FOTOgraphia 266 novembre 2020

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SIMONE NERVI # MFTPU / NOVEMBRE 2020 / NUMERO 266 / ANNO XXVII / 266 TIM MANTOANI BEHIND PHOTOGRAPHS MAST GRANT 2020 FINALISTI E VINCITRICE

NONNELLAFOTOGRAFIAEOSSERVAZIONIRIFLESSIONICOMMENTISULLARIVISTACHETROVIINEDICOLA / Sottoscrivi l’abbonamento a FOTOgraphia per ricevere 10 numeri all’anno al tuo indirizzo, a 65,00 euro Online all’indirizzo web in calce o attraverso il QRcode fotographiaonline.com/abbonamento ABBONAMENTO ANNUALE 10 numeri a 65,00 euro info:Per abbonamento@fotographiaonline.com0436716602srlgraphia

Copertina Dall’eccellente progetto Murders From the Parallel Universe 2.7JX149K (#MFTPU), del ta lentuoso Simone Nervi; da pagina 26

/ 03/ / 34/ / 24/ / 08/ / 14/ / 11/ 266 SOMMARIOPRIMA COMINCIAREDI Archivio FOTOgraphia

Torneremo sull’argomento!

Per quanto ciascuno di noi abbia avuto opi nioni diverse riguardo ciò che è degno di Me moria, tutti insieme siamo stati convinti che se possiamo rubare un momento all’aria, ma gari con una Fotografia, ne possiamo anche creare uno tutto nostro, magari con una Fo tografia. Maurizio Rebuzzini, a pagina 8

Fotografia attorno a noi Annuncio Ferrania Condor I, trentacinque mil limetri a telemetro, con obiettivo Galileo Eliog 5cm f/3,5. Prima pubblicità, in seconda di co pertina, del numero Uno del mensile Ferra , del gennaio 1947; da pagina 44 Editoriale Tempo ne abbiamo a disposizione... ormai Umicini e Liverani In ricordo di Giovanni Umicini e Vito Liverani, due personalità fotografiche venute a manca re in giorni conseguenti, lo scorso settembre Frank Horvat È scomparso il celebre fotografo, italiano di nascita, ma non di formazione, che ha inter pretato la Moda con grande personalità 12 / Sull’immagine Avvincente e coinvolgente riflessione del foto giornalista Tano D’Amico: Fotografia e desti no. Appunti sull’immagine, in edizione libraria Lei, Margaret La celebre fotogiornalista è protagonista del film-biografia Double Exposure: The Story of Margaret Bourke-White, del 1989 Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini PAROLE DI VALORE. Tutto dipende da come e quanto ciascuno di noi frequenti la Fotografia. Personalmente, oltre l’im magine in sé, siamo frequentatori delle Parole in sua interpretazione e (magari) spiegazione. Tra i tanti testi storici che pos sono arricchire ogni bagaglio culturale e di conoscenza, ce n’è uno che, per quan to pubblicato anche in italiano, si è perso nei meandri dell’editoria italiana. Ci riferiamo al lungimirante Il mondo fatto immagine. Origini fotografiche del virtuale, di Oliver Wendell Holmes, dall’originale Lo stereoscopio e la stereo grafia, del 1859! (Costa & Nolan, 1995). Libro sfuggito ai più, noi compresi. Però! Però, l’attento curatore di quell’edizione bibliograficamente preziosa, perché più che lungimirante, Giovanni Fiorentino (docente di Teoria e tecnica dei media e Sociologia dei consumi e della pubblicità all’Università della Tuscia, di Viterbo, dove presiede il corso di laurea in Scienze della Comunicazione)hainclusoiltestooriginarionelsuoaffascinanteecoinvolgente Il flâneur e lo spet tatore. La foto grafia dallo ste reoscopio all’im magine digita le (Franco Angeli Edizioni, 2014; 112 pagine 14x22cm; 15,00 euro). Pamphlet irrinunciabile, almeno per noi, il saggio affonda nel cuore di metà Otto cento, all’indomani dell’origine della Foto grafia. Due intellettuali molto diversi tra loro -Charles Baudelaire (spesso citato a spro posito) e Oliver Wendell Holmes (ignoto ai più)- anticipano la riflessione sul medium fotografico in quanto “tecnologia cultura le” e influente. Tra tanto e tanto altro, il vo lume presenta un confronto primigenio tra i testi dei due scrittori, generando una straordinaria dialettica “a distanza”, e prefi gurando addirittura il destino sociale della Fotografia, pronta a rinnovarsi in un conte sto digitale fino alle soglie dei social media.

18 / Per sorridere Ottimo e avvincente pamphlet: Sorridere. La fotografia comica e quella ridicola, di Miche le Smargiassi, in edizione Contrasto Books 20 / Ancora icone Il consistente progetto Behind Photographs, del californiano Tim Mantoani, si eleva sopra tante altre serie di ritratti di fotografi di An tonio Bordoni 26 / Simone MurdersNerviFrom the Parallel Universe 2.7JX149K Sia in progetto fotografico -qui in selezione-, sia in fashion film -in rimando-. Personalità e identità ispirate a un mondo esistenziale pa rallelo che nasce dalla Mente dell’Autore, gui dato dal suo Cuore di Maurizio Rebuzzini 34 / Al presente (e passato) Avvincente combinazione espositiva al Mast, di Bologna: i finalisti (e vincitrice) al Mast Pho tography Grant on Industry and Work 2020 e Inventions di Lello Piazza 40 / Giancarlo Carnieli Venti minuti da Milano Intenso progetto fotografico in svolgimento estraneo alla retorica di Angelo Galantini 44 / C’è stato un tempo Vent’anni della rivista Ferrania in Pdf 46 / Il lungo addio Mercati di Giulio Forti 48 / I travestiti Lisetta Carmi di Giovanna Calvenzi 50 / Mirko Orlando Sguardi su di Pino Bertelli / 12/ / 37/ / 44/ / 20/ / 26/ / 18/ SOMMARIO DIRETTORE RESPONSABILE Maurizio Rebuzzini ART DIRECTION Simone Nervi IMPAGINAZIONE Maria Marasciuolo REDAZIONE Filippo Rebuzzini CORRISPONDENTE Giulio Forti FOTOGRAFIE OttavioRouge Maledusi SEGRETERIA Maddalena Fasoli HANNO COLLABORATO Pino MarcoLelloSimoneTimAngelomFrantiGiulioGiancarloGiovannaAntonioBertelliBordoniCalvenziCarnieliFortiGalantiniMantoaniNerviPiazzaSaielli www.FOTOgraphiaONLINE.com Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl - via Zuretti 2a, 20125 Milano MI 02 66713604 redazione@fotographiaonline.com ■ FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ■ FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento po stale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), ar ticolo 1, comma 1 - DCB Milano. ■ A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massi ma riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96.

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NOVEMBRE

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EDITORIALE Maurizio Rebuzzini 7

Tempo

tiallamano:nelMillenovecentosettantunodinostroavvi cinamentoallaFotografia,pensavamoall’esperienzadei grandisettimanaliillustraticomeaqualcosadiantico esempio,retoguardavamoaLife comeaqualcosaindietro, nostriindietro,indietronelTempo:conrispettostorico,allalucedeimaldestrivent’anni,trentacinqueanni,conteggiati dal1936diorigine,cisembravanotanti.Nelfrattempo,altri quasi-cinquantanesonopassati,eoggi-raggiuntiisettant’anni,misuriamolenostreesperienzeprofessionaliorigi nariecomequalcosadiconfortevolmenterecente.Ovvero,laparzialitàdel èedificatasueconse lastessielapropriaetà.Dacui,circoscrivendomagarialsolaFotografia,dovepossiamo/potremmocollocare oggigiornoChepianidicontattotragenerazionidiverse,oggicoabitanti?valoripossonoancoraaverelaStoriael’Esperienza,setuttosiconsumainfrettaefuria,senzaalcun

relativeallaconcezionedel Tempo,chesivorrebberelativo, compagnialineare,chesiintenderebbeconscorrimentononnecessariamentesempreinavanti,rimaniamoconipiediperterra,indellanostraipotesidiTempo .Inquestosenso, inpercorsoindividuale,chedadecenniciimpegnaconla Fotografia,qualsiasicosaquestasignifichiperciascunodi noi,accettiamolasuarelatività.Cosìchestiamoperconteg

Tempodiriflessione?Ancora,ilsignificatodel

Eccociqui,quindi,afareinostriconticonil Tempo nuo voeattuale:daaffrontareconpuntidivistainconsuetie singolari...persinoanomali. Ma! Perquantopotremmoanchesposareteorieastrofisiche giareunaconsecuzionestrettadicinquantenaripersonali, diCichesiaffaccerannoallaribaltailprossimoDuemilaventuno.facciamoaccompagnaredallasoggettivitàeparzialitàqualsivogliavisioneeinterpretazioneindividuale.Con

Tempo diindividualechetenga:indipendentementedaincidentipercorsomomentaneiepasseggeri,lafrequentazione ladellaFotografiaappartieneaquellefontichealimentanoVitael’evoluzionedell’Esistenza.

Tempo che definisceillinguaggio/lessicodellaFotografiaconferma launsensodiMemoria?Ancora,ancora:comeconsiderareTecnologia,anchesoloquellaapplicataallaFotogra fia,chetrasformainrealtàantichisogni?Nonc’è

Temponeabbiamoadisposizione...ormai;ancheperpen sare al Tempo.Vediamolaediciamolaanchecosì,inef fettocollaterale:nonloabbiamocercato,perquantopo tessimosentirneilbisogno,macièstato“elargito”dalla successionedipandemiechehannoimpostoperlegge ritmiesistenzialimisuratiepacati.Inmomentisuccessi vi,maconseguenti,cièstatoimpostodicancellareogni abitudinedivitaquotidianaacquisitaefrequentatafino minimoaieril’altro,perseguirnedinuove,chehannolimitatoalstrettamenteindispensabilefrequentazionieso cialitàcheormaifacciamoquasidifficoltàaricordare:so possibileprattutto,cièstatochiesto(eimposto)dimuoverciilmenodacasa,dinonaccostarcianessuno,disostituire tuttoquantoèstato“prima”,conun“adesso”circoscrit di(dall’intrattenimentotoalleparetidomestiche,conpropriannessieconnessitelevisivoallacrescitaesponenzialesocialinRete,magariancheallaletturadibuonilibri, statolasciatisempredaparteperun“domani”cheèsemprepiùipoteticoeconsolatoriocherealistico).

.Per

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A proposito di Giovanni Umicini, lo ab biamo apprezzato al pari di quegli autori fotografi che sanno evitare gli stereotipi, per osservare con l’esplicita capacità di vedere per far vedere. In questo senso, tra tanto, almeno due sono i riferimenti meritevoli di particolare attenzione. Con il ricordo, torniamo all’inizio del Duemi ladue, quando, al Museo Civico di Piaz za del Santo di Padova, fu allestita l’im ponente personale StreetPhotography, con relativo volume-catalogo pubbli cato da Federico Motta Editore. E, poi, approdiamo all’autunno Duemilasette, quando le stesse sale espositive raccol sero una altrettanto possente selezione fotografica Per Padova, con volume-ca talogo realizzato da Biblos Edizioni. In entrambi i casi, ampie raccolte di im magini, rigorosamente in bianconero (lui, anche abile stampatore), datate dai primi anni Cinquanta. Nel proprio agire, Giovanni Umicini ha rivelato anche che la Fotografia è come la Parola che vola nell’aria, dove è raccolta da coloro i quali sanno rico noscerne i tratti distintivi, con i quali mettersi in immediata simpatia: em patia, addirittura. Ovvero, comprensio ne e condivisione delle emozioni e dei pensieri espressi dall’autore, con il qua le ci si allinea. Sempre e comunque. Maurizio Rebuzzini UMICINI E LIVERANI

/ IN RICORDO. 1 / di

Due rilevanti fotografie di sport di Vito Liverani, ognuna a proprio modo, una iconica l’altra sociale: il diretto al volto con il quale, il Primo settembre 1960, l’italiano Duilio Loi debellò la resistenza del portoricano Carlos Ortiz, conquistando il mondiale Welter Juniors davanti a cinquantatremila spettatori, allo Stadio di San Siro, di Mi lano; la prima fotografia pubblica con Giulia Occhini (la Dama bian ca), sul palco del mondiale su strada vinto da Fausto Coppi a Luga no, il 30 agosto 1953, con oltre sei minuti di vantaggio sul secondo.

Vito Liverani. La mia vita in pugno - Settant’anni di fotogiornalismo sportivo, a cura di Federico Meda e Sergio Meda; Bolis Edizioni, 2019; 128 pagine 14x21cm; 18,00 euro.

La notte tra il diciassette e il diciotto settembre è mancato Giovanni Umicini (1931), fiorentino di nascita e padovano d’adozione. Il diciannove settembre è mancato Vito Liverani (Vitaliano; 1929), friulano di nascita e milanese d’adozio ne: due personalità della fotografia di stanti per interessi, uno orientato all’au tentica street photography (quella vera, non come certa vuota parodia dei nostri giorni) e l’altro fotogiornalista di sport, ma accomunati da una stessa parte cipazione emotiva, che ha contraddi stinto i rispettivi tragitti professionali. Due fotografi che ci sono stati vicini in tante occasioni, e con i quali abbiamo condiviso vicende ed esperienze. Ora, e qui, per quanto sia doveroso ricordar li, all’indomani delle loro scomparse, in giorni immediatamente conseguenti, è oltremodo doloroso farlo. Ma! Per quanto ciascuno di noi abbia avu to opinioni diverse riguardo ciò che è degno di Memoria, tutti insieme siamo stati convinti che se possiamo rubare un momento all’aria, magari con una Foto grafia, ne possiamo anche creare uno tutto nostro, magari con una Fotogra fia. Li ricordiamo così come e per quan to li abbiamo conosciuti e frequentati.

La sua Fotografia è stata inviolabil mente fedele a princìpi stabiliti da una identificata e consolidata consecuzione di applicazioni lessicali. Non generica fotografia per la strada, ma appassio nata e partecipe street photography (con frequentazioni personali più che qualificate, a partire dagli statunitensi Walter e Naomi Rosenblum; rispetti vamente, 1919-2006 e 1925), che pro segue idealmente la fotografia socia le e umanista, che -a cavallo del No vecento- è fantasticamente esplosa in un mondo -appunto quello fotografi co- che, in precedenza, si contorceva su proprie presunte appartenenze all’ar teLaespressiva.suaFotografia, ancora, non ha ignorato le contraddizioni esistenziali dei nostri giorni, ma non le ha rivelate colpendo l’osservatore a tradimento. Al contrario, Giovanni Umicini è stato tanto e talmente partecipe della pro pria azione, che lui prima di tutto si è allineato con il proprio osservatore. Lo ha preso per mano, e lo ha accompa gnato lungo un tragitto costellato di osservazioni, riflessioni e annotazioni: mai soluzioni! E di tutto questo gli sia mo stati sempre grati. Esponente di spicco di una genìa/fami glia molto presente nel fotogiornalismo italiano, Vito Liverani è soprattutto le gato alle agenzie fotogiornalistiche Fo tocronache Olympia, prima, e Omega Fotocronache, poi, che ha creato per lo sport (con relativo autorevole Pre mio Omega Fotocronache annuale). Però, bisogna ricordare che, prima di passare dietro le scrivanie di gestione, è stato eccellente fotografo, soprattutto indirizzato alla boxe (lui fu anche pugi le dilettante) e al ciclismo, per il quale è stato fotografo ufficiale del Giro d’I talia per molti anni, tra i Cinquanta e Sessanta del Novecento. Da qui, due momenti significativi del la sua Fotografia. Per la boxe, si registra il diretto al vol to con il quale, il Primo settembre 1960, l’italiano Duilio Loi (1929-2008) debel lò la resistenza del portoricano Carlos Ortiz (1936), conquistando il mondiale Welter Juniors davanti a cinquantatre mila spettatori, allo Stadio di San Siro, di Milano. Autentica icona dello Sport, questa fotografia è stata pubblicata mille e mille volte, testimonianza visi va di una classe capace di sopperire a mancanza di potenza. Ancora, è stata anche interpretata in molte illustrazio ni, alla maniera e con la continuità che è propria delle fotografie che hanno superato i propri confini specifici per imporsi nell’immaginario collettivo. Ancora e ancora, questa stessa foto grafia di Duilio Loi è stata iconica del professionismo di Vito Liverani, che l’ha evocata nel titolo della sua biografia, leggendaria Bianchi, dopo una notte d’amore con Giulia Occhini (1922-1993). Questa fotografia fu venduta a peso d’oro ai rotocalchi e ai quotidiani di al lora, che si avventarono sulla love story come avvoltoi. Non è facile tradurre quei tempi oscu rantisti sul nostro costume attuale, che spesso fa bandiera della vita privata dei personaggi pubblici (società del lo spettacolo!). Ma, in quei primi anni Cinquanta, il clamore fu enorme, peral tro amplificato dalla contrapposizione generalizzata tra i due fenomeni del ci clismo italiano, sport popolare per ec cellenza: il buon cattolico Gino Bartali (1914-2000) e il “comunista” (?) Fausto Coppi, colpevole di amore proibito. La prima fotografia pubblica della coppia data al mondiale su strada vinto da Fausto Coppi a Lugano, il 30 agosto 1953, nell’anno in cui aveva già vinto il Giro d’Italia: in Svizzera, oltre sei minuti di vantaggio sul secondo (6’22’’), il bel ga Germain Deijcke. Qui, ancora in fo tografia di Vito Liverani, Giulia Occhi ni apparve sul podio di premiazione. Quindi, il successivo 12 giugno 1954, alla penultima tappa del Giro d’Italia, sul palco di Sankt Moritz, il giornalista francese Pierre Chany, inviato del quo tidiano di sport L’Équipe, notò Fausto Coppi porgere a Giulia Occhini il mazzo di fiori ricevuto. In quel gesto, il gior nalista colse e raccontò l’intimità tra i due; e da allora la relazione extraco niugale divenne di pubblico dominio, con il soprannome di “Dama bianca”, dovuto al montgo mery bianco indossato da Giulia Occhini. In tempi più recenti, Vito Liverani ha legato una vol ta ancora il proprio nome a quello di Fausto Coppi attra verso l’agenzia Omega Fo tocronache, che ha avuto in distribuzione esclusiva una icona del Ciclismo (e dello Sport); probabilmente, la fo tografia di sport più signi ficativa del fotogiornalismo italiano del Novecento. La scena, l’inquadratura è im pressa nella memoria col lettiva: Fausto Coppi, mezzo pedale davanti a Gino Bartali, con il braccio teso all’indie tro per prendere o porgere una borraccia (dopo decen ni di dilemma, oggi si sa: è Bartali che porge a Coppi). Era il 6 luglio 1952, sul Col du Tele graphe, tappa da Losanna-Alpe d’Huez, la decima del Tour de France. La pater nità è certa: è stata scattata dal fotore porter romano Carlo Martini. In ricordo di Giovanni Umicini e Vito Liverani. ■ ■ Nell’intensa e qualificata bibliografia di Giovan ni Umicini spiccano due volumi-catalogo di sue maestose e vigorose re trospettive fotografiche. In ordine temporale in verso, Per Padova (a Pa dova, dal 7 ottobre 2007 al 13 gennaio 2008; Bi blos Edizioni, 2007; 204 pagine 28x28cm; 40,00 euro) e StreetPhotography (a Padova, dal 2 di cembre 2001 al 3 mar zo 2002; Federico Motta Editore, 2001; 144 pagi ne 28x28cm, cartonato; 46,00 euro).

pubblicata nel febbraio 2019 da Bolis Edizioni: La mia vita in pugno. Set tant’anni di fotogiornalismo sportivo Per il ciclismo, approdiamo a Fausto Coppi (1919-1960), addirittura in due occasioni temporalmente successive. La prima è relativa a uno dei più clamorosi scandali italia ni degli anni Cinquanta del Novecento, quando il cicli smo era tanto popolare da essere addirittura specchio della nazione. Ricordo bene il racconto che mi ha più vol te ripetuto Vito Liverani, su mie continue sollecitazioni a farlo, e che ha sempre con fermato, anche in occasioni e interviste pubbliche. Nel 1953, Vito Liverani fu il primo a fotografare Fau sto Coppi dopo una notte di intimità con Giulia Occhini, sposata con il dottor Enrico Locatelli, grande tifoso del Campionissimo. Circa così: dopo una notte passata al riparo di un cespuglio, nei pressi dell’ingresso di un discreto e appartato albergo in campagna, lonta no dai clamori giornalistici, alle quattro del mattino, riuscì a fotografare Fau sto Coppi, sposato con Bruna Ciam polini (1921-1979), che, in tenuta di al lenamento, lasciava il luogo sulla sua

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/ IN RICORDO. 2 / di Angelo Galantini FRANK HORVAT

Per quanto siamo consa pevoli che la personalità fotografica di Frank Hor vat, mancato lo scorso ventuno ottobre, a no vantadue anni, sia equa mente distribuita su di versi indirizzi professio nali, sopra i quali si affer mano il fotogiornalismo e la moda, nel nostro cuore, lo abbiamo sem pre considerato tra i più significativi fotografi di moda del secondo No vecento. In particolare, siamo personalmente legati e vicini a questa sua interpretazione di scarpe, realizzata a Pa rigi, con la Torre Eiffel sullo sfondo, nel 1974.

Di famiglia ebraica dell’Europa Cen trale (suo padre Karl era un medico un gherese, sua madre Adele una psichia tra di Vienna), ha effettivamente vissuto in Italia, come certificato anche dalla tessera di riconoscimento dell’Accade mia di Belle Arti di Brera, a Milano, per il corso di Pittura dell’anno scolastico 1947-1948, dei suoi diciannove-venti an ni. Però, nei tempi giovanili di forma zione culturale, ha soggiornato a lungo in Svizzera (dove la sua famiglia si sta bilì nel 1939, lui undicenne, a Lugano), Pakistan, India, Inghilterra e negli Stati Uniti, prima di fermarsi definitivamen te a Parigi, dal 1955. Per cui, luogo e tempo di nascita a parte, la sua educazione creativa è stata quantomeno poliglotta; se poi vogliamo dirla tutta, la sua fotografia (successiva) non ha avuto alcun punto di contatto con quello che possiamo identificare come cammino italiano all’espressivi tà, anche soltanto fotografica. Ciò detto e precisato, allarghiamo que sto concetto anche verso la personali tà fotografica di Tina Modotti (Assunta Adelaide Luigia Saltarini Modotti; 18961942), nata sì a Udine, ma formatasi in altra cultura artistica e fotografica che non quella italiana. Per cui, anche per Tina Modotti siamo prudenti quando e per quanto si tratta di “nazionalizzarla”, riconoscendole soprattutto criteri di giu dizio e termini di raffronto culturale nel fervido clima del Centro America (Mes sico) dei primi decenni del Novecento. Quindi, nel ricordo attuale di Frank Horvat, siamo concordi con coloro che ne hanno certificato l’appartenenza alla fotografia di moda, che ha influenzato con invenzioni formali e di contenuto che si sono estese per quattro decen ni, dagli anni Cinquanta agli Ottanta del Novecento. Che poi sia stato an che eccelso fotogiornalista, ritrattista e altro ancora (fotografo di paesaggio, natura e scultura) è sicuramente meno fondante: alla Storia, non soltanto del la Fotografia, Frank Horvat consegna soprattutto la sua straordinaria Moda (con si gnificative puntate verso un intelligente fotogiornalismo). Scandendo i tempi e modi della sua fotografia, si è soli ti cadenzare sulla successio ne dei decenni, ognuno dei quali stabilisce termini propri e tessere che vanno a con fluire nel medesimo tragit to espressivo ed esistenziale. Negli anni Cinquanta, è con siderato fondamentale l’incon tro con Henri Cartier-Bresson (già Henri Cartier-Bresson), che gli avrebbe consigliato di sostituire la sua Rolleiflex biottica (più probabilmente, una Rolleicord) con una Leica: pensiero più volte ribadito dal lo stesso HCB, che era solito affermare che -data la postu ra di e in ripresa fotograficacon la Rolleiflex si fotografa va con la pancia, più che con la mente. Da cui, con Leica, la prima esperien za fotogiornalistica originaria di Frank Horvat, estesasi su un viaggio di due anni in Asia: e successive pubblicazioni su autorevoli e prestigiose testate del tempo, del calibro di Life, Réalités, Ma tch, Picture Post, Die Woche e Revue Ancora: una di queste sue immagini è stata inclusa da Edward Steichen nella sua famosa esposizione Family of Man, al Museum of Mo dern Art (MoMA), di New York, dal 24 gennaio all’8 maggio 1955, e successiva veicolazio ne nel mondo. Tra parentesi, ma neppure poi tanto tra parentesi, pro prio in quei primi anni Cin quanta del Novecento, per certi e tanti versi, la fotografia professionale ha modificato il proprio cammino espres sivo dipendente dalla me diazione degli strumenti. In particolare, come molti foto grafi della sua generazione, Frank Horvat finalizzò la mag giore praticità del trentacin que millimetri, in confronto al medio e grande formato, e la disponibilità di obiettivi di diverse lunghezze focali. Nello specifico, trasferendosi da Londra a Parigi, nel 1955, rilevò come e quanto il clima cittadino fosse diverso dal con

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Per la scomparsa di Frank Horvat, uno dei fotografi più significativi del secon do Novecento, mancato a novantadue anni, lo scorso ventuno ottobre, molte rievocazioni italiane hanno sottolineato il suo essere, per l’appunto, “italiano”, come pure recita Wikipedia. In effetti, anagraficamente, Frank Horvat è nato a Opatija, spesso (e a sproposito) italia nizzata in Abbazia, attualmente città litoranea della Croazia, che nel 1928 di suoi natali (ventotto aprile) appartene va al territorio italiano.

nivente romanticismo della “fotografia umanista”. Da cui, con un teleobiettivo, ha inquadrato con avvicinamenti visi vi che non sarebbero stati alla portata della focale “normale” (tanto amata e solo frequentata, per esempio, da Henri Cartier-Bresson, e non soltanto da lui). Nel 1957, questo progetto fu pubblicato in un numero monografico del men sile svizzero Camera, da poco guidato dall’autorevole Romeo Martinez (19111990), che traghettò la nobile testata verso un panorama internazionale. Nello stesso 1957, e anco ra con linguaggio “formale” da trentacinque millimetri (Leica), Frank Horvat sposta il proprio interesse verso la fotografia di moda, esorden do con il mensile francese Jardin des Modes (pubbli cato fino al 1997). L’innova zione tecnica, in un ambito precedentemente affronta to e svolto con attrezzature fotografiche più onerose e statiche, fu ben accolta dagli stilisti del prêt-à-porter (ready-to-wear / pronto da indossare: novità per quei tempi... lontani), che apprezzarono l’ambientazione nella vi ta quotidiana, per le strade, delle pro prie creazioni, così vive e reali rispetto la staticità della sala di posa su fondo neutro, piuttosto che colorato. È da queste interpretazioni origina rie che possiamo datare la moda “per strada”, che è stata linguaggio espres sivo per molte stagioni a seguire, con interpreti in tutti i paesi del mondo oc cidentale: due citazioni fondamentali, sopra tutte, per lo statunitense Richard Avedon (1923-2004) e l’italiano Federi co Garolla (1925-2012). Da questo esordio, Frank Horvat rice vette incarichi di moda da Elle (Parigi), Vogue (Londra), Harper’s Bazaar (New York) e altre riviste di prima grandezza. Nei primi anni Sessanta, tra il 1962 e il 1963, si registra un convinto ritorno al fotogiornalismo, nella concretezza di un lungo viaggio attorno al mondo per la rivista tedesca Revue; al quale fanno seguito sperimentazioni con il cinema e il video. Per un disturbo a un occhio, negli anni Ottanta, Frank Horvat deve ac cantonare la fotografia. In “sostituzio ne”, realizza interviste con fotografi di spicco del panorama interna zionale, che a fine decennio riunisce in libro, oggi recu perabile soltanto sul merca to bibliografico d’antiqua riato: Entre vues ; Éditions Nathan Images, 1990; 300 pagine 17x23cm. Quattordici interviste preziose, in france se: Édouard Boubat, Helmut Newton, Sarah Moon, Josef Koudelka, Mario Giacomelli, Eva Rubinstein, Jeanloup Sieff, Marc Ri boud, Don McCullin, Robert Doisneau, Hiroshi Hamaya, Takeji Iwamiya, Javier Vallhonrat e Joel Peter Witkin [le tra duzioni in italiano di queste interviste sono pubblicate sul sito del fotografo messinese Marco Crupi (www.marco crupi.it), autorevole Ambas sador Panasonic]. Testuale letracciaall’affascinantedall’introduzionevolume,cheunagenesidellaquatenereconto:«Trail1983e il 1987, ho avuto seri problemi alla vista. Questo mi ha dato l’idea di “fotografare con le mie orecchie”, cioè esplorare la realtà con un taperecorder, in qualche modo come avevo fatto con una macchina fotogra fica. / Ho deciso che il mio primo sog getto sarebbe stato la fotografia stessa, come processo creativo, più che come tecnica. Da qui l’idea di “parlare in ne gozio” con alcuni colleghi fotografi che ammiravo. La cosa più difficile è stata mettere quei dischi su carta, che nella mia analogia equivaleva a modificare e stampare. / Negli anni successivi, il mio problema agli occhi è stato trattato e la mia vista è stata sufficientemente ripri stinata da permettermi di tornare alla macchina fotografica».

Registrato un ulteriore cambiamento radicale, che dagli anni Novanta por ta Frank Horvat ad esprimersi anche con la post produzione digitale, che è quasi vicenda contemporanea (circa) e compone i tratti di un cammino per tanti versi autonomo, da considerare addirittura a sé, è doveroso concludere il ricordo con la rievocazione dell’impo nente retrospettiva Frank Horvat. Storia di un fotografo, allestita nelle prestigio se e autorevoli sale dei Musei Reali To rino - Sale Chiablese, dal ventotto feb braio al dieci giugno Duemiladiciotto (con titolo tanto vicino al precedente Gianni Berengo Gardin. Storie di un fotografo, al Palazzo Reale di Milano, nell’estate Duemilatredici).

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Curata dallo stesso autore, la rasse gna torinese ha delineato e definito una chiave interpretativa del suo lavoro, frutto di una carriera lunga settant’anni. Accanto alle sue opere di fotogiornalismo e fotografia di moda e altro ancora (duecentodieci), è stata presentata una parte della sua collezione privata. Trentuno immagi ni selezionate, che rappresentano in misura iconica la Storia della Fotogra fia: testimonianza viva dell’impegno di Frank Horvat, che non si è esaurito in alcuna autoreferenzialità. E non è certo poco!

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Frank Horvat: Entres vues ; Éditions Nathan Images, 1990; 300 pagine 17x23cm.

Archivio FOTOgraphia

Al pari di tanti altri fo tografi, seppure senza l’intensità di Lee Frie dlander, Frank Horvat ha fortemente frequen tato l’autoritratto... allo specchio (per esempio, a un mercatino londine se, nel 1955).

