16 minute read

Salvare assolutamente i ragazzi

Una settimana terribile, di quelle che il buon Dio ci manda di continuo grazie alla penuria di gente ormai cronica al Quindicesimo. Avevamo in casa la “Squalo 03”, un’esercitazione annuale SAR (Soliti Addestramenti Ripetuti) coordinata e svolta dall’RCC, funestata dal cattivo tempo, reso ancora peggiore dalle forti raffiche di vento, e l’allarme da assicurare. Così passai il mio compleanno, tra il vento ed il tempo che non ne voleva sapere, e mia moglie che, come ogni volta, inghiottiva il solito rospo dell’ennesima ricorrenza trascorsa ognuno per fatti nostri. Tre giorni dopo finalmente ‘sta storia della Squalo finiva e noi, che eravamo solo in quattro piloti, potevamo finalmente tirare un respiro di sollievo (almeno così speravamo!!), per cui la sera del VENERDI 17 ottobre 2003, io, Diego (che è un pilota che stava da noi in

supporto per quella settimana con cui montavo d’allarme) e gli altri ci salutammo speranzosi di poter trascorrere un fine settimana tranquillo e poter finalmente riposare le ossa. Ehehe… e se finiva che ci riposavamo… mica ve la scrivevo la storia!! Alle 23.00 circa ci rivediamo tutti quanti in SOR, attaccati al telefono per avere tutte le notizie che ci servono per andare a recuperare 5 ragazzi a bordo dell’“ASGARD”, una barca a vela lunga 12 metri in balia delle onde in mezzo al Mediterraneo. Il giorno prima in TV avevano trasmesso il film “La tempesta perfetta”, assolutamente in tema per quello che stava accadendo dalle nostre parti, visto che il vento quella sera

Advertisement

raggiunse 52 kts, e che tra le altre cose raccontava di un soccorso, finito come è finito, dove l’aerosoccorritore in un mare di stato incalcolabile (oltre 10 sicuro!!) aveva il tempo e soprattutto la tranquillità di presentarsi ai suoi “survivors” con la frase: “Buonasera, sono il suo aerosoccorritore paracadutista in servizio per lei stasera…” il tutto tra i marosi ed il vento in una barca a vela in procinto di affondare. Baldo, il nostro aerosoccorritore di servizio, il cavaliere senza cavallo, nonché l’uomo che, nonostante la statura, è specializzato nel salvare le persone a gruppi , ovvero un uomo che ha almeno il 50% di sangue nell’acqua di mare che gli scorre nelle vene, appena quella sera mi incrocia nel corridoio del comando mentre prendevamo i dati, subito mi recita la parte del film, facendomi anche pensare che era venerdì 17. È ilarità generale, ci guardiamo e sogghigniamo: medaglia, medaglia! Guardiamo la nefoanalisi, e stentiamo a credere che sia vero: le coordinate che ci hanno passato sono al centro di un enorme CB che va da Capo Carbonara a Capo San Vito ed esteso quanto tutta la Sicilia. Ci guardiamo in faccia, e nessuno scherza più. Di colpo ci rendiamo conto che la vita di quei cinque ragazzi è seriamente in pericolo e che noi poco potremmo fare per loro: se ci attaccassimo alla “libretta”, non dovremmo neanche decollare. Faccio un briefing veloce e chiedo a tutti se hanno intenzione di provare a raggiungere la barca, nonostante le condizioni, provando però prima un hovering sul mare accanto la costa per vedere se effettivamente il coupler ci avrebbe assistito durante il recupero, o se avrei dovuto procedere in manuale. Inoltre mi sono preoccupato di sapere se Baldo avesse intenzione di calarsi oppure no, facendo leva sulla sincerità, e non sullo spirito di sacrificio: tempo perso! La risposta è secca: “Se Michele vede che affondo mi tira su, altrimenti continuo”. Le operazioni di preparazione si svolgono in rapidissima sequenza, svolte velocemente senza fermarsi a pensare, per la paura di essere

