra fortuna, godiamone e difendiamola, senza darla mai per scontata e senza sottovalutarla.

Racconigi è in letargo?

Quale futuro c'è per chi non vive il presente segue dalla prima

Racconigi è una cittadina con un potenziale enorme, a livello culturale e turistico, eppure negli anni i turisti sono sempre meno. Conosciamo tutti la battaglia fatta per il Castello, che ad oggi purtroppo non ha avuto riscontri reali, ma è tutto lì il problema? Assolutamente no! Racconigi è una città lasciata sola, che poco alla volta sta ripiegando su sé stessa e come un fuoco, una volta fervente grazie ad iniziative, attività e partecipazione, si sta spegnendo. Potrei stare qui ad elencare le responsabilità di molti, Enti, Ministero, Politica, tutto vero sì, ma non solo, Racconigi siamo noi, sono anche io. Siamo noi, che giriamo per le strade, ormai piene di spazzatura, cacche di cani, cartacce, mozziconi e chi più ne ha più ne metta. Siamo noi che se qualcuno di buona volontà, crea un'iniziativa critichiamo e non partecipiamo, a volte boicottiamo volontariamente. Che siamo sempre pronti a criticare ma mai a dare idee, per quelle "non è compito mio". Ed è anche vero, non è compito mio nostro di comuni cittadini, ma di chi dovrebbe essere? Una pro loco vera e propria esiste solo in parte, con volontari che fanno ciò che possono. Un ufficio turistico

sì c'è, ma poi? Manca tutta la rete intorno, perché se una guida turistica mi dice che è riuscita con l'express bus a portare qui 60 turisti, ma nessun'attività di ristorazione si è resa disponibile a fare un aperitivo a 12 euro per questi turisti, tranne la tenuta Berroni che in ogni caso non è centro città, lei dovrà portarli fuori Racconigi, che senso ha? È possibile che nel 2020 con il commercio ormai distrutto da internet e acquisti on line, con paesi che si inventano qualsiasi cosa pur di portare entrate in città, noi a Racconigi ci barrichiamo nel nostro orticello, mal messo, e non facciamo nulla anzi dissuadiamo qualsiasi novità, iniziativa o altro? Lo capirei se girando vedessi negozi affollati, ristoranti pieni, ma a parte il giovedì mattina di mercato, anche questo sempre più debole, Racconigi è una città fantasma e non apro nemmeno la parentesi, in questo caso ma lo farò magari, sul nulla che esiste per bambini e ragazzi. Allora direi che forse è arrivato il momento di far qualcosa, senza stare ad aspettare che cada sempre dall'alto, perché so che come me sono molti i Racconigesi che amano Racconigi e adesso è il momento di iniziare a prendercene cura. E come? Nello stes-

so modo in cui si inizia in una casa nuova, perché Racconigi ha bisogno di essere rinnovata, ma prima ancora di essere sistemata. Perciò si può iniziare a ripulirla, la primavera si avvicina, vi invito quindi ad unirci, in data che vi comunicherò, e partecipare alle "pulizie di primavera", insieme grandi e bambini, non solo per pulire, ma allo stesso tempo per insegnare a non sporcare e dare un chiaro messaggio a chi di dovere, che Racconigi la volontà ce la mette, ma è ora che davvero ci si occupi di questa città! Perché il viale per la stazione pieno di spazzatura, con cestini strabordanti perché non svuotati spesso, i giardinetti che ogni anno sono sempre più vecchi e malandati, il ghiaccio che ricopre metà piazza davanti al palazzo comunale, il manto stradale del centro ricoperto di feci di uccelli, tutto il degrado che questo insieme crea, che rende ancora più triste questa città che ha perso la sua luce, è ora che sparisca e lasci il posto a qualcosa di bello. E sono sicura che con un po' di buona volontà si possa fare qualcosa di bello, per questa città e per il suo futuro, città che forse più che nel presente vive in un passato lontano che però la sta facendo appassire.


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IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE In questo numero il “racconto fotografico” viene condensato in una unica pagina ed è un lamento per la desolazione racconigese. In prima pagina una giovane redattrice titola “ Racconigi è in letargo”. Non sono solo i vecchi che si lamentano. A febbraio abbiamo una prima pagina scritta tutta da giovani e non mi pare che abbiano tanto entusiasmo sul nostro presente, vicino o lontano dalla nostra città. Noi abbiamo sottolineato come Racconigi si presenta ad una perso-

insonnia

na che vuole visitarla, conoscerla o semplicemente viene a trovare un amico, un parente che abita in queste vie. A volte noi che scriviamo su insonnia proviamo un po’ di vergogna a far vedere ai forestieri il luogo dove viviamo; ora lo abbiamo fotografato nelle sue parti peggiori nella speranza che anche quelli che combinano questi guai e chi non pone rimedio ai disagi derivanti, si vergognino un po’ e modifichino i loro comportamenti.

WELCOME TO RACCONIGI


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LA BOLIVIA

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Perché non si sa mai abbastanza dei paesi lontani di Chiara Cosentino

Prima di partire per questa esperienza, già immaginavo più o meno come sarebbero stati i posti che avrei visitato e l’ambiente in cui mi sarei ritrovata a vivere. Ammetto di non essere partita a scatola chiusa, ma mai avrei creduto di potermi ritrovare in situazioni così coinvolgenti, imprevedibili, e di rendermi conto di quanto un viaggio o un’esperienza come la mia ti possano aiutare ad aprire non solo gli occhi, ma anche la mente e il cuore. Sembra banale scrivere queste cose perché ormai tutti consigliano di viaggiare e conoscere nuovi posti (si potrebbero citare tante frasi a riguardo), ma non posso fare a meno di sottolineare quanto questo sia vero. In realtà, sul momento, quando ti ritrovi totalmente immerso negli ambienti, nei posti e nelle persone, non riesci a capire realmente quello che sta succedendo intorno a te, ma ora, che sono nuovamente in casa mia e nel mio comodo letto, mi è più facile sedermi, pensare e fare un bilancio di questa esperienza. Mi rendo facilmente conto di ciò che ho visto e di ciò che ho fatto, soprattutto attraverso gli sguardi, a volte sbigottiti, di chi ascolta le mie mille avventure, anche se ci sono attimi in cui mi sembra quasi impossibile il fatto di essere stata laggiù. Se dovessi tirare le somme di questo viaggio, sicuramente direi che è stato positivo, istruttivo ma non solo per quanto riguarda la mia tesi di laurea (che, parliamoci chiaro, ho usato un po’ come scusa perché non potevo aspettare ancora per visitare quei posti), ma intendo dire che ho imparato cosa significa dover costantemente affrontare delle difficoltà che possono sembrare minime, ma che condizionano tutta la tua vita. Imprevisto è stata la parola chiave di questo viaggio. Ogni giorno ti alzavi e non avevi la certezza di poter trascorrere la giornata in modo normale: se sei in un villaggio isolato e un fulmine interrompe tutte le comunicazioni con la città più vicina,

