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Una giornata di Novembre
Era una bella giornata, calda e piacevole come può esserlo una giornata di novembre in Iraq. Ero arrivato da pochi giorni, ed ancora non mi ero abituato del tutto al clima di quella terra così strana ed affascinante; la culla della storia rinchiusa in uno scatolone di sabbia, con un clima secco in cui l’unico richiamo al sudore che perdevi ed evaporava subito era la sete continua che ti prendeva la gola e le labbra. Ero stato mandato in quel paesaggio lunare in quanto assistente sanitario EFV e quella mattina avevo chiesto di poter effettuare il mio primo volo in teatro operativo. Il volo scivolò tranquillo, tra i piloti che eseguivano manovre evasive ed i mitraglieri che si inventavano minacce in arrivo. Io non ero direttamente impegnato, e quindi mi ero

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fatto rapire dal paesaggio; tutto sembrava così diverso e nel contempo così familiare. Io amo i deserti e le mie foto nel Sahara ed in Egitto sono lì per testimoniarlo. Non so come e non so perché ma vivevo quei momenti molto serenamente. Tutto cambiò quando il mitragliere di sinistra, mio collega anche di Reparto a Rimini, mi comunicò che dovevamo rientrare prima del tempo: “È successo qualcosa” disse, ma l’abitudine a rientri anticipati per anomalie all’elicottero e spie che si accendono senza motivo non sono una novità per chi vola in un HH-3F. Tanto sapevo che, in un modo o nell’altro, il “padre di famiglia” (così qualcuno chiama il nostro grosso elicottero), ci avrebbe comunque riportato a casa. Come sempre. Quando rientrammo alla base di Tallil, scesi dall’elicottero, tutto quello che io non sapevo ma che tutti già avevano chiaro mi colpì come un pugno: c’era stato un attentato. Oggi. A Nassiriya. Il 12 novembre 2003. Tutti correvano, nessuno aveva un momento per spiegarmi con calma quel che era staccato le ruote dalla pista. Mi ritrovai in volo senza neanche rendermi conto del tempo che era passato. Tra il rumore del rotore reso appena più dolce dai tappi spinti a fondo nelle orecchie mi arrivavano notizie frammentarie dal medico. Mi urlava di attentato, di morti e feriti, di un grosso botto e di carabinieri; di Nassiriya, e di fare in fretta a preparare delle garze e delle flebo. Non capii tutto subito, ma qualcosa mi fu più chiaro quando vidi le fiamme ed un denso fumo nero salire da una grossa palazzina vicino ad un ponte. In un attimo la mia mente collegò tutto e la realtà mi diede il secondo pugno allo stomaco della giornata.
successo. Il medico mi urlava di aiutarlo ad allestire l’elicottero con il materiale sanitario. Io non ci pensai, corsi anche se non molto convinto. Volevo saperne di più ma mi riproposi di chiedere tutto in un secondo tempo; siamo abituati in patria a partire d’allarme e sapere i particolari solo dopo aver

Andrea Cataldo