sopraggiunti dalla paura vera, quella di sapere che ci stiamo spingendo un po’ più in là di quanto dovremmo. Adesso, cari amici, non vorrei sembrarvi ridicolo, ma la mattina precedente avevo scelto di fare una SAR mare con Diego, il quale in supporto da noi, proveniente da un altro Gruppo esonerato da qualche mese dall’allarme SAR, non ne faceva da un po’, così da metterci dalla parte del “formaggio” se durante il fine settimana ci avrebbero chiamato a fare qualche intervento di notte sul mare, ed avevamo proprio affrontato il problema del recupero da imbarcazione a vela, col mare grosso… che dite, non è che ce la siamo chiamata??? Così, con il cuore in gola e la concentrazione a mille mettiamo in moto il rotore nella zona più riparata che abbiamo, e velocemente ci portiamo sul mare e proviamo il coupler: tutto bene! L’elicottero controvento in hovering sembra stabilissimo, e questo rinfranca tutti (a dire il vero anche me!). Adesso basta però, è tempo di correre verso quei cinque e la loro barca in mezzo alla tempesta. Lo schermo del radar dice 165 kts di GS ed io tengo i 105 kts indicati: va bene se è per arrivare al più presto, ma se provo ad inclinare l’elicottero sono guai! Sempre sullo stesso schermo da un certo punto in poi comincia a diventare tutto rosso, ed i bagliori fuori ci indicano la zona dei temporali: un fulmine ogni 3 secondi, mediamente. La caratteristica di quei fulmini che mi allarma è che non si vedono distintamente, ma si vede solo la zona nella quale si manifestano, che si accende come un abat-jour, il che significa che la pioggia lì sotto è troppo forte per noi. Arriviamo molto vicini al muro d’acqua e comincia così una ricerca per una possibile zona di penetrazione della buriana, ma non c’è verso: è impenetrabile. Sconsolati, ci rendiamo subito conto che non possiamo recuperarli in quelle condizioni, e se non ci sbrighiamo a tornare a casa, potremmo essere raggiunti dalla violenza di quella tempesta. Non è cosa. Mi porto ancora vicino al muro d’acqua e mi metto parallelo al fronte della pioggia: è fittissima. Ed è tutto così da lì fin sopra la barca: tutti CB compattati che scaricano una quantità di luce ed acqua impressionante. Impossibile continuare. Decido di tornare indietro. La promessa di ritornare più tardi, almeno con la luce, ci lascia con l’amaro in bocca, come se non avessimo tenuto fede al nostro proposito. È una delle decisioni più dure che abbia mai dovuto prendere, ma andava presa. Chiedo agli altri in interfono quali fossero le loro impressioni su quello che avevano visto e su quello che si sentivano di poter fare, e mi danno tutti ragione, ma scopro che ognuno di loro ha lo stesso senso di impotenza e

insoddisfazione per aver scelto di tornare indietro e lasciare quei ragazzi là sotto. Però io ho la responsabilità dei miei “ragazzi” (Baldo ringrazia sempre quando gli do del ragazzo!) e non posso permettere di esporli ad un rischio del genere, per cui mi tranquillizzo e mi convinco che è la cosa migliore da fare: tornare indietro e riprovare al mattino in modo da poter affrontare il maltempo almeno con un po’ di luce. Giro la coda del mio pellicano al maltempo e comincio a far rotta per rientrare, ma la prima impressione che ho è quella di essere agganciato a qualcosa. Mi accorgo che sia io che Diego siamo stranamente piegati in avanti come se volessimo assumere una posizione più aerodinamica e quindi andare più veloci. Lì per lì sorrido: noi elicotterari un po’ l’abbiamo per vizio di assumere questa posizione. Non so se avete presente la scena, la posizione classica è la seguente: busto piegato in avanti, collettivo sotto l’ascella sinistra e braccio destro proteso in avanti. A volte compare anche un ghigno compiaciuto al realizzare GS prossime ai 150÷170 kts se siamo fortunati ed il vento ci aiuta. Lo schermo del radar mi riporta alla realtà: 59 kts

