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Il coraggio di… avere paura

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Volare Iraq

Volare Iraq

Cosa ci potrebbe essere di più bello d’inverno di una tranquilla serata a casa, magari mangiando una pizza e i bambini fanno festa, potrebbe esserci anche la possibilità di vedere un film, di quelli che anche se ti distrai non ti perdi niente… e poi fuori il vento è così forte, piove, stare in casa è bellissimo. Detto fatto, dai propositi all’azione, parto e torno con la pizza e a casa è tutto pronto. Le solite discussioni per il pezzo più grande o il più piccolo e sto benedetto telefono che squilla mentre la birretta fa la sua apparizione a tavola. Niente di speciale visto che la piccola dopo aver risposto parla tranquillamente, qualcuno di famiglia penso, poi mi passa il telefono dicendomi: è un tuo amico… “Pronto?” La sala operativa, sono reperibile, il soccorso. Tutto in pochi momenti, mentre iniziano le domande di rito, dove vai, che è successo sono già con la combinazione da volo e saluto lasciandomi alle spalle tutto il programma serale e qualche muso lungo. Nel tragitto fino all’aeroporto solo le folate improvvise e fastidiose mi scuotono dai pensieri, ma dove andiamo con questo tempo? Va beh, non ci pensiamo. Nella sala operativa trovo gli altri dell’equipaggio, ognuno fa il suo, a me e l’amico, collega di turno, tocca tirare fuori l’elicottero. HH-3F dice la sigla, il cosiddetto “padre di famiglia”, il pellicano, il barcone, fino ad ora era stato lì, pacifico, silenzioso... Solo, invece nell’arco di pochissimo si sarebbe trovato per aria a cercare un navigatore solitario straniero a svariate miglia dalla costa siciliana con un albero della sua barca a vela rotto, in balia delle onde, direbbe un navigato romanziere. Ma che ci faceva ’sto tizio con quel tempo in mezzo al mare? Non ce lo siamo chiesto più di tanto: briefing sulle condizioni meteo, pessime, sulle operazioni da fare, sul tempo

che sarebbe trascorso prima di arrivare sul punto. L’adrenalina e la voglia di salvare la pelle a questo emerito sconosciuto ha prevalso sul dubbio di agganciare o meno, ma a patto che la ragione avrebbe avuto la parte di protagonista nell’operazione in caso di ulteriore peggioramento. Il rotore ha iniziato a muoversi, il vento non cala di un nodo, la bandiera vicino al comando sembra inamidata, il Secondo Pilota è un ragazzo in supporto, non lo conosco bene, ma è del SAR: ognuno farà la sua parte. In volo ripetiamo il da farsi mentre il radar cerca un buco tra le nuvole dove passare, la torre già ci aveva parlato del temporale sulla zona da raggiungere, andiamo avanti. Avanti… avanti… ma avanti dove? Troppa turbolenza, troppi lampi, nessuno spiraglio, qui ci vuole coraggio, si, quello di ritornare a casa. Il coraggio di avere paura. Essere del SAR significa anche questo, avere il coraggio di rinunciare a denti stretti e ingoiando il boccone amaro. L’unica possibilità di salvare quell’uomo era di tornare indietro e ripartire all’alba, sperando di farcela. Questo è stato fatto: il nostro addestramento prevede anche questo. All’inizio sembra una sconfitta, solo a sangue freddo si apprezza il gesto, è una esperienza, non la migliore ma è giusto condividerla con chi legge, siamo gente normale che fa qualcosa di speciale, come recita un noto spot dell’Aeronautica. Se lo facciamo bene o meno non sta a me dirlo, ma di sicuro si fa di tutto per tornare sempre con la coscienza a posto a casa, chi ti aspetta merita questo ed altro visto il supporto paziente e silenzioso che dà, ma questa è un’altra storia. Per la cronaca: il giorno dopo all’alba il soccorso è stato effettuato con pieno successo.

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M1 Michele Carella

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