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CHE CONTINUO AD ESSERE

di Marco Spagnoli @marco_spagnoli

Il regista bolognese si racconta mentre nelle sale c’è il suo ultimo flm con Edwige Fenech, Gabriele Lavia e Lodo Guenzi

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rovenendo da un’esperienza musicale in cui appunto la competizione più che la condivisione è quella che fonda il rapporto tra le persone, questo flm è quello in cui ho raccontato alcune mie debolezze come la gelosia. Un tema che solo fno ad alcuni anni fa non sarei stato capace di afrontare, almeno non così.” Pupi Avati spiega il suo legame “intimo” con il suo ultimo lavoro La quattordicesima domenica del tempo ordinario in cui lo troviamo a dirigere Edwige Fenech, Gabriele Lavia, Lodo Guenzi, Massimo Lopez e Gabriella Ciraolo. “Secondo l’anno liturgico quella domenica è quella che segue la Quaresima e anticipa l’Avvento e per me è il giorno in cui mi sono sposato: il 27 giugno 1964. Così ho immaginato una separazione da mia moglie lunga 35 anni, nella reciproca aspettativa di vedere entrambi realizzare i nostri sogni. Ho poi pensato a un nuovo incontro in cui constatavamo quanto questi sogni non fossero andati in porto e quanto fossimo cambiati rispetto ad allora”

Lei spesso con flm come Festival e Quando arrivano le ragazze ha voluto afrontare il legame complesso, talora ‘sulfureo’ tra successo, gelosia, passione ed emozioni…

La mia esperienza mi dice che c’è sempre un grande mix fra l’amicizia e la competizione: una miscela che, a sua volta, si va a mescolare al grande miscuglio che c’è fra amicizia e l’amore.

Il suo è un altro racconto della “straordinarietà della normalità”…

È vero, i miei protagonisti sono, in genere, persone molto comuni alle prese con grandi sconvolgimenti interiori: questioni che erano già presenti in flm di tanti anni fa come Impiegati, Regalo di natale, Quando arrivano le ragazze. È un leit motif che si ripete, questa amicizia che va a confrontarsi a un certo punto col tradimento. Addirittura va a “confondersi” con esso per poi tornare ad essere amicizia o amore più di prima, a seconda delle storie, a seconda delle situazioni. Si tratta di esperienze vissute sulla mia pelle: io ho tradito e sono stato tradito, ho amato e sono stato riamato, ho invidiato e… no, non credo di essere stato invidiato…

Del resto la normalità è sempre straordinaria, non ce ne rendiamo conto, ma ogni vicenda umana è assolutamente unica, eccezionale, irripetibile.

Io vengo dalla stessa terra di Giorgio Morandi un pittore che ha trovato la “quiddità”, cioè il far diventare identitario qualcosa che generalmente non è considerato tale: Morandi aveva questa peculiarità che si traduceva in un atteggiamento di attesa che qualcuno ha defnito con molto senso una sorta di “preghiera”.

Il pittore osservava e attendeva che una bottiglia diventasse una bottiglia così come faccio io che attendo nel mio cinema di osservare un essere umano nella sua vicenda più banale, più trita, più consueta, nella quale tutti possiamo in qualche modo riconoscerci.

Io adoro le storie come questa così dove tutto è molto, molto, molto normale e tuttavia diventa eccezionale, proprio perché è il come la racconti che la fa diventare tale. Tutto dipende da quanto tu ti sofermi su quella quotidianità, su quella normalità di quegli sguardi e di quel amarsi o non amarsi per cui questa diventa una storia che vale la pena di essere vista.

Il suo è un cinema che non si può imitare, perché per fare il cinema di Pupi Avati devi avere vissuto la vita di Pupi Avati…

È possibile, ma si tratta sempre di sentimenti estremamente condivisi, perché poi noto che gli spettatori si riconoscono.

È difcile ammettere pubblicamente di ritrovarsi in personaggi e storie che trovano la propria nobiltà a dispetto di tutto pur di diventare racconto.

Anche questo è un flm di una persona totalmente immatura quale io sono…una condizione che, forse, non mi fa onore è vero, ma che in un certo senso io rivendico.

Lo dico con orgoglio: io non mi sono mai emancipato da quell’età e non sono mai venuto via da quel chiosco di gelati dinanzi a cui si muovono i personaggi di questo flm. Ho preferito portare via da Bologna il chiosco e l’ho nascosto a Roma dentro di me tutti questi anni.

Un “immaturo”?

Un immaturo di 84 anni, che è ancora un sognatore: io mi aspetto “ancora” di fare flm della mia vita, io mi aspetto “ancora” di fare delle cose che diano un senso, una ragione alla mia vita. Ho fatto questo flm anche per incontrare mio padre. E l’unico strumento di cui potevo disporre è ancora una volta il cinema.

Altri registi non avvertiranno questa necessità di rendicontare al proprio genitore, ma io sì. Ho sentito, a un certo punto del mio percorso verso la fne, verso l’imbrunire, di dovere mettermi a contare quello che ho fatto della mia vita.

Nel mio cinema c’è il tentativo di trovare persone che si riconoscono in quello che faccio. È questo che mi sembra che dia grande senso a tutto un po’ come accade nelle dichiarazioni d’amore o d’amicizia: il primo si espone al rischio di sentire dall’altra parte il rifuto di un altro o di un’altra.

Perché le donne dei suoi flm come Edwige Feneche ne “La Quattordicesima domenica del tempo ordinario”, ma anche come Vittoria Puccini, Laura Morante, Francesca Neri, Vanessa Incontrada solo per citarne alcune diventano ‘indimenticabili’ nel suo cinema… Le donne dei miei flm le ho amate letterariamente dal momento in cui le ho descritte. Poi si materializzano e prendono le sembianze delle attrici, ma all’origine sono totalmente idealizzate. Devo, forse, ammettere che la donna, protagonista dei miei flm è sempre la stessa e spesso si chiama Sandra come il mio primo amore che – anni dopo – è stata uccisa dal marito geloso dinanzi alla scuola della fglia. Dinanzi a questa protagonista c’è una distanza che non cambia mai.

C’è fra me e lei uno spazio che, grazie al Cielo, è rimasto incolmabile. Io sono sempre quel ragazzetto immaturo e giovane che a Bologna per fare colpo si beveva otto Campari Soda.

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