L'abbraccio numero 110

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L’ABBRACCIO

L’Agricoltura Sociale 2023

L’Agricoltura sociale

Editoriale di S.E. Mons. Mario Enrico Delfni

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Agricoltura sociale, le esperienze in Liguria. “costante attenzione al settore, favorendo multifunzionalita’ e servizi”

di Alessandro Piana 5

L’agricoltura sociale. Una riflessione di senso e di metodo

di Francesca Giarè 8

L’agricoltore guarda avanti, pianifica il terreno, lo ara, lo concima, lo semina o pianta alberi, lo irriga, ne raccoglie i frutti e subito dopo riprende il ciclo;

è questo guardare sempre, ripetutamente e con pazienza avanti che fa dell’agricoltura la più nobile delle attività; quando poi l’agricoltura viene coniugata per una missione sociale si raggiunge l’apice dei valori.

Oltre a dar modo alle persone di impegnarsi in questa nobile attività, l’agricoltura sociale svolge un impareggiabile funzione educativa, ancor più preziosa quando è rivolta verso persone che stanno vivendo in fragilità.

Intrisi di domande importanti e consapevoli dell’enorme significato di questo argomento, ci rivolgiamo agli esperti del settore con profonda gratitudine e con particolare riconoscenza all’Arcivescovo di Milano

S.E. Mons. Mario Enrico Delpini che ha voluto onorarci del suo prezioso editoriale.

Agricoltura sociale: nuova opportunità per le aziende, nuovi percorsi per i nostri ragazzi speciali.

di Alessandro Ferrante

Perché proprio l’agricoltura? Riflessioni sull’istituzionalizzazione dell’Agricoltura Sociale in Italia

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di Stefano Spillare 14

Valutare per affrontare le sfide dell’agricoltura sociale: il caso de “il sale della terra”

di Maria Bezze 17

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n110
Enrico Costa Buona lettura!

L’ABBRACCIO

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Caporedattore

Alessandro Censi Buffarini

In redazione

Elisabetta Aicardi, Agnese Schiaffino

Hanno collaborato

S.E. Mons. Mario Enrico Delpini, Alessandro Piana, Francesca Giarè, Alessandro Ferrante, Stefano Spillare, Maria Bezze

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Via Asilo Garbarino, 6 B

16126 Genova

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Siamo qui perché non c’è alcun rifugio dove nasconderci da noi stessi. Fino a quando una persona non confronta se stessa negli occhi e nei cuori degli altri, scappa. Fino a che non permette loro di condividere i suoi segreti, non ha scampo da questi. Timoroso di essere conosciuto né può conoscere se stesso né gli altri, sarà solo. Dove altro se non nei nostri punti comuni possiamo trovare un tale specchio? Qui insieme una persona può alla fine manifestarsi chiaramente a se stessa non come il gigante dei suoi sogni né il nano delle sue paure, ma come un uomo parte di un tutto con il suo contributo da offrire. Su questo terreno noi possiamo tutti mettere radici e crescere non più soli come nella morte, ma vivi a noi stessi e agli altri.

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L’Agricoltura Sociale

LE MANI DELL’ASSASSINO

Dio perdona chiunque si pente. La giustizia umana impone una pensa proporzionata al delitto: scontata la pena il cittadino potrebbe riprendere una vita normale. Il carcere si propone di recuperare al convivere civile il condannato: non sempre ci riesce, ma – si dovrebbe dire – con Antonio aveva aiutato. Antonio non riusciva a perdonare sé stesso e spesso era perseguitato da incubi e da un impossibile desiderio di ritornare giovane e vivere una vita tutta diversa. Era giovane, stupido, con una compagnia balorda, in uno stato di confusione: ma non cercava scuse. Era stato lui a uccidere e aveva pagato. Era stato dentro molto tempo, aveva imparato diversi mestieri, era un uomo diverso. Ma la gente non dimentica, la gente non si fida. “No, per te non c’è posto. Non assumiamo assassini!”. C’era però anche Carlo, con la sua azienda per coltivare frutti di bosco. Carlo cercava manodopera. Carlo sapeva ascoltare e Antonio ebbe la possibilità di raccontare tutta la sua storia. Carlo era convinto che la terra non distingue le mani di un santo dalle mani di un assassino. E gli sembrava che Antonio meritasse fiducia. E gliela diede. Antonio si trovò a lavorare, a lavorare sodo, a farsi apprezzare per essere attento, puntuale. La coltivazione dei frutti di bosco e la loro trasformazione in succhi e marmellate non era un mestiere che aveva imparato negli anni in cui era ristretto in carcere. Ma Antonio aveva voglia ed era sveglio. Così si diede da fare ed entrò nel mondo della agricoltura sociale, ne imparò la filosofia, si appassionò all’impresa di produrre e mettere sul mercato prodotti di qualità, con Carlo si impegnò a offrire a quelli come lui la possibilità di ricominciare una vita diversa dopo il carcere.

Ecco, quando bevi un succo di mirtillo, devi pensare che non è solo un succo di mirtillo: può infatti raccontarti la storia di Antonio, di Carlo, di come funziona l’agricoltura sociale.

NONNA ROSA AVEVA UN POLLAIO

Come era normale, forse per secoli, dietro la casa di nonna Rosa c’era un pollaio, una modesta recinzione

con poche galline e forse un gallo. Il fatto originale è che il pollaio confinava con il parco giochi della scuola d’infanzia. Era sorprendente vedere che i piccoli erano attratti dal pollaio e dalle galline e appena liberi di scorrazzare nel parco si precipitavano a spiare le galline. Nonna Rosa chiamava per nome i bambini e le galline. E si divertiva a fare domande e ad ascoltare le domande dei bambini. Talvolta metteva nelle manine una manciata di mangime e i bambini erano entusiasti di lanciare il mangime e vedere le galline affollarsi entusiaste a rubarsi i chicchi e i frammenti nutrienti. Fu proprio lì che i bambini scoprirono con enorme stupore che le uova venivano dalle galline e non dal signore del supermercato.

Nel piccolo pollaio di nonna Rosa si tenevano dunque lezioni di stupore e introduzioni al mistero della vita.

