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Iraq 6 Luglio 2004 (prima parte

Parte prima.

Giornata tranquilla, 50 gradi di temperatura e 25 nodi di incessante vento misto a sabbia fine e penetrante, il task arrivò nel tardo pomeriggio ma già dall’ora di pranzo c’era il sentore che qualcosa di particolare sarebbe avvenuto il giorno seguente. Verso le 8 di sera arrivò un Tenente e due Marescialli delle Special Ops dei Carabinieri. La missione prevedeva la scorta di un convoglio, 2 jeep e 3 furgoni. Ogni posto di ogni mezzo sarebbe stato occupato da personale Special Ops armato con tutto il necessario per contrastare ogni possibile imprevisto. Ma di quale imprevisto si parlasse ancora non ci era chiaro. Lo scenario non era nuovo per tipologia ma comunque si respirava un’aria di “particolare attenzione”. Il convoglio si sarebbe dovuto recare a Qal At Sukkar a nord di An Nassiriya, meglio conosciuta come Nassiriya, quasi al confine della zona di controllo Italiana. Il villaggio era luogo di aggregazione di personaggi anticoalizione con i quali l’Italia era già da tempo in trattative al fine di creare accordi di non belligeranza. Ironicamente, proprio a sottolineare accordi non ancora conclusi, un mese e mezzo prima, durante l’ultima visita, il gruppo fu attaccato sui ponti di Nassiriya da un gran numero di giovani ribelli, provenienti da diverse tribù dalle più disparate zone dell’Iraq. La mattina successiva eravamo pronti, in perfetto orario, in linea volo. Tutto l’equipaggiamento era a posto, la concentrazione era massima quando, ci venne comunicato un ritardo di circa un’ora. Passati quei 60 minuti ne dovemmo aspettare altrettanti, caldi, silenziosi e soprattutto deconcentranti! La missione, decollata con oltre due ore di ritardo, prevedeva il ricongiungimento con la

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prima sezione della colonna, successivo contatto radio, controllo aereo della strada principale chiamata BISMARK e del villaggio durante le trattative. A parte forse un semi-quasi successo con le trattative, il resto della missione fu un concentrato di imprevisti. Dopo aver decollato dall’aeroporto di Tallil abbiamo subito cercato invano di stabilire un contatto radio con il personale a terra. Imprevisti che capitano. La mossa successiva fu quella di andare ad intercettare visivamente l’allegra brigata lungo il percorso stabilito. La colonna non veniva avvistata nel punto in cui, sarebbe dovuta essere. C’era qualcosa che non stava funzionando. Attendemmo in zona qualche minuto e poi decidemmo comunque di proseguire fino al villaggio dell’incontro, tanto in ogni caso o avremmo raggiunto i mezzi o avremmo controllato la strada prima del loro passaggio, come d’altronde dovevamo fare. Raggiungemmo il villaggio, o quello che credevamo tale! Alcune miglia prima di Qal At Sukkar sulla stessa grande arteria stradale posta in posizione e condizioni geografiche pressoché identiche, con un’altra strada di medie grande proporzioni che proveniva da Ovest e proseguiva verso Nord-Est, vi è Ar Rifài. Il dubbio se quello fosse realmente il nostro villaggio fu tolto dalle parole del Carabiniere seduto al centro tra i due posti piloti, portato in volo proprio perchè aveva già partecipato a vari sopralluoghi e avrebbe potuto fornire un valido aiuto, come fece, ma non in quel momento.

Ormai nelle nostre menti avevamo acquisito un dato certo, la meta di arrivo, ora dovevamo trovare il giocatore che portava palla. Ripercorremmo a ritroso il percorso impolverato pieno di macchine e camion, civili intenti a camminare sul ciglio della strada, mezzi in panne lungo il percorso e bambini che correvano a salutare al passaggio dell’elicottero. I pensieri viaggiavano mentre analizzavamo e scrutavamo il terreno ad una quota di meno di 100 piedi alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse essere un rischio per il convoglio e, naturalmente, cercando di salvaguardare noi stessi da possibili SMALL ARMS, RPG o, peggio, SAM. Il paesaggio scorre veloce quando sei oltre i 100 nodi di velocità al suolo e a quote inferiori ai 40 metri, così l’acuità visiva, si riduce notevolmente. È logico ed umano che tutto ciò comporti uno stato di attenzione massima per condizioni di volo e lavoro correlato alla sicurezza personale e della coalizione, causando quindi stress fisico e mentale che si traduce in un notevole dispendio energetico. Così tra caldo e continue prove radio arrivammo al confine della periferia Nord di

