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Palagiano-Palagianello

8 settembre 2003

Era un giorno come tanti altri e mi trovavo in Aeroporto insieme agli altri membri dell’equipaggio che, come me, erano in servizio SAR (Search And Rescue-Ricerca e Soccorso) pronti a decollare, in caso di necessità, in 30 minuti. Era una giornata grigia e piovosa ma nonostante tutto nell’apparenza tranquilla. Aveva piovuto tanto e non sembrava volesse smettere ne tanto meno diminuire di intensità. Ciò nonostante nessuno di noi avrebbe mai immaginato ciò che sarebbe accaduto di lì a poco ed in più il pomeriggio volgeva verso la fine: presto avremmo tutti lasciato il posto di lavoro e, terminate le ultime procedure di messa in sicurezza dell’elicottero per la notte, ognuno di noi avrebbe raggiunto la propria famiglia per il meritato riposo.

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Nel nostro lavoro però, come l’esperienza mi ha insegnato, può capitare di tutto, normalmente non vi è alcun preavviso e l’urgenza dell’intervento fa passare in secondo piano tutto il resto. Così nel giro di pochi minuti ci ritrovammo tutti davanti all’elicottero, pronti a decollare verso un’area a Nord-Ovest di Taranto. Un corso d’acqua aveva rotto gli argini ed aveva trascinato a valle una notevole massa di fango e detriti travolgendo tutto ciò che vi era lungo il suo percorso: veicoli leggeri, case, tratti di strade ecc. Inoltre, più a valle, vi era una vasta area i cui abitanti erano rimasti isolati proprio a causa dell’allagamento. L’ordine era di recuperare chiunque si trovasse in stato di necessità e di prestare soccorso ai malcapitati. Dopo circa 30 minuti di volo arrivammo nella

zona del nubifragio e subito notammo che la situazione era critica: automobili isolate ed immerse in un mare color fango, alberi sradicati e trascinati a valle. Interi agrumeti erano stati spazzati via dalla furia dell’acqua e del fango e numerose persone, non potendo uscire dalle proprie abitazioni, si erano rifugiate sui tetti. Il primo intervento fu a favore di un signore dentro la propria automobile, per metà immersa nell’acqua fangosa. In un primo momento sembrava non fosse occupata da nessuno, ma poi notammo una persona sbracciarsi al suo interno e decisi di mandare giù l’aerosoccorritore per verificare le condizioni del “naufrago”. In effetti l’occupante del mezzo era in buone condizioni fisiche, ma spaventato a tal punto da non essere nemmeno in grado di scendere dalla propria auto e raggiungere a piedi una zona sopraelevata non molto distante da lui, dove si erano raccolte altre persone. Una volta accompagnato lo sfortunato automobilista verso un’area sicura, riprendemmo le nostre ricerche. Ma gli interventi più critici e più impegnativi furono tutti a favore della gente isolata e sui tetti dei palazzi, che sembrava quasi sapere che sarebbe arrivato qualcuno dall’alto per recuperarli e riportarli alla normalità. In particolare, ricordo di aver ceduto al mio sottocasco qualche goccia di sudore in più quando si trattò di recuperare, con l’imbracatura e per mezzo del verricello, una giovane coppia con un figlio di un anno. Ciò che mi preoccupava erano le dimensioni del bimbo non proprio conformi alle dimensioni della imbracatura (normalmente studiata per essere indossata da adulti). Inoltre, era pur sempre un bimbo piccolo, del quale non si potevano prevedere le reazioni di fronte ad un evento così particolare come quello di essere tirati a bordo di un elicottero, per mezzo di un cavo di acciaio e sospesi nel vuoto, con tutto ciò che ne segue: rumore intenso, aria turbolenta, paura, ecc... Dopo aver analizzato le varie possibilità a nostra disposizione, visti i mezzi e le condizioni ambientali, decidemmo di usare una braga doppia e di assicurare il bambino ponendolo tra il padre e l’aerosoccorritore ed alla fine, a manovra ultimata, tirai un sospiro di sollievo e diressi verso il più vicino aeroporto per lasciare il gruppo di persone che avevamo raccolto, fare rifornimento e ritornare in zona per recuperare altre persone. Fu durante questa fase del volo che mi voltai verso la cabina di carico e vidi le facce sconvolte dei passeggeri che avevo a bordo: gli straordinari e distruttivi eventi naturali delle ultime ore, più l’esperienza del recupero con l’elicottero, avevano provato i malcapitati e penso che non vedessero l’ora di mettere i piedi per terra. Nel vero senso della parola! Il bambino invece non mi sembrava particolarmente colpito da questa esperienza; forse non aveva abbastanza esperienze di vita da poter valutare ciò che gli era accaduto, oppure l’abbraccio dei genitori lo aveva già rasserenato. Di sicuro quel giovanissimo malcapitato non avrebbe dimenticato così facilmente quelle esperienze e neanche io. O forse lui si!?

Cap. Neville Rossi

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