Così si può apprezzare un aspetto della “agricoltura sociale”: quella di essere per i bambini una lezione di stupore.

È chiaro che poi le norme igieniche e la stessa età di nonna rosa hanno convinto a eliminare il pollaio confinante con il parco giochi. Ma il fascino di introdurre allo stupore per la vita resta un compito forse più necessario dell’introduzione all’uso del telecomando. Forse sarebbe più preciso parlare di “funzione didattica”, anche se nell’espressione più precisa non si può negare che risuoni qualche cosa di noioso.

L’ORTO DEL NONNO

In realtà, tra tutti i nipoti, una decina forse, solo Paolo mostrava interesse per accompagnare il nonno nell’orto. Paolo osservava come era preparato il terreno, come era predisposto il telo per impedire alle erbacce di infestare gli spazi, come erano messe a dimora le piantine dei pomodori, a quale distanza di depositava il seme delle zucche e quello delle insalate. Ma l’entusiasmo cominciava quando spuntavano germogli, quando si annunciavano i fiori e poi prendevano forme le zucchine e colori i pomodori. Paolo, appena poteva, andava

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nell’orto a sorvegliare le promesse dei frutti.

Divenne poi abbastanza grandicello da osare di pretendere un orto personale. Aveva infatti a casa sua qualche metro quadro di terra e con l’aiuto e il consiglio del nonno tentò la prima impresa. Viveva una specie di trepidazione quando sentiva annunciare il pericolo della grandine e una specie di preghiera quando gli sembrava che il primo pomodoro avesse un colore di malato.

Ma quale soddisfazione quando colse il grosso cuore di bue e lo offrì alla mamma per l’insalata: Paolo ne era tutto orgoglioso e la mamma lasciò cadere un consiglio: “Ringrazia il Signore. E ringrazia il nonno”.

L’orto del nonno non può essere paragonato alle aziende che praticano agricoltura sociale e si rendono presenza significativa e ricercata al mercato. Tuttavia, c’è un messaggio di gratitudine che sarebbe opportuno

restituire anche alle aziende. La competenza tecnica e l’efficienza sono aspetti irrinunciabili per una attività che deve essere economicamente sostenibile. Eppure, nella efficienza si insinua la tentazione di sentirsi protagonisti, capaci di dare principio e di produrre risultati. Come se bastassero conoscenze e impegno. Il rapporto con la terra dovrebbe, invece, essere sempre anche un contesto in cui raccogliere un messaggio che non si chiude al religioso. Forse solo la riconoscenza per il creato può arginare l’avidità che si immagina di spremere la terra per ottenere sempre di più. L’agricoltura sociale che si propone di promuovere un rapporto saggio con la terra, con il produrre e con l’attendere, dovrebbe avere nelle sue corde anche una dimensione religiosa, un riconosce che ciò che esiste non si può chiamare solo “natura”, solo “ambiente”. Il nome proprio sarebbe “creato” e quindi si può nominare il Creatore.

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Agricoltura sociale, le esperienze in Liguria. “Costante attenzione al settore, favorendo multifunzionalita’ e servizi”

L’agricoltura sociale è un aspetto importante del settore primario, indice di multifunzionalità e di incidenza nel quotidiano, senza lasciare indietro nessuno. È un modo operativo e concreto di mettere insieme i processi di produzione agricola con i servizi socio-sanitari e di inclusione, sempre più attenti anche alla terza età e ai soggetti fragili. In Liguria l’attenzione al settore trova un vero e proprio spartiacque con l’approvazione nel 2014 della legge regionale “Disposizioni in materia di Agricoltura sociale” 36/2013 e delle linee guida, definite con delibera 1724/2016. Un modo di creare un percorso di accreditamento per avvicinare, sempre sul filo della reciprocità dei vantaggi, due campi all’apparenza inconciliabili: l’agricoltura e il settore socio-sanitario. Tra gli strumenti maggiormente vocati allo sviluppo dell’agricoltura sociale ricordiamo in primo luogo il Programma di Sviluppo Rurale (PSR). In quello recentemente conclusosi, il PSR 2014-2022, abbiamo finanziato diversi progetti con la misura 16.09 denominata appunto “Aiuti per la promozione e lo sviluppo dell’Agricoltura Sociale”. In questo contesto l’agricoltura sociale è stata considerata proprio come uno degli aspetti più innovativi della multifunzionalità delle attività agricole, un motore di sviluppo socioeconomico dei territori rurali, un modo di creare nuove opportunità di occupazione e di reddito per le imprese agricole, di promuovere un cambiamento culturale e sociale nella società. Con la misura 16.09 sono stati finanziati 10 progetti pluriennali per un importo totale di oltre 1,7 milioni di euro. Nella provincia di Imperia rammentiamo il progetto “Via dei Campi” con capofila ASL1 e “Coltiviamo fasce trascurate nel Ponente Ligure”, capitanato dall’Istituto regionale per la floricoltura.

Nella provincia di Genova abbiamo contribuito alla realizzazione de “Il Sale della Terra” con capofila il CEIS Genova, “Terra Madre 2.0” con Associazione Comunità San Benedetto al Porto, “I Buoni Frutti dell’Agricoltura Sociale” con Coldiretti, “I Semi dello Scambio” con Forma e “Curare salute” con ASL3. Nella provincia della Spezia invece i progetti portati avanti sono stati: “Il Banco dell’Agricoltura Sociale” con capofila ASL5, “Sentieri di Inclusione” con ASL5 e “Le Radici della Solidarietà” con ASL5. Tutti progetti che, a questi capofila, hanno assommato numerosi partner e si sono dimostrati capillari sul territorio.

I primi progetti che sono arrivati alla conclusione sono stati “Via dei Campi” e “Coltiviamo fasce trascurate nel Ponente Ligure”.

Il progetto “Via dei Campi” con capofila ASL 1 si è sviluppato con 14 partner, 8 aziende agricole sociali, diversi Enti pubblici (ASL 1, DSS2 Sanremese, ATS 12, ATS 10, Comune di Imperia) e una associazione di categoria (CIA). La finalità del progetto è stata l’elaborazione di linee guida alla luce delle esperienze maturate sul campo, che sono sfociate in una prassi operativa condivisa e istituzionalizzata, atte a costituire futuri percorsi di integrazione tra il mondo dell’impresa agricola sociale e il sistema dei servizi sociosanitari.

Il progetto si è declinato in dieci distinte azioni in prevalenza tra “accoglienza” e “terapie assistite”, destinate in media ad una decina di utenti per azione nel biennio. Tra le azioni previste ricordiamo: affidi anziani e in condizioni di cronicità, affidi educativi di minori, con lieve disabilità, o comunque seguiti dai Servizi Territoriali per precoci esordi psichiatrici, affidi

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educativi disabili, per la stimolazione delle abilità residue, laboratori protetti, rivolti ad utenza disabile in un’età compresa tra i 18 ed i 65 anni, agriturismo e fattorie didattiche, per utenza in condizioni di disabilità. Sono state inserite anche due azioni propedeutiche e trasversali: la formazione ai tutor o agli imprenditori agricoli e l’orientamento agli utenti, al fine di illustrare loro il contesto di riferimento delle azioni progettuali.

Il progetto “Coltiviamo fasce trascurate nel Ponente Ligure”, con capofila l’Istituto regionale per la Floricoltura, è stato costituito invece da 5 aziende agricole sociali, enti pubblici (ASL 1, Comune di Ventimiglia ATS 149 e una associazione di categoria, cioè Coldiretti). Il progetto era volto principalmente a favorire l’integrazione socio-lavorativa di persone in condizione di svantaggio sociale attraverso la realizzazione di un programma di agricoltura sociale con gestione aree verdi articolato. Il titolo scelto faceva riferimento a “Fasce” da intendersi in senso agronomico come terreni da valorizzare, mentre sul filone prettamente votato alle relazioni come inclusione

delle persone in difficoltà dal punto di vista lavorativo e di conseguenza sociale. I percorsi hanno dato ottime risultanze, arrivando pienamente allo scopo di far conseguire ai destinatari del progetto una adeguata formazione tecnica, facilitandone l’inserimento attivo nel flusso lavorativo di aziende agricole a diverso indirizzo produttivo.

Vi hanno lavorato 19 enti 40 addetti e diversi volontari con la presa in carico di cinquanta persone segnalate dai servizi socio-sanitari del territorio metropolitano genovese. Nonostante le difficoltà determinate dalla pandemia, il progetto si è svolto secondo le attività previste, coinvolgendo attivamente le realtà agricole e i destinatari finali delle azioni, sino a inserire gli idonei in percorsi di inclusione socio-lavorativa.

Vorremmo evidenziare ancora che sono aumentate le iscrizioni nel registro delle aziende agricole sociali, passate da poche unità a una cinquantina di aziende agricole sociali e si prevede, alla conclusione di tutti i progetti dell’intera regione, di sfiorare quota 100

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aziende agricole. Ad oggi, ad ogni modo, abbiamo già un segnale positivo.

Focalizziamoci ora su quanto si sta costruendo con le nuove direttrici della programmazione futura 2023-2027 che possono essere attivate a sostegno dell’Agricoltura sociale: SRD03 Investimenti per le aziende che svolgono o intendono diventare fattorie sociali (per il 2023-27 oltre 4 milioni di euro) ed SRG07 per sviluppare progetti di cooperazione a favore dell’Agricoltura sociale per lo sviluppo rurale locale e smart villages (per circa 1,5 milioni). Il primo (SRD03) è finalizzato ad incentivare gli investimenti per le attività di diversificazione aziendale che favoriscono la crescita economica e lo sviluppo sostenibile nelle zone rurali, contribuendo anche a migliorare l’equilibrio territoriale, sia in termini economici che sociali.

L’intervento, sostenendo gli investimenti delle aziende agricole in attività extra-agricole, persegue l’obiettivo di concorrere all’incremento del reddito delle famiglie agricole nonché di migliorare l’attrattività delle aree rurali e, allo stesso tempo, contribuisce a contrastare la

tendenza allo spopolamento delle stesse.

In tale contesto è prevista la concessione del sostegno agli investimenti per la creazione, la valorizzazione e lo sviluppo delle seguenti tipologie di attività agricole: agriturismo, agricoltura sociale ed attività educative e didattiche.

Il secondo (SRG07) sostiene la preparazione e l’attuazione di strategie, progetti Smart Village intesi come piani di cooperazione integrati, articolati in una o più operazioni, condivisi da parte di gruppi di beneficiari pubblici e privati, relativi a specifici ambiti. L’obiettivo è quello di favorire nelle aree rurali l’uso di soluzioni innovative, mettendo in atto anche eventuali soluzioni possibili offerte dalle tecnologie digitali e dalla multifunzionalità agricola e forestale. In particolare, in Liguria, l’intervento sostiene la preparazione e l’attuazione progetti di cooperazione integrati afferenti alla cooperazione per i sistemi del cibo, filiere e mercati locali e alla cooperazione per l’inclusione sociale ed economica. Un settore, dunque, destinato a consolidarsi sempre più.

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L’agricoltura sociale. Una riflessione di senso e di metodo

Nonostante il numero esiguo di esperienze di agricoltura sociale in Italia, questo insieme di pratiche è considerato da molti come una grande opportunità per innovare in maniera profonda sia il settore agricolo sia quello sociale (Di Iacovo F., 2008). Tuttavia, le esperienze – molto diverse tra loro per finalità, organizzazione, attori coinvolti, destinatari degli interventi – danno luogo a risultati e impatti sul territorio così diversi tra loro da imporre una riflessione di senso e di metodo. E a questo scopo, un passaggio sulle origini dell’Agricoltura Sociale può essere di aiuto. Si afferma spesso che il carattere sociale dell’Agricoltura sociale è in qualche modo insito nella nostra agricoltura, che è caratterizzata da piccole aziende familiari capaci di trovare una collocazione a tutti i propri membri, anche a quelli con specifiche difficoltà. Tuttavia, questa capacità, che indubbiamente ha caratterizzato e caratterizza molte delle famiglie agricole (e non),

si configura piuttosto come la manifestazione di un “normale” comportamento interno al sistema familiare. Sappiamo anche, però, quanto a volte le disfunzioni interne al sistema familiare possano essere di ostacolo ai processi di cura delle persone fragili e quanto sia necessario allargare il contesto di riferimento per poter offrire orizzonti più ampi di senso e di futuro.

Un punto d’inizio dell’esperienza italiana di Agricoltura Sociale potrebbe trovarsi piuttosto nella nascita della cooperazione sociale in Italia (Marzocchi, 2012; Borzaga e Depredi, 2012), avvenuta a seguito della crescente domanda di servizi in una società in trasformazione, come era quella degli anni 70 del secolo scorso, e dell’inadeguatezza delle risposte offerte dalle istituzioni pubbliche. Inoltre, in quegli anni, si andava affermando una coscienza relativa ai diritti di cittadinanza e sociali, che ha portato a molte trasformazioni dell’assetto

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Giarè, responsabile CREA – Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e Analisi Economia Agraria

legislativo e istituzionale del nostro paese. A partire dallo Statuto dei lavoratori (1970), infatti, la società civile ha chiesto e ottenuto numerosi interventi legislativi che hanno modificato il nostro sistema di welfare. L’inserimento scolastico e lavorativo degli invalidi civili (legge 1971 n. 118), i diritti delle persone con problemi psichiatrici (n. 118/1971), la chiusura dei manicomi, la curabilità delle malattie e l’assistenza a livello territoriale (legge n. 180/78), la legge sull’adozione speciale (n. 431/1967), il decreto legislativo n. 517/1977 sul diritto all’istruzione per tutti, la riforma sanitaria (legge n. 833/1978), sono tutti interventi che hanno in qualche modo ribaltato il modo di vedere la diversità, ma anche lasciato vuoti da colmare in termini di risposte concrete per l’accoglienza, l’inclusione, la cura delle persone fragili.

In questo contesto, gruppi di giovani che vedevano nel lavoro e nella terra la possibilità di offrire a sé

stessi e agli altri l’occasione di trovare un posto nella società si sono adoperati per offrire lavoro alle persone con handicap, con dipendenze da droga o con altre fragilità. Sono nate così le prime cooperative sociali agricole e le prime aziende di agricoltura sociale, come le chiameremmo oggi.

Le forme che ha assunto l’agricoltura sociale dipendono, quindi, dai contesti specifici in cui le singole esperienze si sono concretizzate (attori, risorse, opportunità) e dai bisogni delle persone per le quali era urgente e necessario trovare delle risposte concrete (CREA, 2018; Carini e Depredi 2012). Il tratto comune è stato l’intenzionalità del gesto. Una delle prime definizioni di AS (Carbone et al., 2007) mette proprio l’accento sull’intenzione esplicita delle pratiche di AS di generare benefici per le persone vulnerabili: l’AS può essere definita come l’insieme delle “attività agricole portate avanti da aziende, di tipo privato o cooperativo,

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che impiegano manodopera a vario tipo svantaggiata, con l’obiettivo di migliorarne le condizioni di vita e di promuoverne l’inclusione sociale e lavorativa. (…) con riferimento ai percorsi e alle pratiche che attraverso lo sviluppo di attività agricole o a queste connesse si propongono esplicitamente di generare benefici per fasce vulnerabili della popolazione”. Il senso di questo atto intenzionale sta nell’idea che la diversità debba essere rispettata e che per ciascuno si debbano creare le condizioni per il pieno sviluppo delle proprie capacità, che è poi quello che recita l’articolo 3 della Costituzione italiana: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di

ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Va da sé che le attività, i metodi, l’organizzazione, le professionalità dell’AS sono importanti nella misura in cui sono orientati verso questo obiettivo di giustizia sociale e non finalizzati alla realizzazione di meri percorsi terapeutici o di cura. Non che la terapia e la cura non siano importanti, ma esistono altri ambiti nei quali queste finalità vengono perseguite; ciò che caratterizza l’agricoltura sociale è proprio questa necessità di dare un senso all’azione intenzionale dell’includere e di offrire opportunità di vita e di lavoro.

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L’agricoltura è un ottimo contest, perché si occupa della produzione del cibo, può essere organizzata in maniera tale da offrire molte opportunità di fare attività diverse rispettando i ritmi e le capacità delle persone (e questa non è una caratteristica del settore agricolo in sé, che è un settore produttivo difficile e spesso caratterizzato da lavoro illegale), può mettere in contatto con tante altre persone, dai fornitori ai consumatori. Ed è questo il motivo per cui si è sviluppata proprio nel settore agricolo questo insieme di pratiche così innovativo.

Da qualche anno, nell’ambito dell’AS sono stati realizzati anche interventi orientati alla terapia e alla cura (CREA, 2018; Borsotto e Giarè, 2020), in cui l’attività agricola è funzionale all’acquisizione di capacità e al superamento di difficoltà specifiche, al pari di interventi realizzati in altri contesti (servizi terapeutici e/o servizi alla comunità).

Queste esperienze, in una situazione di scarsità di risorse, rappresentano sicuramente un’opportunità per individuare risposte alternative di welfare a livello locale, ma forse rischiano di discostarsi da quel senso di giustizia sociale prima evidenziato se si concentrano soltanto sull’offerta del servizio sociosanitario, senza impegnarsi nel contorno dell’azione territoriale, che è poi il vero centro dell’azione dell’AS.

Per tenere fede al senso di giustizia sociale, è necessario infatti che l’AS non si concentri soltanto sulle persone fragili, ma orienti la propria azione verso il contesto in cui opera. Le esperienze inclusive che danno maggiori risultati sono quelle aperte al territorio, finalizzate non solo all’inclusione sociale e lavorativa delle persone fragili, ma anche alla sensibilizzazione della comunità, alla riduzione dello stigma e della diffidenza rispetto a chi è altro, alla preparazione di un terreno adatto ad accogliere e includere al termine dei percorsi proposti all’interno dell’azienda agricola. Ciò richiede la capacità di trovare sempre nuove azioni da intraprendere e nuovi modi per relazionarsi ai tanti attori che si

possono incontrare nel territorio, creando geografie variabili al variare delle situazioni da affrontare. L’AS, quindi, può essere vista anche come antidoto contro la routine del lavoro sociale, come occasione per individuare nuovi percorsi e nuovi intrecci. I risultati sono visibili non solo in termini di benessere individuale (delle persone incluse e degli operatori), ma anche in termini economici (penetrazione dei mercati e stabilità economica), relazionali (aumento delle reti di relazioni), reputazionali (capitale sociale) (Giarè e Macrì, 2012; Basset e Giarè, 2021).

