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Salute mentale e giovani

C’è un’urgenza che non possiamo ignorare: la salute mentale dei giovani.

Sempre più ragazze e ragazzi vivono un disagio profondo, spesso silenzioso, che chiede ascolto, vicinanza, risposte adeguate. Troppo spesso, invece, trovano indifferenza o solitudine e impreparazione ad affrontare la loro fragilità.

Prendersi cura della salute mentale – di tutti, ma soprattutto dei più giovani – non è solo una responsabilità sociale: è un dovere morale.

Significa difendere la dignità delle persone, incoraggiare il loro futuro, aiutarle a ritrovare se stesse o comunque attrezzarli per un sano percorso di vita.

Questo numero de L’Abbraccio raccoglie voci ed esperienze che ci ricordano una verità semplice e profonda: nessuno dovrebbe essere lasciato solo nella propria sofferenza. Men che meno un giovane. Un grazie sincero a chi, con generosità e competenza, ha offerto il proprio contributo di riflessione in queste pagine.

Buona lettura!

Giovani e salute mentale: una s da che riguarda tutti noi

di Massimo Nicolò

Contro il disagio, apriamo al desiderio

L’onda lunga del disagio giovanile

Giovani e salute mentale: quali strategie per promuovere benessere a cura dell’équipe Coges Don Milani e del Centro Soranzo

Terapia dell’avventura: un approccio innovativo alla salute mentale giovanile di Paolo Cornaglia e Margherita Dionisi

Si comincia dal confronto di Sara Paolella

Il digitale fa davvero “marcire” il cervello?

Massimo Nicolò, Stefano Arduini, Rocco Luigi Picci, Selene Cammarata, T. Venturini, I. De Marzi, F. Moro, E. Ongaro, M. Cibin, Margherita Dionisi Vici, Paolo Cornaglia Ferraris, Sara Paolella, Michele Marangi

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Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana

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Giovani e salute mentale: una s da che riguarda tutti noi

Negli ultimi anni, la salute mentale dei giovani è diventata una grave emergenza del nostro tempo. Non possiamo più permetterci di considerarla un tema marginale o temporaneo. La pandemia di COVID-19 ha portato alla luce fragilità che erano già presenti: l’isolamento sociale, l’incertezza economica, la sovraesposizione digitale sono solo alcune delle realtà con cui i nostri ragazzi si confrontano quotidianamente.

Sarebbe riduttivo attribuire tutto al Covid. La verità è che stiamo assistendo a un cambiamento profondo nel modo in cui le nuove generazioni vivono, crescono e costruiscono la propria identità. Un cambiamento che richiede risposte nuove e adeguate.

Molti segnali di disagio mentale nei giovani rischiano di passare inosservati, o peggio, di essere minimizzati come normali fasi dell’adolescenza. Tra questi, ci sono il ritiro sociale (spesso nascosto dietro un’apparente iperconnessione online), l’apatia emotiva, la perdita di

interesse per attività prima amate, disturbi del sonno e dell’alimentazione o l’uso improprio di sostanze.

I social media, in particolare, hanno un impatto sempre più profondo: se da un lato o rono spazi di espressione e connessione, dall’altro espongono i ragazzi a modelli di perfezione irraggiungibili e a confronti continui che possono minare in modo profondo l’autostima. La logica degli algoritmi non premia la complessità, ma l’apparenza. Così si disimpara a fallire, a essere vulnerabili, a costruirsi lentamente. È in questo contesto che dobbiamo agire, con responsabilità e visione.

Lo possiamo fare e lo stiamo facendo, anche grazie ai Sistemi di Sorveglianza nazionali, che ci permettono di monitorare la salute mentale della popolazione, giovani compresi, attraverso strumenti validati e utili per pianificare interventi e caci.

I dati ci parlano chiaramente. Dal report HBSC 2022,

che analizza la salute e i comportamenti degli adolescenti liguri, emerge che la pandemia ha avuto un impatto negativo sulla salute mentale dei ragazzi.

Se da un lato circa l’88% dichiara di stare bene, ben 2 quindicenni su 10 hanno una percezione critica della propria vita. Il disagio aumenta con l’età e colpisce in modo particolare le ragazze, che riferiscono più sintomi e maggiore malessere.

Anche i dati ESPAD (European School Survey Project Alcohol and other drugs Italy) ci lanciano un segnale importante: in Italia, il 17% delle adolescenti ha assunto almeno una volta psicofarmaci senza prescrizione medica, contro il 7% dei coetanei maschi.

Se la scuola è il secondo ambiente di vita dei giovani, non può restare estranea a questo tema. Anche per questo, Regione Liguria ha messo in campo una serie di interventi formativi destinati al mondo scolastico, nell’ambito del Piano Regionale della Prevenzione 20212025. La Rete Scuola Ligure che Promuove Salute ha l’obiettivo di di ondere buone pratiche e sviluppare le competenze fondamentali per a rontare la vita, le cosiddette life skills fin dalla scuola dell’infanzia.

Le attività formative proposte dalle ASL liguri mirano a sostenere i ragazzi nel loro percorso di crescita, attraverso progetti come: “Infanzia a colori”, che aiuta i più piccoli a conoscere le emozioni e riconoscere i segnali di benessere e malessere, “Rete senza fili”, per potenziare competenze cognitive, emotive e relazionali, “Paesaggi di prevenzione”, che promuove stili di vita sani e consapevoli e “Peer education”, in cui sono i ragazzi stessi, tra pari, a veicolare messaggi di prevenzione e sostegno.

Credo che la salute mentale non sia solo un fatto individuale ma un bene comune. E si costruisce ogni giorno, nei contesti di vita quotidiana, a casa, a scuola, nei gruppi, nei luoghi di aggregazione, attraverso relazioni significative, ascolto e spazi in cui potersi esprimere senza paura di essere giudicati.

In un mondo che cambia sempre più in fretta, il nostro compito è quello di accompagnare i giovani, non solo nei momenti di successo, ma anche in quelli di fragilità.

O rire strumenti per a rontare le di coltà, costruire resilienza e imparare a conoscersi è forse il regalo più prezioso che possiamo fare alle nuove generazioni.

Contro il disagio, apriamo al desiderio

Quando parliamo di disagio giovanile, cosa intendiamo esattamente? Per chi si occupa di comunicazione sociale e lo fa in una prospettiva di “solutions journalism”, ovvero di chi non si limita a rappresentare il problema, ma mira a valorizzare l’approccio e promuovere l’azione di soggetti in grado di costruire soluzioni, questa la domanda da cui partire. Ma poi ne devono seguire almeno una seconda e una terza: quali sono gli strumenti da mettere in campo per contrastare il disagio giovanile, quali le pratiche più e caci che meritano di essere studiate e replicate?