devi essere tu a trovare il problema e a risolverlo. Ho trascorso tre mesi durante i quali, a parte le rivolte politiche, ho potuto viaggiare all’interno della Bolivia, ho visitato sì dei posti turistici, ma ho vissuto anche in villaggi sperduti tra le Ande così lontani dalla civiltà che solo per comprare un po’ di sale o cambiare una lampadina, bisognava fare sei ore in jeep e raggiungere così la città più vicina. Quando sei lì, a vivere come loro, forse rimani sperso la prima ora, dopodiché diventa tutto normale ma, non appena torni a casa, ti rendi conto che di normale non c’è nulla. Non è normale essere ai 4500 m di altitudine, al freddo, e non avere l’acqua calda; non è normale andare in giro per i paesi, le città e dover vedere bambini in mezzo alla strada costretti a venderti delle bottigliette di coca cola perché lì, il lavoro minorile, è legale; non è normale che allo stato non interessi nulla delle condizioni pietose in cui vivono i bambini, spesso maltrattati e abusati dai genitori; non è normale che dei bambini siano costretti a vivere per strada perché non hanno né una casa, né una famiglia; non è normale che gli stessi bambini vengano tolti dalla strada solo perché la polizia ha deciso di “ripulire la città”. Per fortuna esistono dei centri specializzati che riescono a seguire questi casi. A Santa Cruz ho avuto modo di passare una giornata nei centri del Progetto Don Bosco accompagnata da un volontario italiano che ormai vive lì da quasi 20 anni. Senza dubbio, credo sia stata una delle esperienze che non dimenticherò mai. È incredibile come in quei luoghi riescono a donare una famiglia a chi è rimasto solo e lo fanno con dei piccoli e semplici gesti cercando di assicurargli anche un futuro che fino a quel momento era rimasto incerto. Quello stesso giorno ho partecipato a una festa di compleanno di un ragazzino che compiva 15 anni e che non aveva mai festeggiato il proprio compleanno in tutta la sua vita. Per lui è stato un momento indimenticabile e, gli educa-

tori, sono riusciti a fargli vivere la festa dei suoi sogni con poche e semplici cose. Normalmente i ragazzi rimangono fino ai 15 anni perché poi non ci sono più strutture e spazi sufficienti per ospitarli tutti, quindi, ora, non posso fare a meno di chiedermi che fine abbia fatto questo povero ragazzo. Che sia riuscito a trovare un lavoro onesto? Che sia nuovamente finito a vivere per strada perché forse è l’unico posto a cui realmente sente di appartenere? Non lo so. So solo che non si finisce mai di imparare.

Torino, la città più inquinata d’Europa

Provette e mascherine

Comitati spontanei per invertire la rotta di Francesco Boggio, Legambiente Circolo Il Platano APS

La mascherina bianca. Se si pensa alle grandi metropoli asiatiche, da Tokyo a Pechino, una delle prime immagini che appaiono nella nostra immaginazione è quella di fiumi di passanti che affrontano la nebbia densa armati di tranquillità e mascherina bianca. Un oggetto che è divenuto rapidamente simbolo di progresso malsano e cieco, risvegliando in noi occidentali l’illusoria consapevolezza di non essere in una situazione altrettanto drastica. Sono immagini lontane, esotiche, che rientrano nell’enorme calderone di stereotipi negativi che, un po’ per difesa e un po’ per orgoglio, coltiviamo sul mondo asiatico, verso cui invece solitamente guardiamo con invidia e ammirazione. Purtroppo però le mascherine si moltiplicano anche da noi e non sempre la colpa è delle allergie. Se qualche tempo fa chi si avventurava per strada con bocca e naso protetti attirava sguardi curiosi, ora la reazione è diversa. È come incontrare un promemoria, un frontale con la realtà che ci ricorda che la distanza con la città più inquinata d’Europa è di

pochi chilometri. Un record che Torino, nel 2019, ha raggiunto insieme a Londra e Parigi, pagando la sfortunata posizione vicino alle montagne che ne schermano i venti e superando per 147 giorni (86 per il pm10 e 61 per l’ozono) i limiti previsti per le polveri sottili. Non è raro vedere in qualche telegiornale la notizia del triste primato del nostro capoluogo, che si aggiudica anche il traguardo di città italiana più inquinata del decennio, collezionando in totale 1086 giorni di sforamento dei limiti. Proprio in questi giorni è stato rilasciato da Legambiente il documento “Mal’Aria di città 2020”, un’indagine sulla qualità dell’aria nel nostro paese che evidenzia come non solo Torino sia in una situazione pericolosa. Per tentare di invertire la rotta in ogni città sono state attuate diverse manovre, dalle limitazioni del traffico agli incentivi, per cui è difficile fare un bilancio dell’efficacia. Il problema, che non è solo di carattere ambientale ma di salute, ha guadagnato grande esposizione mediatica e portato alla nascita

di comitati spontanei, con lo scopo di promuovere iniziative finalizzate a migliorare la qualità dell’aria mediante attività di informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini. Torino Respira, il più noto, collabora da tempo con Legambiente e il nostro circolo ha deciso di aiutare il comitato ad ampliare il suo raggio d’azione, posizionando 150 provette nei territori di Carignano e Carmagnola. Queste provette, acquistate grazie alla spontanea partecipazione di volontari, saranno poi analizzate e restituiranno un’analisi completa della qualità dell’aria della zona. Una risposta importante che ha genuinamente sorpreso il nostro circolo e il comitato, dimostrando che l’attenzione sull’argomento è tanta e la voglia di fare qualcosa è altrettanto elevata. La necessità di un urto con la realtà, di scoprire che un fenomeno lontano è un po’ meno lontano è un segnale importante. È dimostrazione di coraggio ed è bisogno di consapevolezza, i primi passi di ogni cambiamento.


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DIVENTA CAPOTRIBÙ E FA ANNULLARE 850 MATRIMONI di spose bambi-

ne, poi le rimanda a scuola

Gli eroi non indossano sempre un mantello e non sempre ricevono l'attenzione che meritano. Theresa Kachindamoto è una di loro di Anna Simonetti

