FOTOgraphia 253 luglio 2019

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

ANNO XXVI - NUMERO 253 - LUGLIO 2019

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Per certi versi, numero speciale nel cinquantenario (20 luglio 1969-2019) FOTOGRAFIA: S-PUNTO PRIVILEGIATO IMMAGINARIO COLLETTIVO PROLOGO, SPETTACOLO, VITA ASTRONAUTI, COSMONAUTI E HASSELBLAD


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prima di cominciare MANUALE TECNICO (?). Delle due, entrambe. Il manualetto realizzato nel 1984 in combinazione Hasselblad / Nasa, intitolato Astronaut’s Photography Manual, è poca cosa, se intende rivolgersi agli astronauti delle missioni spaziali (a quel tempo già approdate ai mandati svolti dallo Shuttle e dintorni); allo stesso momento, è troppo, se rivolto al pubblico generico, alla maniera di ogni altro dépliant d’uso e dintorni.

E ora, provatevi voi a realizzare un numero di rivista (fotografica) altrettanto autorevole e competente. mFranti; su questo numero, a pagina 14 Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / Silenziosa luna? Giacomo Leopardi; su questo numero, a pagina 26 Qualsiasi viaggio nella Vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Parliamo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare. Angelo Galantini; su questo numero, a pagina 36 Noi studiamo la Storia non per conoscere il futuro, ma per ampliare i nostri orizzonti, per capire che la nostra situazione presente non deriva/dipende da leggi naturali e non è inevitabile; di conseguenza, abbiamo di fronte a noi molte più possibilità di quante ne possiamo immaginare. Maurizio Rebuzzini; su questo numero, a pagina 26

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E, ora, basta. La piantiamo qui. Antonio Bordoni; su questo numero, a pagina 46

Copertina

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Fotografato da Michael Collins, dalla navicella madre Columbia in orbita, il modulo lunare LM (Eagle, in gergo), con a bordo Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin Jr, primo e secondo Uomo sulla Luna, sta raggiungendo il luogo di allunaggio: Mare della Tranquillità (0° 40 26,69 N / 23° 28 22,69 E), alle 20,17,40 (UTC / Tempo Coordinato Universale) del 20 luglio 1969; ovvero, alle 22,56, ora di New York. Da questo cinquantenario partiamo per considerazioni di altro respiro. Comunque, la Fotografia come... Anzitutto, osiamo sperare che i manuali operativi per gli astronauti, al pari di quelli per ogni altra professione di sostanza, siano più corposi e dettagliati e finalizzati (per rimanere in ambito soltanto fotografico, nostro territorio di azione e svolgimento, conosciamo e possediamo esempi di manuali delle forze armate statunitensi per l’impiego di dotazioni fotografiche personalizzate, in generale identificate KS [KS-15 (1) è la Leica IIIf, in versione militare, della quale possediamo il manuale di uso, datato all’ottobre 1958]). Quindi, le pur cospicue quaranta pagine 21,5x18,5cm sono comunque troppo per coloro i quali non avranno alcuna occasione di andare oltre la fotografia di paesaggio, ritratto e contorni, alla propria portata. In tutti i casi, gustosa segnalazione. Forse, addirittura doverosa, qui e oggi, in questa attuale passerella... “Per certi versi, numero speciale / nel cinquantenario (20 luglio 19692019)”, come recitato in Copertina.

3 Fotografia nei francobolli Dalla compendiosa analisi Fotografia nei francobolli, di Maurizio Rebuzzini, in corso d’opera e prossima pubblicazione, dettaglio da un francobollo svedese del 29 marzo 1988, in una serie filatelica di sei valori celebrativi di trecentocinquant’anni di storia nazionale. Ufficialmente, partecipazione svedese alle missioni spaziali della Nasa; ufficiosamente... Hasselblad

7 Editoriale La Fotografia come... linguaggio. Onori e meriti

8 Siamo andati sulla Luna In assenza/mancanza di presenza della fotografia in film “spaziali”, dalla sceneggiatura alla scenografia, richiamiamo come il cinema abbia condizionato e guidato una ipotesi di “verità”: Capricorn One Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini


LUGLIO 2019

RIFLESSIONI, OSSERVAZIONI E COMMENTI SULLA FOTOGRAFIA

10 Allunaggio 20 luglio 1969 in trasversalità In prologo, percorso a zