FOTOgraphia 268 febbraio 2021

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SERGIONE INFUSO SUONO DEL SILENZIO / FEBBRAIO 2021 / NUMERO 268 / ANNO XXVIII / 268 ARTE ? DOPO LA LORO CRONACA SCENE DEL CRIMINE JEAN-CLAUDE CHINCHERÉ GIORNI VERSO LA STORIA

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO ANNUALE 10 numeri a 65,00 euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.com0436716602srlgraphia

268 SOMMARIOPRIMA COMINCIAREDI

Cerca il pony che io non sono riuscito a tro vare. E anche se non lo troverai mai, vivrai la tua vita cercandolo. È più divertente così. Jim Kirkwood; a pagina 7 Come mai si può rimanere affascinati da una forma espressiva primitiva? Come mai guardia mo incantati le pitture delle Grotte di Lascaux (17.000-15.000 aC)? Lello Piazza; a pagina 46 / Copertina Il cantautore Caparezza (pseudonimo di Mi chele Salvemini) in concerto al Carroponte, di Sesto san Giovanni, alle porte di Milano, il 4 settembre 2015. Portfolio di Sergione Infuso di musicisti dal vivo da pagina 26 03 / Fotografia attorno a noi Foglio filatelico Souvenir emesso il 26 no vembre 1984 dalle Maldive, in celebrazione dei cinquant’anni di Paperino (Donald Duck), evocato con la sua famiglia, in posa per fotori cordo. Lo stesso soggetto è stato utilizzato in copertina del periodico italiano Zio Papero ne, del settembre 1992, riportata qui accanto 07 / Editoriale Questa volta, senza acrostici (!?); finalizziamo parole altrui, declinate verso l’ottimismo: con tutto questo sterco... deve pur esserci un pony 08 / Morire per... A partire da considerazioni espresse nel ro manzo poliziesco La scatola nera, di Michael Connelly, riflessione sui fotogiornalisti di guer ra che si mettono in gioco senza risparmiar si. Appunto... morire per fotografare la storia 12 / Colombo 1971-2021: cinquantenario già anticipato sul la pagina accanto Prima di cominciare. Da cui, cinquant’anni dall’avvio della serie televi siva Colombo, per la quale -ovviamente- evo chiamo trasversalità e protagonismi fotografi ci Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

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Trasversalmente alla compilazione dovuta di quanto pubblicato in FOTOgraphia, ci permettiamo attraver samenti diagonali con la parola (soprattut to, un acrostico in posizione opportuna) e i numeri (tanti gli esempi che potremmo richiamare). Da cui, due notazioni. La prima riguarda l’intreccio tra il nostro cammino e la Fotografia, con date di cinquant’anni fa: 1971. La seconda si sofferma sulla com binazione di numeri di questa decade, che si accostano a cifre della stessa Fotografia. A dispetto dei venti contrari che soffiano, contiamo di raggiungere date prossime. In particolare, il 2024 di simbiosi con il massimo formato di pellicola Polaroid, che da noi fu identificata 50x60cm, dall’originario statuni tense 20x24 pollici. E, poi, il 2025 del massimo grande formato standard: 20x25cm (sem plificazione fonetica della dimensione reale 20,4x25,4cm), in traduzione dell’8x10 pollici. 03/ / 36/ 15/ / 21/ / 16/ / 34/

Per l’attuale 2021, abbiamo la soddisfa zione di annotare che si tratta di una cifra prodotta dalla moltiplicazione di due nu meri primi consecutivi: 43x47 = 2021. A par te tante altre moltiplicazioni analoghe, in cifre quantitativamente moderate (dal sei di partenza), il precedente “anno” con tali caratteristiche fu il 1763 (41x43); il prossimo sarà il 2491 (47x53) a noi tutti irraggiungibile. Dunque, festeggiamo questa opportunità che il Caso ci ha concesso.

DIAMO I NUMERI!

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Il tedesco Roland Meertens, residente a Mona co di Baviera, ha realizzato una particolare ver sione della Notte stellata, di Vincent van Gogh, del 1889 (olio su tela 72x92cm; Museum of Mo dern Art / MoMA, di New York). Ha proceduto convertendo la riproduzione in soli dieci colo ri. Quindi, ha assegnato una cifra a ogni colo re, in modo che formassero un numero primo.

- Anno XXVIII - € 7,50

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Bertelli / 39/ / 32/ / 19/ / 22/ / 45/ / 10/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE OttavioRouge Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Pino MarcoFrancoLelloDouglasSergioneAngelomFrantiJean-ClaudeAntonioBertelliBordoniChincheréGalantiniInfusoKirklandPiazzaSergioRebosioSaielli www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl - via Zuretti 2a, 20125 Milano MI 02 66713604 redazione@fotographiaonline.com ■ FOTOgraphia è venduta in

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numero 174

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18 / Alcatraz In anticipo (da pagina 34), antiche segnale tiche e altro dal celebre carcere califoniano 20 / Droni primigeni In retrovisione curiosa, valutiamo che la Fo tografia dall’alto con apparecchi specifici fis sati sulla pancia di piccioni, nel e dal primo Novecento, sia sostanzialmente antesignana dell’attualità dei droni di Antonio Bordoni 26 / Sergione Infuso Suono del silenzio Con la qualità delle sue fotografie di musicisti in concerto, l’autorevole Sergione Infuso non racconta nulla di superfluo, per dare fiato a quanto è effettivamente necessario di Maurizio Rebuzzini 34 / Sulla scena del crimine A partire da una moderata quantità e qualità di quattro monografie a tema, alle quali se ne ag giungono cinquanta in bibliografia essenziale, una particolare lettura di fotografie di cronaca, soprattutto “nera”, indirizza verso una accer tata forma d’Arte. Forse di Angelo Galantini 42 / Jean-Claude Chincheré Giorni verso la storia Lo svolgimento del progetto giornalistico Mi serere, dell’aostano Jean-Claude Chincheré, riprende e propone passi fotografici senza Tempo. Fotogiornalismo partecipe che con tribuisce a scrivere una Nouvelle Histoire 46 / Siamo vecchi? Qui intorno di Lello Piazza / Mille strade Vogliamo parlarne? di mFranti / Kati Horna Sguardi su di Pino abbonamento. di Graphia via Zuretti 2a, del Tribunale Milano del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento po stale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), ar ticolo 1, comma 1 - DCB Milano.

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■ 2021 / 268 aassociataRivista TIPA www.tipa.com

tuancoraCarola[conti,unatteggiamento1918),/visazioniblicitari):indomabileriose,mare“celafaremo”;èbanaledeclinareprospettivevittosoloinvirtùdiunospirito(italiano?!)vantatocomeeimbattibile(ancheattraversoannuncipubmaquandomai!Quando,comeora,permillemotivi,anchediimprovpolitiche,«Sistacome/d’autunno/suglialberilefoglie»(GiuseppeUngaretti;1888-1970/Soldati,delnonrimanecheagirepereconsestessi.Magari,inottimistico.Perchéno?QuidiseguitoriprendiamodalromanzoForsecisaràpony,diJimKirkwood(1924-1989),inedizioneGarzandel1963,dall’originarioThereMustBeAPony!,del1960moderateemodestecorrezionidisintassi,rispettostesuraoriginaria].Cosmo,lestorietisonosemprepiaciute,cosìteneracconteròuna.Devoiniziareconc’eraunavolta?Sì,perchérappresentituttiic’eraunavoltadellamiavita.

ascendentesocialieequellanel/delpropriolavoro,intempieconmodilimitaticontrollatidaunaseriediregolamentazionimedicheeoggettivamentedisarmanti,senonaltronelpropriosulquotidianodiciascunodinoi.

Dunque, c’era una volta uno psichiatra che aveva due fi gli gemelli di otto anni. Uno era un inguaribile pessimista, l’altro un inguaribile ottimista. Il padre era preoccupato e fece un esperimento. Alla vigilia di Natale, riempì la stanza del pessimista di tutto quello che un ragazzo può deside rare; e riempì quella dell’ottimista di sterco di cavallo. La mattina seguente, sul presto, andò a controllare le reazioni. Il pessimista sedeva tra i giocattoli, i libri, gli attrezzi spor tivi: stava là seduto, a guardare con sospetto quei regali, cercando di capire dove era la trappola. Il padre sospirò e andò nella stanza dell’altro ragazzo. Quando sbirciò dalla porta, vide il figlio immerso fino alla cintola nello sterco, e lo spalava per aria, buttandose lo alle spalle e ridendo, come diresti tu, Cosmo, come un ossesso. «Figliolo,» -chiese il padre- «che ti succede! Per ché sei tanto allegro?». Il ragazzo si volse, sempre riden do, e rispose: «Accidenti, papà, con tutto questo sterco di cavallo... deve esserci un pony!». Dunque, Josh, non fare come ho fatto io, fai come ti di co. Cerca il pony che io non sono riuscito a trovare. E an che se non lo troverai mai, vivrai la tua vita cercandolo. È più divertente così. Con affetto, Ben.

EDITORIALE

frontarealtrui,Questavolta,senzaacrostici,perchécibasiamosuuntestoispiratorediunavolontàottimisticaconlaqualeafidisagichedaunannostannoaccompagnando

fletteresucomeaffrontareesvolgerelaresistenzaprivata

lanostravita,condizionandolaperfino.Comunque,quan zialipandemiavoltatomenoqui,perlomenoora,nonsitrattadidiscutereunaancora,unadipiùe-certamente-unaditropposullachecihatravolti,subordinandociaritmiesistencontrollatieaccertati.Quanto,invece,èopportunori

Quindi,avvilitidainfinitivincolieobblighiealtroancora, trazionitutto,viviamounclimaincerto(nelpropriopresentee,sopratversoambiguitàfuture)chenonconsenteconcensullenostrerispettivemateried’azione,tralequali, perquantociriguarda,laFotografia.Èsemplicisticoaffer

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Maurizio Rebuzzini

MORIRE PER...

Due edizioni statunitensi di The Black Box, di Michael Connelly, l’originaria del 2012 e una successiva del 2014. In traduzione italiana La scatola nera, il romanzo poliziesco, della serie del detective della polizia di Los Angeles Harry Bosch (Hie ronymus Bosch, come il pittore olandese del tardo Quattrocento), è stato pubbli cato da Piemme, nel 2015 e rieditato come Pickwick, nel successivo 2016. Indagi ne su una fotogiornalista uccisa durante le sommosse di Los Angeles, del 1992.

ma non afroamericana, fece subito co niare il soprannome di Biancaneve Non è solo la personalità fotografica della vittima, fotogiornalista, che arriva fino a noi, coinvolgendoci nel comune interesse per la materia sovrastante e i suoi infiniti cammini. Di più, e in approfondi mento maggiore, è un tema latente, ma non latitante, spesso ricor rente nelle considera zioni sui fotogiornalisti e giornalisti inviati sui luoghi di guerra e com battimento (soprattutto dei fotogiornalisti, che -per svolgimento del la propria professionenon possono stare di stanti e discosti dal sog getto affrontato). È il quesito di sem pre, il terribile quesito di sempre. Morale ed etica: il fotografo di/in guerra deve stare disco sto, oppure mettersi in gioco? Mettere in gioco la sua stessa vita? Ap punto: morire per fo tografare la storia (da cui, onore e merito?). Per quanto trasversali al romanzo poliziesco La scatola nera, di Mi chael Connelly (in pri ma edizione italiana Piemme, del 2015, e in successivo accredi to Pickwick, del 2016), queste considerazioni e riflessioni balzano in primo piano se e quan do introduciamo il no stro punto di vista vizia to, prima che mirato... alla Fotografia. In collegamento ideale, restando in compagnia di narrativa, dobbiamo pren dere in considerazione almeno altri due romanzi, in entrambi dei quali, a diffe renza della trasversalità dell’indagine del detective californiano Harry Bosch, il tema della morte in guerra di fotogiornalisti inviati è soggetto espli cito e ispiratore e svolto: Reporter di guerra, di Scott Anderson (1959), con un fotografo che so pravvive alla morte di un amico collega, sulle ari di Maurizio Rebuzzini (Franti)

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Venticinquesimo ro manzo di Michael Con nelly (1956), sedicesimo della serie con protago nista il detective del la polizia di Los Ange les Harry Bosch (all’a nagrafe, Hieronymus Bosch, come il pitto re olandese del tardo Quattrocento: bella in venzione), dall’origina rio e primo The Black Echo, del 1992, tradot to in La memoria del topo, La scatola nera del 2012, letteralmente da The Black Box, rac conta una vicenda che possiamo anche con teggiare coincidente e allineata con nostri in teressi fotografici. A vent’anni dalle ca tastrofiche sommosse scatenate a Los Ange les dall’assoluzione dei quattro agenti di poli zia accusati di aver ap plicato forza eccessiva nell’arresto dell’afroa mericano Rodney King, Harry Bosch è incarica to di riprendere le in dagini sull’omicidio di una giornalista danese, avvenuto il Primo mag gio 1992 (un caso irri solto, oppure un Cold Case, tema di una se guìta serie televisiva altrettanto poliziesca). Per il detective è un ritorno su se stes so, essendo stato lui a svolgere le pri me constatazioni ai tempi dell’omici dio stesso, quando la vittima, Anneke Jespersen, giornalista e fotografa free lance, in assignment per il newsmaga zine Berlingske Tident de (esistente nella real tà) venne trovata river sa in un vicolo, colpita da un proiettile in te sta. Proprio diacontrollatadell’omicidio,l’anomaliainun’areadallaGuarNazionale,convitti

/ TRA LE RIGHE /

Produzione canadese, del 2009, il film Triage è stato sce neggiato da Danis Tanović (anche regista) sull’omonimo romanzo di Scott Anderson, del 1998, a propria volta retro ambientato alla guerra in Kurdistan, del 1988 (pubblicato in Italia da Piemme, nel 1999, con il titolo Sotto un cielo di guerra, e ripubblicato nel 2001 come Reporter di guerra).

La sceneggiatura rispetta totalmente lo spirito del roman zo e la sostanziosa trasversalità esistenziale del protagoni sta, il fotogiornalista Mark Walsh (ottimamente caratteriz zato dall’attore irlandese Colin Farrell). Tra terribili crona che di guerra, immancabili disagi e difficoltà professionali e sconfortanti sfide imposte dalla vita quotidiana, il libro e il film affrontano e svolgono temi fondanti (non soltanto della Fotografia), quali la colpa, il perdono, l’assoluzione, la natura della guerra moderna e il senso di appartenenza.

La narrazione originaria di Scott Anderson e la trasposi zione in sceneggiatura hanno mirabilmente collegato tra loro personaggi e situazioni, fino a creare complesse storie parallele, pur mantenendo una trama accattivante, un’atten zione sempre concentrata sul soggetto esplicito, che rappre senta poi il quesito fondamentale della fotografia di guerra, pronto a riproporsi tragicamente ogni qual volta si presenta un conto in vite umane: cosa significa morire per fotogra fare la storia? E ha senso che ciò avvenga, possa avvenire. Quando Mark Walsh (Colin Farrell) viene colpito da un proiettile di artiglieria in Kurdistan, il suo mondo si capo volge. Viene tratto in salvo, curato nell’ospedale da cam Comunque, tornando al racconto romanzato, Mark Walsh sopravvive, e torna a Londra. Il film rivela ancora nulla sul suo compagno-collega, il fotogiornalista David (interpretato dall’attore Jamie Sives): ed è anche questo il senso dell’ap prodo, del definitivo punto di arrivo, che per mille motivi non riveliamo (ma non è difficile immaginare come si sia no svolti i fatti, in Kurdistan). In effetti, indipendentemen te da tutto, ma malgrado tutto, il tema della riflessione del romanzo e del film è il ritorno, la sopravvivenza a un even to tragico, che può ripetersi nello svolgimento quotidiano del proprio lavoro, che è latente e latitante sulla testa del fotogiornalista inviato di guerra.

po del dottor Ahmet Talzani (l’attore Branko Djuric), dove -come fotogiornalista inviato- Mark ha visto spesso sop primere pietosamente i feriti incurabili, dopo essere stati identificati in base a un terribile -ma necessario- codice di cartellini colorati (ovvero, Triage): rosso, curabile; giallo, in attesa; azzurro, morte. Il dottor Ahmet Talzani non è inumano, non è immotiva tamente cinico, né -tantomeno- sadico; più prosaicamen te, sa che non ha tempo da riservare a chi non può essere curato, perché è solo e ogni giorno la guerra gli invia feriti da curare e guarire. Decisione terribile: quesito esistenziale che va oltre le capacità umane di comprensione e amore. Ma certe guerre moderne debbono aver insegnato molto (spesso troppo) a chi le ha vissute sulla propria pelle, gior no dopo giorno, decisione dopo decisione. dal romanzo Reporter di guerra (già Sotto un cielo di guerra ), di Scott Anderson, il film Triage, del 2009, è ambientato nel Kurdistan della guerra del 1988. Protagonista è il fotoreporter Mark Walsh (interpretato da Colin Farrell), con le sue ansie e i suoi affanni di sopravvissuto.

