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LA MIA “SARDITÀ” LA FORZA DI UNA TRADIZIONE CHE NON TI PERMETTE

Di Piegare La Testa

Vincintrice del

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di Manuela Ballo @gdspettacolo

premio

Mariangela

Melato per

l’interpretazione

di Fidela nel flm “La terra delle Donne” al Bif&st

Sono giorni davvero particolari, questi, per Paola Sini. Ha da poco tempo fnito di girare e di mostrare al pubblico La terra delle donne, un flm che prima ha fortemente voluto e poi interpretato con grande maestria. E subito al primo appuntamento, cioè al “Bif&st” (Bari International Film) le è stato assegnato il prestigioso “Premio Mariangela Melato” come miglior interpretazione femminile.

Cosa ha provato nel vincere il premio Mariangela Melato come miglior attrice?

Un’emozione infnita. E per di più per avere interpretato un ruolo che è così lontano da quelle che sono le normali performance attoriali. Per un’attrice della mia età è stata un’esperienza veramente abbacinante. Non ci sono appigli di sicurezza per entrare e rappresentare un personaggio come quello di Fidela, che nella pellicola è imbruttita e non ha forma. Un corpo, una faccia lontano un miglio da ciò che lo specchio mi restituisce ogni giorno. Un’esperienza unica, quella di mettermi nei panni di Fidela; di farlo anche sul versante personale e umano.

Questo flm parla della sua terra, la Sardegna. Questo flm mostra al mondo la terra in cui è nata: deve avere, perciò, un sapore particolare questo premio...

Sì, sono sarda ma a diciotto anni ho lasciato la Sardegna per seguire la mia strada artistica. Le origini mi hanno sempre seguita nonostante mi sia sempre sentita cittadina del mondo. Questa sardità è uno dei mo- tivi che mi hanno permesso di non piegare mai la testa e di accettare, magari, cose che non fossero adatte a me. Questa forza veniva da una tradizione che avevo vissuto durante la crescita; che percepivo nelle donne della mia famiglia e in una terra che è fortemente matriarcale.

Nel mondo attoriale si assiste a un dibattito tra la convivenza del cinema in quanto tale, vissuto nelle sale, e essere spettatori delle serie oferte dalle piattaforme streaming. Due modi diversi di assistere a uno spettacolo che però rischiano di entrare in contrasto. Lei da che parte sta?

Sono una di quelle persone che non riescono a lavorare per forza, sia sul piano produttivo sia su quello artistico. Per me un contenuto non vale un altro; per me il cinema è il cinema e si puoi tranquillamente fruire in maniera leggera come si fa con un programma audiovisivo meno impegnato, mentre mangiamo o siamo distratti dal telefono o facciamo altro in casa. Non demonizzo, dunque, assolutamente la fruizione dello streaming, specie per la copertura che ha oferto durante la pandemia. Tuttavia ha anche impigrito il fruire di un’opera gestita, voluta e realizzata per il cinema. Questo è evidente ai più. il cinema ha un’appartenenza catartica completamente diversa. Mi ritengo una sostenitrice del cinema da vedere in sala ma penso che una cosa non sostituisca l’altra ma che le due forme possano convivere. Le dinamiche e i contenuti sono di un’importanza chiaramente diversa. E poi c’è da dire che la cura del lavoro sul suono, delle ottiche anamorfche e della post-produzione non portano allo stesso risultato. Sono due forme, dunque, che possono convivere ma non possono sostituirsi l’una all’altra.

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Noi donne non abbiamo bisogno di essere gestite. Nasciamo già con una capienza di maternità dunque molti si aspettano da noi alcune cose e però ci vogliono anche indipendenti, lavoratrici ed è molto complesso e forse è più complesso oggi essere donne.

Come si è sentita nel fare un flm in cui la questione delle donne è posta al centro della narrazione e, soprattutto, in un flm fatto prevalentemente da donne?

È inutile nasconderci dietro ad un dito. Le donne nel nostro settore e Paese sono molto legate a dinamiche subalterne, sia nella produzione sia nella gestione di alcuni settori. Siamo ancora lontani da una dinamica omogenea. Questo è il frutto di una mia consapevolezza: avendo lavorato nella produzione per altre società ad un certo punto mi sono resa conto che il mio percorso personale non poteva più prevedere una stampella. Mi sono resa conto che se volevo fare qualcosa a modo mio, e mandare un messaggio di consapevolezza identitaria, o di risveglio, o un messaggio che parla del femmineo, della maternità o dell’ essere fnalmente chi vogliamo essere dovevo scrivere e produrre una mia opera. Solo successivamente ho deciso anche di interpretarla.

Diciamo che è stato un urlo in una crasi che si è manifestata in me nella maniera inequivoca. Arriva un momento in cui tutti i sogni per cui hai lottato o si trasformano in altro o, come nel mio caso, cambi direttamente lavoro. Diciamo che questo flm per me è ha rappresentato questo miracolo che si è compiuto; un miracolo meraviglioso che mi ha dato molta consapevolezza. penso che sia proprio questo il messaggio che arriva. Noi donne non abbiamo bisogno di essere gestite. Noi nasciamo già con una capienza di maternità dunque molti si aspettano da noi alcune cose e però ci vogliono anche indipendenti, lavoratrici ed è molto complesso e forse è più complesso oggi essere donne. In realtà noi possiamo essere tutto, madri, lavoratrici però deve essere una scelta consapevole che parte da noi e non dai pregiudizi o da una cultura familiare e sociale.

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