INSONNIAFebbraio2018

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NUMERO 100

insonnia

mensile di confronto e ironia

Insonnia n° 100 Febbraio 2018 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009

numero cento.dieci anni Questo mensile ha preso forma nel 2008, a breve distanza dalle elezioni politiche (governo Berlusconi) in piena Amministrazione Tosello; furono messe insieme le idee di un gruppo variegato di persone unite dalla volontà e dal desiderio di far conoscere una visione dei fatti ed intorno a questi una elaborazione del pensiero che fosse sinceramente originale e non fantasiosa; originale, ossia formulata dagli stessi soggetti. Il pensiero precostituito, qualunque esso sia, non ha grande valore. Perché sia ricco ed efficace, un pensiero deve essere elaborato in prima persona e non assunto acriticamente da altri. Avremmo anche voluto far ridere un po’ di più perché pensavamo (ma lo pensiamo ancora) che quando si ride la tensione cade, il corpo si rilassa, si è più aperti nel pensiero e si resta svegli: dunque nacque insonnia. Purtroppo l’ironia e la risata ci sono mancate, vedremo di recuperare un giorno.

Siamo invece convinti che non sempre una elaborazione abbia validità se non viene poi messa a confronto. Porsi in questa disposizione di spirito non è sempre facile ma pubblicare le proprie opinioni, i propri pensieri vuol già dire accettare il confronto, mettersi in discussione. Così iniziammo a metterci in discussione. Il nucleo iniziale in questo confronto, nel tempo, si è sfoltito ma altri si sono uniti a noi e questo è stato lo spirito che ha dato continuità al nostro impegno. Noi che proseguiamo a far uscire insonnia continuiamo a credere in queste affermazioni e ci impegniamo nella stessa direzione. I preconcetti però sono sempre in agguato, per questo cerchiamo di stare attenti. La redazione non è sempre concorde al suo interno ma persistiamo ugualmente nell’impegno di confrontarci.

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BOLLETTE TARI IN AUMENTO? C’È UNA SOLA SOLUZIONE

Una nuova sfida per la raccolta rifiuti a Racconigi di Luca Meinardi

Sorpresa, dopo un lungo silenzio si torna a parlare di rifiuti! E sì che sembrava tutto risolto da giugno per pulizia e tutto il resto e invece… ma basta polemiche, questa sarà l’unica battuta che mi concedo. Veniamo alle cose serie. Purtroppo le notizie non sono buone. I l nuovo Bilancio di Previsione approvato a fine anno si porta dietro un aumento delle bollette Tari di oltre il 20% per il 2018.

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COSTRUIRE RELAZIONI CHE DURANO NEL TEMPO Il Doposcuola dell’Aquilone: un’esperienza che ha lasciato il segno a cura di Giacomo Castagnotto

In questo anno in cui abbiamo fatto memoria della straordinaria figura di don Milani a 50 anni dalla pubblicazione di “Lettera a una professoressa”, abbiamo voluto dare spazio, sulle pagine di questo giornale, ad un’esperienza radicata, fino allo scorso anno, nella nostra città che crediamo, senza presunzione, abbia incarnato alcuni dei valori vissuti dal Priore di Barbiana. Abbiamo quindi chiesto ad Emanuela Milanesio e a Silvana Gallo che hanno dato vita, più di vent’anni fa al Doposcuola, conosciuto da tutti come “Doposcuola dell’Aquilone”, di raccontarci com’è nata quest’esperienza, come si è evoluta nel tempo, e che cosa ha significato per loro. Era il 1990 e noi, giovani studentesse di teologia, avevamo conosciuto e sperimentato lo straordinario metodo della Revisione di Vita (Vedere-Giudicare-Agire) attraverso esperienze dirette in America Latina e nel cammino della Gi.O.C. (Gioventù Operaia Cristiana).

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PASSAPORTO BIO

Mondo Agricolo

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Inserto Scuola

VOLLEY

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UN REGALO PER VOI

Per festeggiare il numero CENTO di insonnia e i primi dieci anni di uscita del giornale abbiamo previsto per voi due appuntamenti:

• SABATO 17 MARZO, ore 16, Incontro con MARGHERITA OGGERO, insegnante e scrittrice.

È una scrittrice torinese che ha al suo attivo 13 romanzi, di questi l’ultimo pubblicato nel 2017 è “Non fa niente”. È stata insegnante nella scuola secondaria ed anche per questo la protagonista di molti dei suoi libri è Camilla Baudino una insegnante “investigatrice” che lavora nelle scuole superiori. Dai suoi racconti è stata tratta la serie televisiva “Provaci ancora Prof!” con Veronica Pivetti e un film “Se devo essere sincera” con Luciana Litizzetto.

• VENERDÌ 30 MARZO, ore 21, Incontro con MARCO REVELLI, storico, sociologo, scrittore, Presidente dell’Associazione “Nuto Revelli”.

Insegna scienza della Politica all’Università del Piemonte Orientale. È figlio dello scrittore esponente di spicco della Resistenza Nuto Revelli. Scrive sul Manifesto ed ha pubblicato una serie di saggi che analizzano la situazione politica e sociale dell’Italia e le trasformazioni in corso delle “forme della politica”. Nel 2014 è stato fra i promotori della Lista “L’Altra Europa” con Tsipras. È il Presidente della Fondazione Nuto Revelli di Cuneo Avevamo invitato il giornalista e scrittore Michele Serra sperando di averlo per un incontro pubblico nel quale avremmo potuto godere della sua capacità di “leggere” il mondo contemporaneo. Pubblichiamo volentieri la sua risposta. Caro Allasia, detto che mio bisnonno era di Breil sur Roya (all'epoca Breglio) ti ho detto tutto in merito ai miei forti legami affettivi con le Alpi Marittime e con il Cuneese in generale. Mio miglior "tutor" quando ero bimbo e stavo su quelle montagne per le vacanze fu un pastore di Saluzzo di nome Domenico Fino. È tra i miei Numi della memoria. Detto questo, ahimè non posso prendere impegni di sorta perché sono oberato di lavoro e ho un'agenda micidiale. Da due anni salto anche "Scrittori in città" a Cuneo, che per me era un appuntamento quasi fisso. Ciò detto, chissà che prima o poi non si possa combinare qualcosa. Nel frattempo, grazie per le parole di stima e per l'invito, e buona Insonnia a tutti. Ne patisco anche io e di notte guardo fior di film e di documentari sulla vita delle bestie... Con amicizia Michele Serra

IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE a cura di Rodolfo Allasia

Le immagini del “racconto fotografico” di questo numero non sono di una fattura tecnica eccellente ma hanno un valore documentaristico poiché sono tratte da un archivio del personaggio che rappresentano ed hanno per questo una notevole importanza; raccontano momenti della carriera sportiva del nostro concittadino Vittorino Milanesio. Vito ebbe la cittadinanza onoraria racconigese per meriti sportivi dall’allora sindaco Tosello nel 2005. Insonnia lo aveva già intervistato nel maggio 2014, intervista nella quale lui enumerava le sue partecipazioni ai più importanti appuntamenti sportivi e ci riportava i tempi realizzati come velocista nella squadra nazionale di staffetta 4x100 insieme a Caravani, Guerrini, Mennea, Benedetti e Farina. Mentre stanno per iniziare i giochi olimpici invernali in Corea del Sud noi vogliamo ricordare il nostro olimpionico di Montreal 1976.

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L’amore è un profumo tra i capelli di Luciano Fico

È la loro serata! A Lorenzo sudano le mani sul volante, allo stomaco sente una mano fortissima che stringe, la testa è magnificamente vuota, come un grande vaso trasparente pieno di farfalle colorate. Elena lo ha chiamato in mattinata per dirgli che stasera è sola a casa e ha tanta, tanta voglia di lui… Mai aveva incontrato prima una donna come lei. Riesce a farlo sentire vivo come non si è mai sentito in quasi quarant’anni; Elena è una donna naturalmente sensuale, il sesso è il suo modo di vivere e di amare, lo fa come respirare, come mangiare, come sognare… Mentre percorre gli ultimi tornanti Lorenzo si perde nel ricordo del corpo di lei: quello sguardo sfacciato, che lo fa tremare ogni volta di desiderio e di paura; i capelli, nerissimi, che le danzano intorno al viso ad ogni movimento; le labbra, mai serrate, così morbide e sapide che non sembrano fatte per parlare; le spalle minute, che stanno perfettamente nel suo abbraccio quando sono a letto; i seni piccoli e scuri e sodi come frutti pieni di sole; il suo fondoschiena è un invito a prenderla, le sue gambe una trappola… Se la immagina che lo at-

tende già nuda e arresa, con quel fuoco negli occhi che ha imparato a riconoscere così bene. Si accorge che gli trema la mano mentre suona il campanello: “Sono io…” Elena lo accoglie nella penombra dell’ingresso, illuminata solo dai riflessi del caminetto che brucia in sala. Ha indosso una vestaglia sformata, che sembra pesarle come un’armatura, tanto le spalle sono curve ed il capo chino. Gli occhi sono velati e lucidi, il naso arrossato cola senza sosta e lei tenta disperatamente di tamponarlo con un fazzoletto di carta che si è arreso da tempo. I capelli sono arruffati e stanchi… “Amore mio…Mi sono ammalata nel pomeriggio. Ho la febbre a 40!!!” Lo investe con le parole e con lo stupore deluso di una bambina e poi gli crolla fra le braccia in cerca di conforto. “Mi spiace tanto…sono uno straccio di donna stasera!” Le farfalle sono volate via dalla testa di Lorenzo, lo stomaco ora è libero e le mani non tremano più mentre le carezza il capo. “Vai a letto. Ti preparo latte e miele e mi corico vicino a te. Voglio almeno godermi il tuo corpo caldo accanto al mio.” “Caldo è caldo di sicuro stasera…” dice Elena con un sorriso stanco. Entra nel letto a cercare il caldo del piumone e le salgono le lacrime (“Io piango per niente, sappilo…”): è bello sentirsi amata in quel momento di fragilità. Dopo il latte caldo, c’è giusto il tempo per un bacio appoggiato alle labbra, poi lei si fa posto tra le braccia di lui e con un filo di voce: “Buona notte, amore…vedo già i sogni…” Lorenzo rimane sveglio ancora a lungo nella notte. Non è quel corpo tanto desiderato a tenerlo sveglio, ma l’odore dei capelli di lei…


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BOLLETTE TARI IN AUMENTO? C’È UNA SOLA SOLUZIONE

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Una nuova sfida per la raccolta rifiuti a Racconigi segue dalla prima

