INSONNIA Dicembre 2017

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Insonnia n° 98 Dicembre 2017 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 «Non è amore se ti fa male. Non è amore se ti controlla. Non è amore se ti fa paura di essere quello che sei». Queste parole le aveva postate Noemi Durini, 16 anni, pochi giorni prima di essere uccisa dal fidanzato. Lo scorso anno sono state 120 le donne ammazzate da un marito, fidanzato o convivente, una ogni due giorni e mezzo. Nei primi 10 mesi del 2017 i casi di femminicidio sono stati 114 e vanno dalle violenze domestiche allo stalking, dallo stupro all’insulto verbale, al cyber bullismo. Cosa spinge ad uccidere la donna con la quale si hanno legami sentimentali o sessuali? La volontà di cancellarne l’identità, di distruggerne l’indipendenza e la libertà di scelta. Scorrono sul web le immagini di alcune vittime, sorridono nelle immagini che le rappresentano e le storie che leggiamo sono sempre quelle: un ultimo appuntamento, il tentativo fallito di raccogliere i propri cocci e fuggire, il desiderio di uscire dall’inferno di una quotidiana violenza fisica e psicologica! I dati ISTAT sopra indicati ci dicono che il femminicidio, divenuto reato diffuso, necessita di una risposta non solo giudiziaria, ma culturale e educativa. Gli uomini sani, che sono la maggioranza, devono lottare contro la violenza sulle donne perché “la violenza sessuale non riguarda soltanto le donne ma tutti noi, perché riguarda episodi ricorrenti di gravissime violazione dei diritti umani e questo coinvolge tutti in egual misura", ha ribadito il presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata Mondiale della Violenza sulle Donne.

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UNA FAVOLA PER AUGURARE BUON NATALE di Daniela Anna Dutto

... C’erano una volta due Regni confinanti con due Regnanti che si detestavano e si facevano sempre dispetti. Un re si chiamava il Re Bello perché era un uomo alto, forte con una grande barba e il secondo Re si chiamava il Re Furbo perché quello che non aveva ricevuto in bellezza lo aveva avuto in dono in furbizia e astuzia. Un giorno il Re Bello chiamò i suoi consiglieri e disse: “Io sono il Re Bello e considerando che sono il più bel Re che esista

sulla Terra devo avere un regno più grande di tutti. Tu messaggero vai dal Re Furbo e digli che mi deve concedere tutta la pianura che si estende dal lago fino al mare”. “Ma perché dovrebbe concedervi questo, mio signore?”. “Perché sono il Re Bello, vai se non vuoi essere decapitato” . Il messaggero chiese udienza al Re Furbo che, dopo aver sentito la richiesta, si fece una gran risata, e disse “È solo una sciocchezza. Anzi io sono il Re Furbo e devo possedere

un regno grande il doppio del suo”. E così i due Re si dichiararono guerra e mandarono i loro eserciti. Un giorno vinceva uno e l’altro doveva arretrare, il giorno dopo vinceva l’altro e il primo esercito faceva un passo indietro. I soldati erano stanchi, infreddoliti, ma i due Re continuavano a dire “Combattete, combattete”. Arrivò la Vigilia di Natale gli uomini erano esausti, tristi e pensavano alle loro famiglie. Due soldati dell’esercito del Re Bello tagliarono un pino, lo piantarono vicino all’accampamento e appesero delle pigne e dei rametti di agrifoglio. Un soldato dell’esercito del Re Furbo uscì’ dalla trincea e appese una cartolina di Natale che gli avevano spedito i suoi figli e così’ tutti si avvicinarono all’Albero, chi appendeva una fotografia, un fiocco fatto con una stringa degli stivali, un bottone legato ad filo. Tutti, ma proprio tutti i soldati decorarono l’albero. E poi si sedettero intorno e divisero le loro razioni di cibo e cantarono canzoni di Natale. Il Re Bello e il Re Furbo, chiusi nei loro castelli, non sentivano più gli spari e allora andarono sul campo di battaglia e videro i loro uomini seduti vicini a ridere e scherzare intorno ad un Albero di Natale. I soldati si alzarono in piedi e i due generali portavoce dissero “Questa guerra è una sciocchezza, solo voi volete che sia combattuta per prendere un pezzo di terra. Intanto la nostra vita non cambierà se un Regno o l’altro vincerà la guerra. Se volete combattere fatelo, noi vogliamo solo

festeggiare” e tornarono a sedersi intorno all’albero. “Dovete combattere, non fraternizzate con il nemico, sarete decapitati” urlavano i Re ma nessuno li ascoltava. Continuarono a dare ordini, a litigare fino a quando rimasero senza voce e allora si sedettero con i soldati intorno all’Albero e si unirono ai cori. Questo in realtà accadde nella prima Guerra Mondiale quando il 25 dicembre del 1914 i soldati inglesi e tedeschi interruppero le ostilità, si incontrarono nella Terra di Nessuno per festeggiare insieme il Natale e ne nacque una partita di calcio con un pallone fatto di stracci e sabbia. I soldati si scambiarono auguri, sigarette, cibo e, anche se per poco, la guerra venne dimenticata. Nella realtà non si ebbe il lieto fine delle fiabe perché secondo alcuni storici il giorno dopo, secondo altri dopo la fine dell’anno, le ostilità ripresero. Con l’augurio che sia per tutti un Natale Sereno all’insegna della Pace, della Condivisione e della Fratellanza.

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Banco Alimentare pag. 5

Lo Scaffale

SCUOLA

LA SINISTRA

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IL RACCONTO FOTOGRAFICO di questo MESE a cura di Rodolfo Allasia

Un nuovo fotografo per questo mese di dicembre; un racconto il suo che sembra voler sottolineare come il mondo si può riunire sotto una unica idea anche se i colori della pelle sono tutti diversi e quando, meglio di questo momento intorno alle feste natalizie per ricordarcelo… Le foto di Andrea Burzio sono state scattate a Torino la serata di chiusura della manifestazione di Terra Madre del 2016, Andrea è evidentemente rimasto affascinato da questi suoni, questi profumi, dai colori tanto da riproporceli anche se insonnia si stampa nero su bianco. L’idea che raccoglie questa gente proveniente da tutto il mondo è proprio la Terra, questa sulla quale poggiamo i nostri piedi, questa madre che se muore in qualche suo luogo muore tutta insieme. Ma le parole contano meno di queste immagini e quindi limitiamoci a guardare e lasciare che le emozioni entrino dentro di noi.

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Letterina di Natale di Luciano Fico

Caro Babbo Natale, caro Gesù Bambino, cari tutti Voi che, fino ad una certa età, ci proteggete dal vedere la verità delle cose e ci donate una fiaba in cambio della realtà, torno a scriverVi dopo tanto tempo. Quest’anno vorrei che finalmente il Natale tornasse ad essere la festa della Luce e della rinascita. Vorrei tornare ad emozionarmi non più per una magia, ma per l’umanità a cui appartengo e di cui si dovrebbe celebrare l’umile grandezza. Vorrei ritrovarmi accolto in un Mondo che tiene insieme, nel tempo sospeso della notte Santa, poveracci e Re, uomini e animali, adulti e bambini, angeli e grotte scure, chi crea una famiglia e chi procede da solo, chi fugge e chi cerca, chi comprende e chi si stupisce. Vorrei che nessuno dovesse più sentirsi escluso o sbagliato in questo giorno di festa. Mi dà fastidio che, proprio a Natale, moltissime persone debbano sentirsi ancora più tristi e sole. Ho capito male io o questa faccenda che Dio sia sceso fin dentro la carne di un bambino vuol dire proprio che ognuno può salire fino alle soglie della propria natura divina? Allora perché Natale è diventata un momento che esclude? Perché è diventata una sorta di festa ad inviti, a cui può partecipare solo chi “è stato buono”, solo chi ha una famiglia vicina ed accogliente, solo chi non è solo? Attorno a te, Gesù Bambino, stavano una donna adultera per la società ed un uomo che aveva contravvenuto le regole della propria religione, accettandola invece di ripudiarla; eravate soli voi tre, lontani da tutti ed in fuga da un mondo di Leggi senz’anima. Eravate forestieri e visti con sospetto. Alla grotta vennero in visita tre misteriosi e strani personaggi da paesi lontani: fu un incontro strampalato, guidato da una stella, in cui forse non vi capiste nel parlare eppure ancora oggi suggerisce stupore.

Allora vorrei che il Natale cessasse di essere la festa della Famiglia e della normalità rassicurante per poter diventare la celebrazione dell’amore comunque si manifesti, dell’incontro a qualunque costo. Quest’anno vorrei poter camminare per le strade e non vedere più stranieri lontani dalle loro famiglie e delle loro abitudini, abbarbicati ad una panchina e ad una bottiglia di birra. Quest’anno vorrei che Voi entraste negli Ospizi, nelle Comunità psichiatriche, nei Centri di recupero, nei Centri di accoglienza per immigrati, per cancellare quel tremendo senso di esclusione che fino ad oggi il Natale ha sempre portato con sé. Vorrei anche che i bambini ed i ragazzi alle prese con la separazione dei propri genitori, non si debbano più sentire degli svantaggiati, ma esploratori di nuove forme di amore e di socialità. Vorrei che i loro papà e le loro mamme possano abbandonare il peso di un ingiusto senso di colpa per godersi la nuova vita che sta nascendo dalla loro scelta. Vorrei che chi è addolorato possa vivere la propria tristezza, senza doverla nascondere con vergogna. Vorrei anche, scusate se mi permetto tanto, che nessuno si debba sentire in difetto se non ha soldi da spendere in regali e addobbi; mi piacerebbe tanto che questa volta la gioia non la si dovesse comprare. Avrete capito che Vi sto chiedendo aiuto per avere un altro Natale! Vi chiederei di farlo diventare la festa della speranza, dell’accoglienza e dell’inclusione, la festa dell’umiltà e della compassione. Avrei voglia di una Festa che non ci accechi con illusioni e luminarie, ma che ci restituisca l’orgoglio di essere creature umane, imperfette ed in cammino, abituate al buio del fallimento, ma con dentro la visione certa di una Luce. Da bambino la mia letterina era scandita dai “voglio”: da grande ho preferito usare il condizionale. Grazie…


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UNA SERA DI QUALCHE GIORNO FA…

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Riflessioni di un ragazzo di 20 anni, oggi ultranovantenne di Anna Simonetti

Una sera di qualche giorno fa, in una saletta adiacente la biglietteria del castello di Racconigi, in occasione della presentazione del libro di Riccardo Assom “Il mio cuore è con loro”, uno sparuto gruppo di amici dell’ANPI ha potuto vivere le emozioni che Beppe Marinetti ha suscitato con poche, semplici parole: sono le emozioni di un ragazzo di vent’anni che fuggito in montagna a combattere i nazi fascisti, sente due parole, che definisce “ magiche”, mai sentite prima: libertà e democrazia.

