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Ora in etichetta, arriva anche l’origine! di Laura Icardi

che la bresaola proveniente dalla Valtellina viene preparata con carne argentina o del sud America. La Valtellina offre un ambiente ottimo per la stagionatura e la lavorazione del prodotto, ma non dispone di allevamenti in grado di fornire l’ingrediente di base (17 mila tonnellate l’anno di cui 11 mila di prodotti IGP!!!!). E molti altri prodotti correlati al territorio come quelli IGP (Indicazione Geografica Protetta), sono in realtà il risultato eccellente della lavorazione di materie prime non italiane! Per il latte il prodotto nazionale scende addirittura al 44% dei fabbisogni, ma l’Italia esporta il 134% dei formaggi duri rispetto al fabbisogno interno, oltre che molti formaggi freschi e derivati… Per lo zucchero riusciamo a coprire solo il 24% del fabbisogno interno, se poi pensiamo che per il cacao siamo a zero…la nostra pasticceria, apprezzata in tutto il mondo, sarebbe di origine quasi tutta NON UE! Per il pesce siamo al 24% del fabbisogno, ma quante eccellenze del nostro paese hanno alla base tonno e acciughe o merluzzo? Anche la maggior parte dei legumi non sono italiani a causa di drastiche riduzioni delle coltivazioni a partire dagli anni ’50. Adesso le importazioni provengono principalmente da Stati Uniti, Canada, Messico, Argentina, ma anche da Medio Oriente e Cina. Quest’ultimo Paese è diventato il primo fornitore italiano a seguito della siccità che ha colpito l’Argentina. L’Italia resta però sempre un grande trasformatore di questi prodotti che sono inoltre alla base di molti piatti tipici. Mi viene da sorridere pensando ad una bella Pasta e Fagioli, piatto preferito di Cicerone, con ingredienti di tutto il mondo… Che dire del caffè? Le torrefazioni italiane sono tra le più apprezzate al mondo ma in Italia le piante di caffè si trovano solo dai fioristi….. Praticamente solo la produzione nazionale di uova, riso, pomodoro, frutta, pollame e vino è in grado di soddisfare il fabbisogno interno, ma anche qui ci sono delle curiosità. Tutto il pomodoro venduto sui nostri scaffali è italiano, ma dalla Cina importiamo triplo concentrato di pomodoro che lavoriamo ed esportiamo in altri Paesi. Alla luce di questi dati la

ricerca insistente dell’alimento fatto solo con materie prime italiane ha poco senso, tranne per alcune categorie merceologiche dove siamo autosufficienti. Non perdiamo di vista che l’Italia importa prodotti alimentari per 25,7 miliardi di euro da 140 Paesi , ma per contro esporta oltre 40 miliardi di euro (dati 2017)!!!! Vi pare poco importante per la nostra economia? Come vi ho anticipato non sono favorevole all’ennesima regola che impone indicazioni all’apparenza corrette, ma che non tengono conto di tutto un’intorno che non può non contare nulla… l’Italia è un paese di grandi trasformatori, con una ricchezza gastronomica sorprendente, ma è un fazzoletto di terra sovraffollato che non può essere autosufficiente ne tantomeno soddisfare la richiesta del mondo che vuole gustare un pò di questa ricchezza. La provenienza di materie prime dall’estero non è sinonimo necessario di scarsa qualità: la sicurezza dipende dal rispetto delle regole. Senza il rispetto di queste ultime non è più sicuro un cibo coltivato/allevato in Italia di quanto non possa esserlo uno coltivato/allevato in un altro Paese e viceversa! Dal mio punto di vista sarebbe necessario potenziare gli strumenti che garantiscono la qualità di un prodotto o di un ingrediente, a prescindere dalla sua provenienza geografica, piuttosto che ricercare l’italianità a tutti i costi, anche quando non è possibile. Un’ultima cosa, il Regolamento è europeo e rivolto a tutti i prodotti di tutti i paesi europei, quindi legifera sul Made in Italy esattamente come sul Made in Francia, Germania, ecc. Se tutti i cittadini d’Europa, informati dell’origine degli ingredienti di ciò che comprano, dovessero, come stiamo facendo noi, cercare solo i prodotti realizzati con materie prime del proprio paese non farebbe certo la fortuna dell’Italia… Basti pensare che i due terzi dell’export agroalimentare italiano sono destinati a mercati “di prossimità”, cioè Paesi dell’Unione Europea, mentre la restante quota si distribuisce tra America (13,5%), Asia (9%), altri Paesi Europei (7,6%), Africa (2,4%).

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A cura della dott.ssa Laura Icardi

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