Theresa è la più piccola di 12 figli e vive in un villaggio del Malawi. Quando è diventata capotribù, ha deciso di proibire i matrimoni infantili e di far tornare le ragazze tra i banchi di scuola. Il Malawi è uno dei paesi più poveri del mondo. Secondo un'indagine svolta nel 2012, più della metà della popolazione femminile si sposa prima dei 18 anni. Esistono numerose organizzazioni che cercano di dissuadere i genitori a far sposare le figlie così giovani, ma spesso, a causa della povertà, le famiglie credono di non avere altra scelta. Theresa non si sarebbe mai aspettata di essere eletta. Viveva in un'altra città, aveva molti fratelli e sorelle più grandi, e cinque figli di cui prendersi cura. Ma la sua reputazione positiva l'ha fatta vincere. Le hanno detto che avrebbe dovuto accettare il lavoro, 'volente o nolente', ricorda Theresa. Il matrimonio infantile è una pratica culturalmente accettata in quella regione e spesso si basa su for-

ti compensi economici. Anche se è stata dichiarata illegale nel 2015, molti genitori continuano a dare il consenso. Theresa era determinata a porre fine a tutto questo. Mentre viaggiava nella regione, ha incontrato una bambina di 12 anni con il marito e i figli. “Ho detto loro: che vi piaccia o no, questo matrimonio sarà annullato”. Theresa, a capo di un villaggio composto da più di 900mila persone, ha annullato 850 matrimoni di spose bambine, ha rimandato le ragazze a scuola e quando i genitori hanno iniziato a protestare, si è rifiutata di ascoltarli. Theresa ha stipulato un accordo insieme ad altri capitribù, abolendo i matrimoni tra adulti e bambini, e annullando quelli già esistenti; ha licenziato i leader di quattro posti in cui i matrimoni erano ancora praticati e sebbene abbia ricevuto diverse minacce di morte, Theresa afferma di non avere paura di niente: “Non mi importa. Dico che possiamo parlarne, ma

queste bambine devono tornare a scuola.” Theresa sta anche cercando un modo per sovvenzionare l'istruzione delle bambine quando i genitori non possono permetterselo perché “istruire le bambine, istruire l'intera regione...significa istruire il mondo.”

RACCONIGI STAZIONE DI RICARICA PER AUTO ELETTRICHE di Rodolfo Allasia

A Racconigi l’EGEA (il Gruppo che opera nella filiera dei servizi pubblici: luce, gas, ecc.) ha installato una colonnina con due attacchi per la ricarica delle auto elettriche. Si trova all’ingresso/piazzale di via Felice Govean, di fronte a Casa Arese. La colonnina non è ancora attiva perché si attende che la società EGEA effettui l’allacciamento alla centralina di distribuzione dell’elettricità che si trova vicino al Ristorante Mosè; l’attraversamento della strada Provinciale potrà avvenire all’inizio della primavera del 2020. Quando sarà attiva la distribuzione alle auto a fianco della colonnina sarà collocato un segnale stradale che indicherà i due parcheggi destinati alla ricarica delle batterie delle auto elettriche; fino ad allora i tre parcheggi presenti continueranno ad essere liberi per le normali auto. La gestione economica del servizio di ricarica è stato appal-

tato alla Associazione Le Terre dei Savoia. Il Comune aveva votato una delibera che autorizzava l’EGEA a svolgere i lavori di installazione della colonnina; nessun costo ha gravato sul bilancio della Amministrazione Comunale Racconigese. Questo fatto vogliamo interpretarlo come un passo nella direzione dell’abbattimento di un inquinamento dell’aria che sta diventando sempre più pericoloso. Vista la scarsa distribuzione di queste colonnine dovremo aspettarci l’arrivo di molti utenti del servizio provenienti da una vasta area piemontese, qui a Racconigi le persone dotate di auto elettrica crediamo siano ben poche. I forestieri però non si aspettino che nell’attesa della ricarica possano visitare il parco del castello Savoia perché questo non è così sfolgorante come la neonata stazione elettrica.

SUCCEDE A BRA Lo si trova nelle vie del centro e si presenta come un cartello pubblicitario (v. foto). È intestato “Città di Bra” e offre la possibilità di conferire nelle fessure in alto (v. particolare, da sin a dx): pile usate, compact disc, copertine cd, tappi sughero, tappi plastica, lampadine, lampade. Un modo pulito e pratico per differenziare anche questi oggetti.


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Mandacarù : Commercio Equo e Solidale

VUOI CAMBIARE IL MONDO? COMINCIA CON UN CAFFÈ di Chiara Reviglio

Con questo slogan diffuso in tutte le Botteghe del Mondo negli anni Novanta il Commercio Equo poneva al centro della sua comunicazione il prodotto principe: il caffè. Tra i tanti marchi di produttori oggi parliamo di Uciri, un vero e proprio mito del Commercio Equo e Solidale. Il suo fondatore Francisco van der Hoff, teologo ed economista olandese, viene spesso definito il padre del fair trade. Il successo di UCIRI è stata una tappa fondamentale, un simbolo dell’efficacia di questa concezione alternativa del commercio internazionale. Francisco van der Hoff spiega la situazione in cui nasce UCIRI, nelle zone montagnose dello stato messicano di Oaxaca: “La mappa della povertà coincide in Messico con la mappa della coltivazione del caffè, con la mappa della resistenza e delle proteste campesine nel paese”. Secondo la tradizione indigena di cui sono portatori i soci di UCIRI la terra non è un’entità estranea da sfruttare il più possibile, ma una “Pacha Mama”, una Madre Terra da rispettare perché da essa dipende la nostra sopravvivenza e quella delle generazioni future. Come molte comunità indios, i soci di UCIRI non concepiscono la proprietà privata, per cui la terra viene ripartita fra gli abitanti del villaggio ogni anno a seconda delle necessità. Una visione di questo genere è totalmente incompatibile con un tipo di coltivazione che faccia uso di pesticidi, erbicidi o fertilizzanti chimici e la produzione di caffè di UCIRI è totalmente biologica. Accorciare la filiera ed evitare che i campesinos vendano ai coyotes - gli intermediari - sono da sempre tra gli obbiettivi di UCIRI. Il caffè di alta montagna è di qualità pregiata e negli ultimi anni i coyotes sono sempre più aggressivi, promettendo di pagare un prezzo più alto. UCIRI mostra ai propri soci tutti i calcoli che hanno portato l’organizzazione a stabilire il prezzo del caffè che rimane stabile per una

stagione. Alla fine del raccolto i contadini vedono che UCIRI ha pagato il miglior prezzo, anche perché i coyotes speculano molto e cambiano il prezzo spesso durante il periodo della raccolta. Rimane fondamentale il lavoro di coscientizzazione, per fare capire ai campesinos che non si tratta solo della vendita del prodotto, ma che il fatto di essere organizzati significa poter promuovere programmi di sviluppo locale, mantenere il proprio stile di vita ed essere riconosciuti in politica e in economia.

Nella zona di Uciri, il caffè biologico si produce a un’altezza compresa tra i 1600 e i 1800 metri, in cafetales con coltivazione ad ombra cioè le piante di caffè sono miste al sottobosco. La regolazione dell’ombra garantisce la qualità delle ciliegie di caffè; se l’ombra è poca, la temperatura è troppo elevata e si sviluppano le malattie tipiche delle piante di caffè. Se invece è troppa, la pianta dà pochi frutti. I campesinos devono tagliare le piante con sapienza in modo da garantire la “giusta” ombra. Questa come molte fasi della lavorazione del caffè richiedono un duro lavoro. Il lavoro di raccolta è totalmente

manuale e richiede molto tempo. I cafetales sono inclinati, lontani dalla casa del produttore, che deve usare un asino per trasportare il caffè raccolto e fare diversi viaggi di qualche chilometro su terreni scoscesi. Le ciliegie di caffè vanno selezionate subito per dividere il caffè verde da destinare al consumo domestico o al mercato nazionale da quello maturo da spolpare e lavare per la produzione di caffè oro per esportazione. “Stiamo pagando il prezzo del cambiamento climatico, noi non siamo i principali colpevoli di questo disastro naturale, causato in gran parte dai paesi industrializzati, grandi emissori di gas nefasti" scrisse già nel 2010 Francisco van der Hoff. Purtroppo il Messico ha subito numerosi danni e negli ultimi anni alluvioni, uragani violenti e gelate non sono una rarità. Il terremoto del 2017 ha lasciato oltre 500 soci produttori di UCIRI senza casa e una scuola elementare è stata distrutta. Nel 2010 Uciri attraversò un altro periodo molto difficile, a causa dell'invecchiamento delle piante di caffè che davano una bassissima redditività. Altromercato decise di organizzare la raccolta fondi Nuove radici per Uciri. Grazie alla solidarietà dei consumatori italiani sono stati raccolti circa 15mila euro, che hanno permesso ai soci di Uciri di acquistare piante più giovani e forti e aumentare la produttività dei cafetales. L’emigrazione rimane un problema, e sono soprattutto i giovani, i figli dei soci anziani, ad andarsene verso città messicane a vocazione turistica o negli Stati Uniti. Per preservare la cultura indigena anche tra i giovani, UCIRI sta promuovendo un servizio di piccoli prestiti agevolati ai soci gestito dalla cooperativa di risparmio e credito, la Esperanza Indigena Zapoteca. Un altro progetto di particolare rilevanza è l’avvio di esperienze di ecoturismo, per avvicinarsi ai popoli della selva e trascorrere la giornata-tipo di un campesino. Mungere le vacche al mattino, raccogliere il caffè a mano, selezionarlo, “despulparlo” con la macchina a manovella, tostarlo e macinarlo prima di poterlo finalmente bere. Un modo unico per assaporare l'aroma del caffè e conoscere i soci di UCIRI, persone e comunità che da oltre trent’anni lottano con dignità per un futuro migliore e più giusto, per tutti. Il caffè Uciri si trova in vendita al Mandacarù nel pacchetto da 250 g al prezzo di 5 euro.

USARE LE MANI di Grazia Liprandi

Oh non ridete cari lettori! È proprio così, bisogna tornare ad usare le mani con i nostri bambini. Per tutto! E se occorre, in casi estremi, anche sul culetto, ma una volta sola! Comunque non sono qui per suggerire punizioni corporali, giammai, ma per ricordarvi che avete le mani: usatele! E insegnate ai bimbi ad usarle. Le mani attivano la mente, sviluppano l’intelligenza, l’intuizione e l’organizzazione e tante

altre cose, quindi ... spegnete la tv, anche se non vi ricordate più come si fa perché ce l’avete sempre accesa, ma trovare il modo di spengerla (potreste sempre staccare il cavo e l’antenna e ritirarla per un po’ in cantina per vedere l’effetto che fa!). Quindi preparatevi a vivere un momento di manualità coi vostri bimbi mettendoci tanta enfasi come fosse una festa di compleanno. Guardate che avete mille chance per vivere questa esperienza! Vi ricordate la vostra nonna che lavorava ai ferri? O preferivate l’uncinetto? Usate lana grossa per cominciare sennò vi perdete d’animo. Non vi ricordate più? Tranquilli, su YouTube ci sono tutti i tutorial che vi occorrono! Se vi piace impastare, perfetto:

fate un impasto d’acqua e farina col sale e preparare la pasta da modellare e poi dipingere con i piccoli: è a costo zero e piace sempre! Se siete dei buoni a nulla manualmente parlando, non c’è problema: potete procurarvi semplicemente 300 pezzetti di legno tutti uguali (ad es. 10 cm x 2 alto 1) chiedete a un falegname o a un fai da te un semplice listello tagliato in tante parti.. e giocate coi bambini a chi riesce a fare la torre più alta. Ho detto listelli di legno, non Lego che hanno incastri sennò è troppo facile! Mettere 2 pezzi di legno paralleli in orizzontale e altri 2 sopra in verticale in modo da formare un quadrato e continuate così col vostro bambino con minuzia e concentrazione fino a quando la vostra torre sarà

così alta che ... crollerà! A quel punto accogliete il crollo con un “Ohhh!!!” seguito da un grande e bell’applauso. Potete approfittare di questo meraviglioso momento di “distruzione” per insegnare alla vostra creatura che così è la vita, che tutto passa, è normale, si chiama impermanenza e capita a ogni cosa su questo Pianeta, alla natura come agli oggetti (basta guardare le foglie degli alberi per capirlo o i ponti delle autostrade, ma questo secondo esempio non diteglielo ancora sennò non vorrà più andare in auto), perché la vita è una spirale dove vita e morte giocano alla staffetta, ma la bellezza di un momento vissuto insieme a fare pasticci con le mani, non ha prezzo e resta nel cuore, eternamente.


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DIECI MINUTI CON LA BELLEZZA : Ugo Giletta

Febbraio 2020

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di Rodolfo Allasia

Sono solito leggere ogni venerdì sul supplemento settimanale di Repubblica la rubrica “Ora d’arte” a cura di Tomaso Montanari. Lo consiglio perché io mi sento arricchito dopo questa lettura. Senza alcuna presunzione di saper tenere una rubrica di questo tipo, vorrei, se non tutti i mesi, presentare alcune opere d’arte o artisti utilizzando un approccio simile. Ho pensato di intitolare questa serie di scritti “Dieci minuti con la bellezza” un po’ per parodia al titolo del Venerdì di Repubblica sia perché spero che il tempo massimo per la lettura di questi articoli non superi mai i 10 minuti suddetti e che in questo tempo ci si senta accompagnati alla bellezza. In questo primo appuntamento voglio presentare un artista che per una serie di motivi mi sembra adatto allo scopo che mi sono prefissato: primo perché è un mio caro amico, secondo perché segue un percorso artistico di grande interesse, terzo perché ha esposto le sue opere nell’ex Manicomio di Racconigi nel maggio 2011. Il suo nome è Ugo Giletta ed è nato a S. Firmino di Revello nel 1957; il resto cercherò di farvelo conoscere qui.

Ugo disegna, dipinge, poi crea sculture e realizza video, ha iniziato come autodidatta poi sono seguite le collaborazioni con altri artisti (tra i quali anche Nico Orengo e Alda Merini) e ricerche individuali con viaggi studio in Europa e negli Stati Uniti. Il suo percorso segue pulsioni vere ed originali. Qui a Racconigi per questa mostra, che credo abbia stretto il cuore a tutti coloro che l’hanno visitata, ebbe l’autorizzazione dalla Provincia di Cuneo ad allestire ed esporre le proprie opere in quello spazio ormai vuoto (ed oggi inesorabilmente chiuso) che fu ambiente di sofferenza per molta umanità e per tanti anni. Giletta “sfruttò” questo spazio come nessun altro ha mai saputo fare se non in altre arti come Cantoregi con i propri spettacoli teatrali. La mostra, curata da Lòrànd Egyi (uno dei più influenti curatori e storici dell’arte in Europa), occupava tre padiglioni: il Tamburini, il Marro ed il Morselli; venne preso possesso dell’ambiente quasi senza apportarvi modifiche, anzi facendosi supportare dalla situazione di completo abbandono e disprezzo da parte di coloro che nel frattempo lo avevano deturpato a più riprese. Vennero inseriti in questi spazi, suoni, filmati, fotografie ma soprattutto le figure di Giletta, minime dipinte ad acquerello, volti anonimi ma espressivi di una condizione mutilata di personalità e di storia. Quando mille volti sono ridotti a “macchia” non hanno perduto tutto, anzi, tutti insieme hanno acquisito un significato globale, cosmico, silenzioso, bianco. Il bel catalogo di quella mostra fortunatamente resterà a segnarne l’avvenuta presentazione. Il Neuro sparirà, io credo, e tra quei volti spenti, visibili nel catalogo, potremo provare ad immaginare anche le fattezze dei responsabili di questa sparizione; i responsabili mescolati alle vittime della antica istituzione del Manicomio. Questo è quanto mi emoziona di questa mostra/ allestimento che Ugo Giletta ha voluto regalare a Racconigi. Lui però ha ben altre mostre personali nel suo curriculum tanto che elencarne la fitta attività espositiva per il nostro giornale sarebbe un problema di spazi, per questo rimando i lettori interessati a https:// it.m.wikipedia.org/wiki/Ugo_Giletta. Per gli altri basti dire che dal 1987 con una personale a Casa Cavassa di Saluzzo ad oggi ha esposto in una bella fetta di mondo, dall’Europa all’Asia e che le sue opere sono state acquisite da importanti musei ed inserite nelle loro collezioni permanenti. Questo significa che Giletta è un serio ed apprezzato professionista; ma è per il suo approccio all’arte

che a me interessa farvelo conoscere. La sua opera, con qualunque tecnica si presenti, contiene in sé una inquietudine che ha come centro le domande che ci poniamo sull’esistenza, la sua ricerca nel tempo lo ha portato ad una semplificazione dell’agire scegliendo una gamma di materiali, toni, colori e forme che senza togliere nulla alla espressività del risultato ha fatto di lui un poeta dell’immagine. Il lavoro di Ugo non lo ha fatto diventare un personaggio distaccato. Spesso la gente pensa che un artista sia una persona che vive una vita incomprensibile ai più, chissà perché ci portiamo ancora dentro una immagine dell’artista piuttosto stereotipata, quella dei tempi della boheme parigina, certo, alcuni ancora si presentano così ma non è il caso di Giletta. Quando ti incontri con lui puoi parlare di cose di tutti i giorni, del nostro mondo scardinato, delle emozioni, è chiaro però che un vero artista filtra tutto ciò attraverso un setaccio emotivo/mentale dal quale ne escono immagini, forme che sono proprie, originali perché proprie. Ed il risultato formale di questo personaggio ha acceso il mio apprezzamento da sempre ed ora vorrei, anche con questo articolo, conoscerlo ancora meglio e farlo conoscere ad altri; se ho invogliato qualcuno ad andare a vedere quando presenterà una mostra vicino a noi (quella che inaugurerà ad aprile a Singapore la lasciamo vedere a coloro che hanno tempo per conoscere quel mondo) e mettersi di fronte ad un suo acquerello degli ultimi tempi, interrogarsi ed andarsene arricchito, io mi sentirei di aver svolto il compito che mi sono dato.

A.M.A - Punto Alzheimer di Carmagnola

La 5a Cena di Solidarietà in memoria di Micky Spina consente la continuità delle attività promosse sul territorio Il Punto Alzheimer dì Carmagnola sta predisponendo il programma delle attività per i prossimi anni. Per l’anno 2020 verranno confermate le attività svolte nel 2019 alle quali si affiancherà un “Gruppo di prevenzione”, condotto dalla psicoterapeuta Adriana Ricci Horta, rivolto ai cittadini che intendono mantenere in allenamento la memoria. Lo psicoterapeuta dott. Stefanelli inizierà gli incontri di sostegno dedicati ai famigliari di persone malate, al fine di offrire un valido supporto al loro lavoro di cura. La Palestra cognitiva, rivolta a persone che già hanno alcune difficoltà cognitive, continuerà gli incontri il martedì mattina e il giovedì pomeriggio presso i locali di Via

Cavalli 6. L’avvio del Gruppo di prevenzione e del Gruppo di sostegno ai famigliari, nonché la prosecuzione della Palestra cognitiva sono possibili grazie al ricavato della 5a Cena di Solidarietà dello scorso 5 dicembre (donazione di euro 62.000, divisa in parti eguali tra Punto Alzheimer di Carmagnola e Fondazione Piemontese per la ricerca sul Cancro Onlus) alla riuscita della quale hanno contribuito i numerosi partecipanti ed i generosi sponsors con donazioni liberali, con prodotti alimentari e con il proprio lavoro. A tutti loro, ancora una volta, il Punto Alzheimer di Carmagnola, esprime la propria profonda gratitudine.

Proseguiranno anche nei prossimi mesi gli incontri del Caffè Alzheimer che il penultimo sabato di ogni mese, presso Icona’ della Parrocchia S.S. Pietro e Paolo, propone interessanti incontri con medici, psicologi, fisioterapisti, che trattano diverse tematiche legate alla malattia e al lavoro di cura. Sabato 22 febbraio p.v. argomento del Caffè sarà: “la terapia occupazionale – come affrontare le attività della vita quotidiana”, con la presenza delle dott.sse Alice Labate e Federica Giordano, terapiste occupazionali. Si ricorda che il Caffè Alzheimer è aperto a tutti: a coloro che sono coinvolti in famiglia da tale malattia, ma anche a cittadini interessati agli argomenti trattati.


