INSONNIA Febbraio 2017

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7 NI 201 O I Z I R C SOTTOS Insonnia n° 90 Febbraio 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 Duemiladiciassette: sei domande da porci Prima di fare domande rivolte all’esterno, è necessario che ne facciamo una preliminare al nostro interno. Una semplice riflessione tra noi “insonni”: nei nostri articoli siamo troppo spesso teorici o “filosofici”, come ci ha definito un nostro lettore? È probabile che sia veramente così, ma in un momento di crisi economica e sociale ci viene spontaneo discutere di temi ampi, generali: un approccio che per noi vuol dire andare alla ricerca di un perché a ciò che sta capitando, e magari per trovare una direzione da percorrere per invertire una marcia che ci sembra andare in una direzione sempre più pericolosa. Teorizzato un pensiero guida, ci impegneremo però anche per essere più pratici. Passiamo quindi alle riflessioni più contingenti. Domanda numero uno Stabilito quali saranno gli schieramenti e i candidati sindaci che li rappresenteranno, quali saranno i programmi che presenteranno agli elettori? In passato abbiamo visto che questi, spesso, non avevano sostanziali differenze. Se sarà ancora così, ci ritroveremo a votare sulla base della simpatia, dello charme, della capacità di parlare, della credibilità personale di ogni candidato sindaco piuttosto che sul contenuto delle proposte dello schieramento. Domanda numero due Con la prossima amministrazione cadrà finalmente il Neuro? Ci sarà qualcuno che si prenderà la responsabilità di firmare l’ordine di abbattimento? Oppure si dovranno progettare transenne permanenti - ed eleganti, modello Savoia - per bloccare via Ormesano? E cosa ne sarà del Parco dell’ex Manicomio? Potrà essere fruibile, come crediamo sia giusto, in una forma che possa arricchire la cultura ed il benessere dei cittadini racconigesi e di tutti? E chissà se, mentre si affronta il tema degli abbattimenti, il 2017 vedrà finalmente la definitiva caduta dell’ormai monumentale zuccherificio?

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EMERGENZA

A QUALI RISCHI ED EMERGENZE SONO ESPOSTI IL TERRITORIO E LA POPOLAZIONE DI RACCONIGI? Alcune indicazioni estratte dal piano comunale di protezione civile di Marco Capello

In Castello “Come fiori nel vetro”

Allestimento a cura di Progetto Cantoregi in ricordo degli ebrei deportati a cura di Guido Piovano

Come ci dimostrano le continue emergenze che stanno colpendo il nostro paese, dal terremoto nelle Marche all’alluvione della Val

Tanaro, viviamo in un territorio molto fragile e soggetto a tantissimi rischi ed emergenze.

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Un esempio di sinergia tra Comune, Associazioni e volontari

L’ASSISTENZA A RACCONIGI Facciamo il punto su Banco Alimentare e Banco Vestiario con la consigliera Rinuccia Bergia a cura di Anna Simonetti

Qualche giorno fa è pervenuto in redazione un comunicato relativo all’attività svolta dal “Banco alimentare” di Racconigi dall’ottobre 2012 a tutto il 2016. Per meglio conoscere l’attività di questo settore, mi sono rivolta alla consigliera con delega al volontariato Rinuccia Bergia.

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All’inaugurazione di venerdì 27 gennaio Giornata della Memoria sono intervenuti, insieme a numerosi visitatori, il Direttore del Castello arch. Riccardo Vitale, il sindaco di Racconigi Gianpiero Brunetti e Marco Pautasso, direttore artistico di Cantoregi. Il loro è stato un accorato appello affinché la memoria del passato si proietti nel futuro che si apre alle nuove generazioni in modo che quanto tragicamente accaduto allora non abbia più ad accadere. L’allestimento scenografico di Cantoregi, sotto la regia di Koji Miyazaki, vuole unire la storia locale alla storia del mondo ed è in questa prospettiva che sale dai relatori un monito contro l’odierna erezione di muri, vere barriere all’accoglienza e simbolo di divisione. Mentre inizia la performance in tutti è vivo il ricordo dell’allestimento che lo scorso anno fu curato da Vincenzo Gamna e Mario Monasterolo, oggi non più tra noi.

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Gatte da pelare

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LE STORIE DI MARIO

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AIKIDO pag. 10

Raccontami il Neuro

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“passapORTO.bio” Adamo l’immortale Il secondo “viaggio” per la coltivazione di un ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE di Anna Maria Olivero Dopo il successo dell’esperienza dello scorso anno, Solare Collettivo Onlus organizza il secondo “viaggio” per la coltivazione di un ORTO SANO, SALUTARE, SOSTENIBILE. Un’ opportunità, a disposizione di tutti gli appassionati dell’orto, per incontrarci e condividere dubbi, conoscenze ed esperienze per scoprire tutti i segreti della coltivazione biologica e permettere quindi di ottenere un orto eccellente, salutare e sostenibile riducendo/ eliminando l'utilizzo di pesticidi e concimi chimici, dannosi come ben sappiamo per il pianeta e dannosi allo stesso tempo anche per la nostra stessa salute. Quest’anno il corso è stato organizzato in collaborazione con il Polo Museale del Piemonte-Real Castello e Parco di Racconigi che ci ha messo a disposizione la sala per gli incontri e il Parco ed il “meleto” per le uscite/esercitazioni. Il corso si terrà a Racconigi - sala conferenze presso il Castello di Racconigi - ingresso dalla portineria di via Morosini 3. Interverranno: - Cristina MARELLO Agronomo specializzato in fitoiatria alla facoltà di agraria di Torino; - Rinaldo ROLFO Perito Agrario, tecnico, a riposo, presso l’I.T. “Virginio Donadio” di Cuneo, collaboratore della “La Nuova Agricola” di Ceva; - Viviana Sorrentino Naturalista “raccoglitrice di erbe selvatiche”.

Visita alla cascina Rosa di Caraglio, Corso 2016

Sono previsti QUATTRO INCONTRI e DUE USCITE/ESERCITAZIONI sul territorio: 1° INCONTRO – Giovedì 9 Marzo 2017 - ore 20.30-22.30 - LE QUATTRO STAGIONI DELL'ORTO: gestione del suolo, rotazioni, avvicendamenti e consociazioni. Relatore: Dr. Agr. Cristina Marello. 2° INCONTRO - Giovedì 16 Marzo 2017 - ore 20.30-22.30 - COME PRODURRE FRUTTA A LIVELLO FAMILIARE: mele, pesche, … elementi base della potatura, formazione e produzione di drupacee e pomacee. Relatore: P. A. Rinaldo Rolfo 3° INCONTRO - Giovedì 23 Marzo 2017 - ore 20.30-22.30 - I NEMICI E GLI AMICI DEI NOSTRI ORTAGGI. Relatore: Dr. Agr. Cristina Marello 4° INCONTRO – Giovedì 30 Marzo 2017 - ore 20.30-22.30 - ARMONIA SELVATICA O MALERBE INFESTANTI? Tutto dipende da cosa si intende per “ERBACCE”… Relatore: Dr. in S.N. Viviana Sorrentino 1° USCITA/ESERCITAZIONE – 18 Marzo 2017- nel “meleto” del Parco del Castello di Racconigi, Rinaldo Rolfo ci farà vedere la potatura del melo. 2° USCITA/ESERCITAZIONE - Sabato 1 Aprile 2017- nel Parco del Castello di Racconigi, Viviana Sorrentino ci guiderà nel riconoscimento delle “erbacce”.

Al momento dell’iscrizione ai partecipanti sarà richiesto un contributo di 20 euro comprensivo di iscrizione all’Associazione e contributo per gli incontri e le uscite/esercitazioni. Per informazioni potete telefonare ad Anna Maria (cell. 348 2820151) oppure scrivere una e-mail a: presidente@solarecollettivo.it

di Luciano Fico

I flash dei fotografi rischiaravano a giorno la stanza, ma come se il sole si accendesse ad intermittenza. Il vociare dei tanti convenuti era continuo ed altissimo. In giardino e nelle stanze adiacenti ogni televisione girava il proprio servizio in diretta. Un medico famoso rispondeva alle domande più improbabili. Lui sedeva eretto come un idolo sulla sua sedia di sempre; le rughe contornavano uno sguardo vigile ed intelligente, il corpo era asciutto e sembrava vibrare di un’energia misteriosa; il bianco candido della lunga barba tradiva, più di ogni altro segno, la sua vecchiezza. Centocinquant’anni. Questo era l’incredibile traguardo, che stava spalancando all’intera umanità la speranza che la morte non fosse poi così ineludibile. Quell’uomo aveva attraversato indenne l’intero ventunesimo secolo e si stava ormai avviando verso le ultime decine del ventiduesimo. Fin da giovane aveva ascoltato con viva attenzione ogni consiglio alimentare che la Rete andava diffondendo, aveva praticato con assiduità ogni pratica di benessere, aveva lavorato poco evitando lo stress ed era rimasto solo per non disperdere le sue energie nella riproduzione e nei molti affanni della vita di relazione. Dopo i primi cento anni aveva ridotto l’alimentazione a pochi chicchi di riso integrale al giorno, accompagnati dalle verdure crude dell’orto e dal the verde. Ormai era diventato una sorta di istituzione e lo Stato pensava ad ogni sua necessità: le sue giornate si snodavano sempre uguali tra meditazione, pratiche per il benessere del corpo, cura del proprio orto e lunghe passeggiate rigeneranti nella natura, che circondava la casa. I migliori genetisti e geriatri si erano arresi all’evidenza: un uomo era finalmente riuscito ad infran-

gere i limiti che si erano sempre ritenuti invalicabili. Le analisi mediche continue ed i parametri vitali dimostravano senza ombra di dubbio che, per la prima volta, un essere umano aveva raggiunto l’immortalità! Adamo, questo era il suo nome, attraversò giorni di intensa felicità e di immenso autocompiacimento, ma pian piano ogni entusiasmo si spense in un monotono scorrere di giorni sempre uguali. Neppure i ricordi, amici fidati del vecchio, lo potevano aiutare, avendo sempre evitato ogni eccesso ed ogni emozione troppo forte. Le uniche visite che riceveva, erano quelle dei medici o dei giornalisti. Il futuro non aveva più una direzione, ma si perdeva in una nebbia densa… Da lì a qualche mese la grande sorpresa: Adamo aveva abbandonato notte tempo la sua casa e non si ritrovò mai più. I più maligni affermarono che fosse scappato con i soldi dell’ultimo libro per godersi la sua eternità nel lusso di qualche resort caraibico; altri si dissero certi di una sua ascesa alla dimensione spirituale, ormai disincarnata; qualcuno, naturalmente, chiamò in causa gli alieni e la loro propensione ai rapimenti e qualcun altro sussurrò di segreti inenarrabili della CIA. Adamo non sentì più questo insulso vociare dal momento in cui si lasciò cadere nel grande fiume che scorreva non lontano. Fu come un’intuizione, un’istante di gioia perfetta: sentì il bisogno di tornare alla natura da cui proveniva, fu attratto dal bisogno di tornare a fluire, affascinato dalla speranza di un mare in cui approdare ed in cui perdersi. L’acqua entrò subito nei suoi polmoni, dissolvendo la barriera fra dentro e fuori: cessò di essere Adamo per scoprire di essere il fiume e l’ultimo respiro si tramutò in una scia giocosa di bolle scoppiettanti.


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A QUALI RISCHI ED EMERGENZE SONO ESPOSTI IL TERRITORIO E LA POPOLAZIONE DI RACCONIGI?