VITA lo scorso giugno ha dedicato un numero agli adolescenti intitolato “Adolescenti, quello che non vediamo”. Lo ha curato Sara De Carli, che ogni settimana firma la newsletter DireFareBaciare (dedicata a educazione, famiglia, minori. Ve la consiglio). Un lavoro che è andato molto in profondità nell’analisi a partire da un confronto diretto con gli stessi ragazzi. Cosaneèemerso?Chelanarrazionediunagenerazione schiacciata sul malessere psicologico, sull’ansia, sulla fragilità,sull’impennatadirichiestealleneuropsichiatrie, sull’aggressività, sulle risse e sulle baby gang è solo una faccia della medaglia. I dati certo sono preoccupanti e bene fanno le istituzioni e tanti soggetti del Terzo settore a impegnare risorse economiche e professionali per a rontare il disagio. Attività che però guardano a valle, agiscono meno sulle ragioni della so erenza. Su questo secondo versante occorre introdurre uno sguardo inedito, perché forse non abbiamo capito esattamente dove sta il nodo. E quindi non abbiamo gli strumenti per sciogliere la matassa. Serve, io credo, un cambio di postura di noi adulti. Lo scrittore francese George Bernanos parla di «febbre della gioventù, che mantiene il resto del mondo alla temperatura normale. Ma quando la gioventù si ra redda, il resto del mondo batte i denti». Il disagio forse è il sintomo di questo ra reddamento, di cuori che non palpitano più. Aggiunge la filosofa Maria Zambrano, definendo l’adolescenza come «l’irruzione del propriamente umano, la necessità e l’entusiasmo di creare». È questo flusso e questo desiderio di immaginare qualcosa che

non c’è il vero argine al disagio.

Partiamodunquedalprimointerrogativo:cos’èildisagio per un ragazzo o per una ragazza? C’è un neologismo che ci aiuta a inquadrare il tema: “edupsicopenia”. L’ha coniato una storica associazione che si occupa da oltre 40 anni di minori, il Ciai (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia). Il fenomeno dell’edupsicopenia si verifica là dove alla povertà educativa si a anca un malessere psicologico, anche profondo. È questo l’humus da cui genera il malessere. Sempre più spesso le due cose si intrecciano e un intervento e cace non può non guardare a entrambe, con uno sguardo integrato fin dalla progettazione.

«Non abbiamo la presunzione di pensare che “edupsicopenia” sia la parola perfetta per descrivere la realtà, ma sicuramente ci permette di mettere insieme due fenomeni che ancora troppo spesso sono pensati – e di conseguenza a rontati – come due fenomeni diversi. In questi anni abbiamo imparato tutti a parlare di povertà educativa minorile, abbiamo imparato a di erenziarla dalla povertà materiale e abbiamo iniziato a capire che cosa ci sta dietro. Siamo arrivati a riconoscere che la povertà educativa non è semplicemente un tema di insuccesso scolastico, ma è l’impossibilità di accedere a delle possibilità in più, oltre a quelle che l’istruzione pubblica o re. È l’impossibilità di essere accompagnati quando si hanno delle di coltà a riconoscere i propri talenti e le proprie capacità. Se l’educazione ha a che fare con il tema del fiorire, la povertà educativa è il rimanere indietro in questo fiorire, il rimanere passivi», ragiona Paola Cristoferi, responsabile del Programma Italia del Ciai. Alessandra Santona è professoressa ordinaria di Psicologia Dinamica all’Università Milano Bicocca. Dice: «La edupsicopenia è un fenomeno multidimensionale, le cui dimensioni principali sono appunto il malessere psicologico e la di coltà ad accedere alle risorse: le giovani e i giovani provenienti da contesti di povertà educativa mostrano livelli più elevati di malessere psicologico, caratterizzato da sintomi come ansia, depressione, bassa autostima e sentimenti di

isolamento». Non è un meccanismo automatico, ma «piuttosto un indicatore di rischio che ci richiama ad immaginare che c’è una fetta molto ampia dei bambini e delle bambine che vivono l’esperienza della povertà educativa che possono avere anche sintomi che hanno a che vedere con le loro potenzialità di crescita in senso più ampio, con caratteristiche che minano la strutturazione della loro persona». Una presa di coscienza che spinge a immaginare interventi multifattoriali, dove le risposte al disagio psicologico e quelle al disagio rispetto all’accesso alle risorse educative viaggiano di pari passo nel medesimo progetto, con interventi psicoeducativi o educativipsicologici che permettano sia l’accesso alle risorse educative sia il supporto personale, coinvolgendo tutte quelle dimensioni che massimizzano il benessere delle persone.

Una prevenzione e cace si costruisce quindi lungo queste due dimensioni a cui ne va a ancata una terza. Un dialogo serrato con gli adolescenti per rendere loro stessi protagonisti dello storytelling che li riguarda. Pensiamo ai social. Ogni post, ogni “storia”, diventa occasione per misurare la propria popolarità, la propria immagine, la propria “valenza” agli occhi degli altri. Per

essere accettati bisogna avere più followers del numero di persone seguite. Altrimenti sei uno/a sfigato/a. Questo esercizio continuo di auto-esposizione rischia di minare l’autostima, alimentando una percezione distorta di sé. L’identità si costruisce a specchio, non più sulla base di relazioni reali ma nel riflesso di una perfezione fittizia. Se è così un dialogo vero e franco aiuta a capire come intervenire, come accendere il desiderio di relazioni reali. Bisogna però creare spazi e condizioni in cui i ragazzi si sentano liberi di dialogare, esprimersi e incidere sulla realtà. Generare competenze e responsabilità, consentire l’errore e al contempo far “comandare” i giovani. Gli scudi contro il disagio sono questi, insieme al contrasto alla povertà educativa. Ma a questo punto si apre una nuova domanda: noi adulti vogliamo e siamo in grado di a ancare i ragazzi nella rincorsa ai loro desideri, senza pensare che debbano desiderare quello che piace a noi?

L’onda lunga del disagio giovanile

Descrivere le di coltà vissute dai giovani oggi e le risposte che i servizi di salute mentale tentano di o rire, impegna a considerare i mutamenti sociali, culturali ed economici che stanno caratterizzando la nostra epoca da ben prima della pandemia Covid-19, che di fatto ha amplificato fragilità già presenti da tempo. Certamente le misure di lockdown e di distanziamento hanno comportato un aumento dei livelli di stress, ansia e depressione tra i giovani, che si sono trovati a dover a rontare l’isolamento, la perdita dei contatti con i “pari” e con altri adulti di riferimento e la di coltà a gestire la quotidianità in un contesto di estrema incertezza e precarietà (1) (2). In Italia circa 9 milioni di bambini e adolescenti si sono dovuti confrontare con cambiamenti sostanziali negli ambienti di vita, nella routine quotidiana e nelle reti relazionali, educative e sociali (3).