9 TRIAGE... IL FILM

Sceneggiato

Per considerazioni sulla morte di fotogiornalisti (e giornalisti) inviati nei territori di guerra, un ro manzo coinvolgente e trascinante: in edizione italiana Reporter di guer ra, di Scott Anderson, dal Kurdistan (Piemme 2001, successivo a un primo Sotto un cielo di guerra, del 1999). Da cui, il film Triage, del 2009. Il vantaggio del diavolo, di Isabel Ellsen, a pro pria volta giornalista e fotografa di guerra, am bientato nel 1991 della guerra in Jugoslavia (Wi zarts, del 2003, sull’origi nale francese Le diable à l’avantage, del 2001). Da cui, il film Harrison’s Flowers, del 2000. (4)

10 de montagne del Kurdi stan (in edizione italiana Piemme, del 2001, sul la prima versione Sotto un cielo di guerra, del 1999), e Il vantaggio del diavolo, di Isabel Ellsen (1958-2012), a propria vol ta giornalista e fotogra fa di guerra, ambienta to nel 1991 della guerra in Jugoslavia (in edizio ne italiana Wizarts, del 2003, sull’originale fran cese Le diable à l’avan tage, del Ancora,2001).inentrambi i casi, dai romanzi so no state trasposte sce neggiature cinemato grafiche: la prima è del film Triage, del bosniaco Danis Tanović, del 2009, che riprende il titolo ori ginario del libro; la se conda è del film Har rison’s Flowers, di Élie Chouraqui, del 2000, che fa riferimento ai fio ri che il ni,scomparsofotogiornalistaneiBalcasuassignmentdi Newsweek, coltiva nella propria abitazione, ne gli Stati Uniti. In queste due vicen de il tema della morte in guerra è sovrastante, con l’aggiunta del dramma ulteriore del sopravvis suto (in Triage / Repor ter di guerra / Sotto un cielo di guerra). Mentre, nel poliziesco La scatola nera, di Michael Connelly, è soltanto in cidente. E siamo noi, forse solo noi, che lo eleviamo di tono, che lo prendiamo in considerazione per nostra for za di cose. Però... l’argomento è lì, è presente e -giorno do po giorno- è alimentato da vittime di una storia di foto giornalisti e giornalisti morti in guerra che è troppo lunga, di un elenco che è eccessiva mente penalizzante. Qualcuno muore, altri vivono... ma riman gono cambiati per sempre. Però, in tono lieve, pur nel rispetto delle considerazioni appena espresse, la scrittura di La scatola nera rivela an cora qualcosa di più e diver so, sempre da un punto di vista educa to. Riferisce di come e quanto scritture provenienti da altre geografie che non la nostra (sia in forma narrativa, sia in sceneggiatura e scenografia cinema tografica) siano attente a ogni propria considerazione, anche a quelle specifi che, mirate e di settore: per quanto ci ri guarda e, forse, interessa, alla Fotografia. Ne abbiamo già riflettuto in altre occasioni, a questa pre cedenti, ma la ripetizione si impone: raramente, in Italia, rimaniamo soddisfatti delle citazioni fotogra fiche, per dire nel cinema, troppo spesso approssi mative, se non ad dirittura più che mogrottesche.Invece,leggiada La scatola nera, di Connelly:Michael«L’ulti ma fermata del viaggio vir tuale di Bosch attraverso la vita e il lavoro di Anneke Je spersen fu il sito creato in memoria dal fratello. Per entrare, dovette registrar si con l’indirizzo mail, un equivalente digitale della firma sul registro di un funera le. Il sito era diviso in due sezioni: foto[gra fie] scattate da Jesper sen e foto[grafie] che ritraevano lei. «Molte istantanee del la prima sezione pro venivano dagli articoli che Bosch aveva già vi sionato attraverso i link forniti da Bonn [redatto re del Legatenewsmagazine].aglistessipez zi c’erano foto[grafie] extra, e lui pensò che qualcuna era migliore di quelle scelte per ac compagnare le storie. «La seconda sezione era più simile a un al bum di foto[grafie] di famiglia, con istantanee di Anneke a partire da quando era una ragaz zina magrissima con i capelli biondi. Bosch le scorse in fretta, finché arrivò a una serie di fo to[grafie] che Anneke si era fatta da sola. Le aveva scattate in posa di fronte a differenti spec chi in più anni differen ti. Jepersen reggeva la macchina fotografica all’altezza del petto, ap pesa a un nastro [a una cinghietta] che teneva intorno al collo, e aveva scattato senza guardare attraverso l’obiettivo [e lasciamo perdere even tuali richiami a Vivian Maier, la fotografa ritrovata, della quale è in corso la be atificazione]. Passandole in rassegna una dopo l’altra, Bosch poté vedere lo scorrere del tempo sul volto di lei. Era sempre bella, ma la saggezza aggiun geva profondità allo sguardo. «Nelle ultime, gli parve che lo stesse fissando direttamente. Non gli fu facile staccarsi da que gli occhi». Hai detto poco! Se vogliamo vederla anche così, in doverosa ripetizione da precedenti osservazioni identiche: magia della Fo tografia, singolare combi nazione di regole logiche e spessori esistenziali. In altrettanta ripetizione, ancora d’obbligo: come e quanto la Fotografia influi sce e ha influito sullo svolgi mento della nostra stessa Vita, per certi versi... migliorandola e arricchendola. Lo crediamo sinceramente.

Archivio FOTOgraphia

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tunitensetrasmessatata2021deldafacilmentecompetenza...raggiungibilichiunque.Invece,inoccasionecinquantenario1971-dallaprimapundellaprimaserie,dallaretestaNBC,èimpe rativo (?!) riflettere e considerare alcune particolarità delle sceneggiature, che hanno definito la serie di investigazione rovescia, che -a differenza di ogni altra narrazione poliziesca- parte dalla co noscenza dell’assassino, per proseguire con l’avvicinamento dell’investigazione al suo smascheramento, alla sua rivela zione (nota). Infatti, per quanto possa sembrare perfino paradossale, questa serie televisiva ha infranto tante barriere precedenti, per quanto non tutte (per esempio, assenza pres soché totale di perso naggi afroamericani, se non in modesti comple menti), disegnando au tentiche novità di pen siero e Primaspirito.tratutte, quella della personalità dell’as sassino, sempre appar tenente a una classe so ciale elevata, che uccide per avidità, per incre mentare e/o mantenere il proprio status privile assassine al femminile, e molte ce ne sono state. Terza tra quante sottolineia mo, quella di interpretare una sorta di aspetto, esteriorità e facciata “lombro siana” dell’assassino colpevole. Per quanto le prime due rilevazioni si raccontino da sole, la terza impone una precisazione di fondo. Grazie soprattutto alle capacità interpretative degli attori via via succedutisi nel ruolo di protagoni sta-assassino, la loro reci tazione del personaggio è sempre e tagonistaconotoRaytoreminantemodi.volto,moralmentecomunque“brutta”:nelnellapostura,neiUnesempioilluèquellodell’atgallese-americanoMilland(1907-1986),algrandepubbliperlasuapartepro(TonyWendi

Filippo Rebuzzini COLOMBO

La genesi della serie televisiva del tenente Colombo, ideata da Ri chard Levinson (19341987) e William Link (1933-2020; è mancato lo scorso ventisette di cembre) -compagni di scuola dalle medie, en trambi appassionati di narrativa poliziesca-, e caratterizzata dall’otti ma interpretazione di Peter Falk (1927-2011), è raccontata e sintetizzata e analizzata in tanti siti Internet specificamen te indirizzati. Dunque, è a portata di ognuno; e qui, e ora, non serve fare esercizio di stile, cono scenza e

L’episodio Una mossa sbagliata ( Negative Reaction), della serie televisiva Colom bo (secondo della quarta stagione, del 1974), introduce subito l’azione del fotogra fo omicida, che -in camera oscura- prepara una richiesta di riscatto per la propria moglie, che intende uccidere: «Signor Galesko, abbiamo sua moglie. Non chiami la polizia. Ci metteremo in contatto». Il coprotagonista -accanto al tenente, carat terizzato da Peter Falk- è Dick Van Dyke. Peter Falk negli inconfondibili panni del tenente Colombo, fortunata serie televisiva avviata nel 1971, cinquanta anni fa, con un primo episodio Murder by the Book, in Italia Un giallo da manuale, diretto da Steven Spielberg. Questo ritratto è uno de gli ufficiali realizzati da Douglas Kirkland, che ne ha cortesemente concesso l’uso.

apersonaggilineaturaanteriore,altrettantacinematetantonelpalesementefraintesadiscutibile,controversa,espessoeugenetica:moraleprimocaso;altretmanifestatamenorridonelsecondo.Adifferenzaditantoprecedente,etelevisionequestasottodell’intimodeihascartatolatolapresenzanei Rebuzzini - Ricerca iconografica di

/ CINEMA / di Maurizio

Il delitto perfetto ), di Alfred Hitchcock, del 1954, accanto a Grace Kelly non ancora prin Ray Milland è presen te in due episodi di Co lombo: in Una trappo la di Colombo / Death Lends a Hand, secondo della prima stagione, in prima televisiva statu nitense il 6 ottobre 1971, recita nei panni di Ar thur Kennicutt, editore di un autorevole e po tente quotidiano di Los Angeles, marito di Leonore, la vittima dell’episodio (interpretata da Pat Crow ley); in Il terzo proiettile / The Greenhouse Jungle, secondo della seconda stagione, in prima televisiva statunitense del 15 ottobre 1972, è l’assassino Jarvis Goodland, che uccide il proprio nipo te per interesse economico. Ebbene, le due recitazioni sono diverse e “lombro sianamente” esplicite, quantomeno in base ed esposizione didascalizzata dei princìpi che il vittoriano Francis Galton (1822-1911) ha espresso nella sua

KirklandDouglas

cast soltanto per richiamo del pubblico o altri equilibri estranei alla sceneggia tura, per imporsi e affermarsi in tutta la cadenza successiva del cinema e della televisione statunitensi (per rimanere nelle serie poliziesche, invitiamo a va lutare in questo modo anche i “cattivi” di ogni serie attualmente avvicinabile, magari a partire dalla longeva Law & Order e relativi spin-off).

Pietro Citati (da Perché amo la tv del Tenente Colombo, in la Repubblica, del 9 gennaio 2008)

GIÀ... COLOMBO Comunque, serie televisiva poliziesca dal 1971, in attuale cinquantenario, quan do si diceva “telefilm”, con successivi allunghi avanti nel tempo, Colombo -e poi Il ritorno di Colombo (per i puristi del personaggio, altra storia)- è stata sistematicamente replicata da nume rose emittenti televisive, e ancora oggi si possono incontrare repliche e repli che e repliche nelle programmazioni riempitive. Avviata negli Stati Uniti il 15 settembre 1971, la serie è approda ta alla traduzione italiana alla fine del 1974 (Capodistria), per poi essere ac quisita da Rai2, dall’estate 1977. Subito una nota di costume e cinema: il pri mo episodio accreditato ufficialmente, Un giallo da manuale (dall’originario Murder by the Book ), è stato diretto da Steven Spielberg, in anticipo sul suo film di esordio Duel In supplemento alle particolarità spe cifiche già annotate, c’è da aggiunge re altro: il sottile filo conduttore che attraversa le indagini di Colombo. La stragrande maggioranza delle prove a carico dei colpevoli, degli assassini, dipende da una condizione “tecnolo gica” (in riferimento ai tempi), alla qua le il tenente approda con curiosità da ignorante e neofita della materia: se greterie telefoniche, fax, nastri di mac chine per scrivere elettriche, telefoni programmabili, umidificatori di vino prezioso... macchine fotografiche (ed è qui che Personalmente,approderemo).consideriamo nostra scuola di pensiero la tranquillità e cal ma del tenente Colombo: perfettamen te caratterizzato da uno straordinario Peter Falk, in una interpretazione che gli calza come un abito su misura e gli è valsa premi e riconoscimenti. Ma non è questo che conta, quanto meno non qui, quantomeno non ora. Soltanto, replica dopo replica e dopo replica e -ancora- dopo replica, vantia mo una capacità della quale andiamo fieri e orgogliosi: saper individuare l’e pisodio in trasmissione, entro tre se condi di visione, in qualsiasi momento ci capiti di sintonizzarci televisivamen te. Comunque, a certificazione del suo valore, ricordiamo anche ottime regie e altrettanto eccellenti partecipazione di attori e registi (anche amici), di altis simo livello cinematografico.

PERCHÉ COLOMBOAMO

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L’estate scorsa, la televisione italiana ci ha offerto un dono inconsueto. Nelle sere di sabato e di domenica, alle 19,35, cominciava la proiezione di un film della serie del Tenente Colombo, che accompagna da molti anni la nostra vita. Confesso di avere una passione infantile per le vicende del piccolo te nente spiegazzato: passione che Federico Fellini condivideva. Qualsiasi cosa accadesse, qualsiasi invito allettante mi venisse rivolto, non abbandonavo la poltrona o la seggiola davanti alla televisione, sebbene avessi visto dieci volte quel film e mi ricordassi quasi a memoria ogni particolare. [...] Tutti conoscono la trovata fondamentale dell’intera serie. Gli sceneggia tori del Tenente Colombo, tra i quali si nasconde una mente sottilissima, hanno capovolto la struttura del giallo tradizionale. Se in un testo di Conan Doyle o di Agatha Christie o su Nero Wolfe la scoperta del colpevole avviene puntualmente alla fine del libro, qui, pochi minuti dopo l’inizio, il mistero è già rivelato: sappia mo chi è la vittima e chi il colpevole, e per quali ragioni e in quali circostanze la vittima è stata uccisa. Suppongo che, nei primi tempi, questo capovolgimento abbia turbato il mondo degli appassionati. Se il mistero era rivelato subito, ri schiava di venire abolito. Ma la straordinaria bravura degli sceneggiatori del Te nente Colombo ha fatto sì che questo pericolo venisse cancellato. Non ho quasi mai seguìto un giallo con tanta partecipazione e tensione. Le vicende del tenente Colombo, il suo sospetto improvviso, i minimi indizi, le oscure certezze, le nebbie, le sorprese, le distrazioni, le convinzioni rafforzate, i suoi inganni, le sue finte ingenuità, le sue astuzie, le sue truffe, producono a volte una suspense quasi insostenibile. Nei gialli di tipo “matematico”, ai quali la serie del Tenente Colombo appartiene, il protagonista è di solito avvolto da un profumo alto-borghese, o intellettuale, o lievemente snobistico. Coltissimo e squisitissimo, Sherlock Holmes ha modi alla Oscar Wilde. Anche in Miss Mar ple, per non dire in Hercule Poirot, si avverte una buona famiglia e ottimi studi. Invece, il tenente Colombo, italo-americano, fa parte di una razza lunga mente vilipesa e talvolta calunniata. La sua famiglia è modestissima: ha fre quentato una scuola di infimo ordine; la sua cultura deriva dalla televisione popolare. Ha visto qualche musical con un biglietto omaggio. I ricchi prota gonisti-colpevoli guardano con disprezzo il suo impermeabile stazzonato, a volte sovrapposto a un mediocre vestito da sera, la camicia e i vestiti di cat tiva qualità, la cravatta sfilacciata e male annodata [...], le scarpe sformate, la vecchia automobile scoppiettante, il cane sgraziato, la passione per il popo larissimo chili, l’incapacità di bere e mangiare con eleganza. Appena egli en tra in una casa ricca o nel negozio di un grande sarto, rivela la sua natura di paria. I salotti, gli specchi, le porte decorate, gli armadi sontuosi, gli enormi mazzi di fiori o l’enorme apparecchio televisivo, l’educata pelouse suscitano la sua candida ammirazione infantile, a volte ostentata con nascosta ironia. Gli appassionati dei gialli sostengono che uno scrittore o un regista non deve mai ripetere le proprie trovate perché annoia il pubblico. Anche qui, l’occulto re sponsabile della serie del Tenente Colombo ha capovolto ogni abitudine. Tutto, nella figura del piccolo tenente, è ripetizione. In ogni film, ripete i suoi tic. Fa la parte del tonto, finge di non capire, è troppo umile, permette che il ricco colpe vole lo disprezzi o lo insulti, si meraviglia, guida la solita vecchissima macchina, si occupa con amore del grosso cane, ammira sciocchi libri alla moda, segue i successi musicali, allude di continuo a una signora Colombo che non vedremo mai, finge continuamente di avere dimenticato una domanda (la più importan te), per ricomparire subito dopo dietro una porta suscitando sospetto e inquie tudine, fruga nelle tasche alla ricerca di un importantissimo biglietto perduto... [...] Nulla, in lui, sembra imprevisto. Ma questa serie incessante di ripetizio ni è divertentissima. Ci affezioniamo alle sue abitudini. Se osasse cambiare impermeabile, ci offenderemmo, come se ognuno dei suoi tic contenesse un segreto straordinario. Malgrado le apparenze, il tenente Colombo è un genio. Cinque minuti dopo essere arrivato sulla scena, comprende chi è il colpevole. Parlare di istinto, o di abilità o di consuetudine poliziesca, è troppo poco. Egli possiede una specie di intuito medianico, che gli rivela l’assassino. [...]

Portata l’opprimente mo glie Frances in un caso lare abbandonato, il foto grafo Paul Galesko pre para la scena del (finto) rapimento. Insoddisfat to della prima polaroid, ne esegue una seconda. A conclusione delle in dagini, il tenente Colom bo crea i presupposti per una mossa sbagliata.

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CON LA FOTOGRAFIA Però, nella concretezza di queste no te redazionali (che non ambiscono ad alcun “giornalismo”), non ci occupia mo della sinopsi di questa amata se rie televisiva, che compete ad altri e ad altre testate, altrimenti indirizzate. Ovviamente, dal nostro punto di vista, siamo vincolati alla combinazione con la fotografia, che nel caso di Colombo si estende dalla sceneggiatura alla sola scenografia: in ammirevole e apprez zata alternanza di intenti e presenze. Prima ancora di arrivare alla sostanza di un episodio nel quale l’assassino è un fotografo, e che -per questo- si pro fila come soggetto portante di queste considerazioni, è bene liquidare altri attraversamenti fotografici trasversali. In ordine progressivo, registriamo cin que episodi con presenza fotografica in qualche modo e misura significante. In Mio caro nipote (Short Fuse), del 19 gennaio 1972 (negli Stati Uniti), se sto episodio della prima stagione, di retto da Edward M. Abroms, l’assas sino Roger Stanford, interpretato da Roddy McDowall, è un chimico appas sionato di fotografia. Uccide lo zio al terando una sua scatola di sigari, che certamente verrà aperta al momento opportuno, innescando un’esplosione. Per tutto l’episodio, che comincia nella luce rossa della camera oscura (rossa in simulazione e certificazione cine matografica), come anche l’episodio specifico al quale stiamo avvicinando ci, ha una Nikon F al collo, e continua a scattare foto grafie. Niente di più, né di verso, con siparietti anche e ancora in camera oscura. In Scacco matto a Scotland Yard (Dagger of the Mind ), del 26 novembre 1972, quarto episodio della seconda sta gione, diretto da Richard Quine, in visita alla polizia di Londra (Scotland Yard), il tenente Colombo è un turista compulsivo con una Argus C, probabilmente una C2 o C3, prestatagli dall’immancabile cugino. Attenzione: è ancora macchina foto grafica Argus C2 (forse) usata dalla gior nalista Polly Perkins, interpretata dall’at trice Gwyneth Paltrow, in Sky Captain and the World of Tomorrow, di Kerry Conran, del 2004; e, altrettanto, una Ar gus 35mm a telemetro compare nella scenografia del più recente ed emozio nante Carol, di Todd Haynes, del 2015.

Per certi versi è “fotografico” l’alibi dell’assassino Hugh Creighton, interpreta to dal bravo Dabney Coleman, che ha ucciso la moglie, ex cantante rock, per gelosia: sua maschera fotografica sul volto della segretaria complice, che si fa riprendere da un autovelox all’ora dell’omicidio. Terzo epi sodio della decima stagione, quando ormai la serie diven tò Il ritorno di Colombo (24 aprile 1991, negli Stati Uniti), che dall’originale Columbo and the Murder of a Rock Star, in Italia, è diventato Co lonna sonora con omicidio La scenografia del primo episodio dell’undicesima sta gione, l’ultima (e poi ci so no stati episodi speciali), è attraversata da una reflex Pentax, di proprietà del giovane Fred dy Brower, ucciso misteriosamente. Il tenente Colombo sospetta lo zio Leon Lamarr (l’eclettico attore Rip Torn), ma gli manca l’elemento decisivo, che provi che l’omicidio è stato perpetuato per impossessarsi del biglietto vincente di una lotteria plurimilionaria: ben trenta milioni di dollari, che Leon Lamarr re clama per se stesso. In casa degli ami

Per la cronaca, si tratta di una ele gante Polaroid Model 800 delle origini, erede della genìa avviata con la prima Polaroid 95, per rollfilm bian conero Type 40, in produzio ne dal 1957 al 1962. Ma non è questo il punto, quantome no oggi, quantomeno qui. Invece, affondando fino ad altra profondità (di pensiero e concetto), oggi sottolineia mo qualcosa di diverso. Cosa porta il tenente Co lombo sulle tracce del ma rito assassino? Il fatto che sul luogo del delitto recupera una polaroid di scarto, alla quale ha poi fatto seguito quella che ha accompagnato la falsa richiesta di riscatto. Ancora: cosa lo insospettisce e indirizza? Il fatto che questa prece dente polaroid è stata scartata perché imperfetta nell’inquadratura e com posizione, come peraltro sottolinea lo stesso fotografo-assassino, cadendo nella prima delle numerose trappole che l’imperturbabile tenente confezio na a misura di presunzione e insolente arroganza (da professionista). Non un rapitore, ma un fotografo, annota Co lombo, può avere una tale accortezza, un così alto amor proprio. Ed ecco qui, la nostra riflessione. La sceneggiatura fa declinare una osser vazione fotografica a un tempo consi stente e profonda a un “personaggio comune”, non a un esperto di fotografia.

16 ci che celebrano lo scomparso, in una serata evocativa, a Colombo viene ri chiesta una fotoricordo, da realizzare con la Pentax di Freddy. Dovrebbe solo inquadrare e scattare, ma l’occhio gli cade sulla scala dei diaframmi, incisa sull’obiettivo: capisce che il biglietto vin cente della lotteria apparteneva pro prio a Freddy, perché i numeri giocati sono stati ricavati... dalla sequenza di cifre 2,8 - 4 - 5,6 - 11 - 16 (ov vero, 2 8 4 5 6 11 16! In origi nale, Death Hits the Jackpot (negli Stati Uniti, il 15 dicem bre 1991); in Italia, Misteriose impronte digitali Infine, c’è un poco di foto grafia anche in Non c’è tempo per morire (dall’originario No Time to Die, negli Stati Uniti il 15 marzo 1992; secondo epi sodio dell’undicesima stagione), sceneg giato da un racconto di Evan Hunter, pseudonimo di Salvatore Albert Lombi no, che con un altro suo pseudonimo, Ed McBain, ha firmato numerosi romanzi polizieschi (tra i quali la serie dell’Ottan tasettesimo Distretto, modello di tutti i film e telefilm ambientati in una sta zione di polizia) e ha scritto eccellenti sceneggiature cinematografiche, tra le quali Gli uccelli, di Alfred Hitchcock, del 1963. Nulla di particolare, se non che il rapitore della nipote di Colombo, du rante il suo matrimonio, è il fotografo della cerimonia: Alex Varrick, interpre tato dall’attore Daniel Davis. Tutto qui. MOSSA SBAGLIATA Per quanto trasversale anche ad altre sceneggiature e scenografie di Colombo -come abbiamo appena censito-, la fo tografia è autentica protagonista di Una mossa sbagliata (Negative Reaction), del 1974, secondo episodio della quar ta stagione, che si è altresì aggiudicata l’Emmy Award 1975, ventiseiesimo dall’o rigine. Diretta da Alf Kjellin, su sceneg giatura di Peter S. Fischer, la vicenda ver te attorno l’omicidio commesso da un fotografo professionista: Paul Galesko, interpretato dal bravo Dick Van Dyke, che uccide la propria moglie Frances, dopo averne inscenato un finto rapi mento. La mossa sbagliata del titolo, corrispondente all’originaria Negative Reaction, è giusto quella che commet te l’assassino, che si smaschera e rivela alla fine dell’avventura, quando, tra tanti reperti di prova archiviati nell’apposita sala, individua e indica la macchina fo tografica con la quale è stata scattata la fotografia della donna rapita.

Alla resa dei conti, l’inganno del te nente Colombo, che induce l’assassi no Paul Galesko (nell’interpretazione di Dick Van Dyke, l’amato spazzacamino Bert del film Mary Poppins, del 1964), si basa proprio su una sua consapevole alterazione di un ingrandimento foto grafico rovesciato destra sinistra, che fa indicare all’orologio nell’inquadratura un’ora diversa (speculare), per la qua le non c’è alibi... e poi, per l’appunto, la mossa sbagliata, per recuperare il ne gativo-matrice dal dorso della Polaroid Model 800 custodita, insieme a tante altre simili, nella stanza dei reperti. Messo alle strette dal tenente Colom bo, Paul Galesko rivendica che la pro va contro di lui altro non è che un in grandimento rovesciato destra-sinistra: «Prenda la foto originale e le confronti. Si accorgerà dell’errore che ha fatto». «L’originale? -risponde Colombo- Beh... purtroppo c’è un guaio, perché mentre ero lì nella camera oscura, e lavoravo col tecnico del laboratorio, cercando di aiutarlo, ho fatto cadere per sbaglio la foto in una bacinella di acido [?]. E, così, non c’è più l’originale [?]». Paul Galesko va al contrattacco e prende la Polaroid Model 800 tra una serie di apparecchi analoghi conservati nella stanza dei re perti: «Mi spiace deludervi, ma la prova della mia innocenza c’è. Nonostante tut to, non c’è bisogno della foto originaria: il negativo è sufficiente a dimostrarlo. Guardi il negativo nella parte posterio re della macchina e se ne accorgerà».

Eccola qui, la mossa sbagliata : «Lei si è autoaccusato, scegliendo quella macchina -conclude Colombo-. Per ché è la macchina con la quale è stata fatta la fotografia di sua moglie, ma lei non poteva assolutamente saperlo. Non poteva sapere che il negativo si doveva trovare nel retro di questo apparecchio, se non avesse fatto lei stesso la foto». Eccoci qui. ■ ■ Curiosità e coincidenza singolare. Nel 1974 dell’episodio Una mossa sbagliata (Negative Reaction) della serie televi siva Colombo, il coprotagonista Dick Van Dyke, nei panni del fotografo Paul Galesko, che viene smascherato per una sua polaroid, era attore-testimo nial degli apparecchi per fotografia a sviluppo immediato Kodak Instant.

In Scacco matto a Scot land Yard, in visita alla polizia di Londra, il Te nente Colombo si com porta da turista compul sivo con una affascinan te Argus C: trentacinque millimetri a telemetro.

Inside USP Alcatraz 1934 to 1963. Life Behind Bars è un libretto a svolgimento di dieci centimetri per quindici, con spessore di tre centimetri abbondanti; sessan ta facciate illustrate; Golden Gate National Parks Conservancy, 2014; 4,95 dollari.

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/ SEGNALETICA / di Angelo Galantini ALCATRAZ

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Nulla a che spartire, sia chiaro, con monografie storiche che raccontano nel dettaglio e ricostruiscono con mi nuzia di particolari quanto accaduto tra le mura di Alcatraz, che dalla sua chiu sura, il 21 marzo 1963, trent’anni dopo il suo avvio come carcere federale di massima sicurezza, l’11 agosto 1934, è luogo di visite turistiche guidate. Ma, allo stesso momento, con la sola per sonalità della fotografia di “traverso”, soprattutto segnaletica, due sintesi che evocano più e meglio. In effetti, siamo sinceri, non è tanto l’evidenza di fatti e accadimenti che racconta la Storia, quanto, spesso, la lievi tà di richiami e ricordi che suscita emozioni e coltiva riflessioni. Con questo e in questo, sot tolineiamo anche il va lore della Fotografia, al pari di quello delle pa role non dette. Altrimenti identificato come The Rock, la roc cia, per il suo essere iso la soltanto rocciosa, per l’appunto, oltre che im penetrabile e a prova di evasione, impedita dalle fredde correnti marine che attraversano i due chilometri di ma re nella baia di San Francisco, di fronte alla città, il carcere di Alcatraz è famoso per leggende metropolitane che han no sollecitato la fantasia popolare. Il suo fascino come ambientazione cinema tografica pittoresca (appunto, cultura popolare) si basa anche sulla sua bel lezza naturale, dall’isolamento e dalla sua storia di prigione (ora museo), dalla quale, ufficialmente, nessun prigionie ro sarebbe riuscito a fuggire. Tra le fantasie cinematografiche lì lo calizzate, merita particolare attenzione l’effimera serie televisi va Alcatraz, che passa attraverso le epoche. Si ipotizza che la chiusu ra non sia stata deter minata da condizioni

Su questo stesso numero, da pagina 34, censiamo e commentiamo una certa e identificata proiezione della fotografia di cronaca, soprattutto “nera”, in avan ti nel Tempo. Per forza di cose, ovvero reperibilità di sintesi attendibili -sulle quali ragionare-, siamo stati obbliga ti a riflettere sulla base di storiografie statunitensi, che nel panorama com plessivo della Fotografia, e non soltanto di questa (ahinoi, ahivoi), sono sempre più attente di altre geografie. Anche qui, come già là, non è il caso di sof fermarci su questo, oltre la semplice e amara constatazione di fatto. Punto. Anche qui, ancora, in complemento alle note alle quali ci riferiamo, attingiamo da fonti sta tunitensi, in racconto di una loro esperienza so ciale sostanziosamen te rilevante, sempre in attuale chiave “giudi ziaria” e dintorni. Co me giornalisti, siamo convinti che la validi tà delle informazioni di penda dalla legittimi tà delle sorgenti da cui provengono. Le attuali credenziali sono più che attendibili. Sono asso lutamente affidabili. Due sono le sintesi “librarie” di riferimento, entrambe rivolte nella medesima direzione. Inside USP Alcatraz 1934 to 1963, che sottotitola Life Behind Bars (da All’interno del penitenziario di Alcatraz a Vita dietro le sbarre; con USP acronimo di United States Penitentiary, nel senso di penitenziario federale), è una sorta di libretto a svolgimento di dieci centimetri per quindici, con spes sore di tre centimetri abbondanti, che si snodano su sessanta robuste faccia te illustrate: sulla maggior parte delle quali, segnaletiche di carcerati si alter nano e sovrappongono ad accadimen ti nazionali e internazionali, anno dopo anno, durante la storia trentennale del celebre carcereQuindi,californiano.

Alcatraz. Pri soner Mug Shots and Records è un cofanetto 12x16,3cm che riunisce e presenta trenta segnaletiche di prigionieri efferati che sono stati rinchiusi nel celebre carcere nella baia di San Francisco, più quat tordici visioni della vita della prigione, più una scheda introduttiva: per un to tale di cinquanta cartoncini fronte/re tro 10,8x15,1cm, alla maniera delle card statunitensi dello sport (di dimensioni inferiori, ma -soprattutto- differenti dal le “figurine” italiane in solo fronte), da conservare in apposite custodie mobi li trasparenti, che consentono la con sultazione frontale (ritratto dell’atleta / segnaletica del carcerato) e in verso (statistiche delle prestazioni nel proprio sport / storia criminale del soggetto).

SOLOONLINE// /QR code SEGNALETICHE Alcatraz. Prisoner Mug Shots and Records; co fanetto 12x16,3cm che ri unisce e presenta trenta segnaletiche di carcerati, con altri quattordici/quin dici accompagnamenti fotografici; Golden Gate National Parks Conser vancy, 2005; 12,95 dollari. Archivio FOTOgraphia

19 non più sicure per i suoi prigionieri e le guardie a sorveglianza, ma che i “re sidenti” siano scomparsi tutti insieme, nel 1963, a seguito di misteriosi espe rimenti sul Tempo. Da cui, uno a uno, riappaiono nell’attuale San Francisco, dove vengono perseguiti da un’agenzia governativa che deve impedire loro di commettere ulteriori crimi ni, determinando anche le ragioni del loro ritorno. Tutto questo, solo questo, a certificazione e testimo nianza di una interpretazio ne leggendaria di un’epoca, per evocare la quale le due selezioni appena accennate -e tanto basta- forniscono evidenze fotografiche delle quali fare prezioso tesoro: in merito e onore della missione della Fotografia, raffigurativa per natu ra, ma rappresentativa per mandato. In particolare, una volta ancora, una di più, mai una di troppo, prima di tut to è obbligatorio (oltre che perentorio) stabilire un parametro, un valore, un assioma: come e quanto la Fotografia influenza la nostra Vita. Autentico lin guaggio del Novecento, non soltanto visivo, la Fotografia appartiene tanto alla vita quotidiana attuale, da sugge stionarla: dalle pagine dei giornali, co me anche dalle affissioni pubblicitarie lungo la strada. Da e con Paul Valéry (da Scritti sull’arte La conquista dell’u biquità ; 1934): «Come l’acqua, il gas o la corrente elettrica entrano grazie a uno sforzo quasi nullo, provenendo da lontano, nelle nostre abitazioni per ri spondere ai nostri bisogni, così sare mo approvvigionati di immagini e di sequenze di suoni, che si manifestano a un piccolo gesto, quasi un segno, e poi subito ci lasciano». Tra tanto altro, senza alcuno spirito di qualsivoglia antagonismo o contrappo sizione, la Fotografia dà spessore a una propria caratteristica, che la distingue dalla pittura. Mentre i dipinti, di ogni epoca, sono sempre e soltanto attribuiti al pro prio autore, e compongono i tratti della sua Arte, la Fo tografia (del vero, dal vero) rimane vincolata al sogget to rappresentato. E su que sto si basa il suo valore do cumentario ed esistenziale. Certo, non siamo così in genui da non conoscere le insidie del linguaggio foto grafico, e degli stereotipi che l’accom pagnano. Per cui, sappiamo bene co me sia soprattutto occidentale l’idea secondo la quale ciò che si trova da vanti all’obiettivo debba essere vero, deve essere la realtà (tanto che, nel Di ciannovesimo secolo, la gente aveva l’abitudine di posare con oggetti per sonali appartenuti a familiari, assenti o deceduti, per poterli includere, emo tivamente, nella fotografia). Ancora: l’effetto di realtà della Foto grafia riguarda innanzitutto la propria aderenza formale a ciò che rappresen ta; il suo contenuto può essere mani polato e selezionato, senza invalidare, screditare o sminuire il suo supposto valore di verità documentaria fonda to sulla tecnica. Da cui: la grande rivo luzione della Fotografia è stata quella di mostrare la realtà senza apparenti mediazioni e da qui, forse, è nata la sua diffusione e popolarità anche come do cumento inoppugnabile (?). Magari, la Fotografia ha assolto la con dizione che il filosofo inglese sir Francis Bacon espresse nel 1620, in The new organon or true directions concerning the interpretation of nature: «The very contemplation of things as they are, without superstition or imposture, er ror or confusion, is in itself more wor thy than all the fruit of inventions» (La semplice contemplazione delle cose così come sono, senza superstizioni o inganni, errori o confusioni, vale più di tutti i frutti dell’invenzione). Già: le cose così come sono, in visio ne scientifico filosofica di un pensa tore coetaneo a Galileo Galilei, il quale -però- aveva a disposizione strumen ti ottici per osservazioni ingrandite e dettagliate dell’Universo. Ma! ■ ■

