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Manfredi Potenti:
Storia di un ragazzo “pazzo visionario”
che credendoci e prefigurando i suoi sogni
è diventato Senatore della Repubblica
Salute
G.A.E.T.: i benefici dell’ossigeno ozono terapia, antinfiammotori, antiossidanti, antiaging e supporto alle terapie oncologiche
Paolo Conticini
Tanti mestieri
prima di diventare “attore per caso”
Un personaggio molto amato dal pubblico
italiano che lo apprezza al cinema e al teatro
ANNO 1 N. 1
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ALCE NEWS MAGAZINE NuMEro 1 - 2023
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Manfredi Potenti
Storia di un ragazzo “pazzo visionario” che credendoci e prefigurando i suoi sogni
è diventato Senatore della Repubblica
- di Alessandro Cerreoni -
4 Attualità
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La politica come sana passione. La politica per fare qualcosa di concreto per la gente e per il suo territorio. La politica per mettersi in discussione ogni giorno. La politica come percorso di crescita interiore. La politica come motore per muovere la propria vita. C'è tutto questo in Manfredi Potenti, da qualche mese Senatore della Repubblica Italiana e con alle spalle anche quattro anni e mezzo alla Camera. Fa parte della Lega, il partito che lo ammaliò quando neanche aveva 16 anni. Erano gli anni in cui scoppiò Tangentopoli ed entrare in politica poteva sembrare un salto nel vuoto. Lo abbiamo incontrato in una delle sue giornate di lavoro al Senato e ci ha accolto nel suo ufficio per una chiacchierata a “spirito aperto”. Di lui ci piace raccontare la sua storia e il suo rapporto con la politica, affinché tanti giovani possano prenderlo come esempio per iniziare un percorso maledettamente difficile ma affascinante. E, premessa fondamentale, è una persona perbene proveniente da una famiglia perbene di sani valori e principi. Manfredi Potenti è nato a Cecina (Livorno) il 21 luglio del 1976 e per farlo conoscere meglio al nostro pubblico partiamo dagli studi e dalla formazione. “Dopo aver frequentato il Liceo Scientifico – racconta il Senatore Potenti - mi sono iscritto a Giurisprudenza, dopo un'esperienza transitoria di un periodo presso l'Accademia Navale di Livorno. Mi piaceva tentare questa avventura militare, settore di cui sono appassionato. Ma ahimè non ho avuto quello
scatto per affrontare in maniera decisiva quel percorso e così mi sono buttato a Giurisprudenza. Dopo la laurea è seguita la specializzazione, poi un periodo da Vice Procuratore Onorario presso il Tribunale di Pisa, ovvero Pubblico Ministero in udienza. Da lì ho avuto altre esperienze, anche all'estero, sempre nel settore Giustizia, che mi hanno permesso di conseguire vari titoli abilitativi. Mi sono poi perfezionato grazie ad un Master alla Bocconi in Management della Pubblica Amministrazione. Questo patrimonio formativo e culturale è ciò che mi ha consentito di spendermi in politica oltre che nell'attività professionale, dato che esercito la professione di avvocato”.
Senatore, come è avvenuto il suo avvicinamento alla politica?
“Sono il più vecchio militante della Lega in Toscana. Mi iscrissi al partito nel 1992 a 16 anni, quando ancora si chiamava Lega Nord. Mi innamorai del simbolo del guerriero che costituiva il logo, fui come folgorato sulla via di Damasco. In pratica vidi questo adesivo attaccato ad un lampione presso lo stabilimento balneare di Castiglioncello che ero solito frequentare da ragazzo. Seppi poi da amicizie comuni che anche un certo Matteo Salvini frequentava quello stesso stabilimento. Quando dici il destino...”.
Qual è stato il suo percorso in politica?
“Iniziai in una modesta sezione a Rosignano e continuai per tanti anni, senza mai interrompere, a fare attività a livello provinciale. Poi dal
2008 ho assunto l'incarico di responsabile provinciale della Lega. Prima di allora ero stato delegato per la parte della costa. Sono diventato poi commissario provinciale e segretario provinciale per ben due volte. Sempre da giovane, il primo incarico istituzionale è stato quello di consigliere di frazione a 20 anni per due volte. Negli anni Duemila sono stato candidato alla Camera e candidato in altre occasioni elettorali amministrative. Erano anni in cui, purtroppo, la Lega in Toscana aveva percentuali da prefisso telefonico. La svolta cominciò nel 2010, quando ero segretario provinciale a Livorno ed eleggemmo i primi rappresentati sia in Provincia che nel Consiglio Regionale della Toscana. Per arrivare poi al boom del 2019 quando abbiamo inserito per la prima volta gruppi di consiglieri comunali in tutti i Comuni con più di 15 mila abitanti, conquistando una roccaforte della sinistra come Piombino. L'anno prima, nel 2018, ecco arrivare la mia elezione alla Camera nel Collegio GrossetoArezzo-Siena-Piombino-Elba, Ma il clou è arrivato con lo scardinamento storico di un collegio blindato per la sinistra, quello di Livorno, grazie al quale lo scorso settembre nell'uninominale sono stato eletto al Senato superando il candidato di peso del PD”. Poc'anzi ci raccontava del suo primo incarico istituzionale...
“Sì come consigliere di frazione a Castiglioncello, dopo aver ottenuto alle elezioni 135 voti contro i 132 della candidata del Pds (attuale PD ndr)”.
Di cosa si occupava?
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Attualità
“Di piccole cose, dai marciapiedi alla cartellonistica, dal parco pubblico a progetto più grandi come l'apertura della biglietteria della stazione ferroviaria. Si trattava di questioni di paese con le quali ho metabolizzato la mia propensione a stare vicino alla gente”.
“Pensa globale, agisci locale”. Quanto è importante il modus agendi di un Parlamentare nei confronti dell'impegno per il proprio luogo?
“E' importantissimo! Perché con i nuovi sistemi di comunicazione, web e internet, si è in un certo senso dissolta quella piramide che era sempre stata la base dell'attività dei partiti, ovvero quando le problematiche locali arrivavano ai vertici attraverso vari filtri. Ecco, tutto questo è stato abbattuto di fronte ai rapporti che è possibile te-
nere con il proprio territorio attraverso gli strumenti digitali. In questa maniera si è più vicini ai cittadini anche solo per un problema di carattere locale che poi si riverbera sulle competenze nazionali”. Come è stata, nel 2018, la prima volta che ha messo piede in Parlamento?
“Impattante. Per la prima volta entravo in un mondo che avevo visto solo in televisione. Il primo effetto è quasi destabilizzante, scioccante. Sensazione che ho riprovato qualche mese fa entrando per la prima volta in Senato. E' un'emozione forte, ti senti un privilegiato e ti senti addosso quella fortuna e responsabilità di rappresentare i tuoi cittadini”.
Come vede oggi il rapporto tra i giovani e la politica?
“Ci sono tanti giovani che sono attenti alla politica ma
c'è anche una gran parte che non se ne interessa, forse è colpa nostra o forse è diritto dei giovani svagarsi. Esco da una legislatura nella quale il Parlamento, grazie al gruppo Lega e a quello del M5S, anagraficamente è stato il più giovane della storia della Repubblica. E questo ci fa capire che i giovani credono ancora nella politica”.
Che consiglio darebbe ad un giovane che voglia iniziare a fare attività politica?
“Di avere pazienza e lungimiranza. Quando mi iscrissi la prima volta, la Lega era un partito da 'zero virgola' in un territorio tradizionalmente di cultura politica opposta. O ero pazzo o visionario. Forse entrambe le cose. Ecco, non bisogna pretendere i risultati ma in un certo senso prefigurarli, credendoci e insistendo”.
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Quanto sente addosso la responsabilità di lavorare per i cittadini in un momento particolarmente difficile come questo?
“Doppia. Rispetto al passato, guardo l'agenda e non so più dove scrivere perché di segnalazioni e di problematiche, legate alla situazione economica, ne riporto tante. Tutte istanze che arrivano dal territorio e dalle associazioni di categoria”.
In che maniera svolge la sua attività politica nei giorni in cui non è al Senato?
“Lavoro sul mio territorio e ciò rappresenta il 50 per cento della mia attività. Mi crea equilibrio e mi rimette sui binari l'ascoltare le problematiche locali”.
Il complimento più bello
che ha ricevuto dagli avversari politici?
“Quello di riscontrare in me la diversità di approccio, la capacità di mantenere i rapporti cordiali con tutti, di rispettare l'avversario come persona e di non guardarlo mai come un nemico”.
C'è possibilità di tornare a veder risplendere il nostro Paese?
“Vedo gli strumenti in grado di risollevare il Paese. Altresì da dentro vedo le difficoltà legate all'apparato burocratico che rendono questo procedimento pieno di ostacoli”.
Lei è anche avvocato. A che punto è la Giustizia italiana? C'è ancora margine per un cambiamento?
“Sì, ne sono convinto. Anche se la struttura del mondo
giudiziario ha una forte capacità di resistenza e di resilienza. Tende a chiudersi di fronte al cambiamento. Quello che mi sento di dire che dalla parte politica c'è la volontà di costituire modalità non conflittuali per iniziare il cambiamento coinvolgendo tutti gli apparati”.
Ipotizzando un giorno una scelta: Ministro o Sindaco della sua città natale?
“Scelgo di fare il Sindaco della mia città, senza dubbio. Fare il ministro sarebbe più prestigioso e remunerativo ma l'altro ruolo, dedito ai miei cittadini, sarebbe più affascinante. Infine, ci tengo a dire che oggi sono un modesto consigliere della mia sezione comunale di Rosignano, che frequento come un normale militante”.
8 Attualità
Allarme Long Covid
Effetti prolungati nel tempo 1 su 10 smette addirittura di lavorare!
Era l’11 marzo 2020 quando il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, dichiarava Covid-19 una pandemia. In quei giorni lo tsunami si stava alzando per poi abbattersi con tutta la sua violenza sul mondo. Sono passati 3 anni e, ora che l’onda si è ritirata, i ‘fantasmi’ di una pandemia che tutti vorrebbero lasciarsi
alle spalle sono circa 65 milioni di persone strette nella morsa del Long Covid, imprigionate in un infinito 2020. Il tampone negativo ha decretato che il virus li ha lasciati, eppure è sempre con loro e li obbliga a una vita in bianco e nero, vago ricordo di quella di prima. Su questo esercito silenzioso la rivista ‘The Lancet’, una delle bibbie della comunità scien-
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tifica, accende i riflettori con un editoriale: ‘Covid lungo: 3 anni dopo’. Il messaggio è chiaro: “Il Long Covid viene spesso facilmente liquidato come una condizione psicosomatica. Dato ciò che ora sappiamo sui suoi effetti e sulle sue basi biologiche, deve essere preso sul serio”.
Nel 2021, si legge nell’editoriale, “abbiamo chiesto un programma coordinato di ricerca e assistenza sanitaria per affrontare questa nuova sfida medica. Tuttavia, i progressi sono stati terribilmente lenti a causa della mancanza di attenzione e risorse”.
“Alcuni progressi sono stati compiuti nella nostra comprensione della natura multiforme ed eterogenea” di questa condizione. In un commento su ‘The Lancet Infectious Diseases’, gli scienziati Akiko Iwasaki e David Putrino considerano le possibili cause, tra cui la persistenza virale, l’autoimmunità innescata dall’infezione, la riattivazione di virus latenti e i cambiamenti cronici innescati dall’infiammazione che portano a danni agli organi, fattori che potrebbero spiegare i diversi fenotipi dei pazienti Long Covid.
Come si sta intervenendo?
Sono in fase di sperimentazione diversi candidati trattamenti, basati su sintomi e meccanismi biologici diversi. Il nodo – si spiega nell’editoriale – è che “molti pazienti faticano a ottenere una diagnosi definitiva”, per via della sintomatologia diversificata del Long Covid, del fatto che si debba dipendere da quanto viene auto-riportato
dalle persone, della mancanza di test diagnostici e di una definizione di consenso. “Su scala globale, il Long Covid non ha ricevuto l’attenzione che merita e c’è una generale mancanza di consapevolezza pubblica”, denuncia Lancet.
In molte realtà i dati sono assenti, specialmente nei Paesi a basso e medio reddito. Dove invece gli studi sono stati condotti – come in India, Cina e Sudafrica – il Long Covid è stato rilevato. Da qui l’appello: “Un’agenda di ricerca multidisciplinare coordinata a livello globale, che riunisca governi, organizzazioni non governative e società civile, è essenziale per migliorare la nostra comprensione della causa e della patogenesi, della diagnosi clinica, dei trattamenti, dei fattori di rischio e della prevenzione del Long Covid. Solo nel dicembre 2022 gli Stati Uniti e la Commissione europea hanno tenuto una conferenza per promuovere la cooperazione internazionale” su questo fronte.
Nell’agosto 2022 gli Usa hanno istituito il Piano d’azione nazionale per la ricerca sul Long Covid, che ha portato i National Institutes of Health (Nih) a stanziare 1,15 miliardi di dollari per il progetto ‘Recover’ (Researching Covid to Enhance Recovery). L’Ue deve ancora definire un’agenda di ricerca per il Long Covid e la rete di associazioni di pazienti Long Covid Europe chiede 500 milioni di euro in fondi di emergenza Ue per la ricerca.
Senza trattamenti specifici,
osserva Lancet, “l’attenzione deve ricadere sulla prevenzione, mantenendo bassi i casi di Covid e garantendo la vaccinazione, e sull’assistenza multidisciplinare incentrata sul paziente”. I pazienti, molti con multipatologie complesse, necessitano di supporto multisettoriale “fisico, cognitivo, sociale e occupazionale”, elencano gli autori dell’editoriale. “Le prospettive per tali cure sembrano solo essere peggiorate. L’assistenza primaria ha sofferto in molti Paesi, le liste d’attesa si sono allungate e i sistemi sanitari sono in difficoltà”. L’educazione e la consapevolezza sulla gestione clinica del Long Covid nelle cure primarie rimane insufficiente e le disuguaglianze nell’assistenza continuano. In molti contesti sono ancora assenti piattaforme affidabili e autorevoli per supportare e guidare i pazienti.
“I ritardi nelle cure e nel sostegno a chi si misura quotidianamente con le sequele post-virus prolungano ed esacerbano i sintomi del Long Covid”, ammonisce Lancet. I mesi della crisi acuta della pandemia di Covid “hanno motivato una risposta senza precedenti da parte di governi, organizzazioni internazionali, aziende farmaceutiche e società civile – conclude la rivista scientifica – Il Long Covid non ha ricevuto neanche lontanamente lo stesso livello di attenzione o risorse: il risultato è stato un danno diffuso alla salute, alle società e alle economie. Dopo 3 anni, ne servono diversi altri” per arrivare a riconoscere, trattare e supportare adeguatamente i pazienti.