Sicuramente, quindi, la pandemia ha incrementato il disagio giovanile, con un preoccupante incremento del rischio suicidario e di comportamenti autolesionistici; tuttavia già da almeno quindici anni bambini e adolescenti stavano vivendo una crisi di salute mentale senza precedenti (4). Negli USA gli accessi al Pronto Soccorso per ideazione suicidaria erano passati da 580.000 nel 2007 a 1,12 milioni nel 2015; tra gli adolescenti di età compresa tra 10 e 19 anni i suicidi erano aumentati del 56% tra il 2007 e il 2016, diventando la seconda causa di morte (5).

In molti paesi quindi la salute mentale dei “futuri adulti” hasubitonelleultimeduedecadiunostabiledeclino(6), per il quale sono stati chiamati in causa i cambiamenti del panorama generale e i sottostanti “megatrends” (tendenze di grande impatto), come l’incremento delle diseguaglianze intergenerazionali, una disregolazione dei social-media, il cosiddetto “furto salariale”, l’incertezza dell’impiego e di un futuro lavorativo. I giovani, attraverso lo sviluppo di crisi emozionali, e discontrollo degli impulsi, ansia, depressione, disturbi alimentari, sono diventati “marcatori dei nostri tempi”, mostrando i più rilevanti segni e sintomi di una società e di un mondo in seria di coltà.

Le malattie mentali, più di altre malattie, subiscono una metamorfosi con i tempi e il clima socioculturale contingente; nella popolazione giovanile sono state rilevate forme di disagio “nuove” o non espresse nelle epoche precedenti, in relazione a emergenti problematiche sociali e ambientali; situazioni di confine, spesso inizialmente subcliniche, che tuttavia possono rendere la popolazione adolescenziale e giovanile particolarmente vulnerabile allo sviluppo di problematiche psichiatriche. Si parla di “sindrome da deficit della percezione delle gratificazioni” (suscettibilità alla noia, ricerca del nuovo, bisogno di sensazioni forti); “sindrome amotivazionale” o “desertificazione emozionale” (di coltà a decodificare i propri stati emotivi e il modo di sentire altrui; scarsa tolleranza alla frustrazione, ridotto senso di responsabilità, legami a ettivi labili); “sindrome da problematico adattamento sociale” (tendenza all’ansia sociale, di coltà di adattamento al nuovo, senso di inadeguatezza) (7). Da qui una serie di fenomeni, quali il ricorso al binge drinking, alle sostanze da abuso e all’assunzione di psicofarmaci senza prescrizione, nella ricerca dello “sballo”; l’isolamento in casa (la sindrome di Hikikomori); l’uso problematico dei social media, con la dipendenza da internet, il cyber bullismo (la vittimizzazioneelapersecuzioneinformatica),ilsexting (post di immagini sessualmente esplicite), la ricerca spasmodica di approvazione (i famigerati “like”), le sfide sul web (chi è più coraggioso, chi arriva più vicino alla morte); sempre più frequenti sono i comportamenti autolesionistici non suicidari, per esempio il self cutting, da intendersi come tentativo – fallimentare naturalmente . di gestione della disregolazione emotiva (il dolore fisico diventa preferibile alle emozioni negative) (8).

I disturbi neuropsichici nell’infanzia e adolescenza hanno una particolare rilevanza per la salute pubblica, coinvolgendo complessivamente sino al 20% della popolazione tra 0 e 17 anni. Le malattie mentali hanno un picco di insorgenza all’età di 15 anni con un 63-75% degli esordi entro i 25 anni. L’esordio psicopatologico

in età evolutiva va ad interferire con lo sviluppo neuropsichico del minore, determinando in molti casi una disabilità anche grave: da qui l’importanza di diagnosi e interventi precoci per cercare di scongiurare il pericolo di progressioni ingravescenti e invalidanti, con incalcolabili costi psicologici, sociali ed economici sull’individuo, sulla famiglia e sulla società (3).

L’aumento della domanda per disturbi psichiatrici in età evolutiva, adolescenti e giovani adulti si presenta con un incremento degli accessi in pronto soccorso e dei ricoveri ospedalieri, delle richieste di cura ai servizi territoriali (Neuropsichiatria Infanzia e Adolescenza, Centri di Salute Mentale e Servizi per le Dipendenze), degli inserimenti in strutture residenziali terapeutiche e socioeducative e delle istanze di collaborazione rivolte ai servizi sanitari da parte del sistema scolastico, dei servizi sociali e degli enti locali (9). Nel 2022 in ASL 3 i ricoveri degli under 27 nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura avevano già avuto un incremento del 37% rispetto al 2021 e le prime visite nei Centri di Salute Mentale un aumento del 41% rispetto al 2021 e del 66% rispetto 2019. Le prestazioni totali per questa fascia di età erano aumentate del 34% rispetto al 2021 e di ben il 94% rispetto al 2019 del periodo pre-covid (10). I dati del 2024 confermano il trend di aumento degli ultimi anni sia per i nuovi accessi territoriali (+ 13% di nuovi giovani utenti rispetto al 2023) che per le prestazioni complessive (+ 18,3%) (11). Sono in causa un aumento dei comportamenti dirompenti, spesso resi esplosivi dal contemporaneo incremento dell’uso di sostanze, che ha un ruolo significativo sia nella slatentizzazione del possibile disturbo psichiatrico sottostante o latente sia nella complessità della sua gestione.

E qui si apre un’ulteriore problematica: se è vero che, secondo l’ultima Relazione annuale al Parlamento (12), nel 2024 è calato leggermente il consumo complessivo di droghe tra i giovani, tuttavia sono in crescita l’uso di cannabis ad alta potenza (contenuto di THC quadruplicato rispetto al 2016), i decessi per “overdose” da cocaina, che con il 35% hanno raggiunto quelli per eroina (sotto accusa è la di usione del crack ad alta concentrazione) e il mercato delle “nuove droghe”, le nuove sostanze psicoattive, un gruppo eterogeneo di molecole psicotrope di semplice produzione e velocemente modificate nella loro composizione per evitare conseguenze legali e rendere particolarmente complicatalalorointercettazione.Naturaliesoprattutto sintetiche, sono vendute in negozi specializzati (smart shop e head shop) e soprattutto sul web, di solito sulle reti anonime (le cosiddette darknet), ma talvolta anche su siti facilmente accessibili (13) (14).

Già prima della pandemia l’uso ricreativo di nuove droghe, soprattutto sintetiche, era in progressiva crescita(15),configurandounproblemaparticolarmente rilevante tra gli adolescenti, che tendono a utilizzare le sostanze meno costose e più accessibili, anche perché erroneamente le percepiscono come meno rischiose (16); invece esiste un elevato rischio suicidario ed hanno conseguenze davvero molto gravi, che vanno dallo sviluppo di severi quadri psichiatrici alla morte (17) (18).

Il quadro è preoccupante e i servizi sono in a anno. Dalla Conferenza Stato Regioni sono state prodotte “linee di indirizzo” che chiedono di aumentare e sviluppare elementi qualificanti nei percorsi diagnostici e terapeutici a nché siano trasversali, basati sulle evidenze scientifiche, condivisi, personalizzati e

partecipativi, di erenziati per intensità di cura e priorità d’intervento: il modello che si è a ermato a livello internazionale, grazie allo psichiatra australiano Patrick McGorry ed alla sua esperienza con l’Orygen Youth Health Centre di Victoria (19), è caratterizzato dal superamento della separazione delle competenze tra neuropsichiatria infantile e psichiatria per la fascia d’età dai 15 ai 24 anni e da un’organizzazione più attenta ai bisogni di questa popolazione e delle loro famiglie.

La necessità di risorse adeguate finalizzate e di revisionedegliassettiorganizzativideiservizi,hacreato in Italia una situazione “a macchia di leopardo”, con ampia disomogeneità tra le regioni; l’organizzazione della risposta nelle situazioni di emergenza/urgenza

Bibliografia

1) Bell I.H., Nicholas J., Broomhall A., Bailey E., Bendall S., Boland A., Robinson J., Adams S., McGorry P., Thompson A. (2023), The impact of COVID-19 on youth mental health: A mixed methods survey. Psychiatry Research 28;321:115082

2) Giuntella O., Hyde K., Saccardo S., Sado S. (2021), Lifestyle and mental health disruptions during COVID-19. Proceedings of the National Academy of Sciences, 118 (9): e2016632118

3) Presidenza del Consigio dei Ministri – Conferenza unificata (2019), Linee di indirizzo sui disturbi neuropsichiatrici e neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza, https:// www.salute.gov.it/new/sites/default/files/imported/C_17_ pagineAree_5621_0_file.pdf

4) Fioritti A. L’altrafacciadellapandemia.Malesseredeigiovani e crisi delle Neuropsichiatrie Infantili. Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale. Quotidianosanità.it, 29 marzo 2021

5) Cloutier R.L., Marshaall R. (2021), A dangerous pandemic pair: Covid 19 and adolescent mental health emergenzies. American Journal of Emergency Medicine 46: 776-777

6) McGorry P.D., (2007), “The specialist youth mental health model: strengthening the weakest link in the public mental health system”, Medical Journal of Australia 187 (S7): S53-6

7) Furlan P.M., Picci R.L. (1990) Alcol Alcolici Alcolismo. Bollati Boringhieri, Torino.

8) Taylor P.J. Jomar K, Dhingra K., Forrester R., Shahmalak U., Dickson J.M. (2018) A meta-analysis of the prevalence of different functions of non-suicidal self-injury. Journal of A ective Disorders 227: 759-769

9) Cammarata S., Giacomini G. Prestia D. (2022), Breakdown adolescenziale ed emergenza psichiatrica: creazione di un percorso di salute mentale, Project Work Corso di Formazione Manageriale per Dirigenti di struttura complessa, UniGe-AMAS.

10) Ghio L., (2022), Report Annuale Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche

11) Picci R.L., (2024), Report Annuale Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche

psichiatrica in adolescenza con protocolli e documenti specifici tra Servizi di NPIA-DSM è presente in meno della metà delle regioni italiane (45%) e il 60% non ha un’organizzazione specifica per la gestione dei quadri clinici d’urgenza psichiatrica in età evolutiva. I percorsi di cura spesso sono frammentari e discontinui e ed è di cile garantire equità di risposte a utenti e famiglie (20) (21).

Tuttavia i tempi stringono: oggi ci confrontiamo con quella che viene chiamata la quarta ondata della pandemia: la sensazione è di trovarsi all’interno di un’onda lunga ed estremamente pericolosa, perché il prezzo da pagare in futuro potrebbe essere molto alto, se non si pone rimedio tempestivamente.

12) Consiglio dei Ministri. Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze (2025), Relazione annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia https://www.politicheantidroga.gov.it/media/v5dlr0fu/ relazione-al-parlamento-2025.pdf

13) United Nations O ce on Drugs and Crime (2025), World Drug Report 2025: Global instability compounding social, economic and security costs of the world drug problem https://www.unodc.org/unodc/data-and-analysis/world-drugreport-2025.html

14) European Union Drugs Agency (2025), European Drug Report 2025: Trends and Developments https://www.euda. europa.eu/index_en

15) Schifano F., Orsolini L., Papanti G.D., Corkery J.M. (2015), Novel psychoactive substances of interest for psychiatry. World Psychiatry 14: 15-26

16) Williams J.F., Lundahl L.H. (2019), Focus on Adolescent Use of Club Drugs and “Other” Substances Pediatric Clinics of North America 66(6):1121-1134

17) Mohr A.L.A, Logan B.K., Fogarty M.F., Krotulski A.J., Papsun D.M., Kacinko S.L.,Huestis M.A., Ropero-Miller J.D. (2022), Reports of Adverse Events Associated with Use of Novel Psychoactive Substances, 2013-2016: A Review. Journal of Analytical Toxicology, 46, e116–e185

18) Taflaj B., La Maida N., Tittarelli R., Di Trana A, D’Acquarica I. (2024), New Psychoactive Substances Toxicity: A Systematic Review of Acute and Chronic Psychiatric Effects. International Journal of Molecular Sciences, 25: 9484

19) Mc Gorry P.D., Mei C., Naeem D., et al (2024), The Lancet Psychiatry Commission on youth mental health, The Lancet Psychiatry, 11 (9),731-774

20) Ghio L., Cammarata S., Patti S. (2024), Linee di indirizzo 2024 per favorire interventi integrati per il riconoscimento e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile (14-27). DSMeDP ASL3 Genova.

21) Picci R.L., Cammarata S., Capurro P., Dolcino M., Patti S., Pignatelli S., Zanelli F. (2024), Linee di indirizzo 2024 per un percorso di cura per pazienti con esordio psicotico in età giovanile (17-27 anni). Revisione. DSMeDP ASL3 Genova.

Progetti attivi sui giovani

nei Servizi di Salute Mentale di ASL 3

Tavolotecnicodimonitoraggioemiglioramento

dell’assistenza per la fascia giovanile: multiprofessionale e trasversale ai servizi del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze Patologiche (DSMeDP), ha l’obiettivo di migliorare le attività delle équipes specialistiche dedicate agli esordi giovanili di disturbi mentali gravi e l’integrazione funzionale tra servizi. Nel 2024 sono state revisionate le Linee di indirizzo dipartimentali finalizzate a favorire gli interventi integrati per il riconoscimento e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile (14-27anni),conparticolarefocussulleprocedure di passaggio tra il servizio per minori e servizio adulti.

Progetto di ricerca NEET (in collaborazione con l’Università di Genova): studio pilota condotto sulla popolazione giovanile a erente al DSMeDP, con l’obiettivo di definire l’incidenza dei soggetti all’interno dei servizi, che soddisfano la definizione di NEET (“Not in Education, Employment or Training”)i, ossia pazienti che non stanno studiando né lavorando né seguendo una formazione.