insonnia

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KARMADONNE

Carmagnola: l’associazione interculturale Karmadonne si presenta CHI SIAMO “Siamo un gruppo di donne che amano sognare“ così mi piace sintetizzare la nostra esperienza. Perché di esperienza si tratta questo avanzare ogni giorno e vivere un laboratorio di cittadinanza che parte dal basso e che porta le istanze, le idee, i progetti e la forza di tante donne native e migranti che per caso si sono incontrate su un sogno comune: mettere insieme le differenze, fonderle e dar vita a qualcosa di assolutamente nuovo. Così nasce karmadonne. Karmadonne nasce dall'amicizia tra cittadine italiane e nuove cittadine provenienti da America Latina, Africa, Asia. È un laboratorio al femminile di cittadinanza dal basso, partecipata e democratica per disegnare una nuova società plurale e solidale. Partendo dai bisogni del territorio, gestisce: un housing sociale; la mensa popolare e distribuzione alimenti; corsi (aiuto compiti, cucito, cucina); corsi di italiano per stranieri; eventi di aggregazione e divulgazione culturale. L’associazione karmadonne è promotrice sul territorio di azioni di educazione contro le discriminazioni di genere, di razza, di status sociale. Promuove la lotta alla povertà materiale e culturale attraverso azioni concrete di contrasto, eventi culturali, corsi e laboratori sempre attivi e aperti a tutti. È sul territorio un punto di riferimento ormai consolidato, catalizzatore delle istanze delle categorie più deboli. Offre gratuitamente sportelli di consulenza infermieristica, legale, psicologica. È uno sportello sociale "naturale" a cui le persone, immigrate e non, si rivolgono per avere supporto per la ricerca della casa,

per denunciare situazioni di discriminazione, povertà, ingiustizia. Fa parte della rete del nodo territoriale metropolitano di Torino contro le discriminazioni. Per il raggiungimento degli obiettivi di inclusione e sostegno collabora con i servizi sociali, con le scuole, con le parrocchie e le altre realtà associative. Di seguito il dettaglio delle azioni e gli obiettivi: l'housing sociale, ospita donne e bambini per far fronte all'emergenza abitativa; l'accoglienza straordinaria per richiedenti asilo, in risposta all'emergenza sbarchi; la mensa popolare e la distribuzione alimenti, recuperati dai supermercati locali, per contrastare la povertà, favorire la socializzazione e promuovere la lotta allo spreco alimentare; i laboratori e corsi per aiutare le donne nella gestione della vita domestica e dei figli (aiuto compiti, cucito, cucina); i laboratori di benessere ed estetica; i corsi di italiano per stranieri, gratuiti e a libero accesso; gli eventi di aggregazione e divulgazione culturale, per promuovere la cultura dell'accoglienza e dell'integrazione sul territorio, contrastare l'ignoranza e la povertà culturale spesso causa di discriminazioni e razzismo, per costruire una società moderna, aperta, multiculturale.

Contatti

CASA FRISCO: via savonarola 2, 10022 Carmagnola (TO) Telefono CASA FRISCO: 011 2638095 Cellulare: 3939096878 e mail: karmadonne.carmagnola@gmail.com facebook :associazione karmadonne-carmagnola facebook: casa frisco - facebook: mensa popolare di casa frisco

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RACCONTAMI...

insonnia

Viaggiare. Andare o fluire? Riflessioni sul senso del viaggio di Grazia Liprandi

Luang Prabang, 5 del mattino. Camminiamo frettolosamente attraversando il quartiere dove sta il nostro albergo per raggiungere la strada principale prima che giungano i monaci per la questua. Abbiamo zainetti in spalla e la Loney Planet sotto il braccio. Amiamo viaggiare assaporando modi diversi di vivere e detestiamo le vacanze hall inclusive.

Siamo giunti fin qui in Laos per partecipare a una cerimonia unica nel suo genere: l’offerta mattutina che la gente fa ai monaci buddisti prima dell’alba quand’essi sfilano con le loro ceste. Chissà che emozione! Svoltando nella via principale la strada è bloccata da una transenna. Una donna ci viene incontro con cestini di vimini ancora caldi di riso bollito da offrire. Ne acquisto subito uno e lei mi sorride proponendomene due. Ok, dai, siamo qui per questo, non lesiniamo. Pago e m’incammino, ma lei mi blocca e mi indica 2 seggiolini da asilo liberisistemati accanto ad altri sul bordo del marciapiede. Le faccio segno che non mi interessa fermarmi, ma mi guarda stupita. Faccio qualche passo e un’altra donna mi stoppa riportandomi agli sgabellini. Mi accorgo solo ora della lunghissima fila di questi disposti ordinatamente per tutto il corso! Piano piano arrivano i turisti da ogni dove. Le donne hanno tutto pronto, un business di offerte da vendere a chi vuol provare, come me, l’ebrezza di immergersi in questa cerimonia. Sono delusa, troppa gente, mi pare un mercato delle offerte e non ne sento l’autenticità ... che sciocca, penso sempre d’esser l’unica privilegiata che vuol sperimentare l'autenticità dei luoghi,

peccato che le guide della Loney siano lette da mezzo mondo! Così taccio e mi siedo. Accanto a me c’è una ragazza cinese che mi sorride affettuosamente. Siamo due straniere che condividono un attimo di intesa. Provo ad aprire il cesto che ho comprato: il riso è compatto, appiccicato come quando cuoce a vapore ed emana un profumo intenso di basmati. Quando provo con un cucchiaio a dividerlo un po’, la mia vicina mi spiega con gesti delicati che mi conviene fare delle palline con le mani, piccole bolle di riso. Oh per carità - penso io - e l’igiene? Se tocco questo cibo con le mie mani non proprio pulite, poveri monaci, e poi una pallina di riso che offerta è? Non potranno di certo sfamarsi con così poco!! Così sorrido e faccio finta di nulla, intanto continuo a dividere il contenuto del cestino col cucchiaio pensando che questi cinesi sono proprio poco generosi se donano con così tanta parsimonia. Lei mi guarda con affetto continuando a

sorridere. Intanto i monaci avanzano sempre più vicini, ce ne sono 8. Faccio un calcolo velocissimo della quantità di cibo del mio contenitore, diviso in 8 grosse e abbondanti dosi. Sì, così va fatto - penso - e inforco la prima cucchiaiata che deposito nella sporta del primo questuante. Proseguo col secondo, faticosamente perché il riso si appiccica e i monaci sono veloci, ma ce la faccio. Con la coda dell’occhio osservo la mia vicina che muovendo veloce le dita prepara e consegna piccole palline di riso, troppo scarse; intanto io orgogliosamente consegno il cucchiaione finale all’ultimo questuante: ce l’ho fatta! Non ne ho

avanzato neppure un chicco! Mi alzo soddisfatta, ho fatto tutto! La mia amica cinese mi guarda un po’ perplessa e poi mi sorride come per salutarmi, ma se ne sta lì seduta a preparare altre palline... ma che se ne farà? Io raggiungo i miei amici che più o meno come me hanno terminato e mentre ci appropinquiamo per andarcene, ecco altri monaci, questa volta di numero doppio e molto più giovani, una decina di essi sono bambini! Cavolo! Non ho più riso! Mi accorgo d’esser stata troppo impulsiva, se tutti han fatto come me, i primi monaci hanno la sporta straripante mentre gli ultimi, giovanissimi e quindi ancor più affamati non avranno quasi nulla! Mi incammino verso il mio sgabellino di prima che intanto è stato occupato da altri turisti. Accanto a loro c’è sempre la mia amica cinese che riempie le ceste dei più piccoli con le stesse palline di riso, ma aggiunge biscotti o caramelle colorate che ha portato con sé. Se solo avessi capito prima!!! Oggi ho avuto un’importante lezione! Assaporare il viaggio è spesso bramo-