Vista da questa prospettiva, l’AS presenta ancora molte opportunità di sviluppo per far fronte alle nuove esigenze della società (senilizzazione, immigrazione, impoverimento economico e culturale, ecc.), rinnovando continuamente le alleanze e sperimentando nuovi strumenti operativi, sfruttando – dove possibile –le opportunità offerte dalle politiche per finanziare parti di attività o specifiche azioni, senza tuttavia perdere di vista l’orizzonte di senso.

Basset, F., & Giarè, F. (2021). The sustainability of social farming: a study through the Social Return on Investment methodology (SROI). Italian Review of Agricultural Economics, 76(2), 45-55. https://doi.org/10.36253/rea-13096

Borzaga C., Depedri S. (a cura di) (2012), L’inclusione efficiente. L’esperienza delle cooperative sociali di inserimento lavorativo, Franco Angeli.

Carbone A., Gaito M., Senni S., Quale mercato per i prodotti dell’agricoltura sociale?, AIAB, 2007

Carini C., Depredi S. (2012), La cooperazione sociale agricola in Italia. Una panoramica dai dati camerali, INEA, Roma. CREA (2018), Rapporto sull’agricoltura sociale in Italia, Roma, 2018 Di Iacovo F. (2008), Agricoltura sociale: quando le campagne coltivano valori, Franco Angeli, Milano.

Giarè F., Macrì M.C. (2012), La valutazione delle azioni innovative di agricoltura sociale, INEA, Roma. Marzocchi F. (2012), “Storia tascabile della cooperazione sociale in Italia. Con un occhio rivolto al futuro”, I. Quaderni dell’economia civile, Forlì: AICCON.

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Agricoltura sociale: nuova opportunità per le aziende, nuovi percorsi per i nostri ragazzi speciali

La terra accoglie! Quale che sia la capacità di ognuno di noi, ti permette di trovare la giusta collocazione a partire dal seme fino al frutto. Al Sicomoro, azienda agricola voluta da Caritas diocesana della Spezia, facciamo agricoltura sociale da parecchi anni e le soddisfazioni sono state tante. L’azienda deve produrre cibo sano, naturale, in modo etico e cercando di dare nuove opportunità a migranti, persone senza lavoro e con difficoltà. Da qui la naturale apertura ai progetti di agricoltura sociale. E questo dalla sua costituzione. Ben prima che si partecipasse ai bandi del PSR. Ricordo bene quando cercammo di sensibilizzare la direzione di ASL per parlare di questo tema…poi arrivò la dott.ssa Maria Alessandra Massei alla direzione sociosanitaria e lei ci credette da subito! “Che bello, ha capito cosa vorremmo fare! Bene Alessandro, ora si cammina!” ci dicemmo io ed il compianto Renato Oldoini direttore di Confagricoltura La Spezia cui ero legato dall’inizio della mia entrata nel mondo agricolo come coltivatore diretto.

Cosa c’è di più bello di vedere un ragazzo che, arrivato chiuso a qualsiasi dialogo, con il gruppo, piano piano, inizia a parlare, a provare a fare un solco, a raccogliere la verdura ed infine a vedersi proposto un progetto di inserimento socio lavorativo?!

C’è voluto tempo, due lunghi anni di pazienza, di affiancamento e dedizione, ma quelle passioni che aveva dentro, quella capacità di sviluppare competenze è venuta fuori! Il tempo e la possibilità che da un’azienda agricola di trovare la giusta collocazione in uno dei tanti tipi di lavoro all’aria aperta, sono i due fattori più importanti per avere un buon risultato. Questo è uno

dei risultati che hanno portato i progetti partiti nel 2021, coordinati da ASL 5 e finanziati dal Programma di Sviluppo Rurale.

È stata L’occasione per lavorare in team, mettere a confronto le esperienze di più aziende, ragionare e capire che sarebbe stato necessario essere affiancati da educatori per lavorare ed incrementare le nostre competenze verso un settore che va approcciato con intelligenza.

Non abbiamo stravolto le nostre attività, non dobbiamo stravolgerle, ma abbiamo ragionato affinché nelle giornate con i ragazzi si facessero le cose adatte a loro. Entrando nello specifico del progetto, abbiamo composto una classe di ragazzi provenienti dalla disabilità con un funzionamento medio alto, l’“Agricoltore domani”, una classe a basso funzionamento per un loro benessere personale ed una classe di ragazzi provenienti dalla salute mentale anche loro a funzionamento medio alto.

Sociale vuol dire anche nuove povertà ed in questo caso abbiamo attivato dei percorsi formativi per persone che avevano perso il lavoro ed erano in carico ai servizi sociali dei Comuni; in questo ambito abbiamo avuto qualche difficoltà iniziale, ma poi siamo riusciti ad avviare percorsi personalizzati che hanno dato, in parte, esiti positivi.

Nei progetti finanziati dal PSR non sono stati coinvolti ragazzi richiedenti asilo, ma il Sicomoro è un campo scuola permanente per questi ragazzi che Caritas recluta nei propri centri di accoglienza e manda a “scuola di agricoltura” per dare loro una concreta

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Ferrante, Vicepresidente Cia Liguria di Levante e Presidente Il Sicomoro Società Agricola

possibilità di riscatto ed avviarsi ad una nuova vita. Immaginatevi i nostri campi a maggio scorso, alle 07 arrivo dei ragazzi migranti dalla Cittadella

Alle 8.00 arrivo del pulmino con la classe “agricoltore domani”, presa in carico della classe da parte del tutor aziendale per iniziare le attività. Insieme ai migranti, insieme ai nostri colleghi braccianti agricoli assunti con regolari contratti. Un quadro dove coesistono più realtà che si vogliono bene, si aiutano, si rafforzano.

Gli agricoltori che avevano il ruolo di “tutor agricolo” hanno fatto un corso di formazione sulla storia dell’agricoltura sociale e sulle esperienze già in campo. Per chi, come noi del Sicomoro, che già operava nel settore, erano temi conosciuti e digeriti, ma per le nuove aziende che si mettevano in gioco, è stato fondamentale fornire quel minimo di conoscenze che li aiutasse a svolgere il compito al meglio.

