FOTOgraphia 263 luglio 2020

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XXVII - NUMERO 263 - LUGLIO 2020

Cinema e Fumetto PRESENTE... FUTURO La Gracilly Baden Photo 2020 RENAISSANCE... RINASCITA

JAMES BALDWIN/STEVE SCHAPIRO THE FIRE NEXT TIME


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prima di cominciare STELLE E STRISCE. In lettura superficiale, per quanto plausibile e non certo rimproverabile, qualcuno potrebbe essere rimasto sorpreso dalla composizione della fotografia di Steve Schapiro che illustra la nostra odierna copertina. Tanto più, potrebbe essere stato indotto a farlo se a questa fotografia, peraltro replicata a pagina 28, si collegano anche la doppia pagina 22-23 di apertura di servizio sulla monografia The Fire Next Time, di James Baldwin e Steve Schapiro, in attuale riedizione illustrata Taschen Verlag, e la copertina stessa del volume (a pagina 29 e qui sotto in ripetizione). Pur diverse tra loro, ma tutte riferite alle marce da Selma a Montgomery, in Alabama, della primavera 1965, queste tre fotografie condividono la presenza evidente, a volte preponderante, della bandiera statunitense: a stelle e strisce (cinquanta stelle, in rappresentanza degli Stati federali, e tredici strisce orizzontali, sette rosse e sei bianche, in richiamo alle Colonie originarie).

Questo numero di FOTOgraphia è datato “luglio 2020”, come da sua lavorazione e intenzione originaria. Nel frattempo, sono intervenuti fatti a tutti noti, relativi alla tutela preventiva da contagi Coronavirus. Manteniamo la data di copertina, come faremo sui numeri immediatamente a seguire, confortati dal fatto che il ritardo in arrivo, per quanto possa compromettere alcuni degli argomenti affrontati e trattati, in cronaca, sia sostanzialmente ininfluente sul nostro modo di intendere la relazione attorno la Fotografia. E lo speriamo.

Almeno a me, [la fotografia di Pablo Albarenga] richiama e ricorda la corrente artistica del Realismo magico di Julien Félix Rousseau. Lello Piazza; su questo numero, a pagina 32 Oltre ai pensieri e gli allarmi, altre Fotografie mettono ciascuno di noi di fronte a distinte evidenze. Non c’è tempo per egoismi. Impugnando queste Immagini, dobbiamo urlare “Non con il mio consenso”, oppure “Non in mio nome”. È esattamente lo stesso. mFranti; su questo numero, a pagina 11 Al proprio tempo, James Baldwin e Steve Schapiro hanno dimostrato come la Scrittura e la Fotografia potessero rivelarsi armi potenti e rivoluzionarie. [Ancora] Oggi faremmo bene a imparare da loro. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 29 In un tempo nel quale le cose accadono velocemente, tutto -al di fuori del presente- sembra storia antica. Angelo Galantini, su questo numero, a pagina 39

Copertina 21 marzo 1965: i leader per i diritti civili degli afroamericani, negli Stati Uniti, Martin Luther King Jr e Ralph Abernathy (in secondo piano) aprono la marcia sulla via per Montgomery. La bandiera statunitense è stata un simbolo naturale per un movimento che invitava la nazione a rispettare i propri princìpi. Da pagina 22, The Fire Next Time, di James Baldwin, con fotografie di Steve Schapiro (Taschen Verlag)

3 Altri tempi (fotografici) In estratto, dal frontespizio del Catalogo Fotografia di Ippolito Cattaneo, di Genova, del 1913-1914

7 Editoriale Capitoli fondanti della lotta per il diritto di voto degli afroamericani, quei momenti, ben raccontati da James Baldwin e altrettanto magistralmente fotografati da Steve Schapiro, si accompagnarono alla bandiera statunitense come simbolo naturale per un movimento che invitava la nazione a rispettare i propri princìpi. Dunque, non si deve fraintendere, né convocare orrendi gesti di bandiere spregiate e/o bruciate. Ma, molto più realisticamente, valutare lo spessore, l’etica e la morale di una organizzazione consapevole della combinazione auspicabile tra diritti e doveri.

Vita condotta anche (soprattutto?) con la Fotografia

8 Cosa stiamo facendo (?!) One Planet Many People è un Atlante illustrato con fotografie scientifiche satellitari. Le comparazioni nel Tempo rivelano tragiche trasformazioni della Terra

13 In architettura Nella cui visualizzazione, la Fotografia non è necessariamente la prima della classe. Efficacia dell’illustrazione disegnata. In fantasia e...


LUGLIO 2020

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

16 Presente... futuro In questa sequenza: Cinema, Narrativa, Fumetto. Ipotesi fantascientifiche di osservazione in avanti nel Tempo, con qualche deviazione trasversale Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

Anno XXVII - numero 263 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

20 Di libro in libro

Filippo Rebuzzini

Casellario compilato dall’attento e concentrato Beppe Bolchi, che ha censito la sua biblioteca personale

Giulio Forti

CORRISPONDENTE FOTOGRAFIE Rouge

22 Prescrizione: non dimenticare A quasi sessant’anni dall’edizione originaria, del 1963, ancora oggi, The Fire Next Time, di James Baldwin si offre e propone come “lettura” fuori dall’ordinario. Completata con fotografie di Steve Schapiro, la corrente riedizione Taschen Verlag vibra di sostanziale attualità di Maurizio Rebuzzini

30 Realismo magico Vincitore ai Sony World Photography Awards 2020, l’uruguaiano Pablo Albarenga conferma e ribadisce il valore e spessore della Fotografia interpretata e svolta con convinzione dei propri soggetti. Seeds of Resistance abbina fotografie di foreste a ritratti degli attivisti che lottano per conservarle di Lello Piazza

37 Giorno dopo giorno In tempi, giorni, settimane e mesi di recente lockdown, il torinese Paolo Ranzani ha composto una galleria di cinquantasei autoritratti che si aggiungono l’uno all’altro, l’uno al precedente. Riflessioni individuali di Angelo Galantini

42 Renaissance. Rinascita Dal quattordici luglio al ventisei ottobre, si svolge il prestigioso Festival La Gacilly-Baden Photo 2020, in doppio passo: Rinascita e Molte cose nuove in Oriente di Lello Piazza

48 Epopea Brownie Eccellente genìa di macchine fotografiche molto economiche, le Kodak Brownie sono alla base della diffusa cultura fotografica negli Stati Uniti di Giulio Forti Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Pablo Albarenga Beppe Bolchi Antonio Bordoni mFranti Angelo Galantini Lello Piazza Paolo Ranzani Marco Saielli

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editoriale ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

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erba volant, scripta manent è una locuzione latina che significa “Le parole volano, gli scritti rimangono”. Fa parte del lessico, frequentato in occasioni che si ritengono idonee. Purtroppo, al giorno d’oggi, i momenti opportuni per richiamare il concetto sono deviati dallo spirito originario, di spessore e profondità ben superiori. Oggigiorno, la perifrasi sottolinea che bisogna ratificare gli accordi presi a voce -perché, per l’appunto, “le parole volano, mentre gli scritti rimangono”- a testimonianza e certificazione durature. Insomma, non fidiamoci dell’onore di nessuno, ma imponiamo scritture “notarili” inequivocabili. Invece, il princìpio originario era / è stato altro. In rapidità: se avete qualcosa da comunicare, al fine che altri beneficino della vostra opinione e/o riflessione, andate a parlarne tra la gente, perché “le parole volano” (Verba volant ), mentre ciò che scrivete nei libri “rimane rinchiuso” in biblioteche, spesso inaccessibili ai più (magari, ai tempi, soprattutto analfabeti); appunto, Scripta manent. Se ci concediamo una rilevazione a questo proposito, non possiamo che concludere che l’uso attuale è diametralmente opposto all’intenzione originaria. Dal cuore che induce a divulgare idee e parole, si è approdati alla cinica mente che preserva il proprio stato giuridico e la propria condizione sociale, o -quantomeno- intende farlo. Tutto sommato, questa dicotomia e scissione è ciò che, sempre oggi, separa tra loro le intenzioni della Fotografia: a parte oggettivi impegni di mestiere, e dintorni, c’è chi applica le proprie ammirevoli doti di comunicazione e condivisione finalizzandole a se stesso e alla propria glorificazione; e c’è anche chi, in altruismo ammirevole, ne applica i fondamenti e cardini per contribuire, con quanto può fare, all’elevazione e miglioramento della Vita nel proprio insieme e complesso. Non necessariamente la propria, in termini limitatamente egoistici, ma quella collettiva che appartiene a Tutti e che arriva a Tutti. Alla resa dei conti -a parte la nostra ostinazione e perseveranza verso una Fotografia che non sia mai arido punto d’arrivo, ma sempre edificante e consistente s-punto privilegiato di partenza e osservazione-, dovremmo arricchirci sempre del pensiero e dell’azione di chi, soprattutto con la Fotografia, rivela e sottolinea valori e momenti della Vita nel proprio svolgersi, sia rivolgendosi a vicende a tutti palesi, sia invitandoci in territori inaspettati, ma vitali. Vogliamo dirlo, senza sottintesi? Sulle nostre pagine mensili, là dove la Fotografia non è mai fine a se stessa, ma Vita (di noi tutti), e dove nulla è casuale, decodifichiamo in questo senso la sequenza odierna, cadenzata dalle suggestioni della fotografia satellitare (da pagina otto), dall’impegno civico del fotogiornalista Steve Schapiro (da pagina ventidue), dalle evocazioni di Pablo Albarenga (da pagina trenta), dal ritmo degli autoritratti in lockdown di Paolo Ranzani (da pagina trentasette), dall’insieme del programma del Festival La Gracilly-Baden Photo 2020 (da pagina quarantadue). Fotografie con accompagnamento di Parole... Verba. Maurizio Rebuzzini

Carlo Levi: Le parole sono pietre; Einaudi Editore, 1955 (prima edizione).

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Mondo da salvare di Maurizio Rebuzzini (Franti)

COSA STIAMO FACENDO (?!)

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

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Possiamo scomodare e richiamare infiniti riferimenti per certificare, confermandolo, il valore primario della Fotografia: memoria che supera Tempo e Spazio. In questo senso, con la Fotografia, comunque venga realizzata, ciascuno individua nel presente momenti da fissare per l’avvenire, a testimonianza di accadimenti o manifestazioni significative dell’Esistenza. Lo svolgimento è poi personale: con espressioni fotografiche che spaziano dal reportage al ritratto, dal paesaggio alla ricerca, dalla documentazione rigorosa all’interpretazione astratta. Richiamando Shakespeare, Auggie Wren, intrigante protagonista del film Smoke, ricco di rimandi fotografici, riflette e fa riflettere proprio sul senso e valore della Fotografia nel Tempo e con il Tempo. Riprendiamo il passaggio significativo della sceneggiatura. Paul Benjamin, scrittore in crisi di ispirazione, cliente della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co (sullo schermo, l’attore William Hurt), guarda gli album fotografici di Auggie Wren, il tabaccaio (interpretato da un fantastico Harvey Keitel). Con un certo sconcerto, ogni volta che Paul gira pagina, appaiono sempre sei fotografie analoghe a quelle della pagina precedente. Ossessivamente, le fotografie inquadrano tutte l’angolo della tabaccheria The Brooklyn Cigar Co, lo stesso angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue; in alto, a destra di ogni stampa, c’è una piccola etichetta bianca con la data: un giorno dopo il precedente. La perplessità di Paul: «Sono tutte uguali». Sorridendo e fiero di sé, Auggie conferma: «Esatto. Più di quattromila foto[grafie] dello stesso posto: l’angolo tra la Terza Strada e la Settima Avenue, alle otto in punto del mattino. Quattromila giorni, uno dopo l’altro, fotografati con ogni sorta di tempo. Ecco perché non posso prendermi una vacanza. Devo essere là ogni mattina. Ogni mattina, nello stesso posto, allo stesso momento». Il dialogo si fa serrato: «Sono senza parole». «Non capirai mai se non rallenti, mio caro». «Che vuoi dire?»;

One Planet Many People: Atlas of Our Changing Environment; United Nations Publishing, 2005 e 2008; 330 pagine 24x30cm, cartonato con sovraccoperta.

semplice: «Che vai troppo in fretta. Quasi non le guardi, le fotografie». «Ma sono tutte uguali». Considerazione finale, tra filosofia della Fotografia e valore espressivo: «Il posto è lo stesso, ma ogni foto[grafia] è diversa dall’altra. Ci sono mattine col sole e quelle con le nuvole, c’è la luce estiva e quella autunnale. Ci sono i giorni feriali e quelli festivi. C’è la gente con cappotto e stivali e la gente in calzoncini e maglietta. Qualche volta, la gente è la stessa; qualche volta, è diversa. E, talvolta, la gente diversa diventa la stessa, mentre quella di prima scompare. La Terra gira intorno al Sole, e ogni giorno la luce del Sole colpisce la Terra con un’inclinazione diversa». «Rallentare, eh?»; certamente: «Sì, questo è il mio consiglio. Sai com’è: domani e domani e domani, il tempo scorre a piccoli passi». Trasliamo questo concetto. Con altre intenzioni, meno leggere, l’oggettività di certa Fotografia scientifica rivela come il Tempo scorra anche a piccoli passi, ma l’azione dell’Uomo accelera i processi naturali, andando ad alterare equilibri originali (Antropocene!). Nella propria tragica imparzialità visiva ed espressiva, la Fotografia

scientifica può documentare cambiamenti, rivelandoli con una evidenza che ha del cinico. E a questo cinismo visivo dobbiamo essere grati. Nello specifico, è questo il senso dell’inquietante atlante del mondo One Planet Many People (Un pianeta, molte popolazioni / molta gente), realizzato e pubblicato dall’Unep (United Nations Environment Programme; www.unen vironment.org): programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Tra i propri tanti meriti, in lettura attuale di salvaguardia del Pianeta, One Planet Many People: Atlas of Our Changing Environment, pubblicato ormai una dozzina di anni fa (ma il tempo trascorso nel frattempo è ininfluente) ha quello di usare in modo saggio e concentrato l’espressività della Fotografia scientifica; nello specifico, fa tesoro delle visioni satellitari, in un confronto di Tempo che finisce per risultare terribile: in questo caso e questa volta, proprio “più di mille parole”. Come esemplifichiamo in queste pagine, le comparazioni satellitari distanti nei decenni rivelano e contrassegnano i termini reali e concreti di una veloce urbanizzazione che sta alterando l’ambiente (in modo irreversibile?): ribadiamo e confermiamo, Antropocene, nel triste e malaugurato senso di un periodo che inizia qualche decennio prima del nostro oggi e dura tuttora. Periodo durante il quale, sul Pianeta, sono avvenuti cambiamenti provocati dall’Uomo e non da un meteorite o dalla eruzione di centinaia di vulcani, così sconvolgenti da attribuire a questi cambiamenti una valenza geologica. Accostate, in confronto e contrapposizione, le fotografie satellitari dello stesso luogo, riprese a distanza di decenni, evidenziano cambiamenti ambientali drammatici e, in alcuni casi, offensivi. La sconsiderata progressione delle serre in Spagna del sud, l’aumento smisurato dell’allevamento del gambero in Asia e in America Latina e l’emersione di una gigantesca penisola nel delta del Fiume Giallo, in Cina, sono visualizzate con la forza oggettiva della Fotografia di pura do-


Mondo da salvare

Almeria (Spagna). La combinazione delle Fotografie satellitari riprese a decenni di distanza rivela l’effetto di una consistente e veloce crescita agricola nella provincia di Almeria, lungo il litorale sud della Spagna. Si parte da una rilevazione che documenta un paesaggio rurale (1974), per approdare a una agricoltura intensiva a serra (aree grigie biancastre

nella Fotografia satellitare del 2000). In un’area di circa ventimila ettari, sono state concentrate coltivazioni forzate di frutta e verdura. Dopo una serie di disequilibri, nel 2001, è stato varato un programma idrologico nazionale di ridistribuzione dell’acqua verso le zone di coltivazione. E, poi, si sta studiando una ipotesi di desalinizzazione dell’acqua marina.

Fiume Giallo (Cina). Secondo fiume della Cina, è il corso d’acqua più fangoso della Terra. La definizione di “Fiume Giallo” si deve proprio al colore dell’acqua, causato dal forte carico di sedimento, composto soprattutto di mica, quarzo e particelle minerali. Il sedimento entra nell’acqua, mentre il fiume scorre da nord. Inoltre, non manca l’intervento dell’Uomo, al quale si devono ulteriori scarichi

industriali, che compromettono l’agricoltura nelle aree circostanti. I sedimenti si depositano giorno dopo giorno, alterando il corso d’acqua. Dove il Fiume Giallo fluisce nell’Oceano, il delta è stato visibilmente modificato. Le due fotografie satellitari, riprese nel 1979 e 2000, certificano come centinaia di chilometri quadrati di terra si siano recentemente aggiunti al litorale della Cina.

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Las Vegas (Usa). È l’area metropolitana di più rapida crescita negli Stati Uniti e nel mondo intero. L’industria del turismo e del gioco d’azzardo sta stravolgendo un luogo originariamente desertico. Nel 1950, quando fu chiaro che le leggi del Nevada avrebbero assecondato la creazione di cattedrali del gioco e divertimento, la popolazione era di poco superiore a ventiquattromila unità. Oggi, la popolazione della valle di Las Vegas arriva a quasi settecentomila persone, alle quali si sommano milioni di turisti perennemente e sistematicamente presenti

in città, ospitati in hotel sempre più aggressivi e coinvolgenti, che consumano una irrazionale quantità e qualità di risorse naturali. È logico supporre che le cifre si incrementeranno ancora nei prossimi anni. Questa esplosione mette a dura prova ogni tipo di rifornimento, a partire da quello idrico. Le immagini satellitari comparate, dal 1973 al 2000, sono più che evidenti: visualizzano la drammatica espansione urbana della città, con relativa proliferazione delle inevitabili infrastrutture di servizio, dall’asfalto al cemento.

Golfo Fonseca (Honduras). Nell’allevamento e esportazione di gamberi, l’Honduras è secondo solo all’Ecuador. L’espansione di questi allevamenti ha causato problemi ambientali e sociali. Con le proprie installazioni, che impediscono l’accesso agli estuari e alle lagune, gli allevatori di gamberi hanno alterato ogni precedente

ecosistema: è stata alterata l’idrologia della regione e si è compromesso l’habitat dell’altra flora e fauna. Le due fotografie dal satellite puntualizzano l’aumento indiscriminato dei poderi di gambero. In dodici anni, dal 1987 al 1999, la situazione ambientale è stata completamente stravolta dall’Uomo.


Mondo da salvare

Mar Morto (Israele/Giordania). Per decenni, quest’area è stata violentata per soddisfare le esigenze delle popolazioni crescenti sul litorale e nelle aree più prossime al mare. Sia Israele sia la Giordania sfruttano l’acqua dei fiumi che fluiscono nel Mar Morto, compromettendo il flusso naturale. Inoltre, sono stati moltiplicati gli stagni di evaporazione, nei quali si produce sale.

cumentazione scientifica. Accanto a immagini più convenzionali, alcune anche accondiscendenti, altre analogamente drammatiche (deforestazione in Paraguay e Brasile; estrazione forzata di gas e petrolio nel Wyoming, Stati Uniti; foreste in fumo in Africa; ritirata dei ghiacciai e del ghiaccio nelle aree montane e polari), questi complementi fotografici satellitari si arricchiscono e impreziosiscono della propria imparzialità visiva. In questo caso, complice l’oggettività della propria rilevazione fotografica, la Scienza indossa quasi gli abiti della Fantascienza, per definizione letteratura anticipatoria, che gioca con un prisma temporale che le consente di evocare il Domani come se fosse Ieri, di aggiungere la propria voce allo struggente compianto dei secoli. La collaborazione con enti pubblici sostanzialmente insospettabili -dall’United States Geological Survey alla Nasa (l’ente spaziale statunitense)- aggiunge valore formale alla passerella di immagini. Il tema/problema dell’urbanizzazione in crescita esponenziale e dell’alterazione ambientale è rivelato dalla Fotografia in modo inequivocabile, sia attorno città demograficamente popolate, quali Pechino, Dhaka, Delhi e Santiago, sia in situazioni geografiche particolari: sopra tutte, le aree metropolitane di Las Vegas, che è la città che è maggiormente cresciuta nei recenti decenni, e Miami, in Florida,

Attualmente, è valutato che il livello dell’acqua del Mar Morto stia scendendo a un preoccupante tasso di quasi un metro l’anno. Le tre fotografie satellitari, rispettivamente riprese nel 1975, 1987 e 2001, risaltano i drammatici cambiamenti avvenuti in venticinque anni, durante i quali è tragicamente aumentata la terra arida lungo le coste. A seguire, nel tempo, la situazione è peggiorata.

che si allarga verso ovest, compromettendo i rifornimenti idrici delle proprie terre e mettendo in pericolo la fauna selvatica. Ma non dobbiamo dimenticare i casi di Bucarest, Londra, Nairobi e San Francisco, sui quali l’Atlante pone il proprio accento. La sintesi fotografica di One Planet Many People è meritoria. È libera e liberatoria, come altra Fotografia della quale spesso ci occupiamo (non professionale, ovvero svincolata da imposizioni). Queste sintesi satellitari, contrapposte e a confronto temporale, non rispondono ai dettami di quel giornalismo di oggi, per il quale le catastrofi di ogni giorno sono più che sufficienti per dimenticare quelle del giorno precedente. Nella presunta tranquillità delle città occidentali, potrebbe nascere un pensiero egoista verso l’involuzione del Pianeta. In fondo, ci si potrebbe disinteressare della fusione del ghiaccio artico o del disboscamento di interi continenti. Però, bisogna convincersi ed essere coscienti che le terribili trasformazioni della Terra sono condizionate e determinate dagli stili di vita del mondo occidentale, e dei propri relativi consumi quotidiani. Infatti, le città richiedono e bruciano enormi risorse naturali, dall’acqua agli alimenti, e poi legname, metalli e tanto altro ancora. Per non parlare, una volta di più, degli sprechi individuali e industriali e degli scarichi nocivi.

Quindi, e nello specifico, in cosa può essere utile la visualizzazione fotografica, anche solo in questo ambito scientifico? Il collegamento è meno sottile di come possa apparire a prima vista. È concreto e tangibile, e si basa sulla forza implicita ed esplicita dell’Immagine: ribadiamo, spesso più evidente e diretta di “mille parole”. Non a caso, possiamo pensare che -nella seconda metà degli anni Sessanta- un certo pensiero ecologista fu sollecitato dalle fotografie distribuite dalla Nasa. Un anno prima dell’allunaggio, nei giorni del Natale 1968, dallo Spazio arrivarono altre immagini, che si imposero nella memoria di tutti. Nel corso della missione Apollo 8, gli astronauti si allontanarono dalla Terra tanto da poterla inquadrate tutta intera sullo sfondo nero. E poi, raggiunta l’orbita lunare, dopo aver sorvolato l’emisfero nascosto, videro e fotografarono la Terra che “sorgeva” sopra la Luna. Con questo primo controcampo dallo Spazio, lo sguardo umano non si è rivolto più verso l’infinito, bensì verso il luogo finito, lì dove ci sono le Radici. Oltre ai pensieri e gli allarmi, altre Fotografie mettono ciascuno di noi di fronte a distinte evidenze. Non c’è tempo per egoismi. Impugnando queste Immagini, dobbiamo urlare “Non con il mio consenso”, oppure “Non in mio nome”. È esattamente lo stesso. ❖

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In ritorno di Antonio Bordoni

Torniamo per un attimo al nostro scorso numero di giugno, là dove il “pretesto” di una avvincente e convincente monografia illustrata è stata spunto per ulteriori rilevazioni guidate e orientate in (consueta) riflessione. Dunque, richiamiamo il fascicolo fotografico Chicago Beautiful, là ispirazione, oltre che soggetto esplicito e argomento principale. Da lì ci incamminiamo oltre e avanti, verso una certa considerazione a proposito della raffigurazione dell’architettura, che -in assoluta sincerità- ci impone di ammettere che la Fotografia non è necessariamente la prima della classe. A volte, i suoi “rumori”, complementari al soggetto principale, possono distrarre l’osservazione; altrettanto, e in conferma di alcuni punti spesso considerati e sempre esaminati, non basta fotografare un edificio: servono capacità ed è indispensabile quella conoscenza (anche del soggetto) che crea responsabilità. In questo senso, se sono opportune conferme, piuttosto che prove (meglio, in inglese, evidence, così prossima alla nostra ipotesi ed idea di “evidenza”... forse), è opportuno tornare a quanto già riferito alla efficace monografia Ingressi di Milano, in ammirevole edizione Taschen Verlag, della quale ci siamo occupati nell’ottobre 2017, la cui personalità prorompente di Fotografia di Architettura è implicita ed evidente, per nulla sottintesa. Ma è vero l’esatto contrario. Per la sua realizzazione è stata organizzata, allestita e svolta una campagna fotografica originaria e mirata, espressivamente diversa, perché più profonda, dell’uso di immagini d’archivio. Infatti, siamo espliciti, la Fotografia è un linguaggio che colpisce il cuore e la mente dell’osservatore; dunque, richiede particolare cura esecutiva. Affidata a Paola Pansini, Delfino Sisto Legnani e Matthew Billings, la campagna fotografica allestita e svolta per le illustrazioni alla monografia Ingressi di Milano ha risposto a un capitolato visivo edificato nel Novecento -soprattutto, nel secondo Novecento-, con propri debiti di riconoscenza

Edifici e monumenti dal mondo; a cura di Kristen Richards, Hon. Aia e Hon. Asla; Logos Edizioni, 2017; 80 pagine 24x37cm; 14,00 euro.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

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IN ARCHITETTURA

Basilica di Santa Croce, a Firenze: 1295-1443. Architetti Arnolfo di Cambio e Niccolò Matas. (a destra) Sagrada Família, a Barcellona, in Spagna: iniziata nel 1882, completamento previsto per il 20262028. Architetto Antoni Gaudí.

con le più lontane origini della Fotografia: comunque, ha elaborato e praticato un linguaggio espressivo e concettuale assolutamente diverso da quello di partenza, per certi versi addirittura divergente. Infatti, da tempo, gli autori operano in situazioni nelle quali la Fotografia è soprattutto divulgata attraverso la propria riproduzione in tiratura litografica (tipografica, o quel che è, in relazione alle diverse tecnologie applicate), che introduce il princìpio della diffusione di massa, e -dun-

que- della presunta veridicità. Qui risiede una differenza profonda, che impone la codificazione e il rispetto di valori e intendimenti morali ed etici. Indipendentemente dalle proprie proiezioni professionali, verso l’informazione giornalistica oppure a contato diretto con il pubblico (dalla nobile fototessera alla registrazione e documentazione dei luoghi di Vita), prima di agire, il fotografo contemporaneo fa conti interni e intimi con la propria anima e con il senso della propria azione.

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In ritorno Grattacieli, a cura di John Hill; Logos Edizioni, 2018; 192 pagine 13x26cm, cartonato; 15,00 euro.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

(a sinistra, dall’alto) Petronas Twin Towers, Kuala Lampur, Malesia; completate nel 1998; altezza 452m, trentotto piani. Architetti César Pelli & Associates e Adamson Associates. È stato l’edificio più alto del mondo dal 1998 al 2004.

In questo modo, il Tempo, che è una delle discriminanti del gesto fotografico, ha espresso sentenze irrevocabili. Sono sopravvissuti alla propria contemporaneità soltanto quegli autori che hanno saputo fare prezioso tesoro del proprio linguaggio espressivo, e siamo soliti celebrare esempi luminosi. Tanto che, anche in occasione di Ingressi di Milano, vanno precisati termini distintivi del gesto fotografico nel proprio insieme. Sia la fotografia presa dal vivo, nello svolgimento quotidiano della Vita, che viene realizzata per raccontarla (la Vita), sia quella realizzata tra le compiacenti pareti dello studio esigono un doppio passo simultaneo: oltre capacità e intelligenza espressiva, il fotografo deve usare la propria macchina fotografica con una abilità fuori del comune. Da un lato, la macchina fotografica sollecita e richiede il contatto con i soggetti, dall’altro deve essere mantenuta a necessaria distanza. E in questa breve formula, semplice da enunciare, non altrettanto da applicare, sta la statura dell’autore, che non agisce da mai da solo, ma è se stesso in accordo e sin-

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Flatiron Building, New York City, Usa; completato nel 1902; altezza 87m, ventuno piani. Architetto Daniel H. Burnham. Originariamente Fuller Building, dal nome del suo committente, è stato rinominato Flatiron Building per la sua caratteristica forma triangolare. Lloyd’s Building, Londra, Inghilterra; completato nel 1986; altezza 95m, quattordici piani. Architetti Richard Rogers Partnership. Il più giovane degli edifici tutelati dall’English Heritage. Al Bahr Towers, Abu Dhabi, Emirati Arabi Uniti; completate nel 2012; altezza 145m, ventinove piani. Architetto Aedas, Diar Consult. Ogni torre presenta più di mille elementi mobili in facciata.

tonia con l’osservatore al quale si rivolge. Dice, senza lasciare intendere, ma aspetta/richiede anche una successiva partecipazione. Tutto questo per sottolineare che le fotografie di autore, quelle che superano la barriera del Tempo, non svelano completamente i propri soggetti. Raccontano istanti di Vita, attimi di Esistenza senza scoprire e palesare tutto: lasciano spazio e Tempo alla Riflessione individuale. A ciascuno, la propria. Detto questo, siamo convinti che raffigurazioni idonee dell’architettura siano quelle illustrate. Soprattutto se e per quanto non si intenda visualizzare altro che l’oggettività fisica del soggetto: sia in senso spettacolare, sia in rigorosa dipendenza tecnica (addirittura scientifica). L’illustrazione di realistica fantasia si rivolge al pubblico generico, al quale offre visualizzazioni accattivanti; quella disciplinata e intransigente è materia per addetti. Comunque, in entrambi i casi, l’origine può essere fotografica, in successiva reinterpretazione. Tanto più questo va riferito al severo disegno tecnico, che sempre si basa su precedenti rilevazioni fotografiche protocollate dalla fotogrammetria terrestre, con tutte le proprie direttive. In rappresentanza di queste due opportunità, segnaliamo (altrettanti) due titoli pubblicati da Logos, di Modena, casa editrice particolarmente attenta alla comunicazione visiva (e dintorni). Entrambe edizioni italiane di titoli originali nati altrove -certamente, là dove certi impegni e studi specifici trovano terreno fertile nell’editoria nazionale-, due monografie sintomatiche di altrettanti stilemi raffigurativi. Grattacieli, di John Hill (in originale inglese How to Build a Skycraper / Come sono costruiti i grattacieli, in nostra interpretazione), presenta e commenta quarantacinque ardite architetture moderne. Ci sono fotografie interpretative e il succo è composto, poi, da avvincenti illustrazioni. Edifici e monumenti dal mondo, che si presenta come Guida illustrata ai più celebri capolavori architettonici, è indirizzato anche alla Storia, non soltanto all’attualità: centoquattordici capolavori architettonici situati in venticinque città. Immancabilmente, in oltre centotrenta raffinati disegni tecnici fotogrammetrici realizzati dallo Studio Esinam, di Göteborg, in Svezia. ❖



Cinema (con fumetto) di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

PRESENTE... FUTURO

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Senza richiamare riflessioni di spessore, ma rimanendo in superficie, ricordiamo che -tra i valori che caratterizzano il linguaggio fotografico- un posto d’onore spetta alla registrazione di fatti e avvenimenti che si proiettano al Futuro. Diciamo che la Fotografia ferma il Tempo: ovvero, rende permanenti istanti che avrebbero dovuto essere effimeri (e rimanere tali? responsabilità non da poco). Da qui (o, forse, non proprio da qui), una certa fantasia ha elaborato affascinanti visioni parallele, che modificano questa condizione, interpretandola in modo quantomeno stravagante. Di fatto, queste fantasie -più di una, come stiamo per vedere- hanno ipotizzato la macchina fotografica che non c’è e che, siamo sinceri, non potrà mai esserci: la macchina fotografica che vede e registra non il Presente, non la Vita nel proprio svolgersi, ma... il Futuro. È un gioco, ovviamente, che scarta a lato ogni concreta ipotesi tecnologica del presente-futuribile, e apre le porte di un territorio completamente diverso. Non quello della Realtà, ma del Sogno: in forma di autentica e inoppugnabile fantascienza. In questo senso, le attuali segnalazioni non possono che esordire con un episodio della antica serie televisiva Ai confini della realtà, in originale The Twilight Zone (la zona del crepuscolo?), ideata e realizzata dall’intelligente Rod Serling, alla fine degli anni Cinquanta del Novecento, arrivata in Italia qualche stagione dopo, ed ora disponibile in Dvd. Personalmente, siamo tornati a questi episodi in tempi di lockdown, dovendo rimanere confinati in casa: in quei giorni di riflessione (anche), in un certo modo, abbiamo ripercorso nostri passi remoti. Per esempio, rivedendo vecchi film e rileggendo tutte le inchieste del commissario Maigret, di Georges Simenon, in cronologia di scrittura, in traduzione ed edizione Adelphi. Per chi non sa cosa siano state le sceneggiature di Ai confini della realtà / The Twilight Zone, ovviamente anagraficamente selettive, convochiamo il richiamo di ogni puntata degli avvincenti telefilm dei primi anni Sessanta:

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Fotogrammi consequenziali da Un’insolita macchina fotografica, decimo episodio della seconda stagione di Ai confini della realtà, traduzione italiana della serie originaria statunitense The Twilight Zone (del 1960). Una coppia di ladri scopre di aver rubato una macchina fotografica particolare e unica, che mostra immagini cinque minuti avanti nel Futuro. Finalizzano questa anticipazione per puntare su cavalli vincenti, e poi incorrono in inevitabili guai: legge del contrappasso.


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

Cinema (con fumetto)

«C’è una quinta dimensione, oltre quelle che l’Uomo già conosce; è senza limiti, come l’infinito, e senza tempo, come l’eternità. È la regione intermedia tra la luce e l’oscurità, tra la scienza e la superstizione, tra l’oscuro baratro dell’ignoto e le vette luminose del sapere. È la regione dell’immaginazione, una regione che si trova... ai confini della realtà».

AVANTI NEL TEMPO Un’insolita macchina fotografica ( A Most Unusual Camera) è il decimo episodio della seconda stagione di Ai confini della realtà, trasmessa negli Stati Uniti il 16 dicembre 1960, e in Italia almeno due anni dopo. Nella propria camera d’albergo, una coppia di ladri lamenta la povertà di un bottino. Tra gli oggetti rubati in un negozio di antiquariato, che sulla carta prometteva bene (meglio), c’è anche una vecchia e inutile macchina fotografica a cassetta, con una curiosa etichetta “Dix a la proprietaire” (Dieci al proprietario). Addirittura, i due pensano che non funzioni; per provarla, lei si piazza davanti alla finestra, in posa da diva. Dopo lo scatto, alla maniera degli apparecchi Polaroid per pellicola autosviluppante a colori (nati con l’originaria SX-70, del 1972; più di dieci

anni dopo questa sceneggiatura), la macchina fotografica espelle la copia bianconero, che -a sorpresa- non raffigura ciò che l’obiettivo ha puntato, ma qualcosa di diverso: nella fotografia, la signora indossa una pelliccia, assente al momento dello scatto. Stupore, incredulità e immediata consapevolezza, peraltro confermata da un secondo scatto: la macchina fotografica non fissa il Presente, ma scruta avanti nel Tempo, rivelando ciò che si svolge/rà cinque minuti dopo. Ovviamente, i due, ai quali si è unito il fratello di lei, evaso di prigione, mettono prontamente a frutto questa incredibile visione nel Futuro prossimo, andando a fotografare i tabelloni delle corse dei cavalli, per conoscere a priori l’ordine d’arrivo e puntare a conseguenza sui vincenti. In un pomeriggio si arricchiscono; la felicità e il benessere sono però brevi, perché, ora di sera, le potenzialità della stessa macchina fotografica si ritorcono contro di loro: legge del contrappasso.

IN NARRATIVA Come abbiamo annotato, la macchina fotografica che scruta il futuro è tema ricorrente in certa narrativa (lo stiamo per vedere), come in identificate sceneggiature (l’abbiamo appe-

Pubblicati nella collana per ragazzi Piccoli brividi (Mondadori Editore), Foto dal futuro e Foto dal futuro n° 2, di Robert Lawrence Stine, sono racconti nei quali le fotografie sono premonitrici di qualcosa che avverrà.

na annotato), oppure tra i fumetti (li incontreremo più avanti). Nella traduzione del compianto Emilio Frisia (1924-2004), fotografo e cultore della fotografia, proponiamo un passaggio da un inedito di Vadim Sergeevich Schefner (1915-2002), Un eroe troppo modesto (ovvero Un viaggio dietro la propria schiena). – E questo che cos’è? – domandò Ljusja. – Che strana macchina fotografica. Non ne ho mai viste del genere. – Ma è una normalissima Fed, solo che le ho applicato un obiettivo speciale. Si tratta di un obiettivo che ho costruito io di recente e che permette di fotografare nel futuro. Tu metti a fuoco l’obiettivo sul riquadro di spazio che vuoi fotografare e di cui vuoi sapere come sarà il futuro, e poi schiacci il bottone. Il congegno è ancora molto rudimentale; si può fotografare solo con tre anni di anticipo; più in là non si riesce ad arrivare. – Ma anche con tre anni di anticipo è moltissimo! Tu hai fatto una grande scoperta! – Ma va, grande! – disse Sergej, facendo un gesto di noncuranza. – È una roba ancora rudimentale. – Ma ne hai già fatte delle foto? – domandò Ljusja. – Sì, le ho fatte; ho girato per la città e ho scattato qualche fotografia. Sergej tirò fuori dalla scrivania alcune stampe 9x12cm. – Guarda, qui ho ripreso una betulla in un prato com’è adesso senza il mio congegno. E guarda qui la stessa betulla come la si vedrà tra due anni. – È cresciuta un po’. – E qui tra tre anni – soggiunse Sergej. – Ma non c’è più – si meravigliò Ljusja. – C’è solo un mozzicone di pianta con una buca accanto, come un imbuto. E là lontano, guarda! Ci sono dei militari che corrono. E la loro divisa è davvero strana... Non ci capisco niente! – Sì, anch’io mi sono meravigliato quando ho stampato queste foto – disse Sergej. – Probabile che ci saranno delle manovre, ecco quel che penso. – Sai che ti dico Sergej? Bruciala questa foto. Può esserci dentro qualche segreto militare. La foto potrebbe finire nelle mani di qualche spia!

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Cinema (con fumetto)

– Hai ragione, Ljusja – disse Sergej. – Ci avevo appunto pensato anch’io. Strappò la foto, e la gettò nella stufetta, dove c’era già molto ciarpame, e l’accese. – Così mi sento più tranquilla – disse Ljusja. – Ma adesso fotografa me, come sarò tra un anno. Ecco, mi fotografi su questa poltrona vicino alla finestra. – Il mio obiettivo, però, riprende soltanto l’inquadratura del luogo e quello che ci sarà lì allora. Se tu, tra un anno, non ci sarai su questa poltrona, non verrai fuori nemmeno sulla fotografia. – Tu comunque fotografami. Tra un anno esatto, in questo giorno e a quest’ora io mi siederò senza fallo su questa poltrona. – Va bene, allora proviamo. E lui fotografò Ljusja in poltrona con regolazione del tempo su un anno. – La sviluppo e stampo subito – disse. – Oggi, il bagno del nostro appartamento è libero e nessuno ci lava la biancheria. Quando la pellicola fu sviluppata, Ljusja la prese delicatamente per i

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Sulla propria copia a sviluppo immediato, la Polaroid Onyx di Terrore dall’infinito, di Dylan Dog (61), non registra la presenza dell’astronave aliena. [Per evidenziare la consecuzione sottolineata, abbiamo inserito una colorazione].

(in alto) Protagonista dell’omonima serie di fumetti di Akira Toriyama, il Dottor Slump ha inventato la «macchina [fotografica] che fotografa il futuro». Oltre le dotazioni consuete, dispone di un regolatore degli anni in avanti e del relativo contatore abbinato.

bordi e guardò l’ultimo fotogramma; ma dal negativo è difficile giudicare l’immagine. Comunque, le parve che la donna seduta in poltrona non fosse lei. Invece avrebbe tanto voluto esserci proprio lei seduta tra un anno su quella poltrona. “No, probabilmente sono io – decise –, solo che sarò riuscita male”. Quando la pellicola fu asciutta, andarono tutti e due in bagno, dove la lampadina rossa era già accesa. Sergej infilò la pellicola nell’ingranditore, diede luce e l’immagine negativa fu proiettata sulla carta sensibile. Con movimenti rapidi, mise la carta nel rivelatore. Sulla cartolina comparvero i tratti di una donna sconosciuta che sedeva sulla poltrona. Stava ricamando un grosso gatto su un pezzo di tela. Il gatto era quasi finito; gli mancava solo la coda. – Ma questa qui seduta non sono io – disse turbata Ljusja. – È proprio un’altra. – Eh sì, non sei tu – confermò Sergej. – Ma io non so chi sia. Questa donna non l’ho mai vista. – Sai, Sergej, è ora che me ne

torni a casa – disse Ljusja. – E tu puoi anche non accompagnarmi. La macchina per scrivere la darò ad aggiustare al laboratorio riparazioni. – Ma lascia che ti accompagni a casa. – No, Sergej, non si deve. Sai, io non voglio immischiarmi nel tuo destino. – E se ne andò. “No, proprio non mi portano fortuna le mie invenzioni”, pensò Sergej. Prese un martello e fece a pezzi quella maledetta macchina. Analogamente, la stessa Fotografia del Futuro è tema di due romanzi della collana per ragazzi Piccoli brividi, dell’editore Mondadori. In sequenza algebrica, Foto dal futuro e Foto dal futuro n° 2, dello statunitense Robert Lawrence Stine, sono racconti nei quali le fotografie (ancora in stile polaroid, a sviluppo immediato ed espulsione istantanea della copia) sono premonitrici di qualcosa che avverrà. La declinazione è assolutamente e volontariamente avventurosa, visto e considerato che la collana promette ai propri giovani lettori viaggi “nel mondo della paura”.


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Cinema (con fumetto)

Dalle rispettive presentazioni, in quarta di copertina: «La casa, comunque, era disabitata da anni, per lo meno da quanto ricordavano Greg e i ragazzi. Sarà stato per questo che in città si raccontavano strane storie su Villa Coffman, che avevano per protagonisti fantasmi inconsolabili o crudeli assassini assetati di sangue, che si erano macchiati di efferati delitti in quelle stanze», nelle quali i ragazzi trovano, appunto, la macchina fotografica che vede nel Futuro. Seconda tornata: «Chiusi gli occhi. Non avevo il coraggio di guardare. Ma non avevo scelta. Dovevo farlo. Dovevo sapere che cosa mi era successo. Lentamente, molto lentamente, aprii un occhio. Poi l’altro. Inspirai a fondo e guardai il mio riflesso. La premonizione della foto si era avverata? Pesavo due quintali?». Sempre nell’ambito della letteratura per ragazzi, nella collana dedicata Il giallo dei ragazzi, ancora Mondadori Editore, c’è un romanzo di Giulia Sarno a sfondo fotografico: per l’appunto, Il fotogramma rivelatore. In questo caso non si tratta di fantasia, né fanta-

scienza, ma di qualcosa che ha eventuali debiti di riconoscenza con le sceneggiature del cinematografico Blow– Up, di Michelangelo Antonioni (1966), e del fumetto Ciao Valentina, di Guido Crepax (1966, cronologicamente anteriore al film; ribattezzato Ciao, Valentina!, nel giugno 1972, nella reimpaginazione per il terzo titolo dei Libri di Linus), nelle quali dettagli casualmente e involontariamente compresi nei secondi piani di inquadrature fotografiche, defilati rispetto il soggetto principale, svelano e rivelano un omicidio.

A STRISCE Leggendario nell’ambito della cultura dei fumetti giapponesi, Dottor Slump & Arale è una delle più note e fortunate serie disegnate da Akira Toriyama, affermato autore proiettato nell’olimpo internazionale, ampiamente conosciuto in Italia. Nel dicembre 1996, Star Comics, di Bosco, in provincia di Perugia, ha pubblicato l’avventura Verso il domani, basata sulle fantastiche possibilità di una macchina fotografica che penetra il Futuro: appunto soggetto delle nostre osservazioni odierne.

Chi viene fotografato con la biottica dotata di obiettivo malefico si trasforma in assatanato assassino, come l’aspirante modella Tippy, che infierisce sui propri genitori (da Safarà, avventura numero centottantadue di Dylan Dog ).

Senza alcun limite, un regolatore di Tempo, non di otturazione, permette di vedere avanti negli anni. Inevitabile rilevare i disagi che questo provoca nei protagonisti, che si fotografano l’un l’altro, ottenendo proprie raffigurazioni in età cronologicamente a seguire, con relativa accentuazione di acciacchi fisici e deperimenti vari. Invece, scartando un poco a lato, la Polaroid Onyx di Terrore dall’infinito, sessantunesimo fascicolo della fortunata collana di Dylan Dog, di Sergio Bonelli Editore (ottobre 1991), annota non tanto in avanti nel tempo, quanto annulla qualcosa che si vede (?) a occhio nudo. A parte la colta citazione della Onyx, la Polaroid con livrea trasparente (del 1986?), che lascia intravedere i propri ordinati dispositivi interni, annotiamo che sulle copie a sviluppo immediato scompaiono gli alieni, presenti nella scena in una dimensione (mentale) diversa da quella registrabile dalla pellicola fotosensibile. Per certi versi, declinando all’inverso, possiamo rimandare questa condizione e situazione alla fantasia con la quale, all’inizio del Novecento, abili truffatori speculavano sull’incredulità popolare, spacciando fotografie di presunti fantasmi. Inutile sottolineare che queste figure evanescenti, all’interno di inquadrature abilmente confezionate, si basavano sulla sapiente regolazione di tempi di esposizione lunghi, durante la cui estensione complici istruiti si muovevano sulla scena, attorno al soggetto, lasciando soltanto una scia del proprio passaggio. Ancora Dylan Dog arriva a una fantascientifica situazione fotografica nell’episodio Safarà (numero 182, del novembre 2001). Anche qui, non c’entra il Futuro, bensì i poteri di un particolare obiettivo, applicato a una biottica di fantasia, che trasformano i soggetti fotografati in assatanati assassini, che infieriscono su proprie vittime innocenti, dilaniandole. Ribadiamo, per concludere: tante fantasie, tutte fantasie che vanno ben oltre il reale, proponendo macchine fotografiche che non avremo mai sui nostri scaffali e che non verranno mai realizzate da alcun produttore. Quindi, si tratta di macchine fotografiche che non verranno mai presentate nell’ambito di qualsivoglia carrellata di novità tecnologiche. Per buona pace. ❖

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Casellario di Angelo Galantini

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DI LIBRO IN LIBRO

Come autore, di testi e/o fotografie, Beppe Bolchi è stato presente su questa rivista in molte occasioni, tutte declinate con rigoroso passo, che lo induce a considerare gli argomenti affrontati, trattati e svolti con attenzione assoluta e fedeltà a propri princìpi etici irrinunciabili. Tutte, a dire il vero, meno una; curiosamente, la prima: quando e dove, nel settembre 1994 (mille anni fa, in avvio di edizione), visualizzammo la sua agenda a fogli mobili, in un tempo antecedente l’attuale sostanziosa digitazione di dati e memoria. A conti fatti, in frequentazione continuata, quell’implacabile “ordine” di allora ha presto rivelato la propria natura... niente affatto casuale: Beppe Bolchi possiede una mente votata alla compilazione ragionata di liste capaci di interpretare fatti e accadimenti, in propria sistemazione e collocazione che ne sintetizzano lo svolgimento. Diciamola anche così. Da cui, sempre in frequentazione continuata, assicuriamo e garantiamo per i suoi casellari, sempre puntuali e significativi, che -alla resa dei contidecifrano meglio e più approfonditamente di quanto non sono in grado di fare analisi teoriche. Sa andare sottotraccia, per individuare il significativo, rispetto l’irrilevante e trascurabile. Nel corso degli anni di frequentazione continuata -ribadiamolo ancora-, abbiamo attinto a piene mani alle sue analisi schematiche, dietro le cui cifre e messe in ordine, per niente aride e autoconclusive, abbiamo spesso/sempre colto l’essenza prima e unica delle vicende via via affrontate: dai programmi fotografici in ripetizione annuale alla schedatura ragionata di argomenti svolti; dalla comprensione della parte per il tutto alla decifrazione di ideologie e intenzioni ufficialmente occultate. Ora, in stretto ordine temporale, siamo qui a presentare, commentandola, una sua iniziativa sostanziosamente privata, che compone i tratti di qualcosa di più e meglio del suo solo esaurimento in se stessa. Beppe Bolchi ha catalogato la sua libreria fotografica, andando a compilare addirit-

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tura una guida ragionata, oltre che ordinata. In duecentodieci (210) pagine 21x29,7cm (Uni A4: riuscendo a farlo, con quattro perforazioni possono essere archiviate in un dossier d’ufficio), ha messo ordine tra duemilaottocentosettanta libri e pubblicazioni (2870): dei quali, milleseicentotrentuno (1631) relativi alla Fotografia, cinquecentoventinove (529) dedicati alla Fotografia Polaroid (alla cui esperienza tecnicocommerciale ha dedicato anni e anni di professione), quarantaquattro (44) alla sola Fotografia Stenopeica (pinhole, senza obiettivo), cinquantasei

Ex Libris - Beppe Bolchi: 210 pagine 21x29,7cm; 2870 libri e pubblicazioni. In ordine: 1361 relativi alla Fotografia; 529 dedicati alla Fotografia Polaroid; 44 alla Fotografia Stenopeica; 56 sul Colore; 383 su Architettura, Arte e Design; 70 relativi alla Musica; più 157 titoli da collocare altrimenti.

(56) sul Colore, trecentottantatré (383) su Arte, Architettura e Design e settanta (70) relativi alla Musica. In totale, queste categorie fanno duemilasettecentotredici libri (2713), a cui si aggiungono altri centocinquantasette (157) titoli da collocare altrimenti! Questa sua preziosa classificazione Ex Libris - Beppe Bolchi è scandita su pagine e pagine in incessante sequenza, ognuna delle quali visualizza sedici copertine, con propria specifica: un lavoro immane (e sappiamo bene di cosa stiamo parlando), che -per quanto intimo e privato- si presenta e offre come fantastica guida alla lettura fotografica, all’approfondimento della sua tecnica e del suo relativo linguaggio formale e creativo. Nessun testo inutile a commento e introduzione, ma solo una prefazione indispensabile. Leggiamo da pagina quattro, là dove si specifica anche «Riproduzioni, catalogazione, grafica e impaginazione a cura dell’Autore»: «I Libri sono, per me, fonte di sapere e di ispirazione. Non sono un collezionista, pur se mi è piaciuto circondarmi di libri e di raccogliere strumenti e attrezzi che mi servivano o che avrebbero potuto servirmi. Diversi miei progetti sono potuti nascere ed essere sviluppati e realizzati proprio perché avevo a disposizione ciò che era necessario nel momento dell’ispirazione e della verifica. «La Biblioteca che ne è scaturita, un pezzo per volta nel corso degli anni, è ora motivo di orgoglio e al tempo stesso di considerazione per il volume e il peso che ne comporta. «Questa raccolta vuole essere semplicemente la documentazione e la memoria di quanto mi ha accompagnato e in parte mi accompagnerà nel mio percorso di vita». Quindi, annotazioni di rito: «Prima e Unica Edizione - Maggio 2020 / Stampata in sette esemplari numerati, di cui questo è il numero…». Tra le nostre mani, su uno dei nostri ripiani, in bella vista, pronto per essere consultato e riconsultato, l’esemplare numero Sette: l’ultimo, in numero primo... e altro ancora. ❖



PRESCRIZIONE: NON DIMENTICARE


A quasi sessant’anni dall’edizione originaria, del 1963, ancora oggi, paradossalmente soprattutto oggi, alla luce di quanto accaduto a Minneapolis, lo scorso venticinque maggio, dove e quanto quattro agenti di polizia hanno ucciso l’afroamericano George Perry Floyd, di quarantasei anni, per eccesso di intervento, The Fire Next Time, di James Baldwin e Steve Schapiro si offre e propone come “lettura” fuori dall’ordinario. Per quanto avremmo sperato di non dover più tornare su questo argomento (che sognavamo essere risolto una volta per tutte), per eccezionale coincidenza di date -dall’incipit di apertura-, la corrente riedizione Taschen Verlag vibra di sostanziale e inattesa attualità. Un reportage epocale


(doppia pagina precedente) 1965: un ordine del tribunale consentì a solo trecento persone di marciare verso Montgomery, su due corsie dell’Highway 80.

21 marzo 1965: contrapposizione tra manifestanti e truppe della Guardia Nazionale dell’Alabama prima della terza marcia di Selma. Durante la prima marcia (sette marzo), Jim Clark, sceriffo della Contea di Dallas, sostituì i volontari che attaccarono i manifestanti mentre tentavano di attraversare l’Edmund Pettus Bridge.

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di Maurizio Rebuzzini ertamente è stato un poeta: solo i poeti sanno parlare della Libertà, dolce e inebriante. Qualcuno ha affermato che le coincidenze sarebbero gli unici accadimenti che rivelano che la Vita possa avere un qualche senso. Pubblicata per la prima volta nel 1963, in edizione originaria The Dial Press, il testo The Fire Next Time, di James Baldwin (19241987) colpì al cuore del cosiddetto “Problema del negro americano” (in espressione dell’epoca). Di fatto, al pari e insieme l’altra raccolta Nothing Personal, dello stesso James Baldwin, con fotografie di Richard Avedon (in riedizione attuale Taschen [FOTOgraphia, marzo 2018]), è una delle pietre miliari del pensiero liberal statunitense degli anni Sessanta. A seguire, irrintracciabile questa prima edizione, bibliograficamente quotata intorno ai quattrocento dollari, e irreperibili anche le ristampe “datate”, in tempi sostanzialmente recenti, nel 2017, l’immancabile Taschen Verlag, di Colonia, in Germania, ha ripubblicato

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The Fire Next Time in monografie illustrate con fotografie in tema, e a complemento, di Steve Schapiro (1934): edizioni di prestigio, insignite del prestigioso e ambìto Lucie Award 2017 - Book Publisher of the Year for a Limited Edition. Anzitutto, milleottocentotredici (1813) copie Collector’s Edition, numerate da 151 a 1963 [anno di prima edizione] (275,00 euro). Quindi, centocinquanta copie Art Edition, in tre lotti da cinquanta ciascuno, ognuno impreziosito da una stampa bianconero da negativo originario di Steve Schapiro, firmata dall’autore (1500,00 euro): da 1 a 50, con Dr. Martin Luther King Jr, Selma, Alabama, 1965; da 51 a 100, con God Is Love, James Baldwin, 1963; da 101 a 150, con March for Freedom, Selma to Montgomery, 1965 [anche copertina dell’edizione standard 2020, della quale stiamo per riferire]. Ancora oggi, paradossalmente soprattutto oggi, alla luce di quanto accaduto a Minneapolis, lo scorso venticinque maggio, dove e quanto quattro agenti di polizia hanno ucciso l’afroamericano George Perry Floyd, di quarantasei anni, per eccesso di intervento, The Fire Next Time, di James Baldwin e Steve Schapiro


STEVE SCHAPIRO

si offre e propone come “lettura” fuori dall’ordinario. Per quanto avremmo sperato di non dover più tornare su questo argomento, per eccezionale coincidenza -dall’incipit di apertura-, la corrente riedizione vibra di sostanziale e inattesa attualità. Il titolo riprende un pensiero di James Baldwin: «God gave Noah the rainbow sign. No more water, the fire next time!» (Dio diede a Noè il segno dell’arcobaleno. Niente più acqua, il fuoco la prossima volta!). Già... Il Fuoco la Prossima Volta! Sorprendente per la sua narrazione magistrale, così come per il resoconto intimo e sincero che ripercorre l’esperienza sostanziosamente recente degli afroamericani, la monografia è conteggiata come una delle più appassionanti e autorevoli indagini sui rapporti interrazziali negli anni Sessanta, in tempi nei quali tematiche di amore, fede e famiglia si intrecciarono fino a sferrare un attacco diretto all’ipocrisia del “paese della libertà”. I testi di James Baldwin sono riproposti in tutta la propria ricchezza, crudezza ed efficacia... in raffinata prosa (in inglese). L’edizione libraria è completa di oltre cento (continua a pagina 29)

James Baldwin (1924-1987) ha scritto romanzi, saggi, testi teatrali e poesie. È considerato uno dei più acuti critici della società contemporanea e uno degli esponenti letterari più brillanti e provocatori dell’era postbellica. I suoi saggi -tra i quali, Mio padre doveva essere bellissimo ( Notes of a Native Son; 1955) [Rizzoli, 1964] e La prossima volta - il fuoco. Due lettere ( The Fire Next Time; 1963) [Feltrinelli, 1995]-, nonché i romanzi -come La stanza di Giovanni ( Giovanni’s Room; 1956) [Le Lettere, 2001] e Un altro mondo ( Another Country; 1962) [Le Lettere, 2004]- indagano problematiche taciute, seppur evidenti, sorte a causa delle distinzioni di classe, genere ed etnia, negli Stati Uniti del secondo Novecento. Nato ad Harlem, New York, ha vissuto principalmente nel sud della Francia. Steve Schapiro (1934; qui sotto, in azione giornalistica, nel 1966) è un celebre fotografo le cui immagini hanno impreziosito copertine e pagine di Vanity Fair, Time, Sports Illustrated, Life, Look, Paris Match e People, e sono presenti in molte collezioni museali. Ha pubblicato cinque monografie: American Edge (Arena Editions, 2000), Schapiro’s Heroes (powerHouse Books, 2007), The Godfather Family Album (Taschen Verlag, 2013), Taxi Driver (Taschen Verlag, 2013), Barbra Streisand (Taschen Verlag, 2016) e Then and Now (Hatje Cantz Verlag, 2012). È autore di numerose immagini iconiche del cinema statunitense: da Un uomo da marciapiede ( Midnight Cowboy, di John Schlesinger, del 1969) a Taxi Driver (di Martin Scorsese, del 1976), a Come eravamo ( The Way We Were, di Sidney Pollack, del 1973), a Il padrino - Parte III ( The Godfather: Part III, di Francis Ford Coppola, del 1990).

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(continua da pagina 25) fotografie di Steve Schapiro, che lo accompagnò durante i suoi viaggi nel sud degli Stati Uniti per la rivista Life. Il loro incontro introdusse il bravo fotogiornalista nel vivo del movimento, offrendogli la possibilità di realizzare immagini insostituibili, spesso iconiche, immortalando eventi cruciali, come la Marcia su Washington per il lavoro e la libertà (28 agosto 1963) e la prima Marcia Selma a Montgomery (Bloody Sunday; 7 marzo 1965). Ancora, Steve Schapiro ha incontrato e fotografato i leader della lotta per i diritti civili. Tra questi, Martin Luther King Jr (1929-1968; assassinato il quattro aprile), Rosa Louise Parks (1913-2005; attivista statunitense, figura-simbolo del movimento per i diritti civili, divenuta famosa per aver rifiutato, nel 1955, di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a Montgomery), Frederick Lee “Fred” Shuttlesworth (1922-2011; attivista da Birmingham, in Alabama) e Jerome “Big Duck” Smith (1940; presente con James Baldwin allo storico meeting con l’allora ministro della Giustizia Robert F. Kennedy, fratello di John Fitzgerald, presidente, del 24 maggio 1963).

Oggi in edizione libraria standard, a tutti accessibile, The Fire Next Time è scandito da storie fotografiche riprese sul campo dal talentuoso e partecipe Steve Schapiro. Quindi, oltre i testi fondamentali di James Baldwin (se vogliamo, purtroppo, in inglese), va registrata una commossa e autorevole prefazione di John Lewis (1940), figura primaria nella lotta per i diritti civili degli afroamericani, attualmente membro del Congresso degli Stati Uniti. A completamento: un saggio di Gloria Baldwin Karefa-Smart, che si trovava con suo fratello James, in Sierra Leone, quando lui iniziò a lavorare al libro, e didascalie di Marcia Davis, del prestigioso e autorevole The Washington Post. Da cui e per cui, risulta una testimonianza visiva e testuale senza paragoni di una delle lotte più importanti e travagliate della storia americana, con proiezione planetaria. Dal e con il londinese The Guardian: «Al proprio tempo, James Baldwin e Steve Schapiro hanno dimostrato come la scrittura e la fotografia potessero rivelarsi armi potenti e rivoluzionarie. [Ancora] Oggi faremmo bene a imparare da loro». Missione della Fotografia. ❖

The Fire Next Time, di James Baldwin e Steve Schapiro; Taschen Verlag, 2020; 276 pagine 23,6x33,3cm, cartonato con sovraccoperta; 40,00 euro. ❯ 1813 copie Collector’s Edition, numerate da 151 a 1963 [anno di prima edizione]; 275,00 euro. ❯ 150 copie Art Edition, in tre lotti da cinquanta ciascuno, ognuno impreziosito da una stampa bianconero da negativo originario di Steve Schapiro, firmata dall’autore (1500,00 euro): ● Da 1 a 50, con Dr. Martin Luther King Jr, Selma, Alabama, 1965; ● Da 51 a 100, con God Is Love, James Baldwin, 1963; ● Da 101 a 150, con March for Freedom, Selma to Montgomery, 1965 [anche copertina dell’edizione standard].

La lotta per il diritto di voto degli afroamericani culminò nelle marce del marzo 1965, da Selma a Montgomery (sulla doppia pagina precedente, rara fotografia a colori; qui sopra, un manifestante). Il ventuno marzo, Martin Luther King Jr e Ralph Abernathy (sulla pagina accanto) aprirono la marcia sulla via per Montgomery.

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REALISMO MAGICO


RESISTANCE : NANTU, ACHUAR, ECUADOR OF

SEEDS

Per mille motivi, a sorpresa. Vincitore assoluto ai prestigiosi e ambìti Sony World Photography Awards 2020, l’uruguaiano Pablo Albarenga conferma e ribadisce il valore e spessore della Fotografia interpretata e svolta con convinzione dei propri soggetti (ufficialmente sconosciuti ai più), rivelati con l’efficacia della comunicazione visiva. Il suo progetto Seeds of Resistance (Semi di resistenza) abbina fotografie di foreste in salute -anche se in pericolo- a ritratti degli attivisti che lottano per conservarle. Il risultato è una rappresentazione lirica di un problema reale. È un lavoro giornalistico, sostenuto dal Pulitzer Center, dedicato alle popolazioni che si battono per la protezione della foresta primigenia