In retrovisione curiosa, sia per se stessa, sia per il proprio contenuto, valutiamo che la Fotografia dall’alto, realizzata con apparecchi specifici fissati sulla pancia di piccioni, avviata nel primo (2)photographiquel’appareildesuisseMusée

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ferenze sono enormi, tanto da non consentire alcun allineamento statico tra le due esperienze, ma l’interpretazione consente di osservare tra le pieghe della Storia, per la coscienza delle nostre stesse origini fotografiche. Con complemento sulla fotografia dall’alto di Nadar. Nientemeno

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22 NADAR (LUI) DALL’ALTO

Come dovrebbe essere risaputo, la Fotografia si alza da Terra, osser vando dal Cielo, nei tardi anni Cinquanta dell’Ottocento, quando, nel 1858, il parigino Nadar (Gaspard-Félix Tournachon; 1820-1910) sposa la professione di fotografo con la passione per il volo aerostatico. Nell’eterogeneo universo dei tanti pionieri della Fotografia, il parigino Nadar rappresenta una personalità insolita e autonoma. Oltre la prepotente identità di raffinato ritrattista, a tutti nota, per esplorare le possibili appli cazioni espressive e documentative della fotografia, Nadar accompagnò la propria attività in sala di posa con la continua sperimentazione tecnica. Sue furono le fotografie che per la prima volta illustrarono un testo divulgativo di medicina ( Album de photographies pathologiques com plémentaire du livre intitulé De l’électrisation localisée; 1862). E sua fu l’i dea di una intervista accompagnata da una sequenza di fotografie. Sotto la sua direzione, nel 1886, il figlio Paul eseguì una serie di ventisette pose destinate a illustrare l’intervista (dello stesso Nadar) al fisico Michel-Eu gène Chevreul (1786-1889), incontrato in occasione del centesimo com pleanno. Tredici di queste immagini, tutte riprese con pellicola Eastman Kodak che consentiva tempi di otturazione brevi fino a 1/200 di secondo, furono pubblicate il 5 settembre 1886 dal Journal illustré: dodici inqua drature in sequenza di Chevreul e Nadar seduti a un tavolo furono im paginate assieme a un ritratto del celeberrimo fisico. Nadar fu anche tra i primi a intuire le possibilità dell’illuminazione ar tificiale, in un’epoca nella quale la Fotografia dipendeva soltanto dalla luce naturale del Sole. In sala di posa, usò lampade continue e il lampo al magnesio. Con certezza, un ritratto del 1860 è attribuibile a una illumina zione con luce elettrica, sulle cui possibilità Nadar relazionò nella sedu ta del ventuno dicembre (1860) della Société Français de Photographie. E, poi, illuminò artificialmente anche le catacombe di Parigi e le sue fogne, dove eseguì rispettive serie fotografiche nel corso del 1861. Le sue lastre 18,5x22,5cm furono esposte con grande perizia e con un pizzico di invenzione scenografica: uomini in rigorosa immobilità e manichini ben disposti stavano a recitare e simulare situazioni dinamiche “fissate” dallo scatto fotografico (per forza di cose, assolutamente prolungato). Convinto assertore delle grandi possibilità di applicazione del volo dei mezzi più leggeri dell’aria, Nadar fece seguire fatti alle parole, e com pì numerose escursioni con il pallone aerostatico. Questa sua idea era talmente fissa da spingerlo ad autoritrarsi a bordo del cesto caratteri stico della mongolfiera, e da ispirare una celebre caricatura di Honoré Daumier, con il fotografo che, a bordo di un aerostato, vola su una città pullulante di studi fotografici. Nella raccolta di memorie Quand j’étais photographe, del 1900, Na dar riferisce le sue esperienze nel capitolo Il primo tentativo di fotogra fia aerostatica (in Italia, Quando ero fotografo; a cura di Michele Rago, traduzione di Stefano Santuari: Editori Riuniti, 1982 / Abscondita, 2004).

Caricatura di Honoré Daumier (Nadar élevant la Photographie à la hauteur de l’Art / Nadar eleva la fotografia all’altezza dell’Arte [al di sopra delle arti] ), originariamente pubblicata in Le Boulevard, del 25 maggio 1862, e sua replica/ parodia in Il caso di Villa Danar, inchiesta di Topet il commissario, pubblicata in Topolino, numero 2485, del 15 luglio 2003.

Autoritratti di Nadar nel cesto caratteristico della mongolfiera: con la moglie Ernestine e da solo; fotografie datate al 1865 circa. di Antonio Bordoni Per quanto ciascuno di noi frequenti la Fotografia in modo autonomo, non possiamo non avere constatato come -nel nostro paese- la riflessione attorno la materia (o disciplina, o ciò che inten diamo individualmente) sia clamorosa mente scomposta in due filoni paralleli, che non si incontrano mai. Da una par te, ci si riferisce al suo linguaggio, con conseguente proiezione verso la società tutta; dall’altra, si considerano soprat tutto (e, spesso, soltanto) gli apparecchi fotografici in quanto tali e fini a se stessi. Se appagano esigenze e necessità in dividuali, entrambe le posizioni sono le gittime e Personalmente,meritevoli.ci sentiamo vicini e prossimi all’una e l’altra visione, convin ti che esista una linea di transito che passa tra di loro, andando a influire sul le rispettive dialettiche. In particolare, siamo convinti che la tecnica agisca e incida sul linguaggio, dal momento in cui consente soluzioni specifiche e mirate. Di fatto, in pensiero spesso pro nunciato, qualsiasi viaggio nella vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sareb be un viaggio assolutamente inutile. Parliamo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare, dal momento che la tecnologia trasforma in realtà antichi sogni. La fonte della tecnologia appli cata è quella stessa fonte che alimen ta la Vita e l’evoluzione dell’Esistenza. Certo, la tecnica da sola non basta, ma la stessa tecnica indirizza gli svolgimen ti, fino al punto che il fotografo posses sore, oltreché di apparecchi e obiettivi, anche delle cognizioni necessarie per adoperarli bene e al meglio, è fatalmen te avvantaggiato. Sapersi muovere con sicurezza tra le condizioni generali del lavoro e le applicazioni eventualmente particolari è un dovere professionale e un diritto personale. Nel metodico e meticoloso rapporto tra tecnica e creatività si deve essere consapevoli dei rispettivi valori e delle relative influenze. E si deve anche rico noscere che la tecnica è assolutamente necessaria per la trasformazione e con cretizzazione fotografica dell’intuizione creativa. La creatività dipende dal talen to individuale, e può essere educata e coltivata. La tecnica si può imparare (e insegnare), basandosi -prima di altrosulla conoscenza e consapevolezza degli strumenti, che in Fotografia si debbo no considerare alla stregua di autenti ci utensili del lavoro. Con ciò, nessuna

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Historical Book Award al Prix du Livre ai Les Rencontres de la Photographie, di Arles, in Francia, nel 2018. Il ben redatto Des pigeons photographe?, in france se, ha accompagnato la rassegna Aeroplanes, bal loons, pigeons...: escursio ne sulla fotografia aerea in Svizzera allestita al Mu sée suisse de l’appareil photographique, di Ve vey, nell’estate 2007; 36 pagine 20x23cm. [Pdf da QRcode, a fine articolo]. L’apparato di testi e foto grafie svolge il tema in mi sura opportuna, in equili brio tra condizioni tecni che e filosofie di fondo. Sciences et Voyages / 2 (1919) con un articolo di J. de la Cerisaie sui piccioni fotografi (da Julius Gusta Neubronner, nel 1903). Eccellente rarità storica. (doppia pagina preceden te, da sinistra e dall’alto) Tre piccioni equipaggia ti con gli apparecchi fo tografici ideati da Julius Gusta Neubronner. Inizio anni Trenta, piccio ne con macchina foto grafica progettata dallo svizzero Adrian Michel, di Walde, nel cantone di Aar gau (a pagina 24). Piccione fotografo in de scrizione museale.

DICIAMO... DRONI? In un tempo tecnologico, quale è que sto attuale, nel quale la personalità di gitale delle applicazioni fotografiche ha amplificato esponenzialmente le possibilità di impiego e finalizzazione degli utensili, lungo tutta la filiera, dal lo scatto alla gestione dei file acquisi ti, si stanno affacciando e imponendo intenzioni e propositi che dischiudono progettualità creative ed espressive fi no a ieri impensabili. Tra i tanti esempi possibili, tutti plau sibili, pensiamo all’attualità dei droni, attraverso il cui sapiente utilizzo si stan no esprimendo numerosi svolgimenti di fotogiornalismo e ricerca individuale. Il drone non è fotografia dall’alto, come pure è anche, ed è soltanto nipote della fotografia aerea, in una scala di paren tela che prendiamo a prestito. Per andare a cercare radici nel passato (remoto), giusto per inquadrarne la lo gica, non dobbiamo retrocedere verso la fotografia aerea, come appena anno tato, ma richiamare esperienze di inizio Novecento... con piccioni dotati di appa rati fotografici. Due le direzioni verso le quali si spinse quella “tecnologia”: rile vamento planimetrale di terreni ed edi fici; osservazione e accertamento senza pericoli di postazioni militari nemiche. In un certo senso, in assenza di notizie certe e certificate, ma in sola presenza di relazioni ambigue e non molto chia re, va accettata una versione ufficiosa, in odore di ufficialità, ormai. Così che se ne storicizza l’esordio nell’ambito della fotografia panoramica a obiettivo ro tante, frequentata dalle origini con ac corgimenti tecnici finalizzati. Nel 1912, il tedesco Julius Gusta Neu bronner (1852-1932; chimico, farmacista, fotografo e inventore), sempre vissuto a Kronberg im Taunus, in Baviera, nel land dell’Assia, progettò e produsse una piccola macchina fotografica a obietti vo rotante, che poteva essere ancora ta al petto di un piccione viaggiatore. Mentre era in volo, la definita/identifi cata Pigeon Panoramic scattava au tonomamente grazie a un dispositivo meccanico temporizzato. Su pellicola incurvata lungo il fuoco, si ottenevano negativi panoramici 30x80mm. ; a cura di Nicolò Degiorgis e Audrey Solomon; con un saggio di Joan Fontcuberta; Rorhof (Bolzano), 2017 (seconda edizione di 1500 co pie, 2018). In tre parti: volume di 96 pagine 16x24cm, cartonato; libretto di 30 pa gine 16x24cm; giornale di 48 pagine 24x32cm; 35,00 euro (la seconda edizione).

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sopravvalutazione, ma neppure nessu na sottovalutazione tra il come e il per ché : la tecnica fotografica deve essere conosciuta, controllata e dominata per scomparire a favore della creatività. È certamente un mezzo, non un fine.

Pigeon Camera Model A, dello svizzero Adrian Mi chel (a pagina 20), pa noramica a obiettivo ro tante per pellicola 16mm a doppia perforazione collocata lungo la curva focale. Insieme a ulte riori documenti carta cei, materiali di consu mo e fotografie scattate, questo fondo è passag gio fondamentale del la ricostruzione storica dell’affascinante epopea dei piccioni fotografi rac contata séevolepermanentedall’esposizionedell’autoreecompetenteMusuissedel’appareil photographique (Grande Place 99, CH-1800 Vevey, Svizzera; nicheEreditatomuseum.ch).www.cameradasoluzionitecprecedenti,dalda gherrotipo, l’obiettivo pa noramico rotante è sta to interpretato dagli anni Sessanta del Novecento. Osservatore che fotogra fa dallo Zepp LZ-C-II-2, numero 811, in servizio militare svizzero dal 1920 al 1927. Oltre che per fi nalità proprie, queste ri levazioni fotografiche so no state spesso realizza te per conto dell’ufficio svizzero di topografia.

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Già precedentemente descritta in una pubblicazione edita nel 1909, la Dop pel-Sport (identificazione di partenza, svincolata dalla combinazione con piccio ni viaggiatori) è stata una configurazio ne semplice, diversa dagli accostamenti di obiettivi e prismi tanto frequentati a cavallo del Novecento, soprattutto per approdare a panoramiche a rotazione completa di trecentosessanta gradi. In paragone, se il riferimento tecnico ap partiene alle conoscenze fotografiche di ciascuno di noi, si trattò di una sorta di miniatura della panoramica Horizont / Horizon, prima sovietica, poi russa, in commercio dalla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento. Ovviamente, applicazioni sostanziose in veste Pigeon Panoramic si ebbero nel corso della Prima guerra mondiale, quando furono fondamentali per spiare il fronte francese, fotografandolo dall’al to, ma da distanza più prossima rispet to l’autentica fotografia aerea. Una in cessante rete di colombaie mobili per piccioni messaggeri fu organizzata a ridosso dei campi di battaglia. Quindi, nel corso della guerra, la ra pida evoluzione dell’aviazione spostò l’asse di giudizio del controllo dall’alto, tanto che si è certi che la soluzione con i piccioni dotati di apparecchio fotogra fico fu abbandonata. In qualche rico struzione storica si accenna a un ritorno di fiamma negli anni Trenta, da parte delle forze armate tedesche e francesi, che adottarono entrambe una configu razione ideata e costruita da un orolo giaio svizzero non meglio identificato (antesignana della Compass, del 1937, realizzata da Jaeger LeCoultre?). A seguire, sebbene i piccioni di guerra siano stati ampiamente dispiegati du rante la Seconda guerra mondiale, non sono noti i dettagli, tanto che non si sa neppure se siano stati ancora coinvolti in ricognizioni aeree / dall’alto. Però è noto che la statunitense CIA (Central Intelligence Agency; spionaggio degli Stati Uniti) realizzò, o fece realizzare, una macchina fotografica alimentata a batteria progettata per la fotografia di piccioni di spionaggio; i dettagli del suo utilizzo sono tuttora classificati. Comunque, droni primigeni. SOLOONLINE / / /QR code DES PIGEONS PHOTOGRAPHES?

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Con la qualità dei contenuti delle sue fotografie di musicisti in concerto, l’autorevole Sergione Infuso scandisce i tempi esatti del racconto e del coinvolgimento conseguente. Non si perde per strada, e permette anche a noi osservatori di percorrere la nostra linea retta. Soggetto per soggetto, incontrato nella manifestazione pubblica di se stesso, non racconta nulla di superfluo, per dare fiato a quanto è effettivamente necessario: visioni spedite, capaci di superare la superficie a tutti apparente, per indagare sottotraccia. Tra la realtà e la sua raffigurazione ci sta il passaggio attraverso una mediazione etica e morale

DEL SUONOSILENZIOSergioneInfuso

27 Paolo Conte 2014)novembre27Milano;Verdi,Giuseppe(Conservatorio

2018)giugno20Milano;Meazza,(Stadio

Ennio Morricone

2012)novembre10MI;AssagoForum,(Mediolanum Giorgia 2019)maggio6MI;AssagoForum,(Mediolanum Cremonini

Cesare

E questi sono giusto i valori espliciti e impliciti delle visio ni e interpretazioni di Sergione Infuso, le cui conoscenze ed esperienze emergono oltre la superficie delle immagini e consentono anche a noi osservatori di avvicinare la mate ria rappresentata, in modo che anche noi possiamo presto comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà dei soggetti, come pure i nostri rapporti con la loro realtà: così come l’Autore-fotografo li ha già intuiti e sintetizzati.

28 di Maurizio Rebuzzini Bisogna amare i propri soggetti e la propria identità foto grafica per restituire visivamente le personalità incontrate e volutamente frequentate. È esattamente quello che fa il talentuoso Sergione Infuso quando e per quanto frequenta la musica internazionale, fotografando ai concerti. Rispetto l’attenzione del pubblico tutto, rivolta all’insieme, la sua è una osservazione di dettaglio, capace di restituire sogget tività ed emozioni. In una frazione di secondo -quello del lo scatto , la sua Fotografia, sempre attenta e concentrata, restituisce la parte per il tutto. Tanto che, siamo sinceri, di fronte all’insieme delle sue immagini, osservandole una a una, partecipiamo all’evento sentendoci in qualche modo e misura protagonisti. Dal vi vo, non avremmo certamente percepito tali e tanti istanti, ma la registrazione fotografica di Sergione Infuso ha sin tetizzato a nostro assoluto beneficio. Convinti come siamo che la vita di ciascuno di noi sia un continuo intreccio di esperienze e influenze, e che ogni at tività sia determinante non soltanto per se stessa, ma per le proprie influenze, non possiamo ignorare come il talentuoso Sergione Infuso, che si presenta anche come grafico, musi cista e dj, frequenti la fotografia della musica interpretan dola con connotati di grande personalità: sia formale, sia di contenuti. Per quanto i suoi soggetti siano soprattutto in dividuati in un ambito specifico e dichiarato, che potrebbe anche essere distante dalle intenzioni di ciascuno di noi, non possiamo rimanere indifferenti alla sua attenzione al caratte ristico, che si proietta sull’insieme, e di fronte alla sua capa cità di realizzare inquadrature di accattivante fascino visivo.