Progetto pilota “Not Alone” (in collaborazione con il Dipartimento Architettura e Design dell’Università di Genova): si propone di favorire la promozione della salute mentale tra i giovani universitari, attraverso l’utilizzo del materiale prodotto negli scorsi anni dagli studenti del DAD nell’ambito di campagne di informazione e di lotta allo stigma. Il progetto è stato scelto per la partecipazione al Festival Euphoria, in collaborazione con il Comune di Genova.

Progetto Youth in Mind (in collaborazione con l’Associazione Progetto Itaca): progetto di prevenzione primaria e di lotta allo stigma, rivolto a studenti delle scuole superiori, con gli obiettivi di fornire informazioni sulle patologie mentali, sull’organizzazione dipartimentale e l’accesso ai servizi e di “psicoeducare” sulla di erenza tra disagio giovanile e segnali precoci di disturbi psichiatrici.

Progetto Ending The Silence (in collaborazione con l’Associazione Progetto Itaca): evoluzione del progetto precedente, prevede l’organizzazione di incontri, all’interno degli istituti coinvolti nel Progetto Youth in Mind, con i professori, con l’obiettivo di raccogliere domande e bisogni e presentare l’organizzazione del DSMeDP, le caratteristiche dei servizi e la tipologia delle prestazioni erogate.

Progetto #Chatsafe, coordinato dall’AIPP (Associazione Italiana di Prevenzione e Promozione della Salute Mentale), a cui il nostro DSMeDP aderisce. Nato dalla collaborazione tra AIPP e Orygen di Melbourne, organizza workshop finalizzati alla creazione di posts da pubblicare sul profilo Instagram del progetto; intende fornire ad adolescenti e giovani e alle persone vicine strumenti per poter parlare in maniera sicura, consapevole ed e cace di suicidio e autolesionismo online e o ine.

Giovani e salute mentale: quali strategie per promuovere benessere

Negli ultimi anni si è registrato un significativo aumento della domanda di supporto psicologico da parte della popolazione e in particolare da parte dei giovani. Un dato che, se letto attraverso la lente dell’allarmismo, potrebbe generare preoccupazione, evocando un’immagine di una generazione fragile, sommersa dal disagio. L’incremento nella richiesta di aiuto non è solo segnale di una crisi di usa, ma anche espressione di una maggiore consapevolezza e maturità nella gestione del proprio benessere psicologico. I giovani stanno imparando a chiedere aiuto prima che i problemi si trasformino in so erenze profonde e, questo, rappresenta un cambiamento culturale importante. Le nuove generazioni stanno rompendo il tabù del malessere psichico, riconoscendo l’importanza di ascoltarsi, di chiedere supporto, di prendersi cura di sé in modo attivo. In questo senso, l’aumento delle richieste di consulenza psicologica va letto come un segnale positivo: non più un gesto in situazioni di emergenza, ma una scelta preventiva, educativa, fondata sul desiderio di migliorare la qualità della propria vita. Questo approccio si discosta nettamente da una visione che tende a patologizzare il disagio: non si parte dal sintomo, ma dalla persona. Il benessere mentale viene così integrato nel percorso di crescita, diventando un tema di cittadinanza, di educazione civica, di costruzione dell’identità. Non si tratta più di “curare” il disagio, ma di coltivare il benessere. Ed è proprio a partire da questi presupposti che presso Coges don Lorenzo Milani a Mestre (VE) è attivo da

anni il servizio Open Space (sostenuto anche grazie ai finanziamenti del Comune di Venezia) dedicato ai giovani adolescenti del territorio e che o re un insieme di possibilità volte al supporto del loro percorso di crescita. Nell’anno 2024 attraverso i vari interventi proposti abbiamo intercettato in totale 5050 giovani. Il servizio è un network di servizi educativi composto da interventi multifattoriali, strutturati secondo tre ambiti funzionali integrati tra loro: prossimità, cura educativa, percorsi di autonomia. Questo impianto nasce dall’idea di o rire una rosa di opportunità ad accesso flessibile e modulabile, al fine di poter garantire la più ampia risposta possibile ai giovani e alle famiglie. In un solo luogo più risposte, armonizzate e composte sulla base di ogni singola richiesta. Un servizio non etichettante e non giudicante, aperto a tutti i giovani del territorio e che pone loro al centro. Uno spazio dalle porte girevoli al quale il giovane può accedere per più motivi, dalla socializzazione e il divertimento, al ricevere informazioni, orientamento, consulenze mirate, partecipare ad attività animative e creative o laboratori. Può accedere per un motivo e trovarsi a scoprire ed esplorare diverse altre possibilità. Attraverso queste sperimentazioni ogni giovane può conoscere sé stesso sia in modo individuale che in relazione con gli altri. Le o erte permettono a ciascuno di imparare ad ascoltarsi ed ascoltare, a conoscere e nominare le emozioni, a comprenderle e gestirle, in poche parole ad allenare l’intelligenza emotiva. Possono inoltre misurarsi con regole e confini durante le attività gruppali e hanno

modo di rapportarsi con altri in vere e proprie palestre educative.

La sfida oggi è creare contesti in cui tutto questo sia facilmente accessibile al più ampio numero di ragazzi e ragazze, e siano loro protagonisti riconosciuti e valorizzati, senza etichettarli secondo gli ostacoli che incontrano durante il loro percorso di crescita. I giovani non hanno bisogno di essere “aggiustati”, ma di essere ascoltati, accompagnati e messi in condizione di costruire, giorno dopo giorno, il proprio benessere. Spostare la lente dai problemi alle opportunità, non solo luoghi di incontro ma luoghi che accolgono e o rono possibilità. È accogliendo questa spontanea richiesta di ascolto che noi che operiamo nella prevenzione possiamo tornare a darle la centralità nei nostri interventi. È farci prossimi, perché certamente se è aumentata la richiesta di essere ascoltati aumentano ed emergono anche le situazioni di malessere che prima rimanevano più nascoste. Ora vengono alla luce e sono i giovani per primi a dire “non voglio sentirmi così, aiutami a stare meglio”. E questa è l’apertura più potente che possiamo trovare e dobbiamo supportare nei giovani d’oggi. I giovani “urlano” perché attendono, resistono, celano finché non riescono più a farlo e allora li esplode il malessere in tutta la sua potenza. Questa è la fase in cui i giovani accedono ai servizi e ai pronto soccorso, magari dopo incidenti o agiti importanti. Bisogna trovare strategie e modi per arrivare prima, per intercettare ed esserci. Perché quando arriviamo a questo punto, arriveremo sempre troppo tardi. Continueremo a chiedere loro di continuare ad alzare l’asticella per essere visti. Quello che proponiamo è invece di disattivare questo meccanismo e di cercare di abbassare la soglia, di ampliare le possibilità, di farci noi prossimi a loro. Riuscire ad o rire dei contesti nei quali i giovani possono trascorrere la loro quotidianità permette a noi operatori della prevenzione di osservare e intercettare eventuali segnali in tempo utile per attivare degli interventi.

