


Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 421/2000 del 6/10/2000
DIRETTORE EDITORIALE E RESPONSABILE
Alessandro Cerreoni a.cerreoni@gpmagazine.it
REDAZIONE
Info. 327 1757148 redazione@gpmagazine.it
IMPAGINAZIONE E GRAFICA
GP Spot
HANNO COLLABORATO
Lisa Bernardini, Mariagrazia Cucchi, Rosa Gargiulo, Francesca Ghezzani, Silvia Giansanti, Marisa Iacopino, Daniele Pacchiarotti, Marialuisa Roscino, Roberto Ruggiero,
SPECIAL THANKS
Ai nostri inserzionisti, Antonio Desiderio, Dottor Antonio Gorini
EDITORE
Punto a Capo Srl
PUBBLICITA’
Info spazi e costi: 327 1756829 redazione@gpmagazine.it
Claudio Testi - c.testi@gpmagazine.it
Chiuso in redazione il 12/03/2025
Contatti online: 10.000 giornalieri attraverso sito, web, social e App
Sito: www.gpmagazine.eu
Seguici anche sui social GP Magazine Clicca direttamente qui sotto
by Alessandro Cerreoni
L'era digitale ha portato enormi vantaggi in termini di comunicazione, produttività e accesso alle informazioni. Tuttavia, l’aumento della dipendenza dalla tecnologia ha anche incrementato i rischi informatici, che possono colpire individui, aziende e istituzioni. È fondamentale conoscere queste minacce per poter adottare misure adeguate di protezione.
Tra le minacce più frequenti ci sono i malware (software dannosi) e i virus informatici possono infettare dispositivi e reti, causando danni come la perdita di dati, il furto di informazioni sensibili e il malfunzionamento dei sistemi. Tra i più diffusi troviamo trojan, spyware, ransomware e worm.
C’è poi il phishing, ovvero una tecnica di attacco informatico in cui i cybercriminali fingono di essere entità affidabili per ingannare le vittime e ottenere dati sensibili, come credenziali di accesso o informazioni finanziarie.
Molti utenti si sono trovati a che fare con il cosiddetto ransomware, un tipo di malware che cifra i file della vittima e richiede un riscatto per ripristinarli. Questo tipo di attacco può colpire chiunque, dalle persone comuni alle grandi aziende. Un altro timore fondato, ahinoi, è quello legato all’attività crimanle informatica degli hacker, che possono rubare informazioni personali per commettere frodi, come l’apertura di conti bancari a nome della vittima o l’accesso non autorizzato a servizi online.
I rischi informatici sono una realtà sempre più diffusa, ma con le giuste precauzioni è possibile ridurre significativamente la probabilità di essere vittima di un attacco. Adottare un comportamento prudente e rimanere informati sulle nuove minacce è essenziale per proteggere i propri dati e dispositivi in un mondo sempre più connesso.
Resta il fatto che in una società, dove ormai per “vivere” bisogna accedere alla Rete in ogni ambito, il pericolo di essere vittime della Rete stessa è altissimo, molto di più di quello che si possa pensare.
Cosa possiamo fare per difenderci? Ben poco e siamo anche poco tutelati e protetti. Basta saperlo.
CONDIZIONI - Nessuna parte di GP Magazine può essere riprodotta. GP Magazine è un mensile a distribuzione gratuita a servizio dei lettori. Salvo accordi scritti, le collaborazioni sono da intendersi a titolo gratuito; articoli e interviste sono realizzati in maniera autonoma dai collaboratori che ne chiedono la pubblicazione senza nulla pretendere in cambio e assumendosi ogni responsabilità riguardo i contenuti. I banner pubblicitari da noi realizzati sono di nostra proprietà e qualsiasi utilizzo al di fuori di GP Magazine deve essere da noi autorizzato dietro esplicita richiesta scritta
Una serata di eleganza, talento e inclusività ha dato il via alla nuova edizione di The Beauty Stars, il contest condotto magistralmente dalla patron Cristina Roncalli e dallo showman Angelo Peluso celebra la bellezza in tutte le sue forme.
Un evento straordinario, non solo per la grande affluenza di pubblico, ma soprattutto per il messaggio che si è voluto trasmettere: l’inclusione. Questa è la vera essenza di Miss Beauty and Stars, un concorso che celebra la bellezza in ogni sua forma, senza barriere né distinzioni.
In passerella 26 straordinarie concorrenti, ognuna delle quali ha portato il proprio carisma, la propria personalità e il desiderio di brillare.
Dopo una competizione avvincente e carica di emozioni, due vincitrici sono state incoronate nelle rispettive categorie, conquistando la giuria con la loro presenza scenica e il loro talento. Tuttavia, per noi, ogni partecipante ha rappresentato un autentico esempio di passione e determinazione.
Un ringraziamento speciale
Un evento di tale portata non sarebbe stato possibile senza il prezioso supporto di chi ha contribuito a renderlo unico. Un sentito grazie alla location “La Tana Del Polpo” che ha ospitato con classe e professionalità questa prima tappa, creando un’atmosfera perfetta per un evento di così alto livello.
Un doveroso ringraziamento va anche a tutti i brand presenti, che con le loro creazioni hanno aggiunto valore e stile alla serata.
Un grazie di cuore all’Atelier Celli Sposi per aver curato l’immagine di Cristina Roncalli con un abito semplicemente meraviglioso! La vostra eleganza e attenzione ai dettagli hanno reso questa esperienza ancora più speciale, per il make-up le splendide ragazze di Accademia Di Trucco e per i capelli The Salon.
Un enorme grazie a “Reus Accademia dell’Usato” per aver portato in passerella la bellezza della moda sostenibile! I loro abiti usati hanno dimostrato che stile e second-hand possono andare di pari passo, valorizzando l’eleganza con un tocco di consapevolezza.
Anche al brand di borse “Pellenuda” che ha impreziosito la sfilata con accessori di classe e qualità. “I Am Not Italiana Hand Made”rendendo ogni outfit ancora più unico e raffinato.
Il brand di racchette “Reatoo”che ha introdotto con entusiasmo e innovazione il mondo del Pickleball, il nuovo sport che sta conquistando sempre più appassionati.
Aury Fashion il brand nasce con l’intento di rivoluzionare il concetto di T-shirt trasformando questo indumento iconico in un elemento di lusso accessibile.
Grazie alla make-up artist Katia Canoppia e alle ragazze dell’Accademia di trucco per il makeup delle partecipanti.
L’allestimento della serata è stato curato da Fiesta Time Roma che da anni seguono Cristina Roncalli in ogni suo evento.
Si ringraziano, il Dottor Andrea Menichelli, Minabi, Identity, Shampoo, Vip Extension, Dream Sposa.
Un grande riconoscimento va inoltre ai media, alle televisioni, a Rete Oro, che hanno seguito e raccontato la serata, contribuendo a dare visibilità a un evento che punta non solo a premiare la bellezza, ma anche a valorizzare il talento e la determinazione delle partecipanti.
Un grazie speciale ai fotografi, che con i loro scatti hanno catturato ogni emozione, ogni sorriso e ogni istante indimenticabile di questa serata magica. Grazie al loro lavoro, questi momenti resteranno impressi nel tempo e nel cuore di tutti.
L’importanza della giuria
Un ruolo fondamentale è stato svolto dalla giuria, composta da esperti del settore che con grande professionalità hanno valutato le concorrenti, riconoscendo il valore di ogni esibizione. Il loro compito non è stato facile, vista l’eccezionale qualità delle partecipanti, ma le loro scelte hanno premiato chi ha saputo distinguersi con grazia, determinazione e talento, grazie alla madrina di questa serata la modella Anna Fusco, a Roberto Taroni, Loredana Fipaldini, Gennaro Leonardi, Laura Maroldi, Angelo Martini, Anna Nori, Cecilia Pedrosa, Rossella Bova, Gabriele Capri.
La giuria ha decretato nella categoria teenager, la vincitrice Cecilia Colantoni, 18 anni che ha ricevuto una serie di premi e riconoscimenti, e nella categoria over Floriana Zenelli, 42 anni. Un grazie particolare a Daniele Pacchiarotti “ ritrattista delle dive”
Grazie di cuore, a Elisabetta Viaggi artista sorda, ex Miss.
Prossime tappe e nuovi appuntamenti
La prima serata di The Beauty Stars è stata solo l’inizio di un viaggio emozionante che proseguirà con altre tappe, ricche di sorprese e nuove opportunità per le concorrenti. Invitiamo tutti a seguirci per scoprire le prossime date e continuare a vivere con noi questa straordinaria avventura.
“Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questa serata indimenticabile – afferma Cristina Roncalli -. The Beauty Stars continua il suo percorso all’insegna della bellezza, dell’inclusività e della passione”.
COVER STORY
by Silvia Giansanti
La versatile artista toscana è tornata in grande stile esibendosi con Simone Cristicchi all'ultimo Festival di Sanremo nella serata cover. Inoltre è anche coautrice del brano “Quando sarai piccola” cantata dallo stesso Cristicchi. Adesso sono impegnati a portare in giro un concerto mistico dedicato a Franco Battiato
Il suo percorso è stato pieno di spine, tanto da rendere la sua vita un po' amara e quindi il suo nome d'arte calza a pennello. Cantante e autrice, ha mosso i primi passi nel programma tv “Amici”, anche se non le sarebbe dispiaciuto affatto iniziare dalla cantina come i grandi cantautori, mettendo da parte le valide opportunità offerte oggi dai talent. L'importante è comunque partecipare per poi arrivare, come ha voluto il destino di Erika Mineo, conosciuta come Amara. Caparbia, tosta e piena di energia, non dimentichiamoci che ha firmato in veste di autrice un successo della Mannoia intitolato “Che sia benedetta”, dopo che si è fatta notare tra le Nuove Proposte durante il Festival di Sanremo del 2015. Quando parla di Fiorella le brillano gli occhi, con lei ha una sintonia perfetta. Erika, non possiamo non chiederti un commento riguardo all'ultimo Festival di Sanremo.
“Ho un forte legame con la città di Sanremo e l'esperienza che ho vissuto è stata fantastica. La mia storia parte proprio da lì, quando ero appena una ragazzina di ventitré anni. E' stata una formazione importante e una scuola fondamentale. Ho vissuto un festival bellissimo dove ho sentito accoglienza e dove ho ritrovato molti personaggi che non vedevo da tanto tempo. Questo mio reinserimento nell'ambiente è stato un grande regalo”.
Chi sta vivendo una situazione delicata con un genitore anziano, ha la lacrima facile ascoltando “Quando sarai piccola” che Simone Cristicchi ha portato sul palco del-
l'Ariston e di cui sei anche coautrice.
“Faccio io una domanda a te. Come l'hai vissuta questa canzone, ti ha fatto sentire dolore o amore?”.
Nostalgia dei bei tempi andati.
“Sì, perché non sai mai come possa arrivare una canzone. Molte persone ci hanno ringraziato anche con un forte abbraccio. Ho sentito tante vibrazioni attorno e tutto questo è stato bello”.
Facendo qualche passo indietro, cosa ricordi dell'esperienza con “Amici” di Maria De Filippi, che è stato il tuo trampolino di lancio?
“Più che altro è stato il mio primo scalino della mia storia personale e artistica. Anche quella si è rivelata un'esperienza positiva e formativa. Mi ha permesso di conoscere alcune cose che fino a quel momento ignoravo. E' una messa in discussione continua lì dentro. Da questo programma ho imparato a cadere e a rialzarmi, in quanto quando siamo giovani non abbiamo in mano strumenti forti. Come prima palestra è stata fondamentale per me. E' uno dei pochi programmi che resiste al tempo perché è costruttivo e ricco di contenuti artistici".
Se ti fossi trovata in un'altra epoca dove non c'erano i talent e quindi magari avresti vissuto l'emozione della cantina come partenza comune a tanti cantautori, ti sarebbe piaciuta quella magia?
“Tantissimo, perché il cantautore nasce con lo strumento in mano e io non ho iniziato in questo modo, ma come cantante. E' una parte di
formazione che rimpiango”.
Quali sono stati i tuoi miti da giovane da cui hai tratto qualche ispirazione?
“Vasco Rossi e Mina. Sono due mostri sacri all'opposto. Ho amato anche Mia Martini. Poi con il tempo si sono aggiunti i grandi cantautori come Fossati, Vecchioni, Dalla, De Gregori e Battiato. La nostra radice culturale del cantautorato”.
Cosa ami e cosa hai amato di Franco Battiato?
“Ho amato la sua scelta di tradurre il suo passaggio terreno rivolto alla sua ricerca interiore, questa cosa stupenda che è riuscito a trasferirlo in musica. Le sue canzoni sono diventate testimonianze enormi. E' andato oltre la classica canzone che siamo abituati a sentire”.
