3 minute read

MARCO BELLOCCHIO TUTTA UNA VITA DI CINE M A

Dopo la Palma d’oro alla carriera del 2021 con “Max può aspettare” e il successo di “Esterno Notte” dello scorso anno, il regista piacentino torna in gara al 76° festival di Cannes con “Rapito”

Dopo essere tornato sulla tragica vicenda di Aldo Moro, con Esterno notte, Marco Bellocchio si cimenta di nuovo con la storia. Il suo ultimo flm, Rapito, in gara al 76° festival di Cannes, ambientato nella Roma pontifcia di metà Ottocento, narra infatti la vicenda reale di un bambino ebreo bolognese, Edgardo Mortara, rapito all’età di sette anni dai soldati di Pio IX ed educato alla fede cattolica. Notevole è l’attesa di questa pellicola, come si conviene ad un artista sempre controcorrente nella sua visione anticonformista della società e della storia del nostro Paese, sin dal bruciante esordio, I pugni in tasca (1965), dove mise in scena il precipitare nel baratro della follia di un giovane frustrato dall’oppressivo ambiente familiare.

Advertisement

Formatosi sull’esperienza del neorealismo e sulla lezione di Antonioni, con le sue incursioni nell’alienante panorama esistenziale della modernità, Bellocchio dimostrò subito grande padronanza dei mezzi tecnici e rafnato gusto estetico, un’acuta sensibilità verso scottanti tematiche sociali.

Gli anni della contestazione gli ofrirono lo spunto per La Cina è vicina (1967), anch’esso incentrato sulle problematiche familiari in un mondo in trasformazione, vigoroso atto d’accusa verso l’incancrenita ipocrisia borghese in quegli anni presa di mira, mentre in Amore e rabbia (1969) afrontò il tema del dibattito studentesco allora al centro dell’impegno giovanile. Con Sbatti il mostro in prima pagina (1972), sceneggiato da Gofredo Fof, disegnò un impietoso ritratto dell’ambiente gior- nalistico, grazie anche all’indimenticata maschera di Gian Maria Volonté. Dello stesso anno è Nel nome del padre, in cui rilanciò i suoi strali contro le antiquate istituzioni educative.

Le questioni più problematiche dell’attualità furono materia per le successive realizzazioni del regista piacentino, che con gli sceneggiatori Sandro Rulli e Stefano Petraglia mise in scena il dramma dei malati psichiatrici in Matti da slegare (1975), e il militarismo in Marcia trionfale (1976). I temi degli esordi riaforarono nel decennio successivo: Salto nel vuoto (1980) e Gli occhi, la bocca (1982), entrambi interpretati da Michel Piccoli, rifettono sulle complesse dinamiche familiari e sulla fgura del suicidio. L’autobiografco Vacanze in Val Trebbia (1981) si afancò poi al letterario Enrico IV (1984), libera trasposizione dell’omonima tragedia di Luigi Pirandello, co-sceneggiato con Tonino Guerra e con le star Marcello Mastroianni e Claudia Cardinale.

L’incontro con lo psichiatra Massimo Fagioli segnò una nuova stagione del suo cinema, con l’immissione di tematiche oniriche e freudiane, il cui primo frutto fu Diavolo in corpo (1986), seguito da La visione del Sabba (1988), che afronta la stregoneria dei tempi moderni, La condanna (1991), dissacrante rifessione sul delicato tema dello stupro, che gli vale l’Orso d’argento al Festival di Berlino, lo sperimentale Il sogno della farfalla (1994). In Sogni infranti – Ragionamenti e deliri (1995) riprese un tema a lui caro, riconsiderando la cultura rivoluzionaria post-sessantottina; quindi tornò alle fonti letterarie ne Il principe di Homburg (1995), tratto da un’opera di Heinrich von Kleist, in cui convivono l’anima onirica e l’attaccamento ossessivo alla mate- rialità, e con La balia (1999), ispirato a uno scritto di Pirandello, dove si rappresenta l’incapacità di amare attraverso la follia decadente dei personaggi.

“ ”

Formatosi sull’esperienza del neorealismo e sulla lezione di Antonioni, con le sue incursioni nell’alienante panorama esistenziale della modernità, Bellocchio dimostrò subito grande padronanza dei mezzi tecnici e rafnato gusto estetico, un’acuta sensibilità verso scottanti tematiche sociali.

Nel nuovo secolo tornò al documentario con Addio del passato (2000), dedicato a Giuseppe Verdi, mentre L’ora di religione – Il sorriso di mia madre (2002) vide la grande prova di Sergio Castellitto nei panni di un pittore scisso tra la difesa della sua laicità e le pressioni della famiglia.

L’anno seguente portò a Venezia Buongiorno notte, sofferta rilettura del sequestro Moro, con la magistrale recitazione di Roberto Herlitzka, mentre con Sorelle (2006) e con Sorelle Mai (2011) si sofermò su una dimensione più privatistica, per poi tornare con Il regista di matrimoni (2006) sul tema del laicismo, narrando amare storie minimaliste di delusioni e passioni amorose con tocco metafnzionale.

La storia riapparve in Vincere (2009), con la vicenda di Ida Dalser, prima moglie di Mussolini, rifutata e internata fno alla morte in un manicomio; la cronaca con Bella addormentata (2012), ispirato alla vicenda di Eluana Englaro.

Dopo Sangue del mio sangue (2015), flm tra il fantastico e lo storico in cui ritrovò Herlitzka, il biografco Fai bei sogni (2016) da un soggetto di Massimo Gramellini, e Il traditore (2019) sulla fgura di Tommaso Buscetta, il documentario Marx può aspettare (2021), che a Cannes gli procurò la Palma d’oro alla carriera, e l’apprezzatissimo Esterno Notte (2022), Bellocchio ci riprova, con non poche frecce al suo arco.

This article is from: