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Una missione particolare
Tallil, 15 maggio 2004, ore 0800 circa, arriva l’ordine di missione decollo immediato sulla città di Nassiriya. Effettuammo il briefing intelligence per gli aggiornamenti sulle minacce di fuoco e le ultime notizie sui ribelli che il 14 maggio avevano conquistato diversi punti nevralgici della città di Nassiriya. Durante la notte c’era stata una operazione aerea americana con il C-130 su punti dove si presumeva ci fossero gli insorti, ci venne ordinato di controllare che il punto strategico denominato “Animal House” fosse ritornato nelle mani della coalizione e che non ci fosse più traccia dei ribelli iracheni. Prima del decollo io e il mio compagno avviammo tutte le procedure con la massima pignoleria. Non ci siamo parlati dopo il briefing, non ne avevamo bisogno, erano due mesi che volavamo insieme con più di 50 ore di volo fatte seduti dietro l’elicottero, precisamente sulla rampa uno affianco all’altro, oramai bastava uno sguardo, un semplice gesto: ci si capiva al volo. Entrambi avevamo capito che quella era una missione importante, diversa da tutte le altre che avevamo svolto, non ci si poteva distrarre per nessun motivo, dovevamo avere la massima concentrazione. Gli ultimi saluti con i colleghi che rimangono a terra effettuando i riti scaramantici prima di ogni missione, così da far smorzare la tensione che quel giorno era tanta. In volo il silenzio è d’obbligo, si parla solo per segnalare eventuali inefficienze alla macchina o per avvistamenti di minacce armate rivolte verso di noi. Incominciamo il sorvolo sulla città di Nassiriya, siamo bassi e veloci, arriviamo sulla zona da ricognire, il Capo Equipaggio ci avvisa dell’ingresso in zona di “Animal

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House”. Dalla mia postazione, mentre stavamo sorvolando lungo un viale, avvisto un gruppo di persone, sembrano innocue, accompagnano dei bambini, ma all’improvviso dietro questa gente appaiono circa 5 uomini vestiti di nero con il passamontagna indossato armati di lunghi fucili mitragliatori. Immediatamente comunico la minaccia a tutto l’equipaggio: “Uomini armati ad ore sei”, ma non faccio in tempo a finire la frase che venivamo investiti da un forte boato e da una nuvola di colore grigio a circa 70 metri da noi più o meno alla stessa quota. Ci avevano sparato addosso, molto probabilmente con un mortaio, il nostro elicottero sobbalzò, la rampa si socchiuse e noi balzammo all’indietro, molto probabilmente chi ci aveva sparato era posizionato su un balcone lungo il fianco della strada. Il Capo Equipaggio, mantenendo la calma, ci chiese se dietro era tutto ok. Anche noi per fortuna mantenemmo la calma, e tranquillizzammo tutti che era tutto a posto; il Capo Equipaggio avvisava la base che stavamo rientrando in aeroporto comunicando in codice quanto accaduto. Arrivati in aeroporto l’Ufficiale Intelligence ci catturò letteralmente per apprendere e annotare tutte le notizie utili che noi potevamo fornirgli. Alla fine dei vari briefing, quando eravamo liberi da tutti gli impegni, io e il mio compagno, ci siamo guardati e ci si siamo abbracciati a lungo: non avevamo voglia di parlare ma sicuramente né io e né lui scorderemo mai quanto accaduto.
M1 Giovanni Ingrosso