E davanti alle fotografie di Sergione Infuso, la riflessione è più che necessaria, obbligatoria addirittura. Oltre che in coraggiantemente benefica. Mettiamola così: con la qualità delle sue fotografie (e non ci riferiamo a quella formale, che dall’accurata inquadratura passa attraverso una confortevole composizione, per presen tarsi, infine, in inquadrature ottimamente eseguite), con la qualità dei contenuti delle sue fotografie, l’Autore scandisce i tempi esatti del racconto e del coinvolgimento conseguente. Non si perde per strada, e permette anche a noi osservatori di percorrere la nostra linea retta. Soggetto per soggetto, incon trato nella manifestazione pubblica di se stesso, non raccon ta nulla di superfluo, per dare fiato a quanto è effettivamen te necessario: visioni spedite capaci di superare la superficie a tutti apparente, per indagare sottotraccia, oltre il banale. Autore cosciente e scrupoloso, Sergione Infuso applica una grammatica-linguaggio che manifesta una ammire vole combinazione di regole logiche e acquisite (relative soprattutto alla costruzione compositiva) e usi arbitrari, che scandiscono un tempo e ritmo che accompagnano l’osser vazione, invitandola ad allineare l’irrazionale con il razionale, e viceversa: dalla mente al cuore, ma anche dal cuore al la mente. Prima ancora di aver realizzato ognuno dei suoi ritratti, averli pensati o sognati, anche per un solo istante, l’Autore è diverso da tutti coloro che hanno guardato (non visto) le medesime situazioni. Per sempre. (continua a pagina 32)

2014)novembre25MI;AssagoForum,(Mediolanum

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Caparezza

2016)maggio18Milano;Arcimboldi,degli(Teatro

2014)aprile16Milano;(Alcatraz,

Nell’osservatore, ogni fotografia suscita percezioni e im pressioni proprie. Forte anche di ripetizioni e sottolineature, la somma delle singole riflessioni produce quel confortevole salto in avanti nel processo della conoscenza, che fa nascere il concetto: che non riflette più l’aspetto singolo e i nessi esterni dei soggetti, dei musicisti, ma coglie l’essenza della realtà, il suo insieme e il suo nesso interno. La differenza non è soltan to quantitativa ma anche qualitativa. Quando si dice comu nemente “Lasciatemi riflettere”, ci si riferisce al momento in cui ciascuno di noi collega le proprie impressioni, servendosi dei concetti, per formare giudizi e trarre deduzioni.

2015)settembre4MI;GiovanniSanSesto(Carroponte,

Giovanni Allevi

Piero Pelù

Emma Marrone

2018)novembre11Milano;Alcatraz,/(JazzMi Kerr

Marcus

30 Mick Jagger - The Rolling Stones 2017)settembre23Festival;Summer(Lucca Maceo Parker

2016)aprile18Milano;(Alcatraz,

Jim

- Simple Minds

2015)novembre21MI;AssagoForum,(Mediolanum Miller

31 Dave Gahan - Depeche Mode 2018)gennaio27MI;AssagoForum,(Mediolanum Billy Cobham 2014)gennaio30Milano;Note,(Blue Snoop Dogg 2014)luglio30Milano;Ippodromo,Sound,(City Skin - Skunk Anansie 2011)luglio19Civica;ArenaFestival,Jazzin’(Milano

in/sergioneinfusowwwsergione Jared Leto - Thirty Seconds to Mars 2018)settembre8EXPO;Area(MilanoRocks,

2013)giugno3Milano;Meazza,(Stadio

È fondamentale rendersi conto che tanto la fotografia espressiva / creativa quanto quella di documentazione non sono in rapporto diretto con quello che noi chiamiamo realtà. Grammatica-linguaggio di Sergione Infuso: fotografo-autore, che percepisce determinati valori del soggetto, e li definisce nella composizione-inquadratura. Se lo desidera, può simu lare l’apparenza in termini di valori di densità riflessa, oppu re può restituirlo ricorrendo ad altri valori, basati sull’impatto emotivo. Ancora, grammatica-linguaggio: divergendo dalla propria apparenza, i ritratti di musicisti realizzati da Sergione Infuso non appartengono necessariamente alla categoria del le “fotografie realistiche”; quanto offrono di reale risiede solo nella precisione dell’immagine ottica; i loro valori sono invece decisamente “distaccati dalla realtà”. Infatti, dipendono dal fatto che tra la realtà e la sua raffigurazione ci sta il passag gio fondamentale attraverso una mediazione etica e morale. Questo è quanto. (continua da pagina 29)

32 SergioneInfusowwwsergionewwwsergione ALTRE IMMAGINISOLOONLINE/ / /QR code

Perché va detto: nessuno di questi soggetti raffigura ne cessariamente se stesso (anche se, poi, lo fa in termini utili taristici). Ognuno rappresenta qualcosa d’altro e di diverso, sia preso da solo, sia inserito nella magistrale combinazione di tante immagini. Non sono cantanti e musicisti, ma “foto grafie di cantanti e musicisti”: tra la realtà e la raffigurazio ne ci sta la mediazione fotografica convinta e consapevole.

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Bruce Springsteen

BurnsPhotographsManipulatedfromtheArchive ; a cura di Stanley B. Burns e Sara Cleary-Burns; PowerHou se Books, 2009; 128 pa gine 23,6x28,2cm, carto nato con sovraccoperta; 50,00 dollari. Da News Art : fotografi di cronaca con maschere antigas; Inghilterra, gen naio 1937 (ritocchi attor no alle figure, finalizzati allo scontorno; segni di inquadratura). (centro pagina) da News Art : scena del crimine, con aggiunta di un ca davere disegnato; 1928 (corpo disegnato, fina lizzato alla fotogiornalistica).ricostruzione

34 di Angelo Galantini Volente o nolente / voglia o non voglia / che ci piaccia o no (e, spesso, non ci piace), soprattutto ai giorni nostri, la riflessione fotografica statunitense è proficua e avvincente; sinceramente, più proficua e avvincente di altre -so prattutto italiane-, troppo spesso ap pesantite da sovrastrutture presunta mente culturali che sovraccaricano le opinioni, gravando sull’intero impianto delle valutazioni e considerazioni. A completa differenza, fatti salvi infi niti distinguo, la storiografia raccontata dagli Stati Uniti -lontana dai millenni della cultura orientale ed europea- è svincolata dai pesi all’ingrasso che defi niscono certa erudizione presunta (so prattutto, italiana), troppo spesso op pressa da preoccupazioni in forma di zavorra, che impongono rimandi forbiti, che richiedono precedenti autorevoli; e l’Italia ci aggiunge anche un pizzico di provincialismo e affanno (ci amareggia riconoscerlo), oltre alla clamorosa as senza di istituzioni che sovrintendano alla materia fotografica... per quanto ci interessa e, forse, compete. Così, oggi registriamo e approfon diamo il caso a dir poco significativo del The Burns Archive, di New York City (140east 38th street; www.burnsarchive. com), fondato nel 1977, ricco di un milio ne abbondante di fotografie di aspetti spesso dimenticati e invisibili della Sto ria: e qui la stessa storia risulta più stra na ed eccentrica della finzione. Gran parte di queste fotografie scan discono il lato oscuro della Vita: dall’im pareggiabile collezione di fotografie me diche alla registrazione e documenta zione di morti, malattie, disastri, caos, crimine, razzismo, rivoluzioni e guerre. Ancora, fotografia post mortem, per la cui competenza il fondatore Stanley B. Burns ha collaborato alla sceneggiatu ra dell’ambiguo e inquietante film The Others, di Alejandro Amenábar, del 2001, con una imprevedibile Nicole Kidman.

A partire da una identificata quantità e qualità di monografie illustrate a tema, con ulteriore riamando bibliografico sostanzioso, una particolare lettura di fotografie di cronaca, soprattutto “nera”, può indirizzare verso una accertata forma d’Arte: da cui, casellari riuniti in raccolte avvincenti, prima che convincenti. Forse esageriamo nell’approdo, forse non è il ca so di arrivare a tanto, nel senso di forma d’Arte, ma da qui partiamo per considerazioni che vanno oltre e coinvolgono ciascuno di noi: il valore ar tistico della fotografia quotidiana, oltre l’assolvimento dei propri intenti originari, dalla fotoricordo alla fotocronaca, ad altro ancora. Ovverosia, Arte come condimento della Mente e del Cuore. Soprattutto, del Cuore

Dall’immensa collezione fotografica, i titolari dell’Archivio, Stanley B. Burns e Sara Cleary-Burns, hanno individuato linee conduttrici di un fenomeno par ticolare, componendo un casellario af fascinante, raccolto in forma di mono grafia, che si aggiunge alle loro prece denti: News Art. Manipulated Photo graphs from the Burns Archive registra e censisce un centinaio di fotografie di cronaca, per lo più “nera”, ritoccate ad uso della propria riproduzione su quoti diani e rotocalchi (PowerHouse Books, 2009; 128 pagine 23,6x28,2cm; carto nato con sovraccoperta; 50,00 dollari).

Archivio FOTOgraphia (4)

News Art.

IN FORMA D’ARTE (?)

Ne consegue una intensa successio ne inesplorata: fusione di arte, fotogra fia e giornalismo. In senso più ampio dei confini originari dei termini, come sottintende il titolo, si tratta di un pro getto che sottolinea l’affascinante com binazione di “arte” e fotografia neces saria per ottenere una copia accurata o un’enfasi sulla cronaca dei giornali. Immagini che spaziano dal 1890 al 1950 illustrano la gamma di miglioramenti formali, dalla semplice delineazione e aerografia alla completa sovra marca tura. Sono creazioni individuali e uniche, che affrontano e trattano una varietà di argomenti, tra i quali scene del crimi ne, eventi mondiali, personalità sociali e aziendali e storie di interesse umano. Le manipolazioni alle quali si fa riferi mento (Manipulated Photographs) non sono realizzate per alterare in qualsi voglia maniera la fotografia originaria, ma finalizzate alla propria riproduzio ne a mezzo stampa. Ovvero, si tratta di interventi manuali chiarificatori: ni tidezza incrementata, sovrapposizioni di dettagli (nel caso di spiegazione del luogo e del modo di un crimine), iso lamento dei volti dei protagonisti da istantanee e altro ancora. Nella pro pria presentazione in questa raccolta, tutte queste azioni sono certificate e specificate, fotografia per fotografia, immediatamente dopo la descrizione del fatto, dell’accadimento.

Ritocchi analoghi, che nell’attuale epoca di gestione elettronica dei file possono far sorridere per la propria grossolanità, ben lontana dall’essere nascosta, ma sempre evidente, si sono già incontrati in altre raccolte, una volta ancora statunitensi, di fotografie di cronaca dei decenni pas sati. Tanto che, se possiamo considerarla anche in questo modo, tale insieme di monografie allineate tra loro stabilisce i termini di un autentico fenomeno foto grafico, che qui e ora registriamo.

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A questo proposito, tra tanto materiale a disposizione, vanno ricordate almeno due selezioni a svolgimento coincidente. Local News. Tabloid Pictures from Los Angeles Herald Express 1936-1961 (DAP / Distibuited Art Publishers, 1999; 144 pa gine 21,6x26,7cm) è stata raccolta e com pilata da Diane Keaton (1946); proprio lei, l’attrice, accreditata collezionista di fotografia, alla quale si riconoscono un paio di altre monografie a tema partico larmente avvincenti: Mr. Salesman, da un “antico” manuale comportamenta le per venditori porta a porta degli anni

SULLA SCENA DEL CRIMINE LAPD ’53 ; a cura di Ja mes Ellroy; Abrams Ima ge, 2015; 204 pagine 17,8x22,9cm, cartonato; 24,95 dollari. Un anno al vetriolo. Los Angeles Police Depart ment, 1953 , di James Ellroy; ContrastoBooks, 2016; 85 illustrazioni; 208 pagine 16x22,4cm, carto nato; 24,90 dollari. (in alto) Local News. Tabloid Pictures from Los Angeles Herald Express ; a cura di Diane Keaton; DAP / Distribuited Art Publishers, 1999; 144 pa gine 21,6x26,7cm, carto nato con sovraccoperta.(continua a pagina 40)

Dal casellario abbiamo escluso volontariamente e consapevolmente la selezione ragionata e motivata primigenia Atlante di medicina legale (in italiano), di Waldemar Weimann e Otto Prokop, pubblicato da Edizioni Pem, di Roma, nel 1966 (824 pagine 22,5x30,5cm, cartonato)... sostanzial mente introvabile. Dal generale allo specifico, con slittamento verso la fotocronaca, senza peraltro approdare al capitolo della fototessera, so prattutto da cabina automatica, che si può conteggiare come fenome no cugino della fotografia segnaletica, con accompagnamento d’arte: da Franco Vaccari (Esposizione in tempo reale N.4. Lascia una traccia fotografica del tuo passaggio, alla Trentaseiesima Biennale di Venezia, del 1972, e seguiti) a Andy Warhol (Thirteen Most Wanted Men, del 1964).

Oltre i quattro titoli principali considerati oggi (News Art. Manipula ted Photographs from the Burns Archive, Local News. Tabloid Pictures from Los Angeles Herald Express 1936 1961, LAPD ’53 / Un anno al ve triolo e Dark City. The Real Los Angeles Noir, in riquadro, a pagina 40), e i richiami abbinati -magari, a partire da Wanted!, di Ando Gilardi [3], riportiamo una bibliografia essenziale di titoli di fotografia giudiziaria, nella casualità (e capacità?) della nostra libreria personale (in selezio ne ragionata e motivata), sia monografie illustrate, sia testi a tema.

1 La police des images ; a cura di Charlie Najaman e Nicolas Tour lière; Encre Éditions, 1980; 152 pagine 20,5x30cm. Un testo fondamen tale, che affronta la fotografia giudiziaria in ogni proprio aspetto.

9 Crime Album Stories. Paris 1886-1902 ; a cura di Eugenia Parry; Sca lo Verlag, 2000; 340 pagine 16x23cm, cartonato (copertina compresa: il te sto finisce sulla terza di copertina). Alle origini della fotografia giudiziaria, sulle orme del suo profeta Alphonse Bertillon: più parole che immagini. (25)

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5 Capturing the Criminal Image: From Mug Shot to Surveillance Society, di Jonathan Finn; University of Minnesota Press, 2009; 170 pagine 14x21,6cm. Solo testo (in inglese). All’inizio del Ventesimo secolo, i criminali venivano fotografati regolarmente per un possibile uso futuro. All’inizio del Ventunesimo secolo, una abbondanza di nuovi strumenti scientifici forniscono analogamente nuovi modi per rappresentare il criminale.

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2 Police Pictures. The Photograph as Evidence ; a cura di Sandra S. Phillips, Mark Haworth-Booth e Carol Squiers; Chronicle Books, 1997; 132 pagine 21,5x26,5cm, cartonato. Catalogo di una mostra allestita al San Francisco Museum of Modern Art: tutto, dalla scena del crimine all’indagine scientifica, alla fotografia segnaletica.

4 Fotografia e giustizia penale, di G. Alfredo Palazzo; in Rassegna fotografica e cinematografica, del gennaio 1927. Da un docente della Regia Università di Bologna, una efficace e adeguata disamina (data ta, ma vicina a logiche che si sono allungate in avanti, nel tempo).

6 L’atlante criminale. Vita scellerata di Cesare Lombroso, di Lui gi Guarnieri; Rizzoli BUR, 2007; 316 pagine 13x19cm. Enciclopedista del delitto, eroe screditato e mal chiacchierato delle scienze, grafomane tra i più incontinenti di ogni epoca, campione donchisciottesco di intra prese deliranti, in effetti, Cesare Lombroso fu un grande personaggio romanzesco. (Da abbinare a Locus Solus. Lombroso e la fotografia, a cura di Silvana Turzio, Renzo Villa e Alessandra Violi; Bruno Mondado ri, 2005; 184 pagine 14,5x21cm [7]). 8 Images à charge. La construction de la preuve par l’image ; a cura di Diane Dufour; Xavier Barral, 2015; 240 pagine 22x28,5cm, cartonato; 45,00 euro. Con contributi di un collettivo di esperti, costruzione e ricostruzione delle prove giudiziarie per immagini. Con espliciti richiami e riferimenti ai metodi di indagine scientifica elaborati da Alphonse Bertillon (18531914), criminologo della Prefettura di Polizia di Parigi alla fine del Dician novesimo secolo. La monografia è stata accreditata come catalogo della mostra Sulla scena del crimine. La prova dell’immagine dalla Sindone ai droni, allestita presso Camera Centro Italiano per la Fotografia, di Torino, dal 27 gennaio al Primo maggio 2016: passaggio italiano dell’esposizione francese originaria, in cartellone dal 4 giugno al 30 agosto 2015.

22 Without Sanctuary. Lynching Photography in America ; a cu ra di James Allen; Twin Palms Publishers, 2000; 212 pagine 19x25,4cm, cartonato con sovraccoperta. Fotografie di linciaggi, che spesso rive lano come si sia anche trattato di feste popolari, con tanto di edizione di cartoline ricordo. Con sito www.withoutsanctuary.org.

23 Lynching Photographs ; a cura di Dora Apel e Shawn Michelle Smith; University of California Press, 2008; 106 pagine 15,2x20,4cm. Po che immagini, soprattutto testo: ancora linciaggi.