Siamoinunafasestoricadoveicodicidiinterpretazione dellarealtàfinoranotianoiadultisistannomodificando, le tradizioni si stanno perdendo e riorganizzando. L’identità fluttua in molteplici dimensioni non trovando confini, rispecchiamenti, ma mobilità estreme. Lo specchio è multiforme, l’immagine modificata, la realtà costruita. A queste modificazioni la pandemia ci ha formati a nuovi modi di stare: il distanziamento come modello salvifico per noi e per tutti. Ci ha fatto scoprire

la dimensione individuale che è diventata sempre più prevalente, andando a favorire, per molti, diverse forme di isolamento. Ha aumentato le connessioni attraverso modi diversi dai soli incontri in presenza e in breve tempo ha trasformato il cellulare da un oggetto ad una estensione di sé. E questa nuova strutturazione fatta di fili invisibili non può essere ignorata o, come ci si illude, rimossa chiudendo il cellulare in un cassetto. Finché lo vedremo come un semplice oggetto falliremo la connessione con gli adolescenti. Oggi i giovani parlano con l’intelligenza artificiale per prendere decisioni sul loro futuro, per confrontarsi e sviluppare pensieri in una delega anestetica ad un potente alterego. Perché laddove il genitore non ha più tempo o strumenti per guidare, lo fa internet. Se lo smartphone non è oggetto ma estensione di sè, i pensieri formulati dall’intelligenza artificiale possono essere assorbiti e replicati.

Chi non vacillerebbe di fronte a tutto ciò? Perché parliamo di adolescenti ma in realtà ci siamo dentro tutti. Abbiamo bisogno di fermarci e apprendere dall’esperienza che stiamo facendo perché non esiste manuale, non ci sono precedenti dai quali procedere per imitazione. Ed è proprio qui che gli adolescenti ci o rono una lezione di resilienza umana: chiedono spazi per incontrarsi, cercano occasioni di disconnessione e di discussione, confronto. Chiedono di essere ascoltati perché forse si, sono proprio loro ora a poterci indicare la strada, a spiegarci cosa sta accadendo, perché ci stanno passando in mezzo e sono gli unici, i soli a poterci dire come funziona.

*Articolo redatto da Tiziana Venturini, Irena De Marzi, Fabiana Moro, Elisa Ongaro (Coges Don Milani – Area Giovani e Promozione del Benessere, Mestre - VE) e Mauro Cibin (Centro Soranzo, Venezia).

Terapia dell’avventura: un approccio innovativo alla salute mentale giovanile

to Nave Italia ETS, Genova

La so erenza psicologica tra le nuove generazioni è un fenomeno in costante crescita. Le sue cause sono molteplici e interconnesse: un’esposizione precoce e prolungata ai social media, con e etti rilevanti sull’identità e l’autostima; la crisi di senso e il venir meno del ruolo della fede e della spiritualità nel sostenere il benessere mentale, soprattutto in situazioni traumatiche come il bullismo o l’esclusione sociale; una crescente disconnessione dai contesti educativi e familiari; e una grave di coltà dei servizi pubblici –in particolare neuropsichiatria e assistenza sociale – a o rire risposte coordinate e tempestive.

In questo scenario, occorre esplorare approcci terapeutici nuovi, validati e capaci di rispondere alla complessità del disagio giovanile. Tra questi, si distingue l’Adventure Therapy (AT), fondamento del Metodo Nave Italia, promosso dalla Fondazione Tender to Nave Italia ETS in collaborazione con la Marina Militare Italiana.

La Terapia dell’Avventura utilizza attività sfidanti in ambienti naturali come strumenti per facilitare il cambiamento psicologico e sociale. Sviluppata nel solco del modello Outward Bound di Kurt Hahn, si basa sull’apprendimento esperienziale e coinvolge i partecipanti a livello cognitivo, a ettivo e comportamentale. Il Metodo Nave Italia, in particolare, si realizza in un contesto unico: quello della navigazione a vela a bordo di un veliero militare, dove ogni partecipante – spesso minori fragili, giovani adulti vulnerabili o pazienti cronici – è chiamato a svolgere un ruolo attivo e responsabile all’interno di un equipaggio reale.

Sette sono i principi cardine dell’AT: l’azione terapeutica focalizzata, l’esposizione a un ambiente non familiare, un clima orientato al cambiamento, la valutazione continua dei progressi, il lavoro in piccoli gruppi coesi, l’approccio centrato sui punti di forza, e il ruolo dinamico del terapeuta. Il Metodo Nave Italia aggiunge

ulteriori elementi: l’influenza dell’ambiente marino, l’uso dell’eustress (stress positivo legato alla sfida), la responsabilizzazione individuale, la disciplina condivisa, l’etica della cura lungo tutto il percorso, e la possibilità di vivere un’esperienza collettiva significativa e trasformativa.

Alivelloteorico,laTerapiadell’Avventurasiavvaleanche del modello ABC-R, che analizza il legame tra eventi (A), pensieri e credenze (B), conseguenze emotive e comportamentali (C), e relazioni (R). Attraverso questo schema, è possibile individuare e modificare pensieri disfunzionali, migliorando la gestione delle emozioni e l’e cacia nelle relazioni interpersonali.

Numerosi studi internazionali – soprattutto nei Paesi anglosassoni, scandinavi e in Germania – hanno validato l’e cacia dell’AT, meno di usa ma in rapida crescita in Italia. Le recenti meta-analisi indicano che i programmi di AT sono e caci nel migliorare il funzionamento psicologico, emotivo, relazionale e clinico in molteplici popolazioni: adolescenti sani, giovani a rischio, pazienti oncologici, persone con disturbi psichiatrici o neurodivergenze. I benefici sono rilevanti soprattutto in soggetti con sintomi marcati e permangono nel tempo, soprattutto se supportati da attività di follow-up.

Unodegliaspettipiùinteressantidell’ATèlasuacapacità di promuovere la regolazione emotiva. I partecipanti, spesso caratterizzati da di coltà nel gestire emozioni intense o comportamenti impulsivi, sono coinvolti in contesti sfidanti ma protetti. L’alternanza tra azione

concreta, riflessione condivisa e sostegno relazionale permette di sviluppare nuove strategie di coping, come il problem-solving collaborativo, la richiesta di aiuto o l’autoregolazione. Questo processo ra orza l’autoe cacia, la fiducia in sé e la capacità di a rontare ostacoli percepiti come insormontabili.

L’elementoavventurosoconsenteinoltreun’esposizione controllata a emozioni forti – paura, incertezza, entusiasmo – all’interno di un setting terapeutico sicuro, favorendo una trasformazione dello stress in eustress, funzionale alla crescita personale. Il distacco dalla quotidianità abituale aumenta la consapevolezza e stimola la resilienza, come testimoniano i miglioramenti rilevatiingruppidiadolescentioncologiciocondisturbi dell’umore: immagine corporea, autocompassione, riduzione dell’isolamento e dei sintomi depressivi sono solo alcuni degli indicatori positivi osservati.

In sintesi, l’Adventure Therapy rappresenta una metodologia scientificamente fondata e fortemente centrata sulla persona, capace di integrare esperienza, relazione e ambiente naturale in un percorso di cambiamento autentico. In un contesto come quello italiano, dove le risposte istituzionali faticano a tenere il passo con i bisogni emergenti dei giovani, iniziative come il Metodo Nave Italia non sono solo buone pratiche: sono occasioni concrete per ripensare il modo in cui accompagniamo le fragilità verso il benessere e l’inclusione.

Si comincia dal confronto

Siamo seduti tutti in cerchio quando F. confessa di aver so erto di depressione per svariati anni. La voce di F. non è l’unica; alla sua se ne aggiungono altre. Parole diverse, esperienze simili. C’è somiglianza nei disagi che ci raccontiamo. Nel nostro quotidiano – fatto di riunioni, ore condivise in redazione, momenti di confronto e riflessione – abbiamo imparato a riconoscere l’intreccio inestricabile tra disagio psicologico e condizioni materiali. Dentro un luogo come Spin Time, dove Scomodo ha sede, la salute mentale non è un tema astratto: è qualcosa che passa dai corpi, dalle storie, dalle fragilità che attraversano noi e lo spazio che percorriamo. Non si può parlare di benessere mentale senza parlare di casa, di lavoro, di accesso ai servizi.

In un’Italia in cui servizi di salute mentale pubblici so rono di sottofinanziamento cronico e lunghissime liste d’attesa, in cui gli psicologi scolastici sono ancora una rarità, è naturale che le risposte di cura vengano sempre più dal basso. Le risposte istituzionali annaspano nel tentativo di tenere il passo, incespicando in una burocrazia sempre più lenta e, soprattutto, cieca ai problemi reali. Non si può pretendere di escogitare piani di cura e di azione senza prima aver esperito,

tra chi di quei piani ne ha bisogno, delle necessità da colmare. I soggetti privilegiati in questo senso sono quelle realtà che ogni giorno si confrontano con il disagio, che fanno autoformazione, che hanno costruito spazi orizzontali e concreti di solidarietà e mutualismo. Perché chi vive certe condizioni, chi le attraversa con consapevolezza, ha anche gli strumenti per raccontarle, interpretarle e immaginare risposte nuove. È qui che emerge sempre maggiore evidenza il ruolo cruciale dell’attivazione dal basso come motore di trasformazione sociale e culturale. Questo meccanismo partecipativo non costituisce semplicemente un’operazione di ricerca sociale, ma rappresenta un atto politico di riappropriazione degli spazi di formazione da parte di chi li vive quotidianamente. Questa esperienza illumina dinamiche più ampie, che riguardano il modo in cui pensiamo alla cura: non più come un servizio da delegare, ma come una pratica collettiva, da condividere e proteggere.

Scomodo, in questo senso, è un laboratorio potente e in continua modificazione. Con la sede principale sita all’interno di un’occupazione abitativa nella zona dell’Esquilino, la Redazione diventa un punto

d’osservazione e di azione privilegiato sulle sfide quotidiane delle persone. Qui, dove convivono il desiderio di cambiare le cose e la fatica di farlo, abbiamo capito che parlare di salute mentale non significa soltanto mettere a tema la so erenza, ma riconoscere la possibilità di stare dentro la complessità senza doverla negare. E di farlo insieme.

Abbiamo raccolto dati, fatto indagini, chiesto a professionisti, psicologi, sociologi di dirci la loro: nel corso della nostra storia il tema della salute mentale è stato oggetto di svariate pubblicazioni: in C’è qualcuno online? abbiamo raccontato il mondo dei gruppi telegrampro-suicidioepro-anoressia;in Suicidi giovanili il complesso rapporto tra la pressione del successo e la carriera accademica. Eppure, il luogo in cui questa ricerca ha davvero preso forma sono sempre state le nostre assemblee. Tutto ciò che Scomodo produce deriva dal costante confronto con i membri della comunità. Non esiste riunione in cui, esplicitamente o meno, questo malessere non venga fuori. L’impressione è che per la nostra generazione sia impossibile separare la militanza, il lavoro, la scrittura, la creatività dalla fatica, dalla precarietà emotiva, dall’inadeguatezza. È sempre tutto insieme, come se vivere fosse diventato un esercizio di equilibrio costante, tra la voglia di

cambiare le cose e il bisogno di salvarsi. Nessuno di noi pensa che basti stare insieme per guarire, eppure tutti sappiamo che c’è qualcosa che si ripara nella vicinanza e nella condivisione delle esperienze. La pratica di Scomodo si manifesta nello specifico nella costruzione di spazi reali nei quali le singolarità si ritrovano. Nello specifico, il nostro secolo viene definito lonely century: si tratta del sintomo che dimostra quanto la mancanza di spazi dove poter “stare” impatti i giovani. Scomodo, in questo senso, propone tramite la creazione delle comunità e di un costante lavoro di indagine, di o rire un luogo senza la presunzione di una soluzione, ma dando la possibilità di un’esperienza che esula l’individuo. Non serve romanticizzare questa fatica collettiva, perché resta pur sempre fatica, ma di certo si trasforma in uno stare — magari imperfetto, traballante — ma radicalmente opposto all’isolamento che ci viene naturale perseguire in una società come questa. Non sappiamo dare un nome a tutto questo, ancora, ma sappiamo che c’è e che ci tiene in piedi. È proprio per questo motivo che, come Scomodo, ci impegniamo a parlarne: si tratta di una questione che deve scindersi dalla fruizione del singolo e che deve diventare una sensibilità condivisa e parte di un impegno collettivo per il benessere mentale delle persone più giovani.

Il digitale fa davvero “marcire” il cervello?

Nel 2024 l’Oxford Dictionary ha scelto come parola dell’anno brainrot, che letteralmente significa marciume cerebrale, ma può essere estesa nel senso di ossessione mentale.

Il termine indica il progressivo peggioramento della capacità di attenzione, riflessione e comprensione, quando ci si espone spesso a contenuti banali, ripetitivi e poco stimolanti. Meme, video brevissimi, frasi fatte: un flusso continuo che dà l’impressione di riempire la testa e di fornire continui stimoli, ma in realtà la svuota di senso e di profondità. Il fatto che sia nato nei linguaggi giovanili dei social, utilizzato dalla generazione Z (nati dopo il 1995) e Alpha (nati dopo il 2010) dimostra una coscienza critica delle nuove generazioni rispetto all’impatto dannoso dei social media che usano regolarmente. Se può consolare, il termine compare per la prima volta nel 1854 in Walden o Vita nei boschi di Thoreau, che criticava il declino degli standard intellettuali e la tendenza della società a svalutare le idee complesse.