sia di provare tante e troppe esperienze, ma ora comprendo che si viaggia davvero solo fermandosi ad osservare, entrando nel ritmo del paese che si visita ed è questo l’ostacolo più grande per noi occidentali che bruciamo tutto in fretta, cibo, km ed esperienze, scattando milioni di foto ad angoli del mondo da gustare poi a casa, perché in viaggio li abbiamo solo intravisti ad alta velocità. Dopo alcuni giorni giungiamo al confine tra Laos e Vietnam, in un villaggio senza alcuna attrazione turistica. Sono le 6, 30 del mattino quando ci rechiamo alla corriera che ci porterà a Dien Bie Phu. Un gruppo sparuto di donne vestite elegantemente nei loro abiti tipici si fermano accanto a me e srotolano una stuoia sulla quale si inginocchiano. Hanno contenitori di vimini con riso cotto e altre delizie. Mentre le osservo e decido di fotografarle, giungono i monaci, una dozzina, grandi e piccoli, ma tutti giovanissimi. Ricevono le offerte di queste poche donne, nessun turista, e proseguono fermandosi proprio davanti a me. Li guardo smarrita, non ho nulla da offrire! Loro ricambiano lo sguardo e sorridono anzi ridono del mio imbarazzo. Resto immobile mentre il più vecchio di loro intona il primo mantra. La litania è una benedizione rivolta alle persone presenti; io sono di fronte a loro come un Buddha smarrito. I mantra si susseguono, poi i monaci si inchinano e proseguono il loro peregrinare. Così io, senza offerte nè intenzioni, sento d’essere stata avvolta da un flusso magico, diverso da quello di Luang Prabang ormai a misura di turista. Comprendo che questo è il vero viaggio: entrare nel flusso di un paese con i suoi ritmi così diversi, a volte estremamente lenti e incomprensibilmente pacifici, assaporando l’imprevisto che ti porta per un attimo fuori del tuo tempo e delle sue fissazioni, sospeso e immerso in un altra dimensione. Perché viaggiare non è solo andare, ma è fluire in altri paradigmi.


insonnia

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SOLARE COLLETTIVO ONLUS

“passapORTO.bio”

Il quinto “viaggio” per la coltivazione di un ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE Dopo il successo dell’esperienza degli scorsi anni, Solare Collettivo Onlus organizza il quinto “viaggio” per la coltivazione di un ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE. Un’opportunità, a disposizione di tutti gli appassionati dell’orto, per incontrarci e condividere dubbi, conoscenze ed esperienze per scoprire tutti i segreti di una coltivazione biologica e permettere quindi di ottenere un orto eccellente, salutare e sostenibile riducendo/ eliminando l'utilizzo di pesticidi e concimi chimici, dannosi, come ben sappiamo, per il futuro del pianeta e per la nostra stessa salute. Il corso, con il patrocinio del Comune di Racconigi, si terrà presso il Centro di Aggregazione Giovanile ex G.I.L. in via Divisione Alpina Cuneense n.20. SONO PREVISTI QUATTRO INCONTRI E UNA USCITA SUL TERRITORIO: 1° INCONTRO – Giovedì 5 Marzo 2019 ore 20.30-22.30 AGRICOLTURA INDIGENA: Antiche e moderne visioni agricole per andare oltre il biologico

Cin

Cinema PARASITE

di Cecilia Siccardi

Kim Ki-woo è un giovane sudcoreano che vive insieme a padre, madre e sorella in un buio e sudicio seminterrato. Il sostentamento principale della

Lib

Libri di Michela Umbaca

“Da qualche parte, sbucando dall'ombra, mi è sembrato di veder apparire i lineamenti del malefico viso del Conte, il naso affilato, gli occhi iniettati di sangue, le labbra rosse, l'orribile pallore.”

Relatore: Stefano Vegetabile responsabile del progetto agricolo de “L’ecovillaggio La Casa Rotta” 2° INCONTRO Giovedì 12 Marzo 2019 - ore 20.30-22.30 LA VISIONE DELL’ORTO NELLA POPOLAZIONE MAYA Biodiversità e condivisione Relatrice: Dulce Maria Chan Cab orto collettivo “La Milpa” 3° INCONTRO Gioveedì 19 Marzo 2019 - ore 20.30-22.30 L’AGRICOLTURA BIOLOGICA NELL’ORTO E NEL FRUTTETO Fertilizzazione organica (come fare un ottimo compost), consociazioni, rotazioni e alternanze Relatrice: Gemma Tavella, esperta in agricoltura biologica, presidente “Terra Sana Piemonte” 4° INCONTRO Giovedì 26 Marzo 2019 - ore 20.30-22.30 LA DIFESA DELLE PIANTE CON PRODOT-

TI NATURALI, SENZA USO DI PESTICIDI CHIMICI: L’utilizzo di preparati vegetali, metodi e strategie naturali nella difesa delle piante Relatore: Eden Ferrari, esperto fitopatologo e fitopreparatore di estratti vegetali per le piante. USCITA SUL TERRITORIO Un Sabato di fine Aprile inizio Maggio visita all’Azienda Agrobiologica “La Praglia” ad Avigliana Ai partecipanti sarà richiesto un contributo di 20 euro comprensivo di iscrizione all’Associazione e contributo per gli incontri e le uscite/ esercitazioni. Informazioni e iscrizioni Anna Maria cell. 348 2820151 e-mail : presidente@solarecollettivo.it

famiglia viene dal sussidio di disoccupazione: nessuno di loro ha infatti un lavoro stabile, e i quattro cercano di barcamenarsi con lavori temporanei, malpagati e precari, lottando per arrivare a fine mese. Un giorno Min-hyuk, amico di Ki-woo, gli annuncia di stare per partire per andare a frequentare un anno di università all’estero; essendo a conoscenza della condizione economica dei Kim, regala loro una pietra, talismano di prosperità e ricchezza, e propone a Ki-woo di prendere il suo posto come insegnante di inglese a Dahye, figlia adolescente della ricca famiglia Park. Per essere assunto, Ki-woo si finge studente universitario e, ottenuto il posto, riesce con una fitta rete di bugie e stratagemmi a far assumere prima la sorella, poi il padre e infine la madre come dipendenti nella splendida villa dei Park. Tuttavia, l’apparente fortuna

dei Kim, basata su finzioni e menzogne, verrà presto rovesciata, con esiti del tutto imprevedibili. Parasite è un film del 2019 di Bong Joon-ho, ed è indubbiamente uno dei titoli dell’anno. A maggio 2019 ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, e a gennaio 2020 il premio come Miglior Film Straniero ai Golden Globes. Con 6 nomination, fra cui quella nelle categorie Miglior Film, Miglior Film Straniero e Miglior Regia, è anche uno dei film più quotati agli Oscar 2020. Parasite affronta infatti temi di grandissima attualità – la lotta contro la povertà nel mondo globalizzato, la precarietà del lavoro, il divario e lo snobismo fra ceti diversi, la guerra fra poveri – in modo mai banale né scontato, passando da toni da commedia nera a dramma sociale, dalle risate al sentimentalismo, con una trama vorticosa in cui i colpi

di scena si susseguono in maniera sorprendente e inaspettata. Assolutamente da vedere.