“Sono nato nel fascismo, nel 1925, e per 20 anni abbiamo subito il fascismo, ci siamo allevati, siamo andati a scuola col fascismo: in classe, prima di sederci, facevamo il saluto al duce e le parole che ci trasmettevano erano “credere, obbedire e combattere”, ma quando lassù in montagna abbiamo sentito parlare di “libertà e democrazia” ci siamo resi conto che non eravamo lì solo per combattere ma anche per dare un contributo al nostro Paese, per cancellare le parole stupide del regime e realizzare quei valori di “libertà e democrazia” che erano diventati anche i nostri valori. “Voi non potete sapere cosa era andare a scuola, lavorare sempre e solo per qualcuno che comandava: sempre e solo lui, il duce, che per 20 anni ha comandato su tutto e tutti… col silenzio della monarchia! Sì, mi è scappata una lacrimuccia nel leggere i nomi e le parole delle persone di questo libro, persone che presto saranno dimenticate perché non sono persone famose, pochi le hanno conosciute, ma per noi ragazzi di 20 anni sono stati i primi “maestri” di democrazia, maestri che hanno dato un significato alla nostra battaglia, all’impegno di due anni in montagna da “partigiani”. “Purtroppo - il tono di voce si abbassa - devo dire che sono un po’ deluso, la democrazia c’è, andiamo a votare, ma non è questa la democrazia che sognavamo, pensavamo che l’eguaglianza fosse qualcosa di diverso, pensavamo che la nostra società sarebbe stata una società di avanguardia…ma così non è stato!” Ecco, sono solo 5 minuti quelli occupati da Marinetti per le sue riflessioni sull’importanza di questi “maestri”, ma nelle sue parole c’è ancora la forza di chi ha combattuto per degli ideali. Nel ringraziare Riccardo Assom per avere riportato nel suo libro “Il mio cuore è con loro” i nomi e le parole dei “maestri”, voglio indi-

carne, qui di seguito, almeno due: Ermes Bazzanini, nome di battaglia Ezio. Ernesto Casavecchia, nome di battaglia Ernesto. Il mio compito doveva finire qui, fermare le parole di Marinetti e lasciare a qualcun altro il compito di parlare di questo libro, ma come spesso succede a chi ama i libri, a chi ama leggere, avere un libro tra le mani e non sfogliarlo è quasi impossibile. Ho cominciato a sfogliarlo, a leggerlo saltando da una pagina all’altra, o per meglio dire, da un personaggio all’altro finché ho deciso di rimandare ogni altro impegno e leggere le parole “dei resistenti”. È vero, come dice Marinetti, nessuno li conosce se non quelli che hanno vissuto con loro i 20 mesi in montagna nella lotta di liberazione, ma quanta umana sapienza in questi uomini. Assom attraverso alcune pagine dei diari a lui pervenuti, come quelle di Ramon (nella vita Lorenzo Frusso) ci fa conoscere i pensieri del giovane partigiano, la preparazione della fuga attraverso i tetti, qualora dovessero arrivare i tedeschi; la tranquillità dell’animo nel sapere che mamma e sorella avranno un po’ di soldi quando deciderà di andare a combattere in montagna. Il dolore per la morte accidentale di un amico, la fame che non abbandona mai i giovani combattenti. E ancora scrive: 2 aprile ’44. Arriva la notizia che 9 partigiani sono stati fucilati dai tedeschi, arrivano i nomi dei giustiziati, c’è tra questi un suo amico… Luglio ’44. In località Ciambetta, frazione di Sampeyre, si forma la XV Brigata Garibaldi, con 600 uomini al comando di Santa Barbara (nella vita Bruno Andrea) “… pronta a qualsiasi evenienza… compito immenso… sfamarli tutti!” Riccardo Assom ha inoltre il merito in questo suo libro di rivalutare l’apporto delle donne

nella resistenza, il ruolo da loro svolto nel segnalare le presenze del nemico sul territorio, nel recapitare messaggi, cibo, maglie, calze e abiti, un ruolo che purtroppo “alla fine della guerra non è stato adeguatamente gratificato da una società ancora troppo maschilista”. Voglio qui riportare la tabella riassuntiva relativa al “Contributo Resistenziale Nazionale” da cui si ricava quale sia stato il contributo dato dalle donne alla lotta partigiana e quanto sia esiguo il numero delle donne decorate con medaglia d’oro al valor militare.

35.000 Donne partigiane 70.000 Fecero parte dei Gruppi di Protezione 4.650 Partigiane Arrestate e Torturate 2.750 ca. Partigiane Portate nei Lager 2.812 Partigiane Fucilate o Impiccate 1.070 Cadute in combattimento 19 Donne Decorate nel Dopoguerra con la Medaglia d’oro al valor militare Concludo dicendo che la memoria di fatti e persone che abbiamo incontrato nel libro di Assom deve essere condivisa con le future generazioni perché i giovani di oggi, ma anche quelli di domani, sappiano che giovani volontari hanno combattuto e dato la vita per la nascita della Repubblica Italiana, Libera e Democratica.


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MA, SOPRATTUTTO, UNA SINISTRA Qualcuno si ostina a cercare squarci di futuro di Melchiorre Cavallo

Per una volta la nostra provincia, spesso a margine dell’impero, ha iniziato un percorso all’avanguardia. Sin dallo scorso maggio un gruppo di volenterosi si è ritrovato, spinto da un’esigenza: ritrovare un ambito comune per tutte quelle persone che credono ancora nei

po dell’accoglienza ci si è trovati a rincorrere le paure fomentate dalla Destra, finanziando i potentati libici responsabili di incarcerazioni e torture (denuncia dell’ONU, non di qualche antagonista), pur di tenere lontani i profughi dalle nostre coste.

se, per iniziare un lungo cammino di lotta, non per le poltrone, ma per le persone. Sicuramente non è per l’appello partito dalla nostra provincia che il fenomeno si è innescato, ma almeno ci siamo sentiti partecipi, sin dall’inizio, di un progetto. Ora tut-

valori della Sinistra (uguaglianza, pari opportunità, rispetto per il lavoro e per l’ambiente, diritti civili, accoglienza...) e che sono deluse dalle politiche degli ultimi decenni, portate avanti direttamente da governi che facevano riferimento alla Destra o da governi formalmente di “Centro Sinistra” che, però, alla prova dei fatti, hanno rappresentato una continuità con le politiche di Destra. La soppressione dei diritti dei lavoratori (Articolo 18), la mancanza di politiche che riducano il crescente divario sociale, la disoccupazione di massa dei giovani, il ritorno ad una povertà diffusa, la prospettiva di un’età pensionabile tra le più alte d’Europa, lo svuotamento dell’istruzione, una sanità sempre più “per ricchi” oppure per condannati a lunghe file di attesa. Una politica fatta di bonus spesso indifferenziati e non di progetti, di sovvenzioni a banche e imprese, condoni, scudi fiscali e arretramento del ruolo dello Stato nell’economia. I valori della Sinistra, per i quali tante donne e uomini hanno combattuto con la loro stessa esistenza, sono stati sconfitti. Anche nel cam-

Anche chi, da Sinistra, aveva visto nel Movimento 5 Stelle una possibile alternativa, è rimasto deluso: chiaramente, in questi giorni, i leader del Movimento ci dicono che il loro impegno è quello di portare a termine la “rivoluzione liberale” iniziata dai governi di Destra. La Sinistra è stata sconfitta. Profondamente. Ma questo non vuol dire che dei suoi valori non ci sia più bisogno. Crediamo ci siano donne e uomini che vogliano continuare a vivere con “la schiena diritta”, che credano ci sia ancora spazio per combattere per un bene collettivo, per chi è rimasto indietro, per consegnare una terra migliore ai figli. Crediamo ci sia ancora spazio per un’idealità che vada oltre la porta di casa e il portafogli. Noi sappiamo che nessuna delle promesse delle politiche di Destra saranno realizzate a beneficio di chi vive oggi in condizioni di precarietà e disagio. Sappiamo che queste promesse sono fatte per illudere molti e favorire pochi. Questo sta avvenendo, oggi, nel mondo. Abbiamo quindi chiesto all’universo (ormai piccolo) della Sinistra di unirsi, lasciando da parte personalismi e divisioni pretestuo-

to questo si sta concretizzando in un nuovo soggetto politico. Non deve essere e non sarà solo un’avventura elettorale (anche perché, in

questo senso, l’esito sarebbe già scritto). Le elezioni rappresenteranno una tappa, ma il cammino è molto più lungo. Ci sono tante cose, ma, soprattutto, tante persone da recuperare. Sono il popolo annientato che non crede neppure più possibile un cambiamento. Dobbiamo essere ultimi con gli ultimi e credere che insieme ci si può sollevare. Perché questa è la storia della Sinistra. Scrivo queste righe qualche giorno prima dell’Assemblea costituente del nuovo soggetto (3 dicembre). Non so ancora come si chiamerà e, francamente, non mi importa. Nelle due serate pubbliche che abbiamo organizzato (a Cuneo e Savigliano) c’è stata una partecipazione che è andata oltre le più rosee previsioni, e questo fa ben sperare. Il sistema con il quale andremo a votare non è sicuramente stato studiato per noi. È molto probabile, però, che da queste elezioni nessuno dei tre schieramenti maggiori esca con la possibilità di formare autonomamente un governo e che assisteremo a scenari di alleanze post-elettorali che solo qualche tempo fa avrebbero fatto inorridire gli stessi protagonisti. Ma saranno solo la conseguenza di politiche simili. Per la Sinistra, quindi, ci sarà tanto da lavorare. Per info e adesioni sinistraunita.cn@gmail.com

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Quando arrivare a fine mese è difficile

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IL BANCO ALIMENTARE: A RACCONIGI SONO DUE

Cosa può fare l’Amministrazione Comunale di Elisa Reviglio

Sabato pomeriggio sono entrata tutta trafelata, come mio solito, in un supermercato racconigese e sono stata gentilmente accolta da dei volontari che, speranzosi, mi porgevano un sacchetto giallo. Cosa ci devo fare? Ah, è vero, la colletta alimentare! E mi sono resa conto che molto egoisticamente non mi sono mai soffermata a pensare a cosa sta dietro a quel sacchetto giallo. Allora mi è venuto in mente che esiste a Racconigi un Banco Alimentare e ho deciso di approfondire. E ho scoperto che qui esistono due Banchi Alimentari, non uno solo! Uno fortemente voluto dalla passata amministrazione e sostenuto da volontari sotto il cappello della Compagnia di S. Barbara, l’altro gestito dall’Area 2 della Croce Rossa di Racconigi che si occupa direttamente delle questioni socio-assistenziali. I prodotti raccolti tramite la colletta alimentare vengono convogliati in centri di raccolta e qui smistati ai vari banchi alimentari presenti in tutte le città italiane. Inoltre la Comunità Europea ha istituito l’AGEA (agenzia per le erogazioni in agricoltura), un organismo che tra i vari compiti ha quello di promuovere l'applicazione della normativa comunitaria e delle relative procedure di autorizzazione, erogazione e contabilizzazione degli aiuti comunitari verso gli indigenti. Tutti questi beni non vengono di-

stribuiti a caso, ma, con la stretta collaborazione degli assistenti sociali, è stato stilato un elenco degli aventi diritto, questo per evitare che vi siano i soliti furbetti. Ma allora perché creare due Banchi Alimentari? Probabilmente per migliorare il servizio già svolto dalla CRI di Racconigi e aumentare la quantità di beni e la frequenza della loro distribuzione, infatti la CRI organizza 4 o 5 distribuzioni all’anno, mentre il Banco Alimentare distribuisce ogni 15 giorni. Ma c’è un ma. Come sempre in Italia c’è chi tenta di approfittare del servizio, accaparrandosi più prodotti del necessario generando spreco a danno di chi ha veramente necessità, ecco perché in uno stesso comune possono esserci tante associazioni che si occupano di distribuire prodotti agli indigenti, ma una sola può ricevere ed utilizzare i prodotti AGEA. Però senza questi prodotti la disponibilità sarebbe molto più contenuta e occorrerebbe supplire con fondi propri. E i tempi duri esistono anche per le casse delle associazioni. Fino ad oggi il Banco Alimentare ha potuto sopravvivere grazie all’appoggio dell’amministrazione comunale che forniva la sede e ne pagava le utenze e metteva a disposizione gli operai comunali per andare a ritirare i prodotti al centro di smistamento e all’appoggio della Compagnia di S. Barbara.