Una scrittura sciolta e diretta alleg gerisce la lettura, allontanando da sé ogni complicanza lessicale superflua, oltre che inutile. Da cui, ne consegue un discorso che si insinua subito, non soltanto presto, nell’animo di coloro i quali hanno l’intelligenza di avvicinare tutti questi concetti, nella certezza di quanto tanto possono depositare nel cuore e nella mente di ognuno. In citazione da quanto tanto anno tato da Tano D’Amico. «La disposizione nello spazio delle persone ritratte nelle immagini belle -quelle che durano, che ci prendono in cuore e l’attenzione, e tessono la no stra memoria- ricorda le leggi dell’U niverso. Ricorda quello che Leonardo scriveva della disposizione delle foglie sugli alberi» (da Equilibri). «La cultura determina quali sono i ruoli, e lo fa dal punto di vista del più forte. Ci spinge a distinguerci, a distan ziarci dal più debole, dallo sprovvedu to» (da Punti di vista). «Quando si mette in discussione un regime, l’ho già detto, per prima cosa si deve cambiare lo sguardo; prima di tutto deve cambiare l’immagine. L’im magine nuova irrompe dagli strappi della storia» (da L’immagine perduta). «Ciò che nessuno cerca è l’imma gine della nostra anima, quella fatta della materia dell’anima. Intessuta di memoria e ricordi. Quella che è la so stanza stessa dei movimenti che vivo no attraverso l’immagine. Movimenti, astratti come le immagini. Imprendibili come le immagini» (da Immagine viva). «Da giovane, mi davo io le regole per fare una buona fotografia. Il fuoco sul le pupille, l’attenzione sui volti, sulle espressioni, sulla forma delle persone, sullo spazio che occupano nel contesto. Aspettare. Aspettare che tutto si com ponga. Che, in un certo senso, tutto si fonda insieme» (da La buona fotografia). «Dietro la bellezza formale degli scatti di celebrati maestri occidentali si na sconde il tentativo continuo, incessan te, di far sentire “gli altri” come intru si nella storia, che è occidentale per definizione» (da Fotografia e società).

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Tano D’Amico (1942) è un fotogiorna lista che ha vissuto in prima persona i movimenti giovanili che si sono alter nati e susseguiti dalla fine degli anni Sessanta, fino a consegnare alla Storia almeno due immagini iconiche: il poli ziotto in borghese, con pistola, duran te gli scontri in cui fu uccisa Giorgiana Masi, a Roma, il 12 maggio 1977, e la ragazza mascherata che fronteggia i carabinieri, a Roma, nello stesso 1977. Oggi, con la pubblicazione di sue con siderazioni specifiche riunite sotto il ti tolo Fotografia e destino, in ulteriore definizione di Appunti sull’immagine, si aggrega al ristretto ambito di fotografi qualificati a parlare/scrivere sull’imma gine, i suoi significati e le sue trasver salità sociali. Come già rilevato in altre occasioni, ribadiamo confermandolo: non è necessariamente richiesto che i fotografi si esprimano a parole; già lo hanno fatto con le immagini. Però, quando e per quanto queste Parole sono pertinenti e opportune, ovvero arricchiscono l’animo e la mente, siamo loro grati: considerazioni sulla Fotogra fia tutta, magari anche a partire dalla propria esperienza e visione personale. In incipit/dedica al suo Fotografia e destino. Appunti sull’immagine, Tano D’Amico pone una domanda, che cer tamente ha già preso in considerazione. Non è retorica, e richiede risposta da ognuno di noi: «Può l’immagine ama re così tanto la vita da cambiare il de stino?», invita. E subito approfondisce, in forma di introduzione alle conside razioni e riflessioni che, poi, riferisce a una identificata quantità (e qualità) di proprie fotografie. Testuale: «L’immagine può fondersi con la realtà? Può modificare la realtà? Non dopo, ma prima di essere realizzata - perché, lo sappiamo tutti, che poi, una volta resa pubblica, l’immagine influi sce sulla realtà. È di questo che abbia mo vissuto, cineasti, fotografi di movi menti... E il punto è: mentre viene fatta, l’immagine può fondersi con la realtà e cambiarne il percorso? Anche per po co, intendo, anche solo negli attimi in cui l’immagine trova la sua forma, ne gli attimi in cui occhio e obiettivo so no puntati sulla realtà. Può l’immagine mischiarsi con la vita? Non dopo, ma mentre la si fa, istante per istante? Un attimo di immagine per ogni attimo di vita. Può l’immagine aggiungere qual cosa alla vita? Può aiutarla? Può opporsi alla morte? L’immagine può amare così tanto la vita da cambiarne il destino?». Quindi, si incammina verso (sue) ri sposte, scandite al ritmo di trentasei passi, ognuno accompagnato da una sua fotografia per certi versi introdut tiva, piuttosto che esplicativa.

«Due parole ancora sulle macchine fotografiche. Quelle che si usavano ai miei tempi erano progettate, inventa te, disegnate in funzione delle giorna te piene di sangue della Repubblica di Weimar. Si combatteva per le im magini. E insorti e repressori ne ave vano una diversa concezione. A quel tempo, il genere umano combatteva per possedere, per non perdere l’idea stessa di immagine. Alcuni non la vo levano perdere, non volevano smarrir la. Altri volevano strapparla, ucciderla, cancellarla per sempre» (da Macchine fotografiche).

A questo punto, per concludere dopo questa campionatura dai testi in rifles sione, contenuta quanto significativa, se avete idea di poter fare a meno di questi Appunti sull’immagine, che Ta no D’Amico ha raccolto in Fotografia e destino, beati voi. Siete già più che ric chi. Noi ne abbiamo sentito il bisogno. E, ora, stiamo meglio.

■ ■ / RIFLESSIONI / di Maurizio Rebuzzini SULL’IMMAGINE

Fotografia e destino. Appunti sull’imma gine, di Tano D’Amico; Mimesis Edizioni, 2020; 104 pagine 13,5x20,2cm; 10,00 euro.

LEI, MARGARET

In questo cammino, che evidenzia una certa somiglianza apparente tra interprete e personaggio, oltre quanto rilevato nel riquadro a pagina 16, esclu diamo subito Nicole Kidman, nei panni di Diane Arbus, in Fur - Un ritratto immagina rio di Diane Arbus (Fur - An Imaginary Portrait of Dia ne Arbus), di Steven Shain berg, del 2006: attrice di ri chiamo spettacolare, total mente estranea alla comples sità interiore (ed esteriore) della controversa fotografa.

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/ CINEMA /

Nel film Gandhi, di Richard Attenborough, del 1982, è compresa la sessione fo tografica che Margaret Bourke-White realizzò, nel 1946, per Life, con il Mahatma (nelle rispettive interpretazioni di Candice Bergen e Ben Kingsley). Nota parallela, per la segnalazione della Speed Graphic 4x5 pollici, inviolabile presenza del fotogiornalismo statunitense di metà Novecento. (pagina accanto) Ovvia mente, la fotografia di Margaret Bourke-White evocata nel film Gandhi è quella del Mahatma in lettura con un arcolaio in primo piano (1946). Emissione filatelica del Mozambico, del 30 no vembre 2009, celebra tiva del Mahatma Gan dhi: dalla fotografia di Margaret Bourke-White.

Dopo di che, tutte le volte che rievochiamo le “vite vere” di fotografi presi in conside razione dal Cinema, citiamo sempre un terzo caso che si aggiunge ai due (non tre) ap pena richiamati: quello della fotogiornali sta statunitense Margaret Bourke-White. Soprattutto, si ricorda la sua partecipazio ne complementare nel film Gandhi, di Richard Attenborough, del 1982, nell’in terpretazione di Candice Bergen. L’episodio visualizzato nel film è sto rico. Nel 1946, due anni prima del suo assassinio, quando il Mahatma aveva attirato l’attenzione internazionale, la fotoreporter statunitense fu inviata da Life in India. Cele berrimo è il ritratto con l’ar colaio compreso nell’inqua dratura orizzontale. Quell’in contro è ben descritto nel la Biografia della fotogra fa, scritta da Vicki Goldberg, pubblicata in Italia da Serra e Riva Editori, nel 1988. Leggiamo: «Margaret ar rivò in India nel marzo del 1946, e si mise subito all’o pera fotografando Gandhi. «Lo aveva spesso udito in veire pubblicamente (da un moderno microfono) contro i macchinari moderni, dal trattore al te laio meccanico. Di fronte alla siccità, al la fame, all’incredibile miseria dell’India, che a suo parere il progresso tecnolo gico avrebbe senz’altro potuto risolve re, Margaret non comprese mai fino in fondo il violento mala nimo di Gandhi nei ri guardi della macchina. «In occasione del loro appuntamento, Gandhi si fece trovare in com pagnia di un gruppo di intoccabili, in una baracca che odorava di escrementi umani. Margaret era appena entrata e già la segreta ria del maestro le stava domandando se sapeva filare. L’arcolaio rappre sentava per il Mahatma il simbolo della sua fer rea volontà di liberarsi dal dominio britannico. Come accadeva in ogni altro impero coloniale, l’Inghilterra importava dalle colonie materie prime, per incremen tare l’industria in patria. Il cotone indiano veni va trasformato in tes suto negli stabilimenti tessili britannici e poi rivenduto in India per di Maurizio Rebuzzini / Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Quando la sceneggiatura cinemato grafica riprende vicende reali, soprat tutto con protagonisti noti, si cercano attori-interpreti che siano fisicamente analoghi alle personalità evocate, altresì precisate da un trucco che ne mette in risalto caratteristiche fisiche riconosci bili e riconosciute. Nello stretto ambito fotografico, entro il quale agiamo noi, andando a individuare e commentare presenze significative della Fotografia al Cinema, sia in sue sceneggiature, sia in sue scenografie di contorno ri levante e indicativo, ci sono stati casi, soprattutto statunitensi, che vale an cora la spesa richiamare e sottolineare, in anticipo sulla personalità fotografica di Margaret Bourke-White, alla quale intendiamo approdare. Con peso diverso, in senso di presenza quantitativa sullo schermo, almeno due sono le combinazioni degne di nota, ol tre le quali censiamo in apposito riqua dro pubblicato a pagina 16. Anzitutto, sottolineiamo la somiglianza dell’attore Ned Eisenberg con il fotogiornalista Joe Rosenthal, dell’Associated Press, che con la sua fotografia della bandiera statunitense issata sul monte Suriba chi, dell’isola di Iwo Ji ma (23 febbraio 1945), dà avvio alla trasposizione cinematografica Flags of Our Fathers, di Clint Eastwood, del 2006. Quindi, per quanto nel film Occhio indi screto (The Public Eye), di Howard Franklin, del 1992, il fotografo prota gonista si chiami Leon Bernstein (e altri sopran nomi), tra postura, mo di di agire e tanto altro ancora, non possiamo ignorare che l’interpre tazione di Joe Pesci sia stata ispirata alla perso nalità di Weegee, con annessi e connessi. An che qui, confermiamo un sostanzioso allinea mento fisico tra il perso naggio cinematografico e la realtà dalla quale ha tratto ispirazione.

15 la confezione di capi d’abbigliamento. Gandhi ripeteva che gli indiani avreb bero dovuto spezzare le catene della dipendenza filando e tessendo da sé. [...] «La segretaria ricordò a Margaret che Gandhi stava condu cendo una giornata di silenzio, e che quindi non gli si poteva rivol gere alcuna domanda. Né usare luci artificiali, non le gradiva. Ma la ca panna era troppo buia; Margaret prego che le si concedesse un mi nimo equipaggiamen to elettrico e le fu per messo l’uso di tre flash. Trovò Gandhi seduto a terra a gambe incrocia te, indossava un panno tessuto a mano intorno ai fianchi e leggeva il giornale attraverso un paio di occhialetti cer chiati di metallo. «Aveva settantasette anni, era un uomo mi nuscolo, asciutto, com pletamente calvo, e aveva sfidato il più grande impero nella storia del mondo. «Non prestò alcuna attenzione alla fotografa che aveva interrotto la sua ora di lettura, e Margaret gliene fu grata, perché la nuda stanza era molto buia. L’unica finestra, in alto, gettava raggi di luce direttamente nella sua macchi na rendendole assai disagevole il com pito, a meno di complicate manovre. «Non appena Gandhi prese a filare, Margaret usò uno dei suoi tre fla sh. Ma il lampo venne ritardato dal caldo umi do che anche in seguito, in India, rischiò sovente di sabotare i suoi sforzi. Non rimanendole che due soli flash, Margaret decise di usare la mac china con il treppiedi. Anche quest’ultimo, tut tavia, si rifiutò di colla borare: una gamba si bloccò all’altezza mini ma e un’altra alla mas sima. Dopo aver con trollato attentamente il secondo flash, Mar garet scattò a questo punto un’altra istan tanea. Funzionò tutto a meraviglia. Solo cheArchivio FOTOgraphia

Georgia O’Keeffe : Alfred Stieglitz (Jeremy Irons). Backbeat : Astrid Kirchherr (Sheryl Lee).

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ANCORA ALTRE VITE VERE Già in Soldati a cavallo, di John Ford (con John Waine; Usa, 1959), il fotografo che all’inizio del film ritrae gli uffi ciali nordisti in posa viene appellato “mister Brady”: ovve ro, Mathew B. Brady (1822-1896), che fotografò la guerra civile americana assieme a Alexander Gardner e Timothy H. O’Sullivan (e tanti altri ancora). E pure possono essere riconducibili alla realtà le figure tratteggiate nella tetralogia del filone giornalistico-rivolu zionario degli anni Ottanta: Sotto tiro, di Roger Spottiswo ode (Usa, 1983), Salvador, di Oliver Stone (Usa, 1986), Urla del silenzio, di Roland Joffé (Gran Bretagna, 1985), e Un an no vissuto pericolosamente, di Peter Weir (Australia, 1982), vicende rispettivamente ambientate tra le pieghe della guerra civile centro americana (Nicaragua e Salvador), nella Cambogia dei Khmer rossi e nell’Indonesia di Sukarno. Soprattutto, in Urla del si lenzio, è sostanziale la figu ra coprotagonista, accanto al giornalista Sydney Schan berg (l’attore Sam Water ston), del fotografo cam bogiano Dith Pran, inter pretato da Haing S. Ngor -sostanziosamente somi gliante-, poi trasferitosi ne gli Stati Uniti, alla corte del New York Times, mancato nel marzo 2008. Per quanto riguarda poi fotografi veri, trasposti al Cinema, oltre quanto già considerato nel corpo cen trale dell’attuale interven to redazionale, non si de ignorare il film Pretty Baby, del 1978, prima regia statunitense del francese Louis Malle. La sceneggia tura si è basata sulle uni che fotografie conosciute di Bellocq (Ernest Joseph? Ernest James?; 1873-1949), raccolte nel fondo Story ville Portraits, recuperato fotografo Lee Friedlan der, che ne realizzò una mo stra al Museum of Modern Art / MoMA, di New York, nel 1970, con relativo vo lume-catalogo (riedizione Bellocq. Photographs from Storyville, the Red Light Distri ct of New Orleans; Jonathan Cape, 1996 / edizione italiana Storyville Portraits [Abscondita, 2009], fedele alla prima, con anche l’introduzione di Susan Sontag alla seconda). La vicenda è ambientata -appunto- a Storyville, quartiere a luce rossa di New Orleans; e tutto ruota attorno la figura di una dodicenne Brooke Shields (Violet), la cui inconsistenza recitativa è seconda solo alla povertà del film. Altrettanto evanescente è E.J. Bellocq, interpretato da un Keith Car radine uguale a se stesso (come sempre), ma questa volta in ordine con le esigenze di copione, al quale serviva una figura eterea che facesse da spalla alla ragazzina offerta al voyeurismo popolare (il bel Keith Carradine è comunque fisicamente diverso da E.J. Bellocq, descritto da chi l’ha co nosciuto come un “nano idrocefalo, ignorato dalla gente”). In trasversalità, sempre dalla vita reale, va menzionato il film televisivo Georgia O’Keeffe, del 2009, prodotto da City Entertainment in associazione con Sony Television: regia di Bob Balaban, su sceneggiatura di Michael Cristofer. La sua presentazione ufficiale, a decodifica del titolo (che per gli americani già da solo basta, data la statura della pittrice evocata), afferma che «Her Life Was a Work of Art», ovvero La sua vita è stata un’opera d’arte La pittrice è stata anche la moglie del fotografo Alfred Stieglitz (1864-1946), che nel film ha il volto di Jeremy Irons... perfettamente somigliante.