All'epoca del ‘cinghiale bianco’, non è stato compreso, ma addirittura criticato e preso in giro.
“Tutto quello che è nuovo non si comprende fino in fondo e a volte spaventa. Ma la sua forza è stata proprio quella, ovvero la coerenza con se stessi. E' la formula magica per sopravvivere agli attacchi”.
Il tuo nome d'arte è accostabile al tuo carattere, alle esperienze di vita o a gusti culinari?
“La seconda. Ogni cosa negativa che accade nella vita, ti lascia un'amarezza dentro. Il mio percorso è stato bello amaro. Tuttavia le amarezze che ho vissuto sulla mia pelle, mi hanno permesso di essere la donna che sono oggi”.
Sei anche una eccellente autrice.
"La mia fortuna è stata quella di aver collaborato con donne di forza come Emma e Fiorella Mannoia che stimo tantissimo. Con Fiorella, donna dotata di una forza incredibile, è nata anche una sincera amicizia e ad un certo punto non è stata più una collaborazione ma una cooperazione. Finché vorrà fare musica, la mia arte sarà sempre a sua disposizione. Abbiamo una grande affinità”.
Come hai conosciuto il tuo attuale compagno Simone Cristicchi?
“Sempre nel contesto artistico, ci siamo incontrati nel 2019 ad Assisi”.
In conclusione, veniamo ai tuoi prossimi impegni.
“In questo mese di marzo io e Simone Cristicchi siamo ripartiti con 'Torneremo ancora', un bel concerto mistico dedicato a Battiato, una sorta di celebrazione all'uomo e all'artista con tutte le sue opere. Toccheremo alcune principali città. Inoltre vorrei ricordare il mio libro, uscito nel mese scorso di novembre dal titolo 'La certezza di essere viva'. L'ho definito il mio vomita pensieri. Non si tratta di un libro vero e proprio, bensì di una raccolta di pensieri, poesie e stati d'animo interiori. E' un taccuino dove riverso tutto quello che ho dentro. La mia vena artistica me lo farà trasformare in un reading, voglio unire musica, poesia e canzone e sto lavorando per trasformare quei taccuini in canzoni. C'è tanto materiale dentro che non sapevo di avere”.
Amara indossa abiti firmati Antonio Marras Styled by Elvis Furlan/ assisted by Kevin Bacciocchi
Foto di Benjamin Vitti
Al secolo è Erika Mineo, nata a Prato il 14 giugno del 1984 sotto il segno dei Gemelli con ascendente Capricorno-Sagittario. Caratterialmente si definisce leale e libera. Non è tifosa, ama la parmigiana di melanzane e ha l'hobby dell'artigianato. Le piacerebbe vivere in Africa. Il 2015 e il 2017 sono stati i suoi anni fortunati. Al momento possiede una cagnolina di nome Noa. Nel 2005 ha partecipato alla quinta edizione del programma tv “Amici”. Ha preso parte alle edizioni 2008 e 2009 del concorso Sanremo Lab, e 2010 e 2011 di Area Sanremo. Ha partecipato alla 65ma edizione del Festival di Sanremo nella sezione 'Nuove Proposte' con il brano “Credo”. Da quel momento ha iniziato a tenere concerti. Nello stesso anno ha scritto per Emma. Nel 2017 ha firmato il pezzo per Fiorella Mannoia “Che sia benedetta”. Negli anni successivi ha proseguito la collaborazione con la Mannoia e con Emma, rilasciando anche degli album come cantante. Durante il Festival di Sanremo di quest'anno ha duettato con il compagno Simone Cristicchi nella serata cover. Sono impegnati in “Torneremo ancora”, un concerto mistico dedicato a Battiato.
by Marialuisa Roscino
Crescere un figlio durante l’adolescenza è una delle sfide più ardue per un genitore. L’adolescenza è una fase di profonda trasformazione, un periodo di cambiamenti significativi sia per i ragazzi, che per i genitori stessi. I ragazzi sperimentano cambiamenti fisici, emotivi e sociali mentre sviluppano un forte desiderio di autonomia. Allo stesso tempo, tuttavia, hanno ancora bisogno del supporto e della guida dei propri genitori. Trovare, dunque, il giusto equilibrio tra autonomia e dipendenza diventa un obiettivo importante da percorrere e raggiungere, sia per gli adolescenti, che per i genitori. Un supporto genitoriale adeguato, che sappia dosare libertà e limiti, è fondamentale per favorire una crescita sana e un passaggio sereno all'età adulta. L’importanza dell’autonomia è un bisogno fondamentale per gli adolescenti. In particolar modo, in questa fase di crescita, i ragazzi desiderano prendere decisioni, esplorare le proprie passioni e interessi, sviluppare un senso di identità personale. Concedere loro spazi di autonomia significa riconoscere le loro capacità e attitudini, incoraggiandoli e promuovendone la loro autostima e la loro fiducia in se stessi. Entro quest’ottica, viene naturale, tuttavia, chiedersi quali siano i rischi di un’eccessiva dipendenza da parte dei ragazzi verso i propri genitori e se un ambiente familiare troppo protettivo e controllante possa ostacolarne il loro processo di crescita e autonomia. Adolescenti che non hanno la possibilità di sperimentare e mettersi alla prova, (lo rivelano significativi studi scientifici citati in questa intervista), possono infatti, rischiare di sviluppare insicurezze, dipendenza emotiva e difficoltà nel prendere decisioni in modo autonomo. E allora quali, scelte educative importanti è necessario che i genitori prendano in considerazione per garantire un giusto ed equo supporto ai propri figli? Lo abbiamo chiesto a Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista, Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana
Dottoressa Lucattini, perché l'autonomia è un bisogno fondamentale per gli adolescenti in questa loro fase di crescita? Quali sono, a Suo avviso, i rischi di un’eccessiva protezione invece, da parte dei genitori?
“L’autonomia rappresenta il fulcro del processo di individuazione, ovvero la costruzione di un’identità separata da quella dei genitori. In questa fase, i ragazzi devono sviluppare la capacità di prendere decisioni, gestire le proprie emozioni e affrontare le difficoltà della vita in modo indipendente. Se i genitori esercitano un controllo troppo stretto o tendono a risolvere ogni difficoltà al posto dei figli, si possono sviluppare una fragilità emotiva con bassa tolleranza alla frustrazione, insicurezza con difficoltà a prendere decisioni, difficoltà nello svincolo adolescenziale dalla famiglia con una dipendenza prolungata dai genitori, difficoltà relazionali con i coetanei, a scuola e nelle prime esperienze amorose”. In che modo, in particolare, un ambiente familiare troppo protettivo e controllante può ostacolare il processo di crescita e l’autonomia degli adolescenti?
“Innanzitutto, se i genitori prendono sempre decisioni al posto dei figli, fenomeno in crescita negli ultimi anni, l’adolescente può interiorizzare il messaggio implicito che non sia in grado di cavarsela da solo,
inoltre, non hanno modo di sviluppare una capacità riflessiva e introspettiva, né tantomeno un pensiero critico. Di conseguenza, avranno difficoltà nell’assumersi delle responsabilità per paura di non accontentare o compiacere i genitori. Oltre a ciò, gli adolescenti hanno bisogno di fare le proprie esperienze autonomamente, i percorsi imposti, non aiutano a tollerare la frustrazione e fanno vivere qualunque caduta un brutto voto, ad esempio o un insuccesso sportivo) come un fallimento difficile da tollerare emotivamente”.
Quali sono le principali preoccupazioni dei genitori?
“La prima senz’altro è la salute dei figli a cui è strettamente collegata la paura che si facciano del male o venga fatto loro del male. Da qui, ne conseguono reticenze, come il permesso di prendere la macchina, andare in discoteca, uscire con gli amici la sera o viaggiare con gli amici in Italia o all’estero e dormire fuori. Questo aspetto accomuna sia i genitori preoccupati, che quelli ansiosi con una differenza, che mentre nel primo caso, i genitori aprono un dialogo con i figli e raggiungono un equo compromesso, nel secondo caso, a prescindere dalle richieste dei figli, c’è un divieto assoluto. Ebbene pertanto, sapere costruire un rapporto di fiducia e stima reciproca sempre per non incorrere in trasgressioni o inibizioni e blocchi psicologici nei figli”.
toriale può essere visto come un’espressione del transfert genitoriale, ovvero la proiezione su un figlio delle proprie ansie, desideri e paure irrisolte. I genitori possono inconsciamente trattare l’autonomia dei figli come una minaccia alla propria identità o al proprio senso di sicurezza. Durante l’adolescenza avviene la separazione-individuazione dei giovani che rinegozia il rapporto con i genitori, per poter sviluppare la propria soggettività, per scoprire chi sono, per trovare se stessi. Se i genitori non riescono a tollerare questa naturale separazione, possono reagire con un controllo eccessivo, ostacolando il processo di crescita dei figli”. Cosa rivelano gli studi scientifici al riguardo?
Secondo lei, quali scelte educative possono essere davvero efficaci per i genitori, per favorire l’indipendenza dei propri figli?
“I genitori dovrebbero pensare di poter avere “stile educativo”. Educare un figlio richiede un progetto interiore e familiare, molta pazienza, tolleranza, tenuta emotiva e dedizione quotidiana. È un processo che attraversa l’infanzia e l’adolescenza dei figli, e li accompagna anche nella prima giovinezza. È quindi importante bilanciare supporto, giuste regole, restrizioni (saper dire dei no) e libertà, favorendo le decisioni e le richieste normali per l’età.
Tutti questi elementi accompagnate da parlare e da azioni positive, aiutano i figli nello sviluppare la fiducia in se stessi, una sicurezza sempre maggiore, la resistenza lo stress, la sopportazione del sacrificio e infine la capacità decisionale”.
Come è possibile bilanciare il bisogno di controllo e di protezione dei genitori, senza soffocare in tal modo, la crescita dei figli?
“Dal punto di vista psicoanalitico, il controllo geni-
“Numerose ricerche hanno evidenziato che un monitoraggio genitoriale efficace, caratterizzato da una comunicazione aperta e sincera tra genitori e figli sin dall'infanzia promuove una maggiore autoregolazione emotiva e la percezione di potercela fare senza compromettere il proprio bisogno di autonomia. Uno studio pubblicato su ‘Sage Journal’ (2022) ha mostrato che i risultati migliori nell’indipendenza degli adolescenti che perdura anche in età adulta, si hanno quando i genitori trovano un equilibrio tra incoraggiare l'autonomia del figlio e continuare a fornire supporto genitoriale quando necessario. Potremmo sintetizzare questo, nella frase: “Tu provaci, se hai bisogno cercami, io sono qui”. Quale ruolo ritiene abbia la comunicazione genitori-figli all’interno della famiglia?
“Insieme all’amore e al prendersi cura affettuosamente dei figli, la comunicazione è il pilastro fondamentale su cui si costruisce una relazione sana, solida ed efficace. Naturalmente il dialogo inteso come guida e non come imposizione. La comunicazione dovrebbe essere sempre un’occasione preziosa di confronto, non un monologo dei genitori. Uno scambio aperto e rispettoso permette agli adolescenti di sentirsi ascoltati e compresi, senza sentire l’impulso a ribellarsi in modo aggressivo. La possibilità di esprimere dubbi, desideri e preoccupazioni favorisce la costruzione di un’identità autonoma, ancora fortemente legata all’identificazione con i genitori. Inoltre, numerosi studi dimostrano che adolescenti che hanno un buon livello di comunicazione con i genitori sono meno inclini a comportamenti a rischio quali abuso di alcol e altre sostanze dannose, gioco d’azzardo, isolamento sociale e condotte distruttive o delinquenziali con fi-
nalità ‘trasgressive’”.
Può spiegare quale effettiva differenza c’è tra “l’essere preoccupati” e invece “l’essere genitori ansiosi” e cosa comporta in particolare, un atteggiamento iperprotettivo nei confronti dei propri figli?
“I genitori che si preoccupano, osservano i figli, cercano di capirli li incoraggiano e sostengono nella ricerca della loro autonomia. I genitori ansiosi, invece, inconsciamente limitano i figli proprio a causa delle loro preoccupazioni. I primi sono attenti, controllano per amore e con uno scopo educativo, i secondi invece controllano per non stare male, mossi sovente, da dinamiche nevrotiche (conflitti interiori inconsci) e problemi personali (difficoltà irrisolte). La differenza tra preoccupazione e ansia è costituita dalla diversità che si osserva, da un lato riscontriamo tra premura, vicinanza e controllo amorevole, dall’altro lato, ansia, preoccupazioni e paure senza una tenuta emotiva nei genitori, né delle indicazioni efficaci, talvolta totalmente senza indicazioni, imposte senza spiegazioni o un significato. Due modelli a confronto, l'uno virtuoso, l’altro inefficace, come ben dimostra un approfondito studio dell’ ‘Harvard Graduate School of Education’”.
multe (rimproveri e punizioni), ma essere piuttosto un punto di riferimento che dà sicurezza senza essere soffocanti. Secondo la teoria dell’“autorità autorevole”, i genitori che aiutano maggiormente i figli sono coloro che coniugano e armonizzano affetto e fermezza, stabiliscono delle regole sagge e mantengono un dialogo aperto, ovvero sono pronti alla “contrattazione”, altro tratto peculiare dell’adolescenza”. Quali consigli di dare?
“Dare il buon esempio. I figli adolescenti imparano di più dall’esempio, che dalle sole parole. La teoria deve sempre accompagnarsi al “mettere in pratica”, altrimenti sono indicazioni generiche e non realizzabili per i figli;
Essere disponibili al dialogo e all’aiuto, sia se richiesti, sia se si intravede una difficoltà. Per i figli è importante poter contare sui propri genitori, imparano a chiedere in modo equilibrato e un po’ di intraprendenza;
Come è possibile affrontare eventuali conflitti e difficoltà che possono verificarsi durante questa loro delicata fase di crescita?
“Il conflitto è un elemento naturale e necessario nello sviluppo degli adolescenti, poiché segna il processo di separazione-individuazione. Secondo Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, il genitore deve saper tollerare la frustrazione e l’aggressività del figlio senza reagire in modo punitivo o ritirarsi emotivamente. Gli adolescenti spesso esprimono i loro conflitti interiori attraverso la contestazione delle regole familiari. I genitori devono comprendere questi comportamenti, anche facendo tesoro della loro personale esperienza di adolescenti e non considerarli come dei puri e semplici atti di ribellione, fini a se stessi, tanto per contestare. Dietro ogni comportamento, c’è sempre un significato. I genitori non devono essere controllori pronti a comminare
Stabilire regole chiare, suscettibili di negoziazione. “Est modus in rebus” affermava il poeta Orazio, vale a dire, le regole devono essere poche ma chiare, ne va spiegato il senso e l’utilità, vanno progressivamente adattandole a mano a mano che i figli crescono;
Dare fiducia ai figli e abituarli gradualmente alle responsabilità.
L’acquisizione dell’autonomia è un processo, non può essere imposta, né negata, va favorita e accompagnata;
Essere consapevoli che l’ansia porta ansia. Un genitore ansioso può diventare iperprotettivo ed eccessivamente controllante. Inoltre, l’ansia non permette di gestire bene i conflitti e gli screzi. Spesso i figli divengono ansiosi a loro volta e insicuri;
Infine, per i genitori e per gli adolescenti, non temere di chiedere consigli ad esperti, speciali e psicoanalisti, che possono aiutare a gestire le dinamiche disfunzionali, l’ansia cronica e le preoccupazioni irrazionali che fanno soffrire i genitori e allarmano i figli. Chiedere aiuto è la virtù dei forti”.
by dottor Antonio Gorini (*)
Attorno agli integratori c’è un mondo di potenzialità per la salute dell’individuo. Si possono usare senza problemi? Quanto è importante conoscerne gli effetti? Come riconoscerne la qualità? Ce ne parla il dottor Antonio Gorini (*) un medico che ha scelto la mission professionale di mettere al centro la persona nella sua complessità e trovare la cura che sia personalizzata e volta a ristabilire uno stato di salute prolungato
Qual è l’importanza degli integratori seppur in presenza di una dieta equilibrata?
“Gli ‘integratori’ al più integrano una dieta equilibrata, ma non la sostituiscono. Uno dei principali aspetti della salute è assumere una dieta corretta e varia e una buona idratazione. Non è possibile sostituire una sana alimentazione con integratori! Bisogna anche chiarire cosa si intende per ‘integratori’. In Italia la normativa, volutamente inadeguata, include nella voce ‘integratori’ tutto ciò che non è farmaco. Pertanto, tutti i rimedi di origine vegetale (tinture, madri, macerati glicerici, estratti secchi, ecc.) sono considerati integratori, così come vitamine, omega 3, aminoacidi, sali minerali e probiotici (quelli che una volta si chiamavano fermenti lattici)… I rimedi di origine vegetale suddetti sono, se somministrati alla dose corretta, dei fitoterapici, cioè medicinali naturali (non di sintesi chimica industriale). Questo aspetto non è considerato dalle normative. Pertanto, sulle confezioni troverete scritta la posologia (cioè il dosaggio consigliato) come integratore, ma non come fitoterapico. Per questo in alcuni casi bisogna aumentare il dosaggio per raggiungere l’effetto terapeutico. Questo aspetto è fondamentale. Molte persone, tra cui anche diversi medici, considerano inefficaci questi prodotti perché non usano il giusto dosaggio e non scelgono i prodotti di qualità. Invece, i prodotti omeopatici e omotossicologici da qualche anno hanno avuto il riconoscimento di ‘farmaco’ con tanto di AIC (autorizzazione di immissione in commercio da parte di AIFA, l’agenzia italiana per i farmaci del Ministero della Salute)”.
In quali situazioni gli integratori possono essere realmente utili e consigliati?
Gli integratori che vanno a completare la dieta come vitamine, Sali minerali, ecc., possono essere indispensabili in molti casi: è inadeguato apporto con gli alimenti. Ad esempio, nell’anziano o nel malato grave che si alimenta poco. Oppure in forme di malassorbimento. Aumentata richiesta da parte del metabolismo, come in corso di gravidanza, preparazione atletica intensa, durante terapie mediche impegnative, in corso di infezioni e/o infiammazioni gravi. Equilibrare gli effetti indesiderati di alcuni farmaci. Gli integratori farmaci fitoterapici sono molto utili in caso di moltissime malattie, ma la prescrizione deve essere fatta dal medico”.
Ci sono differenze significative tra gli integratori naturali e quelli di sintesi?
“Certamente! Alcune sostanze non possono essere sintetizzate in laboratorio di chimica industriale e sono tutti quei prodotti non brevettati (e non brevettabili) e, quindi, non vendibili
in esclusiva dall’industria farmaceutica. Laddove la molecola sia di sintesi chimica potremmo trovare meno efficacia, perché l’organismo in alcuni casi non ‘riconosce’ un elemento non naturale e non lo utilizza. Inoltre, più facilmente nei prodotti di sintesi si trovano eccipienti (sostanze che servono a fare volume nel prodotto) chimici che possono essere non ben tollerati”.
Esistono interazioni tra gli integratori e i farmaci più comuni?
“Anche in questo caso devo rispondere affermativamente. È necessario conoscere i meccanismi di funzionamento delle varie molecole per comprendere come possano interagire favorevolmente o meno sulla nostra salute. Per questo l’uso degli integratori/fitoterapici deve essere appannaggio di medici esperti e non di figure non mediche, che non possono avere la preparazione necessaria. Anche questo è voluto per screditare e ridurre il più possibile l’uso della medicina naturale. L’interazione più frequente è legata al fatto che molte sostanze naturali e non utilizzano gli stessi enzimi epatici, pertanto, questa ‘competizione’ sull’uso degli enzimi può aumentare o ridurre i livelli di farmaco nel sangue. Ciò comporterebbe l’aumento degli effetti avversi o una riduzione dell’efficacia, rispettivamente. Altro esempio: persone che assumono forme
attive di vitamina D, come il calcitriolo, dovranno fare attenzione ad assumere integratori di calcio per il rischio di ipercalcemia (livelli alti di calcio nel sangue) oppure persone che assumono diuretici risparmiatori di potassio (un tipo particolare di diuretico) dovranno evitare l’integrazione di potassio per evitare il rischio di iperpotassiemia (livelli alti di potassio nel sangue). Sia l’ipercalcemia che l’iperpotassiemia possono essere molto dannosi sul cuore”.
Come si può capire se un integratore è di buona qualità e sicuro?
“Il medico esperto lo sa. Conosce le aziende che lavorano correttamente e preparano integratori sicuri e di qualità. Dalla composizione del prodotto si comprende anche se l’azienda conosce la materia o se ha creato un prodotto solo per guadagnare. Serve molta preparazione in merito non si può spiegare in due parole”.
Gli integratori devono essere assunti a cicli o possono essere presi in modo continuativo?
“Entrambe le possibilità. Dipende quali sia l’esigenza”.
La medicina integrata come approccia l’uso di integratori rispetto alla medicina tradizionale?
“Questa domanda aiuta a completare la ri-
sposta precedente. L’obiettivo della medicina integrata è quello di regolare un sistema biologico e far sì che, dopo il più breve tempo possibile di terapia, possa andare avanti da solo senza più assumere terapie e integratori. Quindi, si cerca di comprendere dove sia la difficoltà e si riparano i meccanismi in difetto, dove possibile. In casi in cui non sia possibile, si prolungherà il supporto terapeutico finché necessario. Ad esempio, il paziente oncologico avrà necessità di supporto per il sistema immunitario e di detossificazione per molto tempo. La medicina integrata imposta stili di
vita sani (prima di tutto l’alimentazione, poi l’attività fisica e la gestione dello stress), che da soli possono riequilibrare il sistema. Inoltre, insegna ad utilizzare le risorse di madre natura (farmaci naturali) in modo che ogni individuo possa gestire le principali situazioni di malessere in autonomia. Nei casi gravi si rivolgerà al medico per una diagnosi e cura adeguati. La medicina moderna è molto spesso meccanicistica e riduttiva. Cerca di correggere il numero “sbagliato” sulle analisi del sangue, sopprimere il sintomo o cambiare/rimuovere il pezzo malato. Spesso senza comprendere le cause (ed il significato) della malattia. In medicina integrata si ricerca una visione d’insieme (olistica). Personalmente credo che l’unica medicina sia quella che considera l’Uomo come un’opera d’arte e come un insieme di Corpo, Mente e Spirito. Per concludere, ricordiamo che tre sostanze fondamentali per la Vita non possono essere sostituite da nessun farmaco o integratore: la Luce del Sole, l’Ossigeno, l’Acqua! Non facciamocele mai mancare!”.
Via Archimede 138Roma
(*) Il dottor Antonio Gorini è esperto di Nefrologia, Oncologia Integrata, Medicina Funzionale di Regolazione, Low Dose Medicine, Medicina Integrata, Fitoterapia, Omeopatia e Omotossicologia, Microimmunoterapia, Ossigeno Ozono Terapia, Statistica della Ricerca e Pratica Clinica, Agopuntura. E’ docente presso l’International Academy of Physiological Regulating Medicine
Info. 06 64790556 (anche whatsapp) www.biofisimed.eu antonio.gorini@biofisimed.eu www.miodottore.it/antonio-gorini/internista-nefrologo-omeopata/roma
by Daniele Pacchiarotti
Per Clara Guggiari, sportiva e amante della musica, ogni momento della giornata ha la sua colonna sonora. Tra ricordi, emozioni e il Festival di Sanremo che si è concluso un mese fa, ci racconta le sue canzoni del cuore e gli artisti che la fanno vibrare.
Che ruolo ha la musica nella tua vita quotidiana? Ti accompagna durante l’allenamento o nei momenti di relax?
“La musica è sempre con me, fa parte delle mie giornate in ogni momento. Lavorando in un centro sportivo, c’è sempre una colonna sonora di sottofondo, e quando c’è silenzio mi sembra che manchi qualcosa. Poi la sera, quando torno a casa, metto la musica e ballo con il mio cane… è il mio momento magico, quello in cui mi rilasso e mi libero dai pensieri della giornata”.
Quali sono le canzoni che hanno segnato i momenti più importanti della tua vita e perché?
“Ci sono tante canzoni che porto nel cuore, perché ognuna mi ricorda un momento speciale, un amore, un’amicizia... Le canzoni di Tommaso Paradiso, Marco Mengoni ed Eros Ramazzotti, per esempio, mi hanno accompagnata in situazioni uniche e irripetibili. Appena le sento, torno indietro nel tempo e rivivo certe emozioni”.
Ha seguito il Festival di Sanremo? Hai un’edizione o una
performance che ti è rimasta particolarmente nel cuore?
“Sanremo è il momento più importante dell’anno per la musica italiana, e ovviamente lo seguo! Ieri è iniziato il festival e ho già i miei preferiti: Irama mi fa venire i brividi ogni volta che canta, e Achille Lauro, anche se ha cambiato un po’ genere, secondo me spaccherà lo stesso! La performance che mi è rimasta più impressa? Senza dubbio quella di Marco Mengoni con Due Vite: già al primo ascolto avevo detto ‘Questa vince!’… e così è stato!”
Ci sono canzoni di Sanremo che ancora oggi ascolti con piacere? Quali sono le tue preferite?
“Le canzoni di Sanremo hanno quasi sempre un’anima più tradizionale, e io le adoro. Quelle troppo sperimentali mi prendono meno, lo ammetto. Tra le mie preferite ci sono quelle di Eros Ramazzotti, Marco Mengoni, e poi i grandi classici di Al Bano e Romina… ogni tanto mi ritrovo a canticchiarle senza nemmeno accorgermene”.
Sanremo ha sempre rappresentato un mix tra tradizione e innovazione musicale. Preferisci le canzoni storiche del festival o ti piace scoprire le nuove tendenze musicali?
2Diciamo che sono più legata alla tradizione, mi piacciono le canzoni che restano, quelle che anni
dopo ancora canti e che magari fanno venire la pelle d’oca. Le novità le ascolto, ma non sempre mi convincono… forse perché oggi la musica cambia troppo in fretta!”.
Se potessi scegliere un artista per rappresentare al meglio il tuo spirito dinamico e la tua passione per il benessere, chi sarebbe e perché?
“Non credo di avere un cantante che mi rappresenti in pieno, ma adoro Tommaso Paradiso e la voce di Irama, li trovo fantastici! E poi, una cosa non la capisco: com’è possibile che Paradiso sia stato escluso da Sanremo più volte? È un talento incredibile!”.
© Foto di Melissa Fusari
by Alessio Certosa
Marco Serrone, classe 1996, nasce a Milano ma le sue radici affondano nel sud Italia, tra Molise e Puglia, grazie ai suoi nonni, Fin da sempre, la passione per la qualità, l’innovazione e l’esperienza gastronomica hanno guidato il suo percorso. il cibo non è solo nutrimento, ma un’esperienza capace di creare emozioni e ricordi. Il suo viaggio nel mondo della ristorazione ha preso forma con Tegamino’s, un format che celebra la tradizione della pizza al tegamino reinterpretandola con un tocco moderno. L’idea è nata dal desiderio di offrire un prodotto che fosse diverso, leggero, croccante e ricco di sapore, perfetto sia per l’asporto che per il consumo in loco. Tegamino’s non è solo una pizzeria, ma un’esperienza che unisce qualità, ricerca e passione.
Come nasce l’idea e l’avventura di Tegamino’s?
“L’idea di Tegamino’s nasce dal desiderio di proporre una pizza diversa dal solito, valorizzando un prodotto autentico della tradizione italiana: la pizza al tegamino. Il nostro obiettivo è offrire un’esperienza di gusto unica, combinando l’artigianalità con una proposta moderna La missione di Tegamino’s è creare un connubio perfetto tra qualità, innovazione e convivialità, offrendo un prodotto curato nei minimi dettagli, dagli ingredienti selezionati alla preparazione, fino all’esperienza di consumo, sia in loco che in delivery”.
Marco, la tua passione per il food quando e come inizia? Raccontaci il tuo percorso in questo settore e come “maestro pizzaiolo”.
“La mia passione per il food è sempre stata presente, fin da quando ero piccolo. Crescendo, ho avuto modo di approfondire il settore gastronomico, affiancandomi a professionisti e studiando le tecniche dell’arte bianca. Il mio percorso è stato caratterizzato da una continua ricerca: volevo creare un prodotto che avesse una sua identità ben definita, capace di distinguersi. Con il tempo e dopo molte sperimentazioni, ho affinato il mio metodo, fino a dare vita a Tegamino’s, che oggi rappresenta il perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione nel mondo della pizza”.
In cosa si differenzia Tegamino’s rispetto alle altre pizzerie? Quali sono i punti di forza?
“Tegamino’s si distingue per diversi motivi. Il primo è il prodotto: la nostra pizza è realizzata con un impasto leggero e altamente digeribile, cotto in un tegamino per ottenere una croccantezza unica e una consistenza soffice all’interno. In secondo luogo, poniamo grande attenzione agli ingredienti, selezionando materie prime di alta qualità e valorizzandole in ogni ricetta. Infine, l’esperienza: vogliamo che ogni cliente si senta coinvolto, che sia un momento speciale e diverso dal solito, sia attraverso il gusto che l’atmosfera del locale”.
Come avviene il processo di preparazione di una buona pizza di Tegamino’s? Quali sono i segreti dietro a questo prodotto autentico e Made in Italy?
“La preparazione della nostra pizza parte da un impasto a lunga maturazione, che conferisce leggerezza e digeribilità. L’uso del tegamino permette di ottenere una doppia cottura che rende la base croccante e il cuore morbido. Il segreto sta nella qualità delle materie prime e nella precisione in ogni fase del processo: dalla scelta della farina, alla fermentazione dell’impasto, fino alla cottura che deve rispettare
tempi e temperature precise. Non lasciamo nulla al caso, perché ogni dettaglio fa la differenza”. Lato prodotti, immagino siate devoti all’unicità e al sapore artigianale, individuando solo i migliori fornitori. Come selezionate le materie prime?
“Selezioniamo le materie prime con grande attenzione, privilegiando fornitori italiani che condividano la nostra filosofia di qualità. Ogni ingrediente viene scelto non solo per il sapore, ma anche per la sua storia e la sua autenticità. Lavoriamo con produttori che rispettano le tradizioni e offrono prodotti eccellenti, dai pomodori ai formaggi, fino agli affettati e alle farine. La ricerca della qualità è un processo continuo, perché crediamo che solo attraverso ingredienti d’eccellenza si possa garantire un prodotto davvero speciale”.
Quali progetti per il futuro del brand? Immagino che dopo il food corner di via Faruffini e il primo vero ristorante di Viale Bligny l’espansione e il consolidamento del brand siano in continuo sviluppo. Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?
“L’espansione è sicuramente un obiettivo chiave per il futuro. Dopo l’apertura di Viale Bligny, stiamo lavorando per consolidare il brand e creare nuove opportunità, sia attraverso nuovi punti vendita diretti che tramite il franchising. Abbiamo un piano di sviluppo ben strutturato che ci permetterà di far crescere Tegamino’s, mantenendo sempre alta la qualità del prodotto e dell’esperienza. Il sogno è portare la nostra pizza al tegamino in più città, rendendola un punto di riferimento per chi cerca qualcosa di autentico e unico”.
La pizza si dice sia la più amata dagli italiani, ma in realtà è anche l’ambasciatrice della food experience all’estero. Quali sono le gratificazioni che ti hanno fatto maggiormente piacere ricevere da chi ha provato la vostra pizza?
“Ricevere apprezzamenti dai clienti è sempre una grande soddisfazione, ma quando qualcuno dall’estero prova la nostra pizza e la definisce “la migliore che abbia mai mangiato”, la gratificazione è ancora più speciale. Significa che siamo riusciti a trasmettere la qualità e l’autenticità della nostra proposta, facendo scoprire un modo diverso di gustare la pizza, anche a chi magari non conosce la versione al tegamino. Questo tipo di feedback ci conferma che la nostra attenzione ai dettagli, dagli ingredienti alla lavorazione, viene percepita e valorizzata. Sapere di aver lasciato un ricordo positivo nei nostri clienti, italiani o stranieri, è il miglior riconoscimento possibile”.
Cosa, a tuo avviso, rende una pizza unica ed inimitabile?
“La combinazione di tre elementi fondamentali: im-
pasto, ingredienti e tecnica di cottura. Un buon impasto è la base di tutto, deve essere lavorato con cura e rispettare i tempi giusti per sviluppare struttura e leggerezza. Gli ingredienti devono essere di prima qualità, scelti con attenzione e abbinati in modo equilibrato. Infine, la tecnica di cottura deve esaltare al massimo ogni elemento, creando la giusta armonia tra croccantezza e morbidezza. Ma oltre alla tecnica, credo che sia la passione a fare davvero la differenza”.
Oltre ad un ottimo prodotto, Tegamino’s offre un’atmosfera anche molto contemporanea. Come la definiresti e a chi vi rivolgete principalmente?
“L’atmosfera di Tegamino’s è accogliente e moderna, pensata per offrire un’esperienza dinamica e coinvolgente. Abbiamo voluto creare un ambiente che fosse al tempo stesso informale e curato, dove chiunque possa sentirsi a proprio agio, che sia per un pranzo veloce, una cena con amici o una pausa gourmet. Il nostro pubblico è molto variegato: giovani, studenti, lavoratori, famiglie, amanti del buon cibo. L’idea è quella di essere un punto di riferimento per chi cerca qualità senza rinunciare alla praticità, con un tocco di innovazione che rende tutto più interessante”.
by Fabio Campoli - prodigus.it
Quando si parla di mele il pensiero corre subito alle amatissime e gustosissime torte preparate con questo frutto, semplici da preparare e tanto gradite a grandi e piccini, perché una torta di mele riempie sempre di gioia e d’affetto l’aria di casa! Nel mondo la mela (Malus communis) è coltivata su vaste superfici in quasi tutte le nazioni: proprio per questo la mela dà vita ad un mondo di torte a base di mele, di cui vi parleremo questo mese per accompagnarvi in un viaggio molto gustoso. Nella sola Italia ne esistono diversi tipi, ma la ricetta classica prevede che le mele tagliate a dadini o fettine vengano incorporate all’interno di un impasto fluido, ottenuto con farina, lievito per dolci, burro, uova, latte, zucchero e scorza di limone grattugiata, dando vita ad un ciambellone arricchito di morbida frutta. Ma italiana è anche la torta di mele della Carnia o Pita, tipica dell’area friulana a nord-ovest di Udine, resa particolare dall’aggiunta di noci sbriciolate, uvetta sultanina, pinoli e cannella insieme alle fettine di mele, oltre che dall’uso di una sorta di pasta frolla senza uova (perciò molto friabile), arricchita con rum e panna. La tradizione la vuole chiusa in superficie da uno strato della detta frolla, con un buco al centro per liberare il vapore che si forma in cottura. La Pita viene preparata anche in Ungheria, col nome di Almás pite (almás mela, pite torta). Simile alla ricetta italiana classica, quanto a morbidezza e sofficità, è quella della torta di mele tedesca, ovvero la Äpfelkuchen, nella quale su un impasto fluido molto simile al nostro, vengono poste fette di mela, cosparse (dopo la cottura in forno) con confettura di albicocche e zucchero a velo. Si serve tipicamente accompagnata con della crema inglese. L’Äpfelkuchen si prepara anche in Svezia, dove prende il nome di Appelkaka (appel mela, kaka torta), con una preparazione praticamente identica alla torta tedesca. Sempre in Germania con le mele si preparano l’Apfelstrudel e l’Apfelbrot, tipici anche del nostro Alto Adige. L’Apfelbrot non è una torta ma un pane di mele preparato in autunno e inverno, a forma di plumcake, fatto con un impasto a base di farina, acqua, sale, zucchero, lievito per dolci e rum, arricchito con molte mele, uvetta e mandorle, speziato con cannella, zenzero, noce moscata e cacao amaro. L’Apfelstrudel (strudel di mele), che si ritiene essere di origine araba, si prepara invece con la cosiddetta "pasta matta", stesa molto sottilmente e arrotolata intorno al ripieno fatto di mele, uvetta, pinoli, zucchero, e pane grattugiato imbiondito con burro e cannella in polvere. Il pane grattugiato è importante per assorbire l’acqua rilasciata dalle mele in cottura. Nella confinante Olanda la torta di mele si chiama Hollandse appeltaart, ed è preparata come una crostata (con in superficie la classica griglia di strisce d'impasto), con pasta frolla e un ripieno ricco di mele, uvetta e cannella. Famose presso
i cultori della pasticceria sono le due torte, Szarlotka e Sharotka, la prima polacca, la seconda russa. Le origini della torta di mele in Polonia e Russia risalgono alla Charlotte russe (inizialmente Charlotte à la Parisienne), un dolce francese attribuito al celebre Marie-Antoine Carême (1784-1833), realizzato per la prima volta a Londra nel XIX secolo. Dalla Colombia arriva la famosa torta de manzana (mela in spagnolo), simile alla tarte tatin di mele in Francia: entrambe sono torte rovesciate, ovvero capovolte a fine cottura per mostrare in bella vista le mele cotte sul lato del fondo della teglia da forno. In Colombia l’impasto è fluido e ricorda quello di un ciambellone, mentre in Francia si usano la pasta brisé ripiegata sulle mele caramellate (si possono trovare anche versioni a base di pasta sfoglia). In Francia esiste anche una celebre torta di mele non capovolta, ovvero quella che si prepara in Borgogna, in cui una pasta frolla tradizionalmente arricchita con vino bianco viene cotta parzialmente in forno e successivamente farcita con mele cotte nel burro ed una crema a base di panna, latte, uova e zucchero, per poi rientrare in forno per completare la cottura. Certamente, però, la torta di mele più famosa è quella di Nonna Papera, tante volte presente in cortometraggi e fumetti Disney (e non solo), ovvero la apple pie, fatta con pasta brisée e uno strato particolarmente alto di mele tagliate in piccoli cubetti, insaporite con cannella, limone e uvetta. Questa torta, che si ritiene esser nata dalla convivenza tra coloni inglesi e nativi americani nel XVII secolo, è praticamente un’icona degli USA nel mondo. La sua caratteristica è di essere ancor più perfetta se “riposata”; ovvero servita il giorno successivo alla sua preparazione. Rientrando in territorio inglese, molto noto è anche l’apple crumble, un dolce semplice da preparare perché fatto di mele cotte al forno in contenitori in ceramica dopo essere state ricoperte con un composto di briciole (crumble in inglese) di simil pasta frolla, cotte fino a dorare in superficie. La preparazione sembra esser nata durante il secondo conflitto mondiale grazie ai cuochi delle truppe al fronte, i quali, avendo a disposizione quantità ridotte di prodotti con cui preparare dolci per i soldati, pensarono bene di risparmiare in quantità sbriciolando l’impasto (farina, zucchero, burro e vaniglia) e non ricoprendo le mele integralmente con uno strato continuo di pasta. Infine, da citare è sicuramente la Lumberjack Cake, che in Australia vede l’incontro speciale delle mele con i datteri: una torta speciale da gustare in accompagnamento ad un buon tè come la tradizione locale comanda.
Ingredienti per uno stampo da 20 cm di diametro – per 6-8
persone: Mele golden, 3; Farina di nocciole, 100 g; Uova, 2; Farina “00”, 130 g; Cacao amaro in polvere, 10 g; Burro pomata, 80 g; Latte, 120 ml; Zucchero semolato, 150 g; Lievito per dolci,1 bustina (16 g); Fior di sale, 1 pizzico; Nocciole intere tostate; Zucchero a velo
© Foto crediti: STOCKFOOD
Preparazione: In una ciotola riponete lo zucchero e i tuorli insieme a un pizzico di fior di sale. Aiutandovi con uno sbattitore elettrico, mescolate il tutto per 2-3 minuti, fino ad ottenere una massa chiara e spumosa. In seguito, aggiungete il burro in consistenza di pomata continuando a lavorare con le fruste elettriche. Quando il composto risulterà omogeneo e cremoso, setacciatevi all’interno il cacao in polvere e la farina 00, a mano a mano, incorporando il tutto con le fruste a bassa velocità. Alternate l’aggiunta della farina con quella del latte, per aiutarvi a non formare grumi. Infine, aggiungete anche la farina di nocciole e il lievito. Per completare, montate gli albumi a neve, per poi incorporarli all’impasto a mano in due fasi, aiutandovi con un ampio cucchiaio e con movimenti delicati dal basso verso l’alto, facendo attenzione a non smontare la massa. Sbucciate le mele, rimuovete i torsoli e tagliatene due a cubettoni, e la terza a spicchi. Incorporate nell’impasto le mele a cubettoni, versate il tutto in uno stampo ben imburrato e infarinato e disponete nel centro della superficie le mele a spicchi a raggiera. Cuocete in forno preriscaldato a 165°C per circa 35 minuti (testate il grado di cottura infilzando uno stuzzicadenti nella torta e assicurandovi che ne fuoriesca asciutto). Una volta sfornata, lasciatela riposare bene la torta prima di rimuoverla dal suo stampo e servirla decorandola con una spolverata di zucchero a velo e nocciole intere tostate tritate grossolanamente.
La Biblioteca Angelica di Roma è stata la splendida sede del “Premio Art&Art targato Blu Star International”.
La Galleria Biblioteca Angelica, famosa per essere considerata nel contesto europeo, assieme alla biblioteca Ambrosiana di Milano, uno dei primi e più chiari esempi di biblioteca "pubblica", è nata nel 1604 e dal 1940 è anche sede dell'Accademia letteraria dell'Arcadia.
Situata a Roma in piazza Sant'Agostino, nei pressi di piazza Navona, accanto alla basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio, resta per eccellenza il luogo di cultura e di riferimento per chi voglia studiare il pensiero di sant'Agostino.
Il progetto artistico “Premio Blu Star” curato da Roberto Sparaci e Alessandra Antonelli, è stato istituito per festeggiare il 35° anniversario della Casa Editrice Acca Edizioni, marchio della Blu Star International, selezionando 40 artisti dall’Annuario d’Arte moderna “Artisti contemporanei” 2025, che per diverse motivazioni e correnti artistiche si sono aggiudicati la partecipazione alla mostra presso la meravigliosa galleria Angelica per tutto il mese di Febbraio, con circa 50 opere esposte. La presentazione è stata curata dal noto conduttore Tv Anthony Peth. L’evento prevedeva anche la premiazione di diversi personaggi del mondo dello Spettacolo, della Musica e della Moda che in questi anni sono stati protagonisti della Cover Art&Art. L'attore Maurizio Mattioli ha ricevuto il Premio Art&Art alla Carriera, la giornalista del Tg3 Mariella Anziano premiata dal manager Rai Alberto Botta il Premio Giornalismo, l’attrice Elisabetta Pellini il Premio Cinema consegnato dalla web star Emilia Clementi , il premio Musica all’artista Valeria Altobelli dall’assessore Frappa mentre Vincenzo Merli della Maison Furstenberg conferisce alla stilista Grazia Urbano il Premio Moda, a Simone Maria Cimini (Enomis) il Premio Talento Emergente, Premio Tv all’ attore Riccardo Polizzy Carbonelli consegnato dalla giornalista Roberta Gullotta e dal press agent Sante Cossentino e infine Agostinelli Store il Premio Cultura.
La mostra collettiva ha una scuderia di tutto rispetto nel panorama dell’arte contemporanea: Claudio Alicandri, Patrizia Almonti, Giovanni Battista Aprile, Elio Atte, Angela Balsamo, Silvana Belvedere, Caterina Bilabini, Mita Bolzoni, Franca Bonaiuti, Giuseppe Cerasari, Maurizio Cervellati, Maria Grazia Emiliani, Roberto Funari, Nicoletta Furlan, Silvana Gatti, Aleardo Koverech, Margareta Krstic, Vittorio La Spina, Annalisa Macchione, Federica Marin, Volker Merkle, Nicola Milioli, Elena Modelli, Paola Guia Muccioli, Josè Luis Naharro, Rosario Oliva, Lucia Pafundi, Silvio Paioli, Guerino Palomba, Michele Angelo Riolo, Maria Grazia Russo, Gilberto Sartori, Ebby Settanta, Fabrizio Sola, Sara Stavla, Gianluca Tomassi, Anna Maria Tani, Luca Tridente, UMBE (Umberto Capraro). Fuori concorso l’artista Jackson Villamizar.
L'evento era patrocinato dalla Regione Lazio con la presenza del Prof. Francesco Buttarelli membro della Regione Lazio Sezione Cultura. A seguire vernissage offerto da Casale del Giglio, storica azienda laziale.
Confronto WARHOL / BANSKY: exhibition a Roma fino a giugno 2025
Presso WeGil, lo spazio polivalente e polifunzionale nel cuore di Roma, è ancora visitabile la mostra WARHOL and BANSKY - In mostra il confronto tra i due artisti geni della comunicazione. Iniziata il 20 dicembre 2024 ed in programma di svolgimento fino al prossimo 6 giugno, l’exhibition è curata da Sabina de Gregori e Giuseppe Stagnitta, ed è patrocinata dalla Regione Lazio, in collaborazione con LAZIOcrea. Prodotta da MetaMorfosi Eventi ed Emergence Festival, documenta il percorso innovativo e rivoluzionario di due grandi artisti che hanno cambiato il modo di vivere l’arte degli ultimi 50 anni: Andy Warhol e Banksy. In totale i pezzi esposti al WeGil, tra quelli firmati Bansky e quelli firmati Warhol, sono oltre 100, provenienti da famose collezioni private di tutto il mondo e da importanti gallerie d’arte. Vi possiamo ammirare opere pregiate, dalla Kate Moss sensuale di Banksy alla posa della Marylin realizzata da Warhol dopo la morte dell’attrice nel 1962, al ritratto della Regina Elisabetta di Warhol con il diadema reale a quella di Banksy con le sembianze di una scimmia (Monkey Queen). Via via che si percorrono le sale della mostra, si riconoscono tanti volti che spuntano improvvisamente dalle nostre reminiscenze iconografiche: ecco sfilare Mao, Lenin e Kennedy di Warhol e la Regina Vittoria di Banksy. E poi i ritratti di Grace Kelly, Mick Jagger, Keith Haring, Joseph Beuys, Liza Minelli. Per le sale del WeGil, visibile una numerosissima produzione di Banksy con un esempio delle Soup che sono considerate post-produzione di una delle opere più iconiche di Warhol, e il famoso autoritratto, Self Portrait su tela del 1967, di Warhol messo a confronto con il muro di Banksy dal titolo Computer Boy (alcuni vedono, nel ragazzo accovacciato, Banksy da piccolo con l’identità già nascosta). Tra i temi in comune fra i due artisti, sicuramente la Musica: in esposizione dischi e manifesti iconici dei due artisti – tra tutti la famosa banana del 1967 della copertina di The Velvet Underground & Nico, simbolo di una generazione musicale che viene messa in dialogo con l’opera di Banksy dal titolo Pulp Fiction, in cui John Travolta anziché la pistola ha in mano la banana iconica di Warhol. Non mancano nemmeno oltre 50 tra vinili di Warhol firmati e cd con la copertina realizzata da Banksy. Il senso vero di questo confronto artistico? Bansky come Warhol sono in linea con le provocazioni del movimento Dada di inizio secolo Novecento. Entrambi si sono trasformati in brand: Warhol continua con la Andy Warhol Foundation a produrre opere (diventate esse stesse un prodotto di consumo) anche dopo la sua morte, avvenuta oramai nel lontano 1987; dietro Bansky, genio della comunicazione, esiste probabilmente già un collettivo che continuerà la mission – lo ripetiamo - di trasformare il vandalismo di strada in eventi internazionali da prima pagina, con l’anonimato che è diventato un brand già da adesso. L’idea vincente di questa mostra è stata investigare in parallelo gli intenti dei due artisti, trasformando l’arte in azione e rendendo la provocazione al mercato dell’arte evidente. Per ulteriori informazioni sulla mostra, consultare il sito www.wegil.it
Al Policlinico Tor Vergata arriva l’EndoRunner
A Roma, presso l’Università degli studi Tor Vergata, il 13 e 14 marzo, ben due giornate di sensibilizzazione sanitaria all’insegna della tecnologia EndoRunner (mobile training dotato di 3 stazioni endoscopiche, tutte provviste di simulatori sintetici, per la formazione su procedure diagnostiche e interventistiche di videoendoscopia che si muove in tutta Europa e che per due giorni è a disposizione dell’Università degli Sudi di Roma Tor Vergata), della prevenzione e del fair play. Con la partecipazione del Ministro della Sanità Orazio Schillaci, di prestigiosi relatori, di studenti ed operatori sanitari, e con la partecipazione della Banda dell’Esercito Italiano. Possibilità di ritirare gratuitamente alla postazione del Centro di Coordinamento Screening dell’ASL Roma 2 il Test di Screening per la ricerca del sangue occulto fecale ed essere così inseriti nel programma regionale dello screening del tumore del colon retto. L’evento è possibile grazie alla Fuji Film che da anni è impegnata in attività di formazione e sulla prevenzione del tumore del colon retto. Numerosi ed importanti i patrocini dell’iniziativa, tra cui quello dell’Ordine dei Medici Chirurghi di Roma, SIC (Società Italiana di Chirurgia), Fismad (Federazione Italiana delle Società delle Malattie dell’Apparato Digerente), Comitato Nazionale Italiano Fair Play. Lo scopo principale: coinvolgere diverse figure professionali per sensibilizzare i cittadini, i futuri medici e i giovani degli ultimi anni delle scuole superiori, alla prevenzione del tumore colonrettale.
by Paolo Paolacci
Principe e critico d’arte, attualmente è direttore artistico della Rassegna di Arte Contemporanea alla Villa Comunale di Frosinone ed è presidente della Biennale di Arti Visiva di Anagni e Frosinone.
Un curriculum impressionante che proviamo a sintetizzare: regista teatrale, giornalista (ha vinto il premio di giornalismo Saint Vincent) e cronista per la tv, è tra i fondatori del Tg3 con Agnes, Curzi e La Volpe; ha sdoganato le interviste telefoniche in radio (prima proibite per ragioni tecniche) contattando Neruda, Salvador Allende e Isabel Allende...
Questa intervista, iniziata con la presentazione del volume "L'arte dei Carabinieri" Frusinate Editore, avvenuta a Roma presso la Galleria Internazionale Area Contesa Arte, ci ha permesso di parlare anche del mondo dell’arte e della società di oggi, passando da Giotto a Picasso con semplicità e chiarezza. “Perché il bello e la bellezza dell’arte fanno crescere l’essere umano per una società migliore per se stesso e per gli altri”.
Principe Borghese come è nata l'idea di questo libro"L'arte dei carabinieri" Frusinate Editore?
“Il libro è una raccolta di dieci anni di articoli per la rivista dell’Associazione dei carabinieri in pensione”. C'è un percorso temporale dei pittori presenti nel libro e qual è il percorso che li unisce?
“Il percorso delle presenze dei pittori è dettato dal calendario delle mostre annunciate delle loro opere: una occasione per parlare di loro e offrire una opportunità ai carabinieri e alle loro famiglie di visitare le varie esposizioni”.
Approfittiamo della sua gentilezza per conoscerla meglio. Per esempio da critico come ci si pone di fronte a un quadro?
“Molti artisti importanti hanno scritto volumi su come ci si deve porre davanti ad un quadro. Saper Vedere è certamente opportuno per capire le intenzioni dell’artista, la tecnica, l’uso del colore e la sicurezza del segno, la scorrevolezza dell’impasto o la materialità voluta dell’immagine. Tutti elementi che fanno parte dell’opera, come la dolcezza nel figurativo, la somiglianza in caso di nature morte e di ritratti, l’espressione e la vivacità dello sguardo, mentre nell’astratto è l’accostamento nello spazio di segni e colori. Che non sia la ricerca del meravigliare e stupire, ma resta fondamentale, oltre ogni dettaglio tecnico, la capacità dell’opera di attrarre lo sguardo e colpire per il sentimento che riesce ad esprimere”.
Che cos'ha perduto l'arte nel tempo secondo lei? Non possiamo definire qualsiasi cosa arte credo…
“Per secoli gli artisti hanno dipinto su commissione: dovevano rappresentare quello che era stato loro ordinato di raccontare. La capacità di farlo con un proprio stile, con la propria immaginazione, con i loro sentimenti faceva diventare arte un dipinto. Se mai anche con una provocazione, rappresentando un fedele in ginocchio, in preghiera, con i piedi sporchi, come ha fatto Michelangelo Merisi. Oppure dipingendo nell’arte sacra operai e contadini, braccianti nelle prime opere di Picasso e del grande Purificato. Oggi centinaia di persone, anche senza scuola, senza l’esperienza che si faceva una volta nelle botteghe d’arte, dipingono quello che passa loro per la testa, cambiando continuamente stile, correnti artistiche, passando dal figurativo all’astratto, dal razionale all’informale e al pop, distruggendo il mercato dell’arte per l’enorme produzione in offerta e, nel caso migliore, offrendo soltanto decorazione. Tele e pennelli, nell’arte contemporanea, si ritengono superati per lasciare posto a schermi televisivi, luci colorate, installazioni instabili nel tempo e nello spazio, quando, invece, la durata è una delle principali caratteristiche dell’arte”.
Quali sono i pittori che rappresentano meglio la sua idea di arte e che possiamo considerare anche rivoluzionari, in generale?
“Giotto perché compie la grande rivoluzione del suo tempo dando il via all’arte moderna, passando dall’immobilismo ieratico dei Bizantini con le figure stagliate sui fondi dorati, alla capacità espressiva delle sue Madonne e alla tenerezza del Bambino. E poi Michelangelo, con la forza delle sue sculture, la capacità di scoprire nel marmo i corpi perfetti dentro contenuti. E ancora Tiziano per l’uso meraviglioso del colore, e il Caravaggio per come cattura la luce e per le sue provocazioni. Infine Bansky per la satira verso le istituzioni e la continua condanna del capitalismo stupido”.
Sembra che la semplicità sia sempre più difficile da trovare sia nel vivere quotidiano che nell'arte, è così?
“La semplicità è l’essenza dell’arte: è sempre meglio meno invenzioni tecniche in un quadro per esprimere quello che si vuole. Importante portare avanti una ricerca e sentire quello che vogliamo rappresentare. Nella vita la semplicità è un sogno irrea-
lizzabile: viviamo un tempo nel quale la comunicazione tra persone, nonostante l’esplosione dei social, è morta. Si parla soltanto, e poco, con chi vive accanto a noi e tutto il nostro tempo è occupato dalla consultazione di mail e telefonini, Facebook, Messenger, WhatsApp, Instagram, TikTok e varie. La burocrazia nel nostro paese è tale da scoraggiare qualsiasi iniziativa. Il merito non è considerato e anche per i giovani incontrarsi e capirsi è diventato difficile”.
Marc Chagall e Isaac Bashevis Singer (uno pittore e l'altro scrittore premio Nobel) raccontano quasi lo stesso mondo: cosa può fare l'arte per il mondo?
“Nella situazione attuale l’arte può fare ben poco: condannato il mondo, inquinati aria, acqua e terra, abbiamo ucciso i nostri padri, eliminato tutti gli ismi: ideali come fascismo, comunismo, socialismo, liberismo e capitalismo sono stati, fortunatamente, cancellati. E’ rimasto soltanto l’arrivismo, difficile da debellare. Ma non abbiamo eredi. La crisi morale e materiale è disastrosa, viviamo nel terrore dell’atomica e non siamo stati capaci di lasciare qualcosa di positivo ai nostri figli. L’arte dovrebbe servire a questo: fornire almeno la speranza, l’impegno per un domani migliore. Ma all’orizzonte non si vedono geni adatti a queste prospettive”.
Picasso: "Bisogna avere tempo per diventare giovani" è un genio?
“Bisogna sempre distinguere tra il personaggio e la sua arte. Picasso, quando l’ho intervistato a Parigi, nel 1966, viveva nel terrore di essere cacciato via dalla Francia. Si considerava ed era un immigrato, oltretutto sgradito al potere per le sue idee politiche. Mi ha confidato di approfittare della sua celebrità e di considerare migliori le sue opere del primo periodo, quando dipingeva contadini e operai, che nessuno comprava. Per diventare famoso ha dovuto rappresentare Arlecchini e giocolieri pieni di colori. E poi il cubismo, presto tradito, la rappresentazione degli orrori della guerra, le ricostruzioni originali dell’immagine prima scomposta. Un grande vecchio, con grandi difetti umani, che è restato giovane attraverso l’amore per l’arte e per le donne”. Siamo ai saluti. Ci dica qualcosa che possa renderci più consapevoli verso l'arte.
“Un critico si deve confrontare continuamente con la produzione attuale dell’arte in genere, sia visiva che letteraria e musicale. Sono appena tornato da Miami dove Art Basel ha messo in mostra le opere di più di 5 mila artisti raccolti da 286 gallerie di 38 paesi: poche le eccellenze, tanta mondezza! Stessa cosa in Italia dove è difficile trovare opere superiori ad un livello sufficiente di preparazione e di bellezza. La bellezza salverà il mondo è stato detto. Per questo siamo sempre favorevoli ad ospitare anche artisti alle prime esperienze, come fa la galleria AREA CONTESA ARTE, nella speranza di vedere una crescita importante e una maturazione dovuta al confronto e alla ricerca”.
by Marisa Iacopino
Ogni giorno un angolo di strada per un salotto letterario itinerante. Un microspazio librario raggiunto a cavallo della sua bicicletta, con un carrellino per trainare gli oggetti più preziosi: libri che all’occorrenza fungono anche da panchette. Due pile, una per la nostra lettrice, l’altra per l’ospite di turno. Un luogo partecipativo dove si può ascoltare la lettura di un libro fra tanti, esplorarne i meandri più reconditi ponendo quesiti, o esponendo punti di vista, in uno scambio di prospettive che si fa processo osmotico di conoscenza. Lei è
Chiara Trevisan, un’artista di strada. Per tutti la Lettrice Vis à Vis.
“Il mio percorso è iniziato nell’ambito del Teatro di Figura, con la creazione e la diffusione di quattro spettacoli in dieci anni, prevalentemente utilizzando oggetti e immaginazione. La dinamica continua di relazione con il pubblico, e di scrittura orientata a costruire originali architetture a partire dall’esistente, si è via via perfezionata in una direzione intima ed estremamente partecipativa degli spettacoli”.
Come sei diventata Lettrice Vis à Vis?
“Nel 2011 ho investito tutte le mie energie cercando di comporre un nuovo spettacolo coerente con il mio percorso artistico. Che avesse i libri al centro della performance per condividere l’idea di letteratura come strumento di relazione. Che fosse destinato allo spazio pubblico, e potesse accadere compiutamente solo in presenza di un’interazione fra me e l’ospite. Che implicasse un esercizio continuo di ascolto e restituzione. E che mi potesse, senza timidezza, far affermare: ‘di lavoro, leggo!’”.
Perché definisci “microperformance” la lettura di un testo e la conversazione che ne può derivare? “E’ uno spettacolo partecipativo. La persona ospite non è solo spettatrice, ma co-creatrice dell’azione performativa, poiché la scelta e la lettura della pagina che ritengo più appropriata discende, e non precede, dall’interazione con l’ospite del salottino. Senza quest’ultima, la performance semplicemente non avverrebbe”. Si tratta, dunque, di un’attività che crea connessioni tra le persone e anche tra i libri che si accendono a una vita partecipata. Come avviene la seleziona dei brani da leggere?
“Collaboro attivamente con case editrici indipendenti, direzioni artistiche di festival letterari che conoscono bene il mio lavoro. Se non bastasse, sono una lettrice onnivora e vorace. Tutto ciò mi permette di selezionare personalmente i libri. Quando mi dedico alla lettura, attivo una parte peculiare del cervello, addestrata negli anni a leggere come se fossi molti lettori in uno. Cerco di disancorarmi dal mio gusto, e andare a caccia di
frammenti letterari che offrano un punto di vista originale sulle questioni più comuni. Appena incappo nel pezzo giusto, lo catalogo per poterlo recuperare quando mi serve. Questo lavoro di lettura, ricerca, e rilettura mi permette di formulare quello che chiamo ‘Bugiardino Vis à Vis’. Un compendio di contenuti, indicazioni, posologia e avvertenze che provino a restituire il complesso di ciò che si può trovare nel testo, superando i limiti che ogni sinossi o recensione comporta”.
Cos’è la bibliomanzia?
“La bibliomanzia è una pratica divinatoria molto antica, già presente nell’universo classico greco e romano, restituita al tempo adeguando i testi di riferimento. Si tratta di porre delle domande e cercare le risposte in modo casuale all’interno di un testo, per poi interpretarle, da soli o con l’aiuto di un intermediario. Nel mio caso, è un gioco teatrale - senza alcuna pretesa mistica - atto a portare fortemente l’attenzione sulle domande, anziché riversare aspettativa sulle risposte. Oltre a questo, mi permette di introdurre l’ospite a un uso diverso delle pagine, a diffondere letteratura inconsueta, uso ad esempio molta poesia, e a portare leggerezza e ironia dove meno te lo aspetti”. Nell’estate 2018 sei stata a Roma, nei giardini di Castel Sant’Angelo. Hai un ricordo par-
ticolare dell’estate romana?
“I miei ricordi del periodo di residenza artistica ospite di Letture d’Estate sono indelebili. Sono stata accolta meravigliosamente dall’organizzazione della manifestazione, che mi ha amorevolmente programmata sia con il salottino della Lettrice Vis à Vis che con il mio Circo di Pulci in scatola. Ogni sera uno spettacolo, decine e decine di persone a interagire con me, nella cornice suggestiva dei giardini di Castel Sant’Angelo. Un calore e una benevolenza che hanno consolidato il mio amore per la città e i suoi abitanti. Sono tornata altre volte, sempre sostenuta dalla squadra di Invito alla Lettura, e a fine gennaio di quest’anno ho portato lo spettacolo “L’amore. Non si capisce” nella nuova sede del Bibliobar accanto a Castel Sant’Angelo e nella libreria Cartacanta di Monterotondo. Tutte le strade, quando possibile, mi riportano a Roma”. Da oltre dieci anni, dal 2013 per l’esattezza, hai accolto circa tremila persone in tutta Italia. C’è stato un ospite di particolare riguardo che ti è rimasto in mente? E al contrario, l’ospite più indesiderato?
esperienze che il pubblico condivide con me. Vorrei però rispondere individuando due categorie. La categoria più amata è quella che manifesta, e poi supera, un’iniziale ritrosia e diffidenza. Si affida a me con seria spensieratezza, condivide frammenti della propria esistenza fiduciosa che li userò ‘per’ e non ‘contro’, e questo mi permette di lavorare con un sorprendente livello di profondità. Spesso esordisce affermando di non leggere, e poi mi saluta ammettendo: “Non pensavo che i libri potessero parlare con me”. Viceversa, la categoria che mi costringe al massimo della pazienza e dell’educazione, ma che ammetto mi sfinisce, è quella che io chiamo “Orfani del Cantiere”. Gli umarelles (*), per capirci, che dal lunedì al venerdì concionano al bordo dei cantieri edili. Sabato e domenica i cantieri sono chiusi, così me li ritrovo davanti al mio salottino. Perlustrano, indagano, senza mai rivolgermi sguardo o parola. Poi un giorno, quando più credono, mi spiegano chi sono, cosa faccio, come lo faccio e, soprattutto, come e cosa dovrei fare meglio. Quindi se ne vanno, soddisfatti, senza aspettarsi una mia replica. Ardito ‘mansplaining’ (**) che mette decisamente alla prova le mie energie”.
In conclusione, cosa ti auguri per il futuro?
“Mi auguro di avere abbastanza tempra per affrontare le incognite, abbastanza energia per realizzare nuovi progetti, e, soprattutto, abbastanza tempo per… leggere”.
“Qui potrei scrivere per ore, perché l’intensità del mio lavoro si rispecchia fedelmente nella generosità di
* Dal bolognese 'omarello’, pensionato che si aggira, per lo più con le mani dietro alla schiena, presso i cantieri di lavoro, controllando, facendo domande, dando suggerimenti o criticando le attività che vi si svolgono;
** Te lo spiego io
by Rosa Gargiulo
la sua esperienza personale rende testimonianza al valore della parola di Dio – su cui si fonda la fede dei credenti, che non costituisce un ostacolo e non si erge a baluardo di verità assoluta, ma diventa strumento di incontro e solidarietà.
Ex militare, volontario attivo anche nelle carceri, operatore pastorale, Claudio Capretti diffonde un messaggio trasversale rispetto ai credo religiosi. La parola di Dio, in qualunque modo l’uomo abbia imparato a chiamarlo, è parola di misericordia – comprensione – sostegno – incontro. Accanto a quella divina, l’autore ci invita a esplorare la potenza delle parole, quelle che noi utilizziamo ogni giorno, quelle che sgorgano dal cuore, risanando ferite, e quelle che invece contribuiscono ad “uccidere”. Le parole hanno un peso e generano effetti straordinari: la parola di Dio sostiene questa riflessione, su cui troppo poco spesso ci soffermiamo.
Claudio Capretti si mette a nudo, aprendo il proprio cuore e condividendo un’esperienza di fede capace di accogliere tutti, perché la parola di Dio non conosce bandiere e confini!
Giovane imprenditrice, Amalia Di Tella firma “Integratori da amare”, un libro che non raccoglie soltanto la sua esperienza e la ricerca nel campo degli integratori, che l’ha condotta alla creazione di un brand di alta qualità, ma è un vero racconto di crescita personale, maturazione e determinazione a realizzare i propri sogni.
La vita di Amalia è perfetta: giovane, bella, iscritta all’università, innamorata. All’improvviso, tutto cambia: la madre si ammala di Alzheimer e Amalia decide di mollare gli studi per starle accanto. Ma è proprio da questo evento drammatico che comincia la sua nuova vita: per sostenere la madre nella malattia, si interessa e approfondisce le sue conoscenze in merito al mondo degli integratori, tornerà all’università, creerà “Minabi” – la sua linea di integratori. Un manuale non convenzionale e non nozionistico, che ci aiuta a riflettere sull’importanza di non darsi mai per vinti, di continuare a credere nei propri sogni e cercare sempre il momento giusto per realizzarli. Un manuale che guida alla ricerca del benessere fisico e mentale, creando un equilibrio tra corpo e spirito, fusione fondamentale per guardare alla vita e al futuro con propositività.
Il nuovo romanzo di Marcela Serrano, “A volo d’uccello”, conferma l’abilità narrativa e la fluidità con cui l’autrice guida i lettori in una dimensione pulsante di vita, emozioni, ricordi, riflessioni. Tre diari, tre quaderni, ognuno dedicato a un anno di vita. Storie che si intrecciano, pensieri, emozioni e ricordi che diventano un percorso denso e coinvolgente.
Il volo instancabile degli uccelli, il loro viavai che traccia una mappa immaginaria nel cielo, diventa la cornice per raccontare la vita a settant’anni – tra dolori e risate, la vita da single, le chiacchiere, la famiglia e gli amici (quelli che non ci sono più e quelli che ancora ci camminano accanto), i cambiamenti sociali, gli affetti e le letture –soprattutto quelle dei classici, che non si chiameranno così per caso… Una nuova opera preziosa di una delle maestre mondiali della narrativa, che ancora una volta si racconta – rappresentando se stessa e ognuno di noi in un gioco di specchi, e descrivendo con grande competenza e fluidità il suo tempo, che è il tempo di ciascuno di noi. Perché compito degli scrittori è quello di vivere, osservare, analizzare, descrivere e restituirci il mondo così com’è, e così come spesso non riusciamo a coglierlo.
by Antonio Desiderio
Dio prima creò la Danza e poi creò gli interpreti che potessero renderla speciale. E uno di questi è Felix Busuttil. Lui è la Danza in persona. Un onore e un privilegio ospitarlo su GP Magazine. Come nasce la tua avventura con la Danza?
“Sono nato su una piccola isola non più grande di 14 chilometri per 10, di nome Gozo, l'isola sorella di Malta con una capacità di popolazione all'epoca di 20.000 abitanti. Mia madre era un'artista appassionata e la nostra casa era sempre piena di costumi e colori: cuciva tutti i costumi per il Carnevale di Gozo e per gli l'opera del Teatro del Opera Aurora. Mio padre è stato presidente dell'Aurora Opera House per 25 anni: che ci crediate o no, nella stessa strada principale di Victoria, la capitale di Gozo, c'erano ed esistono tuttora due band club e teatri d'opera rivali. Poi c'erano le uniche tre emittenti televisive esistenti: la stazione televisiva locale maltese-britannica, Rai Uno e Rai Due. Questo è tutto! E ogni sabato mi sono innamorato! Con le gambe, bellissime coreografie, soubrettes e Raffaella Carrà. È diventata la mia ossessione e grazie a lei mi sono innamorato della danza. Poi accade Heather and più tardi la Cuccarini – ma nel cuore, c’era Dio e la vocazione – e ho lasciato mamma e Gozo per diventare Salesiano a Malta”.
Come ha interagito la tua famiglia con questo tuo sogno? Dove ti sei formato?
“La mia famiglia divenne quella con cui trascorrevo le mie giornate al Savio College insieme a tutti gli altri aspiranti. Avevo appena compiuto 18 anni e non ero mai stata a un solo corso di danza. Non ne avevo mai visto uno dal vivo. Ma la coreografia veniva già richiesta dagli stessi salesiani. I Don Bosco progressisti. E l’ironia di tutto ciò è che la mia prima coreografia strutturata era basata sull’unica danza storica e documentata che esiste a livello nazionale ed è custodita presso la Biblioteca Nazionale. Il-Parata tal-Kavillieri, una danza che rievocava il Grande Assedio di Malta e la vittoria dei Cavalieri sull'Armata Turca nel 1565. Questa danza ricevette la benedizione di tutti i Grandi Maestri per essere eseguita ogni anno all'inizio del Carnevale - per continuare a sputare sugli sconfitti.
45 anni dopo mi è stata affidata dal governo di Malta la responsabilità di dare nuova vita alla Parata, ricercare la musica attuale utilizzata all'epoca e ricercare coreografie pure e attuali. La mia compagnia lo esegue ancora ogni febbraio. È stato questo padre spirituale, Fratel Savio, a portarmi a vedere la mia prima lezione di danza. La mia vocazione è cambiata all'istante. Ho lasciato i Salesiani e incominciai a ballare con una scuola con una maestra Inglese, Miss Alison White, e successivamente alla Poutiatine Academy of Ballet con Tanya Bayona. Avevo appena compiuto 18 anni. Questo studente di danza non così giovane - un ballerino, una vera rarità a Malta e soprattutto a Gozo che voleva diventare prete, ora studiava tutti i giorni. A diciotto ho trovato lavoro come banchiere. La mattina alla cassa. La sera alla sbarra. Ero poi stufo di contare i soldi. Volevo contare i passi e ho lasciato l'isola all'età di 24 anni dopo aver lottato per una borsa di studio al London Studio Centre, a pochi metri da Kings Cross. Era dura ma era magnifico”. Quale è stato il tuo primo importante lavoro?
“Direi che il mio primo lavoro straniero era al Battersea Show Palace, South Thames, da giovedì a domenica. Contanti in mano. Ero un lavoratore illegale:
all'epoca Malta non faceva parte dell'Europa ed ero ancora studente alla LSC. Successivamente ho lavorato per sei mesi su un'enorme nave da crociera a Miami e nei Caraibi, ma poi dopo il sole dei Caraibi sono dovuto tornare nella cupa e grigia Londra. Il grigio soffocava e avevo voglia di camminare di nuovo scalzo sulle piastrelle e sulla sabbia. E dopo aver ottenuto il diploma sono tornato a Malta. Qualche anno prima di partire per Londra, quando avevo 21 anni, avevo già formato la mia compagnia di danza nata dalla sfida di sentirmi dire da un'altra istituzione teatrale che non ero in grado di dirigere una produzione e certamente l'ho fatto. Ho fatto l’impensabile all’epoca dei primi anni ’80 a Malta. nel 1984 ho creato YADA che sta per Young Actors and Dancers Associazione con l'intento di riunire ballerini e attori provenienti da varie istituzioni per produrre un'unica produzione di danza. Si intitolava ‘Guardian of The Light’ ed è stato eseguito con il tutto esaurito. Abbasso la testa e vedo tutto il pubblico in piedi - non sapevo nemmeno che una standing ovation fosse parte di un successo maggiore. Sono stato incoraggiato ad alimentare il sogno e tanti altri spettacoli locali commissionati sono nati prima di partire per Londra per studiare - quindi tornare a Malta, era come tornare a YADA”.
Lo sviluppo della Danza negli anni a Malta, tua città, come è stato?
“Malta non ha le basi eterne della danza come l'Italia, la Francia, l'Inghilterra o la Russia. Ma la Russia ha avuto un ruolo fondamentale nel far nascere la danza a Malta. Il suo nome era Principessa Poutiatine ed era
in esilio - in fuga dalla tirannia e dalla morte certa da parte dei Bolsevisti - la sua famiglia era una Romanov. Fondò l'Accademia Poutiatine in una città di fronte a La Valletta, attraverso un torrente marino, Sliema. Elegante ed elitario. La danza a Malta era per pochi e privilegiati. Ho cercato di cambiare la situazione con ovvio l’auito di tanti. Non c'era mai stata una figura maschile alla guida delle redini coreografiche. La percesione di danza a Malta e diventata una carriera. Quindi i miei spettacoli sono diventati per le masse, aprendo le porte a tutto compreso. E la mia azienda e il mio nome sono diventati familiari e mainstream. Altre compagnie esistevano negli anni '90 e all'inizio degli anni 2000, ma i miei spettacoli di danza attiravano il tutto esaurito. Raffaella Carrà mi ha regalato lezioni indimenticabili. Lo spettacolo, il colore e il senso di gioia di vivere sono una delizia per tutti, adulti e bambini, uomini e donne, privilegiati e non. Scrivendo sui giornali e poi sui social media, ho sostenuto la creazione di una compagnia di danza nazionale e così è stata creata dal governo: ZfinMalta, la compagnia nazionale di danza di Malta. Ha dieci anni, il suo formato è contemporaneo e io ho fatto e faccio tuttora parte del suo consiglio di amministrazione. YADA, direi, non crea un conflitto di interessi: la mia azienda è più versatile, più commerciale, più basata sulla strada e questo elettrizza l'equilibrio. E poi gli spettacoli della YADA sono diventati un evento annuale – e da questo popolarità, Il Governo Maltese ha dato alla YADA tanti bei grandi opportunità – tra loro la YADA ha ballato per due volte nella presenza della amata Regina Elisabetta II al Opening Ceremony, CHOGM ( Paesi del Commonwealth) nel 2005 and 2015 recentemente”.
Hai da poco messo in scena lo spettacolo "DIVAS", un concentrato di danza e musica davvero esplosivo. Come nasce questo progetto?
“Come già detto, YADA è sinonimo di produzioni teatrali grandi e stravaganti: ‘Dirty Dancing, Moulin Rouge, Circle of Senses e Christus’ erano spettacoli basati interamente sulla danza senza sbarre quando si tratta di costumi, luci, coreografia suprema e immagini. Nel
2014, YADA ha celebrato il suo 30° anniversario e lo spettacolo ha visto la musica di DIVAS internazionali come Mariah Carey, Cher, Celine Dion e Beyoncè con l'aggiunta della voce di Divas locali - cantanti amate dal pubblico maltese. C'erano solo tre - DIVAS al Malta Fair and Coventions Centre è stato un grande successo. Dieci anni, celebrando il nostro 40° anniversario, ho deciso che era giunto il momento di DIVAS II e questo spettacolo sarà rappresentato nei primi due fine settimana di marzo 2025 - con un cast stellato di non meno di undici cantanti locali affermati e un esercito di 300 ballerini. Questo spettacolo sarà presentato in anteprima al Centro Mediterraneo a La Valletta - con il patrocinio di S.E. Il Presidente di Malta. I nomi internazionali includerebbero la musica di altri artisti come Adele, Billie Eilish, Prince, Freddie Mercury, Taylor Swift e, naturalmente, l'incomparabile Raffaella Carrà. Il mio tributo alla mia eterna Diva”.
Cosa ha visto di particolare questa edizione di "DIVAS"?
“È più grande. È più stravagante. 2000 costumi, luci, immagini - YADA dopo dieci anni torna sul grande palco e spero che il grande pubblico apra nuovamente il cuore e le braccia all'arte più bella della danza. Desidero condividerlo con tutti”.
Cosa cerchi in un ballerino per una produzione del genere?
“Passione. Questo è il catalizzatore primario. Se non c’è passione, non c’è dedizione. Se non c’è passione,
non c’è vero amore. E quando intendo amore, è lo stesso amore di una relazione. Deve essere bidirezionale. se vuoi dalla danza, devi dare alla danza. Tempo consumato. Fedeltà assoluta. Dolore e sofferenza. Gioia ed estasi. Se hai passione, non ci sono domande su tempo e impegno. Dai e basta. Lo sei e basta. Una ballerina. Quando c'è amore per la danza, siamo tutti ballerini”.
Dopo "DIVAS", progetti futuri?
“Innanzitutto una vacanza tanto necessaria. Chissà, magari nella malinconica ma pacifica Sicilia. La bellissima isola da cui proviene il mio Rosario - e il Tiramisu' e gli spaghetti con le melanzane e ricotta salata della sua famiglia. Poi, poiché amo, ricomincio a sognare: creare, produrre, ballare e condividere. E senza alcun dubbio, YADA produrrà un altro grande spettacolo sotto gli occhi attenti e amorevoli di mia madre, la mia Diva che ho perso solo lo scorso gennaio e alla quale è dedicato questo spettacolo DIVAS II. Alla Mamma”.
In collaborazione con:
STORIE DI RADIO
by Silvia Giansanti
Si è avvicinato alla radio negli anni ‘70 e lo possiamo considerare tra i pionieri del settore. Raggiunse il maggior successo alla conduzione di “Stereo Sport” su Rai Stereo Due
I suoi conterranei lo apprezzano talmente tanto, a tal punto da denominarlo 'il Calisone', un modo simpatico per definire la sua grandezza artistica in ambito radiofonico e non solo. Salvatore Calise, altro nome noto al grande pubblico della radio, è uno di quei personaggi che ha mosso i primi passi negli anni '70, durante il periodo della nascita delle prime radio libere. Classe 1957, come tutti gli artisti partenopei, ha quella marcia in più data da una buona dose di simpatia, accompagnata da un'innata fantasia. Lo ricordiamo volentieri quando ai microfoni di Rai Stereo Due conduceva il programma 'Stereo Sport'. Il suo “Forza Napoli” in diretta, non trattenuto, è passato alla storia.
Salvatore, ti ricordi la data esatta in cui sei andato per la prima volta davanti ad un microfono?
“La data proprio no, ma ricordo che correva il 1976 ed era settembre”.
Cosa ti ha spinto ad andare in onda?
“Innanzitutto sono stato un grande e curioso ascoltatore delle radio. All'epoca ascoltavo le radio di tutto il mondo, soprattutto di notte e quindi indossavo un auricolare. Ascoltavo anche la radio italiana, c'era la Rai e Radio Montecarlo che è stata fonte di ispirazione per tutti noi addetti del settore. Avendo di base l'impostazione da ascoltatore, ho sempre condotto programmi che prevedevano l'interazione con il pubblico. Mi piacevano i saluti, le richieste musicali, ma non le dediche che non ho mai capito. Poi ovviamente ci fu fin da subito la voglia di comunicare”.
Da dove sei partito?
“Da Radio Antenna Capri”.
Ad un certo punto quando hai intuito che questo sarebbe divenuto il tuo mestiere, ti sei trasferito da Napoli a Roma. “Esattamente e a Roma lavorai per un circuito che si chiamava Tirradio di Pier Maria Bologna. In quel contesto incontrai Anna Pettinelli, Luca De Gennaro, Maurizio Catalani e tanti altri nomi che poi ho ritrovai in Rai”.
Ecco, andiamo nei primi anni '80, quando sono nate le Stereo Rai.
“Su Rai Stereo Due, come si chiamava all'epoca, condussi un programma collegato alle partite di calcio e cioè 'Stereo Sport'. Fu un'esperienza interessante. In quell'occasione lavorai nell'ambiente con nomi come Antonella Condorelli, Emilio Levi, Antonella Giampaoli e Tiberio Timperi, che ancora oggi vedo regolarmente”.
Conservi aneddoti di quel periodo?
“Certo, specialmente quando una volta spontaneamente dissi che ero un tifoso del Napoli. Non si poteva assolutamente, il conduttore doveva essere imparziale. Per l'epoca era considerata una cosa eclatante”.
Fino a quando sei rimasto in Rai?
“Ho lavorato per una quindicina di anni e poi per motivi di famiglia mi sono dovuto riavvicinare a Napoli, trovando adeguate collocazioni nelle realtà campane, tra cui spicca la mia collaborazione con il gruppo di Radio Kiss Kiss, per cui ho anche avuto incarichi di responsabilità che mi hanno portato i giusti risultati”.
Hai attraversato decenni. Come vedi l'evoluzione della radio? Molti tuoi colleghi appartenenti a periodi diversi, non vedono di buon occhio la radiovisione, poiché andrebbe a togliere quel mistero che ha da sempre contraddistinto la radio.
“Direi che la radiovisione permette di continuare a seguire la radio a casa e negli esercizi commerciali, visto che oramai gli apparecchi radio sono quasi scomparsi, tranne in auto. E' un modo diverso per poter fruire del mezzo”.
Quali sono i tuoi impegni per il 2025?
“Sto facendo tv su Teleischia, sempre con trasmissioni che riguardano l'ambito sportivo. Sono reduce da esperienze presso Tele A e Radio CRC e prossimamente ci sono novità radiofoniche legate all'azienda per cui sto lavorando”.
by Mariagrazia Cucchi
Questa 75esima edizione del Festival di Sanremo è destinata a far parlare ancora a lungo di sé, non solo per le canzoni degli artisti in gara, per i loro bellissimi outfit e per gli immancabili gossip, ma anche e soprattutto per la magia che l’evento nazionalpopolare italiano per eccellenza è riuscito ancora una volta a regalare a chi ha avuto la fortuna di trovarsi nella città dei fiori in quella settimana così speciale. E a proposito di incontri “magici”, ho avuto la fortuna di scambiare quattro chiacchiere con il maestro Vince Tempera all’interno del Warner Store, preso costantemente d’assalto, a pochi giorni dal ritorno in tv del leggendario anime giapponese “Ufo Robot Goldrake”, il primo cartone animato proveniente dalla terra del Sol Levante trasmesso dalla Rai nel 1978, e della riedizione della celebre sigla che, insieme al suo indimenticabile eroe Actarus, ha compiuto l’incredibile impresa di ritornare in classifica, nella top 20, dopo quasi 50 anni.
Ma quale fu la scintilla che fece nascere questo intramontabile successo, indelebile nel cuore di tanti ex ragazzini, o se preferite “diversamente giovani”?
“Fu una scintilla di cui io e Luigi Albertelli, paroliere della canzone, non riusciamo ancora a capacitarci… Goldrake ha dato l’avvio a un mondo di cartoni animati ‘manga’ molto differente da quelli Disney e altri americani a cui
eravamo abituati: i personaggi per i quali abbiamo scritto le sigle italiane, Capitan Harlock, Remì, Anna dai capelli rossi, Daitarn 3, tanto per citarne alcuni, hanno una loro personalità e uno stile ben definiti. Sono contento di rivedere la storica serie nuovamente sulla Rai, in questi anni molti ‘anime’ sono stati trasmessi su canali tematici, ma rivedere Actarus sulla tv nazionale generalista, in prima serata, è tutta un’altra cosa. Credo che questo abituerà il pubblico di oggi a seguire un certo tipo di cartone animato con un occhio più attento e con maggiore considerazione”
E del remake, tanto discusso, della serie di Goldrake, con un Actarus “figlio del tempo presente”, cosa pensa il maestro? “L’ho visto. Trovo che sia fatto molto bene, però ha reso Ufo Robot uguale ad altre serie animate attuali, soprattutto ha addolcito un po’ troppo quelle che sono le storie dei personaggi. La serie storica era più diretta, la nuova è più ‘volemose ‘bbene’ capisci?”. Come compositore di un brano così popolare, avrà sicuramente qualche aneddoto curioso da raccontarci…
“Mi è capitato di incontrare dei ragazzini, adesso diventati dirigenti d’azienda, che mi chiedono di lavorare per loro. Lo stesso presidente di Warner Music, quando ha saputo che all’interno del catalogo della casa discografica era presente Ufo Robot, ha voluto ristampare l’album e mi ha chiesto, quando rientrerò a Milano, di andare nel suo ufficio ad autografare l’album! Cioè, sono tornato ad essere un artista della Warner dopo 47 anni!”
L’edizione da collezione di “Ufo Robot”, autografata e numerata, che contiene le sigle italiane riproposte in versione originale con audio completamente rimasterizzato, è volutamente pubblicata solo ed esclusivamente in formato vinile, azzurro ghiaccio, e si presenta più ricca e particolare che mai, come lo stesso maestro fa notare: “Togliendo il disco dalla confezione, così come allora, la copertina diventa un poster. È una cosa che non usa più, fu una delle prime cover-poster che uscì all’epoca in Europa, quindi si tratta di un oggetto estremamente curato nei dettagli, di un certo livello per i collezionisti e gli intenditori. Consiglio quindi a tutti di ascoltare il vinile con un bel giradischi e di appendere il poster!”
E per terminare la nostra chiacchierata sanremese, non poteva mancare un saluto speciale a chi, come noi, tiene ancora stretto nel cuore quel ricordo d’infanzia, capace di evocare volti, voci ed emozioni, con il giusto pizzico di nostalgia: “Actarus da Sanremo vi saluta e vi dice: Alabarda Spazialeee!”
La JP Vocal Studio Academy, fondata dalla talentuosa Vocal Coach Johanna Pezone, si afferma come un punto di riferimento per gli amanti della musica e del canto. Situata in due comode sedi, a Campolimpido e a Roma, l’accademia offre corsi di canto e musica adatti a tutte le età e a ogni livello di preparazione, dal principiante al professionista.
Uno dei fiori all'occhiello della JP Vocal Studio è il corso di canto che utilizza la tecnica VPA, un metodo innovativo e riconosciuto dalla Commissione Europea. Questo approccio formativo è progettato per sviluppare le abilità vocali in modo efficace e personalizzato, garantendo risultati tangibili per ogni allievo. In aggiunta ai corsi individuali, la JP Vocal Studio Academy offre anche un percorso formativo per coloro che desiderano diventare insegnanti di canto. Questo programma è perfetto per chi aspira a trasmettere la propria passione per la musica e a formare le future generazioni di cantanti.
La qualità dell'insegnamento si riflette nei successi ottenuti dai suoi allievi, molti dei quali hanno ricevuto riconoscimenti e premi, oltre a partecipare a trasmissioni televisive nazionali. La JP Vocal Studio Academy rappresenta, quindi, un trampolino di lancio per chi desidera emergere nel panorama musicale italiano.
Per ulteriori informazioni sui corsi e sulle iscrizioni, è possibile contattare l'accademia al numero 3757445664 o visitare il sito web www.jpvocalstudioacademy.it. Che tu sia un aspirante cantante o un professionista in cerca di affinare le proprie abilità, la JP Vocal Studio Academy è pronta ad accompagnarti nel tuo percorso musicale.
Sede di Roma: Via Tancredi Cartella 63 zona Stazione Tiburtina
Sede di Tivoli: Via Via Campolimpido 55/B - Campolimpido Favale
Info: 375 7445664. - E-mail: jpvocalstudioacademy@gmail.com