Nassiriyah. Del convoglio nessuna traccia!! Impostammo una virata di 180° per tornare verso il punto d’incontro ma nel profondo dell’animo già sapevamo che qualcosa non stava funzionando come avrebbe dovuto. Durante il briefing pre-missione, l’intelligence ci mostrò delle foto di alcuni punti che potevano fungere da riferimento per eventuali contatti radio o recuperi del personale a terra per qualsiasi esigenza od emergenza. Alcuni di questi li individuammo già al primo passaggio ma ce n’era uno che proprio non trovammo; dalla foto risultava una ciminiera ben visibile, alta circa 60 metri! Dove diavolo era quel tubo di cemento distante appena qualche chilometro dal paese incriminato? Il dubbio ormai intaccava la capacità di rimanere calmi e tranquilli. Arrivati sopra Ar Rifài, che avevamo invece acquisito come Qal At Sukkar, cercammo indizi che potessero confermare il corretto sospetto che il paese non fosse quello giusto. La caserma della polizia locale, l’edificio che avremmo dovuto individuare per la protezione aerea, era identico nei due paesi, per forma, colore ma su rive opposte dello stesso fiume che taglia entrambi i villaggi.

“EUREKA!”, avrebbe esclamato Archimede, l’Aerosoccorritore Special Ops, sistemato sulla rampa posteriore, aveva avvistato la famosa ciminiera! Senza dire altro la nostra prua era diretta al tubo di cemento in lontananza, nascosto fino a qualche istante prima ai nostri occhi probabilmente a causa del colore simile a quello del terreno e da quell’incessante vento che trasportava sabbia fine e mimetizzante. Avevo l’animo completamente smarrito nei meandri della delusione di un fallimento. Cercai la forza e la lucidità per portare almeno a compimento la seconda parte della missione. Ora eravamo sopra il giusto villaggio. Magicamente si ristabilì il contatto radio ma solo con le VHF, quindi potevamo allontanarci appena 4 chilometri dal VM. Iniziammo i controlli dall’alto, fortunatamente tutto sembrava tranquillo. Procedemmo con i normali controlli interni stabilendo così BINGO e PLAY TIME, rispettivamente il carburante minimo al raggiungimento del quale avremmo dovuto lasciare la zona ed il carburante utilizzabile nella missione. Da lì a poco il nostro bingo arrivò senza poterlo evitare e quindi impostammo la prua per rientrare … ma gli imprevisti non erano ancora finiti: la pattuglia a terra, ci comunicavano sospetti movimenti attorno alla colonna dei mezzi in attesa davanti all’edificio del meeting. La nostra decisione fu tanto difficile quanto necessariamente rapida: pericolo per loro contro possibilità di intaccare seriamente la nostra riserva di carburante … Effettuare un veloce passaggio di controllo. Del tempo prezioso era trascorso, dovevamo assolutamente tornare. La zona appariva movimentata ma nessuna arma in vista: forse era stata attirata l’attenzione dei locali dai continui passaggi del nostro velivolo. Livellammo e dirigemmo verso l’aeroporto controllando a quel punto il rimanente carburante. Uno dei due serbatoi che fino a quel momento aveva segnalato una quantità, ci evidenziava un basso livello piuttosto insolito. Forse le manovre alle massime prestazioni, le virate accentuate e strette per mantenere in vista la zona contribuirono ad un mal funzionamento dello strumento indicatore. Ormai dovevamo assumere che le indicazioni non fossero più attendibili e non potevamo permetterci di dover atterrare proprio in prossimità della città teatro, a quel tempo, di vari scontri che coinvolsero anche il contingente italiano. Forse il rancore generato poteva essere ancora vivo negli animi di una parte della popolazione. Probabilmente, con la somma del carburante in quel momento segnalato nei due serbatoi principali avremmo percorso le restanti 37 miglia che ci separavano dal campo base, ma c’era qualcosa che non poteva essere trascurato, per arrivare all’atterraggio avremmo dovuto sorvolare la città di Nassiriya. Nuovamente dovevamo decidere velocemente. Controllammo brevemente la cartina, l’unico punto di scampo realmente utilizzabile era la “BLU 40”, un campo di terra battuta da impiegare per eventuali evacuazioni mediche di feriti o altro. Per quella specifica scorta avevamo individuato proprio la BLU 40 come eventuale punto di atterraggio e recupero personale. Ironia della sorte diventammo noi il personale da dover recuperare! Sentiero di discesa impostato … manette tutte avanti … il carrello giù … le pompe elettriche tutte inserite ... rimane da fare l’unica trasmissione possibile: MAYDAY, MAYDAY, MAYDAY.

… continua. a pag. 94.

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