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Q.R.A
na bella giornata di sole, dell’estate del 2004, una spiaggia larga anzi U larghissima, così larga che non si poteva distinguere il mare. Noi nelle colonie elioterapiche di UR in Mesopotamia, godevamo della dolcezza del clima. L’attività di volo si susseguiva intensamente senza soluzione di continuità, giorno dopo giorno, notte dopo notte, settimana dopo settimana, mese dopo mese, tra turni di QRA e QRF inframmezzati da missioni operative su “task” del J-3 della Brigata. Poligoni notturni e diurni per permettere agli equipaggi neo-assegnati di acquisire dimestichezza con le procedure in uso nel teatro operativo. È il pomeriggio di un giorno qualsiasi dal Bunker ci comunicano una Medevac il messaggio rimbalza via radio alle varie componenti interessate ed alla catena di comando, gli altoparlanti gracchiano QRA! QRA! QRA!, l’equipaggio in men che non si dica si presenta in linea volo. L’elicottero viene spostato dall’ombroso carapace di metallo e tela plastificata al piazzale inondato dal sole pomeridiano, il personale d’allarme si riunisce attorno al tavolo della linea per il briefing pre-volo. Uno sguardo al co-pilota, simpatico ragazzo siciliano, che snocciola in maniera imperturbabile le informazioni necessarie dalla SOP alla DON alle SPINS, il personale intel ci aggiorna sulle ultime news. Assegno i compiti a bordo e ricordo le ROE. Finiamo di indossare il nostro equipaggiamento, nonostante sia solo pomeriggio, invito il mio equipaggio a portare i propri NVG, e riempiamo le borracce d’acqua fresca e siamo pronti a partire. Dopo qualche minuto arriva l’ambulanza con l’IPV da trasportare. Due medici di Camp MITTICA lo hanno stabilizzato, non sta benissimo è intubato, fratture varie, necessita una serie di radiografie e di un’adeguata assistenza che può essere offerta solo dall’ospedale di **** in Kuwait. Una lieve sensazione di calura mi pervade quando mi accomodo a bordo, leggo la temperatura del termometro cabina 58°C, butto un occhio alla T5 dei turbomotori prima della messa in moto 65°C (l’elicottero non aveva ancora volato!), ecco il perché di quelle goccioline di sudore che mi stavano imperlando la fronte. Mettiamo in moto con la rapidità (del vento) che c’è consentita dalla dotazione individuale che indossiamo.
Dopo il decollo vengono attivati i sistemi di protezione attiva e passiva e viro a sinistra verso la TAMPA. Il deserto persiano si stende a perdita d’occhio sotto i nostri piedi, l’attenzione è catalizzata dal mantenimento della quota, relativamente bassa rispetto allo standard in madrepatria, corrispondente ai limiti della DON di teatro, passata la Tampa lasciamo l’aeroporto di **** le cui piste in rovina (tutte e tre bombardate ortogonalmente) scorrono alla nostra sinistra e man mano che ci avviciniamo al confine kuwaitiano, carcasse di carri-armati e postazioni d’artiglieria smantellate con i loro terrapieni difensivi si susseguono ininterrottamente, residui ormai dimenticati, risalenti alla 1 a Guerra del Golfo, quella del ‘91. Prossimi al confine ed in contatto con gli enti del controllo inglesi, lasciando il traverso sud
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di Bassora, quelli kuwaitiani entrando nel loro spazio aereo e quelli americani per le info di traffico nei pressi delle loro basi, voliamo verso la nostra destinazione. Qua e la nel deserto, a distanze incredibili da qualsiasi strada o villaggio di case di fango e paglia, si notano dei puntini neri, sono le etnie delle tribù nomadi dedite alla pastorizia, sono agglomerati di due o tre tende come isole in balia del vento, lo “SHEMAG”, nel mare desertico. Il carro del sole sta ultimando la sua corsa e l’oscurità ci avvolge nel suo manto una decina di minuti prima dell’atterraggio a destinazione.

Indosso i visori notturni che portavo appoggiati al collo sin dal decollo da Tallil ed atterriamo nel buio più pesto nel mezzo di un fantastico piazzale. La base di **** ha un ospedale perfettamente attrezzato, migliore di quello inglese di Bassora, la base viene considerata R & R per le truppe in servizio in Iraq. I riservisti della Marina americana ci accolgono con cameratismo e professionalità, l’ambulanza è già lì che ci aspetta, il ferito ed i medici vengono fatti salire ed il mio copilota si offre di accompagnarli al fine di evitare

eventuali “misunderstanding” dovuti alla lingua. L’equipaggio viene accolto da un Master Sergeant dell’US Navy che come prima cosa ci chiede se abbiamo mangiato e se dobbiamo rifornire. Questi americani in fatto di logistica sono veramente il “numero uno”, il nostro elicottero viene rifornito e post volato con priorità rispetto alle altre missioni degli alleati, gode il suo meritato riposo parcheggiato fianco a fianco con Sea-King’s dell’US Navy, UH-60’s Medevac dell’Army e CH-46’s Black-knight dei Marines. Verso le due del mattino siamo pronti a ripartire il paziente è stato ricoverato presso l’ospedale dove resterà per qualche giorno per ricevere le cure necessarie prima di essere trasportato in Europa. Si torna a casa, grazie ad una legge non scritta del XV (dopo un soccorso) nella tratta di rientro il co-pilota è ai comandi ed allora di conseguenza io mi occupo della navigazione (cartina, GPS, doppler) e delle chiamate radio. Una notte buia, senza luna, 2 millilux (grazie alle stelle) anche se velata dalla foschia a causa dell’inversione termica notturna, voliamo concentrati ma sereni con l’intima soddisfazione di aver fatto il nostro dovere. Arriviamo a Tallil poco prima dell’alba, i sistemi di protezione vengono messi in “sicura”, appena atterrati de-briefing valutazioni a caldo della missione svolta ed eventuali osservazioni, una doccia veloce qualche ora di sonno e poi di nuovo in piedi pronti a riprendere il nostro lavoro in questa estate irachena, nella provincia di Di Khar. Il pensiero va a casa, alla famiglia, alla moglie ed ai figli, avevo promesso loro che avremmo trascorso l’estate insieme, così non è stato, quella precedente ero in Qatar, questa del 2004 sono in Iraq, per la prossima vedremo… però meglio non promettere niente! Marco Francescan