E’ certamente un impegno per l’agricoltore serio, ma se lo fa, è perché sente dentro la voglia di mettersi in gioco in questo settore nuovo, di dare a ragazzi speciali una parte delle sue conoscenze e della gioia di vivere e lavorare la terra.

Il settore agricolo può essere di aiuto alle persone con disabilità, o un problema psichiatrico; questi progetti lo hanno confermato. Ora faremo un ulteriore corso da RSPP per le imprese agricole sociali. Per capire cosa serve alla nostra azienda per garantire la sicurezza quando è frequentata da questi ragazzi.

Un tema affrontato è stato quello della condizione pedoclimatica delle aziende agricole e si decise, per esempio, che nei territori terrazzato come le Cinque Terre non fosse opportuno realizzare attività, per i rischi

troppo alti per l’incolumità dei ragazzi.

Prima di avviare i percorsi un gruppo di regia con ASL ed organizzazioni agricole ha visitato tutte le aziende coinvolte e, verificata la possibilità di attivare i progetti in quella sede, ha concordato con il titolare dell’impresa o chi sarebbe stato il tutor aziendale, cosa fare in quell’azienda e con chi farlo; lì si è subito visto chi si sentiva di avere ragazzi speciali e chi si sentiva più debole e chiedeva la presenza di persone provenienti dalla marginalità. Così facendo, sono state individuate le aziende dove fare i percorsi più lunghi e difficili e quelli con minori aspettative di risultato.

Al termine dei progetti che hanno visto coinvolte 30 imprese agricole, tre enti di formazione, tre cooperative sociali, ASL e in ultimo ma più importanti 40 ragazzi, sono stati attivato numerosi percorsi di inclusione socio lavorativa con ragazzi che non avevano aderito in precedenza ad altre proposte e confidiamo anche nella sensibilità delle imprese per arrivare a fare anche una assunzione per i più bravi.

Il risultato più importante dal punto di vista burocratico è stato sicuramente l’aver sottoscritto con ASL un protocollo di accordo territoriale nel quale le aziende agricole dei progetti si candidano per accogliere ragazzi con disabilità e ritardo. Oltre ai centri diurni, si apre la via delle aziende agricole. Imprese che diventano davvero multifunzionali: agricoltura, agriturismo, fattoria didattica ed ora Fattoria agricola Sociale!

Durante l’incontro di fine progetto ci siamo ritrovati tutti, ASL, Enti di Formazione, Organizzazioni agricole, cooperative del sociale, ed abbiamo confermato che bisogna continuare su questa strada, per i nostri ragazzi, per le nostre aziende!!!

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Perché proprio l’agricoltura?

Riflessioni sull’istituzionalizzazione dell’Agricoltura Sociale in Italia

Nel 2015 uscì, per Edizioni Ambiente, un volume di cui ero coautore dedicato alla produzione e consumo di alimenti biologici e al ruolo sociale dell’agricoltura alternativa. In tale occasione mi avvicinai inevitabilmente al tema dell’agricoltura sociale (AS) e questo proprio mentre vedeva la luce la prima legge nazionale del settore. Mi convinsi allora a proporre presso l’Università di Bologna un corso di formazione dedicato proprio a tale ambito e fu in quell’occasione che un collega mi rivolse una domanda apparentemente semplice, ma sulla quale sono tornato e ritornato più volte con la mente: perché proprio l’agricoltura?! Ovvero, perché proprio l’agricoltura rappresenterebbe un ambito privilegiato di risposta a certi bisogni sociali emergenti prestandosi, quindi, ad essere terreno favorevole di sperimentazione delle nuove forme di welfare?

Per rispondere a questa domanda occorre prendere in considerazione innanzitutto i cambiamenti che hanno interessato (e continuano a interessare) il sistema di welfare in Italia (e non solo).

In generale, si tratta di considerare il passaggio da un modello prettamente “stato-centrico” di welfare a quello che oggi viene chiamato “welfare-mix” o anche “welfare societario”.

Con tale termine si identifica una sorta di tendenza, ormai piuttosto strutturata, allo sperimentalismo nell’ambito del welfare. Una tendenza iniziata almeno dagli anni ’80 ma che ha conosciuto una decisa accelerazione nella seconda metà dei ’90 e che ha dato forma oggi a una realtà innovativa ed emergente il cui obiettivo è quello di produrre benessere attraverso l’azione combinata di agenzie pubbliche, imprese, privato sociale e reti informali.

Si tratta di un approccio che fa leva sull’innovazione

sociale, quindi sulle relazioni e sull’attivazione delle risorse territoriali locali in un’ottica di sussidiarietà sia verticale che orizzontale. Se ne parla infatti talvolta anche in termini di welfare municipale o welfare comunitario, a seconda che l’enfasi sia posta più sulle istituzioni pubbliche o sulle reti sociali territoriali. È all’interno di tale contesto che trova spazio anche l’istituzionalizzazione dell’AS nel nostro Paese, da intendersi, secondo un rapporto del Mipaaf di qualche anno fa, come “l’insieme delle attività agricole e connesse finalizzate alla promozione di azioni di inclusione sociale e lavorativa, di servizi utili per la vita quotidiana, di attività educative, ricreative o che affiancano le terapie”. Ma perché, quindi, proprio l’agricoltura?

Per capirlo occorre probabilmente fare riferimento innanzitutto alla “dipendenza dal percorso” (pathdependence) che caratterizza in qualche modo lo sviluppo di ogni innovazione sociale. Da questo punto di vista, l’AS è stata significativamente indicata come “un uso retro-innovativo dell’agricoltura”. Infatti, nel mondo premoderno, sostanzialmente rurale, l’economia (per lo più agricola) rimaneva prevalentemente economia domestica (quell’oikos dal quale il termine stesso economia deriva) e i diversi bisogni sociali venivano gestiti all’interno di un unico processo, pressoché indifferenziato, di riproduzione sociale. Quest’ultimo coincideva fondamentalmente con la famiglia, più o meno allargata fino al clan o alla comunità.

