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NANNI MORETTI LA SUMM A

“Il sol dell’avvenire” segna la nona partecipazione del regista al Festival internazionale del cinema di Cannes

Esiamo a nove: tante sono le partecipazioni di Nanni Moretti al Festival internazionale del cinema di Cannes, a partire dal lontano 1978, quando sugli schermi della località in Costa Azzurra venne proiettato il suo secondo flm Ecce Bombo, fno a oggi, con l’ultima fatica, Il sol dell’avvenire, che sarà proiettato durante l’edizione in corso dal 16 al 27 maggio prossimi e che si preannuncia come una ricapitolazione autorifessiva e metalinguistica dell’opera morettiana. Una vera e propria summa delle tematiche, delle passioni e delle idiosincrasie che hanno connotato l’intero percorso cinematografco del regista, in una mise en abyme incentrata sul privato come spunto per ampliare lo sguardo sulla dimensione collettiva della realtà contemporanea, e con un deciso passo nella Storia, quella del Partito Comunista Italiano, fotografato in un momento lacerante delle sue vicende, il 1956 all’indomani dell’invasione dell’Ungheria da parte delle Armate sovietiche, ma anche, con il dovuto spazio al sogno, poiché il cinema è innanzitutto luogo dell’immaginario.

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Quasi cinquant’anni sono trascorsi dal primo lungometraggio, quell’Io sono un autarchico del 1976, girato in Super8, con cui dopo alcune prove “amatoriali” si faceva conoscere e apprezzare da un pubblico esigente che lo avrebbe seguito fedelmente nella sua evoluzione artistica. L’originalità dell’analisi sociale e di costu- me, unita all’attenta disamina politica, pur sottintesa, costituisce l’impalcatura per le vicende narrate e diviene la cifra distintiva del cinema di Moretti, puntualmente rinvenibile nelle pellicole successive, dal già citato Ecce Bombo del 1978, a Sogni d’oro del 1981, al memorabile Bianca del 1984, dall’intreccio giallistico, a La messa è fnita del 1985, in cui il regista abbandona l’alter ego Michele Apicella per impersonare il tormentato prete don Giulio. Con Palombella rossa del 1989 le tematiche politiche vengono espressamente rappresentate, come anche ne La Cosa dell’anno successivo, sulla trasformazione del Partito comunista in un nuovo soggetto politico e sul convulso dibattito che ne derivò; il motivo autobiografco torna a riafacciarsi nella flmografa degli anni Novanta rispettivamente con Caro diario del 1993 e Aprile del 1998.

Alla carriera registica Moretti afanca con successo quella di attore – come ne Il portaborse di Daniele Luchetti – e di produttore: all’attivo della sua Sacher Film sono le opere di giovani talenti quali Carlo Mazzacurati, lo stesso Luchetti e Mimmo Calopresti, mentre gli anni Duemila lo vedono impegnato nella realizzazione di pellicole di grande impatto emotivo, come La stanza del fglio del 2001, vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes nonché del David di Donatello, e Il caimano del 2006, impietoso atto di accusa verso il governo berlusconiano.

Bisognerà poi attendere il 2011 per assistere a un nuovo flm del cineasta romano, Habemus Papam, con l’indimenticato Michel Piccoli, e il 2015 per Mia madre, che ottiene ampi consensi di critica e di pubblico. La penultima fatica di Moretti è poi Tre piani, del 2021, per la prima volta non basata non su un soggetto origi- nale, opera corale sulla drammaticità dell’incomprensione e della solitudine, per arrivare infne al flm nelle sale in questi giorni. Che è davvero, come si è detto, un consuntivo, una ricapitolazione di ideali, manie e vezzi inanellati nel corso di quasi un cinquantennio di fervida attività, attraverso la maschera befarda, autoreferenziale, a tratti straniante di Moretti; una sorta di commiato dai suoi spettatori che lo vedono sflare lungo una via dei Fori Imperiali pavesata per una festosa quanto utopica parata insieme a molti dei suoi attori feticcio, a partire dalla coprotagonista Margherita Buy e Silvio Orlando, l’Ennio del flm, fno a Dario Cantarelli, Jasmine Trinca, Renato Carpentieri, Lina Sastri, i cui volti prediletti e amati incorniciano il fnale irrimediabilmente amaro.

Quasi cinquant’anni sono trascorsi dal primo lungometraggio, quell’Io sono un autarchico del 1976, girato in Super8, con cui dopo alcune prove “amatoriali” si faceva conoscere e apprezzare da un pubblico esigente che lo avrebbe seguito fedelmente nella sua evoluzione artistica.

Non sappiamo se questa sarà davvero l’ultima pellicola di Nanni Moretti, se la sua parabola artistica sia giunta a conclusione – la vitalità sin qui dimostrata ci rende difcile immaginarlo. Il sol dell’avvenire dimostra una maturità artistica compiuta, con il raggiunto equilibrio tra dimensione pubblica e privata, il fecondo uso del metacinema, il cinema che rifette su se stesso e su chi lo fa, come strumento per indagare il passato ed il presente. Numerosi i momenti memorabili, sempre però spezzati da un’apprezzabile autoironia, che probabilmente piacerà molto ai francesi. Vedremo.

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