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4 9 14 19 24 5 10 15 20 25 ➠

19 Scene of the Crime. Photographs from the LAPD Archive ; a cura di James Ellroy, William J. Bratton e Tim B. Wride; Harry N. Abrams, 2004; 240 pagine 20,4x33cm, cartonato. Tra i curatori, una firma di prestigio: James Ellroy, autore di convincenti vicende poliziesche ambientate nel la Los Angeles degli anni Cinquanta. Fotografia giudiziaria ufficiale.

13 Evidence ; a cura di Luc Sante; The Noonday Press, 1992; 100 pa gine 26,5x21,5cm. Luogo del crimine, cadaveri così come sono stati tro vati dalla polizia. Fotografie dell’inizio del Novecento.

24 L’Europeo - Cinquant’anni di gialli. La grande cronaca nera da Rina Fort al caso Marta Russo ; RCS, aprile 2001; 234 pagine 22x26cm. Titolo dall’edizione originaria, annuale, delle monografie compilate sul la base degli archivi del celebre settimanale illustrato.

21 Car Crashes & Other Sad Stories ; fotografie di Mell Kilpatrick; Taschen Verlag, 2000; 176 pagine 29,4x25,2cm, cartonato con sovracco perta. Personaggio curioso, l’autore. Sintonizzato sulle onde radio della polizia, arriva sui luoghi di incidenti stradali. Per fotografarli. Morboso?

12 Death Scenes. A Homicide Detective’s Scrapbook ; a cura di Sean Tejaratchi; Feral House Book, 1996; 168 pagine 25,4x20,2cm. Ancora cada veri in fotografie di un detective della polizia; anni Quaranta e Cinquanta.

18 Death in Paradise. An Illustrated History of the Los Angeles County Department of Coroner ; a cura di Tony Blanche e Brad Schrei ber; Four Walls Eight Windows, 1998; 192 pagine 20,5x22,5cm. Poche immagini, molti testi che raccontano vicende criminali di Los Angeles.

25 L’Europeo - Delitti d’autore ; RCS Periodici, agosto 2008; 146 pa gine 22x26cm. Idem, come sopra [24], dall’edizione a cadenza mensile; con un racconto noir di Alberto Moravia.

10 Moord in Rotterdam. Diverse Photografieën 1905-1967 ; a cura di Wil Pubben e Aad Speksnijder; Uitgeverij Duo/Duo, 1994; 92 pagine 24,5x21cm, cartonato con sovraccoperta. Soltanto cadaveri, così come sono stati tro vati dalla polizia nella città olandese, nell’arco di tempo specificato.

15 Historic Photos of Chicago Crime. The Capone Era ; a cura di John Russick; Turner Pub Co, 2007; 206 pagine 26x26cm, cartonato con sovrac coperta. Dall’archivio del Chicago History Museum, intensa testimonianza visiva degli anni Trenta della città, capitale della malavita organizzata.

16 The Most Notorious Crimes In American History ; a cura di Life, 2007; 144 pagine 23,5x28,3cm, cartonato con sovraccoperta. Come pro mette il titolo e mantiene il contenuto, i casi giudiziari più eclatanti della storia statunitense... Patty Hearst, Black Dahlia, lo stangolatore di Boston.

▶ Remembering Chicago: Crime in the Capone Era ; a cura di John Russick; Turner Pub Co, 2010; 134 pagine 27,5x21cm, cartonato con so vraccoperta. Ampliamento del titolo precedente [15].

11 Shots in the Dark. True Crime Pictures ; a cura di Gail Buckland; Bullfinch Press Book, 2001; 160 pagine 23x28cm. Raccolta che attraver sa il Novecento, basata sul programma televisivo americano CourtTv

17 New York Noir. Foto[grafie] di cronaca nera dagli archivi del Daily News ; a cura di William Hanningan, con introduzione di Luc San te; Rizzoli, 1999; 160 pagine 30x23cm, cartonato con sovraccoperta. An cora fotocronaca nera, in edizione italiana dall’originaria statunitense.

20 Found Magazine #5 ; a cura di Davy Rothbart e Jason Bitner; Quack Media, 2007; 96 pagine 20,5x26,7cm. Edizione del curioso periodico sta tunitense che raccoglie immagini a tema, rintracciate tra le pieghe della vita quotidiana; ovviamente, recuperi di fotografie del crimine.

14 Evidence; a cura di Larry Sultan e Mike Mandel; DAP / Distributed Art Publishers, 2003; 92 pagine 25x23cm, cartonato con sovraccoperta. Ancora, luogo del crimine, dagli archivi della Bechtel Corporation, del Dipartimento di Polizia di Los Angeles. Monografia compresa nel quali ficato casellario The Photobook. A History, di Martin Parr (Secondo di tre volumi), come «uno dei fotolibri più belli, densi e sconcertanti esistenti».

34 Dietro la scena del crimine. Morti ammazzati per fiction e per dav vero, di Cristina Brondono; Las Vegas Edizioni, 2020; 128 pagine 15x21cm; 14,00 euro Nei libri, nei film, nelle serie televisive si fa presto ad ammaz zare. A differenza degli investigatori infallibili della finzione, nella realtà è la scrupolosità dell’indagine che consente l’individuazione degli assassini.

▶ Serial killer. Storie di ossessione omicida, di Carlo Lucarelli e Massi mo Picozzi; Mondadori, 2004; 344 pagine 12,6x19,6cm. Perché i serial kil ler alimentano l’immaginazione, colpita da queste terribili personalità?

36 Scena del crimine e profili investigativi. Quale tutela per le vit time? ; a cura di Roberta Bisi; Franco Angeli Editore, 2006; 176 pagine 15,5x22,7cm. L’efficacia della comunicazione delle informazioni diviene elemento di primaria importanza quando ci si trova dinnanzi a delitti che, per essere risolti, necessitano dell’apporto di varie competenze.

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32 Sulla scena del crimine, di Connie Fletcher; Einaudi, 2010; 296 pagine 13,5x20,8cm. L’autrice si domanda perché gli investigatori veri disprezzano il serial televisivo CSI Per capirlo, intervista ottanta “esper ti forensi americani”, ognuno dei quali analizza una fase particolare dell’indagine, dal momento del ritrovamento del cadavere.

26 La nera. Storia fotografica di grandi delitti italiani dal 1946 a oggi, di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi; Mondadori Oscar Bestsellers, 2008. Come l’autore insegna nei suoi libri a tema e da trasmissioni te levisive coerenti, la storia del nostro paese può essere raccontata an che attraverso i suoi crimini, sia risolti, sia irrisolti. Fotografie impresse nella memoria collettiva, con rimando ai rispettivi casi.

28 FBI Handbook of Crime Scene Forensics ; a cura del Federal Bureau of Investigation (Usa); Skyhorse Publishing, 2008; 202 pagine 13x17,7cm. Guida procedurale ufficiale per le forze dell’ordine, gli avvocati e i tri bunali che presentano prove all’FBI.

▶ Sex Crimes. Storie di passioni morbose e di efferati delitti, di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi; Mondadori, 2011; 218 pagine 15x21cm. Solo parole, solo analisi criminologhe e psichiatriche.

27 Crime Scene Photography, di Edward M. Robinson; Elsevier, 2010 (Seconda edizione); 694pagine 19,3x24cm, cartonato. Introduzione ai concetti base della fotografia forense, basato sugli anni di esperienza dell’autore presso di Dipartimenti di Polizia delle contee di Arlington e Baltimora, negli Stati Uniti d’America.

33 Sulla scena del crimine. I segreti dell’investigazione, di Biagio Fabrizio Carillo; Express Edizioni, 2019; 160 pagine 15,6x23,3cm; 13,00 euro. A dispetto della rapidità delle serie poliziesche sceneggiate, per il cinema e la televisione, dietro ogni indagine c’è un lungo e metico loso lavoro, che può richiedere mesi o, talvolta, anni.

31 Sulla scena del crimine. I delitti e le indagini che hanno fatto la storia, di Drew Gray; Rizzoli, 2020; 224 pagine 18,4x26,5cm, cartona to; 25,00 euro. Viaggio sulle scene del crimine più efferate e intriganti dell’Ottocento. Mappe minuziose e ricostruzione accurata degli indizi.

▶ Tracce criminali. Storie di omicidi imperfetti, di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi; Mondadori, 2016; 218 pagine 12,6x19,5cm; 11,50 euro. Ca si di cronaca nera clamorosi e spesso ambigui che offrono spunto per un’inchiesta sul ruolo, la cura e la professionalità con cui vengono rac colte e analizzate tutte le tracce da parte degli investigatori.

35 Scena del crimine. Storie di delitti efferati e di investigazioni scien tifiche, di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi; Mondadori, 2005; 232 pagine 12,9x19,8cm. Casi che hanno alimentato la cronaca, hanno tenuto con il fiato sospeso e -talvolta- aspettano ancora una soluzione definitiva.

29 Manuale delle investigazioni sulla scena del crimine. Norme, tecniche, scienze, logica ; a cura di Donatella Curtotti e Luigi Sara vo; Giappichelli Editore, 2019; 34 più 1082 pagine 21x29,7cm, cartonato; 110,00 euro. Testo universitario. 30 La scena del crimine, di Emanuela Gualdi e Paolo Russo; Libreriau niversitaria, 2012; 112 pagine 16,8x23,6cm. Tecniche specialistiche indispen sabili per garantire il corretto svolgimento delle operazioni di ricerca, do cumentazione e recupero di resti scheletrici umani in un contesto forense.

▶ Il genio criminale. Storie di spie, ladri e truffatori, di Carlo Lucarelli e Massimo Picozzi; Mondadori, 2010; 202 pagine 12,8x19,5cm. Il crimine non è definito solo da violenza e paura; spesso, le imprese dei suoi protagoni sti stupiscono per intelligenza e genio creativo.

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48 Mug Shots - Celebrities Under Arrest ; a cura di George Semina ra; St. Martin’s Griffin, 1996; 96 pagine 21x14cm. Fotografie segnaletiche di personaggi famosi, che sono transitati per i Dipartimenti di Polizia statunitensi in anni successivi.

39 Life / 3 novembre 1967. Dalla copertina, lancio dell’ampio servi zio fotografico interno sui Runaway Kids, ragazzi in fuga, con tanto di segnaletiche identificative.

40 Milk Carton ; in Life 100 Photographs that Changed the World ; a cura di Robert Sullivan; Time Home Entertainment, 2003; 176 pagine 23,5x28,6cm. Il fenomeno della segnalazione di ragazzi scomparsi, con fototessera, sulle confezioni americane del latte, dal 1984.

41 Identiés de Disdéri au Photomaton; a cura di Serge July; Photo Co pies, 1985; 144 pagine 28x26cm. Catalogo della mostra tenutasi al Centre national de la photographie, di Parigi: colto tragitto, dalla carte de visite alla fotografia segnaletica, alle cabine per la fototessera automatica.

49 Centenario Inter ; fotografie di Oliviero e Rocco Toscani; Promo card, 2008. Tra le iniziative e celebrazioni del centenario del F.C. Inter nazionale (Inter), squadra di calcio di Milano, fu realizzata una serie di ventotto Promocard 10,5x15cm (www.promocard.it) con l’intera rosa di calciatori, ognuno fotografato di fronte e profilo (destro e sinistro), alla maniera delle segnaletiche, in combinazione tra la maglia originaria e quella nerazzurra attuale.

42 Prisoners ; a cura di Arne Svenson; Blast Books, 1997; 160 pagine 25,2x22,8cm. Classici fronte-e-profilo negli Stati Uniti dei primi decen ni del Novecento.

43 Least Wanted. A Century of American Mugshots ; a cura di Mark Michaelson e Steven Kasher; Steidl Verlag, 2006; 304 pagine 22x28cm, Curioso: la fotografia segnaletica elevata a forma estetica, e considerata, tanto da impegnare la autorevole Steven Kasher Gal lery, di New York (521west 23rd street). Accusare, di Giacomo Papi; Isbn Edizioni, 2010 (in riedizione dal fotografie segnaletiche; 224 pagine 12x19cm. Stesse consi sulla fotografia segnaletica fronte/profilo. Con edizione in Booked (Seven Stories Press, 2006; 208 pagine 15x20,3cm). Ritratti criminali, di Raynal Pellicer; con testi di Massimo Picozzi; Mondadori, 2010; 288 illustrazioni; 280 pagine 19x23,5cm. Dall’edizione Présumés coupables (Éditions de La Marinière, 2008 [46]), un casellario commentato di ritratti segnaletici, realizzati in base ai della “fotografia composita” derivata dal vittoriano Francis Gal (1822-1911), fondatore della controversa, discutibile e spesso fraintesa eugenetica, regolamentata dal criminologo francese Alphonse Bertillon (1853-1914). Per non parlare dell’italiano Cesare Lombroso (1835-1909).

37 Cacciatori di tracce. Storie e tecniche di investigazione sulla scena del crimine, di Sergio Schiavone e Antonio Nicaso; Utet, 2014; 160 pa gine 13,5x21cm. Sulla scena del crimine, l’investigatore sa dove guardare, cosa cercare e come interpretare gli indizi.

50 The Omega Suites, fotografie di Lucinda Devlin; Steidl Verlag, 2001; 80 pagine 26x28,6cm, cartonato con sovraccoperta. Nei primi anni Novanta del Novecento, l’artista visuale statunitense Lucinda De vlin ha fotografato sistematicamente le stanze delle esecuzioni capitali del suo paese. Inquadrature rigorosamente quadrate, che inducono la concentrazione visiva dell’osservatore; composizioni attente, in base a stilemi provenienti dalla fotografia d’architettura. Per riflettere contro la pena di morte: Nessuno tocchi Caino (www.nessunotocchicaino.it).

38 Sembrava un incidente. Staging sulla scena del crimine, di Cri stina Brondoni; Aras Edizioni, 2018; 294 pagine 13x21cm; 23,00 euro. Lo si legge negli articoli di cronaca, lo si incontra nei film e nelle serie tv, nei romanzi thriller e nei polizieschi. Lo “staging” è la messinscena at tuata da un omicida per coprire il proprio crimine. Dalla simulazione di suicidi, incidenti e morti naturali all’individuazione dell’assassino.

47 Mug Shots: An Archive of the Famous, Infamous, and Most Wanted ; a cura di Raynal Pellicer; Harry N. Abrams, 2010 (edizione più recente); 286 pagine 19x23cm, cartonato. Ancora fotografie segnale tiche di personaggi famosi statunitensi che sono incrociati con una qualche violazione alla legge. Ancora, dall’edizione originaria francese Présumes coupable [46].

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In ogni caso, è doverosa una considerazione sostanziosa e sostanziale. A parte interessi personali per la fotografia giudiziaria, poliziesca e an tropometrica, non possiamo ignorare, né sottovalutare, come e quanto questa stessa Fotografia -svolta da professionisti del crimine (sua sce na e suoi contorni), piuttosto che da fotocronisti al servizio dell’infor mazione giornalistica-, una volta esaurita la propria utilità in cronaca (di polizia, piuttosto che sui giornali), svolga un ruolo primario nel rac conto della vita nel proprio svolgersi (in questi casi, soprattutto morte). Ovvero, sia parte energica e nutriente della Fotografia intesa come autentico linguaggio, non soltanto visivo, dal Novecento.

Stanley B. Burns e Sara Cleary-Burns declinano un’altra ipotesi: per l’appunto, quella della copia fotografica ritoccata che si offre e propone per individuati valori espressivi definiti dall’intervento modificatore applicato. Per questo, è opportuno accordarsi su quanto pos sa essere considerato “arte”, ovverosia attività che si eleva sopra la norma del la vita quotidiana, magari offrendo a questa inviolabili spunti di riflessione. Al proposito, non mancano sagaci afori smi, che potrebbero essere usati, ognuno di loro, a definizione assoluta: da Oscar Wilde («Bisognerebbe essere un’opera d’arte o, altrimenti, indossare un’opera d’arte») a Vincent van Gogh («Spesso, le persone fanno arte, ma non se ne accorgono»); da Albert Einstein («L’arte suprema di un maestro è la gioia che si risveglia nell’espressione creativa e nel la conoscenza») a Francesco De Sanctis («Materia dell’arte non è il bello o il no bile, tutto è materia d’arte: tutto ciò che è vivo: solo il morto è fuori dell’arte»); da Paul Klee («L’arte non riproduce il visibi le; piuttosto, crea il visibile») a Theodor W. Adorno («Il compito attuale dell’arte è di introdurre il caos nell’ordine»); da Emilio Cecchi («L’arte, in fondo, come tante tra le cose più belle, vien meglio un po’ di nascosto») a Thomas S. Eliot («L’arte non migliora mai, ma... il mate riale dell’arte non è mai esattamente lo stesso»); da Eugene Ionesco («Un’opera d’arte è soprattutto un’avventura della mente») a Albert Camus («Se il mondo fosse chiaro, l’arte non esisterebbe»); da Henry Miller («L’arte non insegna nien te, tranne il senso della vita») a... uno stereotipo anonimo («Arte è ciò di cui non si capisce il significato, ma si capi sce avere un significato»).

CITTÀ OSCURA

SOLOONLINE / / /QR code SELEZIONE DA DARK CITY Archivio FOTOgraphia (continua da pagina 35)

40 Cinquanta (Twin Palms Publishers, 1994; 96 pagine 23,8x18,7cm), e Still Life: Hol lywood Tableaux Photographs, dagli ar chivi delle major cinematografiche de gli stessi anni Cinquanta (Callaway Edi tions, 1983; riedizione Simon & Schuster, 1985; 100 pagine 29,5x29,5cm, cartonato).

Come specifica il titolo, in questa edi zione Local News prevale la cadenza fo tocronistica dei fatti, a differenza di News Art, da cui simo partiti, nella quale mo nografia le fotografie sono presentate per se stesse, seppure con ritmo tempo rale, e valorizzate in quanto tali: opere.

Al giorno d’oggi, l’arte si esprime e manifesta in tante maniere, superan do confini che in passato la limitavano alla pittura e scultura, confinandola.

Per quanto il capitolo della fotografia criminale sia sostanzialmente estraneo al racconto canonico della Storia della Fotografia, è presente in consistenti ricerche e progetti a tema, tra i quali è doveroso ricorda re Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, se gnaletica e giudiziaria, di Ando Gilardi (1921-2012), in prima edizione Mazzotta, del 1978, e in edizioni successive Bruno Mondadori, dal 2003. Analogamente, si può affermare per le edizioni librarie illustrate, tre delle quali compongono il fulcro delle rilevazioni e considerazioni odier ne. In aggiunta, potrebbero essere valutati e analizzati altri titoli, ma non è nostra intenzione comporre una bibliografia completa, né -considera to l’argomento- un casellario esaustivo (in qualche misura assolto dalla sintesi nelle quattro pagine precedenti). In ogni caso, per esemplifica zione aggiungiamo un titolo recente: Dark City. The Real Los Angeles Noir, curato dall’accreditato Jim Heimann per conto del coraggioso e intraprendente Taschen Verlag, di Colonia, in Germania, pubblicato nel 2018 (480 pagine 25x27,8cm, cartonato, in cofanetto; 75,00 euro). Al pari degli altri analoghi, non si tratta di un titolo che si iscrive ufficialmente nel capitolato della Fotografia, così come la si è soliti interpre tare (asettica e priva di affinità socio-culturali). Ovvero, e nello specifico, Dark City. The Real Los Angeles Noir (con copertina comprensiva di fori di proiettile) non si presenta e offre per una propria personalità autenticamente foto grafica, che pure ne qualifica l’edizione, ma si concede a un pubblico più ampio, avvicinato non da una struttura so vrastante, ma dal contenuto esplicitato: l’aspetto oscuro di Los Ange les, accostato e visualizzato da fotografie di cronaca nera della prima metà del Novecento. Però, attenzione, il tasso di influenza e valore della Fotografia non si misura sulla evidenza di propri richiami autoreferen ziali, ma si deve intendere per come e quanto questa influenzi, abbia influenzato le esistenze, prima singole e poi in edificazione collettiva. Diciamola meglio, forse. Non è l’etichetta (“Fotografia”) che stabili sce il contenuto, ma è la sua sostanza (del contenuto) che decreta e prescrive i fondamenti. In questo senso, certo accademismo della Fotografia limita la propria visuale entro confini certificati dal genere (in definizione sovrastante), dai quali vengono escluse avvincenti interpretazioni della Fotografia, in proiezione sociale. Per esempio, le Storie accademiche non hanno mai preso in considerazione la fotografia di natura (se non per inclusioni complici e conniventi), quella di sport, molta fotocronaca quotidiana (se non per l’eventuale eloquenza dei soggetti) e, eccoci, la cronaca nera (con l’eccezione di Weegee, e della sua New York degli anni attor no ai Quaranta, una volta accreditato e accettato il suo modo d’agire).

Quindi, il secondo rimando, dalla par tenza con News Art, arriva dallo scrittore californiano James Ellroy (1948), maestro indiscusso della narrativa poliziesca (per intenderci è quello di L.A. Confidential, del 1990, con successiva sceneggiatura cinematografica omonima, del 1997, con cast d’eccellenza). In selezione dal Los Angeles Police Museum, in stretta col laborazione di intenti, ha scandito i ter mini della criminalità in un anno epico per la città, il 1953. Esaminando gli archivi fotografici del museo, James Ellroy ha realizzato che l’anno è stato caratteriz zato e definito da una vasta gamma di immagini crude e insolite, per le quali ha redatto un testo che avvolge il con testo dell’impegno della polizia: da cui, LAPD ’53, in edizione Abrams Image, del 2015 (204 pagine 17,8x22,9cm). Imme diata, la versione italiana, pubblicata da Contrasto Book, nel 2016, non in forma di monografia illustrata, ma in misura di saggio, altrettanto illustrato: Un anno al vetriolo. Los Angeles Police Depart ment, 1953 (85 illustrazioni; 208 pagine 16x22,4cm, cartonato; 24,90 euro). E il titolo italiano, per forza di cose più declinato rispetto l’originario statunitense, decifrabile soltanto in patria, sottolinea bene (meglio?) il contenuto: un anno di particolare spietatezza delinquenziale, alla quale si è aggiunta la lista dei sui cidi... con molteplici scene del crimine. Già: 1953, negli Stati Uniti. Primo anno della presidenza di Dwight D. Eisenhower, eroe del fronte europeo della Seconda guerra mondiale, con Richard Nixon al la vicepresidenza; i New York Yankees conquistano la quinta delle World Series continuative (1949, 1952 e 1953 sui Bro oklyn Dodgers di Jackie Robinson; 1950 sui Philadelphia Phillies; 1951 sui New York Giants); la sigla della serie televisi va Dragnet, la prima poliziesca -sceneg giata dai romanzi dell’Ottantasettesimo Distretto, di Ed McBain-, capostipite di un format ancora oggi ripetuto, arriva al vertice delle classifiche musicali.

Archivio FOTOgraphia

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Dal manuale Leica R. Tecnica Leica applicata, di Günter Osterloh (Val lardi Editore, 1982), vi sualizzazione compa rata della resa prospet tica di lunghezze focali diverse -una grandan golare, l’altra tele- dallo stesso punto di vista. In commento: dalla visio ne grandangolare e da quella tele si ricavano due deduzioni diverse e oppo ste. Data la successione dei piani, nel primo caso si imputa la responsabi lità all’automobilista; nel secondo, al tecnica.sivoquiciComunque,motociclista.perquantoriguarda,quantomenoeoggi,esempiovifunebreconfinalitàTantoè!Forse...

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Guardiamole bene queste immagi ni di fotocronaca, sia per se stesse e la propria ri-proposizione, sia come punto di partenza dal quale incamminarsi per ipotesi sostanziosamente analoghe e individuali. Allora, assumono valori au tonomi molte altre fotografie quotidia ne e persino anonime, che hanno rac contato per quanto capaci di farlo. Così intese, molte fotoricordo familiari e al trettante fotocronache superano il pro prio momento originario, per offrirsi in altra maniera. Appunto, in forma d’Arte.

QR code JAMES ELLROY: LAPD ’53

DALLA-ALLA FOTOGRAFIA Del resto, questa proposizione/ipotesi (ar dita?) di una certa Fotografia in forma d’arte, una volta esauriti i propri compi ti istituzionali, ha un che di magico, se pensiamo che proprio l’invenzione del la Fotografia, dal 1839, si è fatta carico di assolvere il “realismo” della visione, con sentendo alla pittura di evolversi verso fisionomie e lineamenti che non le era no stati concessi in precedenza. Dall’Im pressionismo in poi, prima corrente pit torica a superare vincoli storici e prima di allora inamovibili, l’Arte è decollata verso evoluzioni concettuali che hanno dato vita allo straordinario Novecento... e oltre. E ora, scartati i canoni mercantili (che sono altro), la Fotografia sottolinea co me sia in una certa misura legittima la propria artisticità... quotidiana. Giocofor za alcune ripetizioni, alla luce delle iden tificate News Art, dalla cui essenza pos sono a propria volta avviarsi altre tante ipotesi analoghe, sempre riprese dalla registrazione quotidiana della vita nel proprio svolgersi, recuperate dalla cro naca di tutti i giorni, meglio se “nera”: «Spesso le persone fanno arte, ma non se ne accorgono» (Vincent van Gogh), «L’arte non riproduce il visibile; piutto sto, crea il visibile» (Paul Klee), «L’arte non migliora mai, ma... il materiale dell’arte non è mai esattamente lo stesso» (Tho mas S. Eliot), «Un’opera d’arte è soprat tutto un’avventura della mente» (Euge ne Ionesco) e «L’arte non insegna niente, tranne il senso della vita» (Henry Miller).

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Certo, non si tratta di quell’arte mercan tile alimentata e gonfiata da quotazioni in crescita esponenziale, sia in ragione di considerazioni effettive, sia in relazione a mille altri interessi di casta. Però, sono comunque arte vera: «avventura della mente» (Eugene Ionesco) e «tutto è ma teria d’arte» (Francesco De Sanctis). Ov verosia, di Arte che accompagna la Vita quotidiana, rendendola più avvincente, o magari anche solo più tollerabile. Perché, a conti fatti, dovrebbe esse re giusto questo il valore dell’Arte -non quella dei musei e delle istituzioni e del le quotazioni, ma quella che fa strada giorno per giorno, giorno dopo gior no-: un piacere della Vista e del Cuore. Soprattutto, del Cuore.

42 VERSO LA STORIA GIORNI

Lo svolgimento di Miserere, progetto giornalistico dell’aostano Jean-Claude Chincheré, riprende e propone passi fotografici senza tempo. Con linguaggio attento e rispettoso dei propri soggetti, si avvicina a un ospedale di guerra ad Aleppo, in Siria, sia per documentarne la personalità, sia per estenderlo oltre il proprio microcosmo... verso la Vita. Fotogiornalismo partecipe, che contribuisce a scrivere una Nouvelle Histoire. E dimostra che la Fotografia rappresenta lo strumento più potente, anzi l’unico strumento visuale, per scrivere la Storia in modo nuovo

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JEAN-CLAUDE CHINCHERÉ

44 di Maurizio Rebuzzini

Con progetti propri, svincolati da committenze preordinate, ma proiettati alla successiva proposta e proposizione giorna listica verso testate in grado di sintonizzarsi con le sue inten zioni, Jean-Claude Chincheré si accorda a quel senso di Storia che è estraneo ai grandi accadimenti annunciati e clamorosi. Nel proprio agire, frequenta -invece- quella Storia quotidiana che compone tessere di un mosaico che si disegna giorno dopo giorno, istante dopo istante, attraverso le azioni di co loro i quali cercano di correggere le deformità della società. Di fatto, con il proprio agire defilato, ma concentrato, si rivolge all’Uomo Comune, al Popolo Minuto, che filosofi francesi a cavallo del Novecento, e oltre, hanno invitato a occupare il proprio posto al tavolo della Storia. Tra gli altri, è stato Jacques Le Goff (1942-2014) a stabilire i termini di una nuova storiografia, che prende avvio in momenti cru ciali a seguito dei quali l’attenzione si sposta dagli “eventi” -i grandi eventi (Histoire Événementielle), quelli celebrati dall’iconografia classica con grandi quadri e statue equestri inneggianti a re, cardinali e imperatori- alla Nouvelle Histo ire. Ovvero, allo studio della società, della vita quotidiana. È una rivoluzione copernicana. Da quel momento, entrano nella Storia gli Uomini Comuni: vengono recuperati alcuni soggetti -come le donne, i contadini e i poveri, in genere i “marginali”-, che, in precedenza, non erano stati considerati degni di attenzione dalla storiografia ufficiale. Eccolo qui il senso del fotogiornalismo di Jean-Claude Chincheré, la cui Fotografia contribuisce a scrivere una Nou velle Histoire studiata, scoperta, scritta. E dimostra che la Fotografia rappresenta lo strumento più potente, anzi l’uni co strumento visuale, per scrivere la Storia in modo nuovo. Tra i suoi concentrati reportage, oggi e qui, presentiamo una significativa selezione da quello realizzato nell’ospe dale francese Saint Louis, di Aleppo, a settentrione della Siria. Gestito dalle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, l’ospedale si trova nel quartiere Ismailie, nell’area occiden tale della città, ed è uno dei pochi edifici rimasti intatti do po i terribili bombardamenti subìti durante la sanguinosa guerra civile siriana, dall’estate 2012 all’inverno 2016.

Per la nostra comune vita in Fotografia, come anche per la vita in generale e assoluto, l’incontro con fotografi giovani, capaci di affrontare e svolgere temi esistenziali, è benefi co e confortante, anche (soprattutto?) alla luce di tante e troppe approssimazioni dei nostri giorni. Allo stesso mo mento, e in supplemento, il recente incontro con l’aosta no Jean-Claude Chincheré (1993) ha addirittura aggiunto qualcosa ancora, qualcosa di più e meglio: l’avvicinamen to a una Fotografia giornalistica svolta con passo lieve e delicato, più che rispettoso delle situazioni affrontate ed elaborate con una capacità rappresentativa che affonda le proprie radici indietro (e avanti) nel Tempo fotografico.

■ ■ jchinchere ALTRE IMMAGINISOLOONLINE/ / /QR code

45 Da tempo, Jean-Claude Chincheré segue la situazione sociale in Medio Oriente, causata e determinata dall’inar restabile stato di guerra. Nel 2015, è stato in Libano per re gistrare fotograficamente la realtà (e umanità) dei campi profughi nei quali vivono i rifugiati siriani. A differenza di questi servizi, tutti svolti con partecipazione convinta e rea lizzati con maestria comunicativa, la serie Miserere, che ha per protagoniste due suore missionarie dell’ospedale Saint Louis di Aleppo, suor Arcangela Orsetti e suor Patrizia An drizzi, si accosta al soggetto in punta di piedi. Lezione fotografica senza tempo, o forse di tutti i tempi, per la quale il Fotografo si fa come da parte, per quanto ap plichi il proprio linguaggio diretto ed esplicito, per elevare a protagonismo un quotidiano composto di piccoli gesti, di azioni leggere. Non c’è ricerca di sensazionalismo visivo, che certamente non manca in un ospedale di guerra, ma contemplazione e racconto sussurrato. Non c’è l’evidenza dell’immagine che dispiega la retorica del dolore, ma sia mo tutti avvolti dal clima ovattato che scorta la sofferenza, per offrirle speranze e futuro migliore.

Eccezionali, quindi, le registrazioni dei manufatti “artisti ci” che suor Arcangela realizza recuperando residuati bellici, che declina con amore verso nuove funzioni dell’Anima che non si esauriscano in se stesse, ma si aprano alla compren sione degli altri. Insieme con suor Patrizia, lei non giudica, non condanna, non infierisce sulle debolezze del cuore. Al contrario, mostra il proprio, per offrirlo con generosa com prensione e disponibilità, magari a fronte e in dipendenza del suo (loro) credere che questo nostro sia solo un passag gio (terreno) necessario per approdare a quell’Eternità, dove tutto è perfetto. Ed è su questo spirito che si è sintonizzato il bravo Jean Claude Chincheré, con una Fotografia tanto intelligente, attenta e penetrante da diventare... autorevole. Diciamolo meglio, forse: Jean-Claude Chincheré è tal mente Fotografo da sapere bene che fotografare significa arrestare la realtà, non per contemplarla, ma per domarla, nutrirsene e restituirla a piene mani e con profonda gene rosità. Del resto, siamo sinceri, la Fotografia è l’unica forma espressiva che rende stabili, consegnandoli alla Storia, istanti che avrebbero dovuto restare effimeri, e che in questo mo do si sono manifestati: responsabilità etica che potrebbe anche spaventare! Oppure, dare coraggio! Delle due, la seconda.

■ ■ / QUI INTORNO / SIAMO VECCHI?