Con l’esordio su Netflix della miniserie “Dracula” ideata da Mark Gatless e Steven Moffat, il riferimento al romanzo di Bram Stoker è pressoché immediato. Pubblicato nel 1897, Dracula, rappresenta l’ultimo vero grande romanzo gotico. L’ispirazione di Stoker, infatti, inizia a prendere forma sette anni prima, proprio con l’incontro con il professore ungherese Arminius Vambéry, che gli aveva raccontato l’affascinante leggenda di Dracula, ovvero Vlad III, principe di Valacchia, vissuto nel XV secolo. Personaggio ricordato per essere stato particolarmente sanguinario: più volte guidò violenti attacchi alle città della Transilvania, serbando ai suoi nemici terribili supplizi. Il Dracula di Stoker è un romanzo scritto sotto forma di raccolta di lettere, articoli e brani dei diari dei protagonisti. Una vera e propria inchiesta giornalistica, in cui vengono raccon-

tate le vicende del giovane avvocato Johathan Harker, che deve recarsi in Transilvania per curare l’acquisto di un’abitazione londinese da parte di un anziano nobile del posto. In un crescendo di tensione e terrore, l’avvocato giungerà a scoprire il terribile segreto dell’uomo: il Conte Dracula è un vampiro che si nutre di sangue umano. In questa terra arcana e misteriosa, Bram Stoker ambienta il suo straordinario racconto, dedicato all’angosciante figura del vampiro, diffusa nel folklore di tutto il mondo, dando vita ad un’opera dalle tinte cupe e misteriose, in cui il terrore la

fa da padrone, incalzando i protagonisti dalla prima all’ultima pagina.

Bram Stoker “Dracula” 2013, pp. 444, € 7,90 Crescere Edizioni


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Mus

Musica Campbell, Isobel THERE IS NO OTHER di Giuseppe Cavaglieri

Dopo una lunga e prolungata assenza dalle scene musicali, Isobel Campbell è pronta a tornare con “There Is No Other”, il nuovo album di studio in arrivo su etichetta Cooking Vinyl.

Tredici nuovi brani delicati ed appassionanti, travolgenti e misteriosi come solo una grande artista come Isobel Campell è in grado di comporre, guidati dalla sua inconfondibile voce. L’album mostra la Campbell in ottima forma, scintillante nonostante il lungo periodo di silenzio passato tra viaggi e collaborazioni. Membro fondatore dei Belle & Sebastian, band istituzione nel panorama indie-rock, Isobel Campbell intraprende la strada solista nel 1999 con il nome di The Gentle Waves, con il quale pubblica due album dream-folk, ai quali fanno seguito altri due dischi, pubblicati con il proprio nome. “There Is No Other” arriva a quattordici anni di distanza dall’ultimo lavoro solista. Nel mentre, numerose collaborazioni tra cui quelle con Mark Lanegan, il matrimonio con il produttore Chris Szczech, il trasferimento da Glasgow a Los Angeles e, last but not least, la firma

con un’etichetta che ha poi chiuso, facendole perdere anni di lavoro. «Sembrava fossi andata in pensione o in prigione. Sentirmi dire che non potevo pubblicare un album mi ha completamente distrutto e ho iniziato a mettere in dubbio tutto, isolandomi da tutti. Ma se sei fortunato da vivere abbastanza a lungo, ci saranno sempre alti e bassi» afferma l’artista. Poi arriva la firma con Cooking Vinyl ed è la volta di “There Is No Other”. Il titolo si ispira ad un antico saluto Maya, un omaggio alle nuove pratiche meditative intraprese dalla Campbell per ridurre lo stress. Il disco attraversa svariate sfumature sonore, dalla bossa nova a beat elettronici, dal country al dream-folk, un inno alla sua rinnovata capacità di comporre otti-

insonnia

mi brani, in una nuova atmosfera di pace e serenità interiore. “There Is No Other” è stato registrato e prodotto a Los Angeles da Isobel Campbell e Chris Szczech.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Michela Umbaca, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Ad oggi siamo il terzo paese al mondo per "disallineamento" tra percorso di studi e mercato del lavoro e si stima che i trentenni di oggi abbiano salari che, in rapporto al potere d'acquisto, sono inferiori del 36% rispetto a quelli dei genitori alla loro età. Siamo le prime generazioni che vivono in condizioni economiche peggiori di quelle dei propri genitori e con basse probabilità di riuscire a migliorarle. La mobilità sociale è ridotta a zero. Ci hanno definiti negli anni "mammoni" e "bamboccioni", io invece vedo ragazzi che hanno rimesso nel cassetto i propri sogni e si adattano a qualsiasi lavoro pur di racimolare qualcosa e provare a costruirsi una vita indipendente. Indipendenza, quella che tutti i giovani vorrebbero, ma che rimane una sfida per titani in un contesto in cui, in media, gli affitti sono intorno al 50% per cento del proprio reddito in provincia ed oltre il 70% nelle grandi città. A testimonianza di questo la continua crescita del co-housing, ovvero della condivisione della residenza, tra i giovani lavoratori di città come Torino o Milano. Io penso che un giovane che lavora abbia diritto ad avere una residenza indipendente dato che

percepisce un salario ma purtroppo non tutti guadagnano abbastanza. Chi non ci sta a questa Italia prova a cercare fortuna all'estero. Negli ultimi 10 anni gli italiani emigrati sono stati circa 816.000. Solo nell'anno 2018, per darvi qualche dato, sono emigrati all'estero 128.583 italiani per cercare lavoro, di cui oltre il 40% con età inferiore ai 35 anni. Questo a fronte di circa 24.000 sbarchi di immigrati sulle coste italiane. E una cosa che mi fa arrabbiare molto è che una certa parte della politica, e larga parte dei media, si concentrino solo su chi arriva in Italia e non su chi è costretto ad andarsene per costruirsi un futuro, cosa che per me rappresenta un problema da risolvere ben più complesso perché richiede politiche di lungo termine e perché riguarda la mia generazione in prima persona. L'Eurostat stima che di questo passo nel 2038 gli over 65 in Italia saranno circa un terzo del totale della popolazione e ciò determinerà squilibri economici e finanziari, dato che proporzionalmente diminuiranno i lavoratori e aumenteranno i pensionati, e sarà una spesa che pagheranno di nuovo i giovani…”.

Qualche giorno fa sono stati tagliati gli 8 alberi che costeggiavano la carreggiata dalle scuole elementari e molti altri in p.za IV novembre. In municipio hanno installato una caldaia a legna o è un virus che ha colpito la vegetazione racconigese? Indagheremo!!


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