Pessima notizia, perché è una forte inversione di tendenza dopo le due riduzioni che con l’Amministrazione Brunetti eravamo riusciti a fare. Il “Maggiordomo” di turno, l’autore del delitto, è da ricercare soprattutto nel nuovo appalto rifiuti che da marzo entrerà in vigore per i prossimi 7 anni. Sì perché il Consorzio SEA, al quale Racconigi appartiene, ha valutato che adeguando a valori correnti i vari costi (personale, carburanti, remunerazione minima della ditta, ecc.), il costo dei vari servizi per Racconigi dovesse passare da circa 690 mila euro a 1.272.000… quasi il doppio! Il doppio? Assurdo, direte voi. E infatti è quello che abbiamo detto al Consorzio quando a fine marzo 2017 ci hanno spedito il conto. Anche perché nella proposta che gli era stata inviata invece di aggiungere servizi ne erano stati tolti, richiedendo un unico passaggio di raccolta di rifiuti indifferenziati al posto degli attuali due; cosa peraltro ragionevole, visto il loro dimezzamento grazie al forte aumento della raccolta differenziata (passata dal 58% di fine 2014 ad oltre il 72%). A nulla sono valsi i tentativi di bloccare l’iter di rinnovo dell’appalto. Abbiamo chiesto spiegazioni, espresso il nostro forte disaccordo su come avevano calcolato alcuni costi (ad esempio il carburante), arrivando ad organizzare con un’altra venti-

na di Comuni quasi una sommossa, bloccando i lavori per settimane e arrivando a un durissimo scontro con il Consorzio. Ma alla fine il meccanismo infernale è andato avanti, fino all’indizione della gara. Per fortuna con l’Ufficio Ambiente eravamo partiti per tempo, avviando un estenuante lavoro di riorganizzazione dei servizi con il quale siamo riusciti a ridurre l’aumento di oltre 300 mila euro (praticamente dimezzandolo). Questo per spiegare come è andata. Si poteva fare di più? No, direi che di più non si poteva fare. Abbiamo cercato di bloccare l’iter di rinnovo dell’appalto e ridotto l’aumento quanto più possibile, mettendoci la faccia e ricevendo la solidarietà di decine di Comuni. Per fare di più potevamo solo togliere del tutto il servizio e far passare gli asini a raccogliere i rifiuti. In realtà la vera domanda è un’altra: cosa si può fare ora per ridurre ulteriormente l’aumento a carico dei cittadini? La risposta è secondo me una sola. Proseguire nel progetto della raccolta differenziata avviato e passare alla Tariffa Puntuale “a volume”, basata cioè sulla quantità di sacchetti utilizzati. Ognuno paga per quanti rifiuti produce. Cosa facilmente realizzabile, in tempi brevi e con un costo bassissimo, proprio grazie al sistema di sacchetti con codice già in vigore. Questo consentirebbe di raggiungere e superare l’80% di

differenziata e tagliare ulteriormente i costi di smaltimento Rsu. E quindi ridurre nuovamente le tariffe Tari. Funzionerebbe, lo abbiamo già dimostrato negli anni precedenti. Basta che ci sia la volontà politica di farlo. E quindi viene da chiedersi: qual è la strategia della nuova Amministrazione? Accettare passivamente questo aumento ai danni dei cittadini o scommettere sulla Tariffa Puntuale? Aspettare e rischiare che il livello di rifiuti indifferenziati cresca nuovamente, più o meno lentamente, cosa che in parte sta già avvenendo o continuare a investire in un progetto che non dovrebbe avere colori politici? So che è in partenza il nuovo progetto sul compostaggio domestico, sacrosanto a mio parere (peraltro re-

taggio al 100% della amministrazione Brunetti), grazie al quale siamo riusciti a far arrivare a Racconigi 22 mila euro di finanziamento regionale. Ma rischia di non essere sufficiente se non accompagnato da precise scelte politiche e da una strategia più strutturale e di più lungo termine. Non dimentichiamoci che, al di là della percentuale di differenziata, un incremento delle quantità di rifiuti indifferenziati da smaltire comporterebbe un ulteriore costo a carico delle tasche dei cittadini, che si andrebbe ad aggiungere al già enorme aumento derivante dal nuovo appalto. E questo, per i cittadini di Racconigi, sarebbe veramente aggiungere al danno anche la beffa! Giugno 76 Roma Stadio Olimpico - Italia - Svezia con Mennea


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Il cafè Alzheimer Carmagnola a cura di Guido Mantovani, presidente AMA, e Guido Piovano

Il Cafè Alzheimer a Carmagnola nasce dalla collaborazione tra l’Associazione A.M.A. (Associazione Malati di Alzheimer), il reparto Geriatria dell’Asl TO5 ed il Cisa31, con l’input iniziale e fondamentale della famiglia Spina che ha voluto ricordare il figlio Michele (Micky) e rispettarne la volontà con un lascito e un impegno in tema di Alzheimer. Da più di due anni, nel pomeriggio del penultimo sabato del mese, l’Associazione Malati di Alzheimer (AMA) organizza a Carmagnola, presso i locali della Società degli Operai F. Bussone l’Alzheimer Cafè. Si tratta di un servizio pensato in modo particolare per le famiglie che hanno un proprio congiunto malato di demenza: i familiari possono incontrarsi alla presenza di un esperto che tratta tematiche relative alla malattia, ponendo di volta in volta l’attenzione su un aspetto importante quale ad esempio l’alimentazione o la mobilizzazione o ancora la tutela legale. Le famiglie possono confrontarsi e forse anche sentirsi un po’ meno sole e rivolgere agli esperti domande relative agli argomenti trattati. L’Associazione garantisce, in locali attigui e mediante la presenza di personale specializzato, l’intrattenimento dei malati, al fine di permettere al familiare di partecipare all’incontro. Il cafè è aperto a tutta la cittadinanza proprio per favorire la maggiore conoscenza possibile, per permettere il superamento della paura e favorire l’inclusione. Gli incontri si concludono sempre con un dolce momento conviviale. Dal mese di gennaio 2018, il cafè ha cambiato sede e si è trasferito presso i locali Iconà della Parrocchia SS. Pietro e Paolo in piazza Verdi. I nuovi locali non presentano barriere architettoniche, ne risulta agevolata la partecipazione. Ricordo ancora che l’Associazione gestisce e offre anche altri servizi: la palestra cognitiva, il gruppo di prevenzione al deterioramento cognitivo, il campus del cammino e il gruppo di supporto psicologico ai famigliari di malati di Alzheimer. Di questi tratteremo volentieri sui prossimi numeri di Insonnia. Il progetto rappresent aun, esempio di partecipazione sociale attiva: oltre alle risorse messe in campo da parte degli operatori coinvolti e alla donazione iniziale e ai contributi successivi della famiglia Spina, ci sono stati finanziamenti da parte di cooperative sociali, aziende e cittadini del

Luglio 76 Olimpiadi di Montreal

territorio, a supporto del progetto che fa della prevenzione e del sostegno sociale gli elementi portanti nel contrasto delle forme di demenza.

Luglio 76 Olimpiadi i Montreal con Farina


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“passapORTO.bio” Il terzo “viaggio” per la coltivazione di un

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ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE

Dopo il successo dell’esperienza degli scorsi anni, Solare Collettivo Onlus organizza il terzo “viaggio” per la coltivazione di un ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE. Un’ opportunità, a disposizione di tutti gli appassionati dell’orto, per incontrarci e condividere dubbi, conoscenze ed esperienze per scoprire tutti i segreti di una coltivazione biologica e permettere quindi di ottenere un orto eccellente, salutare e sostenibile riducendo/eliminando l'utilizzo di pesticidi e concimi chimici, dannosi come ben sappiamo per il futuro del pianeta e dannosi allo stesso tempo anche per la nostra stessa salute. Con il patrocinio del Comune di Racconigi il corso si terrà a Racconigi presso il Centro di Aggregazione Giovanile ex G.I.L. in via Divisione Alpina Cuneense n 20. Interverranno: - Federica Fiorentino Ecobiologa esperta di Tecnologia EM - Viviana Sorrentino Naturalista “raccoglitrice di erbe selvatiche” - Andrea Giaccardi Agrotecnico titolare dell’Orto del Pian Bosco di Loreto di Fossano - Roberto Giordano - Agrion - Fondazione per la ricerca in agricoltura Sono previsti quattro incontri e una uscita sul territorio: 1° INCONTRO – Giovedì 1 Marzo 2018 - ore 20.30-22.30 “I microscopici segreti del suolo: un punto di vista inaspettato per osservare il mondo sotto i nostri piedi” La salute delle piante e, quindi, la nostra, di-

pende da un fitta rete di relazioni con i microrganismi del suolo. Nuove tecnologie e nuove tecniche di osservazione permettono adesso di lavorare in collaborazione con i microrganismi benefici per poter ottenere risultati sorprendenti: piante sane e raccolti abbondanti, aumentando progressivamente la fertilità del suolo. Relatore: Federica Fiorentino Ecobiologa esperta di Tecnologia EM 2° INCONTRO - Giovedì 8 Marzo 2018 - ore 20.30-22.30 “ ‘Naturale e Spontaneo’: questo è l’Orto Istintivo” Uno spazio in cui uomo, piante e animali sono chiamati a collaborare per la riuscita di un ecosistema forte, sano, ricco di principi attivi e insegnamenti… Ma, come per la Terra, anche l’istinto va coltivato. Tornare ad osservare e conoscere la Natura è il primo passo per chi

sceglie di fare ‘bio-diversamente’. Relatore: Viviana Sorrentino Naturalista “raccoglitrice di erbe selvatiche” 3° INCONTRO - Giovedì 15 Marzo 2018 - ore 20.30-22.30 “Il metodo Biologico applicato nell’orto” Agro-ecologia e semplici tecniche di coltivazione e difesa dell’orto. Relatore: Agrotecnico Andrea Giaccardi titolare dell’ Orto del Pian Bosco di Loreto di Fossano 4° INCONTRO – Giovedì 22 Marzo 2018 - ore 20.30-22.30 “Appunti per la coltivazione dei piccoli frutti” La diffusione dei piccoli frutti in Piemonte, la scelta varietale e le tecniche base per la loro coltivazione. I principali aspetti legati alla difesa con particolare attenzione ai fitofagi di recente introduzione. Relatore: Roberto Giordano - Agrion - Fondazione per la ricerca in agricoltura USCITA SUL TERRITORIO: Un sabato di fine Aprile-inizio Maggio, visita all’azienda agricola “Orto del Pian Bosco” a Loreto di Fossano e al suo laboratorio di trasformazione. Al momento dell’iscrizione ai partecipanti sarà richiesto un contributo di 20 euro comprensivo di iscrizione all’Associazione e contributo per gli incontri e l’ uscita. Per informazioni potete telefonare ad Anna Maria (cell. 3482820151) oppure scrivere una e-mail a: presidente@solarecollettivo.it

E IL RE DISSE ALLA SERVA “RACCONTAMI UNA STORIA” E LA STORIA INCOMINCIÒ” IL LATO OSCURO DELLE FAVOLE DEI FRATELLI GRIMM di Daniela Anna Dutto

Le favole sono figlie dell’epoca in cui vennero scritte o tramandate, raccontano la società in cui furono inventate e divulgate. Erano racconti per adulti, solo in seguito divennero uno strumento formativo per l’infanzia. Forse non tutti lo sanno ma le fiabe hanno un lato oscuro, possono far concorrenza ai film horror dei nostri tempi e l’idilliaco finale “e vissero tutti felici e contenti” non sempre coinvolge tutti i personaggi. Per non parlare poi della violenza sugli animali che, purtroppo, ritroviamo in molte fiabe. Jacob Grimm e Wilhelm Grimm, noti come i Fratelli Grimm, sono conosciuti per aver raccolto e rielaborato le fiabe delle tradizione popolare tedesca, e hanno tramandato anche il lato noir. Nella favola di Hansel e Gretel la strega vuole farsi un bel pranzetto con i bambini “la vecchia fingeva di essere benigna ma era una strega cattiva che insidiava i bambini e aveva

costruito la casetta di pane solo per attirarli. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, l’uccideva, lo cucinava e lo mangiava”. Ma è poi lei a fare una brutta fine “Allora Gretel, con un urtone, la spinse dentro, chiuse il fornello di ferro e tirò il catenaccio. Uh! che urla terribili gettò la strega. Ma Gretel corse via e la maledetta strega dovette miseramente bruciare”. Ma il lato cruento di questa fiaba prosegue e termina con … “la mia fiaba ti ho detto, laggiù corre un sorcetto; prendigli il pelliccione e fatti un berettone”… purtroppo il tempo delle ecopellicce era ancora lontano. In Biancaneve la matrigna chiede al cacciatore: “Porta la bambina nel bosco, non la voglio più vedere. Uccidila e mostrami i polmoni e il fegato prova della sua morte”, l’uomo ne ha pena e non la uccide. La matrigna, però, non partecipa al lieto fine della favola “Entrando riconobbe Biancaneve e impietrì dallo

spavento e dall’orrore. Ma sulla brace eran già pronte due pantofole di ferro: le portarono con le molle e le deposero davanti a lei. Ed ella dovette calzare le scarpe roventi e ballare, finché cadde a terra, morta”. E gli animalisti saranno inorriditi leggendo alcune fiabe come Biancaneve e Rosarossa che maltrattano l’orso “gli tiravano il pelo con le mani, gli mettevano i piedini sulla schiena e lo spingevano di qua e là o prendevano una verga di nocciolo e lo picchiavano e quando mugolava ridevano”. Ma poi l’orso è un principe sposa Biancaneve e suo fratello Rosarossa, si dimentica dei dispetti ... e vissero felici e contenti. In Cappuccetto Rosso il lupo si mangia la nonna, che però sopravvive ma il povero animale non ha la stessa fortuna: “E Cappuccetto Rosso corse a prendere dei pietroni, con cui riempirono la pancia del lupo e quando egli si svegliò fece per correre via, ma le

pietre erano così pesanti che subito si accasciò e cadde morto” E la favola “Il Ginepro” sembra uscita da un film dell’orrore. La matrigna decapita il figlio, poi gli fascia la testa con un fazzoletto e gli mette una mela in mano. Quando torna la sorellastra vedendo che il fratello non le risponde : “Fratello, dammi una mela. Ma egli tacque ed ella gli diede uno scapaccione e la testa cadde”. E con questa conclusione … se volete una sera d’atmosfera noir vi consiglio un paio di candele e la lettura di alcune fiabe e non rimpiangerete Stephen King. Testi tratti dal libro: Jacob e Wilhelm Grimm, Fiabe, Edizioni Einaudi


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a cura di Guido Piovano

NOI SIAMO CHIESA Vi presento alcuni passi significativi dell’ampia relazione che Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale di ‘Noi Siamo Chiesa’, ha tenuto il 28 maggio 2016 in occasione dei festeggiamenti per i vent’anni di vita del Movimento. Ritengo i temi trattati più che attuali. Noi Samo Chiesa fonda il suo DNA nell’impegno per la riforma della Chiesa, lasciando da parte l’attenzione alle norme, ai ‘valori non negoziabili’, a una morale fondata sulla casistica, valida in ogni tempo e dovunque. Le radici del Movimento sono nel Concilio e, tra gli altri, in Antonio Rosmini, Alessandro Manzoni, Ernesto Buonaiuti, Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Giorgio La Pira, Primo Mazzolari, Davide Turoldo, Ernesto Balducci, Mario Cuminetti, Lorenzo Milani, Maria di Campello, Mario Rossi, Tonino Bello. “Contro la ‘fabbrica dei santi’: Abbiamo anche espresso il nostro fastidio, che è proprio di tutta l’area ‘conciliare’, nei confronti della ‘fabbrica dei santi’. Troppi i santi, a volte con tutta evidenza personaggi discutibili, quasi sempre chierici o monache o suore: è un sistema che continua, che è parte - ben lo sappiamo - della religiosità popolare, ma al quale non si può tutto concedere, perché a volte non si tratta più

neanche di devozione ma di vera e propria superstizione. Non abbiamo condiviso - lo abbiamo detto molto esplicitamente - la canonizzazione di quasi tutti i papi perché ciò significa santificare lo stesso papato. Abbiamo partecipato all’intervento del nostro fratello Abate Franzoni contrario alla canonizzazione di Giovanni Paolo II che era stata avviata alla sua morte con il ‘Santo subito’ di tutta l’ala fondamentalista della Chiesa. Divorziati risposati: La nostra proposta era antica. Il matrimonio che non sia più fondato sul consenso, che si sia concluso in una rottura definitiva, non esiste più, non è più sacramento. Delle conclusioni di papa Francesco nella Amoris laetitia abbiamo scritto che mettono da parte una morale fatta di casistica, di norme astratte valide sempre e comunque nel tempo e nello spazio. Ora tocca al popolo cristiano aprire del tutto la porta che papa Francesco ha permesso fosse socchiusa. Si accetta in pratica, sottovoce, il comportamento che è già praticato da un numero consistente di cattolici divorziati e risposati che si accostano all’Eucaristia sulla base di una scelta di coscienza. Papa Francesco/1: In poco tempo ha dimostrato quali energie ci fossero nella Chiesa. È semplice

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e facilmente condivisibile riassumere i punti di vista sui quali i cristiani ‘conciliari’ si riconobbero in Bergoglio, tutti quasi all’opposto di prima: il mondo visto dal sud del mondo, non dalla Baviera; la pastorale e non la dottrina come priorità; l’attenzione agli ‘ultimi’; lo schieramento terzomondista in politica internazionale; la fine della repressione verso le opinioni ‘diverse’; il problema dell’ambiente; un Giubileo della Misericordia che, almeno nelle sue intenzioni, vuole essere lontano dalle devozioni e dalle indulgenze; il rilancio dell’ecumenismo; il nuovo rapporto con l’islam, cancellando l’incidente di Ratisbona. E altro ancora a partire dal tentativo in corso di fare pulizia nei Sacri Palazzi e di dare nuove prospettive alla Chiesa italiana bloccata da gestioni negative. Ci fu il convincimento che potevamo trovarci di fronte a una svolta, ma che le resistenze sarebbero state molto forti. È quello che constatiamo ogni giorno. Papa Francesco/2: Ma è tutto semplice? Noi abbiamo mantenuto na-

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turalmente la nostra libertà di giudizio; la riforma non trova ostacoli solo in una vasta area dell’apparato ecclesiastico, ma è anche frenata da atti del Papa, o che li subisca o che facciano parte della sua anima ‘tradizionale’. Ne elenchiamo alcuni sui quali abbiamo espresso le nostre opinioni. Condizione della donna nella Chiesa: Francesco ne parla, ma pare che sia un problema che non conosca bene e comunque ben poco ha fatto (ma se si andrà avanti per il possibile diaconato femminile, il Papa avrà fatto un passo storico). La ‘fabbrica dei santi’: tutto continua come prima. Le nomine dei vescovi: cambia la qualità ma il metodo è sempre lo stesso. La riforma della Curia: per ora non va avanti niente, se non l’accorpamento del settore delle comunicazioni e del settore laici-famiglia (il problema è che bisogna decentrare e non razionalizzare la Curia). La mancanza di contatti con l’area ‘conciliare’: finora ci sono stati solo pochi contatti individuali e il nostro incontro internazionale Council 50 è stato ignorato… ”

“SCUOLA DI MORTE” "Occorre smilitarizzare l'uomo. Iniziando a smilitarizzare la Chiesa compromessa con i cappellani militari in una struttura che è scuola di

morte". don Beppe Socci, parroco pacifista a Viareggio, morto il 19 gennaio 1998.

100 di Zanza Rino

Servono forze fresche Che facciano il giornale Contiamo su giovani e scolaresche Se non son 100 poco male

Dal voto i giorni non son 100 ma di più Il tempo delle certezze è ormai lontano Ancor non sanno se Chiarugi va su o giù E resta sempre chiusa via Ormesano

100 sono i mesi insonni

Passati i sogni di rivoluzione Abbiamo ormai l’età dei nonni Tra un po’ mettiamo il pannolone

D’esser 100 possono sognare Quelli che stanno all’opposizione Ce n’è di strada da rimontare Ma la guancia è rossa ancor per

il ceffone Per 100 volte han tutti dichiarato Che ci voleva una sala polivalente Ora che il salone è ripristinato Ci fanno un cinema che serve poco o niente Son 100 i parrocchiani a borbottare Giorno per giorno cresce la tensione Ma poi nessuno vuol parlare Forse per non perder la benedizione C’è tanto lavoro per lo zanzarino Ma anche lui è vecchio e non fa paura

Però se la famiglia cresce sarà un casino 100 zanzarini sono una sciagura Altre 100 cose certamente Trovi nelle pagine che leggi ogni mese Racconti, scuola, religione, ambiente, Migranti, disabili, lavoro, imprese…

100 euro son forse troppi

Per sostenere il tuo giornale Basta meno per togliere gli intoppi E lo leggerai fino a natale.


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La CADOCAR festeggia i 35 anni di attività

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UN’ESPERIENZA DOVE FAMIGLIA E LAVORO CRESCONO INSIEME a cura della redazione

Le storie di lavoro si intrecciano sempre con le vicende famigliari. In alcuni casi questo intreccio è più intenso e particolare. Esiste oggi nella nostra città una realtà artigianale, la CA.DO.CAR Autoriparazioni , che rappresenta un interessante esempio di crescita imprenditoriale in un clima famigliare. Incontriamo la famiglia PIASCO/PIPINO nei locali dell’officina. Come parte la storia del vostro lavoro? Parte da PIPINO Carlo (classe 1935), papà calzolaio e mamma operaia nel Setificio Manissero, inizia la sua carriera di meccanico a 15 anni (nel 1950) come “bocia” presso l’Officina Alfa Romeo di MANO e FASANO. Dopo 2/3 anni, si trasferisce alle dipendenze dell’Officina Autorizzata FIAT di ORUSA, in Piazza Castello (ora ci sono Banca San Paolo e Gigante), dove lavorava già il cugino (omonimo e nato nello stesso anno). Altri 6/7 anni di apprendistato e negli anni ’60, rilevano insieme l’Officina FIAT, creando la società PIPINO C&C …, racconta la figlia Alessandra. E fino qui il papà, ma quando entrate in scena voi? Sono nata nel 1963, dice Alessandra, e a 16 anni ho conosciuto e iniziato a “frequentare” Domenico Piasco - ragazzo del paese. Lui lavorava in un altro settore, ma era molto appassionato di meccanica - così col tempo si realizza l'idea di seguire le tracce del futuro suocero. Nel marzo del 1983 Carlo scioglie la società con il cugino e crea, con il futuro genero, la CA.DO.CAR snc - (CA per Carlo e DO per Domenico) con sede prima in frazione Tagliata e, dal 1986, in via Murello a Racconigi. Quindi quest’anno festeggiate i 35 ANNI di attività? Sì. Sono stati anni molto intensi, ma sono volati. Nel 1987 ci siamo sposati, nel 1992 è nato il primo figlio, Marco, e nel 1997 il secondo, Matteo. Intanto per Carlo arriva l’età della pensione, mentre per Domenico un periodo di collaborazione con il fratello Piero che poi passa ad altra attività collaterale. Nel 2002 la CA.DO. CAR di Piasco D. & C. si trasferisce definitivamente nella zona artigianale di Racconigi, dove opera tuttora. Vengono saltuariamente assunti dei dipendenti, mentre Alessandra continua ad occuparsi dell'ufficio. E nonno Carlo? Nonno Carlo, insieme alle nonne, ci ha aiutato ad allevare i “bimbi”, consentendoci di occuparci più serenamente dell’attività. A tutt'oggi - al mattino - fa una “gira” in officina per fare due parole con i clienti o far-

1978 - 2018: Tre generazioni a confronto ci qualche commissione. Soprattutto con le persone più anziane ricorda il passato. Ancora abbiamo suoi clienti o i loro figli. Il suo carattere gli consente di avere sempre la battuta pronta per tutti e di creare un clima di amicizia con tante persone per le quali rappresenta un personaggio della nostra città. E i figli? Nel settembre del 2014, dopo aver conseguito il diploma di Perito Meccanico-Meccatronico presso l'Istituto Eula di Racconigi - entra nell’azienda Marco, seguito, tre anni dopo, da Matteo, anche lui Perito Meccanico. Come si sono inseriti nell’attività? Non ci sono state difficoltà particolari. Marco e Matteo hanno accettato di imparare e hanno capito una cosa fondamentale, nel nostro lavoro: il cliente va ascoltato, senza avere la presunzione di sapere già quello di cui ha bisogno. Questo deve valere per tutti, anche per quelle persone un po’ più diffidenti. I ragazzi sono

portati a comprendere le evoluzioni tecnologiche e questo è un altro grande punto di partenza. Certo, alle volte, ci sono dei momenti di difficoltà e delle discussioni, perché, soprattutto quando c’è tanto lavoro, la tensione del riuscire a fare tutto, bene e nei tempi stabiliti, può generare nervosismo. Come è cambiata l’attività in questi anni? I cambiamenti per una micro-azienda come la nostra sono sotto gli occhi di tutti. Quando abbiamo iniziato si poteva parlare esclusivamente di meccanica, mentre oggi la componente più importante, negli autoveicoli, è quella elettronica, dice Domenico. È stato necessario, quindi, aggiornarsi di continuo, sia come conoscenze che come attrezzatura. Un tempo bastava guardare un componente o sentire un rumore per capire come intervenire, mentre oggi occorre saper leggere tante indicazioni che vengono fornite dai circuiti elettronici degli autoveicoli.