Cosa potrebbe succedere se il Comune e la Compagnia di S. Barbara si tirassero indietro? Semplicemente che il Banco Alimentare non avrebbe più la forza di sopravvivere e che quindi solo più la Croce Rossa si farebbe carico della distribuzione. Ma le famiglie passerebbero a ricevere i prodotti ogni 3 mesi invece che ogni 15 giorni. E per quanto possiamo credere di vivere in un’isola relativamente felice, in realtà anche il nostro territorio è stato colpito duramente dalla crisi. E sono molte le famiglie che hanno serie difficoltà ad arrivare a fine mese. La leggenda popolare vuole che siano famiglie di extracomunitari, ma purtroppo la verità è un’altra: la maggior parte è costituita da italiani. Dico purtroppo perché sarebbe un

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Ho letto la lettera scritta al Mensile “INSONNIA” che mi chiama in causa e in particolare contesta la possibilità di passaggio sotto il Dehor del mio locale da parte di un signore in carrozzina. Devo ammettere che la cosa mi ha particolarmente colpito e meravigliato, non sapevo che il mio Dehor costituisse un impedimento al passaggio di persone con carrozzina, nessuno mi aveva mai avvisato.

E dire che ho sempre pensato, con orgoglio, di avere un locale senza barriere architettoniche. Sono anche particolarmente dispiaciuto che questo signore abbia scelto di passare sulla statale con la carrozzina. Molto probabilmente è stato tratto in inganno dalla recente segnaletica orizzontale che deli-

mita il passaggio pedonale, la cui riga continua termina esattamente davanti alla ringhiera del Dehor (già così dal 1963) e dalle botti che ornano l’ingresso del ristorante, ( messe per salvaguardare l’incolumità dei mie clienti che uscendo dal locale rischiano di essere investiti da scalmanati che passano sotto il Dehor con la bicicletta violando pure il codice della strada). In realtà il passaggio non è completamente ostruito ma si può passare (come è possibile vedere dalla foto allegata). È’ comunque nostro interesse, come cittadini prima e ristoratori poi, venire incontro alle esigenze di chi, ha problemi di disabilità ed agevolare nel miglior modo possibile il passaggio togliendo le botti e qualsiasi altro impedimento, che ci sarà segnalato, che possa creare una qualche difficoltà di passaggio. Ci scusiamo per il disagio che ab-

segnale positivo per l’economia italiana, se il rapporto fosse invertito, perché significherebbe una ripresa, mentre invece un aumento dei numeri a “favore” delle famiglie italiane, significa esattamente il contrario. E così mi ritrovo con il mio sacchetto giallo in mano con la sottile sensazione che qualcuno in tutto ciò resterà a mani vuote, molto probabilmente chi ci è già abituato a restare a mani vuote, sperando che a prevalere sia la lungimiranza di non distruggere ciò che c’è di buono e funzionante, perché a vincere sia la politica, sì, ma quella del buon senso e che l’amministrazione comunale si adoperi affinché le due associazioni riescano a trovare un accordo che garantisca una distribuzione con cadenze più brevi che non ogni 4 mesi nel rispetto delle normative. biamo creato, non era assolutamente nelle nostre intenzioni. Sarei lieto di invitare il signor Martello Vincenzo a farmi visita, di entrare nel mio locale e di gustarsi un favoloso bollito misto, naturalmente come mio ospite. Roberto Mantovani, ristorante Mosè


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goglio di essere creature umane, imperfette ed in cammino, abituate al buio del fallimento, ma con dentro la visione certa di una Luce”. Non lo si può esprimere meglio di così.

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Buon Natale a tutti!

(1) J.S. Spong, “La nascita di Gesù tra miti e ipotesi”, pp. 189, Massari Ed. 2017, € 12,00.

«Lei, Mancuso, è cattolico?» a cura di Guido Piovano

QUELLO CHE I PRETI NON DICONO Siamo a Natale, ormai la festa principe del consumismo, anche quest’anno non mancherò l’appuntamento con la ‘messa di mezzanotte’ e mi domando: chissà se il nuovo parroco ci ricorderà cose che in genere i preti non ci dicono. Che i racconti della natività in Luca e Matteo sono una leggenda midrashica, sì ricca di significati, ma priva del tutto di storicità(1). Che Gesù è nato a Nazareth e non a Betlemme, in una famiglia numerosa, Marco (3,31-32), che non è nato in una grotta, che aveva una cultura; che Giuseppe, suo padre, faceva l’artigiano, dunque aveva un lavoro e per quel tempo questo era già molto. Gesù non era povero. O se invece continueremo, immersi nell’atmosfera magica delle luci intermittenti e del presepe, tra il bue e l’asinello, tra angeli e re Magi, a trascurare il Gesù storico, a cantare “tu scendi dalle stelle” sentendoci più buoni e soprattutto buoni cristiani, per continuare a partecipare tranquillamente alla festa dei regali. Mentre fuori dalle nostre chiese in festa, molti sono gli esclusi, questi sì al freddo e al gelo dell’abbandono che li circonda. Per una volta mi piacerebbe sentire nella ‘notte Santa’ una parola

di accoglienza forte e chiara per cui nessuno possa sentirsi escluso o sbagliato: basta con la “Famiglia”, per giunta sacra, modello irraggiungibile. È sufficiente guardarsi attorno per vedere che quelle che esistono davvero sono “le famiglie”, di separarti, divorziati, conviventi, omosessuali, con figli di uno solo dei due… O cerchiamo di capire o condanniamo e facciamo festa tra di noi, eletti. Perché il comportamento che esclude, alla fin fine, è sempre quello sessuale? Perché non è escluso dalle nostre eucarestie chi non paga le tasse o chi lucra sui migranti? In altra parte del giornale, a pagina 2, il dottor Fico, in un bellissimo suo testo a proposito del Natale scrive “Vorrei che il Natale cessasse di essere la festa della Famiglia e della normalità rassicurante per poter diventare la celebrazione dell’amore comunque si manifesti, dell’incontro a qualunque costo”. E poi ancora “Vi chiederei di farlo diventare la festa della speranza, dell’accoglienza e dell’inclusione, la festa dell’umiltà e della compassione. Avrei voglia di una Festa che non ci accechi con illusioni e luminarie, ma che ci restituisca l’or-

Sì, di tradizione cattolica, vado a messa tutte le domeniche, però su alcune cose del credo cattolico non sono d'accordo, come ho dichiarato nei miei libri più di una volta. Io mi ritengo ancora cattolico, per qualcuno non lo sono più, diciamo che sto con un piede dentro e un piede fuori, così, sui confini… In parole povere lei è un eretico… Eretico per qualcuno. Se si vuole bollare negativamente questa posizione la si può chiamare eresia. Se la si vuole invece connotare positivamente la si può chiamare profezia, ricerca, desiderio di qualcosa di nuovo. Lei nel suo libro(2) ci riporta alla concezione di fondo della vita non come acquiescenza e lasciarsi andare, ma come profezia, ricerca, sfida, ardimento…” Come “cammino”. In copertina c'è un ragazzo che cammina, cerca di trovare l'equilibrio sulla fune, quella fune è la vita, quel ragazzo siamo

noi, cerchiamo di trovare un equilibrio… Sentire Dio non vuol dire sentire il dio personale, vuol dire sentire la bellezza della vita, sentire il senso della vita. Questa vita ha tante cose che non sono né belle, né giuste, ha tante cose negative, pagine di non senso, di assurdità e non c è bisogno di ricordarlo, perché ogni giorno queste cose ci feriscono e tuttavia sentire Dio significa credere che l'ultima parola, quella che sentiamo come più viva e più vera dentro di noi, non sia questo dolore, questa ingiustizia ma sia il senso della vita… Quello che conta non è il credere, la professione di fede; non è il credo esteriore, ma è la tua identità, quello che pensi; pensare non è avere concetti, ma vedere bene le cose e posso vedere bene le cose se sono puro dentro, per quanto possibile, sennò le distorco, sennò proietto delle cose che non ci sono… La fede può sussistere dove c'è la possibilità di dire di sì e di dire di no, di dire che c'è il senso della vita, che c'è un senso. A questo punto o ti fidi del senso o ti fidi del non senso, ma senza il dubbio non c’è fede; quindi coltivare dubbi, coltivare domande, anche obiezioni, antitesi è la condizione essenziale per una fede matura, autentica e non semplicemente dottrinaria… nel Vangelo non c'è una fede dottrinaria. (2) Vito Mancuso, “Il bisogno di pensare”, pp. 192, Ed. Garzanti, 2017, € 16,00. (da “Quante Storie” Rai 3, 23 novembre, intervista di Corrado Augias) Su profezia/eresia: Franco Barbero "Confessione di fede di un eretico", Ed. Mille, 2017.

Non ci sono più le mezze stagioni di Zanza Rino

Una volta, non tanto tempo fa, a dicembre/gennaio faceva freddo, o molto freddo, qualche volta le temperature erano rigide; a luglio/agosto faceva caldo, in certi anni molto caldo, magari

caldo afoso. A novembre arrivava la nebbia (spesso e spessa) e ce ne facevamo una ragione; e quando ad aprile arrivava la pioggia aprivamo l’ombrello. Oggi le temperature “siberiane” (qualche volta “polari”) ci assillano e presto, con l’inverno ormai alle porte, non mancheranno le “sciabolate artiche”; le temperature estive sono fatalmente “torride”, “tropicali” o “africane”, questa estate più di tutte. Al secondo giorno di pioggia invochiamo il sole; quando scivoliamo sulla neve la colpa è del

sindaco che non ha mandato gli spazzaneve; se siamo in montagna in sandali e maglietta e il tempo si guasta la colpa è delle previsioni meteo sbagliate e se non siamo andati al mare con il sole che splende a causa delle previsioni incerte ce la prendiamo ancora con i previsori incompetenti. Qualcosa è cambiato. Certamente il clima. Ma anche il modo in cui viviamo gli eventi naturali e il lessico con cui ne parliamo. Non so di cosa dobbiamo preoccuparci di più, del vissuto o delle parole.

Ma in fondo la radice è la stessa. Sì è rotto un rapporto millenario con la natura. Ci aspettiamo che tutto e tutta debba essere piegato ai nostri interessi e ai nostri piaceri, che tutto possa essere previsto, regolato, governato. L’uomo domina la tecnologia ed è convinto di dominare la natura. E quando la natura impone le sue leggi fatichiamo ad adattarci, non riusciamo neppure a trovare le parole giuste, ci rifugiamo nell’iperbole e nell’esagerazione. Siamo sicuri di essere sulla strada giusta?


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IN NOME DEL POPOLO DE LE IENE

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Ovvero, sono tutti colpevoli, finché non tocca a noi di Luca Giordana

Fausto Brizzi, il regista accusato di molestie in un servizio televisivo della trasmissione “Le Iene”, è innocente, e lo sarà sino a quando una sentenza di tribunale passata in giudicato non affermerà il contrario, ammesso che ciò avvenga. Pare che la presunzione di non colpevolezza non goda di ottima salute, in questi tempi di giustizia sommaria celebrata nei tribunali del popolo di Facebook: bastano dieci dichiarazioni senza contraddittorio, otto delle quali in forma anonima, per vedersi affibbiata l'etichetta di predatore sessuale e iniziare a scontare la pena ancor prima dell'inizio di un processo: la propria immagine infangata, la casa di produzione che cancella il nome del regista dal film in uscita, giornalisti che ne seguono ogni passo. Ogni accusa è in grado di comportare conseguenze nella vita di una persona ben prima di essere (eventualmente) provata, ma alcune sono decisamente più pericolose di altre. Talvolta, a fare la differenza sono le qualità dell'accusato, il mestiere che svolge, il ruolo che ricopre: basti pensare ai politici e, più in generale, a chiunque abbia costruito una carriera sulla propria immagine, oltreché sui propri meriti. Quale che sia il reato attribuito, basta poco per distruggere quanto faticosamente costruito nel corso di una vita. Più spesso, però, è proprio il tipo di reato a giocare un ruolo determinante. Due esempi su tutti: le violenze sui minori e, più in generale, qualunque tipo di reato a sfondo sessuale. Lo racconta molto bene “Il Sospetto”, un film danese del 2012

che vede un ottimo Mads Mikkelsen nei panni di un insegnante d'asilo accusato, ingiustamente, di aver rivolto attenzioni improprie nei confronti di una bambina affidata alle sue cure. Lo spettatore, a cui l’infondatezza dell'accusa è chiara sin dai primi minuti della pellicola, è chiamato ad assistere alla distruzione della vita del protagonista, travolto da una spirale di odio che coinvolge l'intera comunità, emarginato dai suoi cari e vittima (per sempre?) dello stigma legato all'accusa di essere autore di un crimine tra i più infamanti. Sia chiaro: i reati sessuali sono gravissimi e particolarmente esecrabili; è difficile censirli e monitorarne l'andamento in maniera attendibile proprio perché una delle problematiche principali e la scarsa propensione delle vittime alla denuncia; in ogni caso, una società che ambisca a definirsi civile deve perseguire politiche volte a debellarli del tutto. Tuttavia, se la soluzione che la nostra società intende offrire è il metodo “Le Iene”, vorrà dire che, per uccidere un mostro, finiremo per crearne un altro: le cacce coi cani, di cui parla M. Feltri nel suo ottimo editoriale del l7 novembre, su La Stampa. Scomparsa la capacita di distinguere tra una dichiarazione di parte e una verità ricostruita da un giudice in contraddittorio, gli organi di informazione (e i presunti tali), con intollerabile leggerezza, si sostituiscono alla magistratura inquirente e danno in pasto all'opinione pubblica il presunto (ma non per loro) colpevole. La responsabilità è, in primo luogo, nostra: tendiamo facilmente a dimenticare la differenza tra l'aver commesso un reato e l'essere ac-

cusati di averlo commesso, ritrovandoci inoltre a pensare che mai e poi mai potremmo essere al posto del Brizzi di turno perché noi, certe cose, non le facciamo, quindi nessuno ci accuserà mai. Ne siamo sicuri? Può essere utile, per scalfire questa certezza, l'intervista(1) al sostituto procuratore della Repubblica del Tribunale di Bergamo, Carmen Pugliese, riguardo ad una recente tendenza in materia di separazioni tra coniugi. Capita che uno dei coniugi, generalmente la moglie, sporga querela per falsi maltrattamenti nei confronti del marito, in modo tale da acquisire una posizione di forza nel negoziare i termini della separazione. Addirittura, secondo il PM, si arriva, talvolta, ad accusare falsamente l'altro genitore di abusi sessuali nei confronti dei figli per eliminarlo definitivamente dalla scena famigliare. Se immedesimarsi nella figura di un regista di successo risulta un tantino difficile, più semplice dovrebbe essere calarsi nei panni di un genitore separato come tanti che, da un giorno all'altro, si ritrova accusato di crimini tra i più atroci. Ad accomunare i due casi, è la gravità delle conseguenze che colpiscono il presunto autore fin

dal momento in cui le accuse vengono mosse, a prescindere dall'esito di un eventuale processo. Per essere colpiti dall'emarginazione sociale, dal disprezzo, non serve l'accertamento della verità: e sufficiente il mero sospetto, la cui ombra, talvolta, non scompare neppure in seguito ad una sentenza di assoluzione. Il garantismo, baluardo di civiltà, richiede, non solo agli organi di informazione ma a noi tutti, uno sforzo costante di astensione dall'emettere giudizi affrettati, dal sapore di condanna, su vicende complesse delle quali conosciamo solo frammenti e tendiamo a disinteressarci dopo pochi mesi, mentre la giustizia fa il suo lento (troppo lento) corso. È impegnativo, ma l'alternativa è un mondo in cui, versata qualche lacrimuccia guardando la fiction su Enzo Tortora, ci si ritrovi a vomitare la propria indignazione sui social alla notizia dell'indagine, arresto o scandalo di turno, troppo impazienti per attendere una sentenza e troppo fiduciosi nel fatto che tanto, a noi, non toccherà mai. https://www.youtube.com/watch?v=S60gZppi7oM

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«APPELLO AFRICANO»

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Pubblichiamo volentieri l’appello che il padre comboniano Alex Zanotelli ha rivolto l’estate scorsa a tutti i giornalisti e giornaliste italiani. (g.p) “Cari colleghi e colleghe, scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missiona-

ia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa. È inaccettabile il silenzio sul Centro Africa, che continua a essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.

rio uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani. Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei sia televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media, purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che vorrebbe. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo. […] È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane Stato dell’Africa), ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga. È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur. È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni. È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centina-

È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali, dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa Nera.

È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia, dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi. È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi. È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU. È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia, a fine secolo, di avere tre quarti del suo territorio non abitabile. È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi Paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi (lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!!). Non conoscendo tutto questo, è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi. Questo crea la paranoia dell’«invasione», furbescamente

alimentata anche da partiti xenofobi. Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact, contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti. Ma i disperati della storia nessuno li fermerà. Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al Sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. E ora i nostri politici gridano: dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’Eni a Finmeccanica. E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum, dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. […] Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un‘altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa. Alex Zanotelli Napoli, 17 luglio 2017


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Una serata per ricordare

I GIUSTI: LA CAPACITÀ DI DIRE “NO, NON SONO D’ACCORDO”

Fare memoria del bene, senza dimenticare il male a cura di Guido Piovano

Armati solo della propria fede e dell’amore, uomini e donne sono vissuti e sono morti in nome della libertà, della giustizia e della pace. Nella notte dei totalitarismi e delle dittature hanno tenuto accesa una piccola luce ed hanno dimostrato che nella storia l'ultima parola non spetta al male... Organizzato dall’ANPI di Racconigi in collaborazione con l'Associazione MANDACARU, venerdì 24 novembre s’è tenuto il terzo appuntamento della rassegna RIFLESSIONI RESISTENTI 2017, incentrato sulla presentazione del libro "Più' forti delle armi” del prof. Anselmo Palini, presente l’autore. Anselmo Palini, professore di materie letterarie nella scuola superiore, inizia la sua presentazione dalla necessità di dare un senso alla sua opera che colloca all’interno di un progetto che l’aveva già condotto a Racconigi nel 2015 con due libri, uno sul vescovo Romero assassinato in Salvador il 24 marzo 1980, l’altro su Marianella Garcia Villas, uccisa il 13 marzo 1983. Fanno da sfondo a questo nuovo lavoro le vicende tragiche della prima metà del novecento, con Primo Levi che ci invita, anzi ci scongiura di non dimenticare il male. Dunque la memoria del male come necessità storica. “Il male – dice con grande forza Palini - non è voluto dagli dei, non è opera del destino, non va attribuito al silenzio di Dio, sarebbe come negare le responsabilità dell’uomo. Non possiamo dimenticare le leggi razziali, gli arresti, le deportazioni,

il tentativo di eliminare un intero popolo dalla faccia della terra. Non possiamo dimenticare il progetto T4 che dal ‘39 al ’41 ha visto eliminare 200mila tra disabili, anziani, malati di mente che non rientravano nei canoni della razza ariana, della persona che aveva salute, forza, potenza. S’è trattato della prova generale della Shoa. Non è possibile dimenticare nemmeno il ruolo dell’Italia, unico Paese europeo ad approvare le leggi razziali prima della guerra. L’Italia, che ha avuto i suoi campi di concentramento, un campo di sterminio, la deportazione di 1024 persone dal ghetto di Roma il 16 ottobre del ’43, con treni scortati dai carabinieri fino alla frontiera. Solo in 15 torneranno, 200 bambini non lo potranno fare. Non possiamo dimenticare che tutto questo è avvenuto senza particolari manifestazioni di dissenso né a livello della città di Roma, né a livello del Vaticano. Ci sono stati ritardi pesanti delle chiese. I tanti esempi straordinari non possono far dimenticare che è mancata una presa di posizione chiara e netta del mondo cattolico, come del resto del mondo protestante in Germania”. “Però – dice ancora Palini - se ci fermassimo a questo verrebbe meno anche la speranza”.

E allora, accanto alla memoria del male, prende piede la memoria del bene ed è bene ricordare coloro che in quella notte della dittatura e dei totalitarismi hanno saputo dire no, non sono d’accordo. Sono “i giusti, figure luminose, capaci di fare una scelta. Come la quindicina di professori universitari, su 2200 che rifiutarono di giurare fedeltà al fascismo e di impegnarsi ad educare ai suoi valori e persero il lavoro. Come don Primo Mazzolari che già nel ’22 ricevette minacce e che dovrà restare nascosto nove mesi dopo l’8 settembre. Come Etty Hillesum, agnostica, capace di scoprire Dio nel campo di concentramento. Come i cinque studenti della Rosa Bianca e un loro insegnante di Monaco di Baviera che si opposero al nazismo diffondendo volantini in tutta la Germania e pagarono con la vita”. Come tanti altri. Come Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzy

Popieluszko, i primi due nella Germania nazista, il terzo nella Polonia occupata dalle truppe sovietiche, la cui vicenda umana di resistenti è oggetto del libro. E allora fare memoria del bene significa guardare alla storia cercando di fare emergere queste figure. Senza con questo dimenticare il male. Nel dibattito che segue alla presentazione, viene chiesto al professore quale debba essere il compito della scuola. Palini lo individua nel far crescere l’etica della responsabilità, per la quale ognuno deve essere responsabile di ciò che fa, ma anche di ciò che lascia fare e nell’educare alla capacità di dire no, non sono d’accordo. Per questo servono insegnanti appassionati, capaci di coltivare persone libere che affrontino la vita con spirito critico. Anche oggi possiamo trovare contesti dove è necessario dire “no, non sono d’accordo”.


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PIÙ CONFLITTO, PER FAVORE

Conflitto non è prevaricazione di una parte ma crescita di entrambe di Alessia Cerchia

Eccomi arrivata a toccare un altro aspetto della società contemporanea in cui bisognerebbe avere il coraggio di parlare più spesso di conflitto. Di guardarlo negli occhi e affrontarlo, ma con gli strumenti giusti. Ho da poco partecipato ad una serata organizzata dal FIDAPA – BWP di Torino e Valsusa nell’ambito della giornata contro la violenza sulle donne. Un serata speciale, perché organizzata da una Federazione formata da donne per le donne, che conta, tra le proprie socie, esempi di grande cultura e spessore. Donne che hanno partecipato ad un periodo cruciale nella storia del nostro Paese e che portano ancora avanti la loro testimonianza di lavoratrici, professioniste e artiste. Donne che non si sono mai arrese di fronte alle difficoltà. Nel mio piccolo sono intervenuta a questa serata, insieme all’avv. Nicoletta Casale, al maestro di aikido Nino Dellisanti ed alle psicologhe dell’Associazione Punto Psiche, per portare la testimonianza del nostro progetto di gestione positiva dei conflitti per gli studenti di scuole di ogni ordine e grado, con gli strumenti della mediazione e dell’Aikido. La serata ci ha portato non solo a presentare i valori di cui ci siamo fatti portatori, ma anche a confrontarci con quel mondo che ci ospitava, raccogliendo commenti e testimonianze di altre donne, mamme e lavoratrici. Le riflessioni che oggi condivido sono nate proprio da lì.

È innegabile come sia in atto, nei nostri giorni, una profonda rivoluzione del mondo femminile, ma anche del modo di relazionarsi tra uomini e donne. Una rivoluzione che vede le donne alla ricerca del proprio posto nel mondo, del riconoscimento del proprio valore e del proprio lavoro, in ogni campo in cui questo viene espresso, sia che si tratti di attività professionali sia che si tratti di famiglia e cura dei propri cari. Ma c’è anche una rivoluzione che vede l’uomo allontanarsi dall’immagine che da secoli la società gli propone di sé. Un uomo alla ricerca di un sé più autentico, meno stereotipato, più attento al proprio mondo interiore ed alle proprie emozioni. E allora? E allora non far emergere il profondo conflitto che vivono uomini e donne, sia interiore che relazionale, significa soffocare gli sforzi di entrambi di evolvere e di trovare una nuova dimensione per sé stessi e per gli altri. Cosa proponiamo alle giovani donne e ai giovani uomini che stanno crescendo? Quali spazi di dialogo e di confronto offriamo loro su queste tematiche? Davvero pensiamo che una giornata dedicata alla violenza sulle donne possa bastare per dare una svolta a quanto siamo costretti a vivere e registrare tutti i giorni dai telegiornali? La vera violenza nasce proprio dalla negazione della realtà, dall’evidente volontà di relegare costantemente il mutamento in atto (ed il conseguente conflitto

che ne deriva) al ruolo di “problema di un genere nei confronti dell’altro”. Le donne subiscono violenza dagli uomini, gli extracomunitari subiscono violenza dagli xenofobi, gli omosessuali subiscono violenza dagli omofobi. Tutto è ridotto ad un problema di fobia di qualcuno nei confronti di altri. E se invece ci fermassimo a ragionare e arrivassimo a riconoscere il conflitto che vivono le donne, così come gli uomini, gli stranieri come i cittadini italiani, gli omosessuali così come gli etero? Perché non dare voce alla profonda crisi che viviamo come singoli e come esseri umani, per guardarla in faccia e affrontarla, con mutuo riconoscimento e sostegno, anziché sotto forma di scontro e violenza? Una frase mi è rimasta impressa nella mente dalla serata di riflessione appena passata: per affrontare e combattere la violenza contro le donne dobbiamo sì agire sulle nostre figlie, per renderle più consapevoli del loro ruolo e della loro forza, ma allo stesso tempo dobbiamo intraprendere un lungo

e difficile cammino con i nostri figli. Dobbiamo insegnare loro a uscire a testa alta dai cliché che la società gli ha cucito addosso prima ancora che nascessero. La stessa società che adesso chiede loro di essere diversi, di assumere ruoli a cui non li ha mai preparati, accettando un confronto e – perché no – anche uno scontro con chi è diverso da loro per sesso o nazionalità, senza però che questo si trasformi in violenza. Dobbiamo tornare a parlare ai nostri figli di conflitto, per poter consegnare loro i giusti strumenti con cui affrontarlo e superarlo (o imparare a gestirlo), sia che si tratti di un conflitto interiore o di un conflitto di relazione. Il conflitto c’è, è parte del nostro essere umani ed è il motore che ci spinge al cambiamento, dandoci importanti chance di miglioramento. Sta a noi imparare a vederlo, a riconoscerlo e ad affrontarlo come opportunità di crescita e confronto anziché come occasione di violenza e prevaricazione. Un cammino difficile, ma forse l’unico possibile.


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CHI OFFRE DI PIÙ…?

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La nuova merce delle aste in Libia: VITE UMANE di Maria Teresa Bono

Non è la prima volta che in- aumentati da 7.000 a 20.000. sonnia si occupa del fenomeno Gli sbarchi in Italia sono calati dra“Migrazione”. Su questo argomento si è già parlato tanto e non tutti la pensano allo stesso modo, io non voglio entrare in merito e giudicare il pensiero degli altri, ognuno di noi ragiona con la propria testa (o perlomeno dovrebbe) e dovrà rendere conto a se stesso delle proprie azioni che ne conseguono. Non è un’impresa da poco una migrazione così imponente come quella cui stiamo assistendo, quindi è anche comprensibile la paura, l’incertezza di molti italiani nei confronti di queste persone richiedenti asilo; a tutto questo si aggiunge lo spettro della crisi economica che aggrava la situazione, creando insicurezza, un senso di frustrazione collettiva e di intolleranza. Questa volta però vorrei spingermi un tantino più in là, guardare oltre, rivolgermi verso un altro scenario che non avrei mai pensato di dover vedere. Nonostante si sapesse che la Libia è sempre stata impietosa nei confronti dei migranti, in agosto l’Italia e UE hanno firmato e finanziato un accordo col quale viene incaricata la Guardia Costiera Libica ad intercettare le imbarcazioni e riportare in Libia i naviganti che, di conseguenza, vengono rinchiusi nei centri di detenzione libici dove da settembre ad oggi i detenuti sono

sticamente, ma questi esseri umani non si sono dissolti nel nulla, anzi sono stati tragicamente catapultati in una realtà assai più atroce e disumana. Migliaia di detenuti ammassati in queste prigioni, compresi donne e bambini, senza servizi sanitari, denutriti, costretti a dormire a turno impossibilitati a stendersi tutti contemporaneamente per la mancanza di spazio. Derubati di tutto ciò che hanno, picchiati e torturati. Alla lunga lista degli orrori, delle violenze e degli stupri si aggiungono ora anche le aste di esseri umani, proprio come all’epoca della “tratta degli schiavi”. Quanto può valere in Libia una vita? Umanamente zero, all’asta invece dipende dalle condizioni fisiche della persona, si va dai 500 ai 1.200 dinari pari a circa 300-750 euro. Si vendono praticamente vite umane come carne da macello! I video arrivati testimoniamo la vendita di alcuni ragazzi africani, le mani si alzano in continuazione per 500-600-700 dinari, ognuno fa la propria offerta e in poco tempo sono assegnati, terrorizzati e spogliati di ogni dignità, al loro nuovo padrone! Mi sto vergognando solo nello scrivere questo vissuto. Una vita non ha prezzo, è un bene

prezioso che va investito e rispettato sempre nel migliore dei modi. Non c’è vita che valga di più o di meno, non importa a chi appartiene, ma questo sovente si dimentica e si perde il rispetto soprattutto verso i poveri e gli ultimi. Queste cose sono abominevoli ed inaccettabili, personalmente sono stata ingenua nel credere che episodi del genere non sarebbero mai più avvenuti. La storia non ci ha insegnato nulla, tutto torna, tutto si ripete. Sono anch’io una madre e non voglio pensare come potrei vivere sapendo i miei figli in un contesto di quel genere. Come può una madre

sopportare tutto questo? Questa domanda la rivolgo a tutte Voi donne che avete figli e che leggete queste righe. È questo il prezzo che devono pagare queste persone? Perché l’ONU non è ancora intervenuta? Perché solo ora si prende coscienza di questo olocausto? Perché i Paesi di origine non hanno cercato di moderare gli imbarchi proteggendo i loro stessi cittadini? Perché le autorità Libiche permettono a gente malavitosa di appropriarsi in queste modo delle vite altrui? Questa migrazione è una piaga per tutto il nostro pianeta e tutti insieme dovremmo collaborare per risolvere questa problematica; tutto il mondo deve prendere coscienza e responsabilità onde rimediare alle cause che hanno provocato l’esodo incontrollabile di queste popolazioni che sono oramai senza una terra pronta ad accoglierle, tanto meno la loro che le ha lasciate (incoraggiate) a partire allo sbaraglio, tanto meno l’Europa che a suo tempo non ha voluto aprire gli occhi sulla gravità dell’evento, lasciando l’Italia sola con un fardello troppo grande per le sue potenzialità. Aumentano sempre di più le popolazioni senza una dimora, aumentano i genocidi, gli esuli ed i profughi isolati in lembi di terra che non permettono loro la sopravvivenza. Fra pochi giorni sarà Natale, e tutti si prodigheranno nel trasmettere promesse e messaggi di pace, amore e fratellanza. Ma dove stanno di casa tutti questi buoni propositi? Io ci sto pensando amareggiata e delusa … e Voi? 18 novembre 2017


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LO SCAFFALE DI ZIO VITTORIO Spazio di lettura e scambio libri della RSA di Racconigi a cura di Rodolfo Allasia

In questo numero presentiamo un “qualcosa di buono” a chilometro zero. Si tratta di una iniziativa che ci sembra veramente buona che è nata e si è sviluppata presso la struttura Angelo Spada di Via Ormesano angolo via Levis dove operano una serie di volontarie che prestano tutto l’anno opera di assistenza ai pasti degli anziani ospiti, accompagnamento e compagnia. Le volontarie sono riunite in una associazione chiamata AVO (Associazione Volontari Ospedalieri) la cui “centrale” si trova in Savigliano ma la sensibilità dei partecipanti risiede, con molta probabilità, nel loro cuore. Col sopraggiungere della stagione invernale le volontarie si trovano nei locali della RSA, anche prima del tempo di servizio, a scambiarsi quattro chiacchere in simpatia e sorbirsi un the o un caffè, come fra buone amiche felici di incontrarsi. La struttura diventa così un luogo aperto verso l’esterno poiché l’eNon ho mai conosciuto mio nonno paterno. Papà me ne ha parlato molte volte: nella vita nonno è stato un mugnaio; io me lo immagino sempre infarinato, sorridente. Combatte nella seconda Guerra Mondiale come specialista di artiglieria nell’ottavo reparto del corpo d’armata. Viene deportato nel Campo di concentramento di Mauthausen come prigioniero di guerra; vi resta quasi fino alla conclusione del conflitto. Questo luogo, considerato impropriamente come semplice campo di lavoro e, di fatto, fra tutti i campi nazisti, il solo campo di concentramento classificato di “classe 3” - campo di punizione e di annientamento attraverso il lavoro forzato nella vicina cava di granito: si prevede cioè la consunzione dei detenuti per denutrizione e stenti; tuttavia, per migliorare l’efficienza del Campo, sono attive alcune piccole camere a gas.

Una notte dell’inverno tra il 1944 e 1945 nonno riesce a fuggire. In un bosco verso il confine italiano un proiettile lo raggiunge all’altezza del petto; una medaglia della Madonna riposta nel portafoglio lo protegge fermando il proiettile e gli assicura il ritorno a Racconigi qualche settimana dopo. Suo cognato, proprietario di questo scaffale, ha una storia simile. Vittorio Pellegrino è nato il 23 febbraio 1924. Deportato in Germania lavora all’interno di una fabbrica di zucchero per qualche tempo. Qualcuno nota la sua abilità di panettiere: viene allora inviato presso la prima linea tedesca fino agli inizi del 1945.

INAUGURAZIONE 14 DICEMBRE ORE 15 presso struttura anziani RSA

Una notte fugge con altre quattro persone verso il confine per rientrare in Italia; una pattuglia però li ferma e li riconduce in caserma. Dopo l’interrogatorio e le punizioni che non ci sono state raccontate riescono di nuovo a fuggire. Camminano per 12 giorni solo di sera o notte per non essere notati. Con mezzi di fortuna attraversano il confine; saltano su un treno bestiame e si avvicinano a casa. Zio Vittorio scende dal treno nei pressi di Cuneo e si avvia verso casa la mattina di domenica 4 novembre 1945. Sua madre è in chiesa; prega per il suo ritorno. Zio trova lavoro nei dintorni di Cuneo; poi rileva una panetteria che gestisce dapprima con le sorelle, ed in seguito con Lucia che diventerà

sterno entra nella struttura dove si trova un tempo ed uno spazio piacevole, quasi intimo. Il responsabile della RSA, Matteo Mondino (redattore del volantino allegato) insieme ad alcuni collaboratori interni ed esterni hanno pensato di creare qualcosa che andasse ad accrescere il senso di incontro: un bookcrossing interno alla struttura. La questione dello scaffale della famiglia Mondino è venuta a creare ulteriore suggestione al progetto. L’esperienza dell’AVO giovani che funziona molto bene durante il periodo estivo aggiunge un valore alla iniziativa poiché gli studenti potranno usufruire di questa biblioteca per ricerche utili ai loro studi o semplicemente un momento di valido svago in sane letture. I giovani ed i vecchi avranno così modo di incontrarsi sotto lo stesso tetto. Dunque questo qualcosa di buono nasce sotto la parola chiave di apertura. presto sua sposa. Vittorio segue la parte della produzione salata del forno, Lucia quella dolce, crostate e biscotti con farina di mais. Non ricordo molto della panetteria, se non il profumo di pane caldo quando puntualmente ogni anno a Natale passavamo a fare visita agli zii di Cuneo. Qualche mese fa, svuotando la casa, scorgiamo in un angolo questo scaffale tutto impolverato; era parte dell’arredamento della panetteria dove veniva riposto il pane appena sfornato. L’idea del riutilizzo mi appassiona tanto da parlarne con un caro amico che mi suggerisce di creare un punto di lettura e scambio libri in RSA. Mi disse: “Ci sono persone che nella vita hanno dovuto iniziare a lavorare subito, tralasciando lo studio; quando poi giungono all’età pensionabile hanno fame di cultura, si divertono a studiare argomenti che non conoscono, dedicando tempo a se stessi”. Chiedo a Caterina Bonetto di lasciare alla RSA i libri della cartolibreria che sta per cedere, diffondo la voce tra amici e comincio a raccogliere volumi da più parti. Un grosso supporto strutturale arriva da Salvatore Pernicone, il quale con maestria ridà vita a vecchi oggetti permettendo ad ognuno di narrare la sua storia. La speranza è che questo angolo di struttura possa diventare un punto importante di aggregazione, di ritrovo per le preziose volontarie che quotidianamente ed in silenzio svolgono la propria opera tutti i giorni dell’anno. Mettiamo a disposizione di tutti i ragazzi che frequentano le scuole racconigesi i nostri volumi

affinché possano dedicare del tempo alla lettura ed allo studio, e quindi alla propria crescita personale. Un ringraziamento speciale, per aver partecipato a questo progetto: Pellegrino Vittorio, Dott.ssa Caterina Testa, Cartolibreria L’Angolo, Salvatore Pernicone – I TESORI DEL RIGATTIERE, Luca Gonella FERRAMENTA M2C, Stefano Ronco - DUKBILL DESIGN, Giovanni Bonavia, Giuseppe Ferrero - PASTICCERIA MILLEBACI, Marzia Ghiberti.

“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso ” (Francesco Petrarca)


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Il segreto dell’educare. Genitori, ma che fate? Poche regole, chiare e irrinunciabili, fermezza,

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attenzione, pazienza infinita di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

Ogni giorno assisto a scenette sconfortanti che solo alcuni anni fa avrebbero fatto inorridire: genitori che chiedono ai figli cosa fare, cosa mangiare, in quale centro commerciarle andare… piccoli principini serviti e riveriti dagli adulti che li hanno messi al mondo e si preoccupano della loro incolumità: “Cosa ti hanno fatto a scuola, chi ti ha toccato il portapenne, cosa ha osato dirti quel compagno o quella maestra, ora se la vedrà con me…”. Genitori-soldato pronti a difendere le proprie creature contro nemici immaginari che appaiono da ogni dove. A volte poi tutto cambia, improvvisamente. Sì, perché sono anche bizzarri questi genitori che per un nonnulla si trasformano in carcerieri-prepotenti che perdono la pazienza e iniziano a sbraitare coi piccoli irriverenti che li guardano increduli come fosse carnevale, frastornati, apparentemente intimoriti, ma in realtà solamente sballati. Ogni volta mi chiedo: dove sono finiti quei genitori fermi e chiari, noiosi e irremovibili che erano i nostri fari da bambini, 50 anni fa, quei monoliti immodificabili ma corretti che ci hanno permesso di diventare grandi, seppur faticosamente?! Perché, dobbiamo ammetterlo, noi siamo diventati grandi scontrandoci e opponendoci alla roccia genitoriale. Che cosa diventeranno questi piccoli principini di oggi che crescono tra i terremoti emotivi dei loro genitori modernissimi a volte mollissimi altre volte nervosissimi e poi di nuovo improvvisamente aperti all’anarchia? Come scrivono gli autori di Intelligenza emotiva a scuola: “Negli ultimi anni si è assistito all’inesorabile resa del mondo degli adulti alle richieste sempre più eccessive dei bambini e dei ragazzi, abdicando di fatto a quel potere contrattuale che invece dovrebbe essere tenuto alto con ogni figlio di qualsiasi età. L’educazione non ha a che fare con la democrazia. I piloti di un aereo in volo o il capitano di una nave in mare non si rivolgono ai passeggeri sul da farsi; non chiedono impacciati e impauriti la rotta; non convocano assemblee per decidere insieme la migliore manovra per atterrare e per poter uscire indenni dalla tempesta. I passeggeri dormono sonni tranquilli quando piloti e capitani non tentennano, quando, cioè, comandano o al massimo comunicano le loro decisioni non trattabili”.

Stare in equilibrio coltivando saggezza.

In una città non distante da Racconigi, un’insegnante da anni accompagna tanti piccoli allievi verso l’autonomia e la responsabilità, con risultati sorprendenti. Non si accontenta di seguire i piccoli durante l’anno a scuola, ma anche d’estate li rincontra con il progetto “Piedi x Terra”, un laboratorio in cascina dove i piccoli imparano a coltivare la terra e alimentarsi coi suoi frutti. A lei, Maria Teresa Casavecchia, abbiamo chiesto di illuminarci sui segreti dell’educare. Il suo insegnamento ci riporta all’essenziale: poche regole, chiare e irrinunciabili, fermezza, attenzione, pazienza infinita, ma soprattutto la capacità dell’educatore di stare in equilibrio

coltivando per sé saggezza e serenità. “Educare è un’arte apparentemente semplice, ma molto difficile. Si tratta di dare attenzione al bambino e guidarlo con amorevole determinazione: se il ragazzino riceverà attenzione, imparerà a prendersi cura di sé, degli altri e dell’ambiente. Così come una “sana alimentazione” permette di crescere in salute fisicamente, solo una “sana attenzione” permette al bambino di accrescere la consapevolezza di sé e del proprio valore. In che modo essere attenti?

nostra per mantenere la calma, scatta automaticamente l’impulso a reagire con rabbia, perché è questo che prevalentemente abbiamo ricevuto da bambini e questo più o meno consapevolmente ci troviamo a ripetere, soprattutto nei momenti di tensione. Non riusciamo a perseverare in modo amorevole dosando l’energia necessaria per raggiungere lo scopo. Così, dopo aver dato un’indicazione al bambino, se questa non viene rispettata, perdiamo la pazienza e interveniamo con uno stimolo esagerato, o lascia-

Ogni genitore desidera che il proprio bambino venga guidato a vivere correttamente. Riferendosi alla cultura della comunità in cui vive, il genitore deve porre le linee guida su ciò che è bene fare e cosa non si fa. Il bambino così impara a distinguere tra ciò che è determinante e viene scelto dall’adulto e cosa è secondario e può far parte della sua libera scelta. Per ottenere buoni risultati è importante che i genitori accompagnino indicazioni e limiti con frasi del tipo: “Mamma e papà credono che per il tuo bene, sia meglio così” ed è ancora più importante che quanto si dice sia veramente frutto di un accordo e che rispetti i seguenti principi di base: • Che le indicazioni di vita e i limiti dati siano chiari, adatti all’età e a quel bambino. • Che siano comunicati in modo pulito e comprensibile. • Che siano spiegati e mostrati al bambino. • Che siano fatti rispettare senza usare stimoli dolorosi. • Che si tenti coerentemente di portarli nella vita. • Che siano comunicati alle persone che si occupano del bambino. Sarà necessario perseverare e ripetere finché il bambino imparerà. Educare in questo modo richiede tempo, attenzione ed energia. Abitualmente dopo un certo impegno da parte

mo correre (così le parole cominciano a perdere valore) o perseguiamo il fine usando sistemi non corretti (es. il ricatto: “se fai o non fai così, …. ti do….”). Ciò indurrà nel bambino rabbia nei nostri confronti, abitudine a non seguire le indicazioni, sensi di colpa e acquisizione dei nostri stessi sistemi (manipolatori) per ottenere qualcosa dagli altri, creando così circoli viziosi di relazioni non corrette. Per aiutare il bambino a crescere e a superare i suoi limiti, non abbiamo altra scelta che mettere in discussione (possibilmente come coppia di genitori) il nostro modo di porci in relazione con lui e tentare di fare meglio, riflettendo sui nostri passi, cercando con perseveranza di superare i nostri limiti, condividendo con altri le difficoltà e i successi, stimandoci per il cammino intrapreso, nella consapevolezza che questo è ciò che è necessario per il bene dei figli e per il nostro. Superate le difficoltà dell’inizio, la relazione con i figli assumerà un sapore diverso. Nostro figlio è la nostra opera d’arte: a noi il compito e la responsabilità di creare le condizioni perché si realizzi. Quando sentiamo di aver sbagliato, o qualcuno ce lo fa notare, scusiamoci col bambino. In questo modo lui imparerà il valore della coerenza e della responsabilità”.


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Centro Alambicco

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Nuove stagioni alla scuola dell’infanzia Salvo d’Acquisto di Marisa Destito

Molti anni fa abbiamo pensato, come Centro Alambicco, di proporre dei percorsi di inclusione all’interno delle scuole del territorio Racconigese. L’idea è nata dal fatto che tanto si parla di inclusione sociale ma troppo poco viene fatto, sia nelle scuole sia negli altri contesti ludico-ricreativi. La difficoltà di socializzazione dei bambini-ragazzi disabili a scuola o al di fuori di essa è diventata ormai una emergenza sociale ed è per tale motivo che abbiamo pensato di attrezzarci e proporre attività utili allo scopo garantendo un diritto fondamentale a queste persone. Ormai ci rendiamo conto che, se vogliamo ottenere un risultato inclusivo, dobbiamo strutturare la socializzazione esattamente come si strutturano le attività didattiche. L’occasione è arrivata nel 2016 quando, grazie all’inserimento di mia figlia all’interno della scuola dell’infanzia Salvo D’Acquisto, ho avuto modo di proporre un percorso alle maestre Tiziana e Fabiana della classe degli “Scoiattoli”. Entrambe hanno accolto il nostro progetto, denominato "Fiabe sensoriali”, in modo positivo, dimostrandosi collaborative e pronte per affrontare un percorso di socializzazione con i nostri ragazzi. Dopo aver portato il nostro progetto all’interno del loro collegio docenti, ad ottobre del 2017 abbiamo fatto partire il 1° laboratorio di “Fiabe sensoriali” proprio con la classe di mia figlia. Il collegio avrebbe voluto che il pro-

getto fosse esteso a tutte le classi del comprensorio, ma non avendo le risorse fisiche per poter adempiere ad un progetto così ampio, siamo giunti ad una mediazione. Durante questo anno svolgeremo tale attività con 3 classi, ma ci siamo rese disponibili per portare avanti un progetto di collaborazione con tale comprensorio anche per gli anni avvenire. Abbiamo pensato di proporre un progetto incentrato sulle fiabe, poiché crediamo che esse siano uno strumento di facile utilizzo, ma soprattutto ti permettano di trovare un canale preferenziale con i bambini. Il percorso pensato per le “Fiabe sensoriali” prevede 5 incontri della durata di un’ora con la partecipazione di due Educatrici Professionali e 3 ragazzi del Centro Alambicco. Fatta eccezione per il primo incontro, in cui abbiamo proposto dei giochi di conoscenza utile a rompere il ghiaccio, gli altri quattro incontri si sono svolti con la stessa modalità, prestando particolare attenzione al tema delle stagioni. Durante i 4 incontri abbiamo suddiviso l’attività in due parti, la prima è dedicata alla lettura di una fiaba, mentre la seconda prevede delle brevi attività espressive. Durante la lettura della fiaba è stato ricreato un setting che prevede l’utilizzo di strumenti che facilitano l’uso dei sensi, in modo particolare abbiamo utilizzato: un autoparlante bose per riprodurre suoni e musiche presenti nel racconto (stimoli uditivi); oggetti che ricreano le stagioni

(stimoli tattili); essenze che rievochino i profumi delle stagioni (stimoli olfattivi) ed una serie di figure che richiamano i personaggi presenti nelle fiabe (stimoli visivi). Il nostro intento principale è quello di far vivere a questi bambini una esperienza positiva, stimolante e piacevole. Durante gli incontri i bambini sono liberi di confrontarsi, farci domande, interagire con i nostri ragazzi, in modo tale che conoscano la disabilità e il loro diverso modo di approcciarsi al mondo. Le piccole attività che abbiamo pensato di proporre durante gli incontri sono pensate ad hoc affinché coinvolgano tutti, in modo particolare sono pensate per far sì che i bambini collaborino tra loro e con i nostri ragazzi. Attraverso l’interazione dei bambini, oltre che creare integrazione, facciamo sì che i bambini apprendano le difficoltà che una persona disabile incontra nello svolgere anche un semplice gesto quale colorare. Nel contempo speriamo che i nostri ragazzi abbiano la possibilità di vivere una esperienza socializzante, di inclusione e di partecipazione diversa dal solito. Oggi finalmente possiamo raccontarvi la nostra esperienza e come questi fantastici incontri siano stati un percorso positivo ed innovativo. I bambini e gli insegnanti hanno avuto un atteggiamento aperto e disponibile, riconoscendoci come una risorsa positiva. Ogni giovedì siamo stati accolti all’interno della classe con immensi sorrisi e con la voglia di apprendere un qualcosa di nuovo. Siamo rimaste piacevolmente stu-

pite quando ci hanno regalato dei ritratti dei nostri ragazzi ed abbiamo scoperto che nessuno di loro aveva disegnato i ragazzi su sedia a rotelle. I bambini ci hanno dimostrato per l’ennesima volta che quando si è piccoli si sviluppa un’immagine positiva di sé e dell’altro. Ciò ci fa riflettere sul fatto che dobbiamo essere noi adulti a non condizionarli con le nostre ansie e con le nostre paure. Dobbiamo avere la capacità di accompagnarli verso una società più aperta e più disponibile capace di accogliere le differenze. Sarà utopia, ma noi operatori crediamo nel nostro lavoro e speriamo di trasmettere i nostri valori a queste piccole menti molto più sensibili e motivate all’ascolto dell’altro. Speriamo in un futuro di poter collaborare anche con le scuole elementari e medie. Siamo pronti e aperti per affrontare nuove sfide. Credo di poter dire che, una didattica inclusiva per tutti gli alunni e per le persone con disabilità è stata una occasione di scambio nei processi di insegnamento/apprendimento per tutto il gruppo-classe che ci ha accolti, nonché una valorizzazione delle potenzialità di ciascuno. A nome dei ragazzi dell’Alambicco, mio e delle colleghe Ornella e Celeste che mi hanno accompagnata in questa avventura, vogliamo ringraziare tutti quelli che hanno creduto nel nostro progetto, in modo particolare le maestre Tiziana e Fabiana. Un GRAZIE speciale va ai bambini della “classe Scoiattoli” per come si sono avvicinati a noi e per le emozioni che ci hanno trasmesso e lasciato.


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Oddities

Dicembre 2017

di Serena Fumero

La mostra di Marco Cazzato, come già suggerisce il titolo, è una wunderkammer, una stanza delle meraviglie, un luogo dove raccogliere i mirabilia del mondo, in una parola oddities, le stranezze appunto. I lavori esposti alla galleria Caracol di Torino riuniscono le tavole di Album, il lavoro su 8 ½ di Fellini ed alcune tavole di illustrazione editoriale scelte nella vasta produzione degli ultimi anni: un’antologia di quello che è il prodotto del suo ultimo periodo, che vede contaminazioni con la fotografia e il cinema. La galleria è piccolina ma molto bella e l’allestimento fa risaltare in modo impeccabile in fondo alla parete della seconda sala, le tavole di “Album”, una raccolta di illustrazioni ispirate a vecchie fotografie e per questo, idealmente raccolte in un libro, Album appunto, edito da GRrrzz editore nel 2016 che fa da contraltare nella parete opposta. Il percorso delle immagini monocrome prosegue poi con il “remake” illustrato di 8 ½ di Fellini: la Saraghina, la danza finale, le automobili che partono i treni che arrivano… Fotografia, cinema e anche letteratura si fondono quindi nelle

Cin

Cinema I FILM DI DICEMBRE di Cecilia Siccardi

Come ogni anno, al periodo di dicembre corrisponde l’uscita nelle sale di un gran numero di nuovi film appartenenti ai generi più diversi. Fra film a tema

Lib

Libri a cura di Anastasia

I racconigesi che vorranno leggere “Vite Accanto”, l’ultimo libro di Isabella Garavagno, si immergeranno in un passato a volte doloroso per il loro paese ma rivivranno momenti toccanti e significativi per la nostra storia. Ambientato fin dai primi anni del ‘900 narra la vita di Giovanna ricca figlia dello speziale andata sposa inizialmente suo malgrado ad un altro farmacista, Cesare, arrivato a Racconigi dal Sud per i suoi studi scientifici: una sua intuizione suffragata da anni di studio e verifiche l’aveva portato alla conclusione che la malattia della pellagra, molto diffusa tra le parsone

illustrazioni di Marco Cazzato, che come sempre lasciano l'osservatore sospeso tra atmosfere surreali e grottesche. “Le illustrazioni di Marco Cazzato sono dei racconti brevi, dei fotogrammi di vita, nei suoi frammenti dipinti ognuno può immaginare e costruirsi ciò che precede e ciò che segue l’istante rappresentato. La sua è la pittura di un sabotatore tranquillo(1) che inserisce senza preavviso frammenti surreali nel quotidiano, riducendo ad un istante di immobile sorpresa la sua interpretazione del mondo.” Gli appuntamenti della mostra hanno anche previsto un incontro con l’autore presso la LIBRERIA BODONI di Via Carlo Alberto 41 (vicinissimi a Caracol) in cui, dopo un emozionante intro musicale di Paolo Spaccamonti, si è chiacchierato insieme a Stefano Boni (responsabile della programmazione del Museo Del Cinema) proprio del film 8 ½ di Fellini e del remake illustrato che ne ha fatto Marco. Oddities è visitabile fino al 2 dicembre alla galleria Caracol, in via Mazzini 3 a Torino.

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(1) Le saboteur tranquille è uno dei soprannomi di René Magritte (1898 – 1967), uno degli artisti a cui non si può fare a meno di approdare quando si parla di intrusioni surreali nel quotidiano. Il riferimento nel linguaggio pittorico non è immediato quanto in quello concettuale.

esplicitamente natalizio, per famiglie, cartoni, cinepanettoni e grandi blockbuster, trova spazio anche qualche film più impegnato, in vista della stagione degli Oscar. Per gli appassionati della saga, il 13 dicembre sarà immancabile l’appuntamento al cinema per vedere “Gli ultimi Jedi”, nuovo attesissimo capitolo della saga di Star Wars, in cui vedremo Luke Skywalker vestire i panni di novello Yoda per addestrare la giovane Rey all’uso della forza. I cinepanettoni cavalcano l’onda della moda del cibo e della cucina con “Natale da chef”, solito film di Neri Parenti con Massimo Boldi, immancabile nel periodo delle feste ormai quanto agnolotti e panettone. Dopo il successo nel 2016 di “Oceania”, la Disney ci porta in Messico con “Coco”, incentrato sulla cultura del Dìa de los Muertos. Il film è già uscito nelle sale americane in occasione del we-

ekend del Ringraziamento, mentre in Italia lo potremo vedere dal 21 dicembre. Molto atteso anche il nuovo film di George Clooney, che torna alla regia con “Suburbicon” (in uscita il 6 dicembre), che vede come protagonisti l’amico Matt Damon e Julianne Moore. Si tratta di una dark comedy basata su un’idea dei fratelli Coen, ambientata nei sobborghi americani degli anni Ciquanta. Ritorna nelle sale anche Ridley Scott: il suo “Tutti i soldi del mondo”, che potremo vedere dal 21 dicembre, parla di una storia vera, quella del rapimento negli anni ’70 da parte di alcuni membri della ‘Ndrangheta del nipote dell’allora uomo più ricco del mondo, J. Paul Getty. Il film è recentemente salito alla ribalta delle cronache perché l’attore protagonista, Kevin Spacey, è stato sostituito all’ultimo momento da Christopher Plummer, in seguito ad accuse di molestie sessuali mosse nei confronti

di Spacey da più parti. Oltre ai film citati, ne usciranno ovviamente molti altri: insomma, ce n’è per tutti i gusti!

più povere in quegli anni, non era causata dalla cattiva conservazione del mais, come era ritenuto fino ad allora, ma dal troppo consumo dello stesso proprio da parte del popolo che se ne nutriva per sopravvivere. Ed è proprio per partecipare ad un convegno di scienziati che Cesare viene in Piemonte e qui sposa Caterina, giovane “algida” e persino “scostante” anche nel giorno del suo matrimonio, quasi rassegnata a questo destino che l’ha condotta impreparata, lei orfana di mamma e figlia unica, alle nozze con uno sconosciuto più grande di lei di dieci anni. Come due estranei conducono la loro esistenza, anche se Cesare sarà sempre con Caterina delicato e premuroso, e lei dovrà accettare il tradimento poiché lui cercherà altrove le gioie dell’amore. E come lui in vita aiuterà i più bisognosi, rendendosi conto delle enormi ingiustizie sociali di quei tempi, e porterà avanti le sue idee progressiste nel campo dell’istruzione anche per le giovani ragazze e per i più poveri, così Caterina rimasta vedova, si impegnerà a proseguire l’opera del marito, raccogliendone il testimone e raggiungendo la consapevolezza della sua forza e della sua determinazione, qualità fino

ad allora sconosciute. Sullo sfondo della storia di questo piccolo paese ricco di filatoi in cui giovani donne si spezzavano la schiena e si rovinavano le mani per portare a casa un pezzo di pane, e dove centinaia di persone lavoravano nel manicomio, luogo simbolo in quegli anni della città di Racconigi, si snoda la Grande Storia con i suoi avvenimenti che hanno reso quel periodo il più buio e triste del 900: la guerra in Libia e la Grande Guerra con il loro carico di inutili morti, il periodo del fascismo, quando anche a Racconigi vigeva la delazione, gli anni terribili della Seconda guerra Mondiale e il primo dopoguerra con la paura ancora delle punizioni corporali inflitte da chi non aveva pudore a cambiare casacca e passare dalla parte dei vincitori. Tanti riconosceranno i luoghi descritti e forse anche i personaggi narrati e perciò proveranno emozioni, ma è la determinazione con la quale le figure femminili emergono e si riscattano, siano esse ricche e facoltose e perciò privilegiate ma comunque assoggettate all’uomo, ancora considerato essere superiore, o “serve” e perciò comunque esseri inferiori, che ne fa un romanzo appassionante e pieno di speranza.

Infine il ricordo di Cianin, il nostro caro grande bidello, al quale siamo ancora tutti affezionati , rende questo romanzo ancora più emozionante per i racconigesi.

Isabella Garavagno “Vite accanto” 2017, pp.176, € 17.00 Ed. Araba Fenice


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Mus

Musica

ZAVALLON CRISTINA Specialmoon di Giuseppe Cavaglieri

Cristina Zavalloni, in Quartett con la formazione Special Dish presenta SPECIAL MOON il suo secondo album per Encore Jazz. Il progetto, in formazione di quartetto, con Cristiano Arcelli al sax, Daniele Mencarelli al basso e Alessandro Paternesi alla batteria, è incentrato su di un tema, la luna, che la Zavalloni definisce “un’idea, ma soprattutto un suono completamente diverso da quello di tutti gli altri miei dischi”. “Questo è un album

più introspettivo, contemplativo”, continua. “Corrisponde a un determinato momento della mia vita, in cui mi sento così: in sintonia con la luna, che regola i flussi e le maree.”. La Zavalloni, che firma l’album in veste d’autrice e compositrice, oltre che band leader, racconta la genesi del lavoro: “Nel mio primo album con questo quartetto (Special Dish, Encore Jazz 2016) mi sono divertita a esplorare le possibilità di una formazione allora nuova, così anomala per me, e a capire in che direzioni avremmo potuto andare assieme. Dopo un primo disco e due anni di concerti, abbiamo realizzato d’avere trovato un linguaggio propriamente nostro, da cui è nato il desiderio di rilanciare, lavorando questa volta su di un progetto tematico. Così è nato Special Moon. La scelta dei brani è avvenuta in modo molto naturale. Come sempre, abbiamo usato diversi ingredienti, mantenendo quale punto fermo il motivo ispiratore dell’album: la luna. Alcuni brani sono veri e propri standard jazz (Fly me to the moon, Autumn Nocturne), altri sono brani pop italiani (Tintarella di luna), in altri abbiamo continuato ad approfondire l’uso della “clave”, già sperimentato in Special Dish, che qui è

stato oggetto di un trattamento più organico: la usiamo sia in Colinda/ Orrio tto fengo, sia in Blue Moon, che hanno sound molto diversi. Colinda/ Orrio tto fengo, nello specifico nasce dalla sintesi di due brani popolari: il primo di origine rumena, il secondo, grika, che a mio avviso stavano bene assieme. Le Colinde rumene sono brani tradizionali natalizi (che, a me, sono pervenuti nella rilettura di Béla Bartók), che vengono cantati di porta in porta dai bambini nei villaggi, in cambio di qualche leccornia. Orrio tto fengo è un inno alla luna in griko, originario quindi di una terra che amo molto e frequento, il Salento (già frequentato musicalmente in passato, con alcune rivisitazioni di canti popolari, così com’è molto frequente, negli anni, la mia frequentazione del repertorio popolare in lingua greca, come per esempio nel caso del rembetiko. Inoltre c’è, come spesso negli ultimi anni, un brano brasiliano, Luisa di Jobim. La novità di quest’album risiede, oltre che in questo suo particolare “mood” lunare, nell’inserimento di un brano squisitamente operistico, Vaga luna che inargenti di Bellini, in due versioni: nella trascrizione per duo voce e basso elettrico, e in quella rivisitata da un mostro

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sacro dell’elettronica, Jan Bang. Il gruppo è infatti diventato così coeso, in questi due anni, da desiderare d’aprirsi all’intervento di nuovi membri. Tra questi, lo special guest di quest’album, Simone Graziano, al pianoforte, già partner del mio laboratorio d’interpretazione vocale a Bologna, che sentiamo in Autumn Nocturne e in Au clair de la lune. In questo album, infine, traspare la presenza di mia figlia: filastrocche, ninna nanne e canzoncine popolano il mio immaginario da due anni a questa parte. A lei sono dedicati in particolare i miei brani originali, Le Tigre et le chat e il divertissement (un brano originale della Zavalloni, ndr) La bambina e la luna, e Au clair de la lune”.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi, Barbara Negro, Anna Simonetti, Giancarlo Meinardi, Melchiorre Cavallo Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 1800 copie

Sin dalla più tenera età va insegnato ai bambini il rispetto della diversità, il superamento di stereotipi di genere purtroppo ancora molto presenti nella nostra società, ma anche sui media dove esistono gruppi di uomini che scambiano commenti orribili e terribili sulle donne. In questa legislatura sono stati presi provvedimenti contro la violenza sulle donne, è stato istituito un fondo di 2,5 milioni per le case di protezione, è stato istituito un fondo di assistenza per gli orfani dei femminicidi; prima della fine della legislatura sarà modificata la legge sullo stalking che, ahimè, prevede l’estinzione del reato con un risarcimento alla parte lesa. Ma se le donne violentate, isolate dal loro stesso silenzio, non denunceranno i loro aggressori tutto questo sarà inutile! Certo recarsi in commissariato crea timore, timore di non essere credute e timore di subire una nuova violenza, questa volta dall’istituzione, ma va considerato che oggi giorno presso i commissariati si trovano agenti donne appositamente formate per andare incontro alle vittime di abusi di genere. Esiste anche un’altra via per chiedere aiuto, rivolgersi ai centri anti violenza, gestiti interamente da donne in grado di

ascoltare, consigliare, sostenere le vittime sia nei primi atti da compiere per sfuggire alle violenze, sia per procurare un rifugio alle stesse e ai loro figli. I centri antiviolenza, nati intorno agli anni ’80, circa 300 in tutta Italia, sono gli unici luoghi dove le donne insieme ai loro bambini possono trovare riparo da mariti e compagni, con l’aiuto di professioniste, psicologhe e avvocate appositamente formate. Purtroppo i centri antiviolenza sono sempre sul punto di chiudere per carenza di finanziamenti che pur essendo stati contemplati nel piano antiviolenza 2013-2016 non sono arrivati o addirittura dirottati in altri settori o attribuiti a pioggia senza verifiche e rendicontazione sul loro utilizzo. La ministra alla pari opportunità, M. Elena Boschi, ha annunciato che nella prossima manovra economica sono stanziati 33 milioni l’anno per il nuovo piano anti violenza, ci auguriamo che finalmente arrivino a questi centri. Sul nostro territorio opera l’associazione Mai+sole che con una esperienza decennale e ormai consolidata, con il contributo di volontarie, psicologhe e avvocate offre aiuto e sostegno alle donne vittime di violenza. per la redazione Anna Simonetti

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