INSONNIA Dicembre 2016

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7 NI 201 O I Z I R C SOTTOS Insonnia n° 88 Dicembre 2016 - Editore Associazione Culturale Insonnia P.zza Vittorio Emanuele II n° 1 12035 Racconigi Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio - Aut. Trib. Saluzzo n. 07/09 dell’8.10.2009 - Iscr. al R.O.C. 18858 dell’11.11.2009 ACCOGLIENZA. Torniamo a parlare di accoglienza e ospitalità sollecitati da tre storie accadute in tempi ed epoche diverse. Da una parte ci sono storie di accoglienza che ci fanno scoprire una umanità straordinaria che ha messo in moto processi che perdurano nel tempo. Dall’altra rifiuti, fatiche e barricate che le cronache quotidiane ci forniscono con un continuo stillicidio di tensioni e paure. La prima storia che vogliamo raccontare ben si ambienta nel periodo natalizio che stiamo per affrontare. E’ la storia di una famiglia di stranieri, arrivati in un paese con mezzi di fortuna, facendo lunghe traversate a piedi o in groppa ad un asino fedele. Lei è vistosamente incinta, visto che è quasi al nono mese. Cercano ospitalità per la notte che nonostante la latitudine è fredda. Ma la gente è impaurita, diffidente verso lo straniero e perlopiù verso una donna che potrebbe partorire da un momento all’altro. La gente ha anche poca memoria storica, non si ricorda che proviene da un popolo di migranti, Israele, dove la estraneità è parte essenziale del suo essere. Un popolo che proviene da una condizione di straniero sperimentata in Egitto, dove vive una lunga esperienza di schiavitù e non si sente accolto ma oppresso e angariato. Anzi proprio sull’esperienza di oppressione vissuta in Egitto si fonderà la sacralità dell’accoglienza dovuta agli stranieri e ai rifugiati; molte volte infatti risuonano come motivazioni dell’accoglienza e dell’amore verso lo straniero le parole: “…perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto” che ribadiscono innanzitutto una motivazione “umana” dell’accoglienza prima ancora che religiosa. Ebbene, nonostante tutto ciò, la nostra simpatica coppia di amici in groppa ad una asino trova ospitalità in un cavità della roccia dove ad accoglierli, forse (questo è un racconto midrashico), sono dei pastori, gente povera, gente semplice magari anche meno “bigotta” degli albergatori, ma capace di condividere il poco che ha, o come diceva il poeta Costanzo Liprandi : “Spezza il pane con noi nella casa di nulla ed è subito fratello nello scambio d’un sorriso…” (da Uomo - Scolastica editrice).

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RACCONTAMI… IL NEURO La dignità Storie e testimonianze da chi della vita… lo ha vissuto e della morte Il testamento biologico in Italia - 4° parte

a cura di Antonella Marello e Anna Maria Olivero

di Giancarlo Meinardi

Festa al manicomio (foto Antonella Marello)

Come già comunicato, tra le iniziative che il “Comitato per il Manicomio” ha messo in essere per mantenere accesi i riflettori sul degrado della struttura ex Neuro e sull’urgenza di soluzione, c’è la scelta di dare la parola a coloro che la realtà dell’O-

spedale Psichiatrico di Racconigi l’hanno conosciuta da vicino. INSONNIA collabora con la rubrica “Raccontami…il Neuro” dove verranno pubblicati i contributi di coloro che vorranno condividerli con i nostri lettori. segue pag. 3

18 ANNI DI SOLIDARIETA’ L’associazione Fondo di Solidarietà compie 18 anni e diventa maggiorenne di Grazia Liprandi

Diciotto anni fa un gruppetto di venti persone si è trovato a condividere un’idea: la visione del Mondo come “Casa di tutti”. Tutti amanti del viaggio, di quello vero, fai da te, che ti permette di in-

contrare le persone nei luoghi dove vivono, essere ospitati nelle loro case, conoscere i modi e le forme di una realtà “diversa” che subito diventa familiare.

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Le storie drammatiche di Welby e Englaro ci aiutano a capire la dimensione umana di questo problema ma anche i principi giuridici fondamentali in materia. Certo non codificati da una legge specifica, ma formulati da una giurisprudenza chiara fondata su norme della Costituzione, cioè della legge fondamentale del nostro Paese. I principi ci sono, ma una legge non c’è. Come mai? Le leggi sono competenza della politica ed è quindi nelle carenze della politica che vanno cercate le ragioni. Come mai in tutti questi anni, nonostante le proclamate urgenze ed eventi drammatici come quelli raccontati, tutto resta fermo? Credo che questa mancanza di volontà politica affondi le radici in ragioni culturali e religiose. Non sono credente, il mio punto di vista sul testamento biologico è necessariamente laico. Ma sono consapevole che il cattolicesimo permea in modo diffuso (e altrettanto profondo?) la cultura del nostro Paese, influisce sulle scelte politiche e quindi sulla legislazione in generale e su quella che riguarda il fine vita in particolare. Non credo che la visione cattolica della vita (e della morte) debba necessariamente entrare in rotta di collisione con quanto sostenuto fin qua.

segue pag. 4 Piano Regolatore

MAI + SOLE pag. 7

SALVA IL SUOLO

Aikido

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AIUTO NEL PARCO SONO ARRIVATI GLI ALIENI, GLI AILANTI

Fra le piante di bosso rinsecchite del Parco è comparso l’ailanto, killer di tutte le piante autoctone di Anna Maria Olivero

Ingresso del Parco dalla “Palazzina Svizzera”

Sono nata e ora abito nei pressi dell’ingresso del Parco vicino alla “Palazzina svizzera”. Tutte le volte che passo davanti a quel cancello non posso far a meno di lanciare un’occhiata a quel luogo a me caro perché frequentato fin da bambina con il mio papà che lì lavorava e se ne prendeva cura. Il Parco infatti, a differenza del Castello, ha bisogno di cure continue, non di una ristrutturazione una tantum, ma attenzioni quotidiane per cogliere la sofferenza delle piante, dovuta a carenza di acqua o ad attacchi di parassiti, l’avvicinarsi alla morte degli esemplari vecchi, … e poter quindi intervenire in tempo utile, con innaffiature, trattamenti, potature, sostituzioni. E così nel tempo ho visto morire ed essere sostituito con esemplari giovani, il grande ippocastano, posto a destra dell’ingresso, da cui papà mi raccoglieva, in primavera, i rami con le grandi gemme pelose ed appiccicose da portare a scuola. Lo scorso anno ho visto giorno dopo giorno morire tutti i cespugli centenari di bosso, posti davanti all’ingresso, attaccati dalla piralide (Cydalima perspectalis). È vero quell’insetto, con il suo bruco nero-verde che si mangia tutte le foglie, ha generato una moria di bossi su tutto il territorio ma molti fra quelli che sono stati “trattati”, con prodotti specifici, in tempo utile sono sopravvissuti. Quelli del Parco sono stati “trattati”? Oggi però mi preoccupa il fatto che fra i bossi secchi sono comparse alcune piante di ailanto (Ailanthus altissima o glandulosa). L’ailanto è considerato ormai un vero e proprio infestante. Come la robinia comune, ha radici laterali da cui spuntano nuovi germogli; anche un pezzo di un solo centimetro può emettere germogli e da lì nascere un nuovo impianto indipendente. Questa pianta ha un alto grado di tolleranza all’ombra, è quindi molto competitiva su altre specie di piante. Le sue radici rilasciano nel suolo sostanze allelopatiche in grado di far morire tutti gli alberi e le erbe vicini. È importante che si intervenga per limitarne il danno prima che sia troppo tardi.

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Luna park di Luciano Fico

Il Luna Park apriva quel giorno e rimaneva aperto per l’intera settimana: una vera occasione da non perdere! Non che le aperture fossero così rare, ma una settimana intera era da tempo che non si vedeva da quelle parti. Giovanni aveva deciso di andarci con la moglie: i bambini sarebbero stati con i nonni, che tanto ormai non avevano più interesse alla vita pubblica e preferivano dedicarsi alle cose semplici come l’orto o i nipoti. Giovanni invece ci teneva a partecipare, voleva dire la sua e gli piaceva sentire di poter influenzare la vita della sua comunità e, chissà, magari del Paese intero. Si ricordava ancora, con un luccicore eccitato nello sguardo, quella volta in cui uno sconosciuto ed umile cittadino riuscì a vincere la Lotteria Nazionale e poté così promulgare una legge tutta sua! Fu un fatto sconvolgente, che mostrò a tutti come fosse potentemente radicata la Democrazia nel nuovo sistema di governo. Quel tizio si bruciò la possibilità promulgando una legge che vietasse l’uso domestico delle motoseghe, risolvendo così un’annosa questione col suo vicino di casa, ma lui sarebbe stato molto più avveduto e sarebbe stato capace di cambiare davvero in meglio il Paese intero. Sua moglie ne sarebbe stata testimone! Nel primo stand in cui entrarono era in corso un dibattito continuo sul tema del Riscaldamento Globale: chiunque poteva dire la sua e se qualche proposta veramente nuova fosse stata avanzata, una equipe di scienziati si sarebbe fatta carico di portarla all’attenzione del Governo centrale e forse anche dell’ONU. Ne uscirono presto storditi dai continui litigi che scattarono, parlando delle scie chimiche e

del possibile uso del Bicarbonato come anticancro. Si diressero allora al grande Baraccone dei Referendum. Si poteva proporre qualsivoglia quesito o si poteva votare per quelli già attivi: se qualcuna delle questioni proposte avesse coinvolto a livello nazionale il 51% degli aventi diritto al voto nell’arco delle 24 ore, allora sarebbe diventato all’istante un referendum con valore effettivo. Giovanni scorse sugli schermi “touch” le migliaia di proposte attive e cominciò a sentire una leggera vertigine. Decise allora di proporre un suo quesito: “Volete abolire in via definitiva la corruzione ed il malcostume in politica?” Forse era una questione troppo vaga, ma pensò che qualcuno doveva pur avere il coraggio di dire le cose semplici. La moglie approvò il suo coraggio con un bacio e lo prese sottobraccio per andare nel Tunnel del Bisbiglio, che era il suo preferito. Protetti dal buio tutti i partecipanti potevano liberamente insultare i politici, locali o nazionali, che venivano di seguito proiettati come ologrammi: non vi era censura alcuna e se un personaggio pubblico riceveva un certo numero di improperi si attivava niente meno che un’interrogazione parlamentare! Anche i coniugi dei politici ed i loro parenti più prossimi potevano essere giudicati ed insultati e questo moltiplicava il divertimento e le possibilità di essere efficaci con le proprie critiche! Quando lasciarono il Luna Park erano sfiniti ed eccitati come bambini. Si guardarono negli occhi, pieni di energia, e fu quasi insieme che si trovarono a dire: “Ma vuoi mettere tutto questo a confronto con i tempi dei nonni, quando ancora si andava a votare?!!!?”