Nel tentativo di soddisfare le esigenze della clientela, poi, abbiamo inserito alcuni servizi importanti, come il Centro Revisione 2/3/4 ruote in sede. Quello che è rimasto costante è la responsabilità. Lavoriamo su mezzi che devono essere sicuri e quindi dobbiamo essere molto scrupolosi perché le persone si fidano del nostro lavoro e devono uscire tranquille dall’officina. E l’atteggiamento dei clienti? È cambiato molto anche quello. Anche se in ogni famiglia ci sono due o più vetture ognuno deve avere sempre la sua a disposizione. Un tempo il cliente portava l’auto a fare manutenzione ed era quasi scontato che il mezzo restasse in officina per qualche giorno. Adesso i tempi sono molto più stretti e la meccanica molto più complessa. Nell’esecuzione del lavoro spesso si presenta qualche imprevisto e non è per niente facile riuscire ad organizzarsi al meglio, soprattutto volendo essere un servizio multimarche. Per fortuna la nostra clientela è molto consolidata e si crea un rapporto di fiducia e, spesso, di amicizia per cui il cliente sa che si fa il possibile per venire incontro alle sue esigenze e che se non si rispettano i tempi preventivati è perché succede qualcosa che non dipende dalla nostra volontà. Siete soddisfatti del vostro percorso? Molto. Abbiamo vissuto di una nostra attività e in questa abbiamo creato lo spazio di lavoro per i nostri figli. Riteniamo sia un bel risultato, frutto di un impegno costante, dove non si è mai guardato l’orologio. Ma ne è valsa la pena, perché vedere i figli che crescono, anche lavorativamente, ripaga di tutti gli sforzi compiuti in questi anni. Il futuro sono loro e sicuramente sapranno ancora andare avanti e migliorare ulteriormente l’attività. Il tempo è passato in fretta e la famiglia deve tornare al lavoro. Il cancello è ancora chiuso, ma alcuni clienti sono già in attesa (avranno fretta?). Siamo stati in un luogo dove famiglia e lavoro sono cresciuti insieme. Una bella esperienza, con tanto passato e, crediamo, con belle prospettive anche per il futuro.


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IL MONDO AGRICOLO INCONTRA I RICHIEDENTI ASILO L’esperienza di una azienda agricola di Racconigi di Anna Simonetti

Continua la nostra ricerca per conoscere le esperienze di imprenditori agricoli che nella passata stagione hanno impegnato nel lavoro dei campi alcuni dei richiedenti asilo della cooperativa “Liberi tutti”. È la volta di Marianna Bellonio, giovane imprenditrice (classe 1996), diplomata geometra, che dopo un breve praticantato in uno studio tecnico, ha deciso di gestire insieme al padre l’impresa agricola familiare di Racconigi. Nella scorsa stagione estiva avete dato lavoro ad alcuni dei richiedenti asilo del Carlo Alberto. Come giornale ci interessa conoscere e far conoscere questa esperienza e magari anche abbattere alcuni tabù che ci sono al riguardo, vuoi parlarcene? Di recente ho partecipato ad un convegno della Coldiretti a Napoli: noi giovani imprenditori ci siamo trovati a discutere sull’emigrazione e siamo stati tutti d’accordo sulla necessità di aprire le aziende agli immigrati perché sono gli unici a raccogliere la nostra offerta di lavoro. Offerta che non viene accolta dai giovani italiani disoccupati? Viene accolta, ma nel modo sbagliato: per avere la copertura dei turni, sono sufficienti 2 immigrati, se sono italiani ne occorrono 10 in quanto, poco abituati a questo genere di lavoro, lo trovano faticoso. Se poi sono minorenni, ci sono problemi burocratici: per assumerli devono fare la visita medica e se il medico legale dell’Asl è in ferie, salta tutto. Prima usavamo i voucher, ora però con la nuova normativa non è più possibile. Cosa producete? Prodotti orticoli e d’estate pomodori sia per uso industriale che per vendita al minuto. Assumiamo dal mese di giugno fino alla prima settimana di settembre: quest’estate avevamo tre ragazzi che raccoglievano nei campi e due sulla macchina che raccoglie e fa la cernita. Che tipo di contratto usate? Un regolare contratto di bracciante agricolo (6 € l’ora). Per quanto tempo? Dal mese di giugno i tre ragazzi per togliere l’erba e raccogliere nei campi, mentre i due sulla macchina dal 16 agosto al 30 settembre. Come è stata la vostra esperienza? Positiva sotto tutti gli aspetti: erano tutti africani, disponibili, puntuali, puliti. Arrivavano fin qui in bici, poi se dovevano lavorare fuori Racconigi, li trasportavo con la mia auto. Abbiamo avuto un bellissimo rapporto, sono giovani come noi e sono

gioiosi, anche se sono spesso in ansia per i famigliari specie se non riescono a contattarli. Per il pranzo? Portavano il pranzo al sacco fornito dalla cooperativa, la domenica mangiavamo tutti insieme. Erano scolarizzati? Qualcuno sì, parlavano poco italiano ma riuscivamo a capirci. Uno di loro ha imparato l’italiano da google perché quando è arrivato era l’unico africano tra tanti asiatici. È stato bello vedere la gioia di Adam e Bibi, entrambi senegalesi ma in due cooperative diverse, quando si sono incontrati! Non finivano più di parlare tra di loro nella loro lingua! Avete avuto problemi burocratici nel regolarizzare i contratti di lavoro? Che ruolo può avere la Coldiretti? Nessun problema e la Coldiretti ci assiste per tutta la parte burocratica, forniamo i dati del lavoratore (codice fiscale) e loro pensano al resto; noi dobbiamo portarli alla visita medica presso l’Asl. Seguite dei criteri particolari nella scelta dei lavoratori? In genere cerchiamo di non mescolare asiatici e africani, ma anche evitiamo di associarli con quelli dell’est europeo perché scattano delle forme di razzismo. Ora chi ha la stalla con le vacche cerca gli indiani, ma chi ha gli orticoli deve cercare senz’altro gli africani perché a differenza degli altri hanno la capacità di intuire il modo in cui va fatto il lavoro, sanno organizzarlo e capire come è più utile farlo. L’azienda deve essere messa a conoscenza della disponibilità di questa mano d’opera. Qual è il ruolo che può avere l’a-

zienda? Mohamed appena ha avuto il permesso di soggiorno, dopo 18 mesi, è subito uscito dalla protezione della cooperativa e per lui è stato scioccante ritrovarsi solo. Gli Sprar dovrebbero accoglierli per una formazione e per avviarli al lavoro, ma sono pochi rispetto al numero dei profughi. Ora noi, su indicazione di Matteo, una certa formazione sia sul lavoro, sia sulla gestione dello stipendio l’abbiamo fatta: davamo lo stipendio solo alla fine del mese, parte in contanti e parte con assegno per abituarli a considerare il valore del lavoro e quello dei soldi. In questo senso aziende come la mia, servirebbero più degli Sprar. Le aziende sarebbero disponibili a svolgere questo ruolo? L’azienda che prende a lavorare questi ragazzi deve avere una mentalità aperta, ma anche i cittadini devono aprirsi verso i giovani rifugiati. Cosa intendi dire? Un giorno è capitato che i ragazzi africani erano qui in cortile a trasportare cassette mentre una cliente ritirava il prodotto: la signora, che si rifornisce da noi perché è a km0, perché le verdure sono sane, buone e giuste, ha chiesto cosa facevano lì e avendo saputo che raccoglievano i pomodori, ha fatto una brutta faccia. Forse non verrà più! È molto grave quello che dici! Noi dell’azienda possiamo essere aperti quanto si vuole, ma i clienti non lo sono altrettanto. Noi giovani siamo abituati alla presenza di immigrati sin dall’asilo, ma le persone nella fascia d’età dai quaranta in su, no ed è facile che siano

chiuse verso l’immigrato specie se di colore. Pensate di impegnare questi ragazzi anche il prossimo anno? Sicuramente per quanto riguarda il pomodoro per l’industria, dobbiamo vedere se continuare per la vendita al dettaglio. Che atteggiamento hanno gli imprenditori nei confronti di questa mano d’opera? Se è un’azienda a conduzione familiare e riescono a fare i turni tra di loro, non ne hanno bisogno, ma se come nel mio caso, si è solo in due, ci si deve per forza rivolgere ad altri; per noi è senz’altro un’ottima opportunità perché questo lavoro è considerato dai giovani italiani di poco valore, anche se diamo da mangiare al mondo! Hai accennato al convegno della Coldiretti a Napoli, vuoi parlarne? A Napoli abbiamo presentato progetti di immediata realizzazione (fattoria didattica e campagna amica), ma noi giovani abbiamo voluto sottolineare l’importanza dell’etica lavorativa; non è possibile tollerare che, come accade in alcune zone della Campania, i lavoratori dopo 20 ore di duro lavoro, dormano sotto i camion. Si è proposto quindi, per chi osserva una certa etica, la possibilità di essere riconoscibili mediante un bollino sul prodotto. Certo si avrebbe un leggero aumento del costo e della burocrazia, ma visto il cattivo comportamento di certe aziende non se ne può fare a meno. D'altronde anche a Racconigi un’azienda ha pagato 2/2.50 euro l’ora il lavoro nei campi!


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ALFABETIZZANDO..... LE PAROLE DEI GIOVANI

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Ambiente ci nasce, Ambiente ci parla, Ambiente muore Mattia, III L - Liceo Scientifico

Diamo per scontato che l’unico ed esclusivo progresso consista nella tecnologia, nella ricerca del primato che prima ci onora, beffardo, e poi ci colpisce, in una realtà in cui la nostra voce o il nostro pensiero vale ben poco rispetto alle politiche incoerenti e sconsiderate alle quali noi, tiranni assoluti di un Pianeta unico, ci sottomettiamo in tutto e per tutto. Più persone che alberi è il paradosso che noi soli possiamo manipolare; ciononostante, stiamo iniziando a soffocare lentamente, mentre il numero di abitanti della Terra è prossimo allo sfiorare gli otto miliardi; eppure, tutto ciò viene accettato senza nemmeno tentare un compromesso, quando in realtà sappiamo il sovrappopolamento una delle grandi problematiche di oggi. La conferma di ciò ci viene data dall’ambiente, stanco e sfinito in quest’eterna battaglia contro avversari così scaltri, così sciocchi … L’acqua, così “humile et pretiosa et casta”, linfa vitale della vita stessa, scarseggia, ma non è un problema; l’inquinamento offusca il Sole, “bellu e radiante cum grande splendore”, ma non è un problema; l’impero delle sabbie, con la sua inesorabile avanzata, mangia giorno per giorno “coloriti flori et herba”, ma non è un problema. Non è mai un problema per noi, noi che continuiamo, per paura, a sperare in un domani migliore senza agire in alcun modo per provare a invertire l’errata rotta, e non a caso il mondo di

oggi è il limpido specchio del menefreghismo dei più: o per ignoranza, o per cinismo, che in fondo sono poi il medesimo concetto. In nome del Francesco di ieri, che celebrava il creato come simbolo della realtà di Dio, cui l’uomo si deve avvicinare con amore e umiltà, il Francesco di oggi, lucidamente cosciente della drammaticità della situazione in cui versiamo, si è fatto paladino della causa ambientale, sostenendo nell’enciclica “Laudato sì” la necessità di una conversione ecologica globale. Sono tante le parole che si fanno a riguardo, a livello italiano, europeo e mondiale, ma il cambiamento verso una vita più “verde” è scomodo e costoso, e questo basta a far desistere i governi ad attuare quelle riforme di cui non solo noi, ma tutta la Vita sul Pianeta necessita; e infatti proprio il rifiuto di alcuni Paesi agli Accordi di Parigi del 2015 rischia di far crollare per l’ennesima volta una fragile iniziativa a livello mondiale e di vanificare piccole grandi conquiste che non dobbiamo dimenticare: il buco dell’ozono ha iniziato a restaurarsi, le emissioni di anidride carbonica dell’ultimo anno sono generalmente più basse che nel pre-

Le coordinate della felicità

cedente, alcune iniziative per il rimboschimento dell’Amazzonia stanno prendendo piede nei paesi dell’America latina… Ma gli anni passano, sempre più caldi, come se fossero estranei alla nostra superficiale vita, e tuttavia verrà un giorno in cui Madre Terra si stancherà di sopportare, come fino ad ora ha fatto, presentandoci il conto e noi, colpevoli in tutto e per tutto, non avremo più possibilità di rimedio. Padroni del nostro futuro, come la storia ci ha insegnato, a ognuno di noi spetta il giudizio di sé stesso, e solo tramite l’alienazione dal dio Materia e la consapevolezza che rispetto per la natura significa rispetto della propria identità e che il martirio di questa ci rende carnefici di noi stessi, possiamo impostare un miglioramento: parola grande, sì, ma composta da piccoli gesti, dalla nostra raccolta differenziata, dalla scelta di una lampadina a basso consumo, dalla chiusura un po' più rapida di un rubinetto … Come Gandhi ispirava, “siamo il miglioramento che vogliamo vedere avvenire nel mondo”, perché qui di scherzi e di favole non ce ne sono mai state, qui stiamo giocando con la vita …

Cento

Classe IV A - Periti

Classe III E - Geometri

Victor Hugo ha scritto: "Che cos'è la coscienza? È la bussola dell'ignoto". Oggi, per noi studenti di quarta superiore, la bussola rappresenta lo strumento che guida alla realizzazione dei propri obiettivi: la strada verso il nostro Polo Nord. Per qualcuno i genitori sono la bussola della vita, un modello sempre valido da seguire; per altri, invece, gli amici, i fratelli più grandi e perfino gli idoli dello sport e del cinema sono diventati il nuovo punto di riferimento. Quello su cui tutti concordiamo, però, è che, giunti a questo punto della vita, le esperienze vissute, le abitudini e la quotidianità non bastano più e sentiamo il bisogno di confrontarci con situazioni nuove per capire chi siamo e trovare la felicità. Che cosa significa per noi, dunque, raggiungere il Polo Nord? È una questione di prospettiva: puntiamo tutti in alto, ma ognuno lassù vede un fine diverso. Stiamo orientando la nostra vita e le nostre fatiche verso progetti importanti: trovare un lavoro che ci dia soddisfazione, costruire una famiglia e, soprattutto, sperare di vivere una vita senza rimpianti. Abbiamo diciotto anni e a Racconigi siamo cresciuti e stiamo costruendo i nostri sogni. Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro e, nonostante la giovane età, siamo profondamente consapevoli delle difficoltà che ci aspettano prima di trovare la nostra strada. Ogni giorno osserviamo il mondo degli adulti, perché essi hanno trovato il loro posto nella società, ma spesso ci chiediamo: quanti hanno realmente realizzato quello che avevano sognato a diciotto anni? È difficile orientarsi e scegliere la strada giusta tra le mille possibilità che si aprono davanti a noi: per questo è meglio non dimenticare mai di seguire una buona bussola.

Cento, non è un traguardo ma solo l’inizio, un obiettivo, una conquista che ci spinge a fare di più. È il numero legato alle pubblicazioni del mensile della nostra città che, con grande entusiasmo da parte di tutti è riuscito ad arrivare fino a qui. Più di cento sono i pensieri e le frasi degli scrittori che ci danno un’idea di ciò che è il nostro paese. Non si deve guardare cento come una quantità, ma come una qualità, è una cifra tonda che per molti simboleggia qualcosa di speciale. È un numero che indica la pienezza, la completezza, l’assoluto, per questo viene utilizzato ad esempio per la percentuale. Cento è il numero dieci, simbolo di perfezione, moltiplicato per se stesso. Pitagora lo rappresenta nella tetrade come totalità e come fulcro della sua scuola; nella filosofia orientale il numero dieci è composto da uno e zero, dove uno rappresenta la creazione e zero l’annullamento, per cui insieme indicano sia la perfezione sia il dissolvimento di tutte le cose. Per noi il cento rappresenta un traguardo scolastico, poiché è il massimo punteggio ottenibile all’esame di stato. È vero, solo uno su cento ce la fa, ma noi non demordiamo e ci facciamo in cento per raggiungerlo, ricordandoci di pensare cento volte prima di parlare. #CENTO Cento gli amici col cuore sincero Cento paure nel buio più nero Cento le stelle nel cielo di luna Cento gli amori legati a ciascuna Cento le notti passate a sognare Cento i vascelli che solcano il mare Cento, ci credi? son questi giornali Cento saranno, se spieghiamo le ali.


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CONDIVISIONE, VICINANZA E ACCOGLIENZA:

LA PEDAGOGIA DEI GENITORI

gli operatori dell’Alambicco

“Siamo sicuri che quanto abbiamo in mente sia per la loro felicità e non per la nostra? La consapevolezza che solo lui è artefice di sé, timoniere del proprio veliero in Con questa frase vogliamo raccontarvi il modo in cui alcuni di noi, educatori del centro diurno Alambicco di Racconigi, ci siamo avvicinati alla metodologia “Pedagogia dei genitori”. La “pedagogia dei genitori” nasce a Torino in seguito ad attività che valorizzano il protagonismo dei genitori. “…Questa metodologia sottolinea che la famiglia è una componente essenziale e insostituibile nell’educazione. Spesso alla famiglia viene attribuito un ruolo debole e passivo che induce alla delega ai cosiddetti esperti. La famiglia possiede risorse e competenze che devono essere riconosciute dalle altre agenzie educative e sanitarie. Pedagogia dei genitori evidenzia la dignità dell’azione pedagogica dei genitori come esperti educativi, mediante iniziative mirate a promuovere conoscenza e la diffusione dei percorsi educativi che i genitori mettono in atto con i loro figli. La metodologia si pone come primo obiettivo quello di ascoltare i genitori, per imparare da loro un tipo

questa meravigliosa avventura chiamata vita. Vederti volare… Verso i tuoi sogni”. Tratto da “Genitori e figli… cercatori d’oro” di Luisa Colapinto e Vilma Fraire

specifico di pedagogia. Innanzitutto si tratta di imparare da loro la specificità dei figli. I genitori hanno il segreto della loro crescita, l’hanno condivisa. Hanno fatto progetti per e con loro. Hanno vissuto nello stesso ambiente. Conoscono le tradizioni e la situazione sociale nella quale i figli vivono. Essere genitori significa possedere un sapere generalizzabile che deriva dall’esercizio di questa funzione...” dice Riziero Zucchi. Due anni fa abbiamo scoperto, un po’ per caso, la pedagogia dei genitori e ci ha affascinato l’idea di guardare i nostri ragazzi attraverso gli occhi dei loro genitori, al di là della loro disabilità. Ci siamo domandati come potevamo conoscere al meglio questa metodologia, e abbiamo deciso di sperimentarla su noi stessi. È stato creato un gruppo formato da sette operatori, del nostro centro diurno, e due insegnanti della scuola elementare di Carmagnola già esperti nella conduzione di gruppi sulla genitorialità. Il percorso prevedeva tre serate nelle

Giugno 77- Meeting di Torino con Mennea

quali sono state proposte delle tematiche differenti (“Il migliore educatore della tua vita”, “un’esperienza in cui ti sei sentito diverso”, “raccontare un’esperienza di condivisione”) e ognuno di noi partecipava raccontandosi come figlio o genitore. Nonostante i tanti anni di conoscenza ci siamo riscoperti con altri occhi. Abbiamo condiviso le nostre debolezze e la forza che emergeva dai nostri racconti e abbiamo sperimentato quel senso di “vicinanza” che

l’ascolto empatico e non giudicante ti regala. “Accogliere” e “condividere” è una parte fondamentale del nostro lavoro e sperimentarlo su di noi, nel gruppo, è già di per sé un percorso di crescita. Vista la buona riuscita del nostro percorso abbiamo in progetto di proporre ai genitori dei ragazzi del centro, delle serate di conoscenza, confronto e condivisione sull’esperienza dell’essere genitori e/o figli.

Giugno 79 - Coppa dei campioni Lisbona per Iveco Club


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VOLLEY RACCONIGI: UNA PASSIONE OLTRE LA CATEGORIA Intervista a Michele Buo, presidente della rs volley Racconigi di Francesco Cosentino