di GS alla velocità massima indicata!!! Dunque, vediamo un po’, Quarantotto miglia da percorrere a 59 nodi sono quasi 50 minuti. Abbiamo proprio la sensazione di essere fermi, anzi di essere risucchiati dai CB dietro di noi! “Godzilla” dietro che avanza scaricando acqua e fulmini e le luci della costa sempre ferme lì: le possiamo quasi toccare, ma non ci arriviamo. Quando finalmente arriviamo a Trapani, abbiamo appena il tempo di mettere l’elicottero in hangar che si scatena il finimondo. Corriamo in SOR ed in venti metri pigliamo tanta acqua quanta ne avremmo presa con un tuffo in piscina. Lì parliamo con i ragazzi all’RCC che ascoltano il nostro racconto con molta emozione. Erano al corrente di quello che si stava scatenando per cui avevano quasi timore a “taskarmi” per l’indomani e di provare a decollare alle prime luci, ma quando gli dissi che avremmo aspettato lì quelle quattro ore, sembrarono molto più sollevati, tanto che quasi non credevano che gli era andata così bene e l’orco cattivo non se li era mangiati! Il problema era sostituire Diego che aveva montato d’allarme tutto il giorno con me, ma non ne vuole sapere. Voi avreste voluto essere sostituiti durante la finale di Coppa di Campioni dopo che il peggio era passato e c’era da raccogliere solo la gloria? Evidentemente no! Lo stesso, in quel momento, era per lui, e per me, che avrei dovuto svegliare un altro pilota nel mezzo della notte, spiegargli tutto daccapo. Avevo parlato troppo per quella notte. Mi andava di andare fino in fondo con la stessa squadra che aveva cominciato il lavoro la notte, e che aveva fatto la promessa di ritornare e l’avrebbe mantenuta! E Diego non è il tipo che può subire cedimenti in situazioni come quelle che stavamo affrontando, anche perché di adrenalina ce n’era per tutti. Così mi convinco e ci adagiamo su un divano in sala piloti, giusto per recuperare un minimo. Chiudo gli occhi, li riapro: chi ha spostato le lancette dell’orologio??? Sono davvero già le cinque del mattino? Allungo la mano, e con uno strattone sveglio anche Diego. Non pensiamo neanche ad un caffé tanta è

l’eccitazione. Guardiamo la nefoanalisi e ci accorgiamo che il grosso del maltempo sta passando proprio sopra di noi in quel momento. È quello il momento in cui realizzo che il fastidioso rumore di fondo che sentiamo è la pioggia battente. Poi i tuoni. Sembrano vicini. Aspettiamo la prossima nefoanalisi e vediamo come si muove “Godzilla”. Nel frattempo coordino per il carburante e faccio aprire i portali dell’ Hangar (non sia mai che non si aprano!). Le notizie che porta la nuova nefoanalisi sono buone: la linea di Groppi si sta muovendo in modo tale da lasciarmi una specie di spiraglio dove posso provare a passare. Percorrendo una spezzata c’è la possibilità di uscire dalla zona dei temporali e raggiungere l’imbarcazione. Visto che il fronte viaggia veloce ed è quasi giorno decido di non perdere tempo e, sebbene la base sia rossa, decido di predisporre tutto perché nel giro di mezz’ora, probabilmente, ci sarà la possibilità che la visibilità aumenti almeno per decollare e percorrere questa specie di corridoio. Per il rientro non dovrebbero esserci problemi: il TAF dice che dovrebbe migliorare, almeno per poter riatterrare. Corriamo all’elicottero, facciamo i controlli all’interno dell’hangar, e autorizzo la sostituzione di Michele, che nel frattempo è dovuto correre a casa (i guai non arrivano mai soli), col “Socio” (è Laziale, ma è simpatico!). Ci imbrachiamo, e faccio cenno di spingere l’elicottero fuori: siamo pronti per mettere in moto. Il Socio e Josef sono sul trattorino e ci spingono fuori, sorridenti, ma ad un tratto un bagliore: li vedo diventare seri di colpo, bianchi in viso e... letteralmente tuffarsi fuori dal trattorino!! Chiaramente avevano prima fermato il trattorino. Mi raggiungono sotto il finestrino dell’elicottero e mi spiegano tutto: un fulmine è caduto a 50 metri dall’elicottero sul “morteo”, un orrendo prefabbricato verde pisello in metallo accanto al piazzale. Avevano visto le ragnatele di luce del fulmine correre sul piazzale e avevano creduto che potesse scoppiare tutto. Vai a dargli torto! Decido che è meglio aspettare un attimo prima di andare, anche perché adesso li vedo molto preoccupati, e non voglio essere solo a bordo dell’elicottero, o che pensino che stiamo per fare una pazzia. Sono sicuro che il