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Una domanda mi perseguita. Anzi credo che perseguiti “me/ noi”. Perché la domanda non riguarda solo “me”. Anche “altri” se la pongono. Eccola: me/noi siamo veramente noiosi lauda tor temporis acti (lodatori del tempo passato; Orazio, Ars poeti ca, 173). Me/noi siamo veramen te privi di sensibilità per le più recenti espressioni artistiche? È un dubbio che me/noi ci perseguita da anni. Sono stati i critici di oggi, i curatori di mostre, i moderni sapienti a farcelo veni re. La loro accusa non riguarda me/noi come esseri umani, se siamo di buona compagnia a tavola o vestiamo in modo ele gante. Riguarda l’aspetto pro fessionale di me/noi, almeno di quella parte della nostra profes sionalità che si occupa di Foto grafia e più in generale del lin guaggio visivo che appartiene alla Storia dell’Arte. Le loro accuse non vengo no esplicitate con argomen tazioni. Più subdolamente, le accuse avvengono proponen doci mostre e lavori “innova tivi e artistici”, e aspettando poi che si manifesti il nostro smarrimento davanti a quei lavori, a quelle mostre. Un esempio di smarrimento. Lo scorso novembre, ho com mentato la proclamazione del vincitore del Mast Photography Grant on Industry and Work 2020, assegnato dalla Fondazio ne Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tec nologia). Un poco per cortesia e un po’ per rispetto della giuria del premio, ho annotato che «la mia cultura fotografica è cre sciuta sugli stilemi tradizionali, il che mi rende impreparato a capire i lavori contemporanei», come alcuni di quelli premiati. Per giustificarmi, ho citato un pensiero di Harold Rosenberg (1906-1978), uno dei più impor tanti critici d’arte del Ventesi mo secolo: «Un quadro o una scultura contemporanei [e, mia Allora, mi venuto in mente un suggerimento che Mau rizio Rebuzzini riserva ai suoi studenti dell’Università Catto lica: «Bisogna soprattutto ricor darsi di ricordare». Va bene. Mi ricordo delle misteriose teste colossali degli Olmechi, civiltà precolombiana (1900-200 aC) che viveva nell’odierno Messico. Mi ricordo dei Bronzi del Benin (Tredicesimo secolo). E, per sci volare rapidamente nella Foto grafia, mi ricordo di Man Ray e dei suoi Rayograph (1922). Mi ricordo della verdura di Edward Weston (1930), delle rose di Tina Modotti (1924). Mi ricordo del ri tratto che Duane Michals fa a Andy Warhol (1973). Mi ricordo del Madagascar di Gian Paolo Barbieri (1994). Mi ricordo de gli scatti di Mario Giacomelli (Scanno, 1957-1959). Mi ricordo dei ritratti polaroid di Maurizio Galimberti. Mi ricordo... Tutti questi sono esempi di canoni artistici infranti. Le te ste degli Olmechi e i Bronzi del Benin rappresentano bellezze esteticamente distanti anni lu ce. Abissi estetici separano i ri tratti di Duane Michals da quelli di Maurizio Galimberti e Gian Paolo Barbieri. Dunque, si trat ta di esempi di bellezze diver se, nate come nuove e originali infrazioni estetiche nel corso della Storia dell’Arte. Nel mo mento in cui queste infrazioni sono apparse, per breve tempo, sono state “contemporaneità”. Di queste infrazioni / “contem poraneità”, se ne potrebbe ri empire un elenco lunghissimo. aggiunta, un lavoro fotografico] sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali ar tistici e per metà di parole», da The De-Definition of Art. Action Art to Pop to Earthworks; Hori zon Press, Torniamo1972.alla domanda, o alla sua declinazione più cruda: me/noi, l’età ci ha rimbambiti? Finalmente, qualche giorno fa, la risposta è venuta da so la. È successo in un lampo, ma a raccontarlo viene più lungo. Su Rai5, stavo seguendo Simon Schama (1945), il grande stori co dell’Arte di livello mondiale. Sullo schermo, appare il sorriso enigmatico di una devastante bellezza di pietra. Dopo pochi secondi, l’inquadratura si allar ga, mostrando la figura intera, la sua veste che sembra di seta e non di pietra, la mano destra che ne tiene delicatamente un lembo. Si tratta di Phrasikleia Kore, una statua funeraria data ta tra il 550 e il 530 aC, attribui ta allo scultore Aristion di Paros. Rappresenta una delle opere più importanti dell’arte euro pea arcaica. Spento il televiso re, l’ho ritrovata su Internet, e sono stato a guardarla a lungo. Come mai si può rimanere affascinati da una forma espres siva primitiva? Come mai guar diamo incantati le pitture del le Grotte di Lascaux (17.00015.000 aC)? La risposta sta in verità ovvie delle quali non si è consapevoli: vediamo l’arte, la creatività dove ci sono, non importa quali canoni estetici siano stati infranti. Perciò, quando me/noi sia mo biasimati per non capire la contemporaneità, mi vie ne da scuotere la testa. Me/ noi ne abbiamo capite a de cine di contemporaneità, co me mostra il breve elenco dei nostri ricordi. Anche se è vero che me/noi non eravamo pre senti quando alcune di queste contemporaneità si sono rive late, me/noi abbiamo imparato che la storia dell’arte è piena di contemporaneità e me/noi abbiamo imparato anche ad apprezzarle, alcune di queste. Perciò, alla fine, mi sono ri sposto: me/noi non siamo an ziani [come pure siamo]. Siamo semplicemente educati. Abbia mo avuto buoni genitori, buone scuole, buone letture; abbiamo avuto occasioni di educazione che oggi sono sempre più rari. Per essere ancora più acido nei confronti di chi accusa me/ noi di essere anziani, cito dalla serie televisiva a sfondo politico The West Wing. Al presidente degli Stati Uniti Josiah Edward “Jed” Bartlet, che gli chiede di rassegnare le dimissioni, per ché la sua età è avanzata, Roy Ashland, Presidente della Cor te Suprema, gli risponde: «Non mi dimetto, Jed. Quelli che po trebbero sostituirmi non han no titoli di studio credibili; non hanno visione del mondo. Co loro che potrebbero sostituir mi sono mediocrità scatenate. Ho giorni buoni e giorni catti vi. Ma nei miei giorni peggiori, sono migliore degli amped-up ambulance chasers [spudorati inseguitori di ambulanze: av vocati che seguono le ambu lanze per trovare clienti], degli sniffatori di cocaina che potre sti farti confermare da questo Senato. Non mi dimetto, Jed. Non posso correre il rischio». È certamente inopportuno affer mare che me/noi ci sentiamo come Roy Ashland. Ma me/noi siamo fortemen te tentati. di Lello PiazzaME/NOI SIAMO VERAMENTE NOIOSI LAUDATOR TEMPORIS ACTI , PRIVI DI SENSIBILITÀ CONTEMPORANEA?

Come mai si può rimanere affascinati da una forma espressiva primitiva?

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Riprendo da Scabrosa e sor ridente Betty, introduzione alla mostra delle conteggiate Tren tadue visioni di Betty Page, più una (posato fuori scena di Betty Page con Paula Klaw, in stam pa con dedica della stessa foto grafa, del 7 dicembre 1992), non prima di aver sottolineato che quello che valgono e contano «Senza soluzione di continuità, da Henri Cartier-Bresson (Ima ges à la Sauvette / The Deci sive Moment) a William Klein (New York ), a Robert Frank (The Americans ), per limitarci al mi nimo indispensabile; e poi, su altro fronte, dalla Leica M3 al le Nikon a telemetro (la reflex Nikon F sarebbe arrivata a fi ne decennio), all’Hasselblad, al le Rolleiflex più belle, alla Sinar Norma originaria. Ma anche alla fotografia a sviluppo immedia to, polaroid in gergo e per tutti. «In tempi recenti, un film in dipendente, che si è imposto nella stagione cinematografi ca statunitense del 2006, non riuscendo poi a ripetersi oltre i confini nazionali (in Italia, è an dato in onda soltanto attraverso il circuito delle pay-tv), ha da to merito a Paula Klaw, al suo essere stata fotografa capace di anticipare espressività visive che altri avrebbero abilmente messo a frutto, nei decenni a seguire. Così che, a margine e completamento di una fanta siosa e consenziente biografia cinematografica di Betty Pa ge, il film The Notorius Bettie Page (regia di Mary Harron, su sua sceneggiatura scritta a quattro mani con Guineve re Turner; Gretchen Mol pro tagonista; Usa, 2005) ha rive lato e ufficializzato la distribu zione di ruoli all’interno dello studio fotografico al 212east della 14th street di New York City, ufficialmente indirizzato verso la produzione di Pin up Photos, ma più esplicitamente interprete di una pornografia a buon mercato, svolta e pro posta con adeguata ingenuità fotografica [...]». Lungo mille strade. mFrantiSI PUÒ APPRODARE A INCARICHI PUBBLICI PARTENDO DA BETTY PAGE

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Escludo che Lorenza Fruci sia stata nominata Assessora alla Cultura del Comune di Roma, guidato dalla Sindaca Virginia Raggi, per le sue qualifiche nel leggero mondo del burlesque e contorni. Penso che siano val si altri meriti della sua carrie ra giornalistica, che non questi specifici e mirati, che l’hanno anche portata a una biografia di Betty Page, icona visiva spes so evocata su queste pagine, intitolata (per l’appunto) Betty Page. La vita segreta della re gina delle pin up, pubblicata da Giulio Perrone Editore, nel 2013, in occasione del novan tesimo dalla nascita (22 aprile 1923), cinque anni dopo la sua scomparsa (11 dicembre 2008). Però, allo stesso momento, non posso non registrare la cu riosa combinazione, che ha pro iettato nel pantheon politico della Capitale la quarantatre enne Lorenza Fruci, dal 2019 delegata del Campidoglio di Roma per le politiche di genere. Diciassettesimo assessore cambiato in giunta, oltre due vicesindaci, il capo di gabinet to e del personale e (più volte) i vertici delle municipalizzate Ama, Atac e Acea, dalla Cultu ra ci si aspetta ora il mante nimento del proposito che la neo-Assessora lancia dal pro prio sito Internet: «La passione è il mordente della mia vita. E non l’abbandonerò mai». Per mille e mille motivi, da tempo, sono lontano dallo svol gimento della politica italiana, e non posso rientrarvi ora, nep pure in onore di Betty Page; tanto più che, ormai, le poche occasioni di mio attuale incro cio con la politica sono impo verite e penalizzate dalla perdi ta di connotati recenti, che mi danno solo sconforto e affanno. Con tutto, lungo le mille stra de che portano ciascuno di noi in luoghi altisonanti, magari nep pure sognati in avvio di cammi no, torno in accogliente com sono le “fotografie di Betty Pa ge”; della sua esistenza, anche in racconto biografico, ci inte ressa poco, forse nulla: «Sempre attribuite a Irving Klaw, le più note fotografie di Betty Page (per qualcuno e in altre docu mentazioni “Bettie Page”), quel le che ne hanno avviato il mito, furono invece scattate dalla so rella Paula. Me lo ha confessato lei stessa, in una tiepida serata di novembre, qualche anno fa, quando a New York si registra un sostanzioso ritorno di caldo estivo: noi definiamo quei gior ni “Estate di San Martino”, negli Stati uniti è l’“Estate indiana”. «Così, complice un clima fa vorevole, [...], le parole tornaro no indietro di decenni; con un ardito balzo temporale, i ricordi affiorarono dai primi anni Cin quanta. Quarant’anni e più fu rono superati in pochi istanti. Un’emozione palpitante per chi, come me, vive con il cuore coc ciutamente rivolto indietro, pro prio e soprattutto verso quegli anni Cinquanta, durante i quali la Fotografia [...] ha realizzato e donato fantastiche immagini, insuperate monografie e avvin centi interpretazioni tecniche.

pagnia di Betty Page, della cui fenomenologia sono partico larmente competenti il nostro direttore, Maurizio Rebuzzini, e Filippo Rebuzzini, che ne ha curate due mostre significati ve, ciascuna accompagnata da seducenti volumi-catalogo: ri spettivamente, Betty Page. Tren tadue visioni più una, in prima esposizione alla Galleria Con temporary Concept, di Bologna (dall’11 dicembre 2010, secondo anniversario dalla scomparsa; Tipolitografia La Reclame, 2011; 88 pagine 16x23cm), e Maurizio Galimberti. Betty Page Ready made, in prima esposizione allo Spazio Kryptos, di Milano (dall’11 dicembre 2018, decimo anniversario dalla scomparsa; Unimaginable, 2018; 32 pagine 14,8x21cm; tiratura numerata in duecento copie).

■ ■ / VOGLIAMO PARLARNE? / MILLE STRADE di

Sempre attribuite a Irving Klaw, le più note fotografie di Betty Page, quelle che ne hanno avviato il mito, furono invece scattate dalla sorella Paula. Ce lo ha confessato lei stessa.

munismi, tradimenti dei gover ni e dei partiti non cambiano pelle!... restano in servizio sul le atrocità che commettono contro gli indifesi, sempre in nome del popolo! Solo la bel lezza della verità, resta!

La fotografia in anarchia di Kati Horna porta a riflettere, se non a lottare, sulla possibilità, sempre accesa, di raggiungere -con qualsiasi strumento utilela società libertaria che annulla pretesti, fedi e follie di potere, incluse quelle dei rivoluzionari della restaurazione! La Fotogra fia di bellezza e giustizia sba raglia la paccottiglia dell’otti mismo, della consapevolezza e del fanatismo e dà l’assalto al cielo del sopruso. Porta a pian gere lacrime di gioia e -colpo dopo colpo aiuta a sconfig gere schiavitù secolari! La Fotografia senza guinza gli è un linguaggio di libertà, disaffezione e rivolta contro il “rigore” istituito e la fa finita,

50 Nessuno può odiare la Fotogra fia più dell’impertinenza di un fotografo. Nulla è più triste del la fotografia nella civiltà dello spettacolo, che la promuove al di sopra dei suoi perseguitati: «Ciò che l’immagine deve ave re in comune con la realtà, per poterla raffigurare corretta mente o falsamente- nel pro prio modo, è la forma di raffi gurazione propria dell’imma gine» (Ludwig Wittgenstein). Ogni fotografia è un pecca to d’indiscrezione! Senza la di gnità del diritto di avere dirit ti esteso agli spossessati della Terra, la Fotografia è intollera bile! Ciò che l’industria cultu rale teme è la contaminazio ne dell’onestà intellettuale che viene dai randagi d’ogni arte! L’utilitarismo del nemico non li affascina, né li promuove a palafrenieri dell’indifferenza I santificati del Mito mercanti le non sono mai stati contestati! Si può considerare un artista del consenso che gli viene depu tato, ma lo si apprezza davvero quando frana nell’autobiogra fia che l’accompagna; è stra no, perfino incredibile, che la genìa dei fotografi accetti l’im postura del linguaggio domi nante, invece di farsi dinamite dell’ordine costituito! In margine agli elogi raccat tati nel disonore dell’estetica riciclata ci sono i refrattari a tutte le scuderie delle bana lità, come Kati Horna (Kata lin Deutsch; 1912-2000), anar chica, mai pentita, che fanno della Fotografia una filosofia antifascista d’eterna attualità. Nata a Budapest, Kati Horna, fotografa e insegnante, figlia di un banchiere ebraico, incontra presto Bertolt Brecht, il Bau haus, il surrealismo, il costrut tivismo, László Moholy-Nagy, Robert “Bob” Capa. Il suo men tore è Josef Pécsi, un fotografo dell’avanguardia ungherese. Fugge dalle persecuzioni na ziste e diventa apolide.

Quando uno non ha niente da dire diventa fotografo, cri tico letterario o poliziotto! I più ritardati vanno in parlamento! E, poi, ci sono bancari, notai, psi coanalisti, avvocati, professori, giornalisti, artisti, sindacalisti e l’intera gamma sociale che su bisce l’universo convenuto! La “bella gente” della mangiatoia, ammiratori di livree, cortigiani della feccia, residui di dispera zione e stupidità che si sono “emancipati” sul princìpio che genera le disuguaglianze!

Il linguaggio fotografico di Kati Horna spazia a trecento sessanta gradi: ritratto, fotogra fia di strada, architettura, foto montaggi, collage. Ma è il suo sguardo sulla Rivoluzione socia le di Spagna, del Trentasei, che ci attanaglia conoscere. Sulla chiamata della CNT (Confede ración Nacional del Trabajo), confederazione di anarcosin dacalisti, documenta la guerra civile insieme con Gerda Taro, David “Chim” Seymour e Bob Capa. Per diciotto mesi, segue i conflitti a Valencia, Barcello na, Madrid e in piccoli villaggi. Pubblica le sue fotografie su riviste e giornali anarchici, come Tierra y Libertad, Libre Studio, Tiempo Nuevos, Mujeres Libres e Umbral. Aiuta a liberare da un campo di prigionia fran chista José Horna (1912-1963; pittore e scultore andaluso), suo futuro marito. Si fa esule, e -di paese in paese- si stabi lisce in Messico. In Spagna, la geografia dell’u mano di Kati Horna è legata non tanto ai campi di battaglia, quanto alla comunità delle re trovie. La sua è una fotografia intima, discreta, anche rigoro sa: donne, bambini, momenti di fraternità dei rivoluzionari cadono in una fioritura icono grafica diretta, senza allori, né entusiasmi di circostanza; la composizione, l’empatia, il sen so della Storia vista dalla par te degli insorti mostrano che religioni, fascismi, nazismi, co una volta per sempre, di ag grapparsi alla servitù volontaria! La Fotografia liberata da tutte le cialtronerie mercatali si osti na a distruggerle! La Fotografia che sputa in faccia alla fotogra fia contiene il medesimo senso di compassione della poesia di Percy Bysshe Shelley, Friedrich Hölderlin, John Keats e Emily Dikinson, e fa del linguaggio fo tografico dell’immaginale (inda gine e riflessione etico sociale sulle problematiche dell’Uomo contemporaneo) il primo atto di disobbedienza! La fotografia in anarchia di Kati Horna rompe tutti i valori morali e gerarchie del pensare; vede in ogni volto la piaga anco ra aperta, in ogni gesto il corag gio di risorgenza dall’ingiustizia e in ogni azione la fine dei tarati d’ogni potere. È una cartografia visuale straniera a se stessa, di passaggio, di transito verso la caduta del capitale d’illusioni che governa il mondo col fer ro, il fuoco e il neocolonialismo delle merci! Solo con Friedrich Nietzsche, Fyodor Dostoevskij, Wolfgang Amadeus Mozart e il grande banditismo alla Ju les Bonnot la vita sarebbe sop portabile persino nelle fogne! Nessun fotografo, pensatore e ribelle dell’intelligenza ha mai usato mezzi termini. L’aurora della Fotografia in anarchia è un’avventura perso nale, implacabile, detestabile, anche perché cerca non solo il giusto, il buono, il bello, ma la realtà dell’altrove! Il princìpio di esistere tra liberi e uguali! Ne ho parlato con un vaga bondo di genio, che frequento la domenica mattina, e dorme tra le barche del porto con un cane bastardo che si chiama Spartaco! Quando gli ho chiesto perché si è ritirato dal mondo, ha risposto: «Forse è il mondo che si è ritirato da me!». È meglio vivere o morire in uno stile che sia il tuo! Il resto è cattiva letteratura. di Pino Bertelli

■ ■ / SGUARDI SU / KATI HORNA

Nessun pensatorefotografo,eribelledell’intelligenza ha mai usato mezzi termini. SULLA FOTOGRAFIA IN ANARCHIA

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