di Lello Piazza

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SEEDS

OF

RESISTANCE : JOANE, TAPAJÓs

SEEDS

OF

RESISTANCE : JULIÁN ILLÁN, ACHUAR, ECUADOR

Q

uando ricevo, il nove giugno scorso, una email che annuncia il Fotografo dell’anno 2020, nominato dalla giuria dei Sony World Photography Awards, reagisco pigramente. Non ce l’ho con il Concorso in sé, ma più di quarant’anni di frequentazione di concorsi fotografici internazionali hanno mitigato la mia curiosità, sia verso “competizioni” fotogiornalistiche di alto profilo, come il World Press Photo e il National Press Photographers Association - Best of Photojournalism, sia per quelli naturalistici -mio territorio fotografico di maggiore coinvolgimento personale-, come il Wildlife Photographer of the Year e l’International Garden Photographer of the Year. Quindi, mi riprometto di dare un’occhiata, senza fretta. Ma il nove giugno, in “testata” della email menzionata, campeggia una affascinante immagine dell’uruguaiano Pablo Albarenga, il Fotografo dell’anno: Nantu, un giovane Achuar, popolazione indigena che vive al confine tra Ecuador e Perù, sotto etnia del gruppo Jívaro, composta da circa quindicimila individui allocati in Ecuador, e tremilacinquecento stanziati in territorio peruviano. Nantu è alla guida di un progetto per la realizzazione di imbarcazioni fluviali a energia solare. Scopo di questa pianificazione è liberare la sua etnia dalla dipendenza dal petrolio. Nantu è fotografato in abiti tradizionali. A destra, in dittico, emerge la foresta pluviale incontaminata del territorio Achuar, ripresa con un drone, che suggerisce la presenza di una divinità buona che lo protegge. Questa immagine evoca il candore arcaico di alcuni quadri del pittore francese Henri Julien Félix Rousseau (1844-1910), in particolare Il sogno, del 1910, e La zingara addormentata, del 1897. Almeno a me, richiama e ricorda la corrente artistica del Realismo magico, della quale Rousseau è considerato uno dei precursori. Oggi, il Realismo magico è associato soprattutto a capolavori letterari dell’America Latina del Ventesimo secolo, primo tra tutti Cent’anni di solitudine, del Premio Nobel per la Letteratura 1982 Gabriel García Márquez, del 1967. Ecco, il progetto fotografico di Pablo Albarenga è composto di quella stoffa lì. Anche se non si occupa di magia, ma di argomenti tangibili, come i diritti umani e la protezione dell’ambiente in America Latina. Tematiche dure, affrontate da molti fotografi con documentazione di devastazioni, popolazioni perseguitate, omicidi. Invece, le immagini del suo progetto Seeds of Resistance (Semi di resistenza) abbinano fotografie di foreste in salute -anche se in pericolo- a ritratti degli attivisti che lottano per conservarle. Il risultato è una rappresentazione lirica di un problema reale. Sostenuto dal Pulitzer Center, è un lavoro giornalistico dedicato alle popolazioni che si battono per la protezione della foresta primigenia: agli Achuar, in Ecuador, e agli indigeni del fiume Tapajós dell’Amazzonia brasiliana, in particolare ai Quilombolas, discendenti degli schiavi africani, fuggiti dalle piantagioni del Brasile, che vivono lì da secoli. Pablo Albarenga è nato a Montevideo, in Uruguay, nel 1990. Sul suo sito (https://pabloalbarenga.com), potrete scoprire di più sul progetto ancora in progress, premiato ai Swpa 2020. «Un rapporto pubblicato nel 2018, quando ho iniziato a lavorarci, ha stabilito che l’anno prima, nel 2017, almeno duecentouno difensori del territorio e dell’ambiente, in tutto il mondo, hanno perso la vita per proteggere le proprie comunità e le regioni devastate da attività minerarie, da sviluppo eccessivo dell’agricoltura, dal disboscamento o dall’intervento di industrie devastanti per l’ambiente. Secondo l’organizzazione Global Witness, per i diritti umani e l’ambiente, la maggior parte dei decessi è avvenuta in America Latina, dove sono morti cinquantasette difensori nel solo Brasile, l’ottanta percento dei quali uccisi mentre difendevano la foresta pluviale amazzonica.




RESISTANCE : VERO CEST SENK, ACHUAR OF

SEEDS RESISTANCE : JOSÉ, ACHUAR OF

SEEDS

«Nonostante questa situazione allarmante, le comunità tradizionali dell’America Latina sono determinate e continuano imperterrite a proteggere il proprio territorio da progetti di sviluppo [?] che sfruttano le risorse naturali di una regione, senza tener conto della sua Storia e Cultura. Le popolazioni tradizionali, legate alla terra sacra dove hanno vissuto e sono sepolte generazioni di antenati, si rifiutano di abbandonarla, anche dopo che è stata in gran parte distrutta. Il mio saggio fotografico cerca di illuminare la potente connessione tra i difensori della Terra e i territori che tutelano così ferocemente. «In Brasile, un presidente di estrema destra ha dichiarato guerra alla foresta pluviale amazzonica e alle sue comunità tradizionali. In Ecuador, gli indigeni Achuar stanno combattendo contro l’estrattivismo che è protetto da un governo che promuove una forma dannosa e insostenibile di “sviluppo”. Tuttavia, l’ondata neoliberista che sta attraversando il bacino amazzonico ha rafforzato gli attivisti che rischiano la vita per proteggere l’ambiente. Con l’aiuto del Rainforest Journalism Fund, del Pulitzer Center, in collaborazione con il giornalista e scrittore Francesc Badia i Dalmases, con il supporto delle organizzazioni DemocraciaAbierta e Engajamundo (Brasile), Fundación Kara Solar (Ecuador) e Agenda Propia (Colombia), raccontiamo storie che quasi nessun altro racconta, per far conoscere la resistenza indigena nella foresta pluviale amazzonica». Tra gli altri lavori di Pablo Albarenga, segnalo Retomada (20162018), un reportage sulla lotta degli indigeni Guarani Kaiowá che vivono nel Mato Grosso do Sul, uno Stato federale del Brasile, che il governo intende sfrattare per favorire l’espansione agroalimentare. Di taglio squisitamente giornalistico è il reportage Sônia, del 2018, dedicato alla campagna elettorale per la vicepresidenza del Brasile di Sônia Guajajara (1974), la prima donna indigena del popolo Guajajara dello Stato di Maranhão, in corsa per una carica di vertice del Brasile. Dopo la vittoria del candidato di estrema destra Jair Bolsonaro (1955), la cui campagna elettorale è stata caratterizzata da continue minacce e attacchi contro le comunità indigene, la lotta di Sônia Guajajara continua come difensore dei loro diritti e rappresentante di oltre trecento popoli indigeni, attraverso la brasiliana Apib (Asociação dos Povos Indigenous). Di stile che, sempre secondo me, trae ispirazione dal Realismo magico è l’ultimo lavoro che cito, Suraras (2019): ritratti di militanti del Coletivo Suraras Do Tapajós, un gruppo di donne del villaggio di Alter do Chão, sul fiume Tapajós, che difendono il proprio territorio attraverso la cultura indigena. Prima di chiudere, mi preme citare un breve scambio di idee che ho avuto, al telefono, con Pablo Albarenga. Gli ho citato La nazione delle piante, di Stefano Mancuso, libro che, tra tante altre suggestioni, le sue fotografie mi avevano fatto tornare in mente. Mi limito a riportare qui la prefazione del libro. «Ispirato dalla mia ormai decennale familiarità con le piante, ho fantasticato che questi nostri cari compagni di viaggio, come genitori amorevoli, dopo aver reso possibile la nostra vita e notando la nostra incapacità di garantire la nostra sopravvivenza, sono venuti in nostro aiuto. Come mai? Redigendo per noi una vera e propria costituzione sulla quale costruire il nostro futuro come esseri rispettosi della Terra e dei nostri simili. Ci sono otto articoli nella Costituzione della Nazione delle Piante, in quanto otto sono i pilastri fondamentali che sostengono la vita delle piante e quindi le vite di tutti gli esseri viventi». Gli ho rivelato che in questo libro c’è magia e poi c’è il realismo della biologia. «È curioso che tu abbia citato Stefano Mancuso», ha risposto Pablo Albarenga. «Ammiro profondamente il suo lavoro e adoro i suoi libri. Mi ha indirizzato a vedere e considerare le piante in un modo completamente diverso». ❖

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GIORNO

LUNEDÌ 9

MARZO

DOPO GIORNO In tempi, giorni, settimane e mesi di recente lockdown, il torinese Paolo Ranzani ha compiuto un’azione fotografica su e con se stesso... fotografandosi in autoritratto ogni giorno, per l’appunto. Ha stabilito di non radersi la barba, per farla crescere incolta nella successione di date. Alla resa dei conti, ha composto una galleria di cinquantasei autoritratti che si aggiungono l’uno all’altro, l’uno al precedente. Ognuno individui ciò che lo emoziona

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Lunedì 9 marzo

Martedì 10 marzo

Mercoledì 11 marzo

Giovedì 12 marzo

Venerdì 13 marzo

Sabato 14 marzo

Domenica 15 marzo

Lunedì 23 marzo

Martedì 24 marzo

Mercoledì 25 marzo

Giovedì 26 marzo

Venerdì 27 marzo

Sabato 28 marzo

Domenica 29 marzo

Lunedì 6 aprile

Martedì 7 aprile

Mercoledì 8 aprile

Giovedì 9 aprile

Venerdì 10 aprile

Sabato 11 aprile

Domenica 12 aprile

Lunedì 20 aprile

Martedì 21 aprile

Mercoledì 22 aprile

Giovedì 23 aprile

Venerdì 24 aprile

Sabato 25 aprile

Domenica 26 aprile

di Angelo Galantini

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otografo capace di muoversi agevolmente tra diversi indirizzi professionali ed espressivi, il torinese Paolo Ranzani agisce con identica franchezza e vivacità nella moda, nel beauty e nel reportage sociale. Oltre le pubblicazioni per periodici, che compongono il cammino quotidiano, volendo avvicinare la sua Fotografia autoriale, sono fondanti almeno due monografie, distanti tra loro nel Tempo e nel Soggetto, ma significative del suo passo: Ecce Femina (Edizioni Set, 2000), titolo esplicito, e il più recente La soglia. Vita, carcere, teatro (Gribaudo, 2004), nato e svolto all’interno di una intensa esperienza a contatto con quanto dichiarato nel titolo. Questo, a monte e nel concreto di un impegno (anche) professionale svolto con concentrazione e, siamo sinceri, commossa partecipazione, soprattutto in riferimento del reportage sociale che dà luce e visibilità a tematiche e problematiche che è doveroso conoscere, avvicinare e comprendere. Del resto, per quanto ognuno di noi abbia opinioni diverse su ciò che è degno di Memoria, tutti noi sappiamo bene che, se possiamo rubare un momento al Vento, magari con una Fo-

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tografia, altrettanto ne possiamo creare uno tutto nostro... magari con una Fotografia. E agiamo a conseguenza, sia per incarichi professionali (quando e per quanto), sia con nostre riflessioni visive individuali e, perfino, intime. Su un piano diverso, per quanto non certo divergente, nei giorni, nelle settimane, nei mesi di recente lockdown / arresti domiciliari, Paolo Ranzani ha compiuto un’azione fotografica su e con se stesso... fotografandosi in autoritratto ogni giorno. In premeditazione, ha stabilito di non radersi la barba, come invece avrebbe fatto in condizioni normali, secondo un ritmo individuale, per farla crescere incolta nella successione di date. Alla resa dei conti, ha composto una galleria di cinquantasei autoritratti che si aggiungono l’uno all’altro, l’uno al precedente. Certo, il progetto fotografico, se così lo intendiamo (come, peraltro, è giusto e doveroso fare), non è originario, ma è identificato da nobili antecedenti, ai quali Paolo Ranzani aggiunge il proprio passo, la propria intelligenza, la propria partecipazione, la propria sottolineatura di una condizione fisica e ambientale sostanziosamente anomala. Del resto, siamo sinceri e schietti, è spesso grottesco incontrare chi vanta -in Fotografia, per quanto ci riguarda- prete-


Lunedì 16 marzo

Martedì 17 marzo

Mercoledì 18 marzo

Giovedì 19 marzo

Venerdì 20 marzo

Sabato 21 marzo

Domenica 22 marzo

Lunedì 30 marzo

Martedì 31 marzo

Mercoledì Primo aprile

Giovedì 2 aprile

Venerdì 3 aprile

Sabato 4 aprile

Domenica 5 aprile

Lunedì 13 aprile

Martedì 14 aprile

Mercoledì 15 aprile

Giovedì 16 aprile

Venerdì 17 aprile

Sabato 18 aprile

Domenica 19 aprile

Lunedì 27 aprile

Martedì 28 aprile

Mercoledì 29 aprile

Giovedì 30 aprile

Venerdì Primo maggio

Sabato 2 maggio

Domenica 3 maggio

stuose originalità assolute, senza tenere in debito conto che “tutto è già stato fatto”... in Fotografia, per quanto ci riguarda; nell’Espressività, per quanto ci compete; nella Vita, per quanto definisce l’evoluzione del Sapiens. Ancora, va altresì considerato che non è certo qualsivoglia presunta “originalità” che stabilisce eventuali differenze e assegna probabili meriti, quanto è l’intelligenza e umiltà di realizzazione e svolgimento che decreta valori e meriti. E questo odierno di Paolo Ranzani, nella propria lievità e grazia, è una trattazione di alto profilo di contenuti, a valle di intenzioni pure, genuine e schiette. Ancora un ulteriore merito di questo progetto, nella sua serenità e irresistibile delicatezza. In un tempo nel quale le cose accadono velocemente, tutto -al di fuori del momento presente- sembra storia antica (oppure, addirittura, niente), di fatto, Paolo Ranzani ha clamorosamente unito e collegato queste due condizioni esistenziali contemporanee... disgregandole e ridefinendole. Dopo di che, se sono richiesti commenti ulteriori, che per qualcuno servono alla identificazione e determinazione di qualità e pregi, il nostro personale punto di vista non può prescindere da quelle condizioni basilari che ci fanno considerare la Fotografia s-punto privilegiato di osservazione e riflessione e

non certo arido punto di arrivo. In questo senso, al cospetto di questi cinquantasei volti incessanti e persistenti, non possiamo tralasciare una nostra convinzione personale e intima: che ci fa ammirare l’Universo anche (soprattutto?) per la sua armonia... matematica. Qui e ora, va rivelato, e non si tratta di deviazione tangenziale, ma di senso della Creazione: se qualcosa di Superiore ha dato origine a Tutto (rispetto al Niente, che forse è Troppo), lo ha fatto rispondendo a princìpi inviolabili di equilibrio e proporzione. E qui e ora, lasciamo perdere i giochi con numeri e cifre con i quali spesso ci intratteniamo. In lievità nostra, rispettosa di quella originaria di Paolo Ranzani autore fotografo, invitiamo a valutare come la sua azione ripetuta giorno dopo giorno palesi una evidenza della Vita, nel momento stesso nel quale sembra che la stia contraddicendo. In matematica, se “A è uguale a B”, “B è uguale a C”, “C è uguale a D”, e avanti così fino all’esaurimento dell’alfabeto, “D (o chi per esso) è uguale ad A”. A conti fatti, le differenze fisiche di ognuno di noi non si misurano su tempi brevi, ma su scorrimento medio-lungo del Tempo. Così che, in questa serie di avvincenti e coinvolgenti cinquantasei autoritratti di Paolo Ranzani, ognuno separato dal

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MAGGIO

DOMENICA 3

precedente e successivo da ventiquattro ore circa, matematicamente, “A è uguale a B”, “B è uguale a C” e via dicendo, ma, alla fin fine, “D è diverso da A”. Certamente, non è stata questa l’intenzione originaria della incessante serie e quantità di autoritratti qui considerati, realizzati in una situazione ambientale anomala e costretta. Ma, alla resa dei conti, anche questa nostra si figura e propone come interpretazione individuale e personale plausibile. Sempre che sia chiara la sua intenzione in metafora.