tempo ci darà una lieve tregua, così non insisto ed aspetto fiducioso. Poco a poco l’intensità del diluvio scema fino a trasformarsi in un rovescio non molto intenso. Adesso si vede anche qualcosa. Portiamo di nuovo l’elicottero fuori e mettiamo in moto. In dieci minuti siamo tutti dentro l’elicottero che rulla, parlando con i controllori. Con orgoglio sfiliamo davanti ai colleghi dell’Airone che sentono in frequenza il nostro nominativo: Rescue-IMC! Ci autorizzano al decollo, ed in un minuto siamo già sul mare con il radar acceso che cerchiamo di individuare il nostro corridoio. Eccolo là!! Un moto di orgoglio mi anima, ma torno subito alla realtà delle cose: un CB sopra di noi si fa sentire con il suo “soffio” verticale, e ci costringe a scendere fino a 300 piedi senza che io possa farci nulla. Da lì in poi sembra esserci più luce, segno che le nubi non sono poi tanto “pesanti”. Il vento è sempre molto forte ma adesso, nel giro di 80 miglia, da scirocco (a Trapani) vira a maestrale e noi procediamo per 330°: mai che il vento ti aiuti!! Comunque, riusciamo a contattare un cargo che prestava assistenza alla “nostra” barca a vela (nel senso che si manteneva nelle vicinanze), e ci dice di averla sul radar ad una decina di miglia per una certa radiale. Così anche noi passiamo col radar in modalità di ricerca e tentiamo di individuarla: niente da fare, troppo “clutter” per via del mare grosso. Proviamo a contattare i nostri ragazzi per radio e dopo poco sentiamo un segnale debole. Diego veloce come un gatto, prende subito la radiale con l’Homing, e ci mettiamo a percorrerla sperando di avvistare in lontananza il nostro obiettivo, ma niente da fare. Del resto il colore della barca è BIANCO, vele BIANCHE, cielo BIANCO, mare BIANCO, stato 6/7. “In mezzo a tutto sto bianco e sta pioggia valla a vedere”, mi dico. Ed invece, ad un certo punto, come un fantasma che spunta dall’aldilà, mi vedo sfilare sulla destra una barca bianca apparsa dal nulla. Urliamo di gioia. Viro e mi metto controvento a bassa velocità con la barca davanti al muso per poter valutare lo stato delle cose. Nessuno in vista, sono tutti in cabina. La radio si riceve debole, devono avere le batterie quasi scariche. Diego in perfetto inglese impartisce via radio all’equipaggio dell’Asgard le disposizioni che durante il volo avevamo concordato, che guarda caso, erano proprio quelle di cui parlavamo il pomeriggio del giorno prima, ossia: assicurare con una cima il battello di salvataggio all’imbarcazione e gonfiarlo, imbarcarsi sullo stesso e filare almeno 50

metri della stessa cima, o tagliarla per portarsi a distanza di sicurezza dalla barca il cui albero, alto almeno 20 metri, con quel mare era un maglio pericolosissimo. Accettano le istruzioni, e con la lentezza tipica di chi ha sofferto per ore il mal di mare, ad uno ad uno si calano sul battello. Appena sono tutti a bordo, quello che sembra essere il capitano si sporge dalla copertura del battello mostrandomi un coltello e lanciandomi un lungo sguardo in cabina, come se volesse farmi notare il fatto che stava per compiere un atto di grande fiducia che non doveva essere tradita. Distogliendo lentamente lo sguardo dalla cabina dell’elicottero rivolse il coltello