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Quando si parla di Federico Pini, non si può non parlare di emozioni. Emozioni “applicate” al giornalismo, terreno sempre più impervio e spesso asettico.
Sia che racconti l’arrivo di star internazionali sul red carpet del Festival del Cinema di Venezia, o le tragedie che in questi anni hanno colpito il nostro Paese (e non solo), Federico si emoziona - e ci emoziona, con le sue cronache puntali e approfondite, e sempre ricche di partecipazione emotiva.
Giornalista Mediaset dal 2001, Federico Pini ha cominciato il suo percorso professionale con la testata del
TGCom, prima sul sito e poi in video, a cui si sono aggiunti anche servizi per Studio Aperto e TG4. Ha collaborato a programmi ormai collaudati e di successo, come Verissimo e Matrix. Dal primo dicembre scorso è approdato al TG5, diretto da Clemente Mimun.
“Ringrazio il direttore per la sua fiducia, che mi riempie di orgoglio e mi sprona a fare sempre meglio”, commenta Federico, che in questi mesi ha continuato ad accompagnarci con i suoi servizi in giro per l’Italia.
Il TG5 rappresenta sicuramente il coronamento di tanti anni di lavoro.
“È un traguardo importantis-
simo, per me, che mi mette quotidianamente alla prova. Molto stimolante”. Quel che è certo, è che in tutti questi anni Federico non ha mai snaturato se stesso e la sua idea di giornalismo:
“Che è poi l’essenza di questo lavoro. Oggi tutti si sentono giornalisti: basta avere un telefonino tra le mani e mettere un video in rete. Non è così: il giornalismo ha il dovere, oggi più che mai, di recuperare le regole basilari: la ricerca, l’approfondimento, il vaglio e la fondatezza delle fonti”.
È rigoroso, ma anche un professionista che – dopo tanti anni – continua a sentirsi
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coinvolto nelle storie che racconta, trasferendo le sue emozioni a chi ascolta. Qual è stata l’esperienza che ti ha colpito di più, nella tua versione di “giornalista patinato”?
“Sicuramente il Festival del Cinema di Venezia e quello di Roma: due occasioni per incontrare attori e star di calibro internazionale, e poterli raccontare come persone più che come personaggi. Mi vengono in mente Meryl Streep e Johnny Depp, e poi ho anche sfiorato Brad Pitt. Mi è piaciuto andare oltre la vetrina dei Festival, e scoprire il loro aspetto più umano e normale”.
Tra gli eventi drammatici, invece, quale ricordi con maggiore commozione?
“Il terremoto di Amatrice. In quell’occasione mi sono reso conto della reale utilità del mio lavoro, sperimentando anche un senso di appartenenza molto forte. Ero lì a raccontare la tragedia, ma anche la solidarietà, la speranza. Le persone vedevano in noi giornalisti la possibilità di chiedere aiuto e di restare comunità, anche attraverso i nostri racconti e la presenza tra le macerie, insieme a loro”.
Ed è proprio questo, che rende unico Federico Pini: il suo essere giornalista prag-
matico ma profondamente umano, coinvolto in qualunque contesto. In versione “glam” - quando ci sono da raccontare le passerelle della moda milanese; professionista profondo e accorto, quando la cronaca lo chiama a portare nelle nostre case le tragedie “che ci riguardano sempre tutti, e non possiamo girare la testa dall’altra parte”, conclude.
C’è, poi anche un Federico Pini scrittore: due anni fa ha pubblicato un piccolo romanzo autobiografico, “Una finestra sul cielo” (Intrecci Edizioni) con una nota introduttiva di Cristina Parodi. Un esordio narrativo che ha sfi-
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dato uno dei momenti più delicati e drammatici, non solo per l’Italia ma per il mondo intero: quello della pandemia. Alla fine del primo lockdown, infatti, il suo libro ha portato luce e speranza, una nota di serenità. È il racconto del suo percorso di fede –scritto senza fronzoli e retorica, e senza voler “convincere” il lettore a credere. La sua è, piuttosto, la testimonianza luminosa e positiva di un’esperienza di vita e degli incontri “angelici” – anche quando non si tratta esattamente di angeli con le ali, ma di esseri in carne e ossa, che sono arrivati nella sua vita per un motivo preciso.
“Gli angeli esistono e si manifestano quotidianamente” - è questa la certezza che accompagna il cammino di Federico. La testimonianza di una conversione autentica (fino a 25
anni, non si era quasi posto il “problema” della fede), che può essere di esempio e sollievo non soltanto per chi crede: perché abbiamo tutti bisogno di un angelo, di una preghiera, di una persona che ci stia accanto e ci sostenga!
“Raccontare la mia conversione è stata un'esigenza dettata dal desiderio profondo di portare i lettori a scoprire quanto possa essere bello sapere che Gesù non ci lascia mai soli, servendosi anche dei suoi angeli. Sono sicuro che a molti capiti di sperimentare l'intervento di Dio nella propria vita, attraverso eventi inspiegabili con la ragione, ma forse tanti non se la sentono di aprirsi per paura di non essere capiti - o venir etichettati come fanatici".
Cronaca e partecipazione, resoconti ed emozioni, narrazione e pathos: sembra
proprio che questa sia la cifra stilistica del nostro Federico Pini, che riesce anche nei tempi strettissimi di un servizio televisivo a stimolare le corde più intime degli ascoltatori. Ci divertiamo con lui, sui red carpet e dietro le quinte delle passerelle; ci commuoviamo, di fronte a macerie e strade deserte durante il lockdown.
Federico sa raccontare questo nostro tempo, con la capacità di arrivare dritto al cuore. È questo il suo marchio di fabbrica: il giornalismo delle emozioni!
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16 Attualità
Allarme siccita’ in Italia
Circa 300 mila imprese agricole sono a rischio
Solo in Italia sono circa 300mila le imprese agricole che si trovano nelle aree più colpite dall’emergenza siccità che riguarda in gran parte dell’Europa, dalla Francia centrale e sud-occidentale alla Spagna settentrionale fino alla Germania meridionale, ma anche parti significative della Grecia settentrionale e meridionale Bulgaria e gran parte della
Turchia. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base della mappa europea del programma Copernicus che mostra allarmi e allerte sulla bassa umidità del suolo in molte parti meridionali del Continente con effetti sull’ambiente, sull’agricoltura e sugli usi civili. Il fiume Po è a secco e al Ponte della Becca (Pavia) si trova a -3,2 metri rispetto
allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate, secondo l’ultima rilevazione della Coldiretti mentre In Germania, le acque basse del Reno ostacolano il traffico commerciale costringendo le barche dirette verso l’Europa centrale a caricare a metà capacità, e in Spagna a Barcellona sono state adottate limitazioni per innaffiare i parchi.
18 Attualità
Turismo: Dati in crescita
Secondo i dati diffusi da Demoskopika il 2023 segnerebbe un incremento dei flussi turistici in Italia: oltre 442 milioni di presenze e quasi 127 milioni di arrivi, con una crescita rispettivamente pari al 12,2% e all’11,2% rispetto all’anno precedente.
Segnali in ripresa, dunque, per il settore nel Belpaese anche sul versante dell’incoming: a scegliere l’Italia per le vacanze sarebbero quasi 61 milioni di stranieri pari a poco meno della metà del dato complessivo degli arrivi previsti, generando ben 215 milioni di pernottamenti. Effetto traino anche sulla spesa turistica che, in valore assoluto, sfiorerebbe la soglia degli 89 miliardi di euro con una crescita stimata pari al 22,8% rispetto ai dodici mesi del 2022. Trend positivo dei flussi turistici, infine, in tutti i sistemi turistici regionali osservati.
È quanto emerge dalla nota previsionale
“Tourism Forecast 2023” dell’Istituto Demoskopika che ha stimato i principali indicatori turistici (arrivi, presenze e spesa turistica) per regione elaborando la serie storica dei flussi
dal 2010 al 2022. In particolare, al di sopra della media italiana, nel modello previsionale dell'Istituto di ricerca, si collocherebbero, in ordine decrescente rispetto alla variazione percentuale dei pernottamenti ben nove sistemi turistici territoriali: Trentino Alto Adige con 52,6 milioni di presenze (+15,4%) e con 12,1 milioni di arrivi (+11,8%), Veneto con 73,3 milioni di presenze (+14,8%) e con 19,1 milioni di arrivi (+11,0%), Marche con 13 milioni di presenze (+13,4%) e con 2,7 milioni di arrivi (+13,8%), Molise con 584 mila presenze (+13,4%) e con 182 mila arrivi (+14,3%), Toscana con 49,8 milioni di presenze (+13,4%) e con 14 milioni di arrivi (+13,5%). E, ancora, Lazio con 33,8 milioni di presenze (+12,8%) e con 11,5 milioni di arrivi (+12,8%), Sicilia con 15,9 milioni di presenze (+12,7%) e con 4,9 milioni di arrivi (+8,9%), Campania con 20,8 milioni di presenze (+12,3%) e con 5,7 milioni di arrivi (+13,1%) ed Emilia-Romagna con 42,8 milioni di presenze (+12,2%) e con 11,4 milioni di arrivi (+7,4%).
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In questo 2023 si prevedono oltre 440 milioni di presenza in Italia
Giuliana Balestra
Una giornalista da scoprire con un seguito di 130 mila followers su Instagram
20 Televisione
- di Luca Dell’Oro -
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Il pubblico da casa ha imparato a seguirla, ad apprezzarla e ad ammirarla. Giuliana Balestra è uno dei personaggi esplosivi ed emergenti della scorsa estate televisiva. Grazie alla sua presenza su Sportitalia, ha conquistato tutti per bravura e bellezza ma vola bassa. Alla sua immagine ha sempre scelto di affiancare la sua professionalità. Per lei, che sogna da sempre di diventare una giornalista sportiva, lavorare in tv è un trampolino di lancio verso sogni ancora tutti da realizzare. Nata e cresciuta ad Udine, diplomata in Ragioneria, è una delle predestinate del mondo televisivo. Lo sa bene il popolo del web che ormai da tempo l’ha incoronata fra le bellissime di Instagram. “Ma io non amo pubblicare tutta la mia vita privata sui social, mi limito a pubblicare il minimo – racconta – per me il mondo dei social è un bellissimo passatempo, al quale però do la giusta importanza”.
Ripartiamo proprio da qui: la tua immagine conquista per classe e eleganza.
“Sì, a maggior ragione non mi interessa il pensiero, o peggio il giudizio, che qualcuno possa fare limitandosi a guardare la mia immagine. La gente, attraverso i social, si crea l’immagine che vuole e i giudizi vengono dati con troppa facilità”.
Il tuo “mondo” sta diventando la tv.
“Ho iniziato a lavorare in Tv qualche anno fa: ho partecipato ad uno scherzo de Le Iene, poi ho trattato il calciomercato su Sportitalia, infine ho partecipato ad una puntata di Tiki Taka. Tantissime
esperienze, ma resto con i piedi per terra: penso che la strada sia ancora lunga e che ho ancora tanto da studiare”. Certo, questa è la tua strada…
“Lavorare in tv è sempre stato il mio sogno nel cassetto, con professionalità e competenze voglio guadagnarmelo sul campo. Anche grazie all’esperienza a SportItalia mi sono convinta che la differenza la faccia, sempre e comunque, la competenza che una persona è in grado di mostrare su un determinato argomento”. Certo, la tua immagine non sfugge…
“Sì, ma la fotografia e la cura estrema della propria immagine, sono armi a doppio taglio. Diciamolo sinceramente: è facile mettersi in gioco ma è molto difficile essere “forti” e ignorare i giudizi ed i pregiudizi che la gente si fa al riguardo. Tutto questo mondo, che in apparenza è principalmente strutturato sull’immagine, è molto più duro di quanto si posso immaginare”. Insomma, non basta essere belle!
“Su questo… poco ma sicuro! Ho solo 21 anni, ho fatto poche esperienze in questo mondo e non mi sento ancora pronta per dire che questa sarà la mia strada. Tuttavia, posso dire che sto valutando i pro e i contro”.
E, soprattutto, vuoi continuare a crescere senza smettere di essere la ragazza che sei…
“Nel quotidiano mi reputo una ragazza semplice: mi piace vestirmi bene e sentirmi sempre pronta in ogni occasione, ma le semplici cose per me hanno un valore imparagonabile. Non mi reputo ma-
terialista e, anzi, ci tengo più ad essere una bella persona dentro che una bella persona fuori”.
Insomma, ci sono ancora molte strade da scrivere. “Proprio così, per ora non smetto di lavorarci sopra! Ho ancora troppa poca esperienza nel mondo dello spettacolo per potermi
immaginare una carriera in questo mondo, però posso dire che per me é molto importante il percorso di studi che inizierò a settembre. Mi metterò a studiare per diventare una giornalista sportiva e per provare a trovare la strada che faccia al caso mio!”.
Contatto social: @giulianabalestra
23 Televisione
Maria Grazia Cucinotta
Cinema e non solo...
E nuovi impegni nella sfera del sociale
24 Spettacolo
- di Rosa Gargiulo -
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Declinare il curriculum di Maria Grazia Cucinotta è impresa ardua!
Definirla “attrice” è riduttivo, dal momento che ha applicato e continua ad applicare il suo talento, la competenza, l’esperienza acquisita, in tantissimi ambiti – da quelli professionali a quelli sociali.
Ma possiamo dire senza timore che l’attrice più rappresentativa e popolare a livello internazionale del nostro cinema non si risparmia, trovando sempre nuovo entusiasmo e importanti motivazioni per i progetti che abbraccia.
Osiamo dire che la sua “sicilianità” è una caratteristica fondante: la passione, il calore, la bellezza che scorrono nelle sue vene sono state un trampolino di lancio verso una carriera lunga e di grande successo, che le ha consentito di andare molto oltre i confini italiani. E questo successo non è riservato a tutte.
Dalla partecipazione al concorso di Miss Italia è passato un po’ di tempo, e Maria Grazia ha inanellato esperienze e grandi soddisfazioni, dimostrando la sua estrema versatilità: la valletta scelta da Renzo Arbore per “Indietro tutta” è andata ogni giorno, ogni anno, sempre oltre schemi e cliché.
Una bellezza piena di contenuto, una donna che non si limita a “giocare” col suo fascino mediterraneo, ma utilizza sapientemente le sue competenze, gli interessi, le possibilità che sul cammino ha colto – con professionalità e rigore, misto a entusiasmo.
La prima definizione che ci
viene in mente per Maria Grazia Cucinotta, infatti, è proprio “rigorosa”: un’artista che lavora con grande attenzione e puntualità, rispettando tempi e necessità delle produzioni, ma avendo molta cura per se stessa in quanto “strumento di lavoro”. Attenta agli eccessi, ai ritmi del jet set – che gestisce con oculatezza, alle esigenze dello showbiz ma – prima di tutto - a quelle della famiglia.
Sposata dal 1995 con Giulio Violati, ha una figlia, ed è cattolica – cosa che non ha remore a dichiarare, e non è scontato. Sono molti, infatti, gli artisti e i personaggi del mondo del cinema e dello spettacolo che non amano parlare di fede, e anche in questo la Cucinotta si distingue: con grande delicatezza ma con evidente orgoglio parla dell’aspetto spirituale della sua vita, intenso e permeante.
Sembra che Maria Grazia sia riuscita a far quadrare il cerchio, creando intorno a sé una sinergia positiva in qualsiasi ambito si muova. Non solo attrice, dicevamo, ma anche produttrice – regista e doppiatrice, oltre alle presenze in televisione.
Il 1994 è un anno che non dimenticherà mai: è la protagonista del film “Il postino” dell’indimenticabile Massimo Troisi, che la lancerà in tutto il mondo.
Nel 2005 inizia l’attività di produttrice con un film corale, diretto tra gli altri da Emir Kusturica – Spike Lee –Ridley Scott e John Woo: “All the invisible children”. E già da questa produzione si intuisce la sua grande attenzione ai temi sociali, che si è
concretizzata nel 2019 –quando ha dato vita alla Onlus VITE SENZA PAURAper combattere il bullismo, la violenza sulle donne, l’emarginazione, e sostenendo il progetto Anche io ho denunciato di Sabrina Lembo.
Altro impegno molto importante è quello che la vede tra le protagoniste e testimonial di “Race for the Cure” di Komen Italia, la più grande manifestazione (del mondo e nel nostro Paese) per la lotta ai tumori del seno.
Il debutto come regista arriva nel 2011, con il cortometraggio “Il maestro”, presentato in concorso alla sessantottesima edizione del Festival di Venezia.
Decisamente, Maria Grazia Cucinotta ha interessi artistici che spaziano a trecentosessanta gradi, abbracciando l’intera filiera cinematografica e non solo: dallo scorso anno è anche conduttrice televisiva, su LA7, nel programma “L’ingrediente perfetto”.
Tra i progetti che ha recentemente sostenuto, c’è il cortometraggio “Milena” –diretto da Stefano Amatucci e prodotto dalla Effezeta System , azienda che con il mondo del cinema non c’entra nulla, ma che ha una mission sociale che vuole percorrere, e Maria Grazia Cucinotta ha dato il suo generoso sostegno, con la partecipazione in qualità di protagonista.
Focus narrativo del cortometraggio è il sostegno all’imprenditoria femminile e l’inclusione delle persone con disabilità sui luoghi di lavoro.
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“Credo che sui luoghi di lavoro non debbano esserci differenze di genere, e le donne – nonostante i tanti traguardi raggiunti – sono ancora oggetto di pregiudizi legati alla produttività e alle competenze. Ritengo invece che vadano costantemente supportate, e le aziende debbano valorizzarne le capacità e il valore” , afferma Maria Grazia.
Per quanto riguarda l’altro focus che il cortometraggio ha voluto narrare, l’attrice sottolinea che “ la gente pensa che le persone con disabilità non possano fare nulla, non siano capaci di lavorare o impegnarsi in altri ambiti. Le persone con disabilità hanno capacità – talenti – abilità che vanno scoperte e valorizzate. Bisogna accoglierli nei luoghi di lavoro e dare loro l’opportunità di dimostrare quello che sono in grado di fare. Senza pregiudizi”.
Cosa c’è nel tuo prossimo futuro?
“Continuerò la conduzione de L’ingrediente perfetto, e girerò una serie televisiva, Amoral, tra New York e l’Europa”.
Avrai anche nuovi impegni di tipo sociale?
“Certo. A settembre riprenderemo la Race for the Cure, da Brescia, proseguendo poi per tutta l’Italia. E continua, naturalmente, il mio impegno con la Onlus Vite senza Paura, soprattutto per contrastare e denunciare la violenza contro le donne”.
Instancabile, la Cucinotta conferma la sua prospettiva ampia e variegata sulla vita –il lavoro e gli aspetti sociali, che ci restituisce con generosità e passione.
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Spettacolo
Paolo Conticini
Dopo aver fatto tanti mestieri un giorno per caso si è ritrovato a fare l’attore
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- di Alessio Certosa -
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Una gioventù fatta di tanti mestieri, un presente da attore e da personaggio televisivo tra i più apprezzati nel nostro Paese. Ha saputo costruirsi la sua professionalità da zero, giorno dopo giorno, imparando dagli attori più navigati. Lui è Paolo Conticini, reduce dal tour del suo spettacolo teatrale
“La prima volta”, prodotto da Nicola Canonico e diretto da Luigi Russo. Uno spettacolo apprezzatissimo dal pubblico, che lo ha applaudito in ogni sua performance.
Paolo, sei in un certo senso un'icona nel mondo dello spettacolo: teatro, cinema, televisione, Ballando con le Stelle e vincitore dell'ultima edizione del Cantante Mascherato.
“Wow! Che presentazione, addirittura un'icona!”. (ride)
Come è scoccata la scintilla che ti ha consentito di iniziare questo lavoro?
“Per caso. Come tutte le cose che ho fatto quando ero giovane. Ho fatto un sacco di cose perché volevo essere indipendente economicamente dalla mia famiglia. Facevo quello che mi capitava, ciò che mi offriva il destino. Poi, a causa di alcune coincidenze, sono entrato a far parte di questo mondo, che è diventato il mio lavoro”.
Ricordi il tuo primo lavoro dove hai guadagnato?
“Ho iniziato a 5 anni vendendo dei giocattolini, le figurine e le biglie di vetro. Avevo un banchetto e mi
mettevo vicino casa su via Cattaneo. Ogni tanto passava qualche signore e qualche signora e mi davano 10, 50 lire. E tornavo a casa felice di aver guadagnato”. Quanto è stato importante, in un momento come quello che abbiamo vissuto, portare a teatro “La prima volta” e ricominciare?
“Questo spettacolo è nato per gioco forza in quanto non si potevano portare a teatro gli spettacoli più grandi, con più protagonisti. Quando è scoppiata la pandemia stavo facendo 'Full Monty', che è stato sospeso durante le repliche al Sistina. E così, io e Luigi Russo, il regista, ci siamo guardati e, sull'onda del mio libro, abbiamo pensato di estrapolare alcuni passaggi e farci uno spettacolo teatrale ed è nato 'La prima volta'. E' stato importante ricominciare a lavorare. A parte me, che sto sul palcoscenico, dietro ci sono tante figure che lavorano per mandare avanti la propria vita”. Quali sono state le prime volte che hanno dato una svolta importante alla tua vita, specialmente quella artistica?
“Tutte. Grazie a queste sono riuscito, mattone dopo mattone, a costruire qualcosa ed arrivare fin dove sono adesso, non so se è tanto o se è poco”.
Hai qualche aneddoto in particolare da raccontare?
“Ricordo quando andò in onda la prima puntata di 'Provaci ancora prof', la ve-
demmo tutti insieme noi del cast e il giorno dopo ci telefonammo a vicenda dopo che erano usciti gli ottimi dati dell'audience. Da lì ho capito che questa era la strada giusta”.
Cosa consiglieresti ai giovani che vorrebbero intraprendere questo lavoro?
“Anzitutto di proseguire la strada degli studi scolastici. Poi se c'è questo fuoco che brucia dentro di iscriversi in qualche scuola di recitazione, quella che io non ho fatto. Ho avuto la fortuna di lavorare subito e di imparare sul campo dagli attori più bravi. Comunque questo è un mestiere difficilissimo fatto di incontri e coincidenze. Ci sono tante persone che hanno talento ma che non riescono a sfondare, perché forse non è passato per loro il treno giusto. Oltre a saper coltivare il proprio talento, la fortuna incide per il 70-80 per cento”.
Hai lavorato a fianco di tantissimi artisti. Cosa ci racconti a tal proposito?
“Tutti i momenti vissuti in questi 26 anni di carriera. Posso raccontare che quando abbiamo fatto tutti i film di Natale, insieme agli altri abbiamo vissuto momenti indimenticabili, questo perché ho sempre lavorato con persone che avevano voglia di divertirsi”.
Progetti futuri?
“Ci sono diverse cose in ballo. Sicuramente continuerò a portare in giro questo spettacolo, che mi piace molto”.
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Spettacolo
Edoardo Bennato
L’artista dall’umanità profonda eclettico e dotato di una cultura immensa
- di Donatella Lavizzari -
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Musica
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Ciao Edoardo, tu sei cantautore, musicista, architetto urbanista, sociologo ed esperto di geo-politica, come si interfacciano queste diverse competenze?
“Direi che c’è una costante complementarità. L’architetto urbanista e il sociologo, utilizzano il musicista per avere visibilità, affinché le proprie idee vengano conosciute. A sua volta, il cantautore musicista utilizza l’urbanista e il sociologo per dare un senso ai contenuti dei propri testi. Sulla copertina di ‘Io che non sono l’imperatore’ c’è riportato il mio progetto alternativo per le linee di trasporto collettivo urbane e interurbane di Napoli. Altro esempio è quello della Torre di Babele, perché si trattava di esplicare un simbolo biblico. L’uomo che sfida la Natura. Gli uomini volevano costruire una torre che arrivasse fino al cielo e la Natura li punì e confuse le loro lingue. Questo simbolo racchiude tutta la storia dell’Umanità. Evidenzia quelle che sono le schizofrenie dei singoli individui, che si ripercuotono a livello collettivo”.
Il corpo sociale sta vivendo momenti di perturbazione, squilibrio, disorganicità, mancanza di uniformità e di corrispondenza tra valori e modi di vita, instabilità delle istituzioni.
“Noi siamo, volenti o nolenti, esseri schizofrenici. Viviamo in equilibrio precario tra la nostra condizione animalesca, nel senso buono, e quella celebrale, intellettiva. Quindi gli esseri umani, chi più e chi meno, sono tutti schizofrenici. Anzi, paradossalmente, più responsabile è il loro
ruolo nella vita collettiva e più sono schizofrenici. Il Papa è senza dubbio più schizofrenico degli altri.Tutto questo dipende dal parametro latitudinale”.
Tu possiedi un grandissimo talento anche per le Arti Visive. Ricordo la mostra “ColorBlues” a Palazzo Durini, insieme al grande Mimmo Rotella.
“La mostra faceva parte del bellissimo progetto 'Colore della Musica' della Fondazione Maimeri, che metteva in relazione arte e musica. 'ColorBlues' si sviluppava attraverso un percorso di 30 opere dove, accanto ai celebri decollage di Rotella, era presente una serie di mie tecniche miste che richiamava i soggetti dei miei album musicali”.
Per le tue opere, inizialmente, hai usato un linguaggio stilizzato per poi approdare ad altre modalità espressive. Nel 2015 c’è stata la mostra con Vittorio Sgarbi, complementare all’uscita del tuo album ‘Pronti a salpare’.
“In quest’ultima, dal titolo ‘In cammino…’ ho utilizzato tele di dimensione 80x120 per raffigurare i cosiddetti Vu Cumprà che camminano lungo le spiagge e che rappresentano simbolicamente il cammino della Famiglia Umana, tema a me molto caro. Sono uomini e donne extracomunitari ritratti sulle spiagge delle coste italiane, nell’intento di vendere oggetti di ogni genere. Quello che li contraddistingue è un portamento elegante e una dignità che si percepisce anche dai loro sguardi. Ho voluto sottolineare l’umiltà di chi, per sfuggire ad una realtà fatta
di guerre e miseria, è stato costretto ad abbandonare la propria terra, con il sogno di inventarsi una nuova vita in un altro Paese”.
Recentemente hai esposto alla Pinacoteca a Sant'Angelo al Cassero, presso il museo di Castiglion Fiorentino.
2Ho esposto 35 opere, sempre relative al concetto di schizofrenie della Famiglia Umana. Sono scene di vita. Ritratti a colori e in bianco e nero, disegni e pitture su tela, realizzati per lo più con pennarelli acrilici”.
Sono opere che vogliono provocare, innescare meccanismi di confronto e riflessione, muovere le coscienze. Così come hai sempre fatto con la tua Musica, oltre ad emozionarci e farci sognare. Mi piace ricordare che tu hai vinto il Premio Amnesty International nel 2016 proprio con il brano ‘Pronti a salpare’.
“Io parto dal presupposto che non esistono razze diverse, ma solo un’unica razza umana. 'Noi siamo cittadini del Mondo'. È importante riuscire a scardinare i pregiudizi comuni e dobbiamo lottare per sconfiggere quell’infezione pericolosa e mortale che si chiama razzismo, che ancora attanaglia l’umanità. I giovani sono facile preda dei ‘persuasori occulti’ dei mass media. La Musica mi ha aiutato a svincolarmi da quei pregiudizi e da quei luoghi comuni un po’ troppo ancora presenti all’interno delle Facoltà universitarie a indirizzo umanistico. Questo è contraddittorio, perché è proprio dalle Università che dovrebbe scaturire la scintilla ‘rivoluzio-
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Musica
naria’, in senso buono del termine”.
Nel '74 cantavi “c'è il coprifuoco, e pensare che all'inizio sembrava un gioco, fate i bravi ragazzi e vedrete che sistemeremo tutto”. Tu hai sempre avuto grandi intuizioni e uno sguardo profetico che si ritrova anche in molti altri brani della tua discografia, da “Salviamo il salvabile” a “Viva la guerra”, a “L’uomo occidentale”. E questo stesso sguardo lo ritrovo nei tuoi ultimi quadri.
“Guarda questo camion rovesciato in una città abbandonata. È un quadro che ho realizzato a gennaio. È come
se avessi avuto una sorta di premonizione su quello che sarebbe accaduto poco dopo con la guerra in Ucraina. Vedi? Questa bambina, che ho ritratto in mezzo ad un cumulo di rifiuti, potrebbe rappresentare la situazione ad Haiti o in un qualsiasi altro luogo del terzo mondo. Si contrappone a questo dipinto che rappresenta l’America e la sua opulenza. In quest’altra tela ci sono delle donne velate con i fucili in mano, in un cortile recintato da filo spinato: un’immagine che rappresenta la condizione femminile in certe aree geografiche. La condizione femminile, come qualunque altro argomento che riguardi
la vita sociale, è connessa al parametro latitudinale. C’è diversità tra Oslo, Milano, Il Cairo: si ragiona sempre attraverso codici latitudinali. Un’altra incredibile intuizione è stata quella che mi è venuta a febbraio: ragazzini sulla Piazza Rossa. E poi c’è questa scimmia che guarda perplessa gli Umani”.
È come se ci dicesse: Homo Sapiens?! Non posso certo darle torto! L’Arte è da sempre una potente arma di denuncia.
“Io evidenzio le schizofrenie umane. Gioco, rischio, provoco. Il rock invita a riflettere, ha un costante riferimento all’attualità e il punk ne è una espressione
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straordinaria. ‘Salviamo il salvabile’, ‘Ma che bella città’ e ‘Arrivano i buoni’ sono pezzi punk, proprio per il loro atteggiamento provocatorio, sbeffeggiante e ironico nei confronti di una società che si autodefinisce saggia, posata, accorta, equilibrata, e che invece è totalmente schizofrenica. Per averne un’idea basta accendere il televisore e guardare quello che sta accadendo in queste ore. È un mondo di stampo Collodiano: ci sono Gatti, Volpi, Mangiafuoco e Grilli Parlanti. E all’origine di questo sfacelo c’è proprio il Grillo Parlante, che arringa le folle con la demagogia, che costruisce impalcature ad hoc per evidenziare tutti i mali della nostra società, senza però dare l’informazione fondamentale ai suoi accoliti e ai suoi adepti e cioè che esiste il male genetico dell’Italia che deve essere preso costantemente in considerazione. Il Grillo li ha illusi con la convinzione di poter ribaltare la situazione, ma non è così. C’è una malattia di fondo, l’Italia è stata costituita in un modo sbagliato”. Questa è una affermazione molto punk…
“Sì, lo è. Nel 1973, quando riuscii ad avere la ‘patente’ dalla intellighenzia di sinistra, le prese in giro nei confronti del Presidente della Repubblica venivano tollerate. Faceva parte dello sfottò, dell’ironia contro il Potere. In quegli anni, la satira era feroce con la politica. Regnava lo sbeffeggio. Il ‘potere’ ora ha il coltello dalla parte del manico e il nostro Paese resta prigioniero di Collodi. Io sono molto pragmatico e implacabile. L’Italia è ingovernabile da 150 anni.
Chiunque si azzardi a governarla si fa male. Ed è giusto che si faccia male. Ti spiego: è come uno che si ostina a voler guidare un taxi che non potrebbe circolare. E allora adduce continuamente scuse ai suoi clienti, aggiusta i vari guasti con soluzioni evidentemente temporanee, ma non potrebbe proprio circolare e condurre il veicolo. Quindi è colpevole”.
La tua è una visione molto cinica.
“A volte anche i genitori sembrano esserlo nei confronti dei loro bambini. Alzano la voce per farsi ubbidire. Pongono loro le regole. Certo è che ho tanti dubbi, tante incertezze, come tutti quanti. Ma una cosa mi è chiara: l’Italia è ingovernabile per come è costituita.
Quando a Copenaghen o a Oslo si elegge un delegato al Governo, non ci si limita a delegarlo, sia esso un Sindaco, un Assessore o un Ministro, ma lo si controlla, lo si pilota. Esistono di fili invisibili ma solidi che legano la Comunità al Potere. E in quel caso la Democrazia funziona, anche se non perfetta. Perché non è possibile ipotizzare una Società perfetta costituita da Individui imperfetti. Noi siamo Esseri imperfetti…il Paradiso in Terra non esiste”.
Siamo in pieno ‘tsunami’. In questi tempi serpeggia un forte senso di incertezza per il futuro.
“Assisto con rabbia a tutto quello che sta accadendo nel mondo. Ho una figlia di 17 anni e sono molto preoccupato per il suo futuro. Vorrei che riuscisse a realizzare i propri sogni. Purtroppo, ci troviamo ai margini, al limite di un burrone, quasi al punto
di non ritorno. Quello che accade nelle megalopoli africane porta conseguenze, dovremmo essere coscienti di questo effetto domino e agire di conseguenza. Devono pur esistere dei parametri in grado di mettere tutti d’accordo sui problemi etici, morali e politici di questo nostro pianeta! Ti faccio un esempio: la scienza delle costruzioni è la disciplina di base dell’ingegneria strutturale che si fonda sulla forza di gravità terrestre, parametro assolutamente inconfutabile, e che è riconosciuta e approvata da tutti”.
Argomento che tratti ampiamente nel tuo libro ‘Girogirotondo. Codex latitudinis’. L’uguaglianza, la fine delle guerre, la solidarietà, il rispetto per l’ambiente sono valori in cui credi fortemente.
“Argomento di clima, libertà, razzismo e povertà. Porto il lettore a fare delle riflessioni sulla correlazione fra ingiustizia sociale e luogo di nascita. I fatti della storia dono leggibili se comparati alla morfologia del pianeta”.
È quindi possibile essere fortemente condizionati da codici latitudinali?
“Sì. Vi accompagno in un viaggio di scoperta e alla fine ci sarà anche KOSO, l’extraterrestre disegnato da mia figlia quando era bambina, che mi aiuterà in questo difficile ma non impossibile cammino. Il fine è quello di trovare un antidoto al razzismo che divide la Famiglia Umana, unica 'razza' esistente”.
Caro KOSO. spero proprio che questo antidoto si trovi presto. D’altra parte, un Alieno la sa lunga sulle faccende terrestri… Tu ci osservi da lassù!
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Musica
G.A.E.T. sta per “grande auto emo terapia”, che trova applicazione in campo medico per curare tantissime patologie e per apportare un miglioramento delle condizioni di benessere fisico. Per capirne di più, ne parliamo con il dottor Antonio Gorini, esperto e conoscitore di questa strepitosa terapia, utile anche come anti-aging.
Ecco la mia testimonianza diretta. Una terapia che ho provato in prima persona a scopo terapeutico e che produce grossi e incredibili benefici. Ne avevo sentito parlare da tempo e la scorsa primavera, per recuperare al meglio da un problema di salute, mi sono sottoposto a tre sedute, una a settimana. I risultati sono stati ottimi, garantendomi una migliore ripresa e una maggiore forza fisica. Tant’è che, anche sentendo il parere del medico, sto proseguendo con una seduta al mese. Non ha controindicazioni ma tanti vantaggi. Parlo della Gaet, conosciuta più comunemente come ossigeno-ozono terapia. Una terapia che ha come
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obiettivo quello di portare l’ossigeno medicale in ogni parte dell’organismo, con effetti benefici strepitosi. Durante la fase iniziale della pandemia da Sars-cov-2, abbiamo letto della sua applicazione in alcune strutture sanitarie, soprattutto nel nord Italia, per curare il Covid nei casi più gravi e le testimonianze raccolte parlano di guarigioni eccezionali.
Da un po’ di tempo si sente parlare di Gaet, ovvero “Grande Auto Emo Terapia” con ossigeno ozono, in breve di cosa si tratta?
“La GAET o GAED è una delle modalità con cui si somministra un farmaco prodigioso, che è costituito da una miscela di ossigeno medicale e ozono. La somministrazione mediante GAET permette al farmaco di giungere in ogni distretto corporeo tramite il sangue, apportando numerosi benefici all’organismo sano o malato”. Tecnicamente come funziona?
“Come un normale prelievo di sangue. Il sangue prele-
vato viene fatto reagire con la miscela di ossigeno e ozono e reintrodotto nel paziente in tempo reale. Tutti i materiali usati per il prelievo sono ovviamente monouso e biocompatibili per garantire la massima sicurezza della procedura”.
Quali sono i campi di applicazione di questa terapia?
“Sono moltissimi. Si va dall’antiaging alle malattie cronico degenerative, all’integrazione terapeutica di malattie acute. Tra i casi in cui viene più spesso usata sono la fibromialgia, l’oncologia (supporto alla chemio e alla radioterapia), l’algodistrofia e altri dolori reumatici, ulcere cutanee, infezioni di vario tipo, problemi vascolari, stanchezza cronica e molti altri”.
La letteratura medica di questa terapia illustra innumerevoli benefici per la salute e il benessere, quali sono?
“L’azione della miscela di ossigeno ozono è quella di attivare all’interno del nostro corpo i meccanismi antiossidanti e antinfiammatori.
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Le eccezionali proprietà per la salute dell’ossigeno-ozono terapia: antinfiammatorie, antiossidative, antiaging e supporto oncologico
- di Alessandro Cerreoni -
Laura Gaetti
Una laurea sull’e-commerce sostenibile
- di Paolo Paolacci -
Laura, 21 anni, ci parla della sua tesi “E-commerce sostenibile: il caso WHATaECO” che rispecchia la sua necessità di un futuro qualificato e migliore per tutti. Interessante la spinta giovanile verso una necessità valoriale di considerare quello che facciamo, indispensabile per vivere un mondo migliore
Chi è Laura Gaetti oggi?
“Una ragazza di 21 anni curiosa, organizzata e determinata. Le due cose che ama di più sono viaggiare e la fotografia. Anche se deve ancora capire la strada giusta da percorrere nel suo futuro, possiede tanta voglia di aprirsi al mondo e di mettersi in gioco per fare veramente la differenza per se stessa e per chi la circonda”.
Con quale tesi ti sei laureata e perché l’hai scelta?
“Mi sono laureata con una tesi dal titolo “Ecommerce sostenibile: il caso WHATaECO”, in cui approfondisco i settori del commercio elettronico e della compravendita di beni sostenibili, per poi descrivere la logica alla base del modello di WHATaECO. La scelta di svolgere questo elaborato di tesi deriva dalla volontà di spiegare come esista un’alternativa al cosiddetto “modello Amazon” e come sia concretamente possibile cambiare le abitudini di consumo delle persone, indirizzandole a scelte più consapevoli ed etico-compatibili”. Cosa ti ha appassionato e convinto di WHATaECO?
“Fin da subito WHATaECO mi ha colpito per il suo impegno a tutto tondo al fine di ridurre al minimo il suo impatto ambientale negativo, non solo vendendo prodotti sostenibili, ma
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andando a coinvolgere l’intera gestione e il funzionamento della start up. A livello umano, ciò che mi ha colpito maggiormente è la passione, il coraggio e l’energia impiegata dalle due fondatrici nel progetto, allo scopo di dare risposta alla crescente domanda che chiede di “invertire la rotta” dell’attuale modello di consumo e così garantire a tutti la possibilità di un futuro”.
Come pensi di utilizzare la tua laurea adesso?
“Vorrei trovare un lavoro che mi permetta di imparare ancor più nella pratica il mestiere per poi poterlo svolgere con uno scopo ben preciso e che abbia un risvolto a livello sociale e territoriale. La mia più grande passione è viaggiare, scoprire luoghi e tradizioni locali di un paese sconosciuti alla stragrande maggioranza delle persone per poi farli conoscere a chi mi circonda. Prendendo come esempio l’Italia, il nostro territorio è colmo di realtà e iniziative locali da valorizzare come meriterebbero e ciò darebbe sicuramente al Paese una marcia in più”.
Pensi che il mercato e-commerce sarà sempre più globale oppure tornerà domestico?
“Sicuramente credo che il mercato e-commerce assumerà dimensioni sempre più globali e digitali. Tutto sarà ancora più collegato, superando i confini nazionali di ciascun paese. Proprio per questo motivo occorre che si sviluppi una consapevolezza ambientale sempre più approfondita in modo da produrre un tipo di sviluppo sostenibile sul lungo termine”. Cosa si dovrebbe fare per impostare un mondo più a misura d’uomo?
“Secondo me bisogna concentrarsi sul cambiare dalle radici le abitudini di acquisto delle persone, facendogli capire perché è importante e come poter concretamente adottare un approccio 'less is more' alla base del proprio stile di vita. Ad esempio, ciò può essere conseguito mostrando alle persone la presenza di alternative sostenibili ai beni di uso quotidiano, di cui spesso non si è a conoscenza, e come l’uso di questi prodotti comporti vantaggi per il pianeta, per la società e soprattutto per se stessi. Allo stesso modo, bisogna far capire alle persone che la tecnologia e il mondo frenetico odierno possono comunque conciliarsi con uno stile di vita slow, attento a se stessi e a chi ci circonda per trovare l’energia giusta da investire all’interno della
propria quotidianità”.
Forse i valori come rispetto, serietà e trasparenza (per citarne alcuni) non si stanno più praticando? E perché? Cosa è successo?
“Personalmente ritengo che la società di oggi sia estremamente cambiata rispetto a quella del passato, quindi è normale che anche i valori si debbano evolvere. Tuttavia, questo non vuol dire trovare una giustificazione per non praticarli, anzi. Bisogna trovare un modo per praticarli in maniera coerente con le nuove esigenze delle persone. I principali problemi che si stanno incontrando in questo processo di evoluzione valoriale sono di natura economica e personale. Da un lato, nel mondo odierno esiste un divario tra una domanda sempre più consapevole che chiede esplicitamente maggiore rispetto e serietà da parte delle imprese e della società contro una élite di organizzazioni che si concentra solo sulla massimizzazione del profitto, a discapito del capitale umano o delle conseguenze ambientali che essa comporta. Questo divario produce la necessità di agire anche utilizzando tecniche che nascondono la verità dietro alle proprie azioni e non garantiscono quindi trasparenza. D’altro canto, anche la domanda non è ancora del tutto consapevole o comunque esiste una parte di essa che sceglie volontariamente di non agire per il benessere generale in una prospettiva di lungo termine”.
Per chiudere, un sogno da realizzare a breve ed uno più a lungo per te e per tutti.
“A breve termine, spero di trovare a livello lavorativo una posizione “trampolino di lancio” per il mio futuro, stimolante e sfidante, e che allo stesso tempo mi faccia crescere a livello umano al fine di costruire progressivamente ciò che in prima persona voglio essere, sia dal punto di vista caratteriale che valoriale. Ho iniziato a farlo nelle esperienze di tirocinio affrontate durante il corso dell’università, soprattutto in WHATaECO, che mi ha aperto gli occhi davanti a svariate realtà che prima conoscevo solo in parte. A lungo termine, spero invece di riuscire a essere parte di un cambiamento positivo della società, assumendo un ruolo consapevole del fatto che il futuro è un bene comune di tutti e solo collaborando in vista della sua tutela è possibile fare veramente la differenza”.
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