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Quindi, volendolo fare (e dovendolo fare!), ognuno aggiunga e inserisca proprie considerazioni e valutazioni. Alla fine, il risultato sarà comunque innegabile e certo. Qualsiasi siano le intenzioni dell’autore (e qui, se proprio intendiamo farlo, potremmo anche fermarci al “gioco”), la Fotografia è un linguaggio esclusivo e determinato: per quanto sia sempre un gesto d’amore e partecipazione, la Fotografia vale sempre per qualcosa che ciascuno di noi vi individua, anche solo per se stesso. Anche in questo caso. ❖


Dal 1991, i logotipi dei TIPA Awards identificano i migliori prodotti fotografici, video e imaging dell’anno in corso. Da ventinove anni, i qualificati e autorevoli TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità , prestazioni e valore, tanto da farne i premi indipendenti della fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi. In cooperazione con il Camera Journal Press Club of Japan. www.tipa.com


Questa estate, dal quattordici luglio al ventisei ottobre (due date significative per la Francia e l’Austria), l’autorevole e prestigioso Festival La Gacilly-Baden Photo, che ha superato i disagi degli ultimi mesi, confermando la propria personalità en plein air, propone il motto Niemals Aufgeben! (Non mollare mai!), una arguzia per declinare insieme due temi molto profondi: “Renaissance” (Rinascita / Rinascimento) e “Im Osten viel Neues” (Molte cose nuove in Oriente). Sono allestite circa duemila fotografie, tutte esposte all’aria aperta, lungo un percorso di sette chilometri. A partire dal centro di Brusattiplatz, a Baden, in Austria, la percorrenza è divisa in due direzioni: un “itinerario cittadino” e il “percorso del giardino”

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RENAISSANCE RINASCITA di Lello Piazza

© GERD LUDWIG / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO

E

sistono tanti Festival dedicati alla Fotografia, che si svolgono ogni anno nel mondo e che prevedono mostre fotografiche all’aperto. Citiamo, per esempio, il LagosPhoto, in Nigeria, avviato nel 2010 (www.lagosphotofestival. com; prossima edizione, dal ventiquattro ottobre al diciannove dicembre), lo spagnolo PHoto ESPAÑA (www.phe.es, a Madrid, arrivato alla propria Ventisettesima edizione, dal venticinque giugno al trentuno ottobre; scandito su quattro passi: Sección Oficial, Sección Oficial Otras ciudades, Sedes invitadas e Festival OFF ), lo svizzero Verzasca Foto Festival (www. verzascafoto.com; prossima edizione, Settima dalle origini, dal tre al sei settembre) e il danese Copenhagen Photo Festival (https://copenhagenphotofestival.com; quest’anno annullato per la pandemia Covid-19). Tra quelli solo en plein air, il più importante e -a nostro avviso- il più prestigioso è il Festival La Gacilly Photo, che nasce nel 2004 da un’idea di Jacques Rocher, imprenditore francese della cosmetica. Però, Jacques Rocher è più celebre e conosciuto come ambientalista. Infatti, attraverso la Fondazione della sua azienda, Fondation Yves Rocher (www.yves-rocher-fondation.org), è il promotore del progetto di riforestazione Plantons pour la Planète, con interventi sostanziosi nel Pianeta; è programmata la piantumazione di cento milioni di alberi, cinquanta milioni dei quali sono già stati messi a dimora: «Changer la Planète un arbre après l’autre» (Cambiare il Pianeta un albero dopo l’altro). Per tredici anni, il Festival ha avuto luogo nella cittadina omonima della Bretagna, La Gacilly, nel dipartimento del Morbihan, nella Francia nord-occidentale, circa quattrocento chilometri a ovest di Parigi. Poi, nel 2017, si è esteso verso i comuni di Glénac e La Chapelle-Gaceline, subito dopo la loro fusione amministrativa (rispettivamente, con ottocentonovantacinque e settecentodieci abitanti / 895 e 710). Ma il vero salto di qualità è avvenuto nel successivo 2018, quando, grazie all’impegno di Lois Lammerhuber, oggi direttore del Festival La Gacilly-Baden Photo, e di sua moglie Silvia, il programma originario viene esportato a Baden. Baden è una città termale, immersa in un ambiente naturale incontaminato, situata trenta chilometri a sud di Vienna, in Austria. La cittadina condivide con La Gacilly l’amore per la Fotografia e per

La nuova Russia di Putin in una immagine simbolo di Gerd Ludwig. L’escalation della cultura occidentale è simbolizzata dalla vetrina che strilla “Dior”, con le torri del Cremlino sullo sfondo: inquietante evocazione fantasmatica, che figura il passaggio a un nuovo mondo.

Dal Festival La GacillyBaden Photo 2019 (Primo giugno trenta settembre): 266.751 visitatori, con un incremento del quarantuno percento (41%) rispetto ai 189.256 visitatori della precedente edizione 2018. Sul Festival La GacillyBaden Photo 2020 (quattordici luglio venticinque ottobre): oltre trenta mostre con duemila fotografie; più di trenta autori. Lezioni, seminari e altri eventi (http://festivallagacilly-baden.photo/en/ events/festival-la-gacillybaden-photo-2020).

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Point Hope, Alaska. Qui vive una piccola comunità Inuit autorizzata a cacciare dieci balene boreali l’anno per sostenersi ( Balaenoptera borealis). Ma con lo scioglimento dei ghiacci, dovuto al riscaldamento globale, la caccia è diventata sempre più difficile. Kadir van Lohuizen, dell’Agenzia NOOR, ha trascorso sei mesi lungo i nuovi confini dell’Artico, modellati dai cambiamenti climatici.

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la cultura in generale. Chi volesse approfondire la storia del Festival, appena accennata, trova soddisfazione sul sito www.festivalphoto-lagacilly.com. Veniamo, però, a Baden. Quest’anno, il Duemilaventi, anno bisesto secondo una tradizione demenziale, che però talvolta ci azzecca, il Festival in Austria avrebbe dovuto essere cancellato. Poi, grazie a una migliore situazione “virale”, gli amici di Baden riescono ad aprire il quattordici luglio (Presa della Bastiglia, 14 luglio 1789, festa nazionale francese). La manifestazione si protrae fino al prossimo ventisei ottobre (festa nazionale austriaca, che celebra il mercoledì 26 ottobre 1955, giorno in cui venne dichiarata la neutralità della Repubblica d’Austria, in concomitanza della fine della occupazione postbellica degli Alleati, che durava dal 1945). A Baden, il Festival entra nella propria Terza edizione. Il motto di quest’anno è Niemals Aufgeben! (Non mollare


© GERD LUDWIG / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO

mai!), una arguzia per declinare insieme due temi molto profondi: “Renaissance” (Rinascita / Rinascimento) e “Im Osten viel Neues” (Molte cose nuove in Oriente). Il tema della Rinascita prende spunto da una affermazione del famoso pittore ed ecologista austriaco Friedensreich Hundertwasser (1928-2000): «Quando un singolo Uomo sogna, è solo un sogno. Ma se molti Uomini sognano insieme, ciò rappresenta l’inizio di una nuova realtà» [con aforisma anonimo africano riportato in molte antologie, molto probabilmente ognuna copiata da una prima non verificata: «Se si sogna da soli, è solo un sogno. Se si sogna insieme, è la realtà che comincia»]. Dunque, “Renaissance” sta a significare il Sogno (di molti) di un cambiamento in meglio del nostro Mondo. Un Sogno che forse nasce dalla caduta del muro di Berlino, trentuno anni fa, o -forse e ancora-

Veronika, bambina di cinque anni sofferente di leucemia, è ricoverata al Centro per la Medicina delle Radiazioni, a Kiev, in Ucraina. La fotografia è stata scattata nel 2011, venticinque anni dopo l’incidente nucleare di Černobyl’, avvenuto all’una, 23 minuti e 45 secondi della notte del 26 aprile 1986. Gerd Ludwig è uno specialista delle questioni ambientali che hanno colpito la vita di moltissimi cittadini della ex Unione Sovietica e dei paesi satelliti.

© KADIR

VAN

LELLO PIAZZA

LOHUIZEN / NOOR

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FONDATION CARMIGNAC / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO

PASSI INDIETRO E IN AVANTI

Dal discorso di Auguste Coudray, presidente del Festival La Gacilly-Baden Photo, tenuto alla apertura della precedente edizione 2019, il sedici giugno. «Il Festival fotografico di La Gacilly 2018 ha attirato oltre trecentomila visitatori, in Bretagna, e ci aspettiamo che nel corrente 2019 ne attiri duecentomila qui a Baden. Col fatto di averlo pubblicizzato nelle stazioni ferroviarie della Bretagna e di Parigi, abbiamo raggiunto centinaia di migliaia di passeggeri tra l’inizio di giugno e la fine di settembre. Se si aggiungono i milioni di visualizzazioni sui social media in oltre quarantacinque paesi, possiamo concludere che il Sogno [di far crescere il Festival] è diventato realtà! Il Festival oggi è vivo e florido! Con le immagini che propone, stupisce, sorprende, disturba, sconcerta, sfida e arricchisce la nostra Vita. Raggiunge cittadini, turisti, viaggiatori, blogger e utenti di Internet di ogni generazione. Li collega allo stesso messaggio, ovunque si trovino. Riunisce le persone, sia nel mondo virtuale, sia in quello reale, dove il pubblico si attarda a fotografare le stampe in mostra sui muri e nei giardini della città. «Questo della città è il palcoscenico perfetto per portare la gente al nocciolo dei problemi ed esibire il meglio dell’informazione visiva, a volte tragica a volte semplicemente meravigliosa, proponendoci argomenti che ci incoraggiano a cambiare prospettiva e scuotere il nostro sistema di valori. Se deve fornire una visione più nitida della realtà, la Fotografia deve sorprendere. Il tema di quest’anno riguarda il mondo degli Umani e quello della Natura. Il nostro impegno è quello di “usare” il Festival per convincere il pubblico a scegliere la moderazione invece dello spreco, la qualità invece della quantità, le cose utili invece di quelle superflue. Riteniamo che presentare la Fotografia in uno spazio aperto e pubblico fornisca uno stimolo collettivo, crei legami tra gli artisti e la gente, favorisca lo scambio, l’interazione e il dialogo... insomma, offra nuove possibilità. «Delicate o aggressive, di argomento minimale o universale, mai inutili o insignificanti, le Fotografie esposte al Festival raggiungono il cuore delle cose, il cuore dove tutto accade, si muove ed esiste. Indipendentemente dal fatto che il nostro Festival sia punto di partenza o di arrivo, oh spettatore, sia tappa di un tuo viaggio. Contiamo che ti metta in comunione con altri visitatori, con gli abitanti, che ti radichi più saldamente alle tue origini, ma che ti apra maggiormente al resto del mondo. Intanto, goditi il Festival!».

Nick Nichols in autoritratto davanti a una sua fotografia di gorilla, esposta a Baden, nel 2019.

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© MARIE-LOUISE BERNARD / IMAGE SANS FRONTIÉRE / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO © SERGEY MAXIMISHIN / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO © WILLIAM ALBERT ALLARD / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO

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William Albert Allard (Bill) è stato ospite a Baden 2019. Come “artista in residenza”, ha avuto il compito di interpretare fotograficamente le mostre all’aperto nella cittadina austriaca.

(in alto) Image Sans Frontière è partner del Festival La Gacilly Photo, che espone lavori di suoi membri; da cui un reportage di Marie-Luise Bernard sul Parco Zhangjiajie Wulingyuan, in Cina.

prima, dal vento di Libertà sollevato dalla Glasnost’ (apertura / trasparenza) e dalla Perestrojka (rimodellamento / ricostruzione) del premier sovietico Michail Gorbačëv. E, forse, addirittura prima ancora, dalla tragedia nucleare di Černobyl’ (26 aprile 1986), che ha minato alla base il sistema di bugie su cui si reggeva la ex Unione Sovietica. Un vento che, a giudicare da quanto vediamo oggi, ha solo parzialmente modernizzato il sistema sociale, politico ed economico del grande paese euroasiatico (Russia), ma che certamente ha portato alla fine della Guerra fredda. Al Festival La Gacilly-Baden Photo 2020 (dal quattordici luglio al ventisei ottobre), il tema della “Rinascita” è declinato attraverso il lavoro di alcuni dei fotografi in esposizione, come Alphonse David, Axelle de Russé, Maia Flore, Éric Garault, Guillaume Herbaut, Yuri Kozyrev con Kadir van Lohuizen, Juan Manuel Castro Prieto,


© DANILA TKACHENKO / FESTIVAL LA GACILLY-BADEN PHOTO

Anton Schiestl, Franck Seguin, Marco Zorzanello, Valerio Vincenzo. Ai quali, si aggiungono le immagini della Fondation Yves Rocher e i lavori del gruppo Neue Grenzen (Charles Delcourt, Marine Lécuyer, Julien Mauve). Invece, il tema delle “Cose nuove in Oriente” prende spunto dal notevole impulso creativo dato alla Fotografia contemporanea da autori russi e degli altri stati dell’ex Unione Sovietica: fotografi come Elena Chernyshova, Alexander Gronsky, Gerd Ludwig, Sergey Maximishin, Justyna Mielnikiewicz, Sergey Prodkudin-Gorsky, Kasia Strek, Alexey Titarenko e Danila Tkachenko. Sono allestite circa duemila fotografie da vedere, che -come anticipato- sono tutte esposte all’aria aperta, lungo un percorso di sette chilometri. A partire dal centro visitatori di Brusattiplatz, a Baden, in Austria, la percorrenza è divisa in due direzioni: un “itinerario cittadino” e il “percorso del giardino”. ❖

Un’icona della crocifissione di Cristo, trasportata da monaci del Monastero ortodosso di Aleksandr Svirskij (1487), nel nord-est dell’Oblast di San Pietroburgo. L’autore Sergey Maximishin e un fotografo russo nato nel 1964. (centro pagina) Dal progetto Aree proibite, di Danila Tkachenko: luoghi tenuti nascosti dall’Unione Sovietica, ancora oggi segreti, luoghi vittime di una corsa sconclusionata verso il progresso di un potere basato sulle bugie.

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Considerazioni di Giulio Forti

EPOPEA BROWNIE

Eccellente genìa di macchine fotografiche molto economiche, le Kodak Brownie sono alla base della diffusa cultura fotografica negli Stati Uniti.

Q

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Confezione di vendita della Brownie No.1, del 1900, con richiamo esplicito ai popolari Brownies (folletti birichini, ma spensierati), disegnati dal canadese Palmer Cox e nomignolo del progettista Frank A. Brownell.

Vetrina di un negozio di libri rari, nello shopping center di The Palazzo, a Las Vegas, in Nevada: Brownie Target Six-16 «Vintage Kodak Brownie Camera, Inscribed by Ansel Adams». Ovvero: «Questa non è la macchina fotografica che avevo a Yosemite, nel 1916! La mia era una Brownie #1, ma quasi la stessa. Ansel Adams, 5 aprile 1980».

GIULIO FORTI

Qualche anno fa, nel The Palazzo, uno di quei giganteschi alberghi di Las Vegas con shopping center incorporato, fui attratto da una macchia gialla nella vetrina di un bel negozio di libri rari. Era il giallo Kodak della confezione di una Brownie, una serie di macchine fotografiche popolari di vario genere prodotte dal 1900 a fine anni Sessanta del Novecento, a cominciare dalla box più economica mai esistita. Ma non si trattava di una Brownie (Target Six - 16) qualunque, di un apparecchio fotografico anonimo. Ma! Fatto sta che sulla scatola leggo un appunto scritto da una mano tremolante, che mi fa spalancare gli occhi: «Questa non è la macchina fotografica che avevo a Yosemite, nel 1916! La mia era una Brownie #1, ma quasi la stessa. Ansel Adams, 5 aprile 1980» (con relativa certificazione «Vintage Kodak Brownie Camera, Inscribed by Ansel Adams»). Allora, aveva settantotto anni e la sua salute non era buona, dall’artrite in poi soffriva di tutto. Ansel Adams morirà di tumore, nel 1984. Chiedo notizie, ma «Sorry, stiamo chiudendo». Quindi, come e perché avesse autografato quella Target (che non era proprio “quasi la stessa” della No.1) non si sa. Due scatti attraverso il vetro della vetrina, poi si vedrà. Nel 1888, viene lanciata la Box Kodak disegnata e prodotta da Frank A. Brownell (Alexander; 1859 - 2 febbraio 1939, due giorni prima del suo ottantesimo compleanno), probabilmente il progettista di macchine fotografiche più influente di tutti i tempi. Utilizzava per la prima volta la pellicola in rullo inventata da George Eastman, che consentiva cento scatti circolari da sei centimetri di diametro, un’autonomia enorme se si pensa all’ingombro di altrettante lastre di vetro. Pubblicizzata con il famoso slogan «Voi premete il bottone, noi facciamo il resto», la Box monta un obiettivo


Considerazioni ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

FUMETTO REALISTICO

Riprendiamo da fumetto George Eastman and the Kodak Camera, di Jennifer Fandel; illustrazioni di Gordon Purcell e Al Milgrom; Capstone Press, 2007 (per ragazzi da otto a quattordici anni). In libertà, traduciamo in George Eastman e la Box Kodak, per comprensione certa dalla nostra conoscenza italiana. Così come abbiamo interpretato i testi nella nostra presentazione del novembre 2017: in traduzione di Maddalena Fiocchi. In quattro capitoli: Dall’hobby all’industria; Un sogno semplice e chiaro; La fotografia per tutti; La fotografia, in un istante!.

Per quanto doverosamente semplificata, sia per spazio, sia per indirizzo, con sollecitazione ad approfondimenti, la narrazione è esposta con precisione adeguata e accortezza apprezzata. Certo, l’intenzione è lontana dalla visione enciclopedica, verso la quale rimandano, comunque, indicazioni a fine resoconto. Ma quanto c’è rivela competenza e capacità di sintesi. Sottolineiamo i testi del quarto capitolo, La fotografia, in un istante!, che completa l’iter commentato nel testo principale riguardo la nascita della Brownie No.1, da cui la sua genìa.

Capitolo 4. La fotografia, in un istante! Nei dieci anni seguenti, la domanda di Box Kodak fu molto alta. George Eastman allargò la propria impresa. Aprì fabbriche e centri di distribuzione in tutto il mondo. Nel novembre 1898, la Eastman Kodak Company era già considerata come la più grande compagnia fotografica del mondo.

George Eastman si rendeva conto che altre imprese avrebbero cercato di competere con la sua. Finanziò ricerche mirate a mantenere la leadership della Kodak Eastman Company.

Le nostre Box Kodak costano venticinque dollari. È più di quanto la maggior parte della gente possa permettersi. Beh, se semplificassimo il processo di sviluppo, potremmo venderle a un prezzo inferiore. Lavora in questa direzione. Mr Eastman, produrre questa nuova macchina fotografica costa meno di un dollaro, ed è così semplice che può usarla anche un bambino. Un bambino, hai detto? Questa è una grande idea!

La Brownie è la macchina fotografica per bambini. Costa solo un dollaro, e ci faremo dei clienti a vita. Nel febbraio 1900, Kodak lanciò la Brownie [obiettivo a menisco semplice, per pellicola a rullo 117]. In vendita a un dollaro soltanto, è stata la prima macchina che tutti potevano usare e (quasi) tutti potevano permettersi.

Come c’era da aspettarsi, George Eastman continuò a perfezionare la Brownie, le cui venticinque versioni, allungatesi fino agli anni Sessanta del Novecento, raggiunsero i tempi del colore e flash incorporato.

Wow! Una Brownie tutta per me. Grazie, zio Dan. Mi ricordo ancora quanto mi sono divertito con la mia prima Brownie.

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Considerazioni Nel 1916, Charles e Olive Adams passarono le vacanze estive a Yosemite con il figlio Ansel (quattordici anni), che studiava pianoforte e che diventò pianista professionista prima che fotografo. Di seguito, alcuni brani da Ansel Adams. A Biography (1996), di Mary Street Alinder, dal 1979 sua assistente esecutiva, direttrice dello staff e ghost writer di Ansel Adams. L’autobiografia (Zanichelli, 1985). Da questa è tratta la fotografia scattata dal giovane Ansel Adams con la Brownie No.1 [in basso].

«Dopo la sua prima estate a Yosemite, Ansel trovò un lavoro part-time presso un laboratorio di San Francisco, dove imparò i rudimenti della camera oscura. Il suo lavoro, negli inverni del 1917 e 1918, costituì tutto il suo apprendimento in fotografia». «Quando Ansel tornò a Yosemite, nel giugno 1917, portò con sé una vera attrezzatura: un treppiedi e due macchine fotografiche, una a lastre 4x5 pollici e una Kodak Vest Pocket 6x9cm [...]. L’anno successivo, si portò i chimici indispensabili per sviluppare personalmente i negativi a Yosemite».

Ansel Adams: Tramonto da Backer’s Beach; San Francisco, 1916.

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

«A ricordo della vacanza, i genitori di Ansel gli regalarono una macchina fotografica [Kodak Brownie 6x6cm], che lui si portò ovunque. Il rapporto tra Ansel, la macchina fotografica e Yosemite fu immediato e gli rese finalmente possibile bruciare la sua sopita energia. Saliva da Tenaya Canyon fino ai sentieri ripidi e tortuosi in cima alla Yosemite Falls, per tornare al campo ogni pomeriggio sudato ed esausto a tuffarsi in piscina».

Foglio filatelico Souvenir emesso dalle Poste degli Stati Uniti, il 29 giugno 2011: dodici soggetti autoadesivi per Pioneers of American Industrial Design. Tra questi, il francobollo dedicato a Walter Dorwin Teague (1883-1960), progettista industriale al quale si devono le livree di molti apparecchi fotografici Kodak, tra i quali l’elegante Bantam Special, del 1933-1936, e la Baby Brownie in bachelite, per pellicola a rullo 127, prodotta dal 1934 al 1952, raffigurata.

Pubblicità francese per la Brownie No.1 prodotta in Francia, con la quale «Un bambino può scattare graziose fotografie», tanto che la ragazzina scatta una fotografia proprio a un Brownie (folletto buono). Con la stessa identificazione, sono stati prodotti i modelli più vari. Dalle box in cartone o metallo, alle Baby in bachelite, alle folding a soffietto 6x9cm. E poi, le Six e le Target di migliore qualità.

Rapid Rectilinear 57mm f/9 a quattro lenti di Bausch & Lomb; ai tempi, costava venticinque dollari. Esauriti gli scatti, la si portava in negozio per lo sviluppo e per ricaricare nuova pellicola in camera oscura. Seguirono altri quattro modelli Box, e alcune folding in legno a lastre. Nel 1890, le nuove Box si ricaricavano con pellicola per luce diurna, ma restavano costose, tra venti e venticinque dollari, come dire tra cinquecento e seicento euro. A fine secolo, George Eastman, fondatore della Eastman Dry Plate & Film (non ancora Kodak), chiede a Brownell di progettare un modello il più semplice ed economico possibile, per spingere la diffusione delle macchine fotografiche e la vendita di pellicola. Così, il Primo febbraio 1900, esce la Brownie No.1 formato 6x6cm, offerta a un dollaro, negli Stati Uniti, e a cinque scellini, in Inghilterra. Realizzata in cartone, è dotata di un semplice otturatore rotante da 1/25 di secondo e una lente a menisco per obiettivo. La macchina fotografica fu pensata anche per i bambini. Non a caso, si chiamava Brownie, come gli elfi (folletti buoni) delle avventure popolari di The Brownies (folletti birichini, ma spensierati), disegnati dal canadese Palmer Cox (1840-1924) e nomignolo dello stesso progettista Frank A. Brownell: «Il più grande che abbia mai conosciuto», come lo identificava George Eastman. Per il prezzo, fu definita un “giocattolo”; in realtà, le Brownie sono state alla base della diffusione della cultura fotografica negli Stati Uniti. Nel primo anno, ne furono vendute centocinquantamila e, con un costo di due dollari per pellicola, sviluppo e stampa, portò notevoli profitti all’azienda. La No. 2, del 1901, migliorata in alcuni dettagli, utilizzava pellicola a rullo 120 (ancora oggi in produzione). La famiglia delle Brownie tipo box arrivò quasi immutata agli anni Trenta in più di duecento versioni, con una varietà di finiture colorate o impreziosite da fregi liberty. Però, il loro valore collezionistico attuale è molto basso. Solo le prime edizioni, come la Kodak Box, del 1988, che può valere duemilacinquecento euro, e la Brownie Original, del 1900, qualcosa vicino ai mille euro, hanno valutazioni antiquarie più consistenti. ❖


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/ NUMERO 264 / ANNO XXVII /

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GIAN PAOLO BARBIERI AUDREY HEPBURN

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TONI THORIMBERT LA RAGAZZINA DEL ‘74

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NINO MIGLIORI IL TUFFATORE

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OLIVIERO TOSCANI ANGELO E DIAVOLO

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GABRIELE BASILICO LE TRÉPORT

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GIANNI BERENGO GARDIN GRAN BRETAGNA

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GIOVANNI GASTEL MAGALI

FERDINANDO SCIANNA MARPESSA

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MAURIZIO GALIMBERTI JOHNNY DEPP

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