verso la cima che vincolava il battello all’imbarcazione tagliandola: adesso erano liberi e lentamente si allontanavano dall’Asgard. In pochi minuti il battello si trovava a distanza di sicurezza dall’albero della barca, per cui comincio a calare Baldo in mare sulla verticale del battello. Il vento è rabbioso, ed il rotore vibra per le forti raffiche. Dallo specchietto retrovisore vedo Baldo risalire con il primo dei “nostri” ragazzi. Baldo è serio sotto i suoi baffoni, ma tranquillo. Mi raccontò dopo che ad ogni ingresso in acqua veniva colpito da scariche elettriche di eccezionale intensità rispetto al normale: l’umidità eccessiva caricava di elettricità statica l’elicottero. Josef è metodico nel suo procedere con il verricello e con la radioguida: è concentratissimo, parla velocemente e riesce a descrivermi ogni singolo evento che accade sotto di noi. Nel frattempo continua a piovere, ma non ci infastidisce più di tanto: siamo concentratissimi. Continuo di tanto in tanto a seguire Baldo con lo specchietto quando arriva sul battello, e un sentimento di ammirazione mi pervade. Tutto l’equipaggio si comporta come una macchina perfetta: niente emozione, nessun errore, solo fermezza e determinazione. Mentre procediamo all’ultimo recupero con il verricello, la radioguida di Josef va aumentando d’intensità, fino al punto che, quando l’ultimo dell’equipaggio dell’Asgard è davanti alla nostra porta di carico, l’equipaggio all’unisono lancia un urlo di gioia in interfono: avevamo mantenuto la nostra promessa, avevamo compiuto qualcosa che ci saremmo ricordati per sempre e che magari avremmo provato piacere nel raccontare agli amici. Da quando abbiamo cominciato le operazioni di recupero a quando abbandoniamo la zona, sono passati appena otto minuti. Se non avessi fatto partire il mio cronometro, non ci avrei mai creduto!! Il Socio, che per permettere la radioguida è stato zitto tutto il tempo, finalmente può darmi una situazione di cosa stanno organizzando in cabina. Di sicuro, non avevano dubbi visto il tanfo che seminavano, i “nostri” ragazzi avevano vomitato l’impossibile, per cui gli stavano dando da bere reintegratori, e soprattutto stavano

cercando di riscaldarli: tremavano dal freddo. Pasquale (il nostro assistente di sanità) ed il Socio erano indaffaratissimi nel cercare di non trascurare nessuno di loro, e cercare di rispettare il fatto che ci fosse anche una ragazza tra loro, che comunque, essendo completamente bagnata e infreddolita, doveva svestirsi e coprirsi con qualcosa di asciutto. Rido quando mi raccontano come organizzano una specie di separé per permetterle la dovuta privacy. Il viaggio di rientro è durato troppo poco per smaltire le battute (anche le più idiote) e l’adrenalina accumulata durante tutta la nostra avventura, per cui appena atterriamo a Trapani, siamo ancora iper-euforici. Altro che cedimento per la stanchezza! E sono anche contento di non aver negato a Diego la soddisfazione di aver potuto portare a termine con noi questo recupero. L’82° si ricorderà per sempre di questo coraggioso ed altruista collega con cui ha condiviso il privilegio di salvare qualcuno nei guai. E noi ricorderemo sempre cosa abbiamo ricevuto per aver compiuto quanto avete letto. Il solito “bravi ragazzi”, solo verbale sia chiaro, e magari finiva male per Diego quando chiesi per lui un Elogio: si erano ricordati che esiste una direttiva secondo la quale… ma questa è storia ordinaria! Il soccorso è una disciplina straordinaria, che paga già soltanto con lo sguardo grato e compiaciuto di chi, dopo aver creduto di essere giunto alla fine, per la nostra opera può avere una seconda opportunità. Anche se, il giusto riconoscimento per quanto compiuto, a volte, potrebbe renderci un pelino più orgogliosi e pronti a riprovarci la volta seguente.

Magg. Dario Sinatra

This article is from: