FOTOgraphia 257 dicembre 2019

Page 1

Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XXVI - NUMERO 257 - DICEMBRE 2019

.

12 DICEMBRE 1969... 2019 CINQUANT’ANNI... E, POI, BASTA


Non è venduta in edicola. Per averla hai una sola possibilità: sottoscrivere l’abbonamento annuale. 12 numeri 65,00 euro

Compilare questo coupon (anche in fotocopia), e inviarlo a: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano MI (02-66713604; graphia@tin.it)

Abbonamento a 12 numeri (65,00 euro) ❑ Desidero sottoscrivere un abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal primo numero raggiungibile ❑ Rinnovo il mio abbonamento a FOTOgraphia, a partire dal mese di scadenza nome

cognome

indirizzo CAP

città

telefono MODALITÀ DI PAGAMENTO

data

provincia fax

❑ ❑ ❑

e-mail

Allego assegno bancario non trasferibile intestato a GRAPHIA srl, Milano Ho effettuato il versamento sul CCP 1027671617, intestato a GRAPHIA srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano Addebito PayPal (Graphia srl)

firma



prima di cominciare LA NOTTE DI NATALE (E ALTRO, IN AGGIUNTA). Ancora sul corrente Duemiladiciannove, in sua conclusione. Natale Rebuzzini è mio padre. È mancato il 24 febbraio 1979, esattamente due mesi dopo aver compiuto settanta anni [FOTO graphia, dicembre 2008, nel centenario dalla nascita]. È nato nel 1908, il ventiquattro dicembre. La notte di Natale. Centoundici anni fa... bella cifra... 111.

Cosa c’entrano le fotografie di Mauro Vallinotto con tutto questo? C’entrano! C’entrano! Perché, attraverso la Fotografia, contribuiscono a scrivere la Nouvelle Histoire studiata, scoperta, scritta. Lello Piazza; su questo numero, a pagina 31 A modo mio... in me, poco è cambiato. mFranti; su questo numero, a pagina 12 Nessun rammarico, ma la considerazione sovrastante di voler, comunque, svolgere il proprio mandato. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 16

19, MILANO)

Questo Catalogo [...] ci conforta nel pensiero che non tutto sia andato perduto, che non tutto sia stato sacrificato al (terribile) altare della superficialità. Antonio Bordoni, su questo numero, a pagina 47

F. CELSO (CORSO XXII

MARZO

Consigliamo di stare sempre zitti e non recriminare, né rimproverare. Anche perché serve a nulla farlo. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 7

Copertina Fotografia di Peppino Bruno, alla commemorazione del quarantesimo anniversario dalla bomba/strage alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano: dodici dicembre millenovecentosessantanove, in attuale cinquantenario di date. Da pagina dieci

BAKER LIBRARY HISTORICAL COLLECTIONS

Lo scorso sette maggio, è stato il centodecimo anniversario dalla nascita di Edwin Herbert Land, fondatore della Polaroid Corporation e inventore della fotografia a sviluppo immediato: capitolo fondamentale della Storia evolutiva della tecnologia fotografica che si proietta sul suo stesso linguaggio espressivo. Tra tanto altro, in FOTOgraphia, del febbraio 1997, nel cinquantenario dal ventuno febbraio di annuncio e presentazione (qui sotto); del febbraio 2007, per il sessantesimo anniversario; del novembre 2008, per il sessantesimo dal ventisei novembre di prima commercializzazione e un triste addio... inevitabile; e poi, terza delle quattro svolte senza ritorno analizzate in 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita. Punto. MR

3 Altri tempi (fotografici) Catalogo Ing. Ippolito Cattaneo 1929-1930 : peraltro, richiamato/presentato/evocato nell’ambito della consistente riflessione retrospettiva su Quando c’erano i cataloghi, su questo numero, da pagina 40; per altra considerazione (circa) storica, il primo nel quale è presente la Leica... in Italia

7 Editoriale Bene e Male, anche in ordine inverso, in relazione alla Vita e alla frequentazione della Fotografia. Forse

10 Sul filo della Memoria Dal dodici dicembre millenovecentosessantanove, nel cinquantenario di date, rievocazione di fatti e considerazioni su comportamenti, anche rivolti al presente. In visione storica e in testimonianza diretta

14 Altri paparazzi Curiosamente, la trasmigrazione dal fotografo della Dolce vita, di Federico Fellini, al neologismo più celebre del Novecento, potrebbe essere stata avviata, addirittura, in un altro film dello stesso regista Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


DICEMBRE 2019

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

16 Soprattutto web

Anno XXVI - numero 257 - 6,50 euro

Oltre i propri meriti, Lewis W. Hine. American Kids, in allestimento a Milano, stabilisce l’avvio di un’epoca nella quale la comunicazione abbandona le riviste

DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

18 Alla maniera della SWC Una 6x6cm artigianale con magazzino portapellicola Hasselblad ricalca i valori operativi della grandangolare a obiettivo fisso: con Super-W-Komura 47mm f/6,3 Ritrovamento di Alessandro Mariconti

REDAZIONE

Filippo Rebuzzini

CORRISPONDENTE Giulio Forti

FOTOGRAFIE Rouge

SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

20 Non un libro. Ma, il libro! Per coloro i quali si occupano di Fotografia, sia realizzandola, sia frequentandola, l’attuale edizione di Henri Cartier-Bresson in Cina dovrebbe essere un libro irrinunciabile, da tenere sempre vicino al Cuore di Maurizio Rebuzzini

26 Come eravamo. Come saremo Torino ’69, di Mauro Vallinotto (e altri), in edizione libraria. La Storia raccontata attraverso immagini di momenti della Vita comune di molti Sconosciuti (Nouvelle Histoire) di Lello Piazza

35 Privato e dintorni Linda McCartney. The Polaroid Diaries: scorcio pre-social nella vita di una famiglia tutt’altro che ordinaria di Angelo Galantini

40 Quando c’erano i cataloghi A partire dal ritrovamento (casuale? invitato? favorito?) del Catalogo Generale Onceas 1969-1970, richiamiamo tempi memorabili del commercio fotografico italiano

46 Fuori dall’ordinario Catalogo BRN Bike Parts 2020: che esempio! Già... di Antonio Bordoni

48 I magnifici sette Dagherrotipi per una copertina: fine dei centottant’anni

HANNO

COLLABORATO

Antonio Bordoni Peppino Bruno Lorenzo Cattaneo Carlo Cerchioli mFranti Angelo Galantini Filippo Leonardi Alessandro Mariconti Lello Piazza Marco Pupillo Marco Saielli Umberto Saliti Mauro Vallinotto

Redazione, Amministrazione, Abbonamenti: Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; 02-66713604 www.FOTOgraphiaONLINE.com; graphia@tin.it. ● FOTOgraphia è venduta in abbonamento. ● FOTOgraphia è una pubblicazione mensile di Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano. Registrazione del Tribunale di Milano numero 174 del Primo aprile 1994. Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano. ● A garanzia degli abbonati, nel caso la pubblicazione sia pervenuta in spedizione gratuita o a pagamento, l’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e in suo possesso, fatto diritto, in ogni caso, per l’interessato di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione ai sensi della legge 675/96. ● FOTOgraphia Abbonamento 12 numeri 65,00 euro. Abbonamento annuale per l’estero, via ordinaria 130,00 euro; via aerea: Europa 150,00 euro, America, Asia, Africa 200,00 euro, gli altri paesi 230,00 euro. Versamenti: assegno bancario non trasferibile intestato a Graphia srl Milano; vaglia postale a Graphia srl - PT Milano Isola; su Ccp n. 1027671617 intestato a Graphia srl, via Zuretti 2a, 20125 Milano; addebiti su carte di credito CartaSì, Visa, MasterCard e PayPal (graphia@tin.it). ● Nessuna maggiorazione è applicata per i numeri arretrati. ● È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo). ● Manoscritti e fotografie non richiesti non saranno restituiti; l’Editore non è responsabile di eventuali danneggiamenti o smarrimenti. Fotocomposizione DTP e selezioni litografiche: Rouge, Milano Stampa: Arti Grafiche Salea, Milano

Rivista associata a TIPA

51 My Way Parole di altri: Paul Anka Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

www.tipa.com


Attrezzature fotografiche usate e da collezionismo Specializzato in apparecchi e obiettivi grande formato

di Alessandro Mariconti

via Foppa 42 - 20144 Milano - 331-9430524 alessandro@photo40.it

w w w. p h o t o 4 0 . i t


editoriale B

iasimiamo spesso. Biasimiamo troppo? Biasimiamo, nonostante la nostra ferrea e ferma intenzione di osservare, piuttosto di giudicare? Non è proprio così, come potrebbe apparire. In sostanza, alla fin fine, ci limitiamo a riprovazioni blande, per la compagnia con parole che possiamo condividere, con concetti che non si fermano a se stessi, dove peraltro non sono neppure indirizzati, ma ci aiutino a stare un poco meglio, con noi, tra noi; ovvero, con gli altri, qualsiasi siano. Non sempre le considerazioni espresse in questo ambito, più e meglio di altri preposto alla riflessione, partono dalla Fotografia (qualsiasi cosa questa significhi per ognuno di noi), ma sempre vi approdano. Certamente, non lo fanno in misura utilitaristica, con nozioni da spendere subito, nel proprio quotidiano attivo (tipo quale apertura di diaframma sia più idonea per la distribuzione armoniosa della sfocatura in inquadratura di ritratto); altrettanto sicuramente, lo fanno in qualità effettiva/affettiva, per quanto ognuno sia disponibile al dialogo ragionato. Eccoci qui, dunque, una volta ancora, una di più, e non certo per l’ultima volta, con considerazioni sollecitate dal vivere quotidiano, al giorno d’oggi, in tempi di retrogusti che avvertiamo diversi dalle percezioni che dovrebbero guidare i rapporti civili e consueti dell’Esistenza. In sintesi estrema, dalla quale, poi, ci incamminiamo oltre, per approdare -questo, sì- alla Fotografia, di nostro territorio statutario comune, si tratta di valutare la diffusa attuale alterazione dei concetti di Bene e Male, sulla cui separazione si basa la stessa Vita sociale (magari, a partire dalla metafora letteraria dello Strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde, di Robert Louis Stevenson, del 1886, in edizione italiana dal 1905, per il cui contenuto e svolgimento richiamiamo anche l’ottima trasposizione cinematografica di Victor Fleming, del 1941, Il dottor Jekyll e Mr. Hyde / Dr. Jekyll and Mr. Hyde, con l’attore Spencer Tracy, nei panni del protagonista in sdoppiamento, e cast arricchito da Ingrid Bergman e Lana Turner). Neanche oggi, giudichiamo. Ancora oggi, osserviamo; e esaminiamo. Per quanto riguarda il Bene, rileviamo che -solitamente- troppi hanno coscienza di quanto ne hanno distribuito, dimenticandosi, al contempo, quello ricevuto; in sintonia, sul fronte del Male, ricordano e sottolineano quanto subìto, dimenticandosi, ancora al contempo, quello trasmesso e recapitato. Nel dubbio, e per non elevare di grado la propria labile memoria selettiva, consigliamo di stare sempre zitti e non recriminare, né rimproverare. Anche perché, tutto sommato, serve a nulla farlo. E, allora, si attivi una serena indulgenza e tolleranza verso l’esterno: la stessa, magari, che i nostri insegnanti della scuola dell’obbligo ci concedevano quando inventavamo storie assurde per motivare la nostra impreparazione sulla lezione assegnata. Quante nonne abbiamo fatto “morire”? Quante disgrazie si sarebbero abbattute sulla nostra famiglia? Almeno tante quante sono state le volte che l’abbiamo passata liscia (apparentemente). Non si tratta di passività, ma di intelligenza applicata al vivere comune, al non erigersi a giuria e boia senza appello.

Bene! Chi siamo tutti noi, nella Vita e in Fotografia? La somma delle nostre esperienze, acquisizioni e comprensioni. Oggi e qui, oltre altri argomenti e altre immagini e altri autori, ci incamminiamo in compagnia della Fotografia di Mauro Vallinotto e Henri Cartier-Bresson; con i complementi sul cinquantenario dal Sessantanove e sull’epoca in cui ci sono stati cataloghi fotografici. Nel Bene, a differenza del Male, in presunzione individuale.

7


Male! La metafora letteraria Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde, di Robert Louis Stevenson, del 1886, in edizione italiana dal 1905, affronta la separazione tra Bene (dottor Jekyll) e Male (mister Hyde). Curiosamente, nella percezione diffusa, i ruoli appaiono invertiti, a causa dello sgradevole nome “Jekyll” (che nell’immaginario diventa Male), rispetto l’armoniosità di “Hyde” (confuso con il Bene). A parte questa nostra valutazione, il romanzo è avvincente nella propria forma tanto quanto è convincente nel contenuto. Tra le tante edizioni, ne segnaliamo due di spessore: in traduzione di Luciana Pirè, per Giunti Editore, del 2012, e a cura di Marilù Cafiero, audiolibro Biancoenero Edizioni, del 2019. In balzo indietro nel Tempo: trasposizione cinematografica di Victor Fleming, del 1941, con Spencer Tracy protagonista in sdoppiamento.

8

Ma comportarsi così potrebbe non essere facile, né gratificante (quantomeno in termini alterati di Società dello spettacolo, da e con Guy Debord). Infatti, presuppone una parità di considerazioni, da se stesso all’esterno, che annulla qualsivoglia autoreferenzialità e personalismo esacerbato. Concedere agli altri le attenuanti che siamo soliti accreditare a noi, è esercizio della Mente e sollecitazione dal Cuore: e non tutti dispongono di una e dell’altro in misura adeguata. Sicuramente, è più comodo collocarci su un piedistallo, dietro una cattedra, sotto le luci di ipotetiche ribalte, che stare con. Alcuni anni fa, in tempi che avremmo sperato spazzati via dalla Storia, circolava una arguta freddura riferita all’allora primo ministro, anche imperatore televisivo (notoriamente pieno di sé), chiamato in paradiso al cospetto del Creatore, preoccupato, si diceva, per l’andamento del e nel Mondo. Al ritorno, il premier confermò l’esistenza di un Essere Superiore, di un Dio: «Sì, Dio esiste», avrebbe rivelato; «... e ha voluto conoscermi», concludeva lapidario. Lungo la stessa linea, pensiamo serenamente a quante volte ci eleviamo di grado e tono per imporci sugli altri, per raccontare che la “sappiamo lunga”. In testimonianza diretta, a fine estate Duemiladiciassette, a Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza, in Calabria, all’avvio del programma fotografico da anni lì allestito e svolto, nell’unica nostra presenza (peraltro, unico invito ricevuto al proposito), nel suggestivo cortile del Castello Ducale, la talentuosa Monika Bulaj presentò il suo progetto Dove gli dei si parlano: appassionato e coinvolgente monologo con immagini, film, suoni e musiche. Accanto a noi, un esponente della giovane e attuale street photography italiana (? sulla cui inconsistenza, dell’uno e dell’altra, evitiamo di soffermarci e insistere), in Calabria in quanto docente di workshop (nientemeno!). Ha passato l’ora di programma con la testa sul monitor dello smartphone (e non garantisco per la mente); alla fine, con atteggiamento sornione, mi ha guardato, affermando perentoriamente: «Che noia, che brutte fotografie [che neppure aveva guardato, non pretendo viste]. Ma a te, piacciono?». «Che a me dicano qualcosa -ho risposto- è ininfluente sul loro valore e sulla deposizione di Monika Bulaj; comunque, pur nella mia abituale aridità di sentimenti, quello che stasera ho ricevuto dalla Fotografia e attraverso una Fotografia appassionante fa di me una persona sicuramente migliore di quella che è entrata in questo cortile, un paio di ore fa. E tanto mi basta. In ogni caso, invidio la tua capacità di esprimere senza ritegno giudizi a vanvera, considerato che non hai degnato di uno sguardo nessuna delle fotografie presentate. Anche questo, mi ha arricchito... in altro senso di marcia». Ebbene, chi siamo tutti noi, nella Vita e in Fotografia? La somma delle nostre esperienze, acquisizioni e comprensioni. Come spesso annotato, ogni nostro viaggio nella Vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore (anche degli altri, anche dagli altri ), sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Oggi e qui, ci incamminiamo in compagnia della Fotografia di Mauro Vallinotto (da pagina ventisei), Henri Cartier-Bresson (da pagina venti), Linda McCartney (da pagina trentacinque) e Lewis W. Hine (a pagina sedici), con i complementi sul cinquantenario dal Sessantanove (da pagina dieci), sull’epoca in cui ci sono stati cataloghi fotografici (da pagina quaranta), su una “reinterpretazione” dell’Hasselblad SWC (di Alessandro Mariconti; da pagina diciotto) e sull’attuale centottantesimo 1839-2019 (da pagina quarantotto). Basta farsi da parte, e lasciarsi avvolgere e coinvolgere. Nel Bene, a differenza del Male, in presunzione individuale. Maurizio Rebuzzini



1969... 2019 di Maurizio Rebuzzini (Franti)

SUL FILO DELLA MEMORIA

D

nello Spazio [nostra più recente rievocazione, in FOTOgraphia, dello scorso luglio]. Nessun rimpianto, sia chiaro. Casomai, un compiacimento intimo: la futura assenza delle istituzioni da un momento e ricordo che appartiene soltanto a Noi, non a loro. Infatti, senza entrare in analisi politiche che non ci competono, né interessano, soprattutto qui, da queste pagine altrimenti promesse, ancora oggi, come cinquant’anni fa, non pensiamo che quella bomba -quella strage- sia stata orchestrata dai “sevizi deviati” dello Stato, ma, molto più concretamente e tangibilmente, dai Servizi in quanto tali: che hanno risposto da par loro (e dello Stato) al clima di richieste sociali del Lavoratori del tempo (e, in subordine, degli studenti). Ricordiamolo una volta per tutte: governo Rumor I (Democrazia Cristiana), dal 13 dicembre 1968 al 6 agosto 1969; governo Ru-

CARLO CERCHIOLI

Dodici dicembre Millenovecentosessantanove... duemiladiciannove: cinquant’anni. È e sarà l’ultima volta che ricorderemo in solennità la bomba/strage alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, a Milano. La cifra tonda dei cinquant’anni è l’ultima possibile. Poi, il ricordo tornerà a essere intimo e sentito: dopo il cinquantenario, finalmente, le “istituzioni” si faranno da parte, e si defileranno dalle successive/prossime rievocazioni “tonte”: cinquantunesimo, cinquantaduesimo, cinquantratreesimo, cinquantaquattresimo... Al Centenario, tutti noi assenti, non ci arriveremo di certo, perché la vicenda -piaccia o meno- si conclude nel localismo italiano. Se proprio qualcosa del presente/passato approderà al Centenario (1969-2069), non possiamo che prevedere solenni celebrazioni per il primo allunaggio, di Apollo 11, il venti luglio, magari in tempi di sostanziosa esplorazione

Ammissione dovuta: non sono anarchico, e non lo sono mai stato. Considerazione necessaria: in effetti, non so neppure dove schierarmi politicamente, ammesso e non concesso che sia doveroso farlo... soprattutto oggi. Se proprio debbo disegnarmi qualcosa addosso, sono essenzialmente libertario. Ovvero, attento al mio esterno e rispettoso degli Altri. Niente di più. Per mille motivi, vivo essenzialmente con cadenza solitaria, consapevole del fatto di risultare sgradito e intenzionato a non diventare sgradevole. Per cui, penso di conoscere persone e che persone conoscano me. Amicizia è altro. Con tutto, sono stato amico di Pietro Valpreda, ingiustamente accusato e carcerato per la bomba / la strage di piazza Fontana, prima di essere riconosciuto innocente e totalmente estraneo ai fatti. Tanto che, per le sue esequie, all’indomani della morte prematura, il 6 luglio 2002, a sessantanove anni, sono stato l’unico non anarchico a portare la sua bara a spalla, nel breve corteo di estremo saluto.

10

mor II, dal 6 agosto 1969 al 28 marzo 1970; presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat (Partito Socialista Democratico Italiano [papà, quanto avrai sofferto per questo, in quei giorni?], dal 29 dicembre 1964 al 29 dicembre 1971 (e, poi, Giovanni Leone!). Ribadiamolo: non esistono i “servizi deviati”, ma soltanto i Servizi. Ed è legittimo che così sia, in una interpretazione dello Stato che appartiene a menti deragliate e traviate (questo, sì). Nei prossimi giorni di dicembre si manifesteranno e moltiplicheranno ricostruzioni e rievocazioni, ma nulla di tutto questo cancellerà un’infamia del nostro paese, che tante altre ne ha poi messe in atto (rapimento e assassinio di Aldo Moro, vicenda Roberto Calvi, assassinio di Peppino Impastato, scuola Diaz, a Genova, caso Cucchi, mafie, connivenze, coperture...). Nulla ridarà la vita a Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della Questura di Milano, il quindici/sedici dicembre, a quarantuno anni; nulla cancellerà le responsabilità dello Stato; nulla restituirà a Pietro Valpreda gli anni di carcerazione ingiusta. Punto. Ma anche noi, coprotagonisti quotidiani di quel capitolo della Nouvelle Histoire [da e con Lello Piazza, su questo numero, da pagina ventisei], dobbiamo fare clamorosa ammenda: al minimo, abbiamo declinato i nostri Sogni, la nostra Utopia con non celata maleducazione. La stagione avviata alla fine degli anni Sessanta, volente o nolente, decennio di grande Rivoluzione sociale, è stata eccezionale e meravigliosa... nonostante noi, nonostante il nostro analfabetismo. Confondendo tra loro i complementi oggetto con i soggetti -e ancora molti, al giorno d’oggi, continuano a frequentare la stessa ingenuità colpevole, anche in Fotografia-, ci siamo elevati a censori. Magari io non l’ho fatto,

quantomeno non ricordo di averlo fatto, ma così è stato: abbiamo preteso che ognuno non svolgesse il proprio ruolo, ma lo interpretasse soltanto per dibattere tesi o sostenere teorie. Attori, musicisti, registi, scrittori, fotografi... che non si attenevano a questo venivano bollati come “borghesi”, e per questo perseguiti. Dalla legittimità originaria, si è presto slittati verso comportamenti identici a quelli combattuti, per quanto -magaridi segno algebrico opposto... ma non conta nulla. Di fatto, abbiamo giudicato, invece di osservare e creduto, piuttosto di pensare. Non avevamo capito che il contributo di ciascuno a una società meno ingiusta, magari più giusta, sarebbe dovuto essere soprattutto in relazione al proprio ruolo. Personalmente, l’ho intuito presto: giusto, in quel Sessantotto di origine, grazie alla personalità rigorosa, disciplinata e determinata di Arturo Cannetta, insegnante

Una storia quasi soltanto mia. La breve vita di Giuseppe Pinelli, anarchico, di Licia Pinelli e Piero Scaramucci; Feltrinelli Universale Economica, 2009; 224 pagine 12,5x19,5cm; 9,50 euro. In copertina: Pino Pinelli a Genova, in viaggio di nozze, nel 1955, fotografato da Licia Pinelli.


1969... 2019 ANCHE GIUSEPPE (PINO) PINELLI DORME SULLA COLLINA

Carl Hamblin (da Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters; sulla tomba dell’anarchico Giuseppe Pinelli, nel cimitero comunale di Turigliano, nel comune di Carrara) La macchina del “Clarion” di Spoon River venne distrutta e io incatramato e impiumato, per aver pubblicato questo, il giorno che gli Anarchici furono impiccati a Chicago: “Io vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati ritta sui gradini di un tempio marmoreo. Una gran folla le passava dinanzi, alzando al suo volto il volto implorante. Nella sinistra impugnava una spada. Brandiva quella spada, colpendo ora un bimbo, ora un operaio, ora una donna che tentava ritrarsi, ora un folle. Nella destra teneva una bilancia: nella bilancia venivano gettate monete d’oro da coloro che schivavano i colpi di spada. Un uomo in toga nera lesse da un manoscritto: “Non guarda in faccia a nessuno”. Poi un giovane col berretto rosso balzò al suo fianco e le strappò la benda. Ed ecco, le ciglia eran tutte corrose sulle palpebre marce; le pupille bruciate da un muco latteo; la follia di un’anima morente le era scritta sul volto, ma la folla vide perché portava la benda”.

UMBERTO SALITI

La sera del dodici dicembre Millenovecentosessantanove, Giuseppe Pinelli (Pino) stava giocando a carte al bar (all’osteria), quando agenti di polizia lo prelevarono per portarlo alla Questura di Milano, al civico undici di via Fatebenefratelli. Lo aveva convocato il commissario Luigi Calabresi, per accertamenti. Con il suo ciclomotore, precedette (o seguì) la volante della polizia: poi, è stato scritto che entrò in motorino, per uscire dalla finestra. Il quindici dicembre, tre giorni dopo, si trovava ancora nel palazzo della questura, nonostante fossero largamente scadute le quarantotto ore di legge, e il fermo fosse ormai estesamente illegale, in quanto non convalidato dal magistrato (in base a quanto previsto dall’Articolo 13 della Costituzione). Durante un ennesimo interrogatorio serrato, condotto da Antonino Allegra (responsabile/capo dell’Ufficio Politico della Questura di Milano) e dal commissario Luigi Calabresi, presenti quattro agenti della polizia dipendenti dall’Ufficio Politico (Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli e Vito Panessa) e il tenente dei carabinieri Savino Lograno (agente del Sisde [altrove, Sisdi]: Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica; ovvero, Servizi segreti), Pino Pinelli precipitò dalla finestra dell’ufficio al quarto piano della Questura in un’aiuola sottostante. Portato all’ospedale Fatebenefratelli, a pochi isolati, vi arrivò morto. [Tante le ricostruzioni giornalistiche; e tutte hanno rilevato sfasature temporali rispetto le dichiarazioni ufficiali: ma non qui, ma non ora]. La prima versione riferita dal questore Marcello Guida, in precipitosa conferenza stampa, svolta poche ore dopo, alla presenza degli implicati Antonino Allegra e Luigi Calabresi, sostenne il suicidio di Pino Pinelli (testuale: «Improvvisamente, il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra, che per il caldo era stata lasciata socchiusa, e si è lanciato nel vuoto» / in dichiarazione fuori conferenza stampa, fu anche riferito che Pino Pinelli avrebbe accompagnato il gesto gridando «È la fine dell’anarchia!»). Basata sul fatto che l’alibi di Pino Pinelli, per le ore di piazza Fontana, si sarebbe rivelato falso, questa versione fu poi ritrattata dalla polizia, quando l’alibi si rivelò -invece- coerente e attendibile. I funerali di Giuseppe Pinelli si svolsero sabato venti dicembre; lo ricordo bene: a margine della cerimonia ufficiale, in piazzale Segesta, nei pressi dell’abitazione, la polizia caricò senza alcun preavviso il discreto e schietto corteo di studenti che stavano testimoniando la propria partecipazione. Dal cimitero milanese di Musocco (quello delle persone comuni, che scrivono la Nouvelle Histoire), successivamente, il corpo di Giuseppe Pinelli (1928-1969) è stato traslato al cimitero comunale di Turigliano, nel comune di Carrara, dove riposa in compagnia di altri patrioti e anarchici [tra i quali, Gaetano Bresci (1869-1901), che, il 29 luglio 1900, a Monza, uccise il re d’Italia Umberto I di Savoia]. Sulla lapide è incisa una (infelice) traduzione della poesia Carl Hamblin, dall’Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters [FOTOgraphia, ottobre 2019, sia per lo spessore e valore del libro e delle poesie lì raccolte, sia per il concetto di traduzione]. Pino Pinelli amava le evocazioni di Spoon River. Nella primavera Sessantanove, all’alba delle strategie dei Servizi, che indirizzarono verso gli anarchici i loro piani di destabilizzazione sociale e politica, Pino Pinelli ne aveva regalata una copia al commissario Luigi Calabresi, che lo interrogava sulle bombe d’aprile.

11


1969... 2019

12

paese che, in nome di un comunismo intollerante e fanatico, ha sterminato due milioni di cittadini, e sono tanti, su una popolazione di quattordici milioni, e sono di più. Ne abbiamo accennato in altre occasioni, e presto vorremmo approfondire meglio, e qui ribadiamo l’infamia commessa dai Khmer Rossi del dittatore Pol Pot (Saloth Sar; 1925-1998), nel campo di detenzione e sterminio S-21 (altrove, S 21), dove i condannati a morte venivano fotografati immediatamente prima dell’esecuzione. Onore e merito, oggi, al Mu-

seo del genocidio di Tuol Sleng, allestito a Phnom Penh, la capitale, dal 2009, testimonianza inserita nell’autorevole Elenco delle Memorie del mondo. [A margine, e in attualità temporale, da e con Lello Piazza, sullo scorso numero di novembre: «Sentire per l’ennesima volta un curatore che cerca di sovrastare, con le proprie riflessioni e la propria invadenza, il lavoro esposto». Già: sovrastare e invadenza. Alla fine di novembre, a Brescia, nell’ambito di una (altrimenti) gradevole serata per ricordare e richia-

Nella seconda metà degli anni Settanta, in Italia, soffiò un curioso vento politico, che portò i partiti di sinistra, a partire dal Partito Comunista Italiano, ad affermarsi in una incessante serie di elezioni: nazionali e locali. Di fatto, molte amministrazioni cittadine e provinciali passarono sotto amministrazione “comunista”. Qui e ora, come sempre del resto, non discutiamo il loro operato. Ma non ci tratteniamo dal sottolineare una loro ingenua imbecillità: quella di stravolgere stupidamente equilibri sociali da tempo consolidati. Il punto è questo: ogni momento ha il proprio motivo di esistere e manifestarsi. Invece, e al contrario, è anche perdurata l’ipotesi di dibattere tesi o sostenere teorie a tutto tondo, senza soluzione di continuità, coinvolgendo il proprio mestiere e le proprie mansioni. Così, le amministrazioni “comuniste”, comunque interessate a ospitare nel proprio territorio aziende e industrie apportatrici di tasse e prestigio, hanno applicato “tesi e teorie” superflue anche nel proprio quotidiano, intitolando strade in quartieri nuovi, per lo più industriali e commerciali, a vicende private, per quanto (alcune) nobili. Pensate, per esempio e nostro territorio, che Fowa SpA e Nital SpA, entrambe importatrici e distributrici di materiale fotografico (Hasselblad, Zeiss, Samyang, Panasonic, Pentax, Ricoh... e Nikon), debbono scrivere sulla propria carta intestata, e contorni, “via Vittime di piazza Fontana”. E, girato l’angolo, a Moncalieri, alle porte di Torino, nella Città Metropolitana, comune di circa sessantamila anime, si sbuca in via Vittime del Vajont, prima di incontrare una vasta serie di personaggi-simbolo, molti dei quali -a propria volta- Vittime degli anni di piombo. Massimo rispetto a ciascuno di loro (e, tra le Vittime di piazza Fontana, conteggeremmo anche Pino Pinelli), ma se pretendi e ottieni prestigio e oneri da parte dei tuoi interlocutori, abbi almeno la decenza di rispettarne il mandato e le esigenze: Fowa SpA e Nital SpA, sempre per quanto ci riguarda, magari, in via dell’Industria, via del Progresso, via dell’Etica, via della Cultura di Impresa, via Maestri del Lavoro d’Italia, via...

MAURIZIO REBUZZINI

di Lettere all’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei, di Milano, specializzazione Ottica. Già rilevato e rivelato [soprattutto, in FOTOgraphia, dello scorso settembre, oltre che altrove]: «Averlo incontrato in una mattina di ottobre, nel 1968, ha fatto la differenza nella mia vita». E, ora, sono qui, e svolgo il mio mestiere, grazie a lui: magari, dibatto tesi e sostengo teorie, ma lo faccio alla stessa maniera nella quale vivo un Sogno. La differenza è sostanziale. Per quanto alcuni possano esprimere distinguo individuali (io, magari, tra gli altri), in senso globale, siamo stati maleducati... e sinonimi: incivili, arroganti, impertinenti, villani, insolenti. Ho risentito la registrazione del concerto tenuto dalla cantautrice statunitense Joan Baez (bandiera di un Tempo) all’Arena Civica di Milano, il 24 luglio 1970: avevo appena compiuto i diciannove anni... io c’ero. In ricordo, fino a ieri l’altro, c’erano soltanto due momenti: la sua interruzione di un brano, per bloccare l’intervento della polizia, che avrebbe avuto intenzione di sgomberare dal terreno prossimo al palco dagli spettatori che avevano superato le transenne/cancellate dallo spazio riservato al pubblico; e la sospensione del concerto causa un tumultuoso temporale. C’è altro. Parliamone. Non lo ricordavo; forse, al tempo, non l’avevo neppure percepito. Subito dalle prime note di Farewell Angelina, di Bob Dylan, Joan Baez sollecita il pubblico a non fare baccano, invita a stare zitti e, magari, attenti. Numerosi e ripetuti i suoi richiami nel corso dell’intero concerto. Quindi, quando invita la polizia ad astenersi, lo fa con dovuto e apprezzato garbo: «No carabinieri, per favore», dice. E, poi, ringrazia cortesemente il pubblico che sottolinea la sua presa di posizione. Quindi, nel proseguo, le parole introduttive di Joan Baez, che si esprime in italiano, per quanto stentato, ma lodevole, sono spesso sovrastate da urla in forma di slogan a favore di Vietnam, Laos e Cambogia. Già, Cambogia: il

Fowa SpA, in via Vittime di piazza Fontana 52bis, a Moncalieri (Torino).

mare cinquant’anni dall’edizione originaria di London by Gian Butturini, in coincidenza di date, ho citato l’episodio “carabinieri”, di Joan Baez. Sono stato interrotto (sovrastare e invadenza) da una precisazione inutile e fuori luogo, oltre che errata: «No, Maurizio, disse “Carabineros”». Ammesso che faccia differenza, ammesso che sia stato così, ma non è stato così -perché la cantante disse proprio “carabinieri”, in certificazione di registrazione audio, disponibile in CD e sulla Rete-, solo esigenza di imporsi (maschio alfa?) e di invadere spazi altrui, elevandosi a protagonista. Anche questa, Rivoluzione... villana!: ancora, dallo scorso numero di novembre, in Editoriale; in attualità di considerazioni, da un reduce non pentito della sinistra stupida del nostro paese]. La stagione del Sessantanove è poi sfociata in tante altre prevaricazioni contro individuati cedimenti “borghesi”. A seguire, concluso il proprio ciclo giovanile e irresponsabile, molti di questi persecutori -forse, quasi tutti- hanno abbracciato a piene mani la “borghesia”: se va bene, ma deve andare proprio bene, sono oggi complici di aziende autorevolmente asociali, sono oggi perfettamente integrati e conniventi con quanto e ciò che hanno messo in discussione nel passato. Per fortuna, fino a qualche mese fa, il movimento del Lavoratori è rimasto saldo sui propri princìpi, e certe conquiste del Sessantotto/Sessantanove non si sono esaurite. In conferma di pensiero, ancora due note: una trasversale, l’altra sostanziale. Però, il Tempo è trascorso. Ricordo un mio pensiero del Millenovecentosettanta, quando constatai che i giovani del Sessantanove avevano un anno in più. Allora, l’accertamento mi apparve triste. Oggi, hanno cinquanta anni in più: non è più nemmeno triste, ma soltanto anagrafico. A patto di essere rimasti fedeli a princìpi etici di fondo... ma! A modo mio (a pagina cinquantuno, su questo stesso numero)... in me, poco è cambiato. ❖



Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

T

ALTRI PAPARAZZI

Tra i suoi tanti meriti, che sono proprio tanti, l’allestimento di Fellini 100 | Genio immortale. La mostra, a cura di Studio Azzurro, di Milano, ha anche il merito di aver preso in considerazione una regia spesso ignorata e molto dimenticata: quella dell’episodio Toby Dammit, finale dei tre riuniti nel film Tre passi nel delirio (Histoires extraordinaires), del 1968, esplicitamente ispirati a racconti di Edgar Allan Poe (1809-1849), iniziatore e maestro indiscusso del racconto poliziesco, della letteratura dell’orrore e del giallo psicologico. Al Castel Sismondo, in piazza Malatesta, a Rimini, dal quattordici dicembre al successivo quindici marzo, la mostra è anticipatoria delle celebrazioni per il centenario dalla nascita di Federico Fellini: 20 gennaio 1920-2020, per l’appunto a Rimini, in Romagna (il registra è mancato il 31 ottobre 1993). In tutta onestà (intellettiva), il film merita l’oblio che l’avvolge. Nessuno dei tre episodi è degno di alcuna nota, nonostante l’altisonante ispirazione (Edgar Allan Poe) e il valore dei registi coinvolti; oltre Federico Fellini, appena menzionato e al quale intendiamo rivolgerci, Roger Vadim (Metzengerstein) e Louis Malle (William Wilson). E, ancora, nonostante lo spessore degli attori rispettivamente protagonisti: Jane Fonda, in Metzengerstein, Brigitte Bardot e Alain Delon, in William Wilson, e Terence Stamp, in Toby Dammit (con la partecipazione di Salvo Randone, la fotografia di Giuseppe Rotunno, il montaggio di Ruggero Mastroianni, la musica di Nino Rota e la scenografia di Pietro Tosi, nomi di prestigio assoluto e indiscutibile... ma il risultato rimane più che modesto). Comunque, proprio qui restiamo, circa in compagnia di Federico Fellini, per un episodio con retrogusto fotografico, nostra intenzione istituzionale. La combinazione tra le ossessioni del regista, anche co-sceneggiatore, e gli incubi di Edgar Allan Poe produce un copione nel quale si racconta di un attore alcolizzato (per l’appunto, Toby Dammit, interpretato da un Terence Stamp in chiave quasi autobiografica), che accetta di girare un western all’i-

14

taliana, ai tempi filone cinematografico prolifico, perché gli viene offerta una Ferrari. È ossessionato da un inconscio richiamo, e finirà per trovare la morte in una folle corsa con la sua spider nuova fiammante. Il suo arrivo all’aeroporto di Roma, i cui saloni di attesa sono animati da una vasta serie di fantasiosi personaggi “da circo”, coinvolge alcuni fotocronisti alla ricerca di celebrità da consegnare ai rotocalchi popolari. Infastidito, Toby Dammit cerca di liberarsene, aggredendoli e gettando loro contro la propria valigia, che colpisce uno dei cronisti, gettandolo a terra. A otto anni da La dolce vita, film del 1960 [sul quale ci siamo soffermati in tante occasioni, inutile ripetere], in questo dialogo serrato tra l’attore e i fotografi, compare il neologismo “paparazzi”, declinato in chiave spregiativa: in giro tondo, su se stessa, questa potrebbe essere la prima ufficialità cinematografica del passaggio dal comprimario del film epocale di Federico Fellini -Paparazzo, nell’interpretazione di Walter Santesso- al neologismo (per lo più, denigratorio) che ne è scaturito.

Probabilmente, l’appellativo “paparazzi”, in chiave dispregiativa, nella sceneggiatura (nel dialogo) dell’episodio Toby Dammit, terzo di Tre passi nel delirio, con la regia di Federico Fellini, del 1968, è il primo utilizzo certificato del celebre neologismo, nato con La dolce vita, dello stesso regista: dal cognome del fotocronista Paparazzo, nell’interpretazione di Walter Santesso [tante le nostre rivelazioni, la più recente delle quali, lo scorso maggio]. E qui, tralasciamo di inorridirci per la scenografia delle improbabili macchine fotografiche dei fotografi coinvolti nella vicenda, all’aeroporto di Roma.

Testimoniando da rivelazioni dello sceneggiatore della Dolce vita, Ennio Flaiano (i cui meriti non si limitano certo solo a questo), anche sulla genesi del nome di Paparazzo abbiamo già relazionato: fino allo scorso maggio, con approfondimento da Catanzaro, di sua origine. E anche in questo caso, non ribadiamo, né ripetiamo. Invece, confermiamo una volta ancora quanto le declinazioni e attribuzioni del neologismo di “paparazzo” siano infinite. Addirittura, ricordiamo anche una linea di carta per fotocopie, individuata qualche anno fa negli Stati Uniti [qui, in Archivio]. E, poi, non mancano gli errori storici, come la definizione del fotografo Robert (interpretato da Elliott Gould, fotografo anche nell’ammirevole Piccoli omicidi, di Alan Arkin, del 1971), in Il mistero della signora scomparsa, del 1979, remake di una più sofisticata commedia di Alfred Hitchcock, La signora scompare. Nei panni di Robert, fotogiornalista di Life, Elliott Gould viene appellato “paparazzo” in una vicenda ambientata nel 1939, vent’anni prima della Dolce vita, di Federico Fellini. Comunque, poco importa! ❖



Tempi nostri di Angelo Galantini

SOPRATTUTTO WEB

Lewis W. Hine. America at Work; Taschen Verlag, 2018; 544 pagine 14x19,5cm; 15,00 euro.

16

Lodevole iniziativa della Casa di Vetro, di Milano (via Luisa Sanfelice 3; www. lacasadivetro.com), la sostanziosa retrospettiva Lewis. W. Hine. American Kids impone due riflessioni, almeno due. Anzitutto, si offre e propone come appuntamento di avvio di un progetto affascinante e ammirevole: History & Photography (www.history-and-photo graphy.com), rivolto al pubblico e al mondo dell’insegnamento, ai quali mette a disposizione materiali per raccontare la Storia con la Fotografia (e la Storia della Fotografia). In seconda istanza, per la prima volta, una mostra (questa mostra) è “visitabile” via internet anche ai privati: è possibile accedere in slideshow manuale a una selezione di immagini sui monitor di casa propria, pagando in base al numero di spettatori (qualsiasi cosa questo significhi). In promessa: «Un nuovo modo di godere dell’arte della fotografia, grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia digitale». Proprio questa seconda vicenda è più sostanziosa della precedente, perché non si esaurisce in sé, ma guida e indirizza un pensiero sovrastante, con consecuzioni (forse) inevitabili: per esempio, e in esempio sopra tutto, la comunicazione ufficiale è stata più rivolta al web e dintorni di quanto non lo sia stata al trasferimento su supporto cartaceo e periodicità cadenzata (e allungata) dell’informazione al pubblico. Giusto e legittimo. Come annotiamo molto spesso, ci piaccia o meno, il Tempo va avanti con o senza di noi. E il Tempo, oggi, impone approcci e socialità che hanno spazzato via la filiera di approfondimento giornalistico specifico, che una volta veniva apprezzato e perseguito. Nessun rammarico, sia chiaro, ma la considerazione sovrastante di voler, comunque, svolgere il proprio mandato (anche il nostro), indipendentemente dalle condizioni ambientali e sociali che soffiano in altre direzioni. In dovere (irrinunciabile), registriamo che Lewis. W. Hine. American Kids è in cartellone fino al prossimo venticinque gennaio, a seguito dell’inaugurazione dello scorso otto ottobre. In al-

LEWIS W. HINE: COTTON MILL SPINNER (1910)

L

Dall’ampia e differenziata bibliografia di Lewis W. Hine, articolata in monografie a tema e indirizzo, selezioniamo, segnaliamo e consigliamo l’edizione di Lewis W. Hine. America at Work, a cura di Peter Walther, nella collana Bibliotheca Universalis di Taschen Verlag. Per confezione (544 pagine 14x19,5cm) e contenuti (casellario sulla produzione fotografica dell’autore, in capitoli chiari ed espliciti), si tratta di un autentico vademecum del quale non si dovrebbe fare a meno. Sempre che a chi fotografa dall’Italia e a chi si occupa di Fotografia interessi in qualche misura la conoscenza degli altri. Ma ne dubitiamo...

lestimento, circa sessanta stampe digitali da file realizzati acquisendo da stampe originali, selezionate dalla collezione della National Child Labour Committee, la principale organizzazione privata senza fini di lucro protagonista del movimento nazionale di riforma del lavoro minorile negli Stati Uniti, a cavallo tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo. La sua missione è stata quella di promuovere «I diritti, la consapevolezza, la dignità, il benessere e l’educazione dei bambini e dei giovani in relazione al lavoro». Il fondo fotografico di Lewis Wickes Hine [1874-1940; Sguardo su, di Pino Bertelli, in FOTOgraphia, dell’ottobre 2005; Davanti a una fotografia, di Andrea Villanis, in FOTOgraphia, del giugno 2011] è oggi conservato alla Library of Congress. Il celebre antesi-

gnano della fotografia sociale -e di tanto altro, ancora-, che ha influenzato autori statunitensi fondamentali dagli anni Trenta del Novecento, rappresenta sempre un incontro prezioso. A patto che... ❖ Lewis W. Hine. American Kids. Le inchieste del celebre fotografo sulla condizione minorile di poveri e immigrati negli Stati Uniti di inizio Novecento, in immagini della Library of Congress; produzione di Eff&Ci - Facciamo Cose; a cura di Alessandro Luigi Perna; per il progetto History & Photography La Storia raccontata dalla Fotografia. La Casa di Vetro, via Luisa Sanfelice 3, 20137 Milano (www.lacasadivetro.com; www.effeci-facciamocose.com; www.history-and-photography.com). Fino al 25 gennaio 2020; lunedì-sabato, 15,30-19,30 (martedì fino alle 22,00 / giovedì chiusura).



Trovarobe

di Antonio Bordoni - Ritrovamento di Alessandro Mariconti

ALLA MANIERA DELLA SWC

ALESSANDRO MARICONTI (3)

A

Alessandro Mariconti è un personaggio della fotografia italiana che merita particolare attenzione; ne abbiamo già riferito nell’ottobre 2014, quando e dove ponemmo (e ci ponemmo) sei domande... (ancora) in attesa di risposta: Domanda / 4: persino passione. Ne ribadiamo qui la nota distintiva e discriminante: declina la propria personalità fotografica all’indirizzo commerciale di Milano (Photo40, da poco trasferitosi al civico Quarantadue / 42 della stessa via Foppa; 331-9430524 www.photo40.it) completando l’offerta di materiale d’occasione e antiquariato e collezionismo con i tratti di una autentica partecipazione individuale. Ovvero, Alessandro Mariconti non si ferma e limita alla sola superficie apparente, a tutti visibile, ma si addentra nel profondo, andando ben oltre i termini canonici del proprio mandato professionale. Probabilmente, ne ottiene benefici economici, e non ci interessa incamminarci lungo questa strada; sicuramente, ciò che fa e per come lo fa è indipendente e svincolato da qualsivoglia ricerca di redditività di impresa. Il suo soggetto è altro: è se stesso e l’appagamento della propria curiosità di conoscenza e avvicinamento e frequentazione della Fotografia, accostata anche attraverso la ricerca capillare in due direzioni che finiscono per coincidere verso un’unica meta finale. Dalla

Eccellente ritrovamento di Alessandro Mariconti (Photo40, via Foppa 42, 20144 Milano; 331-9430524; www.photo40.it), questa configurazione fotografica combina le doti dell’obiettivo grandangolare Super-W-Komura 47mm f/6,3, su otturatore centrale Copal 0, con fotogrammi 6x6cm da magazzino portapellicola 120 (e 220) Hasselblad. Diciamolo francamente, alla maniera della leggendaria grandangolare SWC.

18

tecnica degli apparecchi approda al linguaggio espressivo; così come, con percorso analogo -dagli estremi invertiti-, dal linguaggio espressivo raggiunge la tecnica degli apparecchi. Delle due, entrambe: non viene meno al proprio mandato istituzionale, nello stesso momento nel quale lo arricchisce di una attenzione fuori dal comune (almeno, per quanto riguarda la sterilità di valori aggiunti che definisce il commercio della fotografia in Italia). A questo proposito, Alessandro Mariconti è assiduo frequentatore di qualificati e accreditati mercatini antiquari della Fotografia che si svolgono in Europa (pochi, in Italia), entro le cui offerte individua sia quanto alimenta il suo commercio quotidiano, sia quanto arricchisce il suo Cuore. Ovvero,

non si limita al “vendibile”, ma si estende anche ad arbitrarietà e particolarità “sentimentali” fuori quota. In questa sua intelligente azione, individua istanti della tecnica fotografica applicata, anche artigianali, soprattutto artigianali, che (magari) sono sfuggiti alle luci della ribalta accese da quella Società dello spettacolo (da e con Guy Debord) che tutto guarda e poco vede. Lui, no. Lui vede... e provvede. Tra le sue tante scoperte, che ci auguriamo di poter presentare sistematicamente sulle nostre pagine di rivista, cominciamo con la segnalazione di una interpretazione individuale a sfondo Hasselblad SWC, circa, quasi. In preambolo di considerazioni, è opportuno annotare che bisogna intendere un Tempo fotografico a base


Trovarobe meccanica, durante il quale sono state possibili e frequentabili combinazioni pratiche di elementi provenienti da svariate e diverse collocazioni originarie e statutarie. Per esempio, questa è anche la base ideologica di quelle tante e varie soluzioni di fotografia grandangolare medio formato che, a Firenze, in decenni (tra)scorsi, fu imposta dalla necessità professionale di agire in una città rinascimentale... con strade strette e palazzi imponenti. Da qui, ricordiamolo, è nata la soluzione originaria Silvestri, l’unica che è stata capace di evolversi dal privato alla produzione semi-industriale, con fantastica interpretazione aggiunta dell’obiettivo decentrabile, con movimento micrometrico. La simil Hasselblad SWC (?!), individuata da Alessandro Mariconti chi sa dove e come (lui lo sa), si esprime in questo contesto: magazzino portapellicola a rullo 120 (e 220) Hasselblad, per esposizioni 6x6cm; singolare obiettivo grandangolare Super-W-

Komura 47mm f/6,3, su otturatore centrale Copal 0, proveniente dalla famiglia ottica per il grande formato fotografico a corpi mobili [in nostro possesso, segnaliamo un raro e inconsueto Komura 152mm f/2,8, su Copal 3, nostro primo obiettivo per banco ottico 4x5 pollici, tanto “bello” in forma quanto scarso in qualità]; “corpo” di collegamento, in ingombro pari al tiraggio al piano focale all’infinito; raffinato mirino esterno 20mm sul formato 24x36mm, con inquadratura equivalente alla combinazione della focale 47mm sul lato 6cm del fotogramma. Ovviamente, tutto ruota / si basa attorno all’obiettivo grandangolare Super-W-Komura 47mm f/6,3, un otto lenti a novantacinque gradi di angolo di campo (95 gradi), che nel 1972 nacque per la copertura comoda del medio formato fotografico 6x9cm, in corsa sul più affermato e celebre Schneider Super-Angulon 47mm f/5,6 e, in subordine, 47mm f/8. Soltanto una curiosità? ❖


Henri Cartier-Bresson in Cina; a cura di Michel Frizot e Ying-lung Su; ContrastoBooks, 2019; 130 fotografie; 288 pagine 24x29cm, cartonato; 69,00 euro.

Gold Rush. Fila d’attesa per acquistare oro (Shanghai, 23 dicembre 1948).

di Maurizio Rebuzzini

D

efinire capitale e sostanziale e fondamentale l’attuale edizione di Henri Cartier-Bresson in Cina, a cura di Michel Frizot e Ying-lung Su, prestigiosamente pubblicata da ContrastoBooks, in occasione della omonima mostra allestita all’accreditata Fondation Henri Cartier-Bresson, di Parigi, in cartellone fino al prossimo due febbraio [palindromo: 02 02 2020!], è quantomeno riduttivo, è oggettivamente abbreviato e semplificato. Infatti, e al contrario, non siamo al cospetto di una sola raccolta di fotografie / di una raccolta di sole fotografie -e stiamo per approfondire-, ma in presenza

di un’opera che ha il valore e merito di affrontare la Fotografia per quanto tanto il suo lessico è in grado di esprimere: in questo caso, a livello eccelso. Al proposito, e magari allacciandoci con quanto considerato in Editoriale di questo stesso numero della rivista, da pagina sette, non intendiamo ignorare, né sottovalutare, come e quanto l’apprendimento individuale -in forma di istruzione, consapevolezza, padronanza, preparazione, competenza, acquisizione di nozioni- sia alla base della comprensione ed esperienza indispensabili alla “qualità” interiore di ogni Fotografo. E tutte queste virtù non si possono acquisire che attraverso l’educazione quotidiana e continua: magari, a partire dalla propria conoscenza di esperienze altrui,

Lo affermiamo senza esitazione. Per coloro i quali si occupano di Fotografia, avvicinata con sensatezza, a passo lieve, Mente libera e Cuore aperto, Henri Cartier-Bresson in Cina, in attuale edizione ContrastoBooks, non è soltanto un libro (come pure è... ma non soltanto), ma testo sacro (una bibbia?): sia per il proprio apparato fondamentale, che compone i tratti di una elevata e autorevole ed entusiasmante lezione concreta e pratica, sia per l’accompagnamento di parole qualificate che ne attraversano l’espressività. Diciamolo: deve essere sempre a portata di mano, su uno scaffale sempre sott’occhio... e vicino al proprio Cuore

20


NON UN LIBRO. MA, IL LIBRO!

21


IN GENESI... AL PRESENTE

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

L’attuale edizione libraria di Henri Cartier-Bresson in Cina nasce dall’idea di recuperare un libro finito nell’oblio, pubblicato da Robert Delpire, nel 1954, in Francia, intitolato D’une Chine à l’autre (con edizione coeva, in italiano). Da qui, è stato elaborato il progetto editoriale di riunificazione di tutte le fotografie scattate dal fotografo francese nel corso dei suoi soggiorni in Cina, al fine di ricostruire il percorso compiuto in un paese ancor oggi misterioso e affascinante. Quindi, la monografia mette insieme due nuclei di immagini, corrispondenti a due viaggi: il primo, risalente al 1948 [alla vigilia della Repubblica Popolare, il Primo ottobre 1949], il secondo al 1958. Henri Cartier-Bresson (1908-2004) diventa testimone delle vicende del paese, in un momento di cambiamento epocale: da una parte, l’avanzata delle forze maoiste, nel soggiorno del 1948; dall’altra, la trasformazione che la Rivoluzione culturale, a dieci anni di distanza, stava determinando sulla società, nel soggiorno del 1958. Il corpus fotografico assume, così, un effetto di eccezionalità, grazie alla ricchezza di informazioni storiche e stilistiche. Inoltre, l’attuale edizione si arricchisce di un articolato e autorevole apparato critico che segue Henri Cartier-Bresson nel viaggio, presentando la cronologia degli spostamenti, delle attività e delle ricerche; mentre, parallelamente, offre il panorama degli eventi politici mondiali entro i quali il fotografo si stava muovendo. Dopo aver fondato l’agenzia Magnum Photos, da appena diciotto mesi (22 maggio 1947, insieme con Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert), Henri Cartier-Bresson partì per Pechino, per realizzare un reportage, commissionato da Life, sulla caduta del governo del Kuomintang di Chiang Kai-shek e la conseguente fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Il fotografo si vede costretto a lasciare la città dopo soli dieci giorni; da lì, si sposta a Shanghai e assiste al “Gold Rush” (quando e dove realizza una delle sue fotografie più famose e celebrate: la folla accalcata all’ingresso di una banca [in copertina “passante” dell’edizione attuale di Henri Cartier-Bresson in Cina, di ContrastoBooks, e a pagina 20]). Si trattiene per altri dieci mesi, al fine di seguire il flusso degli eventi. Henri Cartier-Bresson rimane folgorato dalla civiltà cinese, dalla cultura e dalla tradizione (si convertirà al buddismo), ed è anche per questo che ritorna in Cina dieci anni dopo, nel 1958. L’articolazione dell’attuale edizione Henri Cartier-Bresson in Cina consente di rilevare un modus operandi attento e partecipe, che registra/documenta gli avvenimenti politici, appunta sensazioni e stati d’animo, scrive lettere ai genitori e mantiene contatti con le più importanti riviste mondiali, collegando tutto puntualmente alle immagini. Grazie al suo sguardo profondo e compartecipante, all’attenzione verso il “fattore umano”, al senso di responsabilità per il ruolo del fotografo-testimone, queste fotografie della Cina sono stupefacenti: perfette nella propria sintesi tra poesia e documentazione, confermano la grandezza dell’autore... autentico “occhio del secolo” della Fotografia del Novecento [Cartier-Bresson, l’œil du siècle: sulle proverbiali nove colonne in prima pagina di Le Monde, del 6 agosto 2004, in solenne annuncio di scomparsa / Lo scatto del secolo, sulla prima pagina, a tutta pagina, di il manifesto, del 5 agosto 2004].

Per l’annuncio della scomparsa di Henri Cartier-Bresson (4 agosto 2004), e relativo ampio commento sulla imponente figura: prima pagina di il manifesto, del cinque agosto, e Le Monde, del sei agosto.

22

avvicinabili anche/soprattutto su monografie profonde e approfondite. Come è questa, oggi considerata. Edizione italiana coeva e coordinata con altre tirature nazionali (a partire dall’originaria francese Henri Cartier-Bresson. Chine, 1948-1949 | 1958 ), questa di ContrastoBooks vanta, quindi, un merito in più, che subito sottolineiamo: quello di richiamare esplicitamente il titolo (altrettanto italiano) dell’edizione originaria di questa selezione di fotografie, circa questa selezione di fotografie. Così facendo, è stata convocata la nostra attuale considerazione, concentrata sul senso e merito dell’edizione libraria, più che sulle fotografie presentate. Per certi versi, l’odierno Henri Cartier-Bresson in Cina riprende (da lontano?) il titolo antico Da una Cina all’altra, edizione italiana del parigino Robert Delpire (editore dai mille e mille meriti fotografici), in distribuzione Artimport, dal suo originario D’une Chine à l’autre, del 1954 [due anni dopo la selezione epocale Images à la Sauvette, di Editions Verve, del 1952]: nella nostra libreria, la copia è dedicata «de l’ami d’un ami / a Maurizzio Rebuzzini / Henri Cartier-Bresson / (en chinois Ca Be Chen)» [“d’un ami”: Ferdinando Scianna]. Per altri versi, le due edizioni sono distanti nel contenuto, tanto quanto lo sono nel tempo; e parliamo giusto di edizioni librarie. Da una Cina all’altra è monografia prettamente “fotografica”, tra l’altro ingioiellata da una stampa tipografica ormai dimenticata. Altri tempi, altri climi: «I fotografi erano consapevoli delle tecniche di stampa, e ne tenevano conto quando scattavano [più probabilmente, quando stampavano]. Non si capisce lo stile fotografico di un’era se non si tiene conte delle tecnologie di riproduzione disponibili al momento. I vaporosi toni high-key degli anni Quaranta erano adattissimi alla finezza del retino zincografico, i neri impastati e untuosi delle foto[grafie] beat degli anni Sessanta erano esaltati dal rotocalco, e non ci sarebbe stata la rivoluzione del colore negli anni Settanta e Ottanta senza i miracoli dell’offset » (da e con Michele Smargiassi). La pur qualificata, prestigiosa e autorevole prefazione di Jean-Paul Sartre (nientemeno!) sottolinea soprattutto il contenuto: Da una Cina all’altra... passaggio della Cina da un prima e un ipotizzato dopo, senza peraltro poter prevedere dove è arrivata oggi la Repubblica Popolare proclamata da Mao Zedong, il Primo ottobre 1949 [e qui, e ora, in commosso ricordo di Domenico Strangio (1939-2003), la cui vita è stata impegnata in un costante e appassionato contatto con la Cina: che il suo Cuore riposi a Shaoshan]. In diversità, e in meglio, per quanto ci interessa oggi e qui, l’attuale Henri Cartier-Bresson in Cina è anche monografia “fotografica”, in una personalità libraria che esprime una curatela e testi che sottolineano non tanto il soggetto dichiarato, quanto la Fotografia del soggetto dichiarato. La differenza, se ce lo consentiamo, non è piccola, ma sostanziale. Con tutto, però, non conosciamo un autore di quelli che oggigiorno fanno bandiera di presunta street photography, nel cui vasto e differenziato contenitore potrebbe essere inclusa la Fotografia di Henri CartierBresson, così diversa dal fotogiornalismo in quanto


Frontespizio della monografia Da una Cina all’altra, Robert Delpire, 1954, dal nostro Archivio: «de l’ami d’un ami / a Maurizzio Rebuzzini / Henri Cartier-Bresson / (en chinois Ca Be Chen)» [“d’un ami”: Ferdinando Scianna].

Meeting culturale presso il Canidrome di Shanghai. Gigantografia del generale Zhu De (4 luglio 1949). [Il generale Zhu De (1886-1976) è stato il fondatore dell’Esercito Popolare di Liberazione; è uno dei padri della Repubblica Popolare Cinese, sempre vicino alle figure di Mao Zedong e Zhou Enlai, formando un inossidabile triumvirato che ha guidato il Partito e lo Stato per trent’anni. Curiosamente, i tre leader sono mancati tutti nello stesso anno, il 1976: Zhou Enlai, l’otto gennaio; Zhu De, il sei luglio; Mao Zedong, il nove settembre].

Nella strada degli antiquari, vetrina di un venditore di pennelli, con i suoi figli che guardano verso l’esterno [il fotografo] (Pechino, dicembre 1948).

23


Presso la Città Proibita, un “semplice d’animo”, il cui ruolo è accompagnare gli sposi con un palanchino (Pechino, dicembre 1948).

(in basso) Sfilata per la celebrazione del nono anniversario della Repubblica Popolare Cinese (Pechino, Primo ottobre 1958).

Costruzione della piscina dell’Università di Pechino, realizzata dagli studenti stessi senza l’ausilio di macchinari (giugno 1958).

24

tale, che conoscano l’edizione originaria, e se ne siano abbeverati alla fantastica fonte. E neppure, costoro, avvicineranno la divinatoria edizione attuale. Infatti, soprattutto i fotografi giovani declinano l’ipotesi fantasiosa e spettacolare della nobile street photography (spettacolare, nel senso di Società dello spettacolo, da e con Guy Debord), intendendola solo per l’apparenza fonetica della definizione, non per lo spessore inevitabile dei suoi contenuti. Insistiamo sul tema: tra le mille e mille vicende avverse della fotografia italiana, così distante da altre realtà geo-politiche del pianeta, la sua provincialità diffusa ed endemica si edifica anche sull’ignoranza perseguita di troppi suoi autori, soprattutto di quelli con anagrafe temporalmente favorevole (giovani di date, poco intelligenti di contenuti). Da non credere, forse: non ne conosciamo uno che rivolga una qualche attenzione agli altri, all’esperienza altrui, alle saggezze a portata di mano. Non ne conosciamo uno che acquisti libri, ne avvicini i contenuti, ne frequenti le pagine [«Per ogni fotografo che abbia a cuore il proprio lavoro, il libro è ancora un approdo»: Michele Smargiassi, in Il Venerdì di Repubblica, dell11 marzo 2011]. Però, sono tutti presenti e attivi sui social, pronti a vantare se stessi e accomodarsi con i propri contemporanei di cammino, in un percorso di sola complicità di intenti; “ti seguo, in modo tale che tu, in contraccambio, segui/seguirai me” (implicito: “e qui, ci fermiamo/limitiamo entrambi”). Oltre che in un percorso incompetente e analfabeta (non solo della Fotografia); basta sentirli “esprimersi” (si fa per dire): per forma (mancanza assoluta di qualsivoglia sintassi) e per contenuti (totalmente assenti). Per coloro i quali si occupano di Fotografia, avvicinata con sensatezza, a passo lieve, Mente libera e Cuore aperto, Henri Cartier-Bresson in Cina non è soltanto un libro (come pure è... ma non soltanto), ma testo sacro (una bibbia?): sia per le immagini, che compongono i tratti di una elevata e autorevole ed entusiasmante lezione concreta e pratica, sia per l’accompagnamento di parole che ne attraversano l’espressività. Questa edizione ContrastoBooks di Henri CartierBresson in Cina non deve occupare un posto generico in alcuna libreria individuale -magari anche nella nostra, tra le altre-, ma merita una collocazione privilegiata. Diciamolo, non dipendente da un qualsivoglia proprio ordine formale (a scelta, tra i volumi di HCB, vicino a quelli sulla Cina, nei pressi del fotogiornalismo o, più in dettaglio, dell’autentica street photography in racconto, oppure altrove), ma rispondente a un’esigenza individuale di formazione e conoscenza: ovvero, deve essere sempre a portata di mano, su uno scaffale sempre sott’occhio (e vicino al proprio Cuore), là dove sta nei nostri locali di esistenza e “lavoro”. Una volta ancora, una di più, certamente non per l’ultima volta: il vero luogo natio è quello dove per la prima volta si è posato lo sguardo consapevole su se stessi; la nostra prima (e unica) patria sono stati i libri. La parola scritta ci ha insegnato ad ascoltare le voci. La vita ci ha chiarito i libri. I libri fotografici, entro la cui ampia presenza attorno a noi Henri Cartier-Bresson in Cina sta in posizione privilegiata e propria, ci hanno informati ed educati. Grazie a tutti loro. ❖




COME ERAVAMO COME SAREMO

Sulle orme di una Fotografia antica (?), ma sempre palpitante, qui accanto a noi, con i nostri Sogni, le nostre Speranze e l’Utopia per il Futuro, il fotogiornalista Mauro Vallinotto consegna alla Storia un passo dell’Italia contemporanea scandito dall’impronta dell’Esistenza. Ogni momento della Storia è un crocevia. Un percorso stradale unico porta dal passato al presente, ma una miriade di vie possibili si dirama verso il futuro. Torino ’69, in edizione libraria


di Lello Piazza inquanta anni fa, ancora. Le storie raccontate dalle fotografie dell’ottimo libro di Mauro Vallinotto Torino ’69, dedicato agli autunni caldi di quella stagione -specificati nel sottotitolo L’Autunno che cambiò l’Italia [il maiuscolo di “Autunno” è nostro]-, mi coinvolgono emotivamente e culturalmente. Perciò, tutto quello che leggerete è frutto di sentimenti, di commozione e -anche un po’- di delusioni e incazzature. Perciò, quello che scrivo non ha la pretesa dell’oggettività [ci mancherebbe altro]. Scrivo delle fotografie e non dei testi di Ettore Boffano e Salvatore Tropea, per altro bellissimi, che completano l’edizione libraria degli Editori Laterza, dei quali non tocca a me parlare e riferirne. Comincio dalla copertina... dei volti. Difficile staccarsi dalla fotografia in copertina. Quei volti... chissà dove

C Torino ’69; fotografie di Mauro Vallinotto; testi di Ettore Boffano e Salvatore Tropea; Editori Laterza, 2019; 240 pagine 17x22cm, cartonato con sovraccoperta; 24,00 euro.

1974. Metalmeccanici in sciopero, in piazza Solferino.

(centro pagina, in alto) 1976. I metalmeccanici di Mirafiori, in attesa di votare sul Contratto.

1969. Gli operai della Mirafiori sfilano in corso Unione Sovietica.

28

guardano? Lontano forse guardano. Il loro sguardo, che si perde nel lontano, sembra quello di un popolo stanco, stanco di ingiustizia, ma pronto a combattere. È uno sguardo dolce e paziente. Paziente e ostinato. Non promette sfracelli rivoluzionari, ma chiede una società più giusta. E, in quasi un decennio, la otterrà [forse]. Venti anni fa, questa immagine non avrebbe risvegliato in me la stessa attenzione di oggi. Perché oggi i lavoratori sembrano pronti a digerire ogni falsità, ogni sopruso. Si battono (solo) per qualche euro di aumento in busta paga. Non è colpa loro, ovviamente. È l’Intelligencija (l’ho lasciato scritto alla russa, dal cirillico originario [интеллигенция; dal lessico “politico”, inteligencja / intellighenzia]) che non riesce più a sognare traguardi più nobili. È l’avverarsi della profezia dell’Uomo a una dimensione, del vecchio Herbert Marcuse [18981979; L’uomo a una dimensione, dal 1964; edizione italiana più recente, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, 1999]:


«Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico». Oggi si pensa solo alla crescita, alla minaccia dell’immigrazione. Ci si dimentica che siamo Umani, che non dovrebbero contare solo la tecnologia, lo sviluppo economico, le richieste del mondo della produzione, ma anche la filosofia, la poesia, la natura, il clima, la salute, le stelle, il mondo delle Donne, il mondo dei Bambini. Quindi, il mio stupore di oggi non può che essere grande, se penso che quegli sguardi di cinquant’anni fa sono di “vincitori”: sono Pier Paolo Pasolini, un sindacato forte, lo Statuto dei Lavoratori (1970), le Centocinquanta ore (rinnovo del Contratto dei metalmeccanici, 1973), il Servizio Sanitario Nazionale (1978), l’istituzione della Scuola Media Unica (1963), la tutela paritaria delle donne lavoratrici (1977), l’aborto (1978), la chiusura dei manicomi (Legge Basaglia, 1978), il divorzio (1970).

Incomincio a sfogliare il libro, e -dopo diverse pagine- sembra naturale chiedersi: si può scrivere la Storia attraverso le immagini dei momenti della Vita/Esistenza di molti protagonisti Sconosciuti? Con l’immagine di un operaio la cui testa sparisce dietro a una autovettura, in una catena di montaggio? O la fotografia di un altro operaio che si riposa, appoggiato a uno dei muri interni dello stabilimento? O di un lavoratore che urla i propri diritti, durante una manifestazione? O di una tuta blu che si accende una sigaretta? O con la fotografia di una forchettata di pastasciutta, o l’assalto al treno dei pendolari, alla ricerca di un (improbabile) posto per sedersi? O di quelli che vanno a lavorare in bicicletta, sotto la neve? O degli immigrati venuti dal Sud per far funzionare il complesso Fiat, organismo mostruoso, perché ti porta via l’anima, ma anche misericordioso, perché ti permette di mangiare e sopravvivere, fino alla morte?

(doppia pagina precedente) 1970. Operai della Fiat Ferriere in corteo.

1970. L’uscita sotto la neve, alla Fiat Mirafiori.

(centro pagina, in basso) 1973. Manifestazione dei metalmeccanici Fiat, per il rinnovo del Contratto.

1973. Raccolta di firme sulla Legge Merlin, a La Stampa, di via Roma.

29


1973. Deposito di auto Fiat a Cambiano (Torino), dopo la crisi petrolifera.

(centro pagina, in alto) 1969. Dario Fo durante la rappresentazione di Mistero Buffo.

1969. La famiglia Geraci, nella soffitta di via Buniva.

In particolare, sulle fotografie degli immigrati, mi fermo a chiedermi, ingenuamente: ma dove era finita l’imprenditoria sociale dei Crespi d’Adda, di Luisa Spagnoli, fondatrice della Perugina e dell’omonima società d’abbigliamento, di Adriano Olivetti, a Ivrea, del progetto Metanopoli di Enrico Mattei? Guardatele quelle fotografie di immigrati. A parte il tono chiaro della pelle e i volti dai tratti caucasici (non orientali), sembrano le stesse fotografie di quei poveri derelitti [abbandonati, trascurati, estromessi], che oggi vivono al margine della nostra società, nei Centri per l’Immigrazione; derelitti dei quali quasi tutti parlano, soprattutto i politici, seduti nelle comode poltrone di uno studio televisivo, coccolati dal conduttore, che si pavoneggiano con la scoperta dell’acqua calda: «aiutiamoli a casa loro», e finiamola lì. Si può, dunque, scrivere la Storia attraverso immagini di momenti della Vita di molti Sconosciuti e, individual-

30

mente, insignificanti protagonisti? Perché è questo che racconta / ha raccontato Mauro Vallinotto: la Storia italiana degli anni Settanta attraverso istanti della Vita degli Uomini Comuni, della gente semplice, del popolo “minuto”, di chi finisce negli “avanzi” della Storia. Una narrazione piena di simpatia, colma di empatia. Gli stessi Uomini Comuni, lo stesso Popolo Minuto che, in un momento magico della prima metà del Novecento, vengono invitati a occupare il proprio posto al tavolo della Storia. È un gruppo di brillanti studiosi francesi che formula l’invito. Si tratta di Lucien Febvre [18781956], Marc Bloch [Marc Léopold Benjamin; 18861944], Fernand Braudel [Fernand Paul Achille; 19021985] e Jacques Le Goff [1942-2014], il più noto di tutti. È un momento cruciale. Nasce una nuova storiografia; l’attenzione si sposta dagli “eventi” -i grandi eventi (Histoire Événementielle), quelli celebrati dall’iconografia classica con grandi quadri e statue equestri inneggianti


1971. Operai della Fiat Mirafiori in corteo, a piazza Castello.

(centro pagina, in basso) 1969. Il Living Theatre al Teatro Alfieri.

1970. Un piccolo immigrato sul balcone della casa occupata dai suoi genitori, in via Sansovino.

a re, cardinali e imperatori- alla Nouvelle Histoire, come la definisce Jacques Le Goff, allo studio della società, della vita quotidiana (anche prima di dare l’assalto alla Bastiglia, il quattordici luglio millesettecento ottantanove, un rivoluzionario mangia qualcosa per colazione). È una rivoluzione copernicana. Da quel momento, entrano nella Storia gli Uomini Comuni. In questa maniera, vengono recuperati alcuni soggetti -come le donne, i contadini e i poveri, in genere i “marginali”-, che, in precedenza, non erano stati considerati degni di attenzione dalla storiografia ufficiale [riquadro aggiuntivo e supplementare, a pagina 32]. Cosa c’entrano le fotografie di Mauro Vallinotto con tutto questo? C’entrano! C’entrano! Perché, attraverso la Fotografia, contribuiscono a scrivere la Nouvelle Histoire studiata, scoperta, scritta. E dimostrano che la Fotografia rappresenta uno strumento potente, anzi l’unico “visuale”, per scrivere la Storia in modo nuovo.

Queste riflessioni non sono certo originali. Riguardano la qualità e l’importanza di lavori fotografici di molti autori. Non ci dovrebbe essere bisogno di citare quelli della Farm Security Administration (Arthur Rothstein, Dorothea Lange e la sua Migrant Mother, Gordon Parks...). O le opere esposte alla mostra The Family of Man (al Museum of Modern Art, di New York, dal 24 gennaio all’8 maggio 1955; quindi, veicolata nel mondo), curata dall’allora direttore del dipartimento di fotografia del MoMA (fino al 1962), Edward Steichen [1879-1973]. O Let us now Praise Famous Men, di James Agee e Walker Evans, che -con il loro libro- fanno entrare nella Storia gli agricoltori (bianchi!) rovinati dalla Grande depressione statunitense del 1929 [in Italia, Sia lode ora a uomini di fama: edizione più recente, Il Saggiatore, 2013; edizione precedente, Il Saggiatore, 2002 (in FOTOgraphia, del febbraio 2003); edizione migliore, Il Saggiatore, 1994, reperibile in librerie di fine serie].

31


1969. Lidia Ravera al quartiere delle Vallette: spettacolo sui manicomi.

(centro pagina, in alto) 1969. Bruno Trentin alla testa del corteo dei metalmeccanici, del venticinque settembre.

La caduta dei giganti (dal 2010); L’inverno del mondo (dal 2012); I giorni dell’eternità (dal 2014). Storie di Uomini Comuni... Nouvelle Histoire. Ken Follet: Trilogia del Novecento / The Century Trilogy. In edizioni italiane Mondadori.

32

Verso la Storia... dal testo di Lello Piazza: «È una rivoluzione copernicana. Da quel momento, entrano nella Storia gli Uomini Comuni. In questa maniera, vengono recuperati alcuni soggetti -come le donne, i contadini e i poveri, in genere i “marginali”-, che, in precedenza, non erano stati considerati degni di attenzione dalla storiografia ufficiale». In apoteosi, la Trilogia del Novecento, di Ken Follett [1949]: La caduta dei giganti / The Century Trilogy I (Mondadori, dal 2010); L’inverno del mondo / The Century Trilogy II (Mondadori, dal 2012); I giorni dell’eternità / The Century Trilogy III (Mondadori, dal 2014). Certamente, tre romanzi sullo sfondo, rispettivamente, della Prima guerra mondiale, della Seconda guerra mondiale e del secondo dopoguerra. Però, narrazione e considerazioni e riflessioni a partire da vicende private, dalla Vita comune di persone e famiglie, in incrocio tra loro, anche, e in riflesso ai grandi avvenimenti. Sorprendenti momenti di esistenze che rappresentano bene la Nouvelle Histoire, come l’ha definita Jacques Le Goff. E, in aggiunta, storie di Donne fantastiche... le stesse che sono esordite in I pilastri della Terra (Mondadori, dal 1990), sempre di Ken Follett, primo capitolo della altrettanto coinvolgente Trilogia di Kingsbridge. Vicende quotidiane verso la Storia, come ha scandito il bravo Mauro Vallinotto con la sua selezione Torino ’69, in attualità editoriale.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (3)

1972. Una delle vittime della sparatoria del Primo maggio, in piazza Vittorio Veneto.


1969. Ballo delle ricoverate in una sezione “aperta” di via Giulio.

(centro pagina, in basso) Renato Curcio a processo con il nucleo storico delle Brigate Rosse.

Come Edward Steichen e Walker Evans (e tanti altri fotografi umanisti che ne hanno seguìto le tracce), il coscienzioso Mauro Vallinotto [da Coscienza, magari dell’Uomo, sicuramente dell’Uomo] contribuisce a far entrare nella Storia i Lavoratori della Torino del Millenovecentosessantanove e dintorni. Non posso concludere senza menzionare le fotografie che mostrano il sempre azzimato Gianni Agnelli. Paragono i suoi pochi ritratti nel libro alle decine di altri ritratti di lavoratori che sono vestiti con gli abiti confezionati dalla Storia e non dagli atelier di gran moda. Gianni Agnelli e la sua famiglia, che sono presenti nello stesso libro insieme con i torinesi, evocano il divario tra privilegio, agio e ricchezza, da una parte, e uguaglianza dei diritti, modestia e privazioni, dall’altra. Un divario contro il quale si è combattuto cinquant’anni fa. Per questo, l’edizione libraria di Torino ’69, del magistrale Mauro Vallinotto, è autorevole. Per questo sono

importanti i buoni libri. Per ricordarci antiche vittorie, per metterci in guardia contro i nuovi pericoli; forse, per farci sognare di poter risorgere dalle ceneri morali di oggi. Come la mitica Araba Fenice. ❖ Di e per e su Torino ’69, con eccellenti fotografie di Mauro Vallinotto (nostra referenza statutaria e principale) e ottimi testi di Ettore Boffano (giornalista, collabora con il Fatto Quotidiano e il mensile Millennium ) e Salvatore Tropea (giornalista, collabora con il quotidiano la Repubblica ), Editori Laterza, del corrente 2019, hanno scritto la Repubblica, il Corriere della Sera, Il Venerdì di Repubblica e Famiglia Cristiana. L’unico giornale che l’ha praticamente ignorato è La Stampa, di Torino: ne ha accennato il diciassette ottobre. Noi, oggi e qui, lo allineiamo alla nostra ricorrenza dai cinquant’anni trascorsi dalla bomba alla Banca dell’Agricoltura, di Milano (dodici dicembre millenovecentosessantanove), evento di partenza della strategia governativa preordinata, elaborata e attuata per opporsi a legittime rivendicazioni dei lavoratori e degli studenti... in questo ordine. Ne siamo convinti.

MAURIZIO REBUZZINI

1974. Picnic domenicale, nella miniera di amianto di Balalengero (Torino).

Sera di martedì ventinove ottobre, vetrina della Libreria Internazionale Luxemburg, in via Cesare Battisti 7, angolo via Accademia delle Scienze, a Torino (una delle più affascinanti librerie tra quante ancora resistono nel nostro paese): Mauro Vallinotto e il suo Torino ’69 in esposizione e proposta.

33


DEARDORFF 8X10

POLLICI CON

KODAK WIDE FIELD EKTAR 250mm f/6,3 (FOTOGRAPHIA DI ANTONIO BORDONI)

RITORNO

AL GRANDE FORMATO

Una Ipotesi Un Sogno Un Invito Una Proposta

(graphia@tin.it)


LINDA MCCARTNEY. THE POLAROID DIARIES DI APERTURA E CHIUSURA DI

FRONTESPIZI

Ufficialmente, sfogliando le pagine della monografia The Polaroid Diaries, di Linda McCartney, che presentiamo illustrandola in quanto tale (monografia), e non con immagini estrapolate, incontriamo fotografie private: scorcio pre-social nella vita di una famiglia tutt’altro che ordinaria. Ma, allo stesso tempo, la raccolta celebra l’eredità di una fotografa ardentemente motivata, anche (anche?) con la magia dello sviluppo immediato polaroid. Annota Paul McCartney, in introduzione: «Non ci sono solo istanti di vita. Linda era fotografa. Nessuna delle sue fotografie è solo uno scatto casuale. Bisogna saper riconoscere quando sta accadendo una bella fotografia di fronte a sé. E, poi, bisogna scattare esattamente nel momento giusto»

PRIVATO E DINTORNI di Angelo Galantini

D

iscussione legittima. Dibattito possibile e plausibile, avviato nell’autunno Duemilasei, all’inaugurazione della mostra A Photographer’s Life, 1990-2005, di Annie Leibovitz, al prestigioso e autorevole Brooklyn Museum, di New York, dal venti ottobre al successivo ventuno gennaio: in allestimento scenico, duecento fotografie, raccolte anche in volume-catalogo omonimo, pubblicato per l’occasione da Random House (472 pagine 26,6x35,1cm; riedizione più recente, 2010). In mostra e in monografia,

una consistente quantità e qualità di immagini private della celebre e celebrata autrice. Da cui, la discussione e il dibattito: ovviamente, rivolto alla divulgazione pubblica di intimità e confidenze germogliate in ambito interiore, che -improvvisamentevengono proposte pubblicamente, alla luce di valori sociali acquisiti. Nello specifico, la fama, reputazione e considerazione delle due protagoniste dichiarate: l’autrice Annie Leibovitz, fotografa di alto casato, e Susan Sontag (inequivocabilmente, in copertina), scrittrice, filosofa e storica statunitense, protagonista della scena culturale, mancata il precedente dicembre 2004, a settantuno anni [FOTOgraphia, febbraio 2005].

Da e con Annie Leibovitz, a proposito della raccolta A Photographer’s Life, 1990-2005, nella quale sono riunite fotografie private scattate nei quindici anni vissuti con la compagna Susan Sontag: «La mia è una vita sola: il lavoro svolto su commissione e le fotografie personali ne fanno parte allo stesso modo».

Linda McCartney. The Polaroid Diaries; a cura di Reuel Golden, Mary McCartney e Sarah H. Brown; testi di Ekow Eshun e Chrissie Hynde; progetto grafico di Andy Disl; Taschen Verlag, 2019; edizione multilingue inglese, francese e tedesco; 232 pagine 26x26cm, cartonato con sovraccoperta; 40,00 euro. ❯ Linda McCartney. The Polaroid Diaries / Art Edition: i volumi e le stampe sono firmate da Paul McCartney. ● Sessantadue esemplari da 1 a 62; con stampa a colori 50x50cm C-Type Gloss, da portfolio, Location unknown, 1970s; 3500,00 euro (edizione esaurita). ● Sessantadue esemplari da 63 a 124; con stampa a colori 50x50cm C-Type Gloss, da portfolio, Sussex, England, 1980s; 3500,00 euro. ❯ Linda McCartney. The Polaroid Diaries / Collector’s Edition: trecentosettantasei esemplari (376), numerati da 125 a 500, firmati da Paul McCartney; in cofanetto in vetro acrilico riciclato al cento percento; 236 pagine 33x33cm; 1500,00 euro.

35


DAVE BENETT (2)

Anni fa, nell’autunno 2002, in occasione di un allestimento a Milano della serie fotografica Una notte con Marilyn, di Douglas Kirkland, qualcuno osservò che -di fatto- si trattava di una sola fotografia: vero! Anche raccolta in monografia omonima (24 Ore Cultura, 2001), la serie propone tutti gli scatti realizzati dal celebre fotografo, il 17 novembre 1961, su incarico di Look Magazine, tra i quali se ne sarebbe dovuto scegliere uno. «Ma, se non fosse Marilyn Monroe, e se non fosse morta in maniera misteriosa, di lì a breve [5 agosto 1962], queste fotografie non avrebbero interesse». Ma! Ma: è Marilyn Monroe, ed è morta nel modo spettacolare che conosciamo. Valore attuale, che non può essere ignorato: è Linda McCartney (nata Eastman), è la moglie del Beatle Paul McCartney [in questa doppia pagina, in due occasioni di clamorosa presentazione pubblica della monografia Linda McCartney. The Polaroid Diaries ]. Eventuale dibattito concluso.

36

«Non vivo due vite», annota e afferma Annie Leibovitz, in introduzione a questa intensa raccolta di sue fotografie realizzate nell’arco di tempo sotteso tra il 1990 e il 2005, dichiarato nel titolo. «La mia è una vita sola: il lavoro svolto su commissione e le fotografie personali ne fanno parte allo stesso modo»... dibattito concluso, dunque? La genesi della monografia (e mostra) di Annie Leibovitz, che oggi e qui richiamiamo in avviamento dovuto al soggetto inteso, al quale stiamo per approdare (l’edizione standard di The Polaroid Diaries, di Linda McCartney), è sintomatica di un percorso di un cammino, di un tragitto personale... verso il “pubblico”. Nei giorni successivi alla morte di Susan Sontag, avvenuta il 28 dicembre 2004, Annie Leibovitz iniziò a cercare e raccogliere fotografie per un piccolo libro da consegnare al servizio commemorativo. Ha iniziato con le fotografie realizzate da altri, poi si è rivolta verso la proprie, scattate durante i quindici anni trascorsi insieme. Quell’esercizio si è trasformato in quello che ha descritto come uno scavo archeologico: dissotterramento e setacciatura di un decennio e mezzo di lavoro, amore, vita familiare, malattia, morti e nascite. Fino ad approdare al «mio [suo] lavoro più importante», come ha rivelato nel corso di un’intervista rilasciata nell’ottobre 2006, nei giorni precedenti l’inaugurazione al Brooklyn Museum: «Sono i momenti più intimi, raccontano la mia storia migliore, ed è questo che mi interessa». Ancora... dibattito concluso, dunque?

ALLORA, NEL PRIVATO! Se la discussione non ha più diritto di ospitalità, se il dibattito eventuale è risolto, come ci pare che sia, si può affrontare con mente sgombra e cuore leggero


la raccolta fotografica The Polaroid Diaries, di Linda McCartney, che l’encomiabile Taschen Verlag ha appena pubblicato in edizione standard, a un prezzo di vendita/acquisto confortevole, a seguito delle originarie Collector’s Edition e Art Edition a tiratura numerata [Benedikt Taschen: Lucie Visionary Award 2013 ]. Per quanto la raccolta conosciuta (e apprezzata) Linda McCartney. Life in Photographs [FOTOgraphia, luglio 2011] abbia già riferito e sottolineato il passo fotografico dell’eccellente autrice, nata Linda Eastman, oggi avviciniamo un’altra cadenza, per l’appunto privata. A integrazione e supplemento, The Polaroid Diaries rivelano un lato intimo e molto personale della fotografia di Linda McCartney. La selezione/collezione si concentra in modo distintivo sul suo modo di vedere il mondo e la propria famiglia: affascinanti e stravaganti ritratti del marito Paul McCartney, sposato nella primavera 1969, e dei loro quattro figli [se serve rivelarlo, ma ormai serve sempre di più ripetere, in quest’epoca di superficialità social così diffuse e invadenti, Paul McCartney è uno dei quattro Beatles, insieme con John Lennon, George Harrison e Ringo Starr, ed è l’autore di motivi che hanno influito sulla storia della musica e, soprattutto, della società, dagli anni Sessanta del Novecento]. Sfogliando le pagine della monografia, che oggi e qui presentiamo illustrandola in quanto tale (monografia), e non con immagini estrapolate, li vediamo nella vita quotidiana in comune: giochi, travestimenti, svaghi, passatempi nella fattoria di residenza, nel sud dell’Inghilterra. Oltre a “passaggi” di amici, molti dei quali personaggi pubblici. In definitiva, altra considerazione: scorcio pre-social nella vita di una famiglia tutt’altro che ordinaria. Ma, soprattutto, celebrazione

Privato e contorni: divulgazione pubblica di intimità e confidenze interiori, che -improvvisamentevengono proposte pubblicamente, alla luce di valori sociali acquisiti. Ancora una volta, da e con Annie Leibovitz e la sua monografia/mostra A Photographer’s Life, 1990-2005, con la quale esordisce l’attuale intervento redazionale, e la relativa prima didascalia di avvio (a pagina 35), che l’autorevole autrice newyorkese considera il «mio [suo] lavoro più importante»: «Sono i momenti più intimi, raccontano la mia storia migliore, ed è questo che mi interessa». Annota Paul McCartney, in commento alla raccolta Linda McCartney. The Polaroid Diaries: «Non ci sono solo istanti di vita. Linda era fotografa. Nessuna delle sue fotografie è solo uno scatto casuale. Bisogna saper riconoscere quando sta accadendo una fotografia di fronte a sé. E, poi, bisogna scattare esattamente nel momento giusto. Lei ha fatto così tante di quelle volte, da lasciarmi sempre stupito».

37


«Una buona fotografia per me è... qualcosa che ti farà reagire, fermare e guardare e pensare davvero... una fotografia vale [effettivamente] più di mille parole» [per quanto, come spesso annotiamo, ci siano parole irraggiungibili dalla Fotografia]. Tra pensieri noti e consolidati e riflessioni individuali, è il testamento che Linda McCartney ha lasciato, in accompagnamento a un eccezionale archivio di immagini più che affascinanti. Una consistente selezione è stata raccolta e pubblicata nella monografia Linda McCartney: Life in Photographs, che l’intraprendente Taschen Verlag ha proposto in raffinata edizione libraria [ FOTOgraphia, luglio 2011]. Linda McCartney: Life in Photographs; a cura Alison Castle; testi di Paul McCartney, Mary McCartney, Stella McCartney, Annie Leibovitz e Martin Harrison; Taschen Verlag, 2011; 280 pagine 26,5x37,4cm, cartonato con sovraccoperta; 30,00 euro. ❯ Collector’s Edition: settecentocinquanta esemplari (750), numerati; in cofanetto; 268 pagine 31,2x44cm; 2500,00 euro.

38

dell’eredità di Linda McCartney come fotografa ardentemente motivata, anche (anche?) con la magia dello sviluppo immediato polaroid. Annota Paul McCartney, in commento doveroso e opportuno: «Non ci sono solo istanti di vita. Linda era fotografa [è mancata nel 1998, vinta da una lunga malattia, prima di compiere cinquantasette anni]. Nessuna delle sue fotografie è solo uno scatto casuale. Bisogna saper riconoscere quando sta accadendo una bella fotografia di fronte a sé. E, poi, bisogna scattare esattamente nel momento giusto. Lei ha fatto così tante di quelle volte, da lasciarmi sempre stupito». The Polaroid Diaries contiene oltre duecento di questi momenti “giusti”, dai primi anni Settanta fino a metà dei Novanta. Le fotografie sono chiarite da testi di Chrissie Hynde e del critico d’arte Ekow Eshun. Tanto altro, ancora. Ma! ❖


(da FOTOgraphia, ottobre 2014)

Il Galateo overo De’ costumi, di Giovanni Battista Della Casa, è disponibile in formato Pdf, scaricabile da diversi indirizzi web


di Maurizio Rebuzzini

Catalogo illustrato Apparecchi ed Accessori Fotografia Emilio Resti Agosto 1900 (Milano): 116 pagine 17x24cm.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (3)

Catalogo Ambrosio Apparecchi fotografici (1909? / Società anonima, Torino): 120 pagine 14,5x21cm, con intrigante presenza di un Apparecchio francobollo, «per fotografie dirette e per riproduzioni».

Dal Catalogo Ing. Ippolito Cattaneo 1929-1930: a pagina quarantasette, in chiusura di facciata, compare, per la prima volta, la Leica! Testuale: «Il più piccolo apparecchio con otturatore a tendina da 1/20 a 1/500 di secondo. Tutto in metallo leggero».

40

R

iprendiamo dalla riflessione/osservazione di mFranti, dallo scorso numero di novembre, quando e dove è stata riferita al reperimento di una quantità e qualità di francobolli emessi in occasione del centocinquantenario della Fotografia, in considerazione sull’ancora per poco attuale centottantesimo [speriamo si sia notata l’assenza volontaria e consapevole di accrediti “Archivio FOTOgraphia”, perché il loro ritrovamento e la loro custodia sono dati per scontati]. Comunque, testuale: «Cerca e ricerca. Scopri e archivia. Accantona e costruisci. Questi, e altri ancora, sono i concetti (ideali?) che ispirano la documentazione storica degli elementi che compongono il vasto contenitore della socialità e del costume fotografico, ulteriore e parallelo alla lunga e nobile vicenda della affascinante evoluzione del linguaggio estetico, dell’espressione della comunicazione visiva e della tecnologia applicata... anche». Già, una volta ancora (questa): «Cerca e ricerca. Scopri e archivia. Accantona e costruisci»... ma non solo. Perché, in qualche circostanza, anche senza “cercare”, ci sono oggetti che vengono spontaneamente incontro: basta solo saperli riconoscere, saper andare oltre i valori superficiali, per rintracciare non solo ciò che effettivamente sono, ma ciò che rappresentano. Sentite questa. Alla fine dello scorso ottobre, insieme con gli amici Marco Saielli e Vincenzo Silvestri (proprio lui), domenica ventisei, siamo stati a Lucca per visitare l’entusiasmante mostra Bernardo Bellotto 1740. Viaggio in Toscana, alla prestigiosa e autorevole Fondazione Centro Studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti [per certi versi, ne abbiamo anticipato, in FOTOgraphia, dello stesso ottobre]. A margine, le solite visite a indirizzi selezionati nel tempo: bancarelle di libri e fumetti usati, in Corte del Biancone, nei pressi della indispensabile piazza san Michele; Libreria Antiquaria e Studio Bibliografico Pera, nella stessa area, e, ancora, l’irrinunciabile Daris Libri e Stampe, al civico nove di via del Gallo, sempre in pieno dentro le mura. Proprio da Daris Libri e Stampe -indirizzo più che consigliato (0583-440563)-, tra tanto e tanto nobile passato dell’editoria nazionale (comprese due apprezzate prime edizioni, rispettivamente del 1954 e 1955, di poesie di Rocco Scotellaro), un incontro inaspettato, proprio imprevedibile, considerata l’autorevolezza delle sale e delle proposte lì esposte. Nientemeno (per noi) che il Catalogo Generale Onceas - 1969-1970. Certo, c’è stato bisogno di riconoscerlo, in reminescenza dal nostro passato individuale nel mondo del commercio italiano della fotografia, in virtù di una memoria sollecitata e richiamata dalla copertina in grafica dai toni accesi, interpretativa di condizioni “fotografiche”: scomposizione dei colori, schema ottico di segnale inequivocabile e simulazione di una lente di ingrandimento, estesa alla sfasatura del logotipo di attribuzione. Ok... Onceas, ai tempi distributore di vertice sul mercato, non fosse altro che per i marchi di richiamo Fuji/Fujica (oggi, Fujifilm) e Minolta (reflex 35mm e compatte), oltre quanto tanto di sostanzialmente redditizio. Ma... attenzione, colpo casuale, ma colpo di fortuna, se in-

tendiamo leggerla anche così: le date di attinenza registrano un attuale cinquantenario (anche questo!), nell’imminente passaggio dal 2019 al prossimo 2020, alle porte. Da cui e per cui, occasione prelibata e stuzzicante per riflettere su... quando c’erano i cataloghi, per quanto ci riguarda direttamente, in Fotografia.

ONCEAS 1969-1970 Partiamo proprio da qui, dal Catalogo Generale Onceas - 1969-1970, per quanto non intendiamo fermarci qui. Dalla forma (inevitabile) al contenuto (fondamentale): in accurata rilegatura 17x23,5cm a “rubrica” (184 pagine), con richiami fustellati ai singoli marchi, le linee fotografiche in distribuzione sono presentate in conveniente sequenza a scalare di propria redditività di impresa: Fuji (soprattutto, il passo ridotto cinematografico Single 8), Minolta, Hanimex, Columbia Pictures, Kowa, Regula, Stein, Articoli di corredo (illuminatori, flash, moviole, visori, treppiedi, album, borse e schermi), Registratori, Grandi occasioni (oggi, offerte, promozioni?) e Novità dal Foto Expo di New York 1969, ai tempi riferimento fieristico di alto valore tecnico-commerciale. Capitolo dopo capitolo, pagina dopo pagina, presentazioni accurate e dettagliate: tanto quanto non lo sono -rileviamolo- quelle compilate per l’attuale veicolazione in Rete, là dove e quando mancano esecutori capaci di comunicare. Provatevi voi, oggi, a cercare informazioni certe, diligenti e complete, arrancando in siti che non hanno la minima idea di come debba essere stilata e redatta una informazione tecnica, in risvolto commerciale (non soltanto per quanto riguarda la fotografia, sia chiaro). Ovvero, annaspando in indirizzi web che non rispondono a un solo mandato, quello informativo, ma debbono assolvere anche la comunicazione pubblicitaria e la promozione temporale di offerte estemporanee.

TEMPI MODERNI Questo galvanizzante Catalogo Generale Onceas 1969-1970 -ben compilato, ottimamente confezionato (in relazione a regole comunicative mai scritte, ma endemiche nel ciclo di trasmissione di informazioni certe e inequivocabili)- ci ha riportati a un Tempo e Modi che abbiamo apprezzato e ancora ammiriamo (soltanto, Galateo, forse niente di più; ma, fatti i conti, oggi, ci basterebbe, e rimpiangiamo Eleganze ormai dimenticate). La mente è tornata a quegli anni, e dintorni. Così, tra ricordi (tanti e profondi), memoria (poca) e «Cerca e ricerca. Scopri e archivia. Accantona e costruisci», abbiamo attinto al nostro Archivio, selezionando altri istanti di quel Tempo, durante il quale, sia specificato, cominciavamo a muovere i nostri primi timidi passi nel mondo della fotografia italiana, già scomponendoci garbatamente tra tecnica/commercio e linguaggio espressivo. Ma qui, stiamo in sola compagnia della componente tecnica e mercantile, rievocandone Tempo e Modi di intensa personalità applicata. Che fantastici e meravigliosi re-incontri !, sopiti nella Mente, ma sempre palpitanti nel Sentimento, anche attraverso «ciò che rappresentano». In ordine occasionale e fortuito, così come sono tornati tra le nostre mani, sono tornati protagonisti, per questa clamorosa occasione:


QUANDO C’ERANO I CATALOGHI ❯ ancora Onceas 1972, in dossier 25,5x25cm ad anelli (148 pagine), ma sempre con allestimento a rubrica fustellata e analoga successione, con arrivo dei telaini porta diapositiva Gepe; ❯ Bigagli 1970, altrettanto ad anelli, con fogli mobili 22x28cm (74 pagine, più listini sciolti per ogni rappresentanza): in proiezione professionale, a partire dalle proposte statunitensi Calumet, dal banco ottico al trattamento in camera oscura; e, poi, ancora, ingranditori Beseler (una leggenda), obiettivi grande formato Congo [nel corso della nostra vita, ne abbiamo avuto uno, se non ricordiamo male il Commercial 300mm f/5,6], illuminatori Hedler e flash elettronici monotorcia e a generatore Courtenay; ❯ Fowa 1974, a rubrica, con copertina in plastica 16,5x21cm (188 pagine), preHasselblad; dunque, sequenza “storica” e originaria, zoccolo duro di una personalità commerciale che si è imposta e radicata nel mercato italiano: Yashica, Minox, Nizo, Braun, Metz, Exakta, Hähnel (moviole), Omnica (raffinate borse in cuoio, con sagomature interne dedicate); ❯ Erca luglio 1972, gennaio 1975, aprile 1975, con curiose date di edizione, perfino serrate, testimonianza di momenti di cambiamenti anche repentini (sarebbe da valutare, nel dettaglio): rispettivamente, 204 pagine 20x20,7cm e 144 e 160 pagine 19x20,3cm (le due edizioni 1975), con distinzione nel colore di copertina; altrettanti marchi storici, in rigoroso alfabetico, dal quale estrapoliamo richiami di vertice assoluto e inviolabile: Rollei-Werke / Franke & Heidecke (Rolleiflex), Durst, Bolex, Mechanische Weberei (schermi), Creazioni Walt Disney (film passo ridotto);

❯ Mafer, in data non precisata, ma presumiamo a metà degli anni Sessanta; opuscoletto di 28 pagine 15x22,3cm, più sei facciate di aggiornamento Arca Swiss, il cui valore attuale, estraneo alla consistenza dei cataloghi dal passato presi in considerazione, risiede

ANTONIO BORDONI

«Cerca e ricerca. Scopri e archivia. Accantona e costruisci». A partire dal ritrovamento (casuale? invitato? favorito?) del Catalogo Generale Onceas - 1969-1970, nel cinquantenario tondo 2019-2020, richiamiamo un tempo del commercio italiano della fotografia per riflettere su una comunicazione al pubblico basata ed edificata su presentazioni accurate e dettagliate: tanto quanto non lo sono -rileviamolo- quelle compilate per l’attuale veicolazione in Rete, là dove e quando mancano esecutori capaci di comunicare. Fosse solo questo...

Catalogo Generale Onceas - 1969-1970 (cinquanta anni fa!), da cui siamo partiti per...

41


Guida Fotografica Vasari, autorevole fotonegoziante romano: qui, edizioni 1960, del centenario, e 1961; rispettivamente, di 404 pagine 12x16,7cm e 352 pagine 13x18,5cm.

Catalogo Generale G. Conte 1960-1961, di Napoli: 428 pagine 17,5x24,5cm.

PER COLLEGAMENTO

Sixta 1962: 184 pagine 16,5x23,3cm; il cavallo di battaglia era il sistema grande formato Linhof.

42

Dal passato remoto, che incontriamo più avanti, lungo questo nostro attuale cammino indirizzato verso Quando c’erano i cataloghi, al passato prossimo, che abbiamo appena attraversato, fanno da ponte le pubblicazioni annuali della Guida Fotografica Vasari, autorevole negozio romano che negli anni CinquantaSessanta era guidato e gestito dal titolare commendator Tommaso Vasari, insieme con il figlio Giorgio.

ANTONIO BORDONI [DA ARCHIVIO FOTOGRAPHIA ]

proprio nel casellario del sistema grande formato Arca Swiss, in aggiornamento al tempo di riferimento: banco ottico 4x5 pollici (10,2x12,7cm) / 9x12cm, 142.000 lire; Arca Swiss Reflex (!) fino al 6x9cm, 176.000 lire. ❯ Mafer 1985, nel proprio venticinquesimo 19601985, in corposo fascicolo di 84 pagine 22,5x19,5cm; la sostanza della personalità rivolta alla fotografia professionale (Sinar, Broncolor, Rodenstock, Fidelity, Safer e Deville) si accompagna al mercato consumer (Braun e Paterson); da notare, ancora, che Mafer è stata l’ultima azienda fotografica a produrre un proprio catalogo annuale: buon ricordo (nostro); ❯ Sixta 1962, «nel quarto anno del Mercato Comune Europeo / da quattordici anni al servizio della fotografia e cinematografia», con data scandita, in copertina, all’interno di un sistema ottico a quattro lenti (due biconvesse, una biconcava e una concava/convessa), in rilegatura di 184 pagine 16,5x23,3cm; altra distribuzione “storica”, che ruota(va) attorno il grande formato Linhof; presentazione per categorie tecnico-commerciali, proprio a partire dalle folding Linhof, introdotte da considerazioni e valutazioni sull’impiego e finalità dei corpi mobili, per il controllo della prospettiva e la finalizzazione della messa a fuoco [tante e ripetute le nostre analisi al proposito, le più recenti delle quali declinate in suggerimento di Ritorno al grande formato... oggi]; ❯ Leica Catalogo Generale 1960 / Ippolito Cattaneo (sessanta anni fa): prezioso fascicolo di 130 pagine 16x22cm, autentico casellario del celebrato e autorevole sistema fotografico, allora -come oggi, ancora- ai vertici dei desideri e dell’immaginario collettivo della Fotografia; da sottolineare, la qualità, efficacia ed efficienza delle illustrazioni disegnate, al tratto, assai più performanti di quanto non possa esserlo la fotografia (e questo va rilevato, in onestà intellettuale); con Listino prezzi dell’agosto 1961 (di venti pagine, più altre dodici di Estratto del Catalogo Generale Leitz / Foto-Cine ): corpo Leica M3, 169.000 lire; corpo Leica M2, 144.900 lire; diaproiettore Prado 150, 37.000 lire; ❯Leitz (Leica) / Gesamtkatalog für den Fachandel, sowie Spezialprogram, Ausgabe 1. Oktober 1976 (Catalogo generale per il commercio specializzato, nonché programma speciale, edizione...); ancora, validità e utilità di illustrazioni disegnate, provenienti dalla casa madre, in tempi nei quali erano arrivate anche le reflex (alla data, Leicaflex SL2 e R3 Electronic), e il telemetro registrava le configurazioni M5 e M4-2; comunque, per la forma, fascicolo a fogli mobili 12,5x21cm rilegati in spirale (178 pagine), ma completi di forature per eventuali, ulteriori conservazioni in dossier ad anelli. Ripetiamo: che re-incontri!, che marchi!, che prodotti! È Storia. Anche parte della nostra Storia personale.

Tra i tanti esemplari custoditi e conservati nel nostro (capace?) Archivio, isoliamo due edizioni, per proprio motivo evidente adeguate al nostro attuale passo: quella del 1960, nel centenario dell’azienda (Foto Vasari / 1860-1960 / ... un secolo d’arte fotografica ), e la successiva, del 1961 (centenario della Repubblica, se proprio vogliamo, e cifra palindroma, per qualcuno, perché se -scritta in una particolare base-, rappresenta lo stesso valore nella lettura da destra e da sinistra; più correttamente, cifra strobogrammatica, perché -se ruotata di centottanta gradi lungo un asse perpendicolare al foglio- non cambia). [Da cui e per cui, anche le date del 1839, di origine della Fotografia, l’anno prossimo saranno palindrome e strobogrammatiche: nel proprio centottantunesimo (181), sette gennaio di annuncio, diciannove agosto di presentazione, dodici novembre di Relazione di Macedonio Melloni (FOTOgraphia, novembre 2019, nel centottantesimo)]. Non ignoriamo che le presentazioni fotografiche sulle pagine di queste Guide (404 pagine 12x16,7cm, nel 1960, e 352 pagine 13x18,7cm, nel 1961) sono state concordate e negoziate con le singole case produttrici e distributrici, ma non ci interessa. Quello che invece oggi vale oro è l’informazione implicita sui prezzi di vendita dei singoli prodotti: dai riferimenti alti -Leica, sopra tutti- al quotidiano della fotografia di massa, quella che nessuna Storia degli apparecchi fotografici ha mai raccontato, privilegiando soltanto quella altisonante -ancora, Leica sopra tutti-. Così che, oltre la consistenza dei testi a commento dell’esercizio della fotografia, distribuiti sulle pagine di ogni Guida Fotografica Vasari, tutti da tenere in grande considerazione, una volta di più richiamiamo il senso e merito della Nouvelle Histoire [anche qui, come altrove (Sul filo della Memoria, da pagina dieci), da e con Lello Piazza, su questo numero, da pagina ventisei]. Dall’edizione 1960, del centenario, in ordine sparso e alternato: Voigtländer Vito C, 23.000 lire; Kodak Retina II C, 68.000 lire; Leica M2 (solo corpo), 145.500 lire; Leica


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

A partire da una ispirazione dichiarata, il testo centrale di questo attuale intervento redazionale si limita al solo riferimento fotografico, di nostro interesse e (probabilmente) competenza. A integrazione, richiamiamo, quindi, un altro esempio basilare dell’aspetto formale della comunicazione in propria interpretazione grafica. Il General Catalog Number 155 / agosto 1929, della Loose Leaf (Books and Forms), di Kansas City, Missouri, Usa, è esemplare. Presenta prodotti per la registrazione amministrativa di dati e relativa archiviazione: avvincente fascicolo di 288 pagine 13,5x19,5cm a rubrica fustellata, con foro nell’angolo alto, a sinistra, per essere appeso a un filo. Ora, riuscendo a farlo, lasciamo perdere le facilitazioni sulla composizione e gestione di testi, oggi alla portata di programmi di impaginazione di uso semplificato. Torniamo alla composizione in caratteri di piombo, mobili o impacchettati, e immaginiamoci l’abilità che -novant’anni faoccorreva per sistemare tabelle esplicative in misura adeguata. Pensiamo al lavoro necessario per stilare le sintesi... e valutiamo le pagine in essere, apprezzandole, fino ad amarle (da parte nostra, alla luce della componente di “trasformazione” grafica del nostro comunicare). Ancora, e per completare: rilegatura a rubrica fustellata, con efficaci e pratiche divisioni tematiche. Se vogliamo, un campione esemplare. Se non che, al giorno d’oggi, non si frequenta più l’acquisizione di conoscenze, e capacità conseguenti, attraverso l’apprendimento di esperienze (precedenti) altrui. Per certi versi, da e con l’ Editoriale di questo stesso numero, da pagina sette. Noi siamo qui a dire cose che “portiamo dentro”: in una traduzione di My Way, a pagina cinquantuno.

di lire... risparmi di tutta una vita / oggi, un Laborator 138S, completamente accessoriato, sta nella nostra cucina di casa, come complemento d’arredamento: l’abbiamo riscattato per cinquanta euro da una camera oscura in dismissione di un editore di spicco]. Attenzione a queste cifre e alla loro redditività di impresa, lungo tutta la filiera dalla produzione all’utilizzatore finale: in quei tempi, i margini di guadagno, a ogni passaggio, erano sostanziali e non stentati, come lo sono oggi. In ogni modo, in argomento valore dei soldi, ipotizzo che mio padre Natale, operaio in pastificio, nel Sessanta percepisse uno stipendio che non arrivava a trentamila lire, e con questo manteneva una famiglia di cinque persone; sono certo che mia sorella Nella, al suo primo impiego, dal 4 luglio 1957, abbia percepito uno stipendio di tredicimila lire.

Industria Fototecnica Firenze - Produzione 1947 (negli anni a seguire, Iff). Linea fotografica alle proprie origini; affascinante fascicolo di 24 pagine 32x22cm, con -in copertinadotazione Pasquini in illuminazione... fiorentina.

TEMPI ANTICHI Le nostre osservazioni e riflessioni sull’efficacia e pertinenza della comunicazione/informazione tecnicocommerciale dei cataloghi del passato prossimo si ferma proprio al passato prossimo. Infatti, sia in Fotografia, nostro territorio di frequentazione e valutazione, sia in generale, approfondire nel passato remoto, come stiamo comunque per fare, significa avvicinare e affrontare altre considerazioni, che hanno debiti di riconoscenza più con la nostalgia e l’antiquariato (anche commerciale) che altro. Insomma, per quanto si possano ipotizzare influenze del passato prossimo sul presente e, magari, futuro immediato, non si può declinare nello stesso modo quando il punto di partenza affonda le proprie radici più indietro e indietro e indietro nel Tempo. Ciò detto, la conclusione fotografica che stiamo per affrontare sia intesa soltanto, e non già soprattutto, per il senso aneddotico delle esplorazioni e analisi: ripetiamolo, antiquarie e (probabilmente) fini a se stesse. Ma! Sempre dal nostro Archivio, qualche esempio quantomeno “affascinante” e coinvolgente, per quanto soltanto in direzione del Cuore e non verso la Mente.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (6)

M2 (con Leitz Elmar 50mm f/2,8), 175.000 lire; Canonflex, 145.000 lire; Zeiss Contarex (con Carl Zeiss Planar 50mm f/2), 295.000 lire; GaMi 16, 130.000 lire; Eura Ferrania [FOTOgraphia, settembre 1998], 2650 lire (in borsa kit, 4500 lire); biottica Ferrania Elioflex, 13.000 lire; Zeiss Super Ikonta IV, 72.000 lire; Polaroid 80A, 78.000 lire; Hasselblad 500C (con Carl Zeiss Planar 80mm f/2,8), 360.000 lire; Hasselblad SWC, 290.700 lire; Rolleiflex 3,5F, 160.000 lire. Stesso discorso per il Catalogo Generale G. Conte 1960-1961 (casa grossista, a Napoli; “G.” in senso di Giacinto, come capitan Facchetti), di ben 428 pagine 17,5x24,5cm: casellario e certificazione di valori economici del tempo. Anche per questo, e ancora, qualche cifra, non prima di aver sottolineato che, in introduzione, si avverte che (testuale): «Alla fiera internazionale di Colonia [Photokina del 1960, svoltasi dal ventiquattro settembre al due ottobre, le cui novità sono peraltro raccolte a chiusura di catalogo, da pagina 399 a pagina 416], alcune case ci hanno comunicato delle variazioni di prezzo, quando già il Catalogo era stato ultimato [...]. È consigliabile, dunque, prima di effettuare una commissione, consultare attentamente questa parte del Catalogo, in modo da evitare inutili perdite di tempo». Comunque, in rapidità: camera da studio Lupa 13x18cm a una colonna, 75.000 lire; camera quadrata Mascoli 13x18cm, in legno, 43.000 lire; cavalletto [non treppiedi] da studio, in legno noce lucidato, a doppia colonna, 27.000 lire; stessa descrizione, ma in noce di prima scelta finemente lavorato, 50.000 lire; ingranditore Durst 609 (6x9cm), 57.000 lire [fu il nostro primo ingranditore “serio”, che dipingemmo tutto di rosso]; ingranditore Durst L 138 (13x18cm), 390.000 lire [che diventarono oltre cinque milioni di lire, nel 1969 dei nostri tempi scolastici, in configurazione evoluta Laborator 138S, nella dotazione completa di tre obiettivi a torretta e parco completo di condensatori a cassetto; nel 1965, i miei genitori comprarono il loro appartamento di tre locali per poco più di cinque milioni

Campionario fondi fotografici Cattaneo (anni Venti del Novecento?). Tredici cartoncini 21,5x14,3cm sulle cui doppie facciate sono incollate ventisei stampe, che visualizzano fondali dipinti per sala di posa ancien.

43


ANTONIO BORDONI [DA ARCHIVIO FOTOGRAPHIA ] ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Tutti insieme (appassionatamente?), i cataloghi fotografici “antichi” menzionati nel corpo centrale di questo intervento redazionale, ispirato dal ritrovamento (casuale? invitato? favorito?) del Catalogo Generale Onceas - 1969-1970. Nella doppia pagina precedente, i cataloghi “moderni”... in analoga considerazione odierna.

Chiusura intima, nel ricordo partecipe di Lorenzo Cattaneo (1936-2017 [ FOTOgraphia, novembre 2017]), al quale dobbiamo questo e altri documenti storici conservati nel nostro Archivio. Catalogo Ing. Ippolito Cattaneo 1913-1914: 290 pagine 16x24cm. Di fatto, racconto erede di una Storia radicata nel secolo precedente.

44

Passerella d’onore per due edizioni successive e distanti del Catalogo Cattaneo, di Genova, separate tra loro da tempi estremamente differenti della tecnologia fotografica. Il Catalogo Ing. Ippolito Cattaneo 19131914 è palesemente erede di una Storia precedente, radicata nel secolo immediatamente precedente. Nulla di quanto è qui sintetizzato ha punti rintracciabili nell’attualità della Fotografia, evoluzione verso l’acquisizione digitale delle immagini inclusa. Macchine fotografiche, obiettivi, attrezzature di trattamento e da laboratorio, accessori complementari, tutti insieme, rimandano indietro nel Tempo, rimandano a reminescenze che appartengono soltanto a coloro i quali conoscono i termini e contenuti della Fotografia dell’Ottocento, qui in sua proiezione ideale sul primo decennio del Novecento. Ovviamente, per costoro (noi, tra questi), l’incontro con parole e illustrazioni (di manifattura eccelsa, tutte inevitabilmente al tratto, con apprezzati inserimenti di stampe fotografiche su carta originaria) è più che appagante, addirittura appassionante. E non stiamo affatto scherzando. Formalmente, 290 pagine 16x24cm. A completa differenza, in un salto temporale apparentemente contenuto, ma sostanzialmente influente, nel successivo Catalogo Ing. Ippolito Cattaneo 1929-1930 compaiono testimonianze di una consistente trasformazione tecnologica. Tanto per quantificare, il tutto legno precedente è sostituito da configurazioni fotografiche in metallo di altra efficienza (ammettiamolo, accantonando per un attimo i Sentimenti): folding popolari 6x9cm e 6,5x11cm, apparecchi pieghevoli professionali dal 6x9cm al 9x12cm e 10x15cm, fantastiche stereo Heidoscope (45x107mm e 6x13cm) e Rolleidoscope, in medesimi formati. Ma, soprattutto, attenzione attenzione, a pagina quarantasette, in chiusura di facciata, compare, per la prima volta, la Leica! Testuale: «Il più piccolo apparecchio con otturatore a tendina da 1/20 a 1/500 di secondo. Tutto in metallo leggero. [...] Si carica con rotoli di film di m. 1,60 per 36 fotografie di m/m 24x36 ed anche

con film di minor lunghezza. L’obbiettivo è un anastigmatico Leitz “Elmar ” 1:3,5 f. cm. 5 e dà immagini di grande nitidezza. [...]». A seguire, e senza ulteriori approfondimenti e aggiunte, perché ormai dovremmo esserci capiti, sempre e ancora dal nostro Archivio (degno di considerazioni museali, ne siamo più che convinti): Catalogo generale Kodak 1910 (Marca di fabbrica depositata / Società anonima, Milano - Napoli), di 108 pagine 13,3x15,3cm; Catalogo illustrato Apparecchi ed Accessori Fotografia Emilio Resti - Agosto 1900 (Milano), di 116 pagine 17x24cm; Catalogo generale Ambrosio 1909 (Società anonima, Torino), senza apparecchi fotografici (più avanti?), ma «Accessori per fotografia Ingrandimenti - Proiezioni / Ottica - Geodesia», di 146 pagine 14x20cm; Catalogo generale Photo Ica 1910 (Società anonima / Aktiengeselischaft, Dresda), di 208 pagine 15,3x23,3cm; Catalogo generale Lamperti e Garbagnati 1905-1906 (Costruzioni e forniture fotografiche, Milano), il primo in impaginazione a rubrica fustellata, su 226 pagine 17x24cm; Catalogo Ambrosio Apparecchi fotografici [ancora 1909?, è più che probabile; 120 pagine 14,5x21cm] (Società anonima, Torino), con intrigante presenza di un Apparecchio francobollo, «per fotografie dirette e per riproduzioni» a nove obiettivi multipli, in tre file da tre ciascuna. Chiusura in doppio, con altre motivazioni che quelle oggi prefisse e perseguite. Anzitutto, Industria Fototecnica Firenze - Produzione 1947 (azienda che, a seguire, avremmo conosciuto nell’acronimo diffuso di Iff). La linea fotografica è alle proprie origini, esordite anche in abbinamento con esigenze e necessità dell’Aeronautica Militare -lo sappiamo per certo-, a partire dalla dotazione Pasquini, ideata e progettata dal commendator Tito Pasquini, di Bologna, per ingrandimento e riproduzione fino a negativi 18x24cm. Notazione storica (sempre che queste Storie siano da considerare, e lo sono, sia chiaro!), è già presente l’ingranditore 24x36mm a messa a fuoco automatica Aureg (poi, Auregon: dal fondatore Aurelio Reggiani), realizzato su base Leitz Focomat Ic (altrove, 1c). Fascicolo di 24 pagine 32x22cm. Comunque, postilla parallela, ma per noi fondante ed edificante, in copertina, grafica con il duomo di Firenze (cattedrale di Santa Maria del Fiore), e il collegato battistero di San Giovanni Battista illuminati, proprio, dal dispositivo Pasquini, appena evocato, in funzione di emissione di luce (illuminatore, per l’appunto). Fine, in ulteriore trasversalità: singolare, raro ed eccezionale Campionario fondi fotografici, della ditta Ing. Ippolito Cattaneo, di Genova (già incontrata nel nostro percorso), databile agli anni Venti del Novecento. Tredici cartoncini 21,5x14,3cm sulle cui doppie facciate sono incollate ventisei stampe bianconero in dimensioni diverse -da 11,2x12cm a 15,8x10,2cm e dintorni-, che, come anticipato e promesso, visualizzano fondali dipinti, per sala di posa ancien. In certificazione, «Questo campionario viene spedito in assegno di L. 25.- [oppure, “20.-“: la cancellazione sull’esemplare in nostro Archivio è totalmente coprente], rimborsabili non appena ritornato». Francamente: una perla! Quando c’erano i cataloghi. ❖


RITORNO

SINAR NORMA 4X5

POLLICI

(FOTOGRAPHIA DI ANTONIO BORDONI)

AL GRANDE FORMATO

Una Ipotesi Un Sogno Un Invito Una Proposta (graphia@tin.it)


Altro Catalogo di Antonio Bordoni

FUORI DALL’ORDINARIO

A

46

A integrazione di quanto rilevato e osservato nelle pagine qui immediatamente precedenti, da pagina 40, sollecitato e guidato dal reperimento (casuale?) del Catalogo Generale Onceas - 1969-1970, in attuale cinquantenario (anche, ma non solo), riferiamo di un Catalogo cartaceo odierno assolutamente fuori dall’ordinario, sia in richiamo ai tempi attuali -di altra comunicazione (?)-, sia in riferimento esplicito a se stesso, alla sua produzione e alla sua superba confezione. È disponibile anche dalla Rete (https://www.brn.it/ BRN-Catalogo-Online-ITA.html): cinquecentoquarantuno / 541 doppie pagine (!) scaricabili in formato Pdf... ma non è affatto lo stesso, se non altro per quanto stiamo per rilevare.

denti con quelle delle edizioni annuali precedenti (per le quali, testimoniamo sul corrente 2019, altrettanto in nostro possesso), riassumono il quanto/tanto possibile attorno il soggetto bicicletta, senza peraltro presentarne una in quanto tale: BRN srl, via Maestri del Lavoro d’Italia 100, 47034 Forlimpopoli FC (0543-741423 [non ignorate il telefonico: le risposte sono estremamente cortesi, a differenza di quanto ormai dobbiamo subire, anche nel nostro solo circuito fotografico]; www. brn.it, info@brn.it). [A proposito di questo indirizzo di BRN, “via Maestri del Lavoro d’Italia”, rimandiamo a quanto osservato da mFranti -in pseudonimo-, a complemento del cinquan-

“Bernardi”) sono presentati oltre ottomila accessori e componenti per bicicletta: sono stati tutti fotografati, uno a uno, e scontornati per la messa in pagina; l’impaginazione è (insolitamente) chiara, esplicita ed evidente: è facile da consultare e immediata da comprendere.

Infatti, quantomeno dal nostro punto di vista, altrimenti indirizzato (coinvolgimenti privati a parte), rimaniamo sulla forma, lasciando le considerazioni sul contenuto (più che ottimo, più che garantito, più che autorevole) ad altri, in proprie sedi preposte. Le milleottanta pagine (1080!) 25x34cm del Catalogo BRN Bike Parts 2020, coinci-

tenario 1969-2019, in riquadro a pagina 12, su questo stesso numero]. Aggiuntivo alla presenza in Rete dell’azienda, con un sito di facile orientamento (chi di dovere, ne faccia lezione di comunicazione e rapporto civile/etico/concreto con i propri interlocutori e clienti), nel Catalogo BRN Bike Parts (Brn, dal codice fiscale di

Per quanto, la maggior parte dell’offerta commerciale si ripeta, anno dopo anno, il lavoro fotografico è immane, tanto quanto (ormai) inconsueto. La produzione del Catalogo è interna all’azienda: impegna cinque persone, tre creativi (Paolo, Massimiliano e Filippo), un digital & social (Filippo) e un


Altro Catalogo

AN

TO NI O

BO

RD

ON I

photo & social (David); nello specifico, grafica di Paolo Banzola e fotografie di David Bertolaso. La tiratura di duemila cinquecento copie

in italiano si doppia con altre duemila cinquecento in inglese; l’invio è riservato a operatori mercantili, che qui trovano tutto quanto possa loro servire nel rapporto con i rispettivi clienti, sia in acquisto/vendita, sia in assistenza. Per testimonianza diretta (ci muoviamo per Milano con una bicicletta -a pedalata assistita, sia chiaro e or-

mai!-, curata e soccorsa da Marco Pupillo, della Bottega del Ciclo, in via Farini 78 / 02-66803205, altro telefonico di garbo, cortesia ed efficienza), sappiamo che il rapporto commerciale rispecchia la qualità della presentazione in Catalogo: dunque, se proprio dobbiamo dirla tutta, forma per il contenuto, contenuto dalla forma. Dunque, il Catalogo BRN Bike Parts 2020 è conforto nella propria

Catalogo BRN Byke Parts 2020; 1080 pagine 25x34cm; 5,854kg.

Una considerazione sopra tutte, almeno una, c’è ancora. Per quanto serva rimarcarlo, oltre a rappresentare l’autentica bibbia del proprio settore (dal 1998, di prima edizione; l’azienda è nata all’inizio degli anni Quaranta del Novecento), quello delle integrazioni alla e per la bicicletta, questo Catalogo “fuori dall’ordinario” ci conforta nel pensiero che non tutto sia andato perduto, che non tutto sia stato sacrificato al (terribile) altare della superficialità diffusa. Consapevoli come siamo che il presente, in qualsiasi modo si manifesti, vada accettato per quello che è, non tradiamo certo la nostra opinione, spesso ribadita, secondo la quale il Tempo va comunque avanti, con o senza di noi. Però, in supplemento, quando incontriamo chi sa evitare i semplicismi che diventano consequenziali ed endemici (ed è questo il caso!), non possiamo che esultare e pensare che per il Sapiens, forse, non

messa in pagina, ed è più che eccezionale in confezione: doppio indice a rubrica fustellata, per lo scorrimento agevole sulle mille pagine abbondanti di offerta merceologica (per quasi sei chilogrammi di peso [5,854kg], va rivelato!). Da cui, la nostra ammirazione, successiva alle considerazioni precedenti, su Quando c’erano i cataloghi.

tutto è perduto. Da e con il fotografo ed educatore svedese Christer Strömholm (1918-2002), spesso evocato sulle e dalle nostre pagine, mai a sproposito, ancora una volta: «Sono i pesci morti che seguono le correnti». Eccezionalità del normale. O, di quello che dovrebbe esserlo. Quantomeno, sempre... forse. ❖

47


1839-2019: centottant’anni di Angelo Galantini

R

I MAGNIFICI SETTE

Ritorno a dieci anni fa. La copertina del saggio 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, pubblicato dalla nostra casa editrice nel 2009, per i centosettant’anni di Fotografia, visualizza anche un dagherrotipo: uno è stato scelto, su sette fotografati (dal nostro Archivio). Due considerazioni simultanee e coincidenti. Prima di tutto, l’avvincente capacità fotografica di realizzazione, che ha dato vita e risalto a un soggetto eccezionalmente difficile da fotografare (un oggetto, sia detto per inciso, che sta all’origine stessa della Fotografia: curiosità della Vita). In subordine, la cronaca di un percorso editoriale. Eccellente interpretazione dello still life. Non di quegli still life appariscenti (soltanto appariscenti), che fanno urlare la vista, soprattutto grazie abili allestimenti scenici, creati da staff specializzati, ma still life di eccezionale difficoltà, che si impone soltanto agli occhi di coloro i quali conoscono i disagi e l’improbabilità di rendere in fotografia un oggetto che sta alle sue stesse origini: il dagherrotipo. Per la copertina di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, che -fatte salve riserve personali- è ancora di stretta attualità, soprattutto in occasione dell’attuale centottantesimo (1839-2019), sono state ipotizzate diverse soluzioni. Vale la pena raccontarle, per arrivare poi al succo della questione: gli eccellenti still life di illustrazione. La prima idea, lo riveliamo subito, ha abbinato la Relazione di Macedonio Melloni alla figura di Akio Morita, in visioni accostate. La prima soluzione della coppia di immagini esemplificative del titolo, e a questo introduttive, con a sinistra la prima pagina della stessa Relazione [FOTOgraphia, novembre 2019] e a destra il ritratto di Akio Morita, è stata presto bocciata da tutti, a partire da Giuliana Scimé, autorevole voce della Storia della Fotografia, coinvolta con una prefazione di contenuto eccezionale, oltre che valore inestimabile. Così come non è stato affatto gradito il successivo tentativo di riproporre non la pagina iniziale

48

I dagherrotipi sono immagini su sottili e delicate lastre d’argento: oggetti affascinanti, oltre che preziosi, sia dal punto di vista storico, sia per se stessi. Sono completi di propria custodia, di manifattura raffinata.

Per la copertina di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita sono stati valutati sette possibili dagherrotipi: quattro in questa doppia pagina e tre nella pagina seguente.

1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, di Maurizio Rebuzzini: Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni; prefazione di Giuliana Scimé; FOTOgraphiaLIBRI, 2009; 160 pagine 15x21cm; con 263 illustrazioni; 24,00 euro.

completa della Relazione, ma un suo dettaglio fortemente ingrandito: niente da fare, testo e ritratto accostati non stavano affatto bene assieme. Così, elaborando tra loro il titolo, 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, con il sottotitolo esplicativo, pure riportato in copertina, Come dire, dal dagherrotipo all’acquisizione digitale di immagini. E consecuzioni, si è pensato a una nuova combinazione tra l’elemento finale del titolo esplicito, La svolta di Akio Morita, con quello iniziale del sottotitolo, Dal dagherrotipo, in ordine invertito, fedele alla successione temporale, dalle origini, ufficialmente datate al 1839, ai giorni nostri, conteggiati dall’annuncio della fotografia digitale, del 1981. Da cui, eccoci, la soluzione realizzata.

DAGHERROTIPI I dagherrotipi sono immagini su sottili e delicate lastre d’argento. Sono oggetti affascinanti, oltre che preziosi, sia dal punto di vista storico, sia per se stessi,


1839-2019: centottant’anni

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (4)

Accettando come prima fotografia italiana, in forma di dagherrotipo (processo originario), la raffigurazione della Gran Madre di Dio, a Torino, oggi conservata nell’archivio storico della Gam (Galleria Civica d’Arte Moderna, di Torino), attribuita a Enrico Federico Jest e realizzata l’8 ottobre 1839, all’alba della Fotografia (annunciata il sette gennaio e presentata il diciannove agosto), estromettiamo ogni altro argomento al proposito. Sappiamo bene di altre opinioni al proposito -nessuna delle quali solidamente verificata-, ma, allo stesso momento, conosciamo anche lo stato dello studio storico della Fotografia, in Italia, mortificato da condizioni istituzionali e accademiche quantomeno incerte e grottesche. Per cui, consideriamo appropriata l’accoglienza di un dato certo, per quanto probabilmente non rispondente all’attribuzione accreditata. Così agendo, lontani da invadenze che appartengono ad altri percorsi, rimaniamo fedeli a princìpi di onestà intellettuale per noi inderogabili.

sia per quanto rappresentano in termini economici (anche questo). Sono completi di propria custodia protettiva, solitamente di manifattura raffinata. Subito si impone una precisazione: tutta la Fotografia dell’Ottocento, e molta di quella successiva, si manifesta anche, o forse soprattutto, con la squisitezza delle proprie lavorazioni formali. Per questo, lo rileviamo subito, nella docenza a contratto di Storia della Fotografia del nostro direttore Maurizio Rebuzzini (peraltro, autore del saggio qui in passerella), fino a quando è stato possibile, si sono mostrati “originali”, rafforzati da una visita programmata al Museo Nazionale Alinari della Fotografia (Mnaf), di Firenze, la cui esposizione permanente ha scandito una incessante sequenza di immagini, a propria volta “originali”, che sillabano i termini di tutta la progressione espressiva della Fotografia, dalle origini. Per dirla a chiare lettere, questo fa la differenza con le riproduzioni sui libri di Storia e su monografie, ovviamente allineate

tra loro (e appiattite) nella propria trasformazione litografica omogenea, indipendentemente dalle ricercatezze originarie (forma del contenuto). Tra tanto, tra stampe all’albumina, collotipie e altri preziosi manufatti, il dagherrotipo è addirittura qualcosa di più. Non è una raffigurazione su carta, ma, ribadiamo, una immagine su sottile e delicata lastra d’argento, che va osservata con attenzioni particolari, affinché la luce che la colpisce riveli la preziosità dell’immagine, ricca di sfumature lievi. Rare sono le riproduzioni convincenti di dagherrotipi, spesso privati della propria confezione caratteristica.

STILL LIFE ESEMPLARI La sfida, ché di questo proprio si è trattato, ha abilmente evitato di appiattire il tutto. Al contrario, e con capacità fotografica fuori dall’ordinario, ha restituito l’anima del dagherrotipo, facendolo brillare e vivere di luce propria. L’equilibrio rappresentativo, non soltanto raffigurativo, è stato raggiunto

Dal solo punto di vista esteriore, che tiene conto della forma, sono sicuramente affascinanti queste eleganti finiture. Però, per le finalità della copertina da illustrare, ha prevalso il ritratto della coppia di ragazzi (pagina precedente), che non si sovrappone visivamente al ritratto di Akio Morita.

(pagina seguente) Tre austeri gentiluomini americani di metà Ottocento: siamo sinceri, non adatti alla copertina di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita.

senza sacrificare alcuno degli elementi caratteristici dello stesso dagherrotipo: la sua immagine, prima di tutto, e la sua confezione, in un allineamento che mai si era visto in precedenza. Dopo di che, fotografati sette soggetti, dalla nostra Collezione personale, si è trattato di scegliere quello adatto ad accostare il ritratto di Akio Morita. Dei sette prescelti, individuati in un fondo di quaranta possibili, alcuni si sono presto rivelati esteticamente più affascinanti di altri: per la raffinatezza della confezione e la lavorazione della cornice di contenimento. Alla fine, oltre gli aspetti formali, ha poi prevalso la coppia di ragazzi, effettivamente utilizzata nella copertina di 1839-2009. Dalla Relazione di Macedonio Melloni alla svolta di Akio Morita, e ribadita in apertura del capitolo di partenza 1839. Dal sette gennaio al dodici novembre, perché gli altri ritratti si sarebbero sovrapposti visivamente a quello di Akio Morita. Qui, li presentiamo comunque tutti.

49


ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (3)

Arrivati a fine Duemiladiciannove, concludiamo qui la differenziata serie di nostri interventi redazionali declinati sul centottantesimo anniversario dalle origini della Fotografia: 1839-2019. Ce ne siamo occupati tra la consueta indifferenza generale e assoluta (e colpevole!, addirittura) assenza/mancanza delle istituzioni che dovrebbero essere preposte a promozione e sollecitazione della stessa Fotografia, magari anche in legittima proiezione commerciale.

50

A dieci anni dalla propria cronaca, questa passerella è finalizzata alla sottolineatura dell’abilità fotografica con la quale si è restituita l’essenza del dagherrotipo: perfettamente identificabile nella sua immagine e affascinantemente completo della propria confezione. Con un’abile collocazione delle luci e uno strategico punto di vista moderatamente alzato, si è dato efficace risalto e valore a due condizioni solitamente avverse tra loro: l’opacità della confezione e la brillantezza dell’immagine. Dal punto di vista prospettico, secondo antiche lezioni di fotografia, è stata ben finalizzata la complicità di un obiettivo decentrabile e basculabile (PC-E Micro Nikkor 85mm f/2,8D, su reflex Nikon D700 full frame). Dal punto di vista espressivo, ha fatto la differenza l’abilità interpretativa, guidata da un cuore che pulsa al ritmo della convinzione che la Fotografia sia una rappresentazione visiva costruita su elementi di autentica saggezza. Sicuramente. ❖


Parole di altri a cura di Franti

My Way And now, the end is near; And so I face the final curtain. My friend, I’ll say it clear, I’ll state my case, of which I’m certain. I’ve lived a life that’s full. I traveled each and every highway; And more, much more than this, I did it my way. Regrets, I’ve had a few; But then again, too few to mention. I did what I had to do And saw it through without exemption. I planned each charted course; Each careful step along the byway, And more, much more than this, I did it my way. Yes, there were times, I’m sure you knew When I bit off more than I could chew But through it all, when there was doubt I ate it up and spit it out. I faced it all and I stood tall And did it my way

Soprattutto accreditato all’interpretazione originaria di Frank Sinatra (1915-1998), del dicembre 1968, My Way ( A modo mio) è un brano musicale epocale. L’autore Paul Anka [che a sedici anni, nel 1957, folgorò con il suo Diana, cult generazionale], lo ha compilato sulle note della canzone francese Comme d’habitude, di Claude François, che -a propria volta- aveva utilizzato un motivo composto da Jacques Revaux. Interpretata e incisa da molti (e quella di Luciano Pavarotti è tra le versioni più sventurate), è consacrata tra le canzoni internazionali più conosciute e amate. In italiano, diverse versioni, con testi estranei alla cadenza di partenza, per quanto -alcuni- ne riprendano il senso e il contenuto. Soltanto le trasposizioni in spagnolo, A mi manera, offrono traduzioni ricalcate sul testo inglese.

I’ve loved, I’ve laughed and cried I’ve had my fill; my share of losing. And now, as tears subside I find it all so amusing.

Anche se la genesi di My Way, di Paul Anka, ne registra l’ispirazione francese, il contenuto inglese non è un adattamento, ma un testo a sé stante, che ha poco o nulla a che vedere con la versione originale: For what is a man, what has he got? è la storia di un uomo, If not himself, then he has naught To say the things he truly feels forse vicino alla morte, And not the words of onw who kneels che traccia un bilancio della propria vita The record shows I took the blows e non ha molti rimorsi, And did it my way poiché ha sempre vissuto a modo suo. Yes, it was my way. In nostro QR Code, Paul Anka (1941) l’interpretazione dal vivo in propria interpretazione, nel 1969 di Elvis Presley (1935-1977), al quale la canzone non piaceva affatto, non sentendola sua. Comunque, fu inserita nel fragoroso concerto Aloha from Hawaii, a Honolulu, il 14 gennaio 1973, dove e quando personalizzò con la ripetizione del finale The record shows I took the blows / And did it my way, Dal 1991, i logotipi dei TIPA Awards identificano i migliori prodotti fotografici, video e imaging dell’anno in corso. Da ventinove anni, con acuto finale conclusione. i qualificati e autorevoli TIPA Awards vengono assegnati in base a qualità, prestazioni e valore, tanto da farne i premi di indipendenti della To think I did all that; And may I say, not in a shy way, Oh no, oh no not me, I did it my way

fotografia e dell’imaging dei quali potete fidarvi. In cooperazione con il Camera Journal Press Club of Japan.

www.tipa.com



Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.