Ciao Michele. Parlaci della realtà del volley racconigese In questo momento non stiamo passando un buon periodo: abbiamo bisogno di porre le basi per ricostruire la società. Negli anni ’90 eravamo riusciti a diventare un esempio per molte squadre, partendo dalla serie D e arrivando a disputare campionati di caratura nazionale, rimanendo imbattuti per ben 2 anni. Purtroppo qualcosa si è rotto e siamo scesi di categoria: dopo aver passato qualche anno disputando competitivamente cam-

pionati regionali di Serie C e Serie D abbiamo dovuto ridimensionarci ulteriormente e adesso ci troviamo a dover partecipare a manifestazioni provinciali. La prima squadra milita attualmente in Prima Divisione, ma considerando che l’età delle ragazze è molto bassa attualmente il nostro obiettivo primario rimane quello di vederle crescere sotto il profilo sportivo. Quanti anni hanno le ragazze? L’età delle nostre atlete per quanto riguarda la prima squadra varia dai 14 ai 21 anni. La maggior parte di loro però non supera i 16 anni e dover competere con compagini dotate di giocatrici con molta più esperienza può comprensibilmente mettere in difficoltà. Invece a livello giovanile com’è la situazione? Con le giovanili stiamo lavorando molto. Dall’anno scorso abbiamo avviato un progetto che permette alle bambine di avvicinarsi a questo ambiente sin dalla tenera età. Si

tratta di “Pallagiocando”: un corso dedicato interamente alle bimbe della scuola materna. È gestito da Fabiola Panero e Paola Panero, supportate da qualche genitore, ai quali va un ringraziamento per l’aiuto e il tempo che stanno donando per portare avanti questo PROGETTO. Con l’inizio delle elementari le piccole si affacciano al mondo della pallavolo vera e propria grazie al nostro corso di minivolley, per poi passare al volley grazie all’under 11. Per quanto riguarda le più grandi abbiamo un

numero di squadre iscritte ai campionati Under 12, Under 13, Under 15 e Under 16. L’ossatura portante di quest’ultima rosa di giocatrici è la stessa della prima squadra, ovvero tutte quelle ragazze nate nel biennio 2002-2003. L’opportunità di partecipare ad una manifestazione che riguarda esclusivamente le proprie coetanee permette alle pallavoliste di confrontarsi con atlete con la stessa esperienza, il che è importante per la loro crescita. Stiamo conseguendo buoni risultati e questo fa ben sperare per il futuro. Bisogna continuare a lavorare sulle giovani giocatrici e l’impegno da parte delle ragazze è fondamentale. Purtroppo a volte i genitori prendono sottogamba questo aspetto e si creano dei disagi, soprattutto di carattere organizzativo. Il lavoro che svolgono Paola e Fabiola Panero, Fabio Borile e Mario Porello con le giovanili, così come quello svolto da Massimo Simondi con la prima squadra

e tutti gli altri addetti ai lavori è esemplare e ha bisogno di essere ripagato con la volontà da parte di tutti di ricostruire qualcosa di importante. Cosa serve per poter tornare a disputare competizioni di livello superiore? Innanzitutto avremmo bisogno di maggiori fondi economici. La mancanza di sponsor importanti si fa sentire. Per poter convincere i migliori allenatori e le pallavoliste più brave a vestire questi colori è necessario poter garantire compensi adeguati. È anche grazie agli sponsor se durante gli anni d’oro del movimento del volley racconigese eravamo riusciti in quella fenomenale cavalcata verso le categorie più alte. Bisognerebbe cercare di trattenere le migliori, ma è sempre più difficile, data la forte concorrenza di squadre più forti e più attrezzate di noi. Partendo dalla nostra società alcune ragazze sono riuscite ad arrivare ad alti livelli, soprattutto in anni passati. Riuscissimo a far restare queste atlete il livello inevitabilmente si alzerebbe. Inoltre abbiamo gravi mancanze nel mantenimento delle strutture. Con il comune il rapporto è ottimo ed è palese la difficoltà nel reperire fondi, ma a mio avviso bisognerebbe investire molto di più nello sport. Le strutture che abbiamo a disposizione non sono a norma, serve un impianto nuovo, degli spazi più adeguati alla pre-

senza di bambini e che permettano un regolare svolgimento delle attività. Questo lo dico non solo per il bene della pallavolo, ma anche per tutte quelle discipline che utilizzano le nostre stesse strutture Avete mai pensato di affiancare alla pallavolo femminile qualche rappresentativa maschile? Avevamo provato un anno cooperando con Savigliano, ma è stato chiaro a tutti sin da subito che non c’erano i presupposti per continuare e purtroppo questo progetto non ha avuto un seguito. Sui ragazzi si può dire che hanno più difficoltà agli inizi, data soprattutto dalla diversità strutturale, ma con il passare del tempo acquisiscono più potenza e si migliorano tecnicamente.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) ITALIA Email:

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COSTRUIRE RELAZIONI CHE DURANO NEL TEMPO Il Doposcuola dell’Aquilone: un’esperienza che ha lasciato il segno segue dalla prima

Partendo dall’analisi della realtà in cui eravamo inserite (vedere) ci siamo rese conto di quanto la nostra città fosse carente di risorse e di spazi per i preadolescenti; dal confronto con il gruppo di cui facevamo parte (giudicare), incoraggiate dai nostri “vecchi” animatori e da don Aldo che, giunto da poco, aveva portato con sé una spiccata sensibilità verso le fasce più deboli, è nata l’idea (agire) di dar vita ad un’esperienza che potesse rispondere ai bisogni di sostegno scolastico e di aggregazione dei ragazzi della fascia 11-14 anni. Da subito il doposcuola si è inserito nel contesto dell’oratorio e ne ha sempre fatto parte a pieno titolo. Che cos’è, d'altronde, l’oratorio se non luogo di prevenzione? Il Doposcuola voleva essere questo: luogo di prevenzione per ragazzini di una fascia di età delicata, uno spazio semplice e accogliente dove tutti, bravi a scuola o problematici, potessero vivere la loro quotidianità: incontrarsi, stare insieme in modo positivo e costruttivo, fare i compiti, giocare, fare merenda, confrontarsi tra loro e con figure adulte di riferimento … cioè CRESCERE imparando a dare il meglio di sé e costruendosi un’identità capace di sostenerli nel cammino della vita. All'interno dell'oratorio il Doposcuola rappresentava proprio quella "soglia bassa" facilmente varcabile da tutti, di cui tanto sentiamo parlare oggi dall'Arcivescovo Cesare Nosiglia. Una "soglia bassa", segno di una Chiesa accogliente e stile di una Pastorale Giovanile autenticamente evangelica, adatta a confrontarsi con il nostro tempo; luogo in cui l'incontro, l'inclusione, l'integrazione fra diverse provenienze sociali, diverse abilità, diverse fedi e culture si vivevano nei fatti e non solo nelle parole.

Fin dall’inizio si sono coinvolte in questa bella "avventura" molte persone: giovani universitari, studenti delle superiori, insegnanti in pensione che, accomunati da una grande passione educativa e dal desiderio di dedicare

gratuitamente un po’ del proprio tempo ai più piccoli, hanno permesso al doposcuola di camminare in tutti questi anni. Ciascun volontario si è messo in gioco, si è spogliato delle sue sicurezze e si è fatto compagno di strada di questi ragazzi, molti dei quali faticosi e provenienti da contesti familiari e sociali difficili, e ha imparato, poco a poco, il vero significato del termine “educare”: tirar fuori, aiutare a far emergere e ad esprimere il meglio racchiuso in ognuno. Alcuni giovani volontari hanno maturato, proprio grazie all’esperienza del doposcuola la loro scelta professionale che li ha portati ad optare per lavori di tipo “educativo”. Per sua natura qualsiasi azione di prevenzione al disagio diventa gesto politico. Anche il doposcuola ha svolto quindi questo ruolo: rilevare un

bisogno e rispondervi perché nessun altro lo aveva ancora fatto assunse la funzione di stimolo politico. All'interno del lavoro di rete tra oratorio, famiglie, scuola e servizi sociali, è nata così l'esigenza di elaborare un pro-

getto di collaborazione tra Oratorio, Amministrazione Comunale e Cooperativa Laboratorio, che da sempre ha “fornito” figure educative qualificate e straordinarie, veri punti di riferimento per i ragazzi e collante per i volontari. Le Amministrazioni Comunali si sono avvicendate cambiando stile e appartenenza politica dei loro membri, ma il sostegno al Doposcuola non è mai stato messo in discussione da nessuno, così che volontariato, privato sociale, Scuola e Comune si sono spesi, ciascuno con serietà e competenza, per mantenere in vita e far progredire quello che era diventato un fondamentale luogo educativo per la nostra città. Consapevoli del pericolo dell'autoreferenzialità, da subito il doposcuola si è coordinato con altre realtà simili. Per parecchi anni con molti dei volontari abbiamo assiduamente frequentato il Coordinamento Doposcuola della Gi.O.C. di Torino, dove abbiamo vissuto tutti un'importante esperienza di formazione e di condivisione, incontrando laici e religiosi innamorati delle nuove generazioni che ci hanno insegnato a leggere la realtà dei ragazzi che incontravamo non come un problema, ma come un'opportunità di crescita. Per questo ora il nostro pensiero e la nostra gratitudine vanno a don Mario Operti (allora Assistente nazionale Gi.O.C. e poi Vicario della Diocesi di Torino) che ci ha sempre sostenuto con la sua presenza, con la sua competenza e con la sua amicizia. Don Mario sottolineava l'importanza della relazione con i ragazzi e ci ricordava che "lo svolgimento dei compiti mentre restituisce al ragazzo il diritto di cittadinanza in classe, diventa per

l'operatore il veicolo di una relazione di fiducia e, talvolta, di complicità, che va rafforzandosi nel tempo e nel tempo dura"; ed è stato proprio così. Quelle relazioni costruite davanti ai libri di scuola o intorno ad un calcetto, seppur in un contesto apparentemente banale, hanno avuto la forza di durare nel tempo. Desideriamo quindi concludere questo nostro racconto sull’esperienza del doposcuola con una lettera aperta ai ragazzi che in questi 27 anni abbiamo incontrato, conosciuto, accompagnato, di cui conserviamo tutti i nomi e le cui storie ci hanno coinvolto, perché nessuna relazione autentica passa inosservata nella vita delle persone … e per noi è stato proprio così! Carissimi ragazzi che avete varcato la soglia dell’oratorio, che avete cercato uno spazio di svago o un luogo di protezione, voi tranquilli e voi rompiscatole, voi studiosi e voi pieni di difficoltà, voi simpatici e voi difficili da sopportare, voi diligenti e voi svogliati, sappiate che siete stati i veri protagonisti di questa magnifica esperienza che, pur con tutte le sue difficoltà, ha camminato proprio sulle vostre gambe. Siete stati al centro di tante discussioni, abbiamo parlato di voi in tante riunioni perché abbiamo sempre avuto a cuore la vostra storia; vi abbiamo accompagnato con passione e con cura nel vostro percorso della scuola media e abbiamo continuato a seguirvi, come abbiamo potuto, nel cammino della vita.Vi chiediamo SCUSA se potevamo fare di più e meglio … Vi diciamo GRAZIE per il segno che ciascuno, a modo suo, ha lasciato nel nostro cuore …


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IL RECUPERO SCOLASTICO: RIPETIZIONI O RELAZIONI? L’amato doposcuola di Racconigj cambia faccia. Non si giocherà più. di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Quest’anno il conosciutissimo doposcuola della città non sarà più lo stesso. “Se cambia il Re, cambiano le regole” è un vecchio detto. E visto che la monarchia pare essere ancora permessa nella chiesa, il nuovo parroco, giunto a Racconigi a piedi giunti, ha cambiato tutto, anche l’amato e consolidato doposcuola che per 25 anni ha “salvato” dalla bocciatura, ma soprattutto “dalla strada” tantissimi ragazzini. A casa lo staff che lo aveva “sognato”, creato, migliorato e reso un punto di riferimento molto efficace. Ridotte al minimo le attività ricreative, le partite al pallone. Saranno 2 ore intense sui quaderni… Ma… Lo sapete che, togliendo il gioco in oratorio e concentrando il doposcuola sullo studio, questa nuova “ripetizione parrocchiana” servirà solo a chi la scuola l’ha già un po’ consolidata nel suo DNA? Sono passati 150 anni dalle intuizioni di don Bosco, grande educatore che ha “recuperato” dalla strada e dall’ignoranza un sacco di ragazzi attraverso l’oratorio, luogo di gioco e di serietà intrecciati insieme. Lo sanno bene i maestri di strada di Napoli che lavorano con chi la scuola l’ha rimossa dal proprio immaginario: la ripetizione puramente scolastica non porta da nessuna parte e viene evitata da chi è convinto di “non essere fatto per la scuola”. Non ha bisogno di spiegazioni chi in Italia ha lavorato per anni e anni con i ragazzini in disagio scolastico, chi si è formato e si è tirato su le maniche per restituire opportunità a chi è a rischio dispersione: solo la relazione può faticosamente aprire una breccia nel cuore rinunciatario di tanti scolari dormienti e far intravedere la possibilità di appassionarsi allo studio, quindi recuperare le insufficienze scolastiche. La RELAZIONE. Quanti insegnanti ignorano ancora il potere enorme di essa: entrano in classe a elargire il loro sapere senza fermare il loro sguardo su ogni allievo, senza sintonizzarsi con le differenze che ognuno di essi porta. Eppure è la relazione l’unica arma possibile per riscattare chi si è

perso per strada e si è allontanato dal piacere di imparare. Ma cosa c’entra il gioco? È chiaro a tutti che una relazione si instaura molto più facilmente con un pallone che non con una penna. Il pallone pone i giocatori alla pari. Accade spesso che il ragazzino in dispersione scolastica sappia giocare meglio del suo maestro: egli scatta, corre veloce, dribbla, tira in porta e fa gol. Ha un motivo per sentirsi grande e gli si riempire il cuore d’orgoglio… cosa che la penna difficilmente riesce a fare. È assolutamente improbabile che un allievo disperato possa pareggiare col maestro nello studio di qualche materia o nello svolgimento un compito. Sarà un cimitero d’errori che inevitabilmente il maestro dovrà sottolineare, ponendo suo malgrado la relazione su due piani differenti. Ed ecco il punto: il ragazzino che a scuola ci va solo per obbligo, sa bene di non essere alla pari né del maestro né dei compagni; gli è già chiaro di valere ben poco e per evitare questo dolore, si allontana da ogni nuovo apprendimento, facendoci vedere che non gliene frega proprio nulla di imparare. Un doposcuola per “sgarrupati” funziona solo quando il ragazzino inizia ad affezionarsi ai suoi maestri pomeridiani che giocano con lui, che lo accolgono, che comprendono i suoi tempi e la sua rinuncia, che trovano mille forme per valorizzarlo, che sanno ridere e scherzano volentieri con lui e poi, solo più tardi, riescono a sedersi insieme per fare i compiti seriamente. E c’è dell’altro. La bellezza di un riscatto non avviene solo nella relazione con un maestro, ma anche con i propri pari. E nel doposcuo-

la dell’oratorio di Racconigi per 25 anni si è realizzato un magico intreccio tra “asinelli e secchioni”, i primi accompagnati da genitori disperati che non sapevano come far recuperare le insufficienze ai loro fanciulli svogliati, i secondi perché mamme e papà lavoratori, soli, sempre di corsa avevano trovato una casa sicura per i loro pargoli. Se si fossero fatti solo i compiti, sarebbe accaduto esattamente lo stesso “teatro” che emergeva in classe: i bravini a scrivere e studiare per bene e i monelli a disturbare, tutti impegnati ad indossare le solite maschere e recitare la parodia conosciuta. E anche gli educatori avrebbero dovuto per forza, prima o poi, lodare i primi e rimbrottare i secondi, ripetendo anch’essi la stessa parte già recitata a scuola. Invece no. Al doposcuola c’erano le partite, le merende, le chiacchierate, le attività… occasioni preziose per “ribaltare la scena” e metter in luce le abilità di chi fa più fatica a scuola così da intrecciarle con quelle di chi solitamente riesce meglio. Ecco la forza e il segreto di un impegno educativo e sociale che diventa vera prevenzione della dispersione scolastica. Tutte le altre forme di pseudo-doposcuola sono “altro” e andrebbero chiamate più sinceramente “ripetizioni”. Sono sempre esistite e sempre esisteranno e sono cosa buona, ma non c’entrano nulla con il bellissimo lavoro svolto per 25anni nella nostra città da chi è riuscito a restituire dignità e nuove opportunità a tantissimi ragazzi. I ringraziamenti di tantissime mamme e papà e di tantissimi insegnanti va a tutto lo staff, in particolare a Manu e Silvy (Manuela Milanesio e Silvana Gallo), le anime di questo magnifico lavoro, ora elegantemente congedato.


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LA NON VIOLENZA 70 ANNI DOPO GHANDI

Le riflessioni di Thich Nhat Hanh, monaco vietnamita esiliato a cura di Grazia Liprandi

"Durante la guerra in Vietnam, c’erano molte ingiustizie, e furono uccise molte migliaia di persone, fra le quali molti miei amici e discepoli. Ero molto arrabbiato. Una volta venni a sapere che la città di Ben Tre, una città di trecentomila abitanti, era stata bombardata dall’aviazione americana solo perché alcuni guerriglieri erano scesi in città e avevano cercato di abbattere gli aeroplani americani. I guerriglieri non ebbero successo, e dopo quel tentativo se ne andarono. E la città fu distrutta. In seguito il militare che si era reso responsabile di ciò dichiarò che aveva dovuto distruggere la città per salvarla. Ero molto arrabbiato. Ma a quel tempo ero già un praticante, un solido praticante. Non dissi nulla, non feci nulla, perché sapevo che agire o dire cose mentre si è arrabbiati non è saggio. Può creare molta distruzione. Tornai a me stesso, riconoscendo la mia rabbia, abbracciandola, e guardai profondamente nella natura della mia sofferenza. Nella tradizione buddista abbiamo la pratica del respirare in presenza mentale, del camminare in presenza mentale, allo scopo di generare l’energia della presenza mentale. È esattamente con questa energia che possiamo riconoscere, abbracciare e trasformare la nostra rabbia. La presenza mentale è il tipo di energia che ci aiuta a essere consapevoli di ciò che sta avvenendo dentro di noi e intorno a noi, e tutti possono essere in presenza mentale. Se bevete una tazza di tè e sapete che state bevendo una tazza di tè, questo è bere in presenza mentale. Quando inspirate e sapete che state inspirando, e concentrate la vostra attenzione sull’inspirazione, questa è consapevolezza della respirazione. Quando fate un passo e siete consapevoli che state facendo un passo, questo si chiama consapevolezza del camminare. La pratica basilare nei centri Zen, nei centri di meditazione, è quella di generare la presenza mentale in ogni momento della vita quotidiana. Quando siete arrabbiati, siete consapevoli di essere arrabbiati. E’ perché avete già in voi l’energia della presenza mentale creata dalla pratica che potete averne a sufficienza per riconoscere, abbracciare, guardare in profondità e capire la natura della vostra sofferenza. Io riuscii a capire la natura della sofferenza in Vietnam. Vidi che non solo i vietnamiti soffrivano, ma anche gli americani soffrivano durante quella guerra. Il giovane americano mandato in Vietnam per uccidere ed essere ucciso era sottoposto a molta sofferenza, e la sofferenza continua ancora oggi. La famiglia soffre, e anche la nazione. Io potei vedere che la causa della nostra sofferenza in Vietnam non erano i soldati americani. Era una politica non saggia. Era un equivoco. Era la paura che stava al fondamento della politica. Molti in Vietnam si sono dati fuoco per chiedere che la distruzione cessasse. Essi non volevano provocare dolore ad altri, ma prendere il dolore su di sé affinché passasse il loro messaggio. Ma il rumore degli aerei e delle bombe era troppo forte. Poche persone al mondo furono in grado di sentirci. Così decisi di recarmi in America e invocare una cessazione della violenza. Questo avvenne nel 1966, e a causa di ciò mi fu impedito di fare ritorno a casa. E da allora, dal 1966, ho vissuto in esilio. Ho potuto vedere che non è l’uomo il vero nemico dell’uomo. Il vero nemico è l’ignoranza, la discriminazione, la paura, l’avidità, e la violenza. Non odiavo il popolo americano, la nazione americana. Venni in America a invocare quel guardare in pro-

fondità che avrebbe consentito al vostro governo di rivedere quel tipo di politica. Ricordo che incontrai il Segretario della Difesa Robert Mac Namara. Gli dissi la verità circa la sofferenza. Egli si trattenne con me a lungo e mi ascoltò profondamente, e io fui molto grato per la qualità del suo ascolto. Tre mesi dopo, quando la guerra si fece più intensa, venni a sapere che si era dimesso dal suo incarico. Odio e rabbia non erano nel mio cuore. Fu per questo che molti giovani del mio paese mi ascoltarono, quando li invitai a seguire il cammino della riconciliazione, e insieme collaborammo nel dare vita alle nuove organizzazioni per la pace a Parigi. […] Nella psicologia buddista, siamo soliti parlare della coscienza in termini di semi. Abbiamo il seme della rabbia, nella nostra coscienza. Abbiamo il seme della disperazione, della paura. Ma abbiamo anche il seme della comprensione, della saggezza, della compassione, e del perdono. Se sappiamo come innaffiare il seme della saggezza e compassione in noi, quel seme, questi semi si manifesteranno come energie potenti che ci aiuteranno a compiere un gesto di perdono e compassione. Ciò basterà a recare un immediato sollievo alla nostra nazione, al mondo. […] C’è molta sofferenza nel paese, e molte persone sentono che la loro sofferenza non è capita. Per questo i politici, i membri del Parlamento, i membri del Congresso devono allenarsi nell’arte dell’ascolto profondo – l’ascolto del loro stesso popolo, l’ascolto della sofferenza nel paese, perché nel paese c’è ingiustizia, c’è discriminazione. Molti di essi vivono nella disperazione, molti soffrono a causa di ingiustizia e discriminazione. La quantità di violenza e disperazione in loro è enorme. Ma se come nazione sappiamo come ascoltare la loro sofferenza, già possiamo recare molto sollievo. Essi sentiranno di essere capiti. Già questo è sufficiente a disinnescare la bomba.[…] Una volta che sarà ristabilita la comunicazione, la pace sarà possibile. Quest’estate, un gruppo di palestinesi è venuto a Plum Village e ha praticato con un gruppo nutrito di israeliani. Abbiamo favorito la loro venuta offrendo loro facilitazioni per il soggiorno e abbiamo praticato insieme. In due settimane hanno imparato a sedersi insieme, a camminare insieme in presenza mentale, ad apprezzare i pasti in silenzio in comune e a sedere tranquillamente per ascoltarsi l’un l’altro. La pratica così assimilata ha avuto molto successo. Alla fine delle due settimane di pratica una signora ha detto: “Thây, per la prima volta nella mia vita vedo che la pace in Medio Oriente è possibile.” Un altro giovane ha detto: “Thây, appena arrivato a Plum Village non credevo che fosse qualcosa di reale, perché nella situazione del mio paese si vive costantemente nella paura e nella rabbia. Quando i nostri bambini salgono sull’autobus non siamo sicuri che torneranno a casa. Quando andiamo al supermercato non siamo sicuri di sopravvivere e di tornare alla nostra famiglia. A Plum Village vedi le persone guardarsi con amore, parlare gentilmente con gli altri, camminare in pace e fare ogni cosa in presenza mentale. Noi non credevamo che ciò fosse possibile. Non mi sembra vero.” Ma nelle condizioni di pace di Plum Village, essi erano capaci di stare insieme, di vivere insieme, e di ascoltarsi l’un l’altro, e alla fine la comprensio-

ne è arrivata. Essi promisero che tornati in Medio Oriente avrebbero continuato la pratica. Organizzeranno incontri di pratica una volta alla settimana a livello locale e una giornata di presenza mentale a livello nazionale. E contano di tornare a Plum Village in un gruppo più numeroso per continuare la pratica. Penso che se nazioni come l’America organizzassero ambienti di questo genere, dove le persone possono incontrarsi e trascorrere il tempo praticando la pace, sarebbero in grado di calmare le loro emozioni, la loro paura, e i negoziati di pace sarebbero molto più facili. Ovunque nel mondo ci sono persone che considerano la vendetta come il loro desiderio più profondo. Queste persone diventano terroristi. Quando il rancore e la vendetta sono il nostro desiderio più profondo, anche noi soffriamo terribilmente. Il rancore non può essere una risposta al rancore; ogni violenza è ingiusta. Rispondere alla violenza con la violenza può soltanto portare maggiore violenza e ingiustizia, maggior sofferenza, non solo agli altri, ma a noi stessi. Questa è la saggezza che è in ognuno di noi. Abbiamo bisogno di respirare profondamente, di diventare calmi per toccare il seme della saggezza. Io so che se il seme della saggezza e della compassione del popolo americano potesse essere innaffiato regolarmente per l’arco di una settimana, esso porterebbe molto sollievo, ridurrebbe la rabbia e il rancore. E l’America sarebbe capace di compiere un gesto di perdono che darebbe un grande sollievo all’America e al mondo intero. Per questo il mio suggerimento è praticare la calma, l’essere concentrati, innaffiare i semi di saggezza e compassione che sono già in noi, e imparare l’arte della consumo consapevole. Questa è una vera rivoluzione, il solo tipo di rivoluzione che può aiutarci a uscire da questa difficile situazione, nella quale la violenza e il rancore prevalgono." Conferenza tenuta da Thich Nhat Hanh il 25 settembre 2001 alla Riverside Church di New York

Thich Nhat Hanh, mona-

co zen, poeta e costruttore di pace, è nato nel 1926 in Vietnam. Nel 1967 è stato cadidato al Nobel per la pace da Martin Luter King. Nel 1982 ha fondato Plum Village, centro di pratica in Francia ancora attivo; conduce ritiri in tutto il mondo sull'arte del vivere la consapevolezza. Thich Nhat Hanh è tra i promotori del "Buddhismo Impegnato", movimento che mette in relazione le pratiche meditative tradizionali con la nonviolenza e l'attenzione ai problemi ambientali.


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SOSTIENI IL TUO GIORNALE

Ancora una volta siamo qui a chiederti un contributo per poter distribuire, sempre gratuitamente, il nostro insonnia sul territorio racconigese e, ormai, anche al di fuori di esso. Se ci sosterrai, come segno della nostra riconoscenza, ti consegneremo insonnia direttamente a casa,

nella tua buca delle lettere. Poter ancora contare su di te significa, per noi, che continui ad aderire a quel progetto che avviammo nel lontano 2008, esattamente 100 numeri fa! Un traguardo, non un punto di arrivo. GRAZIE!!!

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Cin

Cinema TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI di Cecilia Siccardi

Ebbing, Missouri. Mildred Hayes, a un anno dall’omicidio della figlia adole-

Lib

Libri a cura di Barbara Negro

Chi è Hala Jaber e perché questo titolo. Leggo nel retro di copertina: “Originaria di Beirut, vive a Londra , dove scrive per il Sunday Times. Ha vinto IL British Press Award come migliore corrispondente estera nel 2005 e nel

scente, decide di dichiarare guerra alla polizia locale, che secondo lei non ha indagato abbastanza a fondo per scoprire la verità. La donna decide quindi di affittare tre cartelloni pubblicitari inutilizzati, su cui fa affiggere tre provocatori messaggi: “stuprata mentre moriva”, “e ancora nessun arresto”, “com’è possibile, sceriffo Willoughby?”. Sarà proprio il suo attacco personale verso lo sceriffo, membro molto stimato in città e malato terminale di cancro, a provocarle l’inimicizia di tutta la comunità: se fino a quel momento i concittadini avevano dimostrato solidarietà a Mildred per la sua tragedia, nessuno sembra appoggiare la sua crociata contro la polizia. Fra chi la osteggia c’è anche Jason Dixon, un giovane poliziotto con problemi di violenza e alcolismo, che vede lo sceriffo Willoughby come un mentore; svolte inaspettate sono però all’orizzonte…

Tre manifesti a Ebbing, Missouri, diretto da Martin McDonagh (In Bruges, 7 psicopatici), è uscito nelle sale l’11 gennaio. Il film è stato presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia, dove ha ricevuto molti applausi; ha inoltre ricevuto sei nomination agli ultimi Golden Globes, vincendo in quattro categorie (Miglior Film Drammatico, Miglior Attrice in un Film Drammatico, Miglior Attore Non Protagonista e Miglior Sceneggiatura). Si tratta dunque di un forte candidato a sbancare ai prossimi Oscar: punti forti sono la vicenda raccontata in sé, una sceneggiatura brillante e un cast stellare, che include Frances McDormand, Woody Harrelson e Sam Rockwell nei ruoli principali. È una storia di dolori e solitudini, con una vena di umorismo ma anche di malinconia: si piange, si ride e si riflette, per una serata al cinema che non vi de-

luderà. Consigliato.

2006 per i suoi servizi sulla guerra in Iraq." Alì e Rasmiyeh sua moglie, insieme ai loro 7 figli, sono in auto, fuggono da Bagdad bombardata dagli americani, quando un aereo sgancia una bomba sul loro cielo: nell’esplosione muoiono tutti tranne Zahra di 3 anni che riporta ustioni sull’80% del corpo e Havra di pochi mesi che rimane incolume. È il 4 aprile 2003 e le forze militari della democratica America bombardano la città al fine di distruggere il regime di Saddam, le armi nucleari mai trovate e “portare la democrazia” in questa parte del mondo. Il Sunday Times chiede a Hala di trovare e documentare storie di bambini sfregiati dalla guerra al fine di poter raccogliere fondi da destinare alle cure dei bambini stessi. Hala, che per 10 anni ha cercato in tutti i modi di realizzare il sogno di diventare madre, supera la sua vicenda personale e nell’ospedale pediatrico incontra Zahra mortalmente

ferita, assistita da una nonna distrutta dalla perdita di tutta la famiglia e dalla silenziosa sofferenza della nipotina. Nelle pagine più belle e commoventi del suo racconto, Hala Jaber scrive pagine dolorose sulle conseguenze della guerra sulla popolazione civile, descrive le mutilazioni dei bambini, la loro forza d'animo e la loro disperazione nel ritrovarsi senza arti, privati per sempre di quelle poche opportunità che la vita avrebbe potuto offrire loro nella parte del mondo in cui sono nati.

Il libro è disponibile presso la Bibliteca civica di Racconigi

p.s.: il tappeto volante è il desiderio/ sogno di Hala di portare Zahra via dal dolore delle ustioni e della perdita della sua famiglia.

Hala Jaber “La bambina sul tappeto volante” 2009, pp. 294, € 19.00 Editore: Rizzoli


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Musica Michele Grazia

FOLLI VOLI di Giuseppe Cavaglieri

Si intitola FOLLI VOLI il nuovo disco di Grazia Di Michele. Dopo aver firmato 15 album in studio e aver scritto centinaia di canzoni, anche per altri artisti, per la

numerocento prima volta, in oltre trent’anni di carriera, Grazia Di Michele si presenta al mercato discografico nella veste di pura interprete, prestando la sua voce a capolavori della musica cantautorale mondiale. Con l’aiuto di Alberto Zeppieri, produttore di respiro internazionale, con grande esperienza nell'adattamento creativo in italiano di canzoni nate in altre lingue, Grazia Di Michele ha scelto 11 brani di grande suggestione, con una forte anima popolare, riproponendoli in versioni del tutto nuove e soprattutto in lingua italiana. Ad accompagnare Grazia in questo viaggio intorno al mondo ci sono featuring d’eccezione: da Kayah, una delle più apprezzate interpreti polacche, che duetta in Vele al vento (Embarcaçao), a Kaiti Garbi (che duetta in Anime, la riproposizione in italiano di Anemos, la ballata greca che ha anticipato l’uscita del disco),

Febbraio 2018 fino a Ivan Segreto: il cantautore impreziosisce con la sua voce di cristallo proprio il brano che dà il nome all’album Folli Voli, riproposizione di Falling Slowly, portato al successo in tutto il mondo e all’Oscar da Glen Hansard e Markéta Irglová. Ma in FOLLI VOLI c’è anche il vento irlandese di Damien Rice (di cui viene riproposta Non so guardare che te, versione della bellissima The Blower's Daughter), la fiducia tutta americana di Vita che prendi a morsi (versione di Life Is A Rollercoaster di Ronan Keating), l’allegria del Brasile, in Fico Assim Sem Você di Adriana Calcanhotto, la fede di Noa e della sua Uri, cantata in italiano e israeliano, la musica mediterranea e spirituale di Marta Gómez e Idan Raichel di cui vengono riproposti Casa mia (Cada dia) e Tutte le parole (Todas palabras), la saudade cubana di Manuel Argudin

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di cui viene eseguita Aroma d'Invierno e l’energia capoverdiana di Cesaria Evora e della sua Saia Travada (Quest’amore). Il CD si chiude con una bonus track: si tratta di Come la musica, brano inedito che porta la firma di Bungaro, a sugellare l’origine e la destinazione di un viaggio fatto di melodie, ritmo e armonie. Di musica, appunto.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Bruna Pachetta Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo, Elisa Reviglio, Francesco Cosentino Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Da quanto detto, si desume che la nostra non può essere la semplice ricerca della notizia; un mensile non può gareggiare in tempestività con altri mezzi di comunicazione. In ogni caso non abbiamo questa aspirazione. Questo non significa però che non si faccia informazione anzi ci sembra di fare informazione di qualità; dalle inchieste sul lavoro ai migranti, dal mondo della disabilità a quello dello sport, dalle vicende racconigesi ai grandi temi nazionali alle piccole esperienze locali. Ci manca pure la forza organizzativa di essere un giornale di denuncia; sono altri i giornali che hanno i mezzi per sopportare le eventuali e pesanti conseguenze che potrebbero derivare dalle inchieste. Fino ad ora, dei fenomeni che affannano la nostra realtà sociale abbiamo semplicemente cercato di esprimere una visione e una interpretazione ponderata, una riflessione personale, non di schieramento, alcune volte discussa al nostro interno, altre volte totalmente elaborata in proprio. A volte abbiamo anche proposto possibili soluzioni. Abbiamo portato critiche sia politiche che sociali alle scelte delle varie Amministrazioni, ma mai con giudizi formulati per “partito preso” o volti ad attacchi puramente personali. Abbiamo, allo stesso modo, approvato le scelte ritenute po-

sitive dopo analisi obiettive e ponderate. Questo sforzo (riuscito?) ha coinvolto molti altri collaboratori, saltuari o continuativi, anche non racconigesi perché i temi che trattiamo non sempre possono fermarsi a noi; così questi amici, pur parzialmente estranei alla nostra realtà, hanno arricchito le pagine del giornale con i loro pensieri. Il fatto stesso che, nella stima reciproca, abbiano accettato di collaborare, è stato per noi un onore e un vanto. Tutto questo, senza appoggi economici o politici e senza far uso di sostanze; stupefacente è solo il fatto di essere arrivati fino a qui. Ora l’obbiettivo che ci proponiamo, e auspichiamo di realizzare, è un lento ma graduale aumento del numero dei redattori in modo da arricchire di pensiero il nostro mensile e giungere al rinnovamento del gruppo redazionale. Crediamo che solo in questo modo si potrà parlare di “apertura”, a nuovi pensieri autentici e “originali”. Questo numero cento esce significativamente con una nuova iniziativa che viaggia in questa direzione: aprire le pagine ai giovani della scuola, coordinati dai loro insegnanti. Autonomamente, potrebbero in seguito, se lo vorranno, conquistarsi altre pagine. Questo è un inizio. Qui in fondo, vogliamo espri-

mere un grazie a tutti coloro che hanno percorso un pezzo di strada insieme a noi e a coloro che anonimamente ci hanno versato un contribuito consentendoci di regalare ai lettori il

nostro piccolo giornale. Grazie, senza di voi questa esperienza non avrebbe potuto neppure iniziare. a cura della Redazione

2018

entro dicembre 2018 Tel 371 1529504

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