Alcune indicazioni estratte dal piano comunale di protezione civile

segue dalla prima

L’esperienza e l’efficienza del sistema di Protezione Civile ci permettono di essere sempre più tempestivi e ben organizzati nei soccorsi, ma è importante che i cittadini siano informati prima delle emergenze, che sappiano quali sono i rischi possibili del territorio in cui vivono e che conoscano tutte le procedure da mettere in atto in caso di emergenza, questo per evitare che si espongano ad ulteriori rischi e che siano d’intralcio agli aiuti. Con questo scopo, ogni singolo Comune italiano ha l’obbligo di redigere, rendere pubblico e dif-

necessiterebbero di una effettiva evacuazione, ma si ritiene non superino le poche centinaia. Nessuna azienda o abitazione pare sia in una situazione tale da essere travolta in modo immediato dalle acqua in quanto l’orografia dei luoghi interessati determina un tipo di esondazione con acqua a bassa e media energia. • RISCHIO PER EVENTI METEREOLOGICI ECCEZIONALI Tale rischio negli ultimi anni si presenta con maggiore frequenza e generalmente con conseguenze spesso disastrose per l’ambiente

fondere il più possibile ai propri cittadini il piano d’emergenza comunale, nel quale vengono spiegati i rischi che si corrono e quali sono le pratiche da mettere in atto in caso di emergenza, nonché le aree di accoglienza e di attesa individuate per la messa in sicurezza della popolazione coinvolta. Quali sono dunque i rischi che incombono su Racconigi? Qui di seguito ne vengono riportati alcuni, estratti direttamente dal piano comunale di protezione civile di Racconigi. • RISCHIO IDROGEOLOGICO E IDRAULICO Il rischio determinato da alluvioni ed esondazioni è reale a causa della presenza del fiume Maira e dei numerosi canali irrigui che corrono all’interno dell’abitato. Nel caso di precipitazioni abbondanti, si possono verificare alcune esondazioni dei canali in strada Tagliata e strada antica per Carmagnola. Nel caso di esondazioni dei corsi d’acqua si stima che si avranno esclusivamente situazioni di allagamento dei piani bassi degli edifici; a priori non si può determinare il numero di persone che

e l’agricoltura, tali eventi possono verificarsi mediante grandinate, intense precipitazioni, forti nevicate, raffiche di vento eccezionali, lunghi periodi di siccità. Sotto l’aspetto di una gestione di emergenza, gli effetti più importanti sono connessi alle forti nevicate che possono generare l’isolamento dei nuclei (Tagliata, Canapile, Oia, Migliabruna) oltre che gli immobili catalogati come Case Sparse. • RISCHIO CHIMICO INDUSTRIALE Il rischio chimico industriale si riassume in: esplosioni, incendi e rilasci al suolo, in acqua o in atmosfera di sostanze tossiche e/o nocive impiegate in cicli di lavorazione. Nel territorio di Racconigi non sono presenti attività a rischio chimico industriale, anche se sicuramente sono presenti nel raggio di 30/40 km dal territorio di appartenenza. Lo scenario di rischio ipotizzabile in caso di incendio di una attività produttiva con conseguente combustione delle materie depositate nell’immobile della stessa, potrebbe comportare il temporaneo allontanamento per sicurezza di un numero di persone limitato ai

residenti della zona che si può ipotizzare in circa 200 unità le quali verranno ospitate nelle strutture di accoglienza. Altra ipotesi di rischio chimico può derivare dalla propagazione di sostanze contenute su autocarri transitanti sul territorio. In questi casi si interverrà di conseguenza alla sostanza oggetto di sversamento, con l’evacuazione dei residenti in un raggio di sicurezza determinato dalla tipologia della sostanza sversata. • RISCHIO DI BLACK OUT ELETTRICO Una improvvisa e prolungata mancanza di energia elettrica priva la popolazione della luce, del riscaldamento, del rifornimento idrico. Non è prevista la movimentazione di popolazione e l’assistenza sarà in genere di tipo domiciliare per le persone inabilitate agli spostamenti. • RISCHIO DI INCENDIO In caso di incendio di edifici abitativi e/o adibiti ad attività lavorative i comportamenti da tenersi sono quelli di avvisare i vigili del fuoco. Gli incendi boschivi e/o di aree verdi (parchi e/o aree comunali) richiedono in particolare un tempestivo e coordinato intervento in considerazione del fatto che l’incendio di superfici boschive o coltivate è caratterizzato da fronti di fiamma che si possono estendere molto velocemente. • RISCHIO SISMICO Il rischio sismico è costituito dalla possibilità che in un’area più o meno estesa si verifichi un terremoto con danni al sistema antropico permanente. Il Comune di Racconigi risulta classificato in zona sismica 3. In caso di evento sismico, dovrà attivarsi tutta la struttura di assistenza alla popolazione prevista dal piano di protezione civile

che dovrà convogliare tempestivamente i cittadini verso le aree di attesa e in seguito verso le aree di accoglienza o dove ancora sussistano strutture di ricovero. • RISCHIO DI INTERRUZIONE DEL RIFORNIMENTO IDRICO In caso capiti tale emergenza, si dovrà provvedere all’approvvigionamento di acqua potabile in bottiglie per uso alimentare e se l’emergenza persiste tale approvvigionamento potrà essere integrato da autobotti o altri mezzi di grande capacità. • RISCHIO NUCLEARE Tale rischio non è presente sul territorio comunale, come neppure nel raggio di alcuni chilometri, però data la peculiarità di tale fenomeno si dovrà provvedere a comunicare alla popolazione tutte le notizie derivanti dagli organi statali e sanitari oltre ad organizzare l’eventuale fornitura di prodotti che le autorità vorranno distribuire alla popolazione. • RISCHIO DI EMERGENZA SANITARIA In tali eventi, il ruolo della protezione civile è ausiliario ai soggetti istituzionali preposti quindi ogni attività dovrà essere svolta secondo le direttive supportando l’attività con le metodologie adottate per altri rischi. Le pratiche da mettere in atto in caso di emergenza, nonché le aree di accoglienza e di attesa individuate per la messa in sicurezza della popolazione saranno illustrate nel prossimo numero. Con questa informativa ci rendiamo parte attiva nell’informazione alla cittadinanza e ci auguriamo che il Comune di Racconigi renda disponibile, scaricabile e fruibile da ogni cittadino il Piano di Protezione Civile comunale.


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L’ASSISTENZA A RACCONIGI

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Facciamo il punto su Banco Alimentare e Banco Vestiario con la consigliera Rinuccia Bergia segue dalla prima

Dai dati pervenuti si rileva che il Banco Alimentare, nel periodo ottobre 2012/dicembre2016, ha distribuito 19mila chili di pasta, 12mila di legumi, altrettanti di latte, carne in scatola, biscotti, dolci, pane, verdure… chi ne ha fruito? Quando a maggio 2012 è iniziata la nostra Amministrazione, l’assessore Beltrando ha fatto presente la necessità di soccorrere alcune famiglie in notevoli difficoltà economiche. Ne abbiamo discusso in giunta e con il sindaco Brunetti si è deciso immediatamente di creare una struttura in grado di far fronte ai bisogni. Avendola individuata nel “Banco alimentare di Moncalieri”, abbiamo chiesto all’associazione “Compagnia di S. Barbara”, presidente Aldo Fissore, di farci da tutor per le pratiche burocratiche. Ottenuti i locali ex neuro in comodato d’uso dall’Asl, il Comune ha messo a norma i locali del magazzino, gli spogliatoi, ed ha stipulato un contratto per la derattizzazione mensile degli ambienti. Quante famiglie c’erano da assistere nel 2012? Erano un centinaio, e già a settembre 2012, non avendo ancora quell’iscrizione al banco di Moncalieri, i ragazzi dell’associazione “Tocca a noi”, organizzando una raccolta “speciale” di alimenti, ci hanno dato la possibilità di rifornire immediatamente le famiglie. Attualmente, il primo giovedì del mese, con un mezzo messo a disposizione dal Comune, ritiriamo gli alimenti a Fossano, nostro punto di riferimento. Come gestite gli arrivi? Franco Bergero, volontario, insieme a Caterina Migliorino e a Giancarlo Grosso, altri due indispensabili collaboratori/volontari su cui da sempre posso contare, con precisione e puntualità tiene un inventario di tutto ciò che riceviamo e distribuiamo. Un altro valido aiuto viene dall’associazione “Tocca a noi” che ci supporta in ogni problematica (raccolta, distribuzione, tinteggiatura...). Senza i volontari non potremmo portare avanti un simile lavoro! Quale criterio usate per rifornire le famiglie? Franco divide le derrate a seconda del numero e della composizione della famiglia (bambini, anziani, adulti), in modo che siano sufficienti fino alla successiva distribuzione cui provvediamo anche nei mesi di luglio e agosto quando il banco alimentare di Moncalieri è chiuso. Come provvedete in quei mesi? Usiamo le offerte, che riceviamo durante l’anno, per acquistare beni di prima necessità (latte, pasta..), certo possiamo dare di meno, ma almeno forniamo l’indispensabile. Finora abbiamo provveduto alla spesa con delle donazioni fatte in memoria di due defunti (4mila euro) e con il ricavato degli oggettini che i gruppi giovanili parrocchiali creano e vendono a Natale.

Come individuate le famiglie che necessitano di aiuto? Una volta al mese abbiamo un incontro con le assistenti sociali, che esaminando le certificazioni ISEE e visitando le famiglie nelle abitazioni, possono meglio valutare le situazioni. Sono famiglie senza reddito? Sì, ma questo non può essere il solo criterio. Ora assistiamo circa 70 famiglie, anche se nell’arco della nostra amministrazione se ne sono avvicendate 204. Fortunatamente, a volte il sostegno serve solo per qualche mese. Quindi avete creato questo Banco

Alimentare dal nulla! Sì, il “Banco alimentare” è una creatura di questa Amministrazione, prima non esisteva. Da quattro anni ogni quindici giorni, (84 distribuzioni), diamo viveri a chi ne ha bisogno, senza rifiutare un sacco spesa neppure a chi non è ancora assistito! Vi occupate anche del “Banco vestiario”? Dal 1° gennaio il “Banco vestiario” è di competenza della Caritas, per cui passo la parola a Marilena Torassa, segretaria della Caritas. Marilena, vuoi darmi qualche rag-

BANCO DI SOLIDARIETA': DATI 2016 Distribuzioni eseguite

84

Famiglie mediamente presenti

63

Assistiti mediamente presenti

207

Famiglie avvicendatesi negli anni

204

Famiglie oggi assistite

70

di cui extracomunitarie

37

Assistiti oggi

214

Ripartizione per classi di età: Neonati Bambini (da 2 a 12 anni) Ragazzi (da 13 a 17 anni) Anziani (oltre 65 anni)

9 62 12 10

CONFEZIONI DISTRIBUITE ANNO 2016 TOTALE 4 ANNI (2013-2016) Pasta

4.378

19.953

759

2.804

Riso

1.162

3.409

Legumi / minestre vegetali

3.669

12.309

Tonno

753

3.671

Polpa

2.798

8.837

Minestre

Olio

577

2.148

Latte

4.800

12.471

Biscotti misti

1.175

6.056

71

1.178

Dolci

2.332

3.426

Pane / grissini / fette biscottate

1.527

3.048

Farina / polenta

Alimenti bimbi carne

381

505

Alimenti bimbi altri

596

1.014

Pandoro / colombe

236

681

Igiene personale

124

524

Zucchero

566

1.756

Vino

10

97

Caffè / infusi

40

133

Succhi / esta the

109

823

Confetture

508

975

Dadi / sale / varie

34

268

Aceto

0

49

155

1313

3

60

Formaggio

394

1.367

Frutta / verdura

Carne in scatola Salumi

1200

2.236

Patatine / caramelle

0

293

Quaderni

0

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guaglio sul banco vestiario? Il banco vestiario, nato grazie a Carla Ghiberti, e gestito con grande capacità dalle volontarie (Marivanna Olivero, Giusi Ingraiti, Giusi Cicero, Emma Comino, Francesca Panero), ormai necessitava della copertura di una associazione, per cui ho interpellato don Maurilio che si è dichiarato disponibile ad assumerne la presidenza, come previsto dalla legge. Vedo qui un prezziario degli indumenti, perché? L’importo va da un minimo di 0.50 a 2.50 euro, è veramente poco, ma tutti devono dare un contributo anche se minimo perché si comprenda che non tutto è gratis. Inoltre, il ricavato d’ora in poi servirà per sostenere le famiglie e per realizzare dei progetti. Quali? Dopo la cessazione di attività del C.A.V. (Centro d’Aiuto per la Vita), che a Racconigi soccorreva le famiglie in difficoltà con indumenti e pannolini per i bambini, come Caritas, abbiamo preso in carico questo settore con il “Progetto genitoriale”. Il sindaco, su richiesta di don Maurilio, ha autorizzato l’utilizzo di alcuni ambienti dell’ex neuro, adiacenti al banco alimentare, dove a breve trasferiremo quanto ereditato dal C.A.V. Essere negli stessi ambienti ci consentirà un migliore scambio di informazioni tra volontari e assistenti sociali sulle necessità reali delle famiglie. Abbiamo istituito anche un “Centro di ascolto”, aperto tutti i mercoledì pomeriggio, dove riceviamo le persone che si trovano in condizione di disagio, in genere donne che chiedono il lavoro per i mariti e i pannolini per i figli. Per i pannolini abbiamo considerato due aspetti: l’impatto ambientale per cui si producono tonnellate di rifiuti e il costo, in quanto per una scatola settimanale a famiglia si spenderebbero 300/400 euro mensili. Facendo una ricerca su internet, ho trovato dei pannolini (ciripà), di un tessuto particolare che dopo una sommaria pulizia, si lavano in lavatrice da cui escono quasi asciutti. Il kit consta di pannolini e mutandine (6/12/18 mesi) da utilizzare fino ai due anni del bambino per 2mila lavaggi. Ho raccolto alcuni preventivi, sono costosi, ma fatta la fornitura una volta, potrà essere riutilizzata per altri figli. Come pensi di proporli alle mamme? Faremo un corso di informazione alle mamme, spiegando bene come usare i ciripà! Ormai stiamo valutando le offerte. Vogliamo partire presto! Rinuccia, vuoi aggiungere qualcosa? Desidero dire un “grazie” di cuore al sig. Aldo Fissore e a tutti i volontari, e sono tanti, che in questi quattro anni hanno lavorato con me per organizzare il Banco Alimentare e per dare ascolto alle richieste delle famiglie disagiate. Grazie amici volontari!


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Gatte da pelare

Quale destino per il Chiarugi e per il parco della ex area manicomiale? di Giancarlo Meinardi

Il destino dell’ex area manicomiale resta nebuloso, molto nebuloso. Mi riferisco all’intera area, non solo al Chiarugi, su cui recentemente si è focalizzata l’attenzione. Per quanto riguarda quest’ultimo, abbiamo chiesto al sindaco Brunetti come stanno ora le cose. Il famoso modello matematico commissionato dalla ASL (proprietaria dell’edificio unitamente a tutta l’area) al Politecnico di Torino, che dovrebbe dire una parola definitiva sulle condizioni dell’edificio, era atteso per settembre 2016 ma non è ancora stato ufficialmente consegnato. Se ne conoscono peraltro le linee generali, perché esso è già stato illustrato in un incontro dei docenti del Politecnico con i responsabili della ASL e del Comune di Racconigi, e sembra che non porti buone notizie per quanto riguarda la stabilità dell’edificio. È comunque necessario aspettare la consegna ufficiale della relazione (attesa per questi giorni). Dopo di ché il sindaco Brunetti intende organizzare un incontro in Comune, con l’intervento dei relatori e dei responsabili ASL, per illustrare le conclusioni ai consiglieri comunali, al comitato per il neuro, ai residenti nelle aree prospicienti all’edificio. Successivamente verranno adottate le misure che si renderanno necessarie. Quindi occorre ancora aspettare, dovendo subire i tempi lunghi richiesti per dipanare questa lunga

e aggrovigliata matassa. Certo ciò non significa stare con le mani in mano. Il comitato ha messo in campo iniziative per richiamare l’attenzione su questo problema; anche il nostro giornale cerca di dare un contributo a tenere viva l’attenzione, con le testimonianze di protagonisti della vita del neuro che stiamo pubblicando. Certo è difficile sfuggire all’impressione che ci misuriamo con cose troppo grosse per poterci aspettare dei risultati. Le condizioni dell’edificio, l’entità delle risorse finanziarie in ballo per intervenire, le carenze di volontà politica non aiutano ad essere ottimisti sulle sorti del Chiarugi. Ma curiosamente sembra che ci siamo dimenticati di un altro problema che forse si potrebbe più facilmente affrontare. L’ex area manicomiale è fatta dal Chiarugi, da una serie di altri fabbricati e dal parco. Anche quest’ultimo è stato coinvolto negli ultimi avvenimenti seguiti al crollo che ha interessato un pezzo del Chiarugi. L’ASL ha deciso, per dichiarate ragioni di sicurezza, di chiudere all’accesso anche i fabbricati che ancora erano utilizzati e l’intera area verde che fino ad allora era stata aperta per i cittadini e per importanti eventi (l’annuale rassegna teatrale della Fabbrica delle idee, manifestazioni culturali e sportive ecc.). A quanto ci risulta la proprietà non ha dato alcuna spiegazione precisa, a parte generiche motivazioni di

sicurezza, delle ragioni che hanno determinato questa decisione; nessuna valutazione è stata fatta sulla possibilità di continuare ad accedere almeno all’area parco, magari utilizzando accessi alternativi (esistenti) a quello tradizionale; l’amministrazione e i cittadini non sono stati coinvolti nella ricerca di soluzioni alternative alla chiusura pura e semplice di un’area importante per Racconigi dal punto di vista storico, culturale e sociale. E’ troppo chiedere che l’ASL si apra a un confronto su questo tema? Che l’amministrazione e i cittadini siano coinvolti in questo confronto? È forse l’ora che i cittadini racconigesi facciano finalmente sentire la loro voce, se hanno interesse a

Foto: angelogambetta@

salvaguardare questo pezzo della loro storia e della loro vita civica? Il Chiarugi è una brutta gatta da pelare, molto brutta. Giustamente ne parliamo, ci mobilitiamo, facciamo quello che possiamo. Ma sappiamo bene quanto sono flebili le possibilità di riuscire a smuovere questo macigno. Però possiamo provare a pelare una gatta meno rognosa. Una soluzione per la riapertura del parco forse può essere trovata. Se i cittadini dimostrano di averla a cuore. Se l’amministrazione comunale è disposta a fare la sua parte. Se la proprietà si assume le proprie responsabilità nei confronti degli uni e dell’altra. Torneremo su questo argomento.

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Anche quest’anno abbiamo bisogno del tuo sostegno e del tuo contributo per distribuire gratuitamente il nostro insonnia sul territorio racconigese e, oramai, anche al di fuori di esso. Sostenendoci potrai ricevere insonnia direttamente a casa nella tua buca delle lettere, come segno della nostra riconoscenza. Per noi è importante poter contare su di te, significa che aderisci a quel progetto che avviammo nell’ormai lontano 2008, 90 numeri fa. Se conosci insonnia e già ci sostieni, dacci ancora una mano. Se non conosci insonnia, hai l’occasione per leggerlo ed apprezzarlo.


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Questa Chiesa sarebbe più umana, più coinvolta nella vita delle persone, più credibile, certo sempre in stretto, continuo e vivo rapporto con Gesù e il suo Vangelo e con la fedele e coerente testimonianza”. P. Di Piazza, F. Saccavini, M. Vatta, P. Ruffato, P. Iannaccone, G. Tolot, P. Rigolo, R. De Ros, L. Fontanot, A. De Nadai, A. Bizzotto, A. Santini. Tratto da Documenti NSC.

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Questi 12 preti a fronte dei problemi della chiesa di oggi hanno avuto il coraggio di uscire allo scoperto, di proporre delle soluzioni e un cammino nuovi, con sguardo aperto al cambiamento. Essi rifiutano il ruolo di semplici gestori del sacro e di beni ecclesiastici, nella speranza che altri preti e parroci li seguano. Forse papa Francesco aspetta proprio questo: che il popolo di Dio lo spinga e lo sorregga in un’opera riformatrice.

IL 50° DELLA MORTE DI DON MILANI a cura di Guido Piovano

DALLA LETTERA DI NATALE DI 12 PRETI DEL TRIVENETO “Restare umani oltre le paure, per condividere esperienze, riflessioni, interrogativi, stanchezze, delusioni, speranze; per ridire la possibilità della fede in Gesù di Nazareth come orientamento di fondo della vita vissuta nelle comunità e oltre ad esse". "…La diminuzione drastica e inarrestabile dei preti dovrebbe sollecitare a percorrere altre strade, ad aprirsi ad altre possibilità con una decisione prioritaria, irrinunciabile che, ad enunciarla, potrebbe sembrare scontata, ma tale non è: quella del ritorno sine glossa, senza parentesi, adeguamenti, facilitazioni e scorciatoie al Vangelo di Gesù di Nazareth, alla rivoluzione del Vangelo, perché tale è, e ha scelte di vita conseguenti come persone, come comunità, come Chiesa. Quale Chiesa, allora, nel momento dell’accorpamento delle parrocchie, delle decisioni sulle zone e sulle cosiddette collaborazioni pastorali? Ci pare che si sia perso tempo, con la chiusura nelle tradizionali ma presunte sicurezze clericali di essere sicuri, bravi ed efficienti. Si sono persi decenni senza promuovere e riconoscere il protagonismo attivo di donne e di uomini di fede disponibili e responsabili, di diaconi – donne e uomini – che oggi potrebbero assumere, senza essere pallide e conformiste controfigure del clero, compiti significati-

Esperimento di Zanza Rino

Vi racconto un esperimento fatto da Gigi, un mio amico umano. Sono amico degli umani, anche se a volte li trovo un po’ strani; d’altra parte anche loro a volte si lamentano perché spesso, soprattutto d’estate, sono un po’ noioso. Ha fatto un esperimento, dicevo. Gigi si è fatto prestare una carrozzella per disabili e se ne è andato a spasso per Racconigi, insieme a sua moglie Gina, che invece spingeva una carrozzina con dentro il figlio

vi di guida, animazione, coordinamento delle esperienze comunitarie. Avvertiamo ancora titubanze e freni anche rispetto alle celebrazioni delle comunità senza la presenza del prete; eppure si tratta di esperienze che sono vissute da decenni in migliaia di comunità in Africa, America Latina e altrove nel mondo. Pensiamo poi che le urgenze storiche sollecitino le convinzioni e le richieste che da decenni emergono dalla base delle comunità cristiane, uscendo da una visione clericale e separata del presbiterato: che i diversi ministeri nelle comunità siano diversificati in modo aperto e pluralista e che il ministero del presbiterato possa essere esercitato da uomini celibi, da uomini sposati nelle condizioni di poter essere ordinati, da preti che si sono sposati e a motivo della legge del celibato obbligatorio hanno dovuto lasciare il loro ministero ma sentono giusto e importante poterlo esercitare nuovamente; da donne ordinate prete. Soprattutto queste ultime potrebbero portare alla comunità la ricchezza della loro diversità di genere.

In questo 2017 cade il 50° anniversario della morte, di don Lorenzo Milani, avvenuta il 26 giugno 1967. Di origine ebraica - la famiglia apparteneva alla borghesia laica anticlericale fiorentina - si convertì al cattolicesimo a vent’anni, divenne prete e cercò di vivere il Vangelo accanto agli operai di Calenzano e ai giovani montanari del Mugello. Ben presto ebbe a scontrarsi con i poteri politici, militari e clericali dell’Italia democristiana e

conformista degli anni ’50 e ’60 fino a legare la sua azione pastorale e la sua stessa vita alle lotte civili per una scuola “non di classe” e per l’obiezione di coscienza al militarismo. A don Milani nei prossimi mesi saranno dedicati convegni e libri a cominciare dal volume dei Meridiani Mondadori che in primavera raccoglierà per la prima volta l’opera omnia di don Milani, diretto da Alberto Melloni: Esperienze pastorali - il libro che il Sant’Uffizio nel 1958 fece ritirare dal commercio e recentemente “riabilitato”-, le Lettere ai cappellani militari e ai giudici, Lettera a una professoressa, gli articoli per giornali e riviste, l’epistolario. «Sono state recuperate oltre cento lettere inedite e molte altre sono state restaurate nella versione originale, senza i tagli arbitrari cui erano state sottoposte nel tempo», spiega Sergio Tanzarella, uno degli autori. Questa prassi della “riabilitazione” senza che si faccia ammenda delle pene inflitte alle persone ha tutta l’aria di una “santificazione” e di una “omologazione” a poco prezzo. Di quali colpe si sarebbe macchiato don Milani? Si abbia la decenza di dirlo, oppure la Chiesa riveda le proprie scelte in sintonia con quelle di don Lorenzo a cominciare dall’abolizione del cappellanato militare come istituto interno all’esercito.

Gli zanzarini sono insetti molesti. La loro puntura non è mortale e neppure dolorosa, ma è spesso irritante. Se ne scacci uno ne arriva subito un altro. Tanto vale farci l’abitudine. Gigetto di pochi mesi. Quando sono arrivati all’inizio di v. Priotti, dove il marciapiedi è tracciato da una semplice linea bianca, hanno trovato il passaggio ostruito da alcune auto in sosta accostate ai muri, sopra la linea bianca; passare con carrozzella e carrozzina era impossibile, hanno dovuto spostarsi verso il centro strada, scansando per fortuna uno schizzo d’acqua sollevato da un’auto che transitava a velocità sostenuta. Sono andati alla stazione ferroviaria, volevano prendere il treno per Savigliano. Di fronte alle scale del sottopasso si sono fermati. Gina non si fidava a spingere giù per quei gradini

la carrozzina con Gigetto dentro, ha chiesto a Gigi di tenere il bimbo, ha portato di là la carrozzina ed è tornata a prendere Gigetto. Si sono salutati e Gigi è tornato a casa, perché non sapeva come scendere e risalire le scale con la sua carrozzella. Allora ha preso l’auto per fare la spesa e ha cercato un parcheggio sul piazzale davanti al market all’inizio del corso Principe di Piemonte. Era tutto occupato, anche lo spazio riservato ai disabili. Ha aspettato un po’, è arrivato un signore che camminava spedito, è salito sull’auto parcheggiata nello spazio riservato ai disabili e se ne è andato.

Il giorno dopo l’esperimento Gigi era ancora abbastanza arrabbiato, mi ha detto come mai il Comune non fa marciapiedi rialzati, Trenitalia non attrezza il sottopasso della stazione con scivoli, i vigili non fanno la multa a chi parcheggia nelle aree riservate ai disabili. Poi ha lasciato l’auto nell’area per la sosta breve in piazza Castello. È andato al bar ed è tornato dopo un paio d’ore. Ha trovato la multa e si è arrabbiato di nuovo. Pensavo. Certo, Trenitalia deve darsi una mossa, il Comune potrebbe fare meglio. Ma gli umani… quand’è che impareranno a comportarsi in modo civile?


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IDEE SPARSE SULL’ACCOGLIENZA

Opinioni dalla Cooperativa “Insieme a voi” di Gabriele Eandi

Voglio parlarvi di accoglienza migranti, anche se se ne parla di continuo, forse fin troppo, ma in maniera confusa e poco reale, in particolare sui media televisivi (lasciamo perdere i social network). Mi occupo di accoglienza dal 2015 ed ho ancora tantissimo da imparare, ma voglio dirvi la mia, per il poco che può valere. Queste poche righe vogliono essere un insieme di idee sparse sul tema. Giorni fa abbiamo ricevuto dalla Prefettura (la nostra committenza) una nuova norma che prevede per

qualunque richiedente a cui venga riconosciuto l'asilo (quindi la possibilità di permanere sul territorio italiano ed europeo) l'obbligo di lasciare l'accoglienza dopo cinque giorni da tale notifica. In precedenza c'erano sei mesi di tempo ulteriore in cui si lavorava per l'integrazione vera e propria, cioè lavorativa e abitativa. Questa nuova modifica non permette più alle cooperative di attivare percorsi differenziati per persone che hanno ricevuto il titolo, riducendo notevolmente il campo di azione nel processo di integrazione.

Di recente, sono stato contattato da una volontaria di un centro vicino a Busca dove una cooperativa spuria (termine con cui definiamo nel nostro settore cooperative che in realtà cooperative non sono) gestisce un folto gruppo di richiedenti, questa persona mi domandava aiuto rispetto ad un ragazzo con cui non riesce a comunicare: mi sono imbestialito! La mediazione culturale è un requisito minimo ed obbligatorio del bando con il quale le nostre aziende lavorano. Che una volontaria si preoccupi di tali problematiche è lodevole, la questione è che la mediazione (come l'insegnamento dell'italiano, il supporto giuridico-normativo, l'acquisto del cibo e del vestiario) sono obblighi dell'ente che ospita, non dei volontari. In questi casi i volontari aiutano i richiedenti, ma parallelamente arricchiscono gli enti gestori! Il problema è che poi si fa di tutta l'erba un fascio, quando non è così! Per chi cerca di operare in modo professionale (ed onesto) è veramente frustrante sentirsi dire che le cooperative si arricchiscono a spese dei migranti, perché nella maggior parte dei casi non è così! Esplicito ancora un po' del mio nervosismo: in una riunione a Cuneo

con enti del territorio, una responsabile Caritas racconta che spesso riceve visite dai ragazzi ospiti di CAS (centro di Accoglienza Straordinaria) che richiedono vestiario, perché non ne hanno. Questo non ha senso, perché nella somma che riceviamo per occuparci di queste persone sono previste anche le spese per l'acquisto del vestiario. La questione diviene ancora più triste (forse tragica) quando a richiedere i vestiti in Caritas per i richiedenti sono direttamente i gestori dei centri. Dopo tutta questa negatività voglio risollevare lo sguardo vedendo cosa di positivo si è riusciti ad attivare in Cooperativa nel percorso di “Rifugiati in Rete” (la rete di coop a cui aderiamo): negli ultimi mesi le sette aziende della rete hanno attivato dieci percorsi di borsa lavoro a tempo pieno, di cui tre sono andate alla mia cooperativa: Mohamed e Francis a Busca ed una per il racconigese Abdouramane che da alcuni mesi lavora presso la lavanderia di Fossano della coop. “il Ramo”. Sempre su Racconigi segnalo l'esperienza di Ousmane che ormai da diversi mesi è assunto presso il benzinaio Esso. Ottimismo!?

MIGRANTI? PERSONE

Storia di Hafeez arrivato a Racconigi dal Pakistan di Anna Maria Olivero

Mi chiamo Hafeez, sono pakistano, ho 52 anni. Sono l’unico fratello di cinque sorelle. Sono sposato e ho tre figli: Adeel, Azeem, Akash di16, 17, 18 anni. I miei genitori sono morti. Mio padre è morto in un incidente ferroviario, quando aveva 60 anni. Mia mamma è morta quando aveva circa 45/47 anni, per un cancro. Ho iniziato a studiare da piccolo, a 5 anni, e ho fatto 14 anni di scuola: ho studiato per diventare avvocato, poi mi sono sposato e ho dovuto lasciare gli studi per lavorare e preoccuparmi della famiglia. Facevo il corriere: avevo un ufficio, dove facevo prenotazioni, ricevevo,… facevo tutto. Poi ho avuto problemi in casa, dei litigi con la moglie, sono andato in tribunale per il divorzio… Quando ho avuto questi litigi in famiglia, i parenti di mia moglie venivano in ufficio, nel posto di lavoro!!!, a litigare, mi rompevano i vetri, mi disturbavano e allora sono dovuto scappare in Kasmir. Ho continuato a fare il corriere ma poiché per il mio lavoro mi mandavano sovente

in Pakistan e io continuavo ad avere problemi con la mia famiglia e non volevo più vederla, ho deciso di andare in Libia. Sono andato in Libia nel Febbraio 2016 con un normale volo aereo: avevo i documenti!! In Libia sono stato preso dai “terroristi” delle persone che non so chi siano: avevano la barba lunga, tutti coperti di nero,… Mi hanno preso per i soldi. Loro ti prendono e chiedono un riscatto alla tua famiglia, al tuo paese. Se uno è afgano i soldi vengono dall’Afganistan, se uno è pakistano dal Pakistan. Quando arrivano i soldi c’è un agente pakistano o afgano che fa da intermediario. Mi hanno preso perché io in Libia lavoravo ed avevo anche degli amici quindi mi hanno preso e poi chiesto i soldi del riscatto. Con me c’erano anche altre 7/8 persone. Per il mio riscatto hanno chiesto 50.000 euro. Sono rimasto da loro 1 mese e mezzo perché avendo dei problemi con la mia famiglia ho faticato a procurarmi i soldi. Le altre persone sequestrate sono rimaste solo

una settimana o dieci giorni. Quando sono arrivati i soldi mi hanno lasciato andare. Prima di liberarmi però mi hanno preso il passaporto, i soldi, il telefonino con le foto della mia famiglia. I 50.000 euro del mio riscatto li sto ancora restituendo con una parte dei soldi che ricevo qua: 2,5 euro al giorno (il “pocket money” per le piccole spese quotidiane: dalle ricariche telefoniche alle sigarette). Quando mi hanno rilasciato, senza i documenti, sono andato dai miei amici, ho raccolto un po’ di soldi (che sto restituendo) e poi sono riuscito ad organizzarmi per venire qui in Italia. Sono partito di sera dalla Libia, nella zona di “Sabrate”, con un gommone da 70 posti in cui eravamo almeno in 100 poi sono arrivate le barche internazionali della polizia che ci hanno portati qui in Italia a Reggio Calabria. Abbiamo viaggiato tre giorni. Per il gommone ho pagato 1800 dinar (moneta locale). Da Reggio Calabria, ad agosto, ho preso un pullman e ho

Hafeez viaggiato per 24 ore e sono venuto a Torino. Poi sono stato assegnato a Racconigi. Adesso riesco a sentirmi con le sorelle ed i figli con i quali ho mantenuto un buon rapporto. La mia vita, in questi ultimi sei anni è molto cambiata, mi manca molto la mia vita precedente, adesso il mio “sogno” è di lavorare qui e fare una vita tranquilla. Non farò venire i miei figli qua perché loro stanno costruendosi una vita in Pakistan: uno sta studiando gli altri due lavorano già. Ringrazio Singh Kuljeet che mi ha aiutato nella traduzione dell’intervista dalla lingua urdu.


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In Castello “Come fiori nel vetro”

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Allestimento a cura di Progetto Cantoregi in ricordo degli ebrei deportati segue dalla prima

Il Salone d'Ercole è buio, attraversato solo da una lama di luce intensa che fa brillare i 357 barattoli in vetro che custodiscono al proprio interno ciascuno il nome di uno dei 357 ebrei deportati nel 1943 dal Cuneese ad Auschwitz dove furono inghiottiti da quella macchina infernale che era il Campo ed un fiore, “simbolo della memoria che non vuole appassire e del ricordo custodito nel cuore dei vivi”. Questo allestimento è dedicato alla loro memoria. “Una memoria che resiste al male, rappresentato dai rotoli di filo spinato che stringono come una morsa i contenitori in vetro. I frutti dell'albero del melo, che scendono dal soffitto come una pioggia benevola, ricordano il coraggio di Irena e le tante piccole vite da lei salvate e celebrano il valore della solidarietà umana”. La musica sale e nelle parole dei lettori/attori di Cantoregi prendono vita tre diverse storie. La vicenda della giovane polacca Irena Sendler, assistente sociale a Varsavia, che quando scoppiò la seconda guerra mondiale, riuscì a trasportare fuori dal ghetto bambini di tutte le età, ricollocandoli in famiglie e conventi con documenti falsi, tenendo un registro con i loro indirizzi di abitazione, nella speranza che potessero tornare dai propri genitori alla fine della guerra. Irena nascose per anni in barattoli di marmel-

Foto: angelogambetta@

La tragica vita di Gerard Zynger, che a sette anni, dopo un ricovero in ospedale per un attacco epilettico e a seguito di un'ordinanza della Procura della Repubblica di Cuneo, si ritrovò nel manicomio di Racconigi, mentre i genitori, ebrei di origine russa, trovarono la morte ad Auschwitz. A Racconigi Zynger dimorò fino al 1960, anno in cui venne trasferito all'ospedale psichiatrico di

Foto: angelogambetta@

lata vuoti i fogli con i nomi delle famiglie d’origine. Arrestata e torturata dalla Gestapo, non rivelò mai i nomi dei bambini. Alla fine della guerra Irena recuperò i barattoli per ricontattare 2000 bambini, ma l’operazione si rivelò nella maggioranza dei casi impossibile perché le famiglie erano state sterminate. Nel 1965 ad Irena venne conferita la medaglia di “Giusta tra le nazioni” dagli israeliani.

Volterra. La storia del campo di concentramento per ebrei organizzato dai nazisti a Borgo San Dalmazzo, il 18 settembre 1943 e attivo fino al 21 novembre di quello stesso anno. Di là partirono per Auschwitz i 357 ebrei; di questi 334 erano stranieri. Nel dopoguerra, dopo un periodo di silenzio, il campo è stato riscoperto. Oggi alla stazione di Borgo San Dalmazzo un Memo-

riale della Deportazione ricorda i nomi dei 357 deportati. Testo liberamente tratto dal volume “Oltre Il Nome. Storia Degli Ebrei Stranieri Deportati Dal Campo Di

Borgo San Dalmazzo” di Adriana Muncinelli e Elena Fallo, edizioni LE CHATEAU, presentato lo scorso 8 febbraio nella Sala Cinema del castello di Racconigi alla presenza delle autrici.

Informazioni: Le visite presso il Salone d'Ercole del Castello di Racconigi sono possibili con il biglietto di ingresso al Castello (5 euro) tutti i giorni, lunedì escluso, dalle ore 9 alle 18, fino a domenica 19 febbraio 2017. Castello di Racconigi: racconigi.prenotazioni@beniculturali.it pm-pie.racconigi@beniculturali.it tel. 0172.84005.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684 Email: info@maipiusole.it


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L'empatia si impara… Se qualcuno te la insegna

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Perché oggi alcuni adolescenti uccidono senza rimorso? di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

re a inorridire per l'adolescente che uccide i genitori, o ne orchestra l'omicidio, ma non serve: dobbiamo riuscire a superare lo smarrimento per capire come migliorare il mondo, trovando i modi per educare gli adolescenti di domani a divenire capaci di cogliere la vita da punti di vista diversi, provando a mettersi nella pelle degli altri.

Mio padre era empatico. Esageratamente empatico. Riusciva entrare nelle storie della gente, immedesimandosi. Per questo molti lo amavano: ricavavano beneficio delle conversazioni con lui in quanto egli riusciva a cogliere gli aspetti della questione come fossero personali. Ricordo che, spesso, quando eravamo piccoli, ci raccontava dei suoi fratelli in Russia, dispersi durante la seconda guerra mondiale, e la sua narrazione era intervallata da "riuscite a immaginare che cosa voleva dire attraversare la steppa, non vedere all'orizzonte nulla, il freddo che ti entra nelle scarpe dalle fessure dei chiodi perché le scarpe erano chiodate…" Noi bambini immaginavamo, vedevamo la steppa, sentivamo il freddo nei piedi, camminavamo i passi degli zii, cercavamo una casa all'orizzonte per chiedere aiuto e poterci fermare vicino al fuoco. Non sono mai stata in Siberia né credo ci andrò, eppure è come se ci fossi stata tante volte. Mio padre ci faceva entrare nella pelle dei protagonisti dei suoi racconti. "Immaginate? Ci riuscite? Ma ci pensate... se foste loro, se toccasse a voi…? " Ho imparato così l'empatia, l'ho imparata così forte da sentirmi a volte travolta dal dolore altrui, da dovermici distanziare. Per questo ancora adesso non riesco ad indugiare su certe immagini, non riesco a visitare un campo di sterminio, perché è

come se riuscissi a sentire le cose vissute dagli altri sulla mia pelle, anche a distanza. Mi rendo conto, insegnando, che invito i miei allievi a fermarsi a riflettere sui sentimenti altrui, esattamente come mi hanno insegnato a fare. Pongo loro le stesse domande a cui sono stata abituata da piccola: "Se fossi tu al suo posto? Riesci a immaginare? Che cosa proveresti? Di che cosa avresti bisogno? Che cosa ti farebbe piacere?" Spesso i bimbi mi guardano attoniti, la maggior parte non è abituata. Ma il bello di insegnare ai bambini è che imparano tutto, anche l'empatia. Sono come spugne, osservano e assorbono sguardi, modi, posture, atteggiamenti. Possono imparare che prima delle competenze linguistiche e matematiche, bisogna riuscire a stare bene nel gruppo-classe e se qualcuno ha qualcosa che non va, è più utile fermarsi e dargli una mano piuttosto di far finta di niente e sentire poi nell'aria quel suo malessere che si allarga a dismisura fino a disturbare tutti. Quella capacità di cogliere l'altro e il suo "sentire", vedendo le cose dal suo punto di vista, è alla base della nonviolenza. È l'empatia. Essa s'impara, io ne ho le prove. Ma qualcuno deve insegnartela. A Barbiana era il motto della scuola: "Ho imparato che il problema

degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia". Mi piace molto questo concetto di don Milani per il quale empatia = politica. Solo chi è capace di avere un atteggiamento empatico può essere in grado di fare politica. Proprio oggi che la politica ha perso completamente il suo valore e il suo significato e l'arrivismo e la corruzione si sono seduti a governare, chi inizierà a dissodare il terreno incolto, educando le nuove generazioni all'empatia? Chi ne è capace, per favore si alzi in piedi! Mi chiedo quanti adulti lo siano, e quanti insegnanti... e quanti genitori... Come faremo ad insegnarla se non l'abbiamo imparata noi? Ecco il punto. Possiamo continua-

Riusciamo ad immaginare? Un'educazione attenta all'empatia, per tutti i bambini? Dobbiamo allenarci come adulti, trovare le strade per insegnare ai nostri cuccioli la poliedricità della realtà, iniziando da piccoli esercizi. Il giorno dopo la notizia dell'omicidio da parte dei due adolescenti, ho fatto in classe un esercizio d'empatia. É solo un esempio, un piccolo inizio da provare a fare a scuola ... o anche a casa. I bambini, lo sappiamo, sono autocentrati; amano la mamma, ma soprattutto da lei pretendono l'impossibile. Allora piano piano educhiamoli a esercitare l'empatia verso di lei: ogni bimbo deve immaginare di essere… una mamma. Prima col mimo, giocando, poi disegnando, raccontando o scrivendo, ognuno fa l'elenco di tutte le azioni che la mamma compie da quando si sveglia a quando va dormire. Poi confrontiamo gli elenchi, li osserviamo insieme: quasi tutti sono lunghissimi! Quante cose riesce a fare una mamma! Chiediamo ai bimbi: "Riesci ad immaginare di essere una mamma? Come ti senti? Quali cose senti faticose? Quali non avresti tanta voglia di fare?". Aiutiamoli a cogliere la gratuità nascosta nei piccoli gesti quotidiani, insistiamo un po' fino a cogliere piano piano nei loro occhi la gratitudine, quell'impellente necessità di tornare a casa dalla mamma per dirle "GRAZIE".


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MEDIAZIONE, AIKIDO E ANTICICLICITÀ SOCIALE di Alessia Cerchia

C’è un principio, da tempo conosciuto nelle scienze economiche, su cui dovremmo fermarci a riflettere anche noi, cittadini di un Mondo afflitto da guerre, povertà e disastri ambientali: il principio dell’anticiclicità. In economia, si definisce anticiclico un provvedimento di politica fiscale o monetaria finalizzato a variare in direzione opposta ai principali indicatori del ciclo economico, adottato per attenuare le fluttuazioni, frenando la ripresa o contrastando la depressione dell’attività economica. Per dirla in parole povere, se il mercato va male, gli investimenti devono aumentare e viceversa, al fine di garantire una certa stabilità del sistema. Se il punto fondamentale, in economia, è il mantenimento di un giusto equilibrio, ciò che mi chiedo e vi chiedo è per quale motivo questa stessa ricerca di equilibrio non venga perseguita con altrettanto rigore in ciò che concerne le fluttuazioni della società e della cultura, unico vero baluardo verso la barbarie che bussa, ormai vigorosamente, alle nostre porte. Perché vedete, dal mio personalissimo e insignificante punto di vista, se all’evidente crisi delle scuole e al progressivo impoverimento del bagaglio culturale dei nostri giovani, rispondiamo abbassando l’asticella, scegliamo di chiedere loro sempre meno impegno, stiamo contribuendo a far cadere il sistema culturale italiano sempre più in basso. Se alla crescente richiesta di stabilità politica e democrazia la nostra risposta è chiedere e ottenere l’“uomo forte”, stiamo spingendo la nostra democrazia verso forme di esercizio del potere che, forse, così democratiche non sono. Ma anche in situazioni più piccole e vicine possiamo notare l’estrema esigenza di dare risposte anticicliche per poter fare, davvero, la differenza. Pensate alla domanda, ormai estrema, di sicurezza e tutela che i cittadini italiani ripetono, come un mantra, ad

la legge del più forte, propone un modello di rispetto reciproco, eguaglianza e protezione dei più deboli. E lo stesso può essere detto, con estrema facilità, anche della mediazione. Anche in questo caso, laddove il modello che sembra prevalere, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nei social network, è quello dell’aggressione verbale, dell’insulto gratuito, del giudicare senza conoscere, la mediazione insegna che le parole pesano come macigni, che basta una parola per far esplodere una guerra ma anche per farla terminare, che incontrarsi faccia

ogni giornalista, politico e semplice curioso che si fermi ad intervistarli. E così, in una società instabile, dove nuove genti e diverse culture si incontrano, l’intervento che si chiede allo Stato (e che spesso è disponibile a concedere) è di aumentare le forze di polizia per le strade, fino ad arrivare ad invocare l’esercito. Non è mia intenzione giudicare se un simile approccio sia corretto oppure no. Mi limito ad osservare che, allo stesso modo, i singoli cittadini cercano sicurezza nei corsi di auto-difesa, nella ricerca di risposte “forti” a situazioni “forti”, anche “violente” se necessario, verso un ritorno alla legge del Taglione, al principio dell’“occhio per occhio”. In questo trovo nell’aikido spunti per una risposta “anti-ciclica” a questa tendenza, pur comprensibilissima. Ho cominciato a rifletterci, insieme al mio Maestro e marito, Nino Dellisanti, sentendo le risposte che lui ama dare a chiunque gli chieda se l’Aikido è efficace per difendersi. L’Aikido è

Foto: PH.This is Life Center, Torino

efficace nella misura in cui aiuta i praticanti a sviluppare una maggiore sensibilità verso situazioni di pericolo, al fine di poterle prevenire ed evitare. Ma soprattutto: l’Aikido è efficace perché è una disciplina di relazione, che insegna il rispetto del prossimo, che consente ai praticanti di conoscere e apprezzare uomini e donne di ogni città del mondo, ciascuno con la propria storia. L’Aikido è efficace perché in un mondo che corre verso l’odio, la sopraffazione dei più deboli,

a faccia e guardarsi negli occhi è ancora un valore essenziale del nostro essere umani. Non è facile rispondere all’odio con l’amore, alla paura con il coraggio o ad uno sguardo di disperazione con uno di speranza e comprensione. In sintesi, non è facile essere “anticiclici”! Ma forse proprio in questo riposa la nostra umanità e – questa è solo la mia opinione personale – l’unica vera speranza per dare un futuro a ciò che amiamo.

Nuovo collaboratore per insonnia Da questo numero inizia la collaborazione con l’amico Angelo Gambetta DËL BORG MEIRA, le sue foto andranno ad abbellire alcune nostre pagine. Lo ringraziamo per aver accettato ad essere fra i nostri. Le sue foto riporteranno in calce questo “marchio”: angelogambetta@ Angelo Gambetta nasce a Racconigi il 25 dicembre 1967. Fotografo per passione e non per professione, a soli quattordici anni, grazie alla sensibilità del nonno materno, viene catapultato nell’affascinante mondo dell’analogico. È in occasione del suo compleanno, infatti, che il nonno gli regala una Agfamatic del 1970, una macchina fotografica di seconda mano che consente ad Angelo di cominciare ad osservare la realtà con sguardo diverso e ad imprimerla su pellicola. È il 1980: l’incontro formativo con l’architetto Giovanni Arnaudo, allora docente di Storia dell’arte presso l’Istituto Statale d’Arte Amleto Bertoni di Saluzzo, porta Angelo ad approfondire il suo percorso fotografico: le attività di catalogazione e archiviazione dei Beni Culturali, richieste dal corso di studi e realizzate attraverso la macchina fotografica, saranno infatti il motore per una ricerca più approfondita sia nelle tecniche di esecuzione, sia dei contenuti artistico-creativi. Negli anni 2000 l’avvento della tecnologia digitale e l’immutata voglia di leggere e rappresentare la realtà attraverso la macchina fotografica “obbligano” Angelo ad abbandonare il mondo analogico per abbracciare il digitale. Le

iniziali difficoltà riscontrare nell’utilizzo delle nuove apparecchiature, unite ad una buona dose di scetticismo nella capacità di ottenere dal digitale la stessa resa cromatica dell’analogico, non scoraggiano Angelo nell’apprendimento e nell’individuazione di nuove tecniche. La produzione fotografica di Angelo Gambetta è prevalentemente incentrata sulla street-photo e sulla fotografia sperimentale di tipo teatrale. Attualmente collabora con il Progetto Cantoregi, la Compagnia teatrale di Claudio Mazzenga e sta curando la fotografia dell’album «Da qui a domani», Foto: angelogambetta@ progetto discografico di Miro Sassolini . Miro Sassolini, una delle voci più amate della new wave italiana, melodista e sperimentatore vocale, torna come un nuovo e prestigioso progetto insieme all'eclettico Cristiano Santini, già produttore del precedente lavoro di Sassolini, da qui a domani. Nell'album, il cui concetto è stato ideato dalla poetessa Monica Matticcoli e che si chiamerà del mare la distanza, si parlerà del mare, del dolore, dell'amore.


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Le storie di Mario... La prematura scomparsa di Mario ci ha privato di un collaboratore prezioso che arricchiva con le sue competenze storiche le pagine del nostro giornale. Ci piace ricordarlo con una serie di brevi racconti che la famiglia, che ringraziamo, ci ha gentilmente concesso e che hanno come filo conduttore l’infanzia del narratore e i luoghi racconigesi conosciuti da molti di noi. I racconti saranno pubblicati a puntate a partire da questo numero.

Ma vate a caté 'n cassul di Mario Monasterolo

Va’ a sapere perché fossi là quella sera nei prati Forse mi ero lasciato cadere stremato di sole, e fingevo l’indiano ferito. Il ragazzo a quei tempi scollinava da solo cercando bisonti e tirava le frecce dipinte e vibrava la lancia. (Cesare Pavese, Il ragazzo che era in me) Il giorno che, sostenuti da Roberto, abbiamo accompagnato Marco (27 anni) a visitare il museo di Antonio Biolatto alla Tagliata, abbiamo capito quanto sia difficile spiegare, ad un giovane d’oggi, perché ci si possa commuovere ammirando un vecchio cassul. E ancora di più, quindi, abbiamo faticato a spiegargli un’espressione come vate a caté ‘n cassul, che poi vuol solo dire fatti furbo, approfittandone, lungo la strada, per fare anche un salto… a “quel paese”. Ma perché? visto che il cassul era il mestolo, quello che serviva (serve tuttora) a girare la minestra nella pentola o a mescerla dai grilet ai piatti, e non deve essere confuso con la cassa, che sempre un mestolo era, ma serviva per attingere l’acqua dal sigilin e bercela direttamente. Da non confondere neppure con la cassulera, vale a dire la schiumarola; e meno ancora con la cassaròla, che è la pentola. Sembrano giochi da Settimana enigmistica: sono sprazzi di vita, proprio come quelli che si sono

aperti alla nostra mente durante la visita. Infatti, se con la cassa la si attingeva dal sigilin, era necessario che prima l’acqua la si andasse a tiré a la pumpa, quella con la vasca di pietra grigia, qua e là striata di muffa, sempre umida per il continuo uso e con due “rotaie” su cui si poteva appoggiare il secchio. La pumpa stava giù ‘n’tla curt. Dunque, ci voleva un cortile, cosa diversissima da un condominio, come quello in cui abita Marco. Oggi vien da dire: quello lì sta nel mio stesso condominio; i condomini vengono chiamati “residenze” e si danno loro nomi che perlopiù profumano di qualche fiore o qualche pianta con una diffusa preferenza per tigli e glicini. Allora si abitava nel cortile e si diceva: a stà ‘n tla curt ‘d... e seguiva il nome o del proprietario o di qualche residente “di marca”, cioè caratteristico o popolare o che ci abitava da più tempo: la curt dij Suldan, la curt d’j Albertin, la curt d’j Audé, la curt ‘d Crivel… Il cortile era un’agorà popolana

Museo Biolatto

circoscritta, in cui si intrecciavano relazioni e, con la cunserva e la 1-ssia (che qui alla Tagliata sono raccontate da tutta una teoria ‘d caudere e basin) si condividevano nascite, battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni, agonie, morti. D’altra parte, le stagioni della vita convivevano con la sequenza dei Sacramenti, tranne quello dell’Ordine, che non era da tutti. Anche se un barba prejve poteva sempre rivelarsi utile. La nostra magna suora invece era in clausura, e le clarisse non ne avevano neanche per sé, di sostanze o di “potere”: la loro forza era il sorriso.

Nel museo di Antonio Biolatto le stagioni della vita le trovi quando meno te le aspetti: una vecchia cun-a con dentro un port-enfant e con a fianco la carusin-a, vicino alla quale fa bella mostra di sé una tenerissima serie di s-cuffie fatte all’uncinetto. Dio, quant’eravamo buffi in quelle vecchie foto! Passavamo i primi mesi della vita avvolti in strette fasce, per evitare di crescere storti, ma forse anche perché… così conciati, dove ci mettevano, stavamo. Muovevamo i primi passi in girelli che ancora avevano la forma di uno strumento di tortura, come quello esposto qui; anche noi maschietti mettevamo i faudaj neri in prima e seconda elementare, e poi le maglie blu con i pon pon dalla terza in avanti, in classi separate per sessi e con tanto di... maestro unico! Il maestro in qualche modo “marcava il territorio”; nel nostro caso, “andando” da Sapino, eravamo in forte competizione con i nostri coetanei che andavano da Pollano. Ai banchi di scuola, bandite le biro e ancora roba da ricchi le stilografiche, scrivevamo intingendo nel calamaio (inchiostro blu o nero, era una bella sfida) penne molto personalizzate, composte da aste di colori diversi su cui si infilava il pennino: ed il pennino era un simbolo di personalità, ognuno aveva quello preferito per forma o per stile di scrittura. Al vostro umile scrivano piacevano tanto quelli a torre, che andavano per la maggiore facendo a gara con quelli a foglia e quelli a goccia; e poi c’era quello buffo, a forma di dito puntato.


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RACCONTAMI IL NEURO

Storie e testimonianze da chi lo ha vissuto IL RUOLO DELL’INFERMIERE PSICHIATRICO: DA CUSTODE AD EDUCATORE Testo di Antonella Marello tratto dalla Tesi di Laurea “L’ospedale psichiatrico di Racconigi dalla sua fondazione alla legge 180 del 1978: le nuove realtà territoriali” di Ariaudo Maristella.

Il ruolo dell’infermiere psichiatrico è stato per moltissimi anni quello di custode dei “pazzi”, di esecutore di ordini senza poter prendere nessuna iniziativa. Erano in realtà uomini forzuti che venivano assunti senza particolari requisiti, a seguito di un corso di formazione della durata di un anno, tenuto dai docenti interni dello stesso O.P. Gli infermieri si occupavano esclusivamente dei padiglioni riservati agli uomini, mentre di quelli femminili si occupavano soprattutto le suore. Il compito principale dell’infermiere era sorvegliare i malati, ma soprattutto si occupava della pulizia della struttura. Per volere delle suore, infatti, i letti dovevano essere perfettamente

cura rivolto ai malati, ma ai locali, quasi come se questi ultimi fossero più importanti. Forse, era un modo per nascondere i soprusi dietro ad una facciata ben curata. L’infermiere era gestito dal caposala che, a sua volta, rispondeva direttamente al Capo Vigilatore e al medico. Di notte, un caposala era addetto a vigilare tutti i reparti mentre l’infermiere vigilava l’intero stanzone dove dormivano i malati. Compito del sorvegliante era controllare che l’infermiere non si addormentasse altrimenti veniva immediatamente licenziato. Se un paziente era a rischio suicidio gli veniva assegnato un infermiere personale che aveva il compito di

no all’interno della struttura ed erano chiamati “famigli”; potevano uscire quattro ore la settimana dal manicomio, mantenendo un atteggiamento decoroso. Non avevano propri abiti adatti al servizio, sicché la direzione del manicomio concedeva agli infermieri di usare le vesti dei ricoverati. In seguito furono dotati di una divisa con un camice bianco e un berretto in feltro di faggio blu con un fregio dorato indicante la scritta O.P. Dovevano occuparsi dei ricoverati: pulirli, accompagnarli alle funzioni religiose, assicurarsi che non uscissero dalla struttura ma era proibito loro di giocare con essi, far loro commissioni, trasmettere lettere. Con il tempo fu concesso di se-

Visita a Tivoli - Foto: B. Crippa

allineati, le coperte perfettamente distese e i pavimenti lavati con segature e creolina. Non esisteva un concetto di

seguire il soggetto in ogni suo movimento. Agli inizi dell’apertura del manicomio gli infermieri viveva-

insonnia

tti co borare aloro che vorran memorialla ricostruzio no collapotrann collettiva sul ne di una o dispono inviare foto, Neuro tati per ibilità ad esser racconti proprie raccontare le e e contatreferentio dei propri famsperienze iliari ai Antonell : a M a rello (ce 347271 m.anton4454 - e-mail: ll. Anna M ella60@gmail (cell. 34 aria Olivero .com am.olive82820151 - e-m a ro54@g mail.comil: )

guire un orario di lavoro a turni di 40 ore settimanali. Nel corso degli anni mutò anche la figura dell’infermiere.

Le figure dei nuovi operatori si sono concentrate sulla relazione con gli ospiti, cercando di soddisfare le loro esigenze: in particolare il bisogno di relazionarsi ed instaurare un legame di affettività e fiducia, il bisogno di esprimere i propri stati d’animo, il bisogno di libertà, di spazi e di mantenere un legame con certi affetti. Gli operatori diventano per i pazienti madri, padri, sorelle, perché sono gli unici a vivere strettamente a contatto con loro. Molti degli interventi iniziali verso i pazienti furono finalizzati a dare dei limiti ai comportamenti aggressivi di costoro e per giungere ad un miglioramento era necessario instaurare legami e rapporti e gli operatori potevano solo sperimentare, seguendo le proprie idee e l’inventiva personale. Gli operatori sentivano anche l’esigenza di formarsi per avere più voce in capitolo rispetto alla loro posizione sociale. Hanno sentito l’esigenza di vedere riconosciuta la loro professionalità. Il vero cambiamento è avvenuto con la Legge Bisaglia, potendo sviluppare le persone e i gruppi non più all’interno di istituzioni più o meno totali ma nell’ambito del loro ambiente di vita. Divenne quindi indispensabile una formazione di base e vennero organizzati corsi di riqualificazione, per fornire le basi teoriche a tutti gli operatori che operavano già in diversi servizi. L’operatore divenne una figura in grado di agire in situazioni difficilmente prevedibili e controllabili. Deve essere in grado di lavorare in équipe, deve svolgere attività diverse e mantenere un contatto quotidiano con i pazienti. Deve soprattutto essere preparato ad affrontare l’imprevisto, l’evento che può mettere in discussione gli obiettivi fissati nel progetto individuale, senza leggerlo come sconfitta ma riadattandolo alla nuova situazione.


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1983: QUEL VIAGGIO A ROMA… Testimonianza di Bruno Crippa, ex infermiere

È da allora (1983) che quella scatola di diapositive è chiusa in un cassetto con tantissime altre. E dire che in sala primeggia una mia foto con Papa Woitila che mi posa una mano sul capo. Ma è solo dopo aver letto la testimonianza del dott. Della Valle sull’ultimo numero di Insonnia, che torna alla mia mente ‘quel viaggio’ e così con i ricordi anche le immagini escono alla luce. Roma, Città del Vaticano, in udienza dal Papa. Il viaggio in autobus, medici infermieri pazienti, tutt’uno; indimenticabile l’atmosfera e l’euforia, sguardi incantati dai finestrini di chi usciva per la prima volta dal Morselli, dal Marro, dal Chiarugi. Uomini e donne , ricordo Pierino e Maurizio, ragazzini del Morselli imparare a memoria “Azzurro” canzone di Celentano, per poi ricantarla ogni giorno al ritorno nel Reparto. Le camminate per le vie di Roma e il giorno dell’udienza dal Papa. La visita alle Fontane di Tivoli e al rientro la fermata a Pisa per scattare una foto alla torre pendente. Ma la cosa che più mi aveva colpito era il vedere l’atteggiamento di questi pazienti non più chiusi nelle loro divise manicomiali ma con abiti normali , vivere il momento fantastico. L’hotel di Santa Severa era sul mare. La sera, prima di ritirarci in camera, la

Visita in Vaticano - Foto: B. Crippa

passeggiata era d’obbligo ma erano il pranzo e la cena i momenti di meraviglia! Composti, tranquilli gomito a gomito, aiutandosi l’un l’altro a passarsi il pane e le bevande. Nessun sbrodolio, nessuna macchia sui vestiti e sulla tovaglia… eppure, mi dicevo, sono loro quelli che nel Reparto mangiano in cinque minuti, non si degnano di uno sguardo, non si aiutano. Era il 1983 qualcosa iniziava a farci capire che questa gente

pur nei casi di difficoltà, erano come noi, si comportavano come noi se l’ambiente era diverso dai reparti chiusi. Con gli anni 90 e l’apertura delle comunità ecco ‘La Grande Bellezza’: le camere singole dove si è chiusi e non rinchiusi, le uscite in città, i soggiorni marini e le visite nelle città d’arte. La dignità ritrovata. Forse non sarà così o forse sì, quella gita di quattro giorni a Roma ha contribuito tantissi-

mo a far sì che noi Operatori e Medici vedessimo con occhi diversi queste persone a noi affidate. Ricordo anch’io con emozione e un certo orgoglio, come scrive il Direttore Della Valle, il telegramma della Direzione dell’hotel dove alloggiava tutto il Gruppo nei giorni di permanenza a Roma, telegramma che elogiava il comportamento di queste cinquanta persone provenienti da un manicomio!

GIORNO DEL RICORDO Mostra:

FASCISMO, FOIBE, ESODO: LE TRAGEDIE DEL CONFINE ORIENTALE Curata dalla Fondazione Memoria della Deportazione

L’Amministrazione Comunale di Racconigi in collaborazione con l’Istituto Storico della Resistenza e della Società Contemporanea in Provincia di Cuneo organizzano una mostra per celebrare il Giorno del Ricordo. Istituito dal Parlamento Italiano nel 2004, per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Chiesa Santa Croce da venerdì 10 a domenica 12 febbraio Venerdì 10 febbraio: dalle ore 15:00 alle ore 18:30 Sabato 11 e domenica 12: dalle ore 10:00 alle 12:00 e dalle 15:00 alle 18:30 Inaugurazione: Giovedì 9 febbraio ore 21:00 Interverrà Prof. Gigi Garelli, Responsabile della didattica dell’istituto Storico.


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SPAZZAMENTO DELLE STRADE DEL CENTRO STORICO CON SCOPE E PALETTE

Carmagnola gestisce in proprio la pulizia delle strade di Anna Maria Olivero

Scelta controtendenza dell’Amministrazione di Carmagnola che ha deciso di gestire direttamente le attività di pulizia strade nelle vie del centro cittadino, stralciandole dall’appalto esterno con il Consorzio Chierese per i Servizi che gestisce l'intero ciclo dei rifiuti urbani del territorio. I soldi risparmiati dall’appalto, saranno in parte impiegati per retribuire il personale che verrà assunto appositamente, sia tramite i Lavori Socialmente Utili e i Cantieri di lavoro, sia con la formula innovativa del “baratto amministrativo”, ovvero la possibilità data ai cittadini di ripianare eventuali debiti pregressi tramite ore di lavoro nei confronti del Comune. Questa operazione, secondo l’Amministrazione, è una sfida, che comporta un’importante as-

sunzione diretta di responsabilità da parte dell’Ente pubblico ma dovrebbe garantire un risparmio, a vantaggio diretto dei contribuenti in quanto con la Tari, i minori costi del servizio diventano automaticamente minori costi in bolletta e, dall’altro, un controllo più diretto sulla qualità del servizio e quindi migliori risultati in termini di pulizia. È previsto l’impiego, ogni giorno, di quattro persone (probabilmente suddivise su due turni), con il coordinamento e la supervisione di un dipendente comunale: questi operatori ecologici comunali saranno adeguatamente formati e dotati di due scope, una paletta e un cestino porta-rifiuti mobile. Tutte le attrezzature necessarie sono state sponsorizzate da un’azienda cittadina, in cambio di visibilità. L’Amministrazione non

esclude che, se tutto funzionerà come previsto, nel corso dell’anno ci possano essere ulteriori innovazioni, a partire dalla do-

tazione di biciclette con cestini multiscomparto per fare anche la raccolta differenziata durante lo spazzamento stradale.

Riceviamo da Primaldo Solei e pubblichiamo....

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Centro Alambicco

LA TERAPIA DEL GIOCO di Ornella Castagnone e Samantha Bianchi

Alcuni anni fa abbiamo partecipato a una giornata di presentazione della Computer Game Therapy metodo VI.RE.DIS di Antonio Consorti: siamo rimaste folgorate! Utilizzare le normali consolle di videogiochi (Nintendo Wii e XBox ) per fare terapia con ragazzi disabili, anziani, post traumatici! I videogiochi così demonizzati di colpo assumevano una valenza completamente diversa, ma come sempre anche in quell’occasione emergeva che non è il mezzo da demonizzare, ma il suo uso. I videogiochi hanno immense possibilità riabilitative con presupposti scientifici precisi e documentati, ma perché questo possa avvenire occorreva una formazione più ampia e sicuramente in quella giornata abbiamo avuto solo un assaggio delle possibilità di intervento. Ma spronati da quell’esperienza abbiamo iniziato a coinvolgere i ragazzi nel gioco della wii utilizzando alcune semplici strategie per sopperire alle carenze e alle imprecisioni motorie di alcuni nostri ragazzi. Per alcuni di loro, da subito, riuscire a tirare la boccia nel gioco del boowling è già stato divertente e motivante di per sé. Da quella prima esperienza si è deciso di coinvolgere anche altri

Cin

Cinema LA LA LAND di Cecilia Siccardi

Lib

Libri

a cura di Barbara Negro

La vegetariana è un romanzo ambientato a Seul, Corea del Sud. Attraverso tre punti di vista differenti, si snoda la vicenda della docile e pacata Yeong-hye che, in seguito ad un terribile incubo, smette repentinamente di mangiare carne. Il primo narratore a vivere questo drastico cambiamento di Yeong-hye è il

centri, prima quello residenziale di Cardè, poi altri, diurni e residenziali, del circondario (Bra, Saluzzo, Racconigi, Cambiano…). L’anno scorso abbiamo potuto approfondire il metodo con altre sei giornate formative, proseguendo poi per alcuni mesi di supervisione formativa e sicuramente la nostra consapevolezza sul metodo si è notevolmente ampliata. Quest’anno quindi abbiamo avviato un’attività mirata con tre ragazzi dell’alambicco e quattro del servizio territoriale con il prezioso aiuto di Manuela. Inutile dire che è stata un’esperienza bellissima, abbiamo lavorato anche e soprattutto sulla creazione di un gruppo forte e solidale, perché è proprio quello uno degli aspetti qualificanti e inaspettati dell’uso consapevole dei videogiochi: consolidare ed accrescere le competenze sociali e emotive. Il gioco, in generale, è il primo strumento che ogni individuo ha per crescere, e lì che forma la sua intelligenza emotiva e sociale, attraverso la gioia del successo e l’accettazione della sconfitta, si consola con il supporto dei compagni e impara, con il tifo e la condivisione di un’esperienza, ad aiutare gli altri. Impara che esi-

stono delle regole che vanno rispettate perché il gioco abbia senso e che divertirsi è un diritto di tutti. Queste cose basilari, tramandate nella notte dei tempi da tutte le generazioni che hanno giocato nei cortili, applicate e stimolate nell’uso di videogiochi, possono avvantaggiarsi anche degli aspetti di iperstimolo che questo fornisce. Si può lavorare su infiniti aspetti cognitivi, incrementando i tempi e la qualità dell’attenzione senza sforzo e con divertimento e tutto questo con il supporto del gruppo. Ma non finisce qui, anche un ragazzino in carrozzina, con difficoltà mo-

Los Angeles. Mia Dolan, giovane aspirante attrice, incontra Sebastian, un pianista jazz che sogna di aprire un proprio locale. I due si innamorano, ma la strada verso il successo professionale è piena di ostacoli, che si rivelano in grado di mettere a dura prova il loro rapporto. La La Land, diretto da Damien Chazelle (già regista di Whiplash) e interpretato da Emma Stone e Ryan Gosling, esce nelle sale italiane il 26 gennaio 2017, dopo essere già stato distribuito e positivamente accolto in patria. Di recente, il film

ha infatti battuto il record di Golden Globes conquistati, portandosi a casa, fra gli altri, riconoscimenti agli attori protagonisti, nonché vincendo come Miglior Film o Commedia Musicale e Miglior Regia. La la land riprende in mano i fasti del musical hollywoodiano, proponendo canzoni come City of Stars o The Fools Who Dream, destinati a diventare classici del genere. Poetico e leggero, venato da un profondo senso di malinconia, il film convince e rapisce con la bellezza e la fluidità delle sue immagini e della sua musica.

marito; uomo subdolo ed egoista, vede nel nuovo comportamento della moglie un’irragionevole mancanza di rispetto nei suoi confronti al punto di rinnegarla davanti alla famiglia, fino ad arrivare al divorzio. La scelta della donna non viene accettata di buon grado neppure dai suoi famigliari: i genitori la credono pazza e rispondono violentemente a questa sua vergognosa rivolta, portandola all’esaurimento fino a un tentato atto suicida. La seconda voce narrante è quella del cognato, un artista pusillanime dai pochi e lontani successi, che inizia a vedere nella donna la realizzazione vivente di un’opera d’arte in cui essere umano e vegetale fondono diventando un tutt’uno, ispirandogli una profonda attrazione erotica che lo porterà a essere abbandonato dalla moglie. I dolorosi incubi di Yeong-hye si fanno più frequenti, costringendola all’insonnia; la sua condizione fisica peggiora drasticamente dal momento in cui neppure frutta e verdura la invogliano a mangiare: luce e acqua sono l’unico nutrimento di cui necessita. Ridotta or-

mai a un vecchio ricordo della persona che era, Yeong-hye viene portata dalla sorella in un centro di cura, dove la sua trasformazione continua, nonostante le cure dei medici. La sorella, terza narratrice, si rende conto attraverso l’esperienza di Yeong-hye, di quanto siano profondamente simili le loro vite, appese entrambe a un filo di cui però lei tiene ancora stretta un’estremità. Una vicenda febbrile, in bilico tra sogno e realtà, raccontata con raffinatezza e leggiadria, nonostante l’oscurità. Attraverso le immagini di una natura florida e rigogliosa che prende il sopravvento, i diversi punti di vista dei personaggi si uniscono, delineando i tratti di una persona che finalmente prende in mano la propria vita quando ormai è troppo tardi.

Han Kang “La vegetariana” 2016, pp. 177, € 18.00 Edizioni Adelphi

torie, può giocare con un ragazzino coetaneo di Estate Insieme, utilizzando questo strumento come mezzo naturale di integrazione; e che bel momento di gioia e sfogo ballare tutti insieme, ognuno come può, con Just Dance! Infine, anche noi operatori, giocando con i nostri ragazzi, ritroviamo quella dimensione ludica del fare che ci fa stare bene e ci aiuta a far star bene gli altri con leggera naturalezza. Quest’anno il gruppo ha concluso la sua esperienza con una serata presso il Boowling di Savigliano: dopo tante gare virtuali anche una prova sul campo, che campioni!

L’autrice abbandona il lettore, lasciandolo libero di creare la propria versione dei fatti, regalandogli uno spiraglio per un’intima inchiesta interiore.


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Mus

Musica STÀLTERI ARTURO

PRÉLUDES di Giuseppe Cavaglieri

Il preludio é una delle più libere e sintetiche forme della musica classica europea e può vantare di aver avuto l’attenzione di molti importanti compositori; fra gli altri: Johann Sebastian Bach, Fryderyk Chopin, Claude Debussy, Alexander Scrjabin e Dmitrij Shostakovich. È proprio per l’estrema libertà e la sinteticità che questa forma concede al compositore, che ARTURO STÀLTERI ha scelto il preludio come forma musicale attorno a cui costruire il reperto-

rio della sua nuova produzione discografica. Ventitre composizioni inedite in forma di preludio compongono infatti il suo nuovo album Préludes, presentate per la maggior parte in piano solo o in duo, con diversi compagni di viaggio, come il violino di Yasue Ito, il flauto e la voce di Federica Torbidoni, il santoor di Guido Landucci, il pianoforte e la chitarra elettrica di Michele e Matteo Gioiosa, il clavicembalo di Alessandro Buca, le macchine lunari di Pino Zingarelli e non ultima Annalisa Teodorani, giovane e talentuosa poetessa romagnola, la quale firma tre testi e ne è la voce recitante. Mentre abitualmente il repertorio classico è costituito da 24 brani (12 in tonalità maggiore e 12 in minore), STÀLTERI qui si è fermato a 23 brani ufficiali (più una bonus track), suddivisi fra (tonalità maggiore e minore) uscendo da quella che è divenuta una tradizione fra i compositori classici. Nel concepire i suoi Préludes, STÀLTERI a volte cattura suggerimenti dal mondo della letteratura, come in Fils de naufragés che è ispirata ad una poesia del bretone Xavier Grall; Eowyn alla trilogia di J. R. R. Tolkien; Gli artigli di Cat Woman è dedicata al personaggio inventato da Bob Kane

e Bill Finger; Everyone picked strawberries a Joseph Roth, mentre Il sogno di Lydea trae spunto dagli scritti di Patricia Mc Killip. Tra le altre fonti: la terra dell’eterna giovinezza (Tir Na Nòg) e il fenomeno astronomico dello spostamento verso il rosso dei segnali elettromagnetici emessi dalle galassie (Red Shif). Con questa nuova produzione discografica ARTURO STÀLTERI ci propone un lavoro di grande spessore, trasportandoci irresistibilmente nel suo mondo fantastico, grazie ad una scrittura immediata e coinvolgente.

ARTURO STÀLTERI,

romano, si è diplomato in pianoforte al Conservatorio Alfredo Casella de L'Aquila. Ha studiato a Roma con Vera Gobbi Belcredi, a Parigi con Aldo Ciccolini e ha frequentato, come allievo effettivo, i corsi di perfezionamento di Vincenzo Vitale e Konstantin Bogino. STÀLTERI ha cominciato a farsi conoscere con i Pierrot Lunaire nome storico del rock progressive italiano degli anni settanta, un gruppo che seppe mediare tra rock e classicismo e con il quale ha registrato due album. Tra le altre collaborazioni artistiche: Franco Battiato, Rino Gaetano, Da-

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vid Sylvian, Carlo Verdone e Sonja Kristina. Svolge una vivace attività concertistica rivolgendo la sua attenzione anche ad autori dell'area extra-colta. Nelle sue performance per solo piano si ascoltano, oltre alle sue composizioni, sia brani di Debussy, Schubert, Bach, Beethoven, Chopin, Liszt, che Sakamoto, Genesis, Sigur Ros, Philip Glass e Wim Mertens. Dal 1988 collabora con la Rai, per la quale ha condotto numerosi programmi musicali. Attualmente è la voce di Primo Movimento e de Il Concerto del Mattino, su Radio 3. È spesso in giuria per concorsi nazionali ed internazionali. Molti dei suoi lavori discografici sono stati ripubblicati in Giappone e Corea.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

Domanda numero tre. Con il 2017 vedremo l’approvazione e l’entrata in vigore del Piano Regolatore? Sembra che i rilievi fatti dalla Regione vadano ad incidere sulla natura del progetto stesso: se così fosse, il Piano potrà diventare operativo entro il 2017, come speriamo, o slitterà ancora? Domanda numero quattro Ci sarà, nell’anno in corsa la possibilità che il Comune venga dotato del Registro del Testamento Biologico e che la firma di chi intende redigere questo documento possa essere autenticata come qualunque altro documento? Si tratta di uno strumento in cui crediamo, e che eviterebbe difficoltà non facili da superare ai cittadini che intendono esprimere la propria volontà rispetto a decisioni così importanti sul fine vita (come già discusso nelle pagine del n.85 di Insonnia). Domanda numero cinque Potremo vedere alcune piste ciclabili e pedonali che dal centro, in modo sicuro, raggiungano scuole, stazione e posti di lavoro più periferici? È un tema che mette in gioco soprattutto la sicurezza (perché molti già percorrono queste strade, condividendole però con automobilisti non sempre rispettosi degli altri utenti della strada), ma anche un tema culturale, che permetterebbe di diminuire l’inquinamento e incentivare l’uso di mezzi di trasporto sani.

Domanda numero sei A Racconigi abbiamo diversi spazi pubblici coperti ancora chiusi. L’ala dell’ex mercato coperto di via Carlo Costa, chiusa ormai da mesi e forse a pericolante, che si trova nella stessa via dove si sta lavorando da tempo alla conclusione di quell’opera monumentale che è la vecchia SOMS. Ne vedremo la fine entro quest’anno? Ma soprattutto si saprà trovare il modo in cui quest’opera potrà essere gestita a vantaggio del pubblico e non per qualche attività a fini di lucro? Chi avrà la capacità di far funzionare questa struttura mantenendo un equilibrio tra la sopravvivenza economica ed un uso culturale vero? Via Carlo Costa, con questi due spazi funzionanti, potrebbe veramente essere la Strada della Cultura: chiusa al traffico e pavimentata come la piazza del Castello potrebbero diventare uno spazio bellissimo per molte manifestazioni. Quando pensiamo a queste cose molto pratiche per la nostra città ci tornano ancora alla mente pensieri più alti e forse rischiamo di nuovo di cadere nel filosofeggiare di cui ci parlava il lettore; permettetecelo almeno qui, su questo sfondo nero che chiamiamo editoriale: che cosa vorremmo che prevalesse in una più ampia visione del futuro? Un tempo era la voglia di un cambiamento totale, la sostituzione dei valori che sembravano vecchi con altri che come in un’alba luminosa ci rischiarassero la mente. Ora siamo ripiombati in un tempo

oscuro: abbiamo paura del futuro, tutto sembra farci ritornare a un personalismo esasperato e a sperare in un potere forte che difenda ciò che abbiamo conquistato. Un sentimento che giunge da molte parti e a livelli sempre più alti (Trump insegna!). Viviamo in una società sempre più complessa, fatta di grandi città in cui strumenti, attrezzature, connessioni e mille altre cose sono necessarie perché lo stesso tessuto urbano non imploda in un caos terribile. Centinaia di migliaia di persone, milioni a volte, che si muovono, vivono, si riproducono e muoiono in questi spazi, in cui tutto avviene senza scossoni, senza che esistano situazioni tanto esplosive da impedire che tutto continui e si perpetui. Certo esistono sistemi non sempre perfetti a guidare questi insiemi, ma nonostante tutto la baracca sta

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in piedi! Non vi sembra una cosa quasi magica? Mettere mano a questo complesso senza che tutto venga sconvolto non è cosa semplice e anche solo per pensarlo non possiamo essere superficiali. Quando eravamo più giovani ci sembrava di poter con facilità cambiare tutto; ora andiamo più cauti, ma in noi continua a sopravvivere il desiderio di trasformare radicalmente il nostro modo di concepire l’esistenza. Ma poi ci ritroviamo a scendere a patti con la realtà, e se guardiamo da vicino le nostre sei domande ci sembrano terra terra, quasi al livello del fango che calpestiamo ogni giorno, e il nostro diventa sempre meno ampio: la fine del 2017. Eppure è con questa piccola realtà che ogni giorno abbiamo a che fare e che costituisce l’ossatura delle nostre vite.


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