Oggi, è un fenomeno che tocca in modo particolare gli adolescenti e i giovani, ma riguarda anche molti adulti, sempre più assuefatti dallo scorrere infinito di notizie, spesso superficiali o, peggio, infondati, oltre che di contenuti di intrattenimento che invecchiano nel giro di poche ore o giorni, di solito con uno sviluppo esponenziale di polemiche, anche loro molto e mere e regolarmente sostituite da altre che appaiono più nuove e virali.

Non è di cile accorgersi che il brainrot non resta confinatosolonelmondodigitale,mahae etticoncreti anche nella vita fisica e quotidiana. Le capacità di concentrazione si accorciano, diventa faticoso leggere testi lunghi, ascoltare discorsi articolati, a rontare momentidisilenzioodiprogettazionecreativa.Iltempo libero sembra essersi trasformato irrimediabilmente in tempo vuoto, da riempire continuamente, per non sentirsi soli, esclusi. Crescono l’irrequietezza, l’ansia da connessione, la paura di perdere qualcosa se non si è sempre aggiornati. Anche sul piano relazionale,

l’uso eccessivo del digitale può ridurre la qualità dei legami: ci si sente “connessi”, ma non davvero vicini; si moltiplicano i contatti, ma diminuisce il tempo speso per relazioni profonde e significative.

Diversi studi hanno collegato queste abitudini digitali a un aumento di fragilità psicologiche: disturbi del sonno, calo dell’autostima, forme di isolamento sociale, di coltà a gestire emozioni come rabbia o frustrazione. Un adolescente riceve in media 237 notifiche al giorno, circa 15 ogni ora di veglia. Quello che gli adulti continuano a chiamare virtuale, è di fatto molto reale per i più giovani e li fa spesso sentire inadeguati, in particolare per chi sta già vivendo momenti di fragilità e di coltà personali.

Anche tra gli adulti cresce il senso di saturazione e stanchezza mentale, sempre connessi agli schermi, senza momenti di vera pausa. Dietro a queste pratiche disfunzionali, possiamo leggere trasformazioni profonde della società negli ultimi decenni.

Viviamo in un’epoca in cui il tempo è frammentato, i ritmi accelerati, la pressione per mostrarsi sempre

produttivi e competitivi è altissima. Il digitale ha amplificato questa tendenza, ma non l’ha creata da solo: il nostro modello economico e culturale spinge a consumare in fretta, a desiderare sempre qualcosa di nuovo, a non fermarsi mai. Le grandi aziende digitali hanno perfezionato sistemi che ci tengono incollati agli schermi, con l’obiettivo di raccogliere dati e di moltiplicare contenuti personalizzati, spesso senza che noi ce ne rendiamo conto, anticipando ormai nella prima infanzia stimoli diretti, o rivolti ai genitori, per familiarizzare sempre prima con gli schermi.

Più restiamo connessi, più diventiamo preziosi per il mercato della pubblicità e della profilazione. È il cosiddetto e etto bolla, per cui gli algoritmi ci propongono solo ciò che conferma le nostre opinioni, restiamo prigionieri di interessi sempre più limitati, incapaci di aprirci a prospettive diverse.

Il brainrot, allora, è anche il sintomo di un’industria che vive della nostra attenzione e la trasforma in merce, la cosiddetta economia dell’attenzione. La datificazione –cioè la riduzione della nostra vita a dati da raccogliere e

vendere – è il motore nascosto di gran parte delle app e dei social che usiamo ogni giorno. Per questo è ingenuo e riduttivo pensare che basti la forza di volontà per sottrarsi a queste dinamiche: servono consapevolezza, educazione e anche scelte collettive, sociali e culturali più coraggiose.

Cosa possiamo fare, concretamente, senza cadere né nell’illusione che il digitale sia solo progresso, né nella paura che il digitale sia apocalittico?

Prima di tutto occorre recuperare una postura di libertà, che permetta di scegliere come e quando usare la tecnologia, invece di esserne usati. Questo significa anche ritrovare spazi e tempi di lentezza, di dialogo vero. Significa sperimentare con i più giovani che non tutto deve essere immediato, che c’è bellezza nell’approfondire, nell’ascoltare, nel coltivare relazioni autentiche. E per gli adulti, vale la pena riscoprire il valore di un pasto senza telefono, di una passeggiata senza cu e, di una lettura senza notifiche che interrompono.

Le comunità cristiane possono avere un ruolo prezioso in questo cammino. Non per tornare nostalgicamente a un passato senza schermi, ma per proporre stili di vita più umani, in cui la relazione personale e il tempo condiviso siano la priorità. Essere comunità significa che l’uomo non è solo produttore e consumatore, ma soggetto sociale e altruista, non individuale e autoreferenziale. Educare a un uso consapevole del digitale significa educare a un uso che favorisca la crescita integrale della persona, che promuova l’incontro e non la chiusura, che allarghi lo sguardo invece di restringerlo.

Per far questo non sono su cienti le parole, e men che meno solo le regole, ma serve l’esempio concreto, poiché si impara facendo, ma anche imitando, come ci insegnano i bambini e le bambine fin dalla più tenera età.

Il brainrot ci mette davanti a una sfida importante: non lasciare che la nostra mente e quella dei nostri figli e figlie diventi sterile, incapace di meraviglia, di empatia e dipensierocritico.Èunasfidacheriguardaipiùgiovani, ma anche le famiglie, la scuola, le parrocchie, la società intera. Non è una battaglia contro la tecnologia, ma per l’essere umano: per una libertà vera che permetta di scegliere, discernere e dare un senso nuovo a strumenti che, se usati bene, possono davvero arricchire la vita invece di impoverirla.

Perchivolesseapprofondire

Bissaca, E., Cerulo, M., Scarcelli, C.M. (2020). Giovani e social network. Emozioni, costruzione dell’identità, media digitali, Carocci, Roma.

Colamedici, A., Gancitano, M. (2019). La società della performance. Come uscire dalla caverna. Tlon, Roma.

Fant, D, Milani, C. (2024). Pedagogia hacker. Eleuterio, Milano.

Ferrario, L. (2024/5). Boomer si nasce. Un podcast che ci accompagna nella vita online e offline dei ragazzi di oggi. Trentino Film Commission e Educa Imamgine, Rovereto, Chora Media, Milano.

Gallese, V., Moriggi, S, Rivoltella, P.C. (2025). Oltre la tecnofobia. Il digitale dalle neuroscienze alla educazione. Ra aello Cortina, Milano.

Haidt, J. (2024). La generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli. Rizzoli, Milano.

Marangi, M. (2023). Addomesticare gli schermi. Il digitale a misura dell’infanzia 0-6. Scholé Morcelliana, Brescia.

Pieranni, S. (2025). Schermi pericolosi. Guida per genitori e adolescenti. Podcast, Chora Media, Milano

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