Ancora, con sostenuta leggerezza, il carattere che Fred Astaire recitò in Ceneren tola a Parigi, di Stanley nen (Funny Face; Usa, nei panni del fotografo Avery, ha ricalcato la nalità autentica di Richard Avedon, che del resto tribuì alla produzione ste di consulente del colore e degli effetti fotografici Dick è il diminutivo gerga le di Richard). Ancora, nel film, altri richiami dal re ale (per esempio l’art di rector Dovich, in omaggio al leggendario Alexey Bro dovitch, che ha illuminato l’editoria della moda) e in terpreti prese dalla realtà: tra tante, le modelle ico niche Suzy Parker, Sunny Hartnett e Dovima (quella “con gli elefanti” in una ce lebre fotografia di Richard Avedon, del 1955). Per certi versi, anche i tratti schizoidi del prota gonista del cult Blow-Up di Michelangelo Antonioni, del 1966, avrebbero avuto una ispirazione realistica; ai tempi, si parlò di David Bailey, esponente di spic co delle contraddizioni esi stenziali e comportamen tali degli anni Sessanta. Di certo, gli interni dello studio fotografico del film furono girati proprio nella sala di posa di David Bailey, a Londra, dove è ambientata la vicenda. Ancora, e poi basta, merita una attenzione autonoma e propria la ricostruzione scenografica del passaggio da Amburgo dei Beatles, non ancora tali. Fu lì, e in quell’oc casione, che -all’inizio degli anni Sessanta- i Fab Four (ai tempi in cinque) conobbero Astrid Kirchherr, giovane al lieva e assistente di Reinhart Wolf, che realizzò ottimi ri tratti, in sessioni fotografiche appunto riproposte nel film Backbeat, di Iain Softley, del 1994 (in Italia, orrendamente Backbeat - Tutti hanno bisogno di amore), che racconta quei lontani momenti; nell’interpretazione di Sheryl Lee.

Urla del silenzio : Dith Pran (Haing S. Ngor). Pretty Baby : E.J. Bellocq (Keith Carradine).

Flags of Our Fathers: Joe Rosenthal (Ned Eisenberg). Occhio indiscreto : Simil Weegee (Joe Pesci).

17 aveva scordato di cari care la macchina. For tunatamente, l’ultima fotografia riuscì. «Da questo incubo di inconvenienti uscì una fotografia che fu in se guito riprodotta innu merevoli volte. «La silhouette dell’ar colaio in primo piano occupa tutta la metà sinistra dell’immagine. Leggermente più indie tro siede il loconcentratissimoMahatma,nelstudiodicertecarte

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tral Independent Televi sion; Usa, 1989); in origi nale, Double Exposure: The Story of Bourke-WhiteMargaret E ciò è effettivamen te: la storia della cele berrima fotoreporter di Life, così come è stata benevolmente raccon tata nel testo di Vicki Goldberg, sceneggiato da Marjorie David. Il fa scino del personaggio è ben rappresentato da una avvenente Farrah Fawcett, la cui sfortu nata carriera cinema tografica è stata forse compromessa dallo ste reotipo fissato dalla se rie televisiva originaria Charlie’s Angels Di questo film non esiste trasposizione in DVD e la videocassetta VHS è disponibile nella sola versione statuni tense. Comunque, sia mo sinceri, non si tratta di un’opera che merita particolare attenzione, che non la nostra, ma gari, che antepone la personalità fotografica a eventuali altre valuta zioni di pregio. Se pro prio vogliamo, a parte documentari su foto grafi rivolti soprattutto (soltanto) agli addetti e appassionati, que sta storia fa il paio con quella di Diane Arbus (Fur...): entrambe indi rizzano la vicenda per sonale e professionale di due grandi fotografe del Novecento verso il più ampio pubblico ci nematografico, richia mato da qualcosa che è diverso dalla sovra struttura fotografica. E a noi basta. ■ ■ In italiano, intitolato alternativamente Il coraggio di Margaret, più spesso, oppure Margaret Bourke-White, una donna speciale, più raramente, è un film televisi vo sceneggiato dalla Biografia compilata da Vicki Goldberg (in edizione italiana pubblicata da Serra e Riva Editori, nel 1988 [qui sopra, a sinistra]): interpretazione di Farrah Fawcett, regia di Lawrence Schiller (Central Independent Television; Usa, 1989); in originale, Double Exposure: The Story of Margaret Bourke-White Del film non esiste trasposizione in DVD e la videocassetta VHS [qui sopra] è di sponibile nella sola versione statunitense. Da segnalare ancora l’autobiografia di Margaret Bourke-White Portrait of Myself, pubblicata da Simon & Schuster, nel 1963; e riedizioni successive [qui sopra, a destra, la prima edizione]. (3)

Portrait of Myself, del 1963, questa Biografia di Margaret BourkeWhite, compilata da Vi cki Goldberg, è rilevante, quantomeno qui, per ché è stata usata anche per la sceneggiatura di un film televisivo che in Italia è stato spesso tra smesso in seconda o ter za serata da innumere voli emittenti locali. Inti tolato alternativamente Il coraggio di Margaret, più spesso, oppure Mar garet Bourke-White, una donna speciale, più raramente, è un film sostanzialmente fedele alla Biografia di riferimento: regia di Lawrence Schiller (Cen

che ha in grembo. Il ca po chino nella lettura, Gandhi appare come soffuso nella luce che proviene direttamente dalla finestra. «Margaret aveva com posto l’icona di un santo laico, umile, inondato di luce, e accompagnato dal simbolico arcolaio proprio come i santi so no rappresentati con i loroPiùemblemi».dell’autobiografia

grafia a soggetto deter minante e guida.

/ RIVERBERO / di Maurizio Rebuzzini PER

Contrasto/PhotosMagnum/ParrMartin©

A una identificata serie di compatte digitali furono integrate funzioni rela tive, proprio, al sorriso: per esempio, scatto bloccato se il soggetto rimane serio/serioso; per altro esempio, funzioni automatiche di Face Detection e Smi le Shutter combinate, per demandare alla macchina fotografica il momen to idoneo per scattare durante una ri unione conviviale; ancora, correzione automatica on-camera per riportare il sorriso sul volto di chi non sogghigna, come richiesto. Come anticipato, giusto tematiche di contorno all’argomento attuale del sorriso, in quanto tale. Ovviamente, nulla di tutto questo è stato considerato dall’attento Michele Smargiassi (e ci sarebbe mancato altro), che sa andare diritto al punto, mante nendo intatte le promesse di partenza -ovvero, Sorridere. La fotografia comi ca e quella ridicola-, senza deviazioni inutili, che avrebbero potuto distrarre dal cammino intrapreso, e svolto con ammirevole destrezza e competenza. Il suo pamphlet si svolge nella tradi zione della (breve) pubblicazione, scritta con intento ironico e pungente, attra verso il quale l’autore prende posizione, in questo caso sull’intera nostra società, affrontando e svolgendo un tema di stretta attualità: «il rapporto tra la foto grafia e il divertimento, oscillando tra immagini volutamente ironiche e im magini più semplicemente bizzarre» Nonostante il sostanzioso corpus di testi a introduzione e accertamento, sia chiaro che si tratta di una raccolta di immagini. I qualificati testi sono neces sari per definire i confini della materia; ma quello che più conta davvero sono le fotografie prese in considerazione, ognuna delle quali opportunamente commentata. Nell’assimilazione di que sta analisi, che consigliamo vivamen te, soprattutto a colo ro i quali si dispongo no per approfondimenti sulla Fotografia senza alcuna preclusione in preconcetto, Parole e Immagini procedono di pari passo, come sa rebbe sempre dovero so che fosse, quando e per quanto si osservano e valutano le fenome nologie discriminanti: questa attuale, tra le tante possibili. Il volume, agile in let tura, è introdotto dalla prefazione Smiling, del bravo Stefano Bartezza ghi, che dall’esterno del nostro (piccolo) mon do fotografico osserva, deduce e richiama; te stuale l’incipit: «Mi stan SORRIDERE

18 Prima di esaminare l’ottimo e coinvol gente pamphlet Sorridere, dell’autore vole Michele Smargiassi, pubblicato da Contrasto Books con il sottotitolo espli cativo La fotografia comica e quella ri dicola, è doverosa una considerazione a monte, più che a valle, della combina zione affrontata e svolta: presto detto, il sorriso legato alla ripresa fotografica. Almeno due sono i richiami da evoca re. Per quanto ci sia sempre stata chia ra la nozione, il primo lo riprendiamo da una sceneggiatura cinematografi ca che -a integrazione della propria vi cenda principale (ma non unica)- ha saputo svolgere con piglio e compe tenza anche la trasversalità fotografica di proprio contorno. Il film è One Hour Photo, di Mark Romanek, del 2002, con il compianto Robin Williams nei pan ni del frustrato Seymour “Sy” Parrish, anonimo e oscuro addetto a un mini lab di sviluppo e stampa di fotografie familiari, con tendenze psicotiche. Tra le sue tante rilevazioni a proposito del prodotto del suo lavoro, tutte di profilo alto, magari da tornare ad ascoltare, c’è quella secondo la quale la gente foto grafa solo i momenti felici, e compone album (un tempo, componeva album) di ricordi sorridenti: «Quando guardia mo i nostri album fotografici, vediamo soltanto momenti felici; nessuno scatta fotografie dei momen ti che vuole dimentica re», come se -attraverso l’insieme delle proprie istantanee- ciascuno la sci anche una indelebi le traccia di se stesso... “io c’ero”, può pensare. In allungo su questo, non ignoriamo un mo mento “tecnologico” di qualche stagione fa, di ciamo del Duemilaotto e dintorni, quando l’ubria catura da potenzialità di gitali a comoda portata, dopo decenni e decenni di fotografia “meccani ca”, (terribile)collivincolatasostanziosamenteapropriprotoinamovibili,elevòilsorrisoinfoto

■ New York, 1974 (fotogra fia di Elliott Erwitt). (pagina accanto) Torre di Pisa, 1980 (fo tografia di Martin Parr). Sorridere. La fotografia comica e quella ridicola, di Michele Smargiassi; Contrasto Books, 2020; 80 illustrazioni; 112 pagi ne 15x21cm; 22,90 euro (in copertina: Bratsk, Si beria, 1967; fotografia di Elliott Erwitt).

19 no facendo una fotografia. Mi sforzo di sorridere. Continuo a sforzarmi, anche se il fatto stesso di doverlo fare mi in nervosisce e anzi mi intristisce un po’». Quindi, puntuali le rilevazioni, tra le quali, in estratto: «Nel suo Sorridere, Mi chele Smargiassi si dedica a entrambi i sorrisi [considerati nel periodo prece dente]: quello richiesto dalla fotografia da fare e quello stimolato dalla fotogra fia mostrata». A questo punto, a onore e valore dell’intera edi zione, se serve accon tentare anche la società dello spettacolo (da e con Guy Debord), speci fichiamo le credenziali di Stefano Bartezzaghi. Figlio di Piero, celeber rimo enigmista (i suoi cruciverba sono una au tentica sfida settimana le), e fratello di Alessan dro, condirettore di La Settimana Enigmistica (pubblicata dal 1932; set timanale che vanta ben duecontocinque tentati vi di imitazione, nel 1966), e Paolo, redattore di La Gazzetta dello Sport Stefano Bartezzaghi si è laureato al Dams (Di scipline delle arti, della musica e dello spettacolo), presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, con una tesi in Semiotica, con re latore Umberto Eco. Dopo l’introduzione, sale in cattedra l’autore Michele Smargiassi, che scompone il suo passo nelle due direzioni, due sezioni, che già Stefano Bartezzaghi ha conclamato: «quella richiesta dalla foto grafia da fare e quella stimo lato dalla fotografia mostra ta». I due consistenti conte nitori sono, a propria volta, classificati da testi preven tivi; rispettivamente: Breve storia del foto sorriso / Say cheese! e Lapsus fotografici Immediatamente seguìti da quattro e sette capitoli tema tici ampiamente illustrati e ben commentati dall’autore Michele Smargiassi, fotografia per fotografia. Una delizia! Per esempio, arriviamo alla posa da annegato-suicida, di Hippolyte Bayard, che la commentò in relazione al fatto che l’ufficialità della politica francese l’avesse ignorato, pur essendo stato tra i più attenti pionieri della natura che si fa di sé medesima pittrice, per la quale aveva inventato sia un proces so autopositivo (come il dagherrotipo di Louis Jacques Mandé Daguerre, sia un sistema con negativo per succes sive stampe positive in quantità (co me il disegno fotogenico, poi calotipo, dell’inglese William Henry Fox Talbot): l’autoritratto fotografico nasce con un falso, considerato che nessun suicida può fotografare la propria salma. Con Michele Smargiassi, in avvio di Lapsus fotografici : «Inventore di un pro cedimento fotografico originale che “gli è valso grandi onori, ma neanche un centesimo”, il positivo diretto su carta, il signor Hippolyte Bayard si annegò nella Senna. Poi resuscitò e si fece un auto ritratto pieno di rimprovero per gli irriconoscenti. Quanti primati in questa fotografia, datata 18 ottobre 1840: il pri mo nudo (maschile), ma so prattutto il primo falso foto grafico dichiarato e beffardo. Grazie, monsieur Bayard, per aver dimostrato che, sapendo mentire, la fotografia possie de anche il dono dell’ironia». [Comunque, ecco il testo di Hippolyte Bayard: «Il ca davere della persona che qui vedete è quello di Monsieur Bayard, inventore del proce dimento di cui avete visto, o di cui vedrete, gli straordinari risultati. Che io sappia, era no circa tre anni che questo ingegnoso e instancabile ricercatore si adoperava per perfezionare la sua in venzione. L’Accademia, il Re e tutti co loro che hanno visto le sue fotografie che egli trovava imperfette, le hanno ammirate come voi ora le ammirate. Ciò gli ha fatto molto onore ma non gli è fruttato un soldo. Il governo, che aveva dato troppo a Monsieur Daguer re, ha detto di non poter far niente per Monsieur Bayard e il poveretto si è an negato per la disperazione. Oh! Umana incostanza! È stato all’obitorio per diver si giorni, e nessuno è venuto a ricono scerlo o a reclamarlo. Signore e signori, passate avanti, per non offendervi l’ol fatto, avrete infatti notato che il viso e le mani di questo signore cominciano a decomporsi»].Quindi,cisarebbe poco da ridere, ma! Il partigiano francese Georges Blind, fucilato a Belfort, nell’ottobre 1944 (© Collezione Casagrande / Adoc-Photos / Contrasto), dal primo delle due so stanziose sezioni del libro, quello del sorri so richiesto dalla foto grafia da fare: «All’alba di un giorno di ottobre 1944, il pompiere Ge orges Blind, membro della Resistenza france se, fu condotto a piedi dalla caserma della pri gione tedesca al luogo dell’esecuzione, il fos sato del castello di Bel fort. Lo misero, curio samente, con le spalle non al muro, ma a uno spigolo del bastione. Ri fiutò la benda. Un at timo prima dell’ordine di fuoco, Blind sorrise ai suoi assassini». [E se io muoio da par tigiano / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e se io muoio da par tigiano / tu mi devi seppellir. // E sep pellire lassù in montagna / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e sep pellire lassù in montagna / sotto l’om bra di un bel fior. // E le genti che pas seranno / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e le genti che passe ranno / mi diranno o che bel fior. // E questo è il fiore del partigiano / o bella ciao bella ciao / bella ciao ciao ciao / e questo è il fiore del partigiano / morto per la Chiusuralibertà].con le note ufficiali di pre sentazione del libro. «Chi ha stabilito la convenzione sociale del sorriso in foto grafia? È sempre stato così, oppure c’è stato un tempo in cui sorridere in foto grafia era sconveniente? Si può ridere solo nell’immagine oppure anche con l’immagine? Michele Smargiassi rispon de a queste e tante altre domande con una prosa divertente e leggera, ricca di aneddoti ed esempi inaspettati, sce gliendo, per questa avvincente storia della fotografia umoristica, numerose immagini più o meno celebri. Nadar, Elliott Erwitt, Martin Parr, Vivian Maier, fotografie storiche, leggendarie, cele berrime, scatti rubati, studiati o casuali... Sorridere diventa la prima storia della fotografia capace di farci ridere». Con Enzo Jannacci, in E l’era tardi, del 1964: «Mi surridi, lu nanca on vers». Io sorrido, lui neanche un cenno. ■

Contrasto/PhotosMagnum/ErwittElliott©

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In quella nostra lontana escursione, forza del Caso (ma ognuno si disegna il proprio), tra le tante ricerche correlate agli apparecchi fotografici giganteschi, il Destino ci fece incontrare il fotografo californiano Tim Mantoani (www.manto ani.com). La concomitanza fu generata e determinata dal suo progetto Behind Photographs (Dietro le fotografie), svolto e realizzato in polaroid 50x60cm. Incontro casuale (?), ma entusiasman te; addirittura, folgorante. Fummo affa scinati da una certa coincidenza di pre sente e passato dell’espressione visiva, nel formalismo dello scatto fotografico. Se qualcuno volesse pensare che si tratta di qualcosa di già visto, non abbia remore... è vero. Infatti, in Fotografia, da cent’ottanta anni a questa parte, assi stiamo spesso/sempre a ritorni e ricor si espressivi; per non parlare poi della Vita e dell’Arte. Del resto, il margine di invenzione pura è talmente esiguo, da non consentire molte varianti. Per cui, e a conseguenza, ciò che conta non è l’originalità a tutti i costi, ma la capacità di interpretare e svolgere un progetto. Anzitutto, conta perché svolgerlo, quin di, in proseguimento, come trattarlo ai fini della comunicazione visiva, con tutti i parametri del proprio lessico. E ci riferiamo ai contenuti, che vanno ben oltre la forma a tutti apparente.

Pubblicato in raffinata monografia, il progetto Behind Photographs, del californiano Tim Mantoani, si eleva sopra tante altre serie di ritratti di fotografi, molte del le quali si sono perse in una modestia fine a se stessa. Fantastica qualità di ritratti polaroid 50x60cm di foto grafi: ognuno rappresentato con una propria immagine simbolo, il più delle volte iconica della Storia (anche solo del costume). A un tempo discosto e abile regista, l’au tore sintonizza la propria personalità con la stessa Storia (della Fotografia). Già visto? Ma vogliamo scherzare...

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(continua a pag 25)

In valori tecnici, la Mammoth pesava seicentotrentatré chili, raggiungeva il tiraggio tra obiettivo di ripresa e lastra in esposizione di sei metri abbondanti (6,1m, per l’esattezza), tanto che servi vano quindici uomini per gestirla: per scattare su lastra di vetro sensibilizzata di 1,37x2,44m (4,5x8 piedi), custodita in châssis di duecentoventisette chili. Ser vì a fotografare un treno della Chicago & Alton Railway, con un tempo di po sa di due minuti e mezzo; si ipotizzano soltanto tre scatti, per copie a contat to presentate all’Exposition Universelle, di Parigi, dove venne loro assegnato il Grand Prize per l’eccellenza fotografica.

ANCORA ICONE

La monografia Behind Photographs. Archiving Photographics Legends, del ca liforniano Tim Mantoani, è stata pubblicata nell’autunno 2011 da Channel Pho tographics, editore d’arte di San Francisco, Stati Uniti. È disponibile in edizione standard e in confezione box, a tiratura limitata e numerata: 208 pagine 28x36cm (11x14 pollici... anche grande formato fotografico). (al centro) Con Nick Út (Huỳnh Công Út; 1951) con Vietnam Napalm Girl (Phan Thị Kim Phúc; 8 giugno 1972). di Antonio Bordoni Tempo fa, avviammo una ricerca mirata a concetti di espressività. In particola re, richiamammo apparecchi fotogra fici fuori dimensione, XL e oltre, a par tire dall’originaria Mammoth, di Geor ge R. Lawrence, del 1900, certamente la macchina fotografica più grande mai costruita. Il suo costo industriale di cin quemila dollari rappresenta una som ma enorme, per quel tempo, nell’ordi ne di un paio di milioni di euro odierni!

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Storia ormai (tra)passata? Fino al grande formato 4x5 pol lici (10,2x12,4cm), il dorso o l’apparecchio fotografico che esponeva pellicola Polaroid a sviluppo immediato ha avuto in sé gli elementi per il suo stesso trattamento. Differente mente, l’emulsione Polaroid per il massimo grande forma to standard 8x10 pollici (20,4x25,4cm), colore e bianconero, si è scomposta tra negativo, ovvero matrice da esporre in macchina mediante opportuno châssis, e positivo, da accop piare dopo lo scatto in una apposita sviluppatrice esterna. Per certi versi, e paradossalmente, l’apparecchio 50x60cm (in originale 20x40 pollici) conciliò le due diverse tecniche Polaroid di esposizione e trattamento: la macchina con la quale si espone il negativo-matrice assolveva anche l’ac coppiamento con il positivo e il relativo sviluppo della fo tografia. L’emulsione utilizzata è stata il classico colore ER, che è pure esistito in ogni confezione solita: dal filmpack 8,6x10,8cm alle piane 4x5 pollici (singole o a filmpack), al massimo 8x10 pollici. Nel dorso della camera 50x60cm, che provvedeva all’esposizione del negativo-matrice e al suo successivo accoppiamento con il positivo, si caricava no le due singole bobine di materiale. In alto, stava quella del negativo, in quantità per quarantacinque esposizioni; e in basso, quella del positivo, in lunghezza per quindici pose 50x60cm. Quindi, in prossimità della bobina di carta positiva, venivano sistemate le capsule che contenevano il chimico per il trattamento. tare in posizione il negativo-matrice, mentre il fotografo dirigeva la ripresa, scattando con l’immancabile flessibile collegato all’otturatore centrale dell’obiettivo. Dopo l’esposizione, si sviluppava la fotografia. Una leva sul lato del dorso dell’apparecchio portava in posizione la capsula dei chimici: tra il negativo-matrice esposto e il po sitivo sul quale trasferire l’immagine. Quindi, i due materiali venivano estratti simultaneamente dal dorso, laminandosi tra di loro mediante il chimico catalizzatore e passando per gli immancabili rulli di sviluppo al titanio. Dopo i sessan ta-ottanta secondi di accoppiamento (in base alla tempe ratura ambiente), si provvedeva allo spellicolamento, con l’apparizione della magica fotografia polaroid: il risultato era visibile qualche istante dopo lo scatto. La camera Polaroid 50x60cm produceva immagini di grande formato perfettamente definite, perché si tratta va di esposizioni originali (in macchina) e non di stampe da negativi più piccoli. L’apparecchio pesa circa 90kg. Nell’uso, la camera si sposta lateralmente; può alzarsi e abbassarsi e può essere inclinata verso il soggetto. Il piano dell’obiettivo può anche essere decentrato e basculato attorno i due assi verticale e orizzontale; si possono realizzare soltanto inqua drature verticali (il solo Davide Mosconi, durante un tour italiano, la ribaltò per realizzare inquadrature orizzontali).

24 IPERFORMATOCOMUNQUE

In dotazione, la Polaroid 50x60cm ha una serie di obiettivi che comprende anche Fujinon CS 600mm f/11,5 Tim Mantoani ha realizzato i suoi ritratti di Behind Photographs con la Polaroid 50x60cm, che ha contribuito a scrivere importanti capi toli della Storia contemporanea della Fotografia. In alternativa, soprattutto per sessioni in location, ha usato una analoga Wisner folding.

Questa serie fotografica è qualcosa di più, perché migliore, di altri svolgimenti analoghi dei quali siamo a conoscenza. Non si tratta tanto di aver appagato il gu sto (feticistico) del dietro-le-quinte, come qualcuno si è concentrato a fare (maga ri, anche svolgendolo bene), quanto di assommare se stesso come autore alla schiera di autori individuati e fotografati. Se vogliamo anche vederla in questo modo, dopo aver selezionato i propri sog getti, Tim Mantoani ha compiuto una ammirevole azione fotografica, anzi due, in simultanea. Anzitutto, si è fatto da par te, e -discosto- ha lasciato le luci della ribalta ai protagonisti delle sue inqua drature/composizioni/rivelazioni; quindi, scatto dopo scatto, inquadratura dopo inquadratura, soggetto dopo soggetto, ha contrassegnato l’intero progetto con l’indelebile marchio della sua eccellen te personalità fotografica. Così agendo, autore tra autori, Tim Mantoani ha posto solide basi per iscri vere anche il proprio nome nella Storia (della Fotografia), per consegnarsi al futuro, nello stesso momento nel qua le ha rimarcato la legittima presenza dei suoi soggetti. Per buona pace.

(continua da pag 21)

■ ■ Tim Mantoani con il re porter Bill Eppridge (19382013) e la sua immagine iconica dell’assassinio del senatore Robert F. Ken nedy (Los Angeles; 6 giu gno 1968). (a pagina 20) Nick Út (Huỳnh Công Út; 1951) con Vietnam Napalm Girl (Phan Thị Kim Phúc; 8 giugno 1972). (doppia pagina 22-23, dall’alto e da sinistra) Douglas Kirkland (1934) con una iconica Marilyn Monroe, dalla serie Una notte con Marilyn, riuni ta anche in monografia omonima. Elliott Erwitt (1928) con una delle sue celebri fo tografie di cani, forse la più celebre (New York City, 1974). Mary Ellen Mark (19402015) con Ram Prakash Singh with His Elephant Shyama (Great Golden Circus; Ahmedabad, In dia, 1990). Harry Benson (1929) con gli iconici Beatles (1964). Phil Stern (1919-2014) con il suo ritratto di Marilyn Monroe, del 1953. John Loengard (19342020) con Georgia O’Keef fe al Ghost Ranch (1968). Neil Leifer (1942), eccezio nale fotografo di sport, con il knocks out con il quale Muhammad Ali ha sconfitto Sonny Liston, alla St. Dominic’s Arena, di Lewiston, nel Maine, il 25 maggio 1965. William Wegman (1943) con uno dei suoi brac chi di Weimar.

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Raccolto, nel 2011, in una affascinan te monografia d’autore pubblicata da Channel Photographics, Behind Pho tographs, di Tim Mantoani, si manife sta e concretizza in una incessante e avvincente serie di ritratti di fotografi che tengono tra le mani una propria fo tografia simbolica e iconica, spesso la fotografia che ne riassume e identifica l’intera carriera, sempre un’immagine in qualche misura storica, in assoluto o del costume. Tutti sono immancabil mente inquadrati in composizioni pola roid 50x60cm: la forma per il contenu to, dalla tecnica alla creatività, fate voi. In un certo senso, per quanto soprat tutto limitato a una visione irrinunciabil mente americanocentrica, con poche e minime escursioni oltreconfine, si trat ta di un consistente attraversamento della Storia contemporanea della Fo tografia, soprattutto di reportage (va rilevato) e qualcosina oltre. Però! Però, diavolo, quanta commozione esplode da queste immagini, quanta emozio ne trasmettono queste immagini, so prattutto a coloro i quali, noi tra questi, distinguono i soggetti e riconoscono i tratti del linguaggio fotografico. Dopo di che confessiamo, registriamo e sottolineiamo il piacere di vedere in faccia, de visu, per visione diretta, con i propri occhi, i fotografi autori... seppure anagraficamente a distanza di decen ni dallo scatto che li ha consegnati alla Storia. Sì, in questo senso, si manifesta anche un poco di feticismo, che comun que ci sta tutto e bene: l’identificazione del personaggio, solitamente nascosto dietro la propria macchina fotografica, che improvvisamente e baldanzosamen te si presenta davanti all’obiettivo.

Vogliamo dirla tutta? E diciamola, non per minimizzare o sminuire il la voro dell’illustre Tim Mantoani. Al contra rio, per esaltarlo, iscrivendolo nel lungo e coinvolgente capitolo della raffigura zione consapevole di fotografi (rappre sentazione posata). Tratteggiati per se stessi o nel gesto della propria azione fotografica, ritratti e autoritratti di foto grafi compongono un casellario vasto ed eterogeneo, magistralmente arric chito dal progetto Behind Photographs, di Tim Mantoani (grazie!).

THISISN’TAFASHIONPROJECT #MFTPU/prolabmilano.com/simonenervi.com/mothlab.net/ PRO*LABPRODUCTIONPRESENTSASIMONENERVIFASHIONFILM“MURDERSFROMTHEPARALLELUNIVERSE2.7JX149K”STARRINGSASHALIZ WITHKOTRYNAMALAKAUSKAITE,KSENIIAPAVLOVA,POLLYDMITRIEVNA,DEMITHOMSEN,GABRIELAILIESCU,QIMANCAI,ANDREAGASPAR,EWELINADUBIEL, ALESSANDRAZENUCCHI,GABRIELEZILIONYTEMAKE-UP&HAIRSUPERVISORMARADEMARCO,CARLOCONCATOMAKE-UP&HAIRBYBEATRICEMAZZA,PAOLACRUDO,GIULIA GABBANA,VITTORIALADAGA,DARIABOSCARELLI,ANNAFONDERICO,FELICIABOETTCHER,MARYRADRIZZANI,MICHELAGIAVAZZI,OTTAVIATESTACASTINGBYPRO*LAB PRODUCTIONMUSICBYLUCABERNABEI@MOTHLABDIRECTORASSISTANTSDANIELADAMIANO,FILIPPOREBUZZINI,SIMONELIVRAGHI,TAMARAMESTRINEREXECUTIVEPRODUCER ROMINACAROTTID.O.P&EDITORSIMONENERVISPECIALTHANKSTOSARATIETTOAGENCYANGELAMARCATOFOR,FASHIONDIEGODOSSOLA@ULTRÀCHIC, GIULIAZENUCCHI,ELEONORACIATTA,FRANCESCASICARI,PIERMATTEODELLACALCE,RUNMANAGEMENT,GDMAJORMILANO ARTDIRECTION&STYLINGBYCARLOCONCATO,MARADEMARCOPRODUCERPRO*LABPRODUCTIONWRITTEN&DIRECTEDBYSIMONENERVI IMAGING FORALEXYS ORIGINALSOUNDTRACK:

THIS ISN’T A FASHION PROJECT

#MFTPU / prolabmilano.com / simonenervi.com / mothlab.net / PRO*LAB PRODUCTION PRESENTS A SIMONE NERVI FASHION FILM “MURDERS FROM THE PARALLEL UNIVERSE 2.7JX149K ” STARRING SASHA LIZ WITH KOTRYNA MALAKAUSKAITE, KSENIIA PAVLOVA, POLLY DMITRIEVNA, DEMI THOMSEN, GABRIELA ILIESCU, QIMAN CAI, ANDREA GASPAR, EWELINA DUBIEL, ALESSANDRA ZENUCCHI, GABRIELE ZILIONYTE MAKE-UP & HAIR SUPERVISOR MARA DE MARCO, CARLO CONCATO MAKE-UP & HAIR BY BEATRICE MAZZA, PAOLA CRUDO, GIULIA GABBANA, VITTORIA LA DAGA, DARIA BOSCARELLI, ANNA FONDERICO, FELICIA BOETTCHER, MARY RADRIZZANI, MICHELA GIAVAZZI, OTTAVIA TESTA CASTING BY PRO*LAB PRODUCTION MUSIC BY LUCA BERNABEI @ MOTHLAB DIRECTOR ASSISTANTS DANIELA DAMIANO, FILIPPO REBUZZINI, SIMONE LIVRAGHI, TAMARA MESTRINER EXECUTIVE PRODUCER ROMINA CAROTTI D.O.P & EDITOR SIMONE NERVI SPECIAL THANKS TO SARA TIETTO AGENCY ANGELA MARCATO FOR FASHION, DIEGO DOSSOLA @ ULTRÀCHIC, GIULIA ZENUCCHI, ELEONORA CIATTA, FRANCESCA SICARI, PIERMATTEO DELLA CALCE, RUN MANAGEMENT, GD MAJOR MILANO ART DIRECTION & STYLING BY CARLO CONCATO, MARA DE MARCO PRODUCER PRO*LAB PRODUCTION WRITTEN & DIRECTED BY SIMONE NERVI IMAGINGFOR ALEXYS ORIGINAL SOUNDTRACK:

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29 di Maurizio Rebuzzini Più che eccellente fotografo di moda, lo scrupoloso Simone Nervi (1980) vi applica sempre interpretazioni fantastiche, indifferentemente realizzate in sola costru zione scenica, in ripresa, o con mirate post-produzioni in camera chiara: oltre che proprio stilema espressivo di grande personalità e identità, entrambi gli svolgi menti coabitanti sono specchio e linguaggio dei no stri tempi. In questo cammino, le sue affascinanti vi sioni rispondono soltanto, non soprattutto, a un suo mondo esistenziale (parallelo?) che nasce nella sua Mente, guidato dal suo Cuore. In misura stupefacente ed emozionante, i progetti visivi di Simone Nervi rispondono appieno alla chia rificazione semplificata (ma non banalizzata) con la quale il singolare designer Bruno Munari ha sinte tizzato il processo della creazione artistica. Sia i suoi svolgimenti indirizzati e finalizzati di incarichi profes sionali, sia i voli individuali in propria creatività sen za mandato assolvono le consecuzioni predisposte, ognuna coerente con le altre: «Fantasia: tutto ciò che prima non c’era, anche se irrealizzabile. Invenzione: tutto ciò che prima non c’era, ma esclusivamente pra tico e senza problemi estetici. Creatività: tutto ciò che prima non c’era, ma realizzabile in modo essenziale e globale. Immaginazione: la fantasia, l’invenzione e la creatività pensano, l’immaginazione vede». Se vogliamo aggiungere altro, da e con Franco Bat tiato: «E il mio maestro mi insegnò com’è difficile tro vare l’alba dentro l’imbrunire». Ora, considerata la cadenza di questo svolgimento mirato, così estranea a qualsivoglia credito visivo già concordato tra autore e osservatori, per essere inserita nel proprio intreccio, l’attuale selezione di immagini di Simone Nervi richiede spiegazioni formali. Non un distacco dal loro aspetto visivo a favore di altre analisi teoriche in motivazione e/o giustificazione, ma pro prio una identificazione di ruolo.

Murders From the Parallel Universe 2.7JX149K è stato svolto con due linguaggi conviventi, ciascuno dei quali ha prodotto materiale creativo proprio: pro getto fotografico editoriale moda e fashion film. L’i deazione di Simone Nervi si è avvalsa di contributi professionali specifici e mirati: produzione Pro*Lab Production (www.prolabmilano.com); musiche origi nali di Luca Bernabei (MothLab; www.monthlab.net); direzione artistica Carlo Concato e Mara De Marco (ancora, Pro*Lab Milano).

Nell’ambito della creatività di Simone Nervi, que sto è il primo progetto che si svolge nell’Universo Pa rallelo 2.7JX149K, nel quale sono attive leggi e rego le fisiche, quantistiche e morali simili a quelle della Terra... esclusi alcuni aspetti, più o meno sostanziali. Per questo progetto fotografico e video, vanno pre cisate quattro differenze sostanziali; almeno quattro: al novantanove e otto percento (99,8%), il dna della popolazione dell’Universo Parallelo 2.7JX149K è pa ri al nostro; gli abitanti di 2.7JX149K sono immortali; l’omicidio è uno Sport Olimpico; il loro sangue è blu.

In Murders From the Parallel Universe 2.7JX149K, Simone Nervi racconta dieci omicidi, attraverso al trettante dieci scene del crimine, che coinvolgono un unico serial killer dell’Universo Parallelo. Più propria mente, si rivela la personalità di K -la serial killer-, che la porta a vincere la medaglia d’oro alle Olimpiadi. (continua a pagina 33)

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Domanda lecita: l’identità d’autore con la quale Si mone Nervi elimina in un sol colpo le parole inutili sulla fotografia creativa ed espressiva è/sarà anche operazione capace di convincere la più approfondita e qualificata discussione sulla Fotografia? Sulle sue emozioni, sulle sue fantastiche visioni, sulla sua coin volgente e appassionante mediazione? In effetti, ipotizziamo che in un’epoca -quale è la nostra odierna- nella quale produrre “belle” fotografie inutili è più che facile, scontato addirittura, la Parola dovrebbe poter andare oltre, fino a occuparsi della sostanza dell’immagine: il suo Tempo, Spazio, Anima. E tanto altro, ancora.

Nello specifico, il fashion film scandisce tempi e modi del percorso di K verso la vittoria di K; mentre le fotografie si limitano ai suoi omicidi e alle sue vittime. [Se vogliamo esprimerci anche noi in “parallelo”, approdiamo al soggetto del film italiano La decima vittima, del 1965, diretto da Elio Petri, tratto dal bre ve racconto di fantascienza La settima vittima (The Seventh Victim), di Robert Sheckley (pubblicato in Italia nell’antologia Le meraviglie del possibile, a cu ra di Carlo Fruttero e Sergio Solmi; Einaudi, 1959)].

Per Simone Nervi, l’odierno Murders From the Pa rallel Universe 2.7JX149K -qui in presentazione- è il primo capitolo della Trilogia dei Murders; il secondo capitolo, Don’t Panic, è già stato realizzato e presen tato al pubblico; il terzo e conclusivo è in fase di pro duzione. Quindi, in concomitanza con la Trilogia dei Murders, altri progetti hanno preso vita e sono in fa se di elaborazione nell’Universo Parallelo 2.7JX149K, come Liquid Souls e Soul Takers, che a propria volta sottolineano altri aspetti di diversità dal nostro mondo. Per il momento, e sempre da un osservatorio for male, va segnalato che il fashion film Murders From the Parallel Universe 2.7JX149K è stato selezionato da qualificati Fashion Film Festival internazionali, tra i quali Barcellona Fashion Film Festival (dove si è af fermato vincitore nella categoria Best Fashion New Talent), Canadian International Fashion Film Festi val, Bokeh Fashion Film Festival e Porto Fashion Film Festival. Il progetto è stato inizialmente creato come prospetto finale dell’Accademia Professionale di Ma ke-Up Pro*Lab Academy, fondata da Carlo Concato e Mara De Marco; e lo stesso è per gli altri piani di la voro realizzati e in fase di produzione nel fantastico Universo Parallelo 2.7JX149K, con hastag principale #MFTPU sulle piattaforme social. Dalla forma, al contenuto, come di dovere. Autore di statura, Simone Nervi progetta e realizza selezionate e qualificate serie di fotografie definite da personalità proprie interiori più che particolari. Al cospetto della sua esuberante creatività, che stabili sce un punto fisso che scarta a lato ogni sovrastrut tura e codifica termini e spessore della ricerca foto grafica contemporanea, è opportuno riflettere sulla sostanza della questione.

FASHION SOLOFILMONLINE/ / /QR code (continua da pagina 29)

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Simonesimonenervi.comsimonenerviNervi

34 Tecnologia), presenta due proposte fotografiche in certo modo complementari. L’attualità dei finalisti (e vincitrice) all’autorevole Mast Photography Grant on Industry and Work 2020 si accompagna all’intrigante Inventions, sele zione di fotografie storiche provenienti da autorevoli archivi internazionali. Considerazioni mirate e valutazioni atten te sul presente, in propria coincidenza con certo passato (2)EcheverríaAlinka©Mast

35 AL PRESENTE (E PASSATO)

36 di Lello Piazza Mercoledì sette ottobre, ore Undi ci, speriamo il primo anno e l’ulti mo dell’Era Covid-19. Sta per inizia re uno Zoom Meeting online per la presentazione di due importanti eventi fotografici dell’autunno 2020 (speriamo che...). Il primo riguarda la proclamazione del vincitore del Mast Photography Grant on Indu stry and Work 2020 e la presenta zione della mostra dedicata ai la vori dei cinque finalisti. Il secondo riguarda una mostra sin golare e intrigante, Inventions, alle stita nella Gallery/Foyer dello stesso Mast (Manifattura di Arti, Sperimen tazione e Tecnologia), di Bologna. Te ma della mostra: ampia selezione di fotografie provenienti dall’Archive of Modern Conflict, di Londra, e dagli Archives Nationales di Francia, di pendenti dal Ministère de la Cultu re [beati loro!], che conservano, cu stodiscono e archiviano invenzioni realizzate e fotografate in Francia tra le due guerre mondiali, presso l’Offi ce national des recherches scientifi ques et industrielles et des inventions (solitamente semplificato in Office des inventions), su iniziativa di Ju les-Louis Breton (1872-1940), nel pri mo Novecento a capo del Sous-se crétariat d’État aux Inventions.

Il primo evento è di gran lunga il più rilevante. Prima di cedere la parola a Isabella Seràgnoli, presidente della Fondazione Mast, vorrei ricordare la sua figura di imprenditrice, filantro pa, creatrice della omonima Fonda zione e, soprattutto, della Fondazio ne Mast (Manifattura di Arti, Speri mentazione e Tecnologia): rivolta ai giovani, soprattutto del bolognese. Sua missione primaria è quella di sti molare il loro interesse per il mon do industriale, la tecnologia, princi palmente meccanica, e l’attività im prenditoriale. Missione da realizzare attraverso l’arte e la fotografia. «Già prima della creazione della Fondazione Mast -racconta Isabella Seràgnoli- era nelle mie intenzioni creare un luogo di raccolta per la fotografia dedicata all’industria e al mondo del lavoro. Ormai, da più di dieci anni, all’interno di questo pro getto, è stata pensata e realizzata un’iniziativa biennale che individua giovani fotografi internazionali in (pagina accanto, al centro, in alto) Maxime Guyon, Aircraft : Catena di mon taggio Airbus, 2019. (pagina accanto, al cen tro, in basso) Pablo López Luz, Baja Moda XCIII , Ecuador, 2019. (pagina accanto, a de stra) Aapo Huhta, Sor row?, Very Unlikely, 2019. Chloe Dewe Mathews, For a Few Euros More : Ci mitero dei film western di Sergio Leone, 2019. (doppia pagina prece dente) Alinka Echever ría, Apparent Femininity, vincitrice al Mast Pho tography Grant on In dustry and Work 2020 : Unnamed XII, Ada, 2020; Madeleine (da Hélène), 2020; allestimento.

MathewsDeweChloe©

GuyonMaxime© HuhtaAapo©LuzLópezPablo©

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Mast Pho tography Grant on In dustry and Work 2020 : 206 pagine 16,5x20,7cm; 30,00 euro.

grado di proporre progetti origina li in linea con i temi che poi hanno caratterizzato le iniziative espositi ve della Fondazione stessa». Presento brevemente i cinque fi nalisti, cominciando dalla vincitrice Alinka Echeverría. Trentanove an ni, nata a Mexico City, ma basata in Gran Bretagna (www.alinkaechever ria.com), attraverso una serie di col lage e animazioni digitali, propone una riflessione sul ruolo della don na tra presente e passato nel cam po dell’industria cinematografica e dell’informatica. Si tratta di rie laborazioni di originali provenien ti dagli archivi di collezioni private, dalla Collezione dello stesso Mast e dalla collezione della Academy of Motion Picture Arts and Sciences, di Los Angeles, California. Fotografia in stile documenta ristico tradizionale, invece, quella di Chloe Dewe Mathews, trentotto anni, britannica (www.chloedewe mathews.com), sui danni ambien tali causati dall’agricoltura intensi va praticata nel cosiddetto Mar de Plástico, il “mare di plastica”, circa Spagna meridionale, entro i quali, oggi, si produce la metà di frutta e verdura consumata in Europa. Il titolo del suo lavoro, For a Few Eu ros More (Per qualche euro in più), si ispira al film Per qualche dollaro in più, di Sergio Leone, del 1965, che per gli esterni dei propri western ha utilizzato giusto questi luoghi. In puro e rigoroso still life commer ciale, le fotografie di Maxime Guyon, trent’anni, francese (https://maxime guyon.com), giocano su dettagli cat turati da oggetti della tecnologia e del design industriale. Le imma gini qui presentate rappresentano una piccola parte di quanto pub blicato nella monografia Aircraft: The New Anatomy (Lars Muller Pu blishers, maggio 2020, 120 pagine 22,6x28,7cm; 30,00 euro). A nostro modesto avviso, il lavoro più debole è quello della serie Baja Moda (Bassa moda), del messica no Pablo López Luz, di quarantu no anni, (www.pablolopezluz.com): una serie di immagini minimaliste che ritraggono vetrine di negozi di abbigliamento dell’America Latina. Mast Photography Grant on Industry and Work 2020; cinque finalisti, una dei quali vincitri ce; a cura di Urs Stahel. Mast PhotoGallery (Ma nifattura di Arti, Spe rimentazione e Tec nologia), via Speran za 42, 30133 ▶10,00-19,00.martedì-domenica,Finomastphotogrant.com.www.mast.org;Bologna;www.al3gennaio2021;Catalogo

Dell’altra mostra, Inventions, ri chiamata in apertura -selezione di fotografie provenienti dall’Archive of Modern Conflict, di Londra, e da gli Archives Nationales di Francia Inventions, a cura di Lu ce Lebart, selezione da archivi storici: Torretta per l’osservazione de gli uccelli e dei velivoli, di Jules-Louis Breton e Paul Breton; 10 ottobre 1930 (Archives nationa les, Francia). (al centro, in alto) Ma schera antigas per ca valli; 1917-1918 (Archives nationales, Francia). (al centro, in basso) Cin golato del signor Caufer; 1917-1918 (Archives na tionales, Francia). (pagina accanto) Lo stu dio come teatro di posa; 1917-1918 (Archives na tionales, Francia).

38 go di presentazione del concorso Photography Grant on Industry and Work 2020, a cura di Urs Stahel, le immagini «affrontano metamorfosi e deformazioni nel settore del com mercio che portano alla scomparsa dei cicli locali di produzione e ven dita a vantaggio di processi e atto ri globali». Insomma, uno sguardo su una cultura popolare che sva nisce, sulla omologazione indotta dall’industria globale della moda... certamente, su tanto altro ancora. Infine, il progetto fotografico più misterioso, quello che sono riusci to a apprezzare di meno. L’autore è Aapo Huhta, trentacinque anni, finlandese (https://aapohuhta.com). Le sue installazioni visive e sonore sono raccolte sotto il titolo Sorrow? Very Unlikely (Dolore? Molto impro babile). Nella comprensione delle sue opere non mi ha aiutato nep pure la presentazione in catalogo. Ne riporto un breve brano: «Le fo tografie che ritraggono il paesaggio rurale finlandese, con i suoi villaggi cresciuti in armonia con la natura, le tradizioni trasmesse da una ge nerazione all’altra, le azioni semplici, banali, lontane anni luce dalle cor renti e dalle tendenze globalizza te, vengono analizzate cinque volte da sistemi di riconoscimento delle immagini basati su algoritmi e, in correlazione con la probabilità che vi si verifichino determinati eventi, accompagnate dal commento apa tico e distaccato di un sintetizzatore vocale. La molteplicità, l’ambivalen za, la contraddittorietà di ciò che è organico viene misurata da algorit mi di precisione binaria 0-1, con il risultato che due mondi si sfiorano senza tuttavia percepire niente di fondamentale l’uno dell’altro».

Questi, dunque, i giovani fotografi finalisti, selezionati tra quarantaset te candidati provenienti da tutto il mondo. Le loro opere, attualmen te presentate nella mostra allesti ta nella PhotoGallery, entrano poi a far parte della Collezione storica di fotografia industriale della Fon dazione Mast, curata da Urs Stahel.

39 curata da Luce Lebart con la colla borazione di Urs Stahel-, posso dire solo meraviglie. Come spiega la cu ratrice «Si tratta di un archivio visivo che colpisce per la sua fantasia, gli accenti umoristici e la libertà nello svelare i codici dell’oggettività foto grafica. L’elemento comico è tanto più inatteso in quanto si inserisce in un contesto industriale e scientifico. Come al cinema, queste scene foto grafiche ci raccontano delle storie». Concordo. La mia cultura fotogra fica è cresciuta sugli stilemi tradizio nali, il che mi rende impreparato a capire lavori contemporanei come quelli di Aapo Huhta e Pablo López Luz, appena menzionati. Le fotogra fie che mi rassicurano e, alla fine, mi piacciono sono quelle che mi parla no da sole e che, per essere capite e forse apprezzate, non richiedono la lettura delle parole che accompa gnano il progetto che le ha genera te. A questo criterio soddisfano ap pieno le immagini del convincente progetto Inventions In modo grossolano (ma non è det to) voglio dire che sposo le illumi nanti righe dell’autorevole storica dell’arte, storica della filosofia, acca demica e curatrice Angela Vettese, tratte da Capire l’arte contempora nea (Umberto Allemandi & C, 1996 / riedizione aggiornata Capire l’arte contemporanea. La guida più imi tata all’arte del nostro tempo; Um berto Allemandi & C, 2016): «Più in generale, il progressivo distaccarsi delle opere dal loro aspetto mera mente visivo per concentrarsi su gli elementi mentali, ha fatto sì che i testi scritti si rendessero sempre più necessari come veicolo di in troduzione e spiegazione. Citando ancora Rosenberg, possiamo dire che un quadro o una scultura con temporanei [senza alcuna ombra di dubbio, aggiungerei la fotografia], sono una specie di centauro, fatto per metà di materiali artistici e per metà di parole». Tanto è. ■ ■ Inventions, a cura di Luce Lebart; selezio ne di fotografie pro venienti dall’Archive of Modern Conflict, di Londra, e dagli Archi ves Nationales di Fran cia. Mast ▶10,00-19,00.martedì-domenica,nogna;ranzaTecnologia),Sperimentazione(ManifatturaGallery/FoyerdiArti,eviaSpe42,30133Bolowww.mast.org.Fial3gennaio2021;Catalogo Inventions : 56 pagine 14,7x22cm. SOLOONLINE/ / /QR code MAST

40 DA VENTIMILANOMINUTI

Intenso progetto fotografico di Giancarlo Carnieli, a un tempo coinvolgente e convincente. Ottimo, il suo svolgimento, ade guatamente distante dalla retorica conformista del lavoro nei campi e in cascina, così come estraneo dall’enfasi stereotipata dell’agricoltura e dell’allevamento di animali. A soli 20’ to Milan, che equivalgono a una dozzina di chilometri, o poco più, o poco meno, ha individuato archetipi eredi di una storia anti ca, immutata negli anni, nei decenni e, certamente, nei secoli

GIANCARLO CARNIELI

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41 di Angelo Galantini In metafora, circa . Nel cine ma e nella letteratura, gli au tori guidano e governano le emozioni del proprio pubblico, spettatori e lettori. Alternati vamente, fanno solidarizzare con il presunto “cattivo”, per ché agisce in base a princìpi che possiamo anche condivi dere; così come, in ritmo alter nato, nei polizieschi, secondo intenzioni, dipingono al po sitivo o al negativo le forze di polizia... e noi, lì a concor dare con i loro pre-concetti. In Fotografia, succede esattamente lo stesso, quasi. Comunque si consideri il linguaggio applicato, l’Autore agisce in relazione e dipendenza di qualcosa che in tende raggiungere e sottolineare, tralasciando, magari, aspetti complementari che potrebbero indurre l’osser vatore in altre direzioni che non quelle perseguite. Nul la di grave, sia chiarito, perché qualsiasi comunicazio ne è regolata dal trasmittente, non necessariamente a scapito del destinatario. In generale, l’insieme delle azioni della Fotografia è indirizzato al meglio, ed è svol to con intenzioni coinvolgenti, non certo divergenti. Tutto questo per considerare in misura equa l’affa scinante progetto 20’ to Milan, magistralmente svolto dall’attento Giancarlo Carnieli (1973). Per chi è estraneo ai simboli delle unità di misura, decodifichiamo subito il titolo: Venti minuti da Milano, nel senso di una dozzina di chilometri dalla città. E non si tratta di una (falsa) promessa da immobiliarista che cerca di vendere abitazioni nei pressi del capoluogo lombardo, ma di una (assolta) intenzione di avvicinare e registrare in Foto grafia realtà che distano pochi chilometri da un complesso centro urbano, mantenendo in se stesse tradizioni antiche, ancora oggi ripetute. Come è intuibile, Giancarlo Carnieli non si è rivolto verso aree urbanizzate ai margini della città, peraltro una ugua le all’altra, peraltro nessuna degna di alcuna nota, ma ha individuato una quantità e qualità di permanenza contadina senza tempo... ai margini della megalopoli. Ottimo il suo svolgimento, distante dalla retorica conformista del lavoro nei campi e in cascina, così come estraneo dall’enfasi stereotipata dell’agricoltu ra e dell’allevamento di animali. Certo, questi sono in definitiva i suoi soggetti, oggi uguali a ieri l’altro, per quanto inaspettati a soli 20’ to Milan, eredi di una sto ria antica. Ma i suoi stessi soggetti non raffigurano soltanto se stessi, come apparentemente anche fan no, ma rappresentano un archetipo immutato negli anni, nei decenni e, certamente, nei secoli. Per cui, in approfondimento di intenzioni, progetto e svolgimento, un avvertimento: andando nelle situazioni fotografate da Giancarlo Carnieli non è affatto certo che

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43 ognuno possa vedere nel mo do in cui lui ha rappresentato. Tra la realtà e la sua rappresen tazione non c’è di mezzo tan to uno strumento -che pure c’è-, ma la capacità d’autore di utilizzarlo in base e relazione alle proprie intenzioni. Non scomodiamo i grandi fotografi-pensatori, che sono stati anche capaci di codificare il proprio impegno fotografico e quello altrui, ma due citazio ni si impongono sopra tutte. Con Edward Steichen, nel 1969: «Missione della fotogra fia è spiegare l’Uomo all’Uomo, e ogni Uomo a se stes so». E questo è quanto compiuto da Giancarlo Car nieli, realizzando e confezionando il suo 20’ to Milan Con Lewis W. Hine, nel 1909: «La fotografia è verità, ma anche i bugiardi possono fotografare». E anche questo è quanto compiuto da Giancarlo Carnieli, consapevo le di applicare un linguaggio, un lessico, una comu nicazione della quale controlla e applica le modalità. E qui, e ora, è doveroso indagare sul senso e valore di questa raccolta fotografica del talentuoso autore, appassionato interprete della Fotografia, con consi stenti frequentazioni della rappresentazione del reale, dal reale. Al cospetto della incessante sequenza di im magini omologate, il tragitto è definito e identificato. Nel e per realizzare 20’ to Milan, Giancarlo Carnieli è stato guidato da ciò che lo ha toccato e sorpreso.

Le fotografie possono appa rire enigmatiche. Alle volte, funzionano per ciò che è pre sente nell’inquadratura, altre volte per ciò che ne è resta to fuori. Non c’è una formu la per scattare fotografie. È un processo misterioso; una sfida senza fine. Nuove idee si schiudono costantemente e rinnovate possibilità si rive lano dietro ogni angolo. La soluzione è di aprirsi abba stanza per riconoscerle nel momento in cui appaiono, sa perle condurre e perseguirle. Lo immaginiamo, concentrato, quando (sempre!) applica quella messa in scena che compone la base ideologica del lessico fotografico, che eleva l’illusione a motivo conduttore. Del resto, da nessuna parte è l’arte, anche quella fo tografica, se al centro della propria espressione non mette la verità e la felicità di ognuno: qualsiasi cosa questo significhi per ciascuno di noi. ■ ■ Giancarlo giancarloiannisgiancarlocarnieli.comCarnielikazzoridiscarnielifotografo 20’ TO MILANSOLOONLINE/QR code

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Per quanto proditoriamente sac cheggiata in certa oscurità degli an ni Sessanta (lo sappiamo per certo), la Fondazione Ferrania, oggi Fon dazione 3M, è un prezioso archivio di materiale fotografico che appar tiene alla Storia del nostro paese. Edificata sulla base dell’esperien za originaria CiFE (Centro Informa zioni Ferrania), che in quegli stessi anni Sessanta aveva addirittura una sede milanese aperta al pubblico, in pieno centro città, la Fondazione si muove con agilità e intelligenza dando senso compiuto a una iden tificata serie di Fondi storici ben custoditi, ai quali si sono aggiunti apporti temporalmente più vicini: citiamo, tra gli altri, i Fondi Ghitta Carell, Alessandro Sommariva, Chia ra Samugheo, Elio Luxardo, Giovan ni Verga, Virgilio Carnisio, Gabrie le Basilico, Silvia Amodio, Alberto Bregani e Ferruccio Leiss. Insomma, c’è stato un tempo durante il quale la partecipazione dell’industria produttrice alla Foto grafia -propria materia istituziona le- è stata convinta e attiva, anche sul piano culturale... diciamola così. Quindi, nel corso degli anni, ma teriali custoditi dalla Fondazione sono stati individuati e selezionati per allestimenti di mostre a tema di fascino e contenuti inviolabili. Senza addentrarci nella succes sione di fabbriche e fusioni di inizio Novecento (Film - Fabbrica Italia na Lamine Milano / Pathé Frères / Cappelli / Tensi...), all’approdo del marchio Ferrania si creditano pel licole fotografiche (tra le quali Fer raniacolor, il primo negativo a colori europeo) e cinematografiche (che hanno scandito la luminosa epo pea del cinema italiano del secondo dopoguerra); e ci sono anche state macchine fotografiche popolari di grande successo commerciale, per le quali non va mai dimenticata la leggendaria Eura Ferrania 6x6cm, che ha recentemente vissuto una propria nuova luminosa stagione sull’onda lunga delle Camere gio cattolo / Toy Camera avviata dal fe nomeno planetario Holga: vicenda di fine Novecento, almeno. Ancora, in un tempo durante il quale, persino nel nostro paese, si sono registrati comportamenti eti ci che hanno illuminato i percorsi produttivi (Adriano Olivetti, a Ivrea, la famiglia Crespi d’Adda, in Lom bardia), la stessa Ferrania-fabbrica ha accompagnato il proprio cam mino con sostanziose iniziative a favore della propria materia, la Fo tografia e dintorni/contorni. Soprattutto, e oltre tanto altro, per vent’anni abbondanti, ha editato un proprio mensile, per l’appunto identificato come Ferrania: due centoquarantuno fascicoli (dodici l’anno, ma solo nove nel 1965). A parte discrete puntate sui prodotti di casa, il mensile è stato concen tratamente impegnato sul fronte culturale, spaziando dalla Fotografia al Cinema, alle Arti figurative, co me ha recitato la specifica Rivista mensile di fotografia, cinemato grafia e arti figurative, che ha ac compagnato i primi anni della te stata, per poi diventare, molto più semplicemente, Rivista mensile di fotografia e cinematografia Il mensile Ferrania nacque dall’ac quisizione del precedente Notizia rio fotografico, diretto da Aristide Bosio, dal 1940 al 1946, con solide basi intellettuali. Fu diretta dal chi mico e fotografo Alfredo Ornano (una delle eccellenze industriali del

/ STORIA E DINTORNI / di Antonio Bordoni C’È STATO UN TEMPO (4)3MFondazione

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Sul numero di Ferrania del maggio 1947, il quinto dall’origine, fu pubblicato il “Mani festo” di fondazione del Gruppo Fotografico La Bussola, fondato da Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi, firmatari.

Oggetto di culto, ormai reperi bile solo a indirizzi antiquari sele zionati, oggi, in altri tempi e modi che non quelli del passato remoto, tutti i numeri pubblicati di Ferra nia sono disponibili sul sito della Fondazione 3M, dal quale posso no essere scaricati in formato Pdf di eccellenti dimensioni (quanti fichiamo in trasposizione file im magine di 50x65cm a 300dpi!). La digitalizzazione è stata resa possi bile grazie all’impegno di Fonda zione 3M, istituzione culturale per manente, raccordo di divulgazione e formazione, e proprietaria di un archivio fotografico di centodieci mila immagini. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la Scuola Normale Superiore di Pisa. Tutti i duecentoquarantanove nu meri del mensile Ferrania, dal genna io 1947 al dicembre 1967, sono dispo nibili all’indirizzo zione3m.it/page_rivistaferrania.php:https://www.fonda dove recuperare dibattiti e appro fondimenti di eccellenza. Sempre che... ■ (pagina accanto) Primo numero del mensile Ferrania, pubblicato nel gennaio 1947. (in basso) Due copertine significative del percorso di Ferrania : dicembre 1955, con l’at trice Silvana Pampanini (fotografia di Arturo Ghergo), e dicembre 1967, l’ultimo numero.

45 la fotografia italiana), fino al 1955, e, poi, del letterato Guido Bezzola (che successivamente ricoprì la Cat tedra di Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Milano), fino alla sua chiusura. Alla redazio ne collaborarono tutti, proprio tut ti, i fotografi e critici di quegli anni, coordinati nientemeno che dal pit tore, fotografo, regista e scenografo Luigi Veronesi, al quale si deve an che l’impostazione grafica. Nel corso della sua luminosa pa rabola redazionale, non necessaria mente complice una editoria di set tore certamente più limitata rispetto quella che sarebbe poi quantitativa mente maturata dai successivi anni Settanta (disperdendosi soprattutto nel tecnicismo delle macchine foto grafiche), Ferrania ha affrontato e svolto un intenso dibattito espressivo, vitalizzato dai confronti del mondo della fotografia non professionale, ma concentrata e partecipata, dei circoli di riferimento: dalle posizioni della Bussola (fondato da Giuseppe Cavalli, Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Vender e Luigi Veronesi, il cui “Manifesto” fu pubblicato sul nu mero di maggio 1947, il quinto dal le origini), a quelle della Gondola, di Venezia (tra i suoi fondatori Gianni Berengo Gardin e Paolo Monti), al le posizioni del Circolo Fotografico Milanese e a quelle del Gruppo 66 (diretto da Ernesto Fantozzi e fon dato sulla scelta ideologica di prati care “una fotografia realistico-docu mentaria”, in contrapposizione alla altrui “fotografia artistica”).

■ ■ / MERCATI / IL LUNGO ADDIO

INNOVAZIONE TECNOLOGICA

L’innovazione è la vitamina del la ricerca e dei progetti che aprono a nuove soluzioni; d’al tro canto è anche un veleno per chi non ha strumenti per innovare. Alle origini della fo tografia, il gioco era puramen te chimico, perché la camera obscura era roba vecchia. Sco perto come fissare l’immagi ne, la sfida è sulla meccanica. L’esempio più netto della fo tografia è l’arrivo, nel 1925, del la Leica, che fa cadere le foto camere più antiquate nel di menticatoio. Nel secondo do poguerra, mentre si riciclano le vecchie macchine medio for mato a soffietto e le 35mm a telemetro, iniziano a fiorire le reflex, a cominciare dall’italiana Rectaflex, che appare alla Fie ra Campionaria di Milano, nel 1947. La reflex 35mm esploderà negli anni Settanta con alme no quaranta marchi sul mer cato. Dopo lo specchio reflex a ritorno immediato, è la vol ta dell’esposizione automati ca, delle funzioni elettroniche e dell’autofocus.Finoametàanni

Il secondo grande colpo dell’innovazione è quello del l’autofocus, tecnologia che a metà anni Ottanta cancella al meno una dozzina di reflex, tra queste Konica, Mamiya, Rollei, Praktica, Petri. Scompaiono le Fujifilm, che torneranno digitali, ma su corpo Nikon. Nel 1985, Minolta lancia la 7000, la pri ma reflex autofocus integrale, che diventa la fotocamera più venduta nel mondo. La brutta notizia è che Honeywell le fa causa per violazione del bre vetto Visitronic. Minolta perde, e paga centoventisette milio ni di dollari (127), una stangata che rallenterà i progetti per il digitale. Olympus, dopo due modelli senza speranze, nel 1989, segue le orme di Ricoh e ripiega su una reflex auto focus zoom ibrida di Chinon, modello che promuove come la fotocamera del futuro. Il digitale si avvicina. Nel 1991, Kodak assembla la DCS-100 professionale su corpo Nikon F3, ma occorre un trolley per trasportare circuiti digitali, ca vi e batterie. La prima digita le commerciale, invece, è la Nikon D1, del 1999, seguìta dalla Canon EOS-1D. tabile. Viene salvata da Hoya Corporation (vetro ottico), che presenta grandi piani per il fu turo per il rilancio a Dubai, ma poi la cede a Ricoh per cento ventiquattro milioni di dollari, quasi gratis. Nel 2011, un po’ tutti se la cavano bene, alcuni benone. L’industria ha venduto cen to milioni di compatte, quasi sedici milioni di reflex digitali (15,7) e tre milioni di mirrorless. Solo Olympus vede il fattura to dimezzato a 1,2 miliardi di dollari in cinque anni. Come non bastasse, in ottobre, appe na nominato amministratore delegato, Michael Woodford scopre nei conti un buco da 1,5 miliardi di dollari. Il board è reticente a chiarire la vicen da. Il ficcanaso Woodford è li cenziato (con quindici milioni di dollari), ma sette dirigenti invece sono arrestati. Lo smartphone non è in novazione, ma un dispositivo straniero che ha avvelenato l’in dustria della fotografia. Come il pifferaio magico, ha attirato grandi masse con rapidità: fo tografa, elabora, archivia e invia immagini gratis... che vuoi di più? Nel 2019, la domanda di compatte crolla a sette milioni. Le reflex digitali con le mirro less, raggiungono gli 8,4 milioni di unità, quanto dieci anni pri ma, ma allora era un’altra vita. Ed ecco l’addio più recen te. Il fatturato dell’anno fiscale 2019-2020 della divisione foto di Olympus precipita a qua rantotto miliardi di yen (quat trocentocinquanta milioni di dollari). L’impresa non ha più senso e lascia la fotografia nelle mani di Japan Industrial Par tners Inc, specializzata nel ri lanciare aziende in crisi. Si dice che in un settore in dustriale contano il numero uno, il due e il tre. Del quattro si dice che dovrebbe cambiare mestiere: Olympus (fotografia) è al quinto posto. di Giulio FortiE DANNI COLLATERALI In un settore industriale contano il numero uno, il due e il tre. Il quattro dovrebbe cambiare mestiere: Olympus (fotografia) è al quinto posto.

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Settanta, per molti, la novità consisteva nel ritoccare gli stessi model li. Pochi riescono a migliorare, altri scompaiono, come Edixa, Miranda, Topcon, Voigtländer e Zeiss Ikon, il caso più clamo roso. Nonostante la sua forza, tra il 1965 e il 1970, le vendite di Contarex e Contaflex crollano con una perdita di oltre venti milioni di marchi. Tanto che le condizioni delle altre case tedesche furono così preoccu panti da far temere la cancel lazione della Photokina 1970. Zeiss Ikon aveva sempre im posto i suoi modelli al mercato, ma non si era accorta che sul mercato crescevano le reflex giapponesi di marca e le Chi non e Cosina con i più svariati marchi, per non parlare delle Praktica dalla Germania Est. Nel 1972, Zeiss Ikon annuncia il grande addio, ma in segreto Nel 2000, Yashica-Kyocera aveva annunciato la Contax N Digital, la prima con sensore full frame; fa colpo, ma il forni tore Philips vende la divisione e tutto si ferma. Allora, presen ta le Contax N analogiche; ma l’anno dopo chiude i battenti, senza salutare. Kodak vende grandi quantità di compatte digitali prodotte da Flextronic, ma ci perde cinquanta dollari al pezzo. Allo stesso tempo, la pellicola crolla del venti per cento l’anno e, nel 2003, la casa gialla inizia a demolire vecchi edifici del gigantesco Kodak Park. L’anno dopo, chiude uffici e laboratori, licenziando ven ticinquemila (25.000!) dipen denti in mezzo mondo. Sorprende la fusione di Ko nica con Minolta, nel 2003. La holding produce con profitto minilab e macchine da ufficio, ma le fotocamere sono in per dita. Per rilanciare il marchio congiunto chiamano Sony, per sviluppare il digitale che por ta alla Konica Minolta 7D, nel 2005. Non sorprende che -l’an no dopo- Sony abbia rilevato la divisione. Anche Pentax fa fatica con il digitale. Cerca un compratore. Samsung, con la quale aveva stretto accordi, è interessata, ma l’operazione non era politicamente accet fa scattare l’accordo con Ya shica, per produrre la Contax RTS in Giappone.

Quando, nel 1972, Lisetta Car mi ha pubblicato I travestiti, il libro è stato un eclatante insuccesso (a cura di Sergio Donnabella; Essedi Editrice, Roma). Nonostante fossimo in anni decisamente possi bilisti, il tema suscitava in quietudini, e i librai di tut ta Italia preferivano tenerlo sotto il banco che esposto in vetrina. Tuttavia, il libro era (è!) un vero capolavoro, sia per le fotografie, alle quali Lisetta Carmi aveva dedicato sette anni di impegno, sia per la grafica di Giancarlo Iliprandi e i testi di Lisetta stessa e di Elvio Fachinelli. La sua cara amica Bar bara Alberti ha salvato dal macero migliaia di copie in vendute. Più tardi, avrebbe ricordato così l’episodio [da Barbara Alberti, Ho cono sciuto Lisetta…, in Le cin que vite di Lisetta Carmi, di Giovanna Calvenzi; Bru no Mondadori, 2013]: «Arri va questo camion di libri, e diventano tavoli librerie divani sedie pareti divisorie -un arredamento mutevole, ogni giorno cambiavamo forma- anche a seconda di quanti ne avevamo regalati agli amici. Facevamo delle feste apposta, scegliendo gli invitati fra quelli che avreb bero potuto apprezzare il libro (meglio se francesi o americani o africani, vole vamo che arrivasse lonta no) e ne regalavamo uno a tutti. Erano feste con Li setta. In differita, stavamo con lei e coi travestiti del ghetto di Genova. Così ab biamo disperso un patri monio librario? No, gli ab biamo trovato degli alloggi. Abbiamo condiviso la foto grafia musicale di Lisetta. L’anima di Lisetta». Oggi, 2020, la francese Filigranes Éditions / ENSP pubblica Lisetta Carmi. Tho

LISETTA CARMI E LE SUE AVVENTURE EDITORIALI L’EDIZIONE LIBRARIASOLOONLINE/ / /QR code

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/ LA MATTINA DOPO LE UNDICI / I TRAVESTITI

condizioni di produzione di un’opera, i loro contesti politici e sociali, così come tutti i valori etici ed estetici che animano l’insieme dei processi di rappresentazio ne del mondo». Il libro si articola in sei gran di capitoli che ripercorrono alcune delle tappe della car riera fotografica di Lisetta Car mi: la fotografia come forma di vita (Alejandro León Can nock), i travestiti (Mariano Bo canegra), il porto di Genova e l’Italsider (Fabien Vallos), l’incontro con Ezra Pound (Lisetta Carmi), erotismo e autoritarismo a Staglieno (Juliette George), Metropo litain (Lisetta Carmi). Le no te biografiche sono a cura di Giovanni Battista Martini, amico genovese di Lisetta, nella cui galleria gli studenti arlesiani hanno potuto ac cedere al suo archivio. Sarebbero anche dovuti andare a Cisternino, in Pu glia, a conoscere Lisetta, ma la chiusura pandemica lo ha impedito, e quindi hanno organizzato incontri online con Anne Cartier-Bresson, con me e con Juan Vicen te Aliaga, per condividere memorie, ricordi ed espe rienze professionali. se with a Name to Come (Quelli con un nome a ve nire; 112 pagine 17x24cm; 25,00 euro), che ha in co pertina una straordinaria e praticamente inedita foto grafia a colori dei travestiti genovesi. Un ritrovamen to tardivo di Lisetta Carmi, che aveva conservato e di menticato in un cassetto un’ampia documentazio ne a colori della sua storia con i travestiti. Il libro, tut tavia, ha altre caratteristi che di eccezionalità: è sta to progettato, curato e rea lizzato dagli studenti della École nationale supérieure de la photographie (ENSP), di Arles. La direttrice della scuola, Marta Gili lo presenta così: «Those with a Name to Come è un progetto col lettivo di ricerca curatoriale sull’opera fotografica realiz zata dall’artista Lisetta Car mi nei decenni 1960 e 1970. Questo esercizio di “com missariato”, al quale han no partecipato studenti e professionisti, poggia sulla ferma convinzione che la formazione artistica debba includere i multipli territori della conoscenza, al fine di permettere ai/alle futuri/e diplomati/e di esplorare le La carriera fotografica di Lisetta Carmi, quella che lei definisce “la sua seconda vi ta” (la prima era stata dedi cata al pianoforte e ai con certi), è stata tutto sommato breve: diciotto anni, intensi, girovaghi, ricchi di incontri e curiosità che ci ha comun que lasciato un patrimonio prezioso. Nelle altre vite, si è occupata dell’Ashram di Cisternino, ha collaborato con un amico filosofo, ha studiato la calligrafia cinese e ora, in quella che scher zosamente definisce la sua sesta vita, dichiara di vive re nel silenzio. E tuttavia, a novantasei anni compiuti, la sua curiosità, la sua par tecipazione empatica agli eventi del mondo sono più vive che mai. La fotografia, che dovreb be far parte di un passato lontano, è tuttavia sempre presente, grazie soprattutto al lavoro di Giovanni Batti sta Martini e alla qualità di quello che ha realizzato. Il libro del quale stiamo par lando avrebbe dovuto es sere una sorta di accompa gnamento di una grande mostra che avrebbe dovuto essere presentata ai Ren contres Internationales de la Photographie d’Arles, lo scorso luglio. Il Covid-19 non lo ha permesso, ma l’ENSP non demorde e progetta di presentarla, sempre ad Ar les, nella primavera del 2021. Speriamo. ■ ■ Un progetto collettivo di ricerca curatoriale sull’opera fotografica realizzataLisettadall’artistaCarmi nei decenni 1960 e 1970. di Giovanna Calvenzi

Finché gli Ultimi, gli Sfruttati, gli Oppressi non avranno imparato a riconoscere l’assassino, il ladro, il boia di un sistema predatorio che produce consenso e complicità attraverso merci, bombeinformazioni,“intelligenti”... i massacri contro l’Umanità non si fermeranno. [...]

SULLA FOTOGRAFIA DEL MARGINE

■ ■ / SGUARDI SU / MIRKO ORLANDO

50 Nel gazebo dell’insignifican za della fotografia italiana -entro la quale, specialmen te, non si vogliono intrusi-, il fotografo del margine, ma non marginale, Mirko Or lando è -appunto- una te stimonianza di resistenza al presente. È nato a Na poli, nel 1981. Completati gli studi, si de dica alla fotografia, all’illustra zione e alla scrittura, pubbli cando articoli e reportage su periodici nazionali, tra i quali Gente di fotografia, Barricate, L’aperitivo illustrato, A, Illu minazioni, Fotoinfo, Domus, Storia e futuro e Tracce. È autore dei saggi di antropo logia visiva Fotografia post mortem (Castelvecchi, 2013), Per una teoria generale della fotografia post mortem (in Intersezioni - Rivista di storia delle idee; Il Mulino, agosto 2014) e Il volto (e la voce) del la strada. Uno sguardo sulle nuove povertà (Lindau, 2012). Attualmente, vive e inse gna a Torino. Nel 2019, pub blica la graphic novel Pa radiso Italia (Edicola Edi ciones), attraverso la quale affronta le tematiche del le migrazioni applicando la contaminazione di lin guaggi come il fumetto e la fotografia. L’iconografia del limite di Mirko Orlando è un atto di accusa contro l’ipocrisia della politica e l’in differenza di quanti pensa no che l’“integrazione” sia uno stato di “emergenza”. L’attento e Borgono,datofotografo/fumettistaconcentratoèantraibaraccatidiToriVentimiglia,ValdiSusa,Mezzanone(nelco mune di Manfredonia)... ha ascoltato le storie di queste genti (non disperati, come dicono i telegiornali e i talkshow), e costruito una sorta di poetica ereticale che non fa sconti a nessuno. nelle proteste, fughe, sop portazioni, pezzi di vita rea le. Le fotografie s’innestano

Soltanto quando gli Uomini e le Donne scenderanno nelle strade e rovesceranno la macchina dell’inganno e della corruzione, allora e solo allora, potranno mettere fine alla barbarie della civiltàdellospettacolo.

Mirko Orlando lo dice dritto e diretto!

Mirko Orlando mescola, intreccia, affabula un viag gio estetico che si articola nell’ossatura grafica e vanno a comporre una sorta di car tografia (non solo) di soprav vivenza, ma anche un’idea di Bellezza, Dignità e Verità che manifestano il Giusto, il Buono e il Bene comune. La fumettografia fotogra fica di Mirko Orlando è una denuncia del parassitismo criminale, culturale, istituzio nale che alberga (e si arric chisce) sulle disuguaglian ze. I nuovi schiavi portano addosso le stigmate della disumanità predominante che si annida nei governi e ai tavoli dei trattati interna zionali di pace (dove le na zioni più “sviluppate” sono anche le maggiori produt trici di armi). Lui lo dice dritto e diretto! Finché gli Ultimi, gli Sfrut tati, gli Oppressi non avran no imparato a riconoscere l’assassino, il ladro, il boia di un sistema predatorio che produce consenso e com plicità attraverso merci, in formazioni, bombe “intel ligenti”... i massacri contro l’Umanità non si fermeran no. I canili dell’ordine poli tico, economico e sociale sono prodotti del cinismo delle mafie multinazionali e dei loro accoliti (sostenu ti dal rimbecillimento me diatico); il favore elettorale consolida la ciarlataneria dei predatori, e soltanto quan do gli Uomini e le Donne scenderanno nelle strade e rovesceranno la macchina dell’inganno e della corru zione generalizzata, allora e solo allora, potranno met tere fine alla barbarie del la civiltà dello spettacolo L’unico vero dovere che gli spossessati hanno nei confronti della Storia è quel la di riscriverla: ed è giusto dire che se bastoni un ca ne, questo -prima o poi- ti morde! di Pino Bertelli

Dal 1991, i logotipi dei TIPA Awards identificano i migliori prodotti fotografici, video e imaging dell’anno in corso. Da ventinove anni, i qualificati e autorevoli TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi. In cooperazione con il Camera Journal Press Club of Japan. www.tipa.com

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