Nella teoria sociale è noto come solo con la crescente differenziazione del lavoro le società semplici (alias comunità) iniziarono progressivamente a lasciare il posto a quelle complesse (le società moderne), sviluppatesi sotto l’egida della “normalizzazione”

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di Stefano Spillare, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Bologna

funzionale. Fu infatti solo a partire dallo sviluppo e dall’affermazione delle prime istituzioni moderne atte a separare “il diverso” dal resto della società (così “normalizzata”) che si è potuto tornare a ipotizzare, e in fine ad auspicare, forme di “reinserimento sociale”.

In tal senso, agli inizi del ‘900 alcune strutture manicomiali iniziarono già a rivolgersi alle aziende agricole per le attività all’aria aperta dei propri “utenti”, valutando positivamente il reinserimento in un contesto famigliare/comunitario.

Tuttavia, fu solamente a partire dagli anni ‘70 che trovarono attualizzazione forme alternative di aziende agricole esplicitamente (o più spesso implicitamente) connotate socialmente. Queste esperienze pioneristiche erano mosse da forti moventi ideali e per lo più legate ai movimenti di controurbanizzazione che accompagnarono il riflusso dei movimenti operai e studenteschi dell’epoca. In quegli stessi anni, d’altronde, riforme sanitarie come la legge Basaglia decostruivano l’idea stessa di istituzione totale, mentre l’affermarsi dei movimenti ecologisti sosteneva un’ideale di neoruralismo e ritorno alla natura che ancor oggi contraddistingue (seppure in maniera più strutturata) la maggior parte degli

approcci terapeutici legati all’AS.

Come già anticipato, con la definitiva crisi del modello stato-centrico di welfare e la necessaria riforma dello stesso, si assistette, a partire dall’istituzione delle cooperative sociali di tipo A e B (legge 381 del 1991) e dal pieno riconoscimento del principio di sussidiarietà (modifica del titolo V della Costituzione nel 2001), a un lento processo di istituzionalizzazione del terzo settore in Italia e, progressivamente, anche dell’AS come ambito specifico.

L’enfasi sul settore agricolo in questa fase si deve non solo alla presenza di imprese agricole pionieristiche legate alla fase precedente (che offrivano quindi una sorta di benchmark) ma anche a esigenze specifiche del welfare, particolarmente in difficoltà nell’offrire adeguati servizi nelle aree rurali, più isolate e prive di infrastrutture efficienti e la cui forte vocazione agricola, fatta per lo più di piccole o piccolissime aziende molto spesso a conduzione famigliare, sempre più spesso si giovava della multifunzionalità offerta proprio dal settore agricolo. La spiccata vocazione del settore agricolo per la multifunzionalità è infatti un altro elemento fondamentale per spiegare perché proprio l’agricoltura.

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L’agricoltura, infatti, più di altre attività (quale ad esempio quella prettamente industriale), si presta a rispondere ad una serie di funzioni non solo economiche, ma anche ecosistemiche e, appunto, sociali, incontrando così più facilmente molti dei bisogni post-materialisti emergenti, soprattutto in termini di salute e benessere.

L’attuale legge in materia rispecchia questi elementi e definisce l’AS “quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate”.

Nella sua forma più istituzionalizzata, quindi, l’AS esprime in Italia un modello “production-oriented” ma in cui l’azione economica viene intesa in termini

essenzialmente “co-produttivi”. Ciò significa che le aziende agricole sono chiamate a orientarsi sempre più a una funzionalità immediatamente anche sociale, in coordinamento con una serie di stakeholder differenziati e professionali del territorio e all’interno di un moderno circuito di sussidiarietà “circolare”. Non solo terzo settore quindi, ma ovviamente anche la PA, in un rinnovato ruolo di sostegno, coordinamento e facilitazione e, perché no, un potenzialmente significativo ruolo dei cittadini nella loro veste di consumatori socialmente orientati.

Il recupero da parte del settore primario della sua vocazione comunitaria - soprattutto in determinate aree - potrà tuttavia attuarsi soltanto con la crescita della consapevolezza da parte di tutti gli attori coinvolti, portando così a una reale condivisione della responsabilità sociale che è presupposto necessario, seppur non sufficiente, all’attuarsi di un concreto welfare societario.

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Valutare per affrontare le sfide dell’agricoltura sociale: il caso de “il sale della terra”

Ci sono esigenze sempre più rilevanti che spingono a intraprendere un percorso di valutazione: capire dove si sta andando, se quello che si sta facendo corrisponde effettivamente a quanto previsto, quali risultati si raggiungono. Tuttavia, pur riconoscendone l’importanza, non è così scontato perché costa tempo, risorse e c’è sempre l’incognita: “E se i risultati non fossero così positivi”? Eppure, valutare consente di avviare un processo virtuoso per generare risposte innovative perché ciò che contraddistingue il cambiamento dall’innovazione è la valutazione di quanto realizzato .

Il progetto “Il Sale della Terra” è nato per avvicinare il mondo agricolo a quello sociale sostenendo le imprese agricole della Val Polcevera e della Valle Scrivia nell’avviare percorsi di inclusione e riabilitazione sociale per persone e famiglie con fragilità. Si è trattato di una esperienza inedita per il territorio del Distretto Socio-Sanitario 10. Le attività (tra cui laboratori protetti di inclusione socio lavorativa e percorsi di inclusione) hanno coinvolto persone seguite dai servizi di salute mentale, persone/famiglie in condizione di povertà seguite dai servizi sociali, persone inserite in un percorso di recupero da dipendenza. Il progetto è stato una sfida per diversi motivi: le fragilità dei beneficiari da coinvolgere nelle attività agricole; la novità per le aziende agricole partner di svolgere in modo continuativo attività a valenza sociale; il ricorso da parte dei servizi sociali e sociosanitari a dispositivi diversi dal “come sempre”; il mettere assieme il mondo sociale con quello agricolo. Sono sfide che possono riguardare altri progetti di agricoltura sociale.

