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In occasione del centenario della nascita del Gen. Cagna

ORMEA, luglio 2002

Si arriva, dall’alto come piace a noi, e il paese raccolto in un fazzoletto di valle ci mostra i suoi tetti, stretti l’uno all’altro come le pecore di un gregge spaventato: rosseggiano i coppi piemontesi, si alternano all’ardesia della Liguria il cui confine è dietro queste montagne di un verde accecante. È Ormea, patria dell’eroico Generale Cagna, Comandante del 15° Stormo durante la guerra. Oggi se ne celebra il centenario della nascita: il Sindaco ci aspetta sul campo sportivo, naturalmente vicino al cimitero; non ho mai evitato, se non per tema delle norme vigenti sull’indisciplina di volo, il sorvolo dei centri abitati, ma passare sui camposanti mi ha sempre dato un sottile disagio... Il Sindaco, il Presidente della Provincia di Cuneo, alcuni assessori, la banda musicale, i paesani più coraggiosi, è un’accoglienza tra il formale e l’entusiastico quella riservata all’equipaggio dell’elicottero: “Così grande che non si riesce a guardarlo tutto di un colpo”. Nel pomeriggio si potrà visitarlo, ora tocca andare in piazza alla cerimonia, si scopriranno due lapidi (par condicio: una commemorativa di Cagna, che fu anche attendente di volo di Italo Balbo, una ai caduti della guerra partigiana). Passeggiando per il

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tortuoso budello che rappresenta il corso principale, siamo squadrati da mille occhi che sporgono dai balconi, dalle botteghe, dai vicoli: occhi impenetrabili, difficile leggere ostilità o benevolenza. Giungiamo sulla piazza del Comune, e lì la prima sorpresa: c’è tutto il paese (età media cinquant’anni), e non assistono, partecipano.Il sindaco parte dicendo le solite giustissime parole consone all’occasione, ma il tono è del nonno che racconta le favole davanti al camino: poi si infervora e chi lo interrompe battendo le mani, chi si commuove ma nascostamente un contadino, che sembra un rovere protesta l’assenza di due fascisti nella lapide dei caduti, una vecchina vicino a me mi racconta di quando Stuvin tornava al paese e si sedeva sul bordo della fontana a raccontare della tenda rossa e di Nobile. Interviene il parroco, almeno 96 anni ma il piglio di un chierichetto e a me sembra di essere sul set di un film neo realista, certo le comparse sembrano vere, le facce cotte dal sole, i cappelli di paglia, le signore colla veste nera e lo scialle. L’impressione è che tutto sia attuale, il ventennio, la guerra, i figli lasciati in Russia o in Africa, la guerra civile, la ricostruzione, tutto è accaduto ieri e sono vividi i sentimenti che si agitano nella folla.

Anche Matteo, noto cuore di pietra, indulge alla commozione, perché si sente nell’aria che nulla è stato dimenticato. Poi la messa e il pranzo: antipasti che da soli sfamerebbero un manipolo di legionari, primi di una bontà solare, carni morbide e vini di Ormea, gentili e facinorosi ad un tempo, dal corpo ombroso e vellutato. Si ride, è bello: di nuovo il Sindaco ci racconta dei suoi concittadini, c’è un affetto sincero nelle sue parole: “Mi perdonano tutto, ma guai se decidono che approfitto della mia posizione, quando nevica il vialetto della mia casa è l’ultimo ad essere spalato...”. Ma è Italia? O forse è questa l’Italia che nessuno ci racconta? Nel pomeriggio visita all’elicottero: la curiosità vince sulla naturale ritrosia e tutto il

paese va a sedersi ai comandi e giù una pioggia di domande e di osservazioni e di salaci commenti; non so se ci piace di più

Tomaso Invrea

parlare del nostro lavoro o lasciarci trasportare dalla serena ingenuità di questa gente e aspettare che siano loro a dirci... È ora di andare e di nuovo accade una cosa straordinaria e semplicissima: la gente si allontana dal velivolo e va ad assiepare le scarne gradinate del campo sportivo. Saluto e mi avvio alla scaletta: metto il piede sul gradino e parte un applauso che diventa un’ovazione, mi giro e vedo tutto il paese e davvero non mi riesce di pensare ad altro che a parole desuete quali affetto collettivo, orgoglio di essere Italiano, amor di Patria. Detesto i luoghi comuni e sono sicuro che non è che a Ormea il tempo si sia fermato: ha solo percorso un sentiero più gentile.

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