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RACCONTAMI IL NEURO

Storie e testimonianze da chi lo ha vissuto segue dalla prima

Tutti coloro che vorranno collaborare alla ricostruzione di una memoria collettiva sul Neuro potranno inviare foto, racconti o disponibilità ad essere contattati per raccontare le esperienze proprie o dei propri familiari ai referenti:

Antonella Marello (cell. 3472714454, e-mail: m.antonella60@gmail.com) Anna Maria Olivero (cell. 3482820151, e-mail: am.olivero54@gmail.com)

BASTAVA POCO PER ESSERE RICOVERATO Testimonianza di P. ex infermiere raccolta da Antonella Marello. Ho iniziato a lavorare all’Ospedale Neuropsichiatrico nel 1962.L’anno prima avevo fatto il concorso, superandolo; ricordo ancora il tema dello scritto “La spedizione dei Mille” (il 1960 era l’anno del centenario). Dal ’62 al ’69 ho lavorato come infermiere: appena entrati eravamo “allievi”, poi si frequentava un corso serale della durata di due anni e si diventava infermiere. Dal ’69 all’ 81 ho lavorato in portineria-accet-

tazione. All’epoca i pazienti erano circa 1300. L’ospedale era un vero e proprio paese, con le sue botteghe e le sue officine, infatti vi lavoravano: panettieri, macellai, falegnami, idraulici, muratori, imbianchini, giardinieri, sarte …, oltre a medici, farmacisti e assistenti sociali. C’era anche un bar e, come svago, un campo di bocce e un bellissimo parco. Si coltivavano, con l’aiuto dei pazienti, molti prodotti che servivano per il

consumo interno ma che venivano anche venduti. I pazienti ricoverati venivano divisi in reparti diversi a seconda della gravità, al Morselli, al Chiarugi, al Marro. A quei tempi bastava poco per essere ricoverati al Neuro: divergenze con un sindaco o con un vescovo, un po’ di esaurimento, una ubriacatura di troppo… Ricordo un paziente, rinchiuso addirittura come sorvegliato speciale, perché la moglie aveva una relazio-

ne col sindaco del paese; in seguito, grazie alla prima riforma, venne poi mandato a casa. Infatti allora erano sufficienti il foglio del medico e l’ordinanza del sindaco per essere ricoverati contro la propria volontà. C’erano personaggi davvero speciali che ancora riempiono i miei ricordi, come “Macagnot”: buono come il pane, era analfabeta ma sapeva dirti i turni di tutti gli infermieri, anche lì ad un anno!

IL DIRETTORE AVEVA POTERE DI VITA E DI MORTE Testimonianza di R.M. figlia di un ex infermiere, raccolta da Anna Maria Olivero. Mio papà era infermiere al Neuro, mi sembra lavorasse sia al Marro sia al Morselli, però non sono sicura. Con lui hanno lavorato Suor Eugenia e Suor Pierina. Ho un bel ricordo: per la Prima Comunione suor Pierina mi ha fatto i guanti al filé, che poi ho usato anche quando mi sono sposata. Il giorno della Prima Comunione, su richiesta delle suore, mio padre mi ha portata là, nel reparto dove erano ricoverate le donne. Ricordo di essere stata un po’ scioccata perché mi hanno messa sul tavolo e a me sembrava di essere la Madonna, poiché tutte queste malate esclamavano ahhh...: erano incantate dal mio vestito! Un altro ricordo riguarda Geniu, al quale hanno intitolato “La casa di Eugenio”, che veniva a trovarci sovente e a volte quando incontrava per strada mio papà gli chiedeva: “ C’è tua moglie a casa?” e se lui rispondeva sì, Geniu diceva “Alura vun a truvela”. Per questo gli amici scherzavano con papà: “Bell’amico!”. Lui veniva a casa nostra, mia mamma gli dava il caffè, un bicchiere di vino…, era una persona piacevolissima. Era della leva di mio fratello, era giovane, del ’37. Talvolta papà raccontava che al Neuro c’era un malato schizofrenico di un’intelligenza mostruosa: era proprio molto in gamba. Il figlio, che frequentava il Politecnico, quando non sapeva qualcosa veniva lì dal padre e si faceva aiutare. Quando aveva le crisi questo malato era molto violento e soprattutto non potevi parlargli della “gran madre”, non si capiva perché, ma questo lo faceva andare fuori di testa! Aveva un buon rapporto con mio papà. Mio padre gli aveva detto che loro, in fondo, erano infermieri tutti e due, ma lui lo tenevano dentro perché così poteva seguire meglio i pazienti e quindi, quando lo vedeva

Visita del presidente della Provincia Falco (foto Antonella Marello).

comportarsi in modo violento verso gli altri ricoverati, mio padre gli diceva no, non devi fare così, noi dobbiamo dare il buon esempio … dice che questo riusciva a tranquillizzarlo abbastanza. L’aspetto più triste erano certamente i bambini. Mio padre ricordava un bambino che era stato messo molto piccolo in manicomio, non aveva mai avuto la mamma …, forse era morta. Poi una notte aveva cominciato a star male finché era morto e mio padre raccontava che la cosa che gli aveva fatto più effetto era stato che questo bambino, che non aveva quasi mai parlato, la notte in cui è morto ha chiamato incessantemente la mamma. Mio padre diceva sempre che in fondo, lì, il Direttore aveva proprio potere di vita e di morte. Dopo un mese

di osservazione se il malato non veniva definito guarito, diventava un ricoverato a vita. Ma un mese per chi aveva l’esaurimento nervoso era poco! Se era un po’ particolare non guariva senz’altro! E se non aveva dei famigliari che se ne facessero carico, loro … buttavano via la chiave. Mio padre diceva anche che c’erano colleghi che avevano una grande umanità mentre altri ne avevano molto poca. C’è stato un periodo in cui i malati venivano lasciati uscire, per andare, ad esempio, ad aiutare in campagna. Diceva mio papà che in certe realtà venivano trattati bene, come “persone”, mentre in altre realtà venivano sfruttati, non gli si dava da mangiare … e questo a mio papà faceva male. So che lui, anche quando non fumava più, portava sempre con

sé l’accendino e le sigarette perché quando volevano fumare… Mio padre è entrato al Neuro, penso, a metà degli anni ’30; allora nell’ospedale c’erano moltissime persone. Comunque all’inizio era un lavoro essenzialmente detentivo cioè non è che facessero granché… nel manicomio facevano anche esperimenti strani a livello di cure… Secondo me sicuramente la terapia della “parola” non esisteva, nel senso che si passava subito ai metodi forti: c’erano le fasce di contenimento, la camicia di forza, c’erano… mio padre ricorda le terapie di zolfo cioè delle iniezioni a base di zolfo somministrate con degli aghi, già spaventosi di per sé talmente erano grandi, che provocavano delle febbri molto alte, quindi la persona collassava… ti toglievano tutte le tue energie.


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La dignità della vita… e della morte Il testamento biologico in Italia - 4° parte segue dalla prima

Non lo dico io, che da non credente non avrei titolo, ma voci che provengono proprio dal mondo cattolico. Tra esse, significativa per l’autorevolezza, quella del teologo svizzero Hans Küng,(v. diversamente chiesa) che ci offre un esempio di approccio laico (in questo caso non necessariamente, visto che proviene da un credente) e non dogmatico da parte di un cattolico. Ormai ultra novantenne, Küng affronta da tempo nei suoi scritti i temi legati al fine vita, di cui la problematica che riguarda il testamento biologico è soltanto un aspetto. Quello che mi colpisce in Küng è la capacità del teologo (quindi dello studioso) di affrontare questo tema con enorme sensibilità umana. Sensibilità acuita, come egli stesso dichiara, dalle dolorose vicende personali che lo hanno fortemente toccato: le penose malattie e la morte del fratello e del grande

Teologo Hans Küng

amico e studioso (Walter Jens) con cui aveva lavorato proprio su questi temi. La riflessione di Küng ruota intorno

a tre concetti fondamentali: dignità, libertà, responsabilità. Dignità. Il diritto alla vita e ad una vita degna sono (dovrebbero essere) diritti universali. Purtroppo milioni di persone nel mondo muoiono in modo indegno senza avere la minima possibilità di scelta, vittime di guerre, fame, disastri naturali o provocati dall’incuria e avidità di altri uomini. Ma quando la possibilità di scelta esiste, come nel caso di chi è colpito o teme di essere colpito da gravi malattie senza prospettive di guarigione, perché condannarlo a una vita e a un morte che lui ritiene indegne? Proprio a partire dal suo profondo rispetto per la vita Küng afferma che “della vita fa parte anche la morte. E come la vita così anche la morte dovrebbe essere degna dell’uomo”. Gli enormi progressi della medicina, che tanto contribuiscono a migliorare la qualità e le aspettative di vita, possono compromettere questa dignità attraverso l’impiego di tecniche che mantengono in vita chi non vuole continuare a vivere. Libertà. È vero che molte persone si aggrappano fino all’ultimo ad ogni sia pur minima e limitata possibilità di vita, e la loro volontà va rispettata senza compromessi. Ma è altrettanto vero che molte persone temono di “cadere prigionieri del sistema ipertecnologico della medicina di oggi, di cadere in una totale dipendenza e di perdere il controllo del proprio io”, di essere costretti a vivere una vita per loro divenuta insopportabile. E allora, se “nessun uomo deve essere costretto, o anche solo spinto, a morire un giorno o anche una sola ora prima di quando egli voglia”, ugualmente “nessun uomo deve essere costretto a continuare a vivere ad ogni costo. Il diritto di continuare a vivere non

può diventare un dovere, il diritto alla vita non equivale a una coercizione a vivere”. Spetta ad ogni uomo, adeguatamente informato, esclusivamente a lui, decidere liberamente se sottoporsi o meno a determinate cure mediche, se proseguire o interrompere mezzi di sostentamento artificiale. Responsabilità. Per un non credente la vita è un fenomeno puramente naturale. Da credente, Küng ritiene che l’uomo riceve in dono da Dio la vita; ma al tempo stesso l’autodeterminazione e quindi essa è rimessa alla responsabilità dell’uomo. Ciò significa per Küng che spetta ad ogni uomo, e non a Dio, disporre responsabilmente della propria vita. E allora, se “ciascuno è responsabile della sua vita, perché dovrebbe cessare di esserlo proprio nella sua ultima fase?”. È interessante scoprire che un non credente come il famoso oncologo Umberto Veronesi, che ha dedicato la sua vita a salvare vite, abbia usato in una intervista parole simili: “Credo nel principio della responsabilità della vita e nell’au-

todeterminazione della persona. Se dunque le civiltà riconoscono il diritto di operare le scelte fondamentali della propria vita… non vedo perché non devono riconoscere il diritto di scegliere come concludere la propria esistenza”. Chiedo scusa ai lettori se su queste pagine ho voluto toccare un argomento che molti possono ritenere “sgradevole”, di cui è preferibile non parlare, da relegare negli angoli più riposti del nostro io. Ma voglio fare mio l’appello di Küng ai giuristi, alla politica, alle chiese, ai medici, ai media affinché ognuno faccia la sua parte per l’affermazione di questi principi fondamentali. E poiché Insonnia, nel suo piccolo, fa parte del mondo dei media, credo che possa e debba dare il suo contributo. Per chi volesse approfondire l’argomento: Hans Küng e Walter Jens, Della dignità del morire. Una difesa della libera scelta, Rizzoli, 2010 Hans Küng, Morire felici? Lasciare la vita senza paura, Rizzoli, 2015

Iniziativa del GAS di Racconigi (Gruppo di Acquisto Solidale) per le aree terremotate Il recente terremoto in centro Italia ha duramente colpito le famiglie e le aziende dell’area. In occasione del precedente terremoto in Emilia, il GAS (Gruppo di Acquisto Solidale) di Racconigi, aveva organizzato l’acquisto di parmigiano reggiano da una azienda colpita dal sisma. Anche in questa occasione vogliamo proporre una iniziativa per acquistare prodotti tipici dell’area da una azienda locale colpita dal terremoto. Abbiamo fatto una ricerca finalizzata a selezionare, tra quelle effettivamente bisognose di un supporto, una azienda a cui rivolgere gli acquisti del Gruppo di Acquisto. Abbiamo individuato, attraverso informazioni dirette e affi-

dabili, l’azienda Brancaleone di Norcia. http://www.brancaleonedanorcia.it. L’azienda offre salumi, formaggi, legumi ecc. I titolari sono attualmente ospitati presso un albergo, poiché la loro abitazione non è agibile. Con i nostri acquisti possiamo dare un contributo concreto alla ripresa della loro attività e alla ricostruzione della fiducia nel futuro. Appena il Gruppo di Acquisto avrà messo a punto i contatti con l’azienda saranno rese note tutte le informazioni riguardanti i prodotti offerti, i prezzi, i tempi e le modalità per gli ordini e la consegna. Le persone interessate possono contattare la redazione di Insonnia al seguente indirizzo: contatti@insonniaracconigi.it


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PIANO REGOLATORE

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Anche con la “Relazione d’Esame” la Regione invita l’Amministrazione a ridurre il consumo di suolo

di Anna Maria Olivero

A seguito dell’istruttoria effettuata sulla variante al PR di Racconigi, la Regione ha predisposto la VAS (che è stata presentata nello scorso numero di Insonnia) e la seguente Relazione di Esame che a partire dalla situazione di Racconigi comprende rilievi, richieste di approfondimento nonchè proposte di modificazioni e integrazioni. SITUAZIONE FISICA E GEOMORFOLOGIA ll Comune di Racconigi è posto ad altitudini comprese tra i 240 e i 271 metri s.l.m., la superficie del suo territorio ammonta a 4.800 ha (ettari) in massima parte pianeggiante, con elevata capacità d’uso agricolo del suolo; i corsi d’acqua principali sono il torrente Maira, il torrente Mellea, il rio Caldo ed il rio Freddo; il territorio è inoltre caratterizzato da numerosi canali e bealere. SITUAZIONE DEMOGRAFICA Dal 1981 al 2001 la popolazione residente si è incrementata di circa 43 unità, passando dai 9813 ab. del 1981 ai 9856 del 2001; da tale anno ad oggi si sono riscontrate piccole variazioni positive o negative che hanno mantenuto quasi costante il numero dei residenti con una popolazione al 2015 di 10.129 ab.. SITUAZIONE SOCIO ECONOMICA A Racconigi, accanto ad alcune realtà produttive di tipo industriale e/o artigianale di rilievo, sono presenti attività del terziario e soprattutto l’agricoltura che, in questo territorio caratterizzato da suoli irrigui ad alta fertilità, riesce ad essere ancora un settore trainante. SITUAZIONE INSEDIATIVA Al 1991 erano presenti 3918 alloggi, al 2001 alloggi 4137 e al 2011 alloggi 4696. AREE GRAVATE DA VINCOLI Alcune aree importanti del nostro ter-

ritorio sono tutelate con vincoli: • Castello di Racconigi e la sua buffer zone riconosciuti patrimonio mondiale dell’umanità (UNESCO); • Viale all’ingresso sud dell’abitato (L.1497/’39); • Cascine ex Savoia del Parco del Castello di Racconigi (‘Galassini’); • Le parti del centro storico d’interesse Artistico o Storico (L.1089/’39); • Parco di Racconigi e boschi lungo il torrente Maira quali Siti di Importanza Comunitaria (SIC ); • Parti di territorio lungo il torrente Maira poste a nord del Concentrico (vincolo idrogeologico); • Alcune aree demaniali di limitata estensione (vincolo di uso civico). OSSERVAZIONI AL PIANO Le nuove scelte progettuali, sia di riuso di ambiti già urbanizzati sia di previsione di nuove aree di sviluppo, risultano in gran parte urbanisticamente ragionevoli e razionali, fatto salvo quanto rilevato in merito al dimensionamento ed al conseguente consumo di suolo, che appare la vera criticità, e ad alcune specifiche localizzazioni. In relazione al dimensionamento la

Regione pone le seguenti osservazioni: RESIDENZA Il dimensionamento proposto se confrontato con la dinamica demografica comunale che ha visto crescere la sua popolazione negli ultimi 35 anni di un 3,1% e con la quantità di vani già edificati (oltre 18000), appare superare nettamente la più ottimistica delle previsioni; di conseguenza si richiede una decisa revisione al ribasso delle previsioni residenziali anche al fine di contenere il consumo di suolo. ATTIVITÀ PRODUTTIVE E/O ECONOMICHE Le quantità di aree produttive appaiono anch’esse sovradimensionate. Si ritiene che anche in questo caso gli incrementi previsti eccedano la piu ottimistica delle previsioni e si richiede un conseguente sostanziale ridimensionamento delle stesse che coinvolga una gran parte degli incrementi previsti. AREE PER SERVIZI La dotazione prevista di aree per servizi prevista appare sufficiente a soddisfare lo standard di legge.

CONSUMO DI SUOLO Rispetto al consumo di suolo si ritiene doveroso richiedere un’ulteriore riflessione delle previsioni (in un comune dove si riscontrano classi di capacità d’uso del suolo elevate) al fine di procedere ad ulteriori riduzioni. Rispetto al consumo di suolo sono infatti previste aree edificabili (a destinazione residenziale, produttiva e terziaria) per complessivi 740.000 mq circa di cui 420.000 mq aree di previsione già vigenti e confermate dal Piano al 2013 e 320.000 mq come nuove previsioni. Considerato che le nuove aree eccedono l’incremento massimo previsto del 6% per una quantità di circa 120.000 mq la stessa deve considerarsi quantitativamente come una richiesta di stralcio irrinunciabile. Si richiede pertanto una revisione, con eventuale stralcio, di alcune aree fra cui si consiglia: - le aree poste al limite dell’edificato o marginali e che non comportano ricadute negative sulla viabilità principale; - l’area di nuovo impianto (D102) in quanto la stessa risulta in gran parte edificata anche se con un utilizzo scarso o nullo; - esplicita richiesta di stralcio totale dell’area di nuovo impianto (Dl04) in quanto posta nella fascia di rispetto cimiteriale e gravata dal rispetto agli elettrodotti che la sovrastano; - l’area Dl01 in prossimità dell’“ILVA” che, potrebbe avere una dimensione superiore alle esigenze di ampliamento dell’area produttiva “ILVA”; in ogni caso si deve esplicitare in modo più marcato che tale area è finalizzata alle sole esigenze di ampliamento dello stabilimento produttivo adiacente. Inoltre in merito alla viabilità perimetrale individuata si ritiene che la stessa possa essere ridotta alle sole esigenze di ricomposizione della viabilità vicinale o interpoderale eliminando anche il collegamento previsto con la rotonda prevista in prossimità del Parco del castello di Racconigi; - l’area commerciale CC.02 in quanto posta nelle immediate vicinanze del viale monumentale con possibile compromissione della percezione di quanto tutelato. Nella Variante approvata nel 1998 una previsione produttiva, posta nella stessa parte di territorio, era già stata oggetto di stralcio ex officio. Si ritiene che una previsione commerciale, quantitativamente analoga a quella proposta, sia opportuna nella città di Racconigi, ma appare consigliabile indirizzare la localizzazione di tale previsione verso una parte del territorio ove le esigenze di tutela siano meno pressanti. Ulteriori indicazioni in merito sono contenute nel parere motivato VAS. TOTALE degli stralci richiesti 193.000 mq circa + eventuale area commerciale CC02 (38.059 mq).


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a cura di Guido Piovano

VERONESI: “NON MI SPAVENTA LA FINE, MI SPAVENTA UNA BRUTTA FINE” Le recenti cronache sulla morte del prof. Umberto Veronesi, ci hanno riferito di come il famoso oncologo si sia alla fine lasciato morire, rifiutando le cure. Diventa allora di particolare interesse questa sua riflessione comparsa su La Stampa il 31 marzo 2015. Dice Veronesi: «Ho sempre seguito con interesse e attenzione l’evoluzione di Hans Küng* come esempio di fervente cattolico che ha il coraggio di esprimere un pensiero laico. […]. (Dice Küng): “L’esistenza umana va vissuta in base al principio della responsabilità della vita: Dio ci dona la vita, e con questo atto ci dà l’incarico di esserne responsabili, dunque di disporne liberamente. Questo principio va contro il concetto di sacralità della vita, che decreta invece che la vita è dono e proprietà di Dio, che imperscrutabilmente ne dispone”. Su questa coraggiosa obiezione antidogmatica si basa il libro di Küng “Morire felici?” (Rizzoli, 2015) perché se l’uomo è responsabile della sua vita, lo è anche della fine, perché vita e morte sono inscindibilmente parte dello stesso ciclo. Dunque noi siamo liberi di scegliere quando morire, per essere felici, vale a dire in pace e in

Il secondo episodio fu la morte nel 2013 di quel Walter Jens con cui scrisse il libro. Il paradosso che lo colpì fu che il suo carissimo amico morì in una situazione paradossalmente opposta a quella di Georg, perché nel 2005 gli fu diagnosticato il morbo di Alzheimer, che gli fece perdere gradualmente la lucidità, senza causare grandi sofferenze fisiche. Ma per Walter la percezione dello strazio della mente è stata dolorosa come lo strazio del corpo. La riflessione su queste due esperienza ha indotto Küng a concludere che lo Sterbehilfe in alcuni casi è comprensibile, anzi doveroso. Per questo Küng si è iscritto a Exit**, nella coscienza che aiutare a morire è un intervento molto difficile, che deve essere riservato a persone serie e preparate. Leggendo le sue pagine sof-

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ferte mi sono reso conto dello sforzo intellettuale del teologo che mantiene intatta la sua fede cattolica, pur contestandone un dogma fondamentale, come appunto la sacralità della vita. […] Questa posizione va nella direzione del dialogo fra scienza e fede e fra fedi diverse aprendo il dibattito sul fine vita a un ventaglio di questioni etiche e umane che ci toccano tutti da vicino, credenti e non credenti». * Hans Küng: nato nel 1928, è il più celebre teologo del dissenso cattolico su temi che vanno dall’infallibilità del papa al ministero femminile. ** Exit: l’associazione elvetica che aiuta chi, malato inguaribile esposto al degrado e declino di ogni facoltà fisica e mentale e a sofferenze insopportabili, desidera essere aiutato a morire sereno.

RADIO MARIA, NETANYAHU E … IL TERREMOTO

armonia con noi stessi». E continua: «Ciò che è nuovo in questo libro è il racconto degli eventi che hanno avvicinato Küng allo Sterbehilfe (ausilio alla morte). Il primo è la tragica morte del fratello Georg. Küng racconta che alla sua prima messa a Roma, appena ordinato, assistette gran parte della famiglia, ma non il fratello, a causa di un improvviso svenimento. Quel mancamento era il sintomo di un cancro del cervello che, dopo un anno di atroci sofferenze vissute in piena lucidità, fece apparire la morte come un sollievo. La riflessione di Küng fu allora: è possibile che Dio abbia voluto questa sofferenza? È possibile che Dio abbia voluto proprio questa morte? […]

Riporto due episodi della cronaca recente che testimoniano quanto sia lunga la strada che ci separa da una fede adulta! Uno: Radio Maria ha mandato in onda la sconcertante teoria di padre Giovanni Cavalcoli, secondo la quale il terremoto che ha colpito il Centro Italia non sarebbe altro che “il castigo di Dio” per la legge sulle unioni civili. Papa Francesco si è indignato e il Vaticano ha costretto la Radio a “sospendere” la trasmissione affidata al religioso. Due: il viceministro israeliano Ayooub Kara, ha interpretato il terremoto come una “punizione divina” per l’astensione italiana sulla risoluzione Unesco concernente la Città Vecchia di Gerusalemme che, a giudizio di Israele e delle comunità ebraiche del mondo, ha negato i legami millenari di Israele con l’ebraismo. Qui si è indignato il Presidente Mattarella che ha preteso scuse al più alto livello, arrivate poi dal portavoce Nahshon dell’esecuti-

vo di Benjamin Netanyahu. Insomma il Dio di Radio Maria e quello di Netanyahu si mettano un po’ d’accordo! Ancora una nota: la Radio che lancia anatemi contro le leggi dello Stato è in cima alla lista delle radio che ricevono ogni anno un contributo pubblico: 779 mila euro per il 2011, 730 mila per il 2012 e 581 mila per il 2013, non per svolgere un servizio pubblico, ma a titolo di “mero sostegno”, in base a una legge vecchia di 18 anni varata per sostenere le emittenti locali. Queste sono però solo due: per l’appunto Radio Maria e poi Radio Padania di Salvini, che riceve le stesse somme. Alle due radio viene richiesto soltanto di “essere in regola con il pagamento del canone, nella misura dell’1 per cento del fatturato annuo”. Per il resto, possono mandare in onda ciò che vogliono senza alcun obbligo di svolgere un servizio pubblico.

Gli zanzarini sono insetti molesti. La loro puntura non è mortale e neppure dolorosa, ma è spesso irritante. Se ne scacci uno ne arriva subito un altro. Tanto vale farci l’abitudine.

Alla ricerca del notaio perduto di Zanza Rino

Il mio amico che scrive su Insonnia si è confidato con me. Mi ha raccontato che ha contattato qualche notaio per quella faccenda del testamento biologico, per sapere quanto costava farsi autenticare la firma e depositare il documento, per essere sicuro che non andasse perso. Ha fatto qualche telefonata ad alcuni studi notarili dei dintorni. Ecco il risultato. Notaio n. 1. Al momento non si

occupa di “queste cose”. Notaio n. 2. La segretaria si fa lasciare il recapito telefonico, con la promessa che avrebbe fatto sapere qualcosa. Sta ancora aspettando. Chiama allora il Consiglio notarile di Cuneo, perché gli risulta che il Consiglio notarile nazionale abbia invitato quelli provinciali a stendere elenchi dei notai disposti ad autenticare le firme per i testamenti biologici. Rispondono di avere un elenco

non aggiornato e forniscono un paio di nominativi. Il mio amico telefona a quello più vicino. Notaio n. 3. Non fa di queste cose, perché non c’è ad oggi una legge che regoli la materia. Tutti questi studi notarili sono in provincia di Cuneo. Capito l’aria che tira nella provincia granda, il mio amico sposta l’attenzione sulla provincia di Torino. Telefona al Consiglio notarile di Torino. Sono molto gentili, dopo una ricerca che dura parecchi minuti gli forniscono un paio di nominativi di notai più vicini.

Notaio n. 4. La segretaria sembra un po’ spiazzata, dice che per un testamento non serve l’autenticazione della firma, il mio amico le spiega di cosa si tratta, lei si fa lasciare un recapito telefonico e si impegna a richiamare. Sta ancora aspettando. Notaio n. 5. Miracolo! La segretaria gli fissa un appuntamento, parla con il notaio, il notaio è disponibile, la tariffa onesta. Chissà se è altrettanto difficile trovare un notaio disposto a redigere un atto per la costituzione di una società che produce armi…


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“Grazie per tutte le volte che credevi che io non stessi guardando”

L’importanza dell’esempio per insegnare il rispetto ai bambini a cura dell’Associazione “Mai + Sole”

Quando leggerete queste righe la giornata dedicata alla lotta contro la violenza alle donne farà parte delle notizie del mese precedente. Partendo dalla consapevolezza che una giornata nazionale ed iniziative ad essa legate siano lodevoli ma non sufficienti, l'associazione Mai+sole, che opera instancabilmente sul nostro territorio, ha pensato di impegnarsi nella prevenzione. Da circa quattro anni propone laboratori teatrali nelle scuole: un'esperienza bellissima ed utile ma non ancora abbastanza. Per questo motivo ha pensato ad un breve percorso rivolto agli insegnanti che ogni giorno si relazionano con bambini e ragazzi e con tutti i loro vissuti. Le insegnanti dei due Istituti Comprensivi di Savigliano hanno accolto con interesse questa proposta e in due incontri hanno avuto la possibilità di mettersi in gioco, confrontarsi e raccogliere spunti e strumenti per affrontare queste tematiche all'interno della giornata scolastica con gli allievi. Il tema principale era “come insegnare il rispetto ai bambini” partendo dall'importanza delle emozioni. Come insegnanti siamo chiamate ogni giorno a confrontarci con le emozioni di cui i nostri allievi sono portatori. Proponiamo da sempre laboratori per parlarne attraverso diverse modalità. In molte occasioni e riunioni ci confrontiamo sulla difficoltà a gestire alcuni comportamenti, sulla mancanza di preparazione e di strumenti per far fronte a situazioni sempre più delicate e impegnative. Educare alle emozioni è un percorso che va costruito nel corso negli anni. E' importante aiutare i bambini a riconoscere e nominare le emozioni. Questo è un primo passo per poi tentare di immedesimarsi negli stati emotivi altrui, una competenza che è preziosa per comprendere e prevedere i comportamenti degli altri e evitare situazioni di rischio e pericolo. Dare un nome a quello che provia-

mo e alle emozioni che i bambini ci trasmettono è dare un senso che aiuta a lasciar andare il desiderio di reprimere e di soffocare. I bambini sono immediati, istintivi. Se una situazione è provocante reagiscono subito. Capita allora il morso, lo spintone, la mano che colpisce. Ma l'adulto come reagisce? Penso banalmente a due bimbi che si accapigliano per un gioco. Il più delle volte si muove come è richiesto perché la nostra è una società che tende ad abolire e condannare la rabbia e l'aggressività. Non sapendo gestire la situazione, scatta il meccanismo del “tolgo”: togliere l'elemento scatenante perché è troppo difficile stare nella situazione dolorosa e frustrante. Siamo circondati da un contorno di violenza ma già ai bambini si inculca “non litigare, non arrabbiarti, non urlare, non piangere”. Per i bambini è fondamentale e rassicurante sapere che possono stare dentro alle situazioni di fatica, che non è sbagliato provare certe emozioni e che soprattutto in quel momento

non sono soli. Se desideriamo che i nostri ragazzi diventino adulti autonomi nella gestione delle emozioni è importante aiutarli da bambini a coltivare il conflitto per gestirlo e per evitare che sfoci in violenza. E' difficile riassumere la ricchezza degli interventi, ma una frase mi è rimasta particolarmente scolpita nella mente accompagnandomi nel corso dei giorni successivi nel lavoro di insegnante ma anche di genitore: “quando credevi che non stessi guardando, io ho imparato la maggior parte delle lezioni che dovrò sapere per crescere come persona buona ed utile per me e per gli altri. Grazie per tutte le volte che credevi che io non stessi guardando”. Ed è proprio così. I bambini e i ragazzi ci osservano, ci guardano, comprendono i nostri atteggiamenti, danno loro un significato, li catalogano e li archiviano nel loro bagaglio di informazioni. Ci osservano mentre gestiamo le emozioni nel gruppo classe, come ci poniamo verso i singoli allievi, come ci rapportiamo con i genitori, quando gestiamo la relazione nel team e fanno propri questi atteggiamenti riproducendoli nel loro mondo. Siamo un tramite prezioso per coltivare la capacità di empatia. Attraverso l'esempio possiamo insegnare che si può entrare in contatto con chi soffre mantenendo la propria unicità, senza lasciarsi travolgere dal dolore. Si può passare il messaggio che è più facile comprendere un comportamento se ci si mette

nei panni dell'altro, astenendosi dall'esprimere un giudizio, riconoscendo l'emozione che l'ha generato e comunicandola. E' importante far comprendere la forza del legame nello stare nella situazione difficile: “non so dare una risposta al tuo dolore ma sono felice che tu me ne abbia parlato”. Le risposte difficilmente sono risolutive, si ha più bisogno di gesti e comportamenti che parlano il linguaggio del non verbale: un abbraccio ricorda che possiamo stare insieme nell'emozione anche se fa male. Siamo un esempio. E per questo motivo abbiamo il dovere di essere un modello positivo e sincero. Questo percorso ci ha ricordato che se le emozioni fanno parte della nostra vita, è necessario una sorta di allenamento quotidiano per saperle padroneggiare. Non è sufficiente dar loro un nome e mettersi nei panni dell'altro. Bisogna abituarsi a parlare di sentimenti, a sentirsi liberi di dire e comunicare cosa si prova, trovare il tempo e la voglia di ascoltare quelli degli altri. Si può entrare nell'ottica che non esistono emozioni “belle” o “brutte”, si può apprendere che le emozioni non hanno di per sé un valore e sono i comportamenti ad essere adeguati o meno e non i sentimenti né le persone. Ogni momento è prezioso, ogni occasione utile. Non c'è miglior modo per farlo che esser noi adulti i primi a metterci in gioco. La cultura e la pratica del rispetto si costruiscono nel tempo attraverso l'esempio.


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SALVA IL SUOLO!

insonnia

È in atto in tutta Europa la sfida per raccogliere un milione di firme per richiedere una Direttiva europea a tutela del suolo di Francesca Galante e Marco Capello, Legambiente

Senza un suolo sano e vivo non c’è futuro e tutelarlo con norme efficaci è il primo modo di proteggere uomini, piante, animali. Il suolo infatti è un ecosistema vivente, essenziale per la salute dell’uomo e dell’ambiente. È una risorsa vitale, ma limitata e non rinnovabile. Trascurare il suolo significa minacciare la nostra sicurezza. Solo in questi ultimi anni la scienza ha manifestato l’allarmante conclusione che senza proteggere il suolo sarà impossibile produrre cibo salutare per nutrire il pianeta, fermare la perdita di biodiversità, mitigare il riscaldamento globale, adattarsi ai cambiamenti climatici ed evitare disastri ambientali. Ogni anno in Europa vengono distrutti 1000 kmq di suolo fertile, soffocando sotto il cemento un’area grande come l’intera città di Roma, in cinquant’anni in Europa è stata cementificata un’area agricola estesa come l’intera Ungheria e solo in Italia vengono “mangiati” dal cemento 4 metri quadrati ogni secondo. È in questo modo che i suoli europei non bastano più da tempo a coprire i fabbisogni alimentari della popolazione dei Paesi mem-

bri. Per questo decine di milioni di ettari in ogni parte del Pianeta sono sfruttati intensivamente per il mercato europeo, talvolta dopo aver costretto le comunità rurali di questi Paesi a esodi forzati. Ma il suolo è anche molto altro: i suoli europei intrappolano una quantità di carbonio immensa, che equivale ad oltre 40 volte la CO2 emessa

annualmente da trasporti, settore civile, industria. Il suolo è la culla della biodiversità terrestre e depura le acque, le assorbe e trattiene, svolgendo un ruolo fondamentale nella corretta gestione della risorsa idrica e nella prevenzione dei danni delle alluvioni. Per questo la sua tutela riguarda tutti noi e per questo 350 organiz-

zazioni in 26 Stati membri hanno promosso l’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE), strumento che i cittadini europei hanno a disposizione per prendere direttamente parte all’elaborazione delle politiche dell’UE. L’iniziativa dei cittadini europei ha l’obiettivo di presentare a settembre 2017 un milione di firme raccolte in tutta Europa alla Commissione Europea, a cui sarà richiesto di attivarsi per definire un testo legislativo a protezione del suolo, come già esiste per acqua e aria. In Italia la raccolta firme sarà parte della campagna SALVAILSUOLO, promossa da una task force di associazioni tra cui: ACLI, Coldiretti, FAI, INU, Legambiente, Lipu, Slow Food, WWF, ONG di cooperazione, forum per il paesaggio, società e istituzioni scientifiche, associazioni cristiane di impegno sociale, organizzazioni di produttori agricoli e di consumatori biologici e perfino associazioni venatorie e ricreative. La petizione si firma online: per i cittadini italiani sul sito www.salvailsuolo.it su cui è possibile aderire fornendo i propri dati anagrafici, oppure ai banchetti che verranno organizzati anche a Racconigi nei prossimi mesi.

People4Soil: firma l’iniziativa dei cittadini per salvare i suoli d’Europa! Il suolo rappresenta una delle principali risorse strategiche dell’Europa, in quanto garantisce la sicurezza alimentare, la conservazione della biodiversità e la regolazione dei cambiamenti climatici. È giunto il momento di proteggere i suoli europei.

Vai su www.salvailsuolo.it


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18 ANNI DI SOLIDARIETA’

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L’associazione Fondo di Solidarietà ONLUS di Racconigi compie 18 anni e diventa maggiorenne segue dalla prima

Perché è nato il Fondo? Diciotto anni fa un gruppetto di venti persone si è trovato a condividere un’idea: la visione del Mondo come “Casa di tutti”. Tutti amanti del viaggio, di quello vero, fai da te, che ti permette di incontrare le persone nei luoghi dove vivono, essere ospitati nelle loro case, conoscere i modi e le forme di una realtà “diversa” che subito diventa familiare. Coloro che vengono comunemente chiamati “gli stranieri” diventano per noi volti, nomi, storie, amici conosciuti nel viaggio. Le loro fatiche e i loro sogni ci appartengono un po’; spesso basterebbe poco per migliorare la loro condizione, ma ognuno di noi da solo può fare poco. In cosa consiste il Fondo? È semplicissimo: ogni socio, anche un lettore che decidesse di aderire, versa una quota mensile a sua discrezione, per esempio il 2% del proprio stipendio in un conto dell’associazione, un fondo appunto. La quota è libera ma l’importante è che la cifra che si desidera versare sia possibilmente stabile per tutto l’anno. Le gocce di ciascuno, insieme, versate con costanza in un anno ci permettono di finanziare diversi progetti. L’obiettivo è avere sempre il conto a zero, non deve restare nulla in cassa! Questo è molto importante. Tutto è rendicontato, tutto è trasparente. Finanziamo solo i progetti che visitiamo di persona oppure che sono gestiti da persone di nostra fiducia che periodicamente ci informano sullo stato di avanzamento lavori.

Perché tanta solidarietà? Quando viaggiamo, amiamo essere accolti. Siamo grati allo straniero che ci ospita e ci fa conoscere il suo mondo. Quando facciamo ritorno in Italia, abbiamo cambiato prospettiva: sappiamo di avere un amico lontano e quel paese non ci è più straniero. Non mi devo più difendere. Anzi, l’altro mi interessa, mi informo sulla situazione, seguo il suo percorso, mi metto in una condizione di RECIPROCITA’ affettiva. Non mi interessa solo lui, ma m’importa

della sua famiglia, del suo quartiere, dei suoi amici del villaggio, della situazione sociale del suo Stato. Non vi basterebbe aiutare i pochi che conoscete? L’altro rappresenta una realtà sociale più ampia. Proprio per quello che dicevo prima, io divento consapevole della realtà in cui vive il mio amico e il suo popolo ed è normale che cerchi di agire in difesa dei diritti umani a lui negati. Il Fondo rifiuta un modello assistenzialista che interviene a pioggia tamponando le situazioni in emergenza. Per carità, si può fare anche quello, ma non deve essere la costante caratteristica della solidarietà. Ricordo il viaggio che feci tra i profughi Saharawi del deserto algerino. Avevano bisogno di tutto. Noi ci prodigammo per fornire loro taniche nuove per l’acqua sostituendo quelle arrugginite. Eppure sapete cosa ci chiesero più d’ogni altra cosa? “Parlate di noi, fate sapere al mondo che esistiamo e quali sono i motivi per cui siamo qui. Aiutateci a cambiare il nostro futuro”. Ecco allora la differenza tra beneficienza e impegno solidale: nel Fondo mi impegno per modificare la realtà, cerco di avere informazione corrette, denuncio le ingiustizie; il nostro impegno diventa politico, nel senso più ampio del temine. Cosa significa che la solidarietà è un impegno politico? Quando mi telefona un amico dall’altra parte del mondo e mi informa della sua situazione di fatica o povertà, è normale che io gli chieda perché questo accade e voglia sapere come poter migliorare la situazione. Quando mi dice che lavora in una piantagione di banane e viene sottopagato e sua sorella che lavora con lui si è ammalata di tumore forse a causa dei pesticidi che hanno dato nel campo, senza farli evacuare prima, quello che accade durante questo dialogo è una coscientizzazione del mio e nostro ruolo all’interno

degli ingranaggi sociali. Inizio a capire come si generano le disparità sociali e mi chiedo “Io non c’entro nulla? Non sarà che il mio stile di vita genera povertà in qualche parte lontana del mondo?” La conseguenza naturale accade quando vado a far la spesa: mi ritrovo a mettere nel carrello le banane del commercio equo e solidale, anche se costano di più. Il mio amico, senza saperlo mi ha coscientizzato. Quindi, solidarietà = reciprocità e responsabilità? Certo! Se è vero che noi diamo loro del denaro, è altrettanto vero che loro ci restituiscono conoscenza e sapere. Questa è reciprocità. Il Fondo prova ad essere responsabile, cioè abile a dare risposte a situazioni che paiono lontane da noi, ma in realtà sono collegate alla nostra vita.

Progetti finanziati in 18 anni

Come si fa ad aderire al Fondo di Solidarietà

In 18 anni come Fondo di Solidarietà di Racconigi abbiamo finanziato 70 progetti in 19 Nazioni, devolvendo 266.000 euro. È proprio vero che se ognuno di noi mette una goccia, si genera un mare! Siamo felicissimi di questo risultato, ma soprattutto siamo appagati dell’aver amici in Kenya, Costa D’Avorio, Senegal, Saharawi, Bolivia, Salvador, Burkina Faso, Perù, Bangladesh, Colombia, Nicaragua, Brasile, Burundi, Congo, Capo Verde, Bosnia, Guatemala, Tanzania, Italia in particolare a Rosarno, Scampia, Carmagnola e Racconigi.

Semplicissimo. Si invia una mail indirizzata all’attenzione di Lucia Macchiorlatti, Presidente del Fondo di Solidarietà Racconigi ONLUS fondosolidale.racconigi@gmail.com indicando la propria intenzione ad aderire per un anno al Fondo di Racconigi. Verrete contattati al più presto. Per chi è interessato a vivere un Natale diverso, questo gesto sarà di certo un modo interessante di sperimentare la Solidarietà.

Perché l’autotassazione mensile? Se il nostro stile di vita è buono e il nostro amico straniero non ha nulla, in un’ottica di economia familiare è normale immaginare di restituirgli qualcosa, una restituzione che parte da noi. Il Fondo crede nella redistribuzione delle risorse. Il 2% dello stipendio per esempio significa 20 euro al mese se ne percepisci 1000. Equivale a 4 pacchetti di sigarette, 4 gratta e vinci da 5 euro, una cena in pizzeria. Sono troppi per chi ha figli (ecco perché va benissimo qualsiasi altra cifra) ma sono importanti per chi non ha nulla. Con 20 euro di 50 persone si raccolgono 1000 euro e sapete quante cose nel mondo si fanno con quella cifra? In Kenya si pagano le scuole per un anno a 5 ragazzini, in Somalia si mette su un laboratorio di cucito che dà lavoro a 10 donne, in Burundi e in Bangladesh si pagano gli stipendi annuali a 2/4 insegnanti, a Scampia si riesce a garantire un educatore a tempo pieno nella ludoteca “L’albero delle storie” per qualche mese e in Salvador si comprano le attrezzature per un laboratorio di apicultura gestito dalle donne … Se l’autotassazione è continuativa, immaginate quante meravigliose iniziative nel mondo riusciamo a sostenere! Dimenticavo di dire che il Fondo non ha costi di gestione e tutto ciò che si raccoglie viene redistribuito nei progetti.


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IL TEMPO E’ DENARO E IL CONFLITTO RICHIEDE TEMPO

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Quanto costa il conflitto nella vostra organizzazione? di Alessia Cerchia

Riprendo la mia rubrica riportando parte dei risultati di un mio recente approfondimento sul tema del conflitto nelle organizzazioni complesse, quali aziende, associazioni, e, più in generale, luoghi di aggregazione sociale. Come mio solito, il punto di partenza di questa riflessione è rappresentato da un principio tanto semplice da poter essere considerato banale, ripreso dalla pratica dell’Aikido: la tecnica deve essere eseguita in modo da raggiungere il massimo risultato con il minimo sforzo. Stiamo parlando di quel principio di efficienza che dovrebbe ispirare buona parte delle nostre azioni. Di sicuro dovrebbe essere un punto di riferimento per qualsiasi Organizzazione che voglia essere competitiva. Attenzione però. Intendo riferirmi ad una competitività che va ben al di là dei risultati produttivi, commerciali e di fatturato. Intendo una competitività che abbracci lo stile di vita di chi l’Organizzazione la crea, la rappresenta e la fa muovere: la vita dei dirigenti così come dei dipendenti, dei soci così come degli utenti. Ciò che appare strano, se osserviamo le cose da questo punto di vista allargato, è come le aziende moderne – salvo poche, pochissime eccezioni – non tengano in alcuna considerazione la corretta gestione delle relazioni tra i propri dipendenti e non abbiano politiche di risoluzione

efficace e positiva dei conflitti che, quotidianamente, si possono creare al loro interno. Da un’indagine condotta nel 2008 dalla CPP inc., negli Stati Uniti e in Europa, nell’ambito della quale sono stati intervistati 5.000 lavoratori con contratto a tempo indeterminato, è emerso che ogni dipendente investe, in media, 2,1 ore ogni settimana - circa un giorno al mese – nell’essere coinvolto in un conflitto a vario titolo (da un disaccordo personale con qualche collega, all’aiuto prestato a colleghi per risolvere un loro conflitto, ecc.). Per i soli Stati Uniti ciò si traduce in 385 milioni di giorni lavorativi persi ogni anno a causa di un conflitto sul posto di lavoro. In Germania e in Irlanda, dove il tempo medio dedicato alla gestione dei conflitti sale a 3,3 ore a settimana, la cifra è una percentuale ancora più elevata del tempo di lavoro disponibile. Di quali conflitti stiamo parlando e come possiamo calcolare i loro costi? Per poter misurare il costo del conflitto all’interno di un’organizzazione è fondamentale sapere con chiarezza cosa cercare. Quali situazioni dobbiamo considerare come conflittuali? Semplificando, possiamo dire che il conflitto è, anzitutto, una differenza di aspettative su quali siano i modi migliori perché i propri bisogni vengano soddisfatti ed è solita-

mente accompagnato da una tangibile tensione emotiva. A livello comportamentale, una situazione di conflitto può essere resa palese dall’adozione di strategie di “evitamento” o di confronto/combattimento: pettegolezzi, mancate risposte, violenza verbale, comunicazione passiva/ aggressiva, ostilità. Non sempre, tuttavia, le persone riescono ad avere un’idea chiara di quando e come un conflitto – anche se le vede coinvolte in prima persona – inizia, si evolve fino a raggiungere la soglia del “non ritorno”, produce effetti negativi sulla propria vita e su quella di chi sta loro vicino. Simili situazioni, se non gestite in modo tempestivo ed adeguato, possono portare ad un indebolimento del team di lavoro, fino a compromettere il raggiungimento degli obiettivi perseguiti o – nei casi più estremi – la perdita di collaboratori preziosi o di clienti e fornitori. I costi più visibili di simili situazioni di conflitto sono rappresentati dalle spese legali che l’Organizzazione è chiamata a sostenere per difendersi in caso di avvio di un procedimento giudiziario. In Italia – secondo i dati della European Commission for the Efficiency of Justice – sono pendenti quasi 5 milioni di processi civili ed ogni anno se ne iniziano più di un milione. Di questi, circa 180.000 riguardano liti condomi-

niali e 120.000 sono le controversie in materia di lavoro: insieme rappresentano il 30% delle cause di nuova instaurazione. Esistono, poi, costi “nascosti”, di non facile ed immediata rilevazione. I parametri utilizzabili per monitorare la situazione sono molteplici: il tempo perso, l’assenteismo, il turnover e forme di “evitamento” delle situazioni sociali sono gli indicatori principali di un conflitto sul posto di lavoro. Solo per limitarmi a fare un esempio, posso dire che il costo per risolvere un conflitto può coinvolgere gli stipendi di ben quattro dipendenti: i due che sono in conflitto, il loro diretto superiore e il responsabile delle risorse umane. Se non credete che un simile fenomeno possa toccare la vostra organizzazione provate a fare un esperimento che vi porterà via pochi minuti: provate a pensare all’ultimo conflitto che avete vissuto sul posto di lavoro. Contate il numero di persone che direttamente o indirettamente sono state coinvolte ed il numero di ore che sono state impiegate per superarlo (ammesso che sia stato superato!). Moltiplicate il numero di ore per il costo orario di un dipendente e avrete ottenuto una vaga e assolutamente approssimativa idea dei costi del conflitto nella vostra organizzazione. (continua…)


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Cara maestra, non ti ascolterò Il gioco del potere nella relazione alunno insegnante di Grazia Liprandi - Rete Insegnareducando

È piccola, carina e bionda con due occhioni azzurri grandi come il mare. Entra senza guardarti, con quella smorfietta sulle labbra di chi sta decidendo quale sarà la prima mossa nel gioco del potere. La chiamo e la faccio avvicinare. Si struscia e in un attimo riesce a salire in braccio diventando un agnellino. Primo goal: 1 a 0 per lei. Sono cosciente, eppure non la faccio scendere subito. Se perdo quel contatto non riuscirò a far nulla con lei per tutta la giornata. Gli altri bimbi mi guardano un po’ delusi “perché lei sì e noi no?”. Non lo dicono, ma lo si legge dagli occhi. Lascio che mi attornino anche loro, intanto lodo a gran voce chi è già seduto con un libro aperto. Pian piano tutti si sistemano e lei, Sara, si incammina verso il banco, ma non si ferma. Gira, scruta, ha perso qualcosa, qualcuno che le ha preso un foglio oppure una matita, una pinzetta, un accidenti … la guardo severa ed ecco sorgere un improvviso mal

Ha solo sette anni, eppure Sara viene a scuola ogni mattina con un obiettivo preciso, non molto diverso da quello di un grande manager che deve averla vinta a tutti i costi sulle aziende concorrenti. Sara è una bimba-esempio, in classe più d’uno si propongono con questa modalità. C’è chi chiama questi bimbi “Indaco” e sostiene che essi vengano al mondo con l’obiettivo di destrutturare un sistema cogliendone le falle e obbligando gli adulti a ristrutturarsi in altro modo. Interessante, ma… non è possibile condurre una lezione tradizionale con Sara e i suoi simili: in pochi minuti la proposta didattica è stata messa sotto sopra. Ho due strade per affrontarla. Tento: “Sara, ora mi ascolti. Qui comando io e tu obbedisci!” le parlo severa, ma non molla. Glielo ripeto ancora poi grido paonazza con le corde vocali che fanno male e le vene che gonfiano il collo. Lei tace, finalmente, mi guarda

di pancia, deve per forza andare in bagno: si piega in due e piange disperata, “lacrime a comando” come dico io. Decido di farla accompagnare da un operatore o la seguo con lo sguardo; due passi da moribonda, poi pensando di non essere vista, si mette a trotterellare e fischiettare, allora la richiamo indietro; rientra scocciata e inizia a inveire gridando contro qualche fantomatico compagno che l’avrebbe presa in giro. Si scatenano le proteste “non è vero, se l’è inventato!”. La guardo di brutto: “Ora basta!”. Per un attimo si acquieta e si mette a scrivere, …canticchiando. Oggi non è una giornata particolare. No. È sempre più o meno così.

atterrita e si ferma per un po’. La sfuriata raggela la classe, anche gli altri si impietriscono. Diciamo che almeno torno in pareggio, ma dura poco. I bimbi hanno il dono di dimenticare in fretta e Sara ricomincia. Posso riprendere a gridare? Sono solo le 9 del mattino e io sono già spossata. L’arrabbiatura m’ha lasciato l’amaro in bocca. Dovrà pur esserci un’altra strada! Non mi piace affatto questa partita in cui mi ritrovo. Sto giocando con Sara a veder chi vince nel comandare?!? Lei è una bambina, io sono un’insegnante, un’educatrice. Non posso accettare questa stupida disputa che lei innesca con me!

Potrei semplicemente sbatterla fuori, dall’aula e dal cuore, allontanarla, dimenticarla, magari punirla a fine anno. Potrei chiudere e dimostrarle così la mia supremazia di adulto. Ma so che non ne sarei contenta. Sara è una sfida per me. Una di quegli allievi che ti obbligano a reinventarti. Mi fa pensare a quante lotte per il potere instauriamo nella nostra vita e a quante vite nella storia abbiamo sacrificato per raggiungerlo. Noi contro gli altri, io contro te, la fratellanza dimenticata, la società mai compresa. L’umanità da sempre si schiera, destra contro sinistra, chi vince e chi perde. Essere furbi vuol dire vincere sempre, non cedere mai, calpestare gli altri, trovare escamotage per passare sopra a tutti, in coda al supermercato come in un dibattito in tv. La piccola Sara che mi rende la vita così difficile è l’emblema quello che siamo tutti noi, adulti del terzo millennio, ostinati nel dualismo, attenti a separare tutto da noi e noi da tutto. A scuola, questa bimba di 7 anni mette in scena gli stessi giochi di un mondo che non mi piace. E io che faccio? E noi adulti che

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cosa rispondiamo? La osservo: prepotente, litigiosa con gli altri, superba, un despota in fasce; chissà da grande come si rapporterà al mondo… diventerà una di quelle persone che non vuoi incontrare né sul lavoro né tra gli amici… Ma ora ha solo sette anni! Ci sarà pure un modo per farla uscire da quella brutta maschera che indossa! So bene che dentro ogni bimbo è nascosta una saggezza antica che aspetta d’essere contattata. Quella bontà, quella capacità di bene e di collaborazione che emerge dall’uomo come solidarietà nelle tragedie e nei cataclismi. Dove sei Sara? Riusciremo noi insegnanti a scuola a far emergere la parte migliore di te seppellita sotto la tua antipatia? Sarò capace di trovare un modo che ti aiuti a posare i panni della prepotenza per incontrare gli altri? I tuoi genitori hanno già rinunciato e vengono a scuola per sostenere le tue dispute contro tutti. Mi piacerebbe tanto farti crescere, bambina! Che gioia se un giorno potessi capire che “Ognuno di noi da solo non vale nulla”, come scriveva il Che.


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IL BENE CHE FAI RITORNA SEMPRE

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Dopo 71 anni, una storia speciale di fratellanza al tempo della guerra di Grazia Liprandi

Ritrovo su facebook la nipote di un giovane ospitato da mia nonna durante la guerra. Mi contatta tramite un’amica comune. Vuole sapere se i Liprandi di sant’Albano Stura sono miei parenti, e mi chiede aiuto per ricostruire la storia di suo zio, fratello della mamma, che sarebbe stato ospitato da Marietta durante la seconda guerra mondiale. “Certo! È mia nonna!”, rispondo io. “Sono cresciuta sentendo i racconti di mio papà, allora bambino, che ci parlava dell’accoglienza e del coraggio della nonna che ospitava soldati sfollati sebbene fosse poverissima”. Iniziamo a scriverci Daniela ed io, emozionatissime, come “parenti” che si ritrovano dopo 71 anni. Mi devo far aiutare da fratelli e cugine per ricostruire commossi questa bellissima storia. Ogni giorno un pezzo in più, una poesia, un racconto… ci sentiamo privilegiati per avere la possibilità di intrecciare fili di fratellanza tessuta un tempo lontano dai nostri avi. Era il ’45. Orazio, fante sardo, si trova a combattere nelle campagne vicino a Fossano. Non ne può più di questa stupida guerra. È stanco, affamato…incontra Beppino, calabrese, più o meno la stessa età o forse un po’ più grande. Lui la scelta l’ha fatta. Ha chiesto ospitalità ad una

povera vedova, Marietta, che vive in una cascina a 1 km dalla frazione Ceriolo con i suoi tre figli, Costanzo di 9 anni, Maria di 15 e Giovanna di 21. A tirare avanti la cascina con lei c’è un vecchio zio brontolone che s’è stabilito lì per aiutarli. La posizione della cascina è particolare, passano i soldati, fascisti e partigiani. Tutti chiedono la stessa cosa: mangiare e riposare un po’. Beppino è uno dei tanti di passaggio, ma decide di restare. Marietta non esita a rispondere. Spera che altrettanto facciano le mamme russe quando Tistin e Biagio, i suoi due figli più grandi avranno fame, sonno o freddo o dovranno nascondersi. Non avrebbero dovuto partire, assolutamente, almeno non entrambi! Uno di loro era destinato a fare il capofamiglia. Ma Marietta è povera e chi registra le chiamate dei soldati è difficile da raggiungere. S’è sbagliato a scrivere e li ha inseriti tutti e due. Non c’è modo di far cambiare quella maledetta lista. Beppino non è l’unico a fermarsi per un po’. Nascondono la divisa quando è notte in una buca lungo lo Stura che passa laggiù in basso. Anche Orazio chiede a Marietta d’essere ospitato per nascondersi. Così “nella casa di nulla” s’aggiunge un’altra scodella, dividendo l’unico minestrone annacquato sul fuoco. Il fienile è grande, devono solo stare attenti e…non bestemmiare, quello no! Marietta non tollererebbe. L’inverno con le sue giornate corte e fredde passa lento. La sera, chiusi nell’unica stanza un po’ riscaldata del camino, le finestre oscurate, si parla, si ascolta, si prega. Orazio declama poesie che dedica ad un amore lontano. Ogni sera è un rischio, ma Marietta non vacilla. L’ospitalità è sacra, anzi, è una cosa NORMALE, non si può mandar via nessuno. Una sera arrivano i fascisti. Anche loro chiedono qualcosa da mangiare. Marietta condivide con loro il poco che ha, ma fa cenno a Costanzo di sbrigarsi. È solo un bambino, ma sa già cosa fare: sgattaiola fuori - un bambino non dà nell’occhio - s’arrampica sul fienile e avvisa i partigiani. Il minestrone e l’accoglienza acquietano la rabbia fascista e più tardi, quella sera, si ringrazia Dio che non ci sia stato nessun morto. Passano quei mesi e arriva la primavera, il 23 aprile ‘45. Una “testa calda” di un paesino accanto decide di radunare alcuni ragazzi violenti che indossano camicie nere. Il loro obiettivo è “ripulire” i paesi e far veder chi comanda. Così ammazzano il primo ragazzino che li incrocia. Non importa che non sia un soldato. Orazio e gli altri sono indignati. “Non possiamo lasciarli fare. Dobbiamo bloccarli!” Sono ancora inesperti di tattica partigiana, sono ancora in formazione, ma hanno l’energia dei ventenni che lottano contro un’ingiustizia.

Decidono di preparare un’imboscata. Beppino non è d’accordo. Sa che sarà carneficina. Ma non riesce a farli desistere. I ragazzi si organizzano e aspettano la banda proprio vicino a casa di Marietta. In casa tutti dicono il rosario: hanno capito senza parole cosa sta accadendo. Il tramonto si riempie di spari, colpi, mitraglie. Poi il silenzio e … nulla. Che fare? Giovanna non ha dubbi. Raccoglie 4 stracci che fungano da bende e qualcosa per disinfettare. Ed esce. “Giovanna stai attenta!” Ma lei e già oltre, nel campo, atterrita; si china, l’odore pungente del sangue, piange, chiude gli occhi di Orazio e…di tutti. È la guerra. Si può solo tacere… Da così tanti anni c’è sta maledetta guerra che pare non finire mai... Eppure due giorni dopo si scriverà un’altra storia. Si può morire a poco più di vent’anni, 48 ore prima della liberazione? Orazio verrà ricordato con una lapide nel luogo dell’accaduto. Con la liberazione tutto cambia. Beppino torna a casa. Costanzo e Maria crescono piano piano, il primo in collegio, la seconda con Marietta che aspetta invano il ritorno di Tistin e Biagio dalla Siberia. Tutti provano a dimenticare per ripartire. Passa un anno e Beppino fa il viaggio un’altra volta verso nord, questa volta per chiedere a Giovanna di sposarlo, ma lei è già in noviziato dalle suore. Ci vogliono altri 30 anni perché finalmente la famiglia di Orazio riesca a poter piangere questo ragazzo nella terra d’origine riportandovi la salma. Inizia una bellissima corrispondenza tra nonna Marietta e i genitori del soldato…a loro poi subentrano la zia Giovanna con una sorella di lui: pagine di commozione che nei decenni e nei traslochi vanno perdute. Fino a oggi. E proprio nei giorni in cui i media ci parlano delle barricate di Goro e Gorino per respingere 12 donne profughe che chiedono aiuto, Daniela Orrù, nipote di Orazio mi cerca: la sua mamma prima di morire vorrebbe riuscire a ricucire i dettagli di quella bella storia di accoglienza e fratellanza nata tra persone sconosciute, in quegli anni d’odio e violenza. Il bene ritorna sempre. È un boomerang che ci restituisce l’abbraccio e il calore di chi ha costruito prima di noi storie di solidarietà e umanità. Siamo tutti fratelli sotto un unico cielo. Aprire le porte è normale, tornare a ringraziare è commovente, ci riempie il cuore, ci rafforza. Peccato che i cittadini delle barricate di Gorino non sapranno mai di cosa sto parlando. Daniela in un post di facebook scrive: “Fili che si riannodano, ricordi sepolti come semi che magicamente, dopo molti anni, germogliano con intatta commozione. Costanzo Liprandi, a cui va un’infi-

nita gratitudine, scrisse questi versi per i giovani che sacrificarono la loro vita per la libertà di questo paese. Oggi nella mia storia c’è una tessera in più”.

IL POETA PARTIGIANO di Costanzo Liprandi

L’ultimo vestito dei fratelli dispersi nella steppa rimpicciolisce il soldato “sbandato” - La giacca dell’artigliere si fa pastrano per il fante sardo -. Poi la corsa verso il fiume nell’ombra della sera per nascondere in una buca la sua divisa militare insieme ad altre buttate nella settimana. Spezza il pane con noi nella casa di nulla ed è subito fratello nello scambio d’un sorriso tra caldi vapore del minestrone. Giungono presto i giorni della lotta e solo quando il buio libera la strada ritorna a sedersi accanto al fuoco per scrivere poesie a una ragazza che non sarà mai sua. “Saprà sparare un piccolo poeta smarrito nei vestiti troppo grandi?” Declama terzine con assonanze allorché trema la luce d’un vecchio lume a petrolio, oscurate le poche finestre perché la ronda dei “Muti” creda che la casa smarrita tra il verde non abbia un’anima per sognare. Ma una sera non ritorna al fuoco e la ragazza lo va a cercare per chiudere gli occhi dell’amore: occhi azzurri come il mare, il mare di Sardegna.


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SOCIAL VOLLEY: TUTTI INSIEME PER L’ALAMBICCO a cura del Centro Alambicco di Racconigi

Oggi più che mai ci sentiamo di dire che non siamo soli. Abbiamo constatato che in un periodo di forte crisi, dove il tempo a disposizione per se stessi ma soprattutto per gli altri viene a mancare, la realtà Racconigese fatta di associazioni, commercianti e liberi cittadini, trova spazio e tempo per tendere la mano alla realtà dell’Alambicco. Social Volley è un’iniziativa nata per condividere un sogno o meglio un progetto: la realizzazione di una stanza multisensoriale. L’ambiente è munito di tutti gli elementi che consentono una approccio multi sensoriale globale: da pareti colorate appositamente studiate, il soffitto attrezzato con pannelli a fibre ottiche, un proiettore di immagini a disco, una sfera rotante a specchi per il rimando dei colori sulle pareti, un diffusore di aromi, una poltrona musicale vibrante, un tubo a bolle, fasci sospesi di fibre ottiche. Tutto questo ha principalmente tre obiettivi: potenziare gli stimoli visivi, uditivi, tattili, vestibolari, cinestetici, il che facilita l’attenzione e la relazione con il mondo circostante; creare un contesto di relazione in cui gli operatori adottano un approccio globale e un coinvolgimento del soggetto con ascolto, fiducia, attenzione e creazione di un legame relazionale importante; promuovere il benessere delle persone con disabilità attraverso la stimolazione dei sensi. Condividendo tale sogno con il Co-

mune di Racconigi e le associazioni Tocca a noi, All 4volley, Circolo l’Aquilone, Voci Erranti, Progetto a Gonfie Vele, è nata l’idea di organizzare un torneo di pallavolo “Social Volley” con lo scopo di raccogliere fondi da destinare alla realizzazione della stanza multisensoriale. Il torneo si svolgerà sabato 17 e domenica 18 dicembre 2017 presso le palestre cittadine. Per iscriversi non ci sono limiti di età o categoria FIPAV; le squadre possono essere miste o composte da sole donne o uomini. Iscriversi entro giovedì 15 dicembre presso l’Ufficio sport del Comune di Racconigi, versando la somma di 10 euro a persona. Per info e iscrizioni contattare Giusy al 339.1617151 o Tamara al 380.5036200 Sabato 17 dicembre, dopo la manifestazione pomeridiana, siete invitati a partecipare alla cena, ad offerta libera, organizzata dal Centro Alambicco presso i locali del Cinema San Giovanni. Per info contattare Elisa al 349.1854290 oppure facebook: CENTRO ALAMBICCO. Il lavoro svolto sul nostro territorio, in questi 8 anni, investendo tempo e risorse su progetti di collaborazione, ha dato i propri frutti. In questo periodo natalizio, per noi ma soprattutto per i ragazzi del centro, il regalo più grande sarebbe quello di sentire calore e vicinanza dai cittadini racconigesi, nella condivisione del progetto.

A PROPOSITO DI GORO E GORINO Quando gli immigrati eravamo noi di Ciro Pellegrino – tratto da http://www.fanpage.it/

A proposito di Goro e Gorino, ecco un bell’articolo di Ciro Pellegrino, Giornalista professionista nato a Napoli nel 1977, capo servizio cronaca a Fanpage. it. Ha vinto il Premio giornalistico Giancarlo Siani nel 2007 e i premi Paolo Giuntella e Marcello Torre nel 2012. È autore dei libri Il Casalese (Edizioni Cento Autori, 2011); Novantadue (Castelvecchi, 2012), Le mani nella città e L’Invisibile (Round Robin, 2013-2014).

“La verità la trovi in via Aldo Moro, a Bologna. Lì c’è il palazzo della Regione Emilia-Romagna. Uno degli uffici si chiama “Emiliano-Romagnoli nel mondo” e si occupa dell’emigrazione dei residenti nella regione del centro-nord. Gente di Goro e Gorino, avete capito a cosa mi riferisco? Quello è l’ufficio che racconta quando gli immigrati eravate voi. Ora che mettete su barricate e muri e respingete rifugiati e migranti scappati da luoghi di guerra, da dolore e bombardamenti, gente che non ha più nulla, ora c’è bisogno che qualcuno vi sbatta in faccia la memoria con la violenza di una colpa. Chiedete ai vostri vecchi, gente della provincia di Ferrara: andate dai nonni, domandate quando fratelli, amici, compagni, partivano in cerca di fortuna. Le statistiche dicono che preferivate Svizzera, Germania e Francia. E se gli

svizzeri v’avessero cacciato via come appestati? E se tedeschi e francesi avessero eretto muri e barricate vedendovi da lontano? Cari cittadini di Goro e Gorino in provincia di Ferrara, Italia, Europa, non eravate mica chissà che ricchezza per i Paesi che vi ospitavano: eravate braccianti, pastori, operai. Qualcuno ve la deve ricordare questa cosa, qualcuno vi deve prendere per un braccio e scrollare: i vostri avi non erano meglio dei ragazzi che arrivano oggi in Italia scappando dalla morte, i vostri figli emigrati a Londra e Berlino non sono meglio dei figli dei siriani e dei nordafricani, voi, voi non siete meglio di nessuno se alzate muri contro chi non vi sta togliendo niente, ma sotto il vostro stesso cielo reclama il diritto sacrosanto a vivere in pace con il prossimo. Rifletteteci. E aprite le vostre case”. http://www.fanpage.it/gente-di-gorino-io-ricordo-quando-gli-emigranti-eravate-voi/ http://www.fanpage.it/author/ciro-pellegrino/ http://www.fanpage.it/


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4 NOVEMRE, RENATO ACCORINTI CI RICORDA LA PACE E L’ARTICOLO 11 di Domenico Musella

Tratto da PRESSENZA – International press agency (http://www.pressenza.com)

“4 Novembre: uniamoci in un gesto simbolico di riflessione”. Con queste parole il sindaco di Messina Renato Accorinti commenta sui social network la sua partecipazione alla Giornata delle Forze

Armate nella città siciliana. Come per la sua prima volta, il 4 novembre 2013, e come nel 2014 e nel 2015, anche quest’anno il primo cittadino ha tenuto a ribadire i valori della pace e della

(Foto di Enrico Di Giacomo - dalla pagina facebook RENATO ACCORINTI)

nonviolenza, presentandosi tra i generali con la sua bandiera arcobaleno, personalizzata con l’articolo 11 della Costituzione Italiana: “L’Italia ripudia la guerra” e con una citazione di Sandro Pertini (ricordiamolo, presidente della Repubblica e quindi anche capo delle forze armate): “Svuotiamo gli arsenali, strumenti di morte; colmiamo i granai, fonte di vita”. Un piccolo gesto, ma che evidenzia due virtù che purtroppo generalmente latitano, negli ultimi tempi, tra i politici e gli amministratori nostrani. Innanzitutto la coerenza con le proprie convinzioni, che non vengono abbandonate neanche nel momento in cui si diventa un rappresentante delle istituzioni indossando la fascia tricolore. […] Non si tratta di cosa da poco, se pensiamo che mai come in questi tempi di crisi, in cui il disarmo dovrebbe assolutamente essere una priorità, per ragioni etiche quanto economiche, ci troviamo invece a constatare che le spese militari nel Paese aumentano, l’accondiscendenza ai diktat della Nato ci fa intervenire militarmente in svariati fronti di guerra, e inoltre nelle sedi internazionali ci opponiamo

ufficialmente al bando delle armi nucleari. Ovvero, quanto di più lontano dal monito di “svuotare gli arsenali” … Aggiungiamo a tutto questo che questa cultura militarista viene ogni anno esaltata in una giornata dedicata alle forze armate che viene spacciata per “giornata dell’unità nazionale”, in cui si visitano caserme e si mettono in mostra reggimenti, in una retorica pseudopatriottica che ricorda tempi bui del passato. Non so voi, ma a me quelle caserme piacerebbe vederle vuote e riutilizzate per altri scopi; quei soldi spesi per diffondere morte e distruzione li vorrei spesi per assicurare i diritti primari della mia gente e di chi raggiunge il mio Paese in fuga dalla sofferenza; vorrei che le guerre non si commemorassero, ma si ricordino per non ripeterle più; vorrei che la Costituzione venisse attuata nel suo vero spirito, quello di una nazione che la guerra voleva lasciarsela alle spalle e per questo la “ripudia”. E vorrei più sindaci che ci ricordino tutto questo con semplici gesti, in una direzione che ci porti al cambiamento. Grazie, Renato!

25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne Perché questa Giornata Internazionale? • La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. • La violenza contro le donne è una conseguenza della discriminazione contro le donne, in diritto e anche nella pratica, e di persistenti disuguaglianze tra uomo e donna. • La violenza contro le donne e le ragazze non è inevitabile. La prevenzione è possibile ed essenziale. • La violenza contro le donne continua ad essere una pandemia globale. Secondo lo studio WHO 2013, il 35 % delle donne ha subito violenza fisica e/o sessuale e dato ancora più allarmante, il 70% delle donne hanno subito violenza fisica e/o sessuale dal proprio partner. Attualmente, 700 milioni di donne si sono sposate da bambine. In Africa e in Medio Oriente 133 milioni di donne e ragazze hanno subito mutilazioni genitali.

Via Teatro, 2 - 12038 SAVIGLIANO (CN) - ITALIA Tel.: +39 335 1701008 +39 331 6893698 +39 331 6893684

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SOSTIENI IL TUO GIORNALE

Anche quest’anno ci troverai in novembre e dicembre al mercato del giovedì o del sabato nella centrale piazza Roma: abbiamo bisogno del tuo sostegno e del tuo contributo per poter distribuire gratuitamente il nostro insonnia sul territorio racconigese, e non solo. Per noi è importante poter contare su di te, significa che aderisci a quel progetto che avviammo nell’ormai lontano 2008, 88 numeri fa. Potrai ricevere insonnia direttamente a casa nella tua buca delle lettere, come segno della nostra riconoscenza.

Saremo in piazza:

• Giovedì 15 dicembre

• Sabato 17 dicembre

Se conosci insonnia e già ci sostieni, dacci ancora una mano. Se non conosci insonnia, hai l’occasione per leggerlo ed apprezzarlo.

Cin

Cinema PASTORALE AMERICANA di Cecilia Siccardi

Ad un raduno di ex compagni di scuola, lo scrittore Nathan Zuckerman si

Lib

Libri

a cura di Livio Tesio

“BELLA CIAO. La canzone della libertà” Un piccolo libro dal comodo formato che si può leggere ovunque. Un libro che cerca di percorrere la storia di questa canzone ormai diventata un simbolo internazionale. Un canto di Resistenza mondiale contro le ingiustizie. Tradotta ormai in più di 40 lingue, già cantata nel primo dopoguerra in molte parti d’Europa la genesi di Bella Ciao è quanto mai controversa e Carlo Pestelli la ripercorre con attenzione e ironia. Carlo ha presentato il libro nella nostra città usando molto anche la chitarra ed aiutando il pubblico a capire meglio alcuni passaggi, a noi

imbatte casualmente in Jerry Levov, suo vecchio amico da lunghi anni perso di vista. Davanti a una bacheca di trofei sportivi, Zuckerman ricorda il fratello di Jerry, Seymour Levov detto “lo Svedese” a causa del suo aspetto molto diverso da quello degli altri adolescenti ebrei di Newark, New Jersey. Alto, biondo e atletico, lo Svedese era circondato, negli anni del liceo, da un’aura di perfezione, come se fosse destinato al successo e all’impossibilità del fallimento. Jerry racconta invece a Nathan che la vita di Seymour, ormai deceduto, aveva finito per rivelarsi l’esatto opposto del destino di ricchezza e felicità che ci si sarebbe aspettati: nonostante il matrimonio con un’ex reginetta di bellezza, la nascita di una figlia, lavoro e una casa in un ricco sobborgo repubblicano, i venti della storia e della politica

avevano soffiato sul castello di carte del Sogno Americano di Seymour Levov, sconvolgendo per sempre la sua esistenza e quella dei suoi familiari. Pastorale Americana, uscito nelle sale italiane il 20 ottobre, è tratto dal celebre romanzo omonimo pubblicato nel 1997 da Philip Roth, ampiamente considerato un capolavoro della letteratura americana. Il film, che rappresenta l’esordio alla regia di Ewan McGregor, non riesce a reggere il confronto con la bellezza e la complessità del romanzo a cui si ispira; nonostante le buone interpretazioni dei protagonisti (Ewan McGregor, Jennifer Connelly e Dakota Fanning), la profondità dello Svedese come figura mitica, all’apparenza invincibile ma beffardamente spezzato dalla vita, non viene del tutto trasmessa. Si tratta di un film non privo di pregi, ma for-

lettori rimane il gusto di una canzone che è piacevole da cantare, che unisce le persone e che, aldilà dei valori suoi propri, usa parole di uso talmente comune/popolare come ad es. “ciao” e “bella” che non può che essere conosciuta da tutti. In un mondo che si divide, cerchiamo di trattenere ciò che unisce e questo libro ci spiega il perché ci riesce.

che i garibaldini della valle Maira tennero con cura e che oggi è depositata all’Istituto Storico della Resistenza. Il libro parla di battaglie ma anche della vita di tutti i giorni, parla del rapporto con la popolazione civile, di un territorio bellissimo quale è la valle Maira. Parla di uomini, quasi tutti delle valli, ma anche di due nostri concittadini, di Beppe abbiamo detto , ma anche di Domenico Boriero nome di battaglia “Pulu”, ucciso dai fascisti a Frassino il 25 maggio del 1944.

Carlo Pestelli “BELLA CIAO. La canzone della libertà” 2016, pp.144, € 9,00 ADD Editore I RIBELLI DELLA VALLE MAIRA Questo libro per noi racconigesi assume un significato particolare: la 104ª Brigata Garibaldi fu la Brigata dove il nostro Sindaco-Partigiano Beppe Martinetti lottò per la liberazione dell’Italia. La storia della brigata, o meglio la storia del libro, è lunga almeno un ventennio e solo nel 2016 Carlo Giordano è riuscito a scrivere su un bel libro questa storia. Il libro parte da una attenta documentazione archivistica

15 PUOI CONTRIBUIRE: • con un versamento presso l’Ufficio Postale sul c.c.p. n° 000003828255, • con un bonifico

bancario intestato ad “Associazione Culturale Insonnia”, Piazza Vittorio Emanuele II, 1

codice IBAN: IT77 Q076 0110 2000 0000 3828 255 se più godibile per chi non conosca il romanzo.

Carlo Giordano “I RIBELLI DELLA VALLE MAIRA. Storia della 104ª Brigata «Garibaldi» Carlo Fissore” 2016, pp. 313, € Ed. Sez. ANPI Dronero e Valle Maira


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Mus

Musica CAMMARIERE SERGIO

IO

di Giuseppe Cavaglieri

A due anni dall’ultimo lavoro, Sergio Cammariere torna con il nuovo album “IO”. Un disco chiaro nelle intenzioni sin dal titolo: nelle 12 tracce c’è tutto il mondo musicale del cantautore e pianista jazz crotonese, capace di combinare in perfetto equilibrio tradizione cantautorale italiana,

contaminazioni di ritmi latini e sudamericani e un’anima jazz che da sempre è l’impronta riconoscibile di ogni sua composizione. Cammariere rilegge con rinnovato estro e la consueta passione alcuni tra i brani più amati del suo repertorio – “Tempo perduto”, “Via da questo mare”, “Tutto quello che un uomo”, “Dalla pace del mare lontano”, “L’amore non si spiega”, “Cantautore piccolino”, e regala nuove emozioni con gli inediti che completano la tracklist, frutto di una ricerca musicale in continua evoluzione. Dall’eleganza espressiva di “Chi sei”, al calore e la suggestione del piano solo in “Ti penserò”, ai ritmi trascinanti di “La giusta cosa”, fino a “Sila”, brano in solo piano in cui la sensibilità dell’artista pervade ogni nota insieme all’amore per la sua terra. Ad arricchire ulteriormente il disco due sorprendenti duetti: con Gino Paoli in “Cyranò”, brano di straordinaria intensità in cui la poesia dei versi di Paoli si unisce alla maestria compositiva di Camma-

riere, e con Chiara Civello, tra le voci più affascinanti del panorama jazz contemporaneo, sui ritmi brasiliani di “Con te o senza te”. IO è stato registrato tra la Casa del Jazz e l’Auditorium Parco della Musica di Roma. Ad affiancare Cammariere i musicisti suoi compagni di viaggio in ogni album e in concerto: Fabrizio Bosso, Luca Bulgarelli, Amedeo Ariano, Bruno Marcozzi; nel disco hanno suonato anche Roberto Taufic, Paulo La Rosa, Ousmani Diaz, Marcello Surace, Francesco Puglisi. L’album è prodotto da Giandomenico Ciaramella per Jando Music, Sergio Cammariere per Grandeangelo SRL e Aldo Mercurio; la produzione artistica e

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gli arrangiamenti sono di Sergio Cammariere mentre quelli dell’orchestra e della sezione fiati sono stati curati dal Maestro Paolo Silvestri ad esclusione dei brani “Tutto quello che un uomo” e “L’amore non si spiega” arrangiati dal Maestro Peppe Vessicchio.

Insonnia Mensile di confronto e ironia Aut. Trib. Saluzzo n.07/09 del 08.10.2009 Direttore responsabile Miriam Corgiat Mecio Redazione e collaboratori Rodolfo Allasia, Alessia Cerchia, Gabriele Caradonna, Giacomo Castagnotto, Giuseppe Cavaglieri, Francesca Galante, Marco Capello, Anna Maria Olivero, Bruna Paschetta, Guido Piovano, Cecilia Siccardi, Pino Tebano, Luciano Fico, Grazia Liprandi Sede P.zza Vittorio Emanuele II, n° 1 Contatti contatti@insonniaracconigi.it Conto corrente postale n° 000003828255 Stampa Tipolitografia La Grafica Nuova - Via Somalia, 108/32, 10127 Torino Tiratura 2000 copie

La seconda storia che vogliamo raccontare la prendiamo dai recenti fatti di cronaca, che hanno visto gli abitanti dei paesi di Goro e Gorino, nell’Emilia Romagna, opporsi con le barricate all’arrivo di 12 donne profughe con 8 bambini. Tra le donne ce n’era anche una incinta, ma mancava l’asino, sostituito da un più moderno e confortevole pullman. Da questa vicenda si sono levati cori di sostegno per gli abitanti di questi paesi e il leader della Lega Matteo Salvini ha affermato: “Io sto con gli abitanti di Gorino”. Dall’altra parte alcune istituzioni come la Chiesa hanno dichiarato la vicinanza ai profughi affermando che i respingimenti “lasciano esterrefatti e che ripugnano la coscienza cristiana”. Senza scomodare le radici cristiane, credo occorra chiedersi che fine ha fatto quel monito “Restiamo umani”, coniato da Vittorio Arrigoni, pacifista brianzolo ucciso nella striscia di Gaza nell’aprile 2011 da un gruppo

dalla pagina facebook di Vauro Senesi

terrorista. Restare umani, ovvero ricordarci per esempio nel sud del Brasile e in buona parte dell’Argentina è cosa comune incontrare persone con cognomi italiani, in particolare veneti o piemontesi, e constatare che in tempi non troppo lontano i migranti eravamo noi. La terza storia è accaduta l’altro ieri, per caso, dopo 71 anni, e grazie a facebook. Due donne sconosciute, una di Cagliari e una di Racconigi, si “incontrano” sul web e si scrivono per ritrovare memoria di una bellissima storia di accoglienza vissuta dai loro parenti duranti la guerra. La gioia provata da loro nel ritrovare legami di fratellanza nata in tempi di odio e violenza è un motivo di riflessione per tutti noi. Non anticipo altro. Leggete a pagina 12. E’ proprio vera la frase che Erich Fromm: “Una volta scoperto lo straniero in me, non posso odiare lo straniero fuori di me, perché ha cessato, per me, di esserlo”. Buon Natale a tutti

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AVVISO AI PENDOLARI

Gentilissimi lettori di Insonnia, purtroppo non troverete più, fresco di stampa, il nostro giornale alla stazione. Ci è stato chiesto, con molta cortesia, di evitare di lasciarlo nell’atrio, nei pressi della biglietteria. La motivazione è che, a volte, ignoti personaggi ne fanno un uso tutt’altro che culturale o informativo sparpagliando copie nella sala d’attesa e anche sui marciapiedi dei treni. Al fine di evitare ulteriori richiami, quindi, siamo costretti a sospendere la distribuzione in stazione. Invitiamo le persone che non conoscono ancora i termini di “Libertà d’opinione” a scriverci o ad incontrarci per capire qual è il problema: siete proprio sicuri che il mancato rispetto degli spazi di tutti vi faccia sembrare più furbi? Ai nostri amici “Pendolari” che, a giudicare dalle copie distribuite, apprezzano Insonnia, rivolgiamo l’invito a recuperare la copia del mese in altro punto di distribuzione; nel caso vogliano riceverlo direttamente a casa troveranno le indicazioni nello spazio dedicato al sostegno del giornale. Un contributo minimo di 25 euro annui dà diritto al recapito a domicilio. Un cordiale saluto.


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