Prima sfida: la fragilità dei beneficiari da coinvolgere in attività agricole

Coloro che hanno partecipato ai laboratori protetti di inclusione socio lavorativa e ai percorsi di inclusione erano prevalentemente persone con una età compresa tra 30 e 50 anni (45%), italiani (76%), privi di patente (70%), certificati come “categoria svantaggiata” ai sensi della L. n. 381/91 (62%), in carico ai servizi mediamente da 4 anni per due o più fragilità (disagio psichico, dipendenza, disagio economico, isolamento sociale), con bassa autonomia economica, con discrete competenze trasversali e sufficienti competenze tecnico professionali.

Le condizioni di partenza non erano favorevoli per affrontare la sfida con successo. Ciò nonostante, il 90% delle persone che hanno iniziato il percorso l’hanno concluso; nei laboratori la presenza è stata del 77% e il grado di raggiungimento degli obiettivi individualizzati è stato del 78%. Nei percorsi di inclusione, la presenza è stata del 98%, il 90% ha migliorato le competenze trasversali e il 93% quelle tecnico-professionali. Per 4 delle 12 persone che hanno beneficiato dei percorsi in situazione protetta sono state attivate ulteriori forme di lavoro protetto.

Gli approfondimenti qualitativi a fine progetto hanno evidenziato per i beneficiari esiti a livello: professionale (nuove competenze, arricchimento del curriculum), personale (maggiore autostima, autonomia; miglioramenti nella salute e nel benessere complessivo; sentirsi parte attiva della società; maggior fiducia negli

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1 Dosi C. e Vecchiato T. (2021), Innovare nell’economia sociale, in Muraro G. e Vecchiato T., a cura di, L’innovazione nell’economia sociale, Il Mulino, Bologna. 2 Progetto finanziato nell’ambito della Misura 16.09 “Aiuti per la promozione e lo sviluppo dell’agricoltura sociale” del Piano di Sviluppo Rurale 2014-2020 di Regione Liguria.

altri), di soft skill (maggiore capacità di organizzazione, di rispetto di orari e impegni, di mobilità, relazionali e migliore conoscenza dei servizi).

Seconda sfida: attività inedite per le aziende agricole coinvolte

La misura M16.09 del PSR 2014-2020, con la quale è stato finanziato il progetto, ha individuato l’aspetto innovativo nella possibilità per le aziende agricole di diversificare le loro attività e nel ruolo attivo che l’impresa agricola può svolgere nella società civile, attraverso la cooperazione con il settore sociale. La maggior parte delle aziende agricole che hanno aderito al progetto lo ha fatto in modo consapevole. Le esperienze nel progetto sono state diversificate, per condizioni affrontate e per risultati raggiunti con le persone. Tuttavia, gli approfondimenti realizzati alla conclusione del progetto hanno evidenziato benefici per gli imprenditori agricoli a livello:

• personale riconducibili alla possibilità di aiutare chi

è in difficoltà, dandogli un’opportunità di crescita,

di relazione; al lavorare con altre persone e non da soli;

• aziendale, come confrontarsi con altre realtà, instaurare nuove relazioni, incrementare il lavoro e migliorare le modalità operative.

Terza sfida: interventi diversi dal “come sempre” per i servizi sociali e sociosanitari

Per i servizi sociali e sociosanitari, che hanno segnalato le persone per l’inserimento all’interno del progetto, il progetto ha rappresentato una novità rispetto al “come sempre” perché la riattivazione sociale e lavorativa: avveniva all’interno di un contesto agricolo; con un percorso progressivo (prima i laboratori, poi le borse lavoro); coinvolgendo chi di solito non rientra in altre progettualità/categorie (per età, per problemi, …); in un setting non istituzionale, facendo esperienze pratiche, con dinamiche di gruppo.

Oltre ad avere confermato i molteplici benefici per le persone inserite e la possibilità di ampliare la rete con cui poter collaborare, il grado di riuscita dell’esperienza

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è dato dal diverso approccio delle persone che hanno partecipato al progetto: minor ricorso ai servizi in quanto si sono creati una rete “informale” alternativa di aiuto in caso di bisogno e con richieste diverse dal passato, esprimendo la preferenza per percorsi come quello concluso piuttosto che per contributi economici o attività di socializzazione. Significativo anche il fatto che, in alcuni casi, una volta finito il progetto i comuni abbiano finanziato con risorse proprie ulteriori borse lavoro.

Quarta sfida: mettere assieme il mondo sociale con quello agricolo

Il progetto ha messo in dialogo il sociale e le aziende agricole, cioè mondi diversi, con linguaggi diversi, poco abituati a lavorare insieme, in un partenariato di 19 organizzazioni.

I risultati positivi evidenziati in precedenza dimostrano la bontà dell’alleanza, nonostante le difficoltà, soprattutto inziali, di comunicare e di interagire tra operatori sociali e imprenditori agricoli. Rilevanti le indicazioni che emergono perché la partnership sia maggiormente solida: dedicare tempo e risorse a curare i rapporti tra gli attori della rete e a creare un linguaggio comune; accoppiare bisogni/capacità delle persone da inserire con bisogni/risorse delle aziende agricole; confrontarsi in modo continuativo tra gli

attori della rete per cogliere e gestire le difficoltà delle persone inserite.

Le precedenti considerazioni dimostrano che il progetto ha saputo affrontare le 4 sfide con successo.

Ciò è stato possibile grazie al percorso di valutazione avviato che ha altresì permesso di individuare modi per meglio operare in futuro anche rispetto alle persone con fragilità da inserire in contesti di agricoltura sociale, come:

• personalizzare i percorsi, avendo presenti bisogni e potenzialità della persona e dell’azienda agricola ospitante;

• trovare soluzioni per il trasporto, in modo che non sia un elemento ostacolante;

• creare una rete integrata attorno alla persona così da arginare tempestivamente i momenti di criticità e dare continuità ai percorsi;

• mettere le aziende agricole nella condizione di sapersi relazionare con persone che presentano specifiche difficoltà e di garantire loro un affiancamento costante.

Avere risultati positivi, che dimostrano la bontà di quanto realizzato, e individuare raccomandazioni per lo scaling-up sono aspetti fondamentali per trasformare le nuove idee in innovazioni sociali, per passare dal cambiamento all’innovazione. Ciò è possibile solo facendo valutazione.

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L'abbraccio numero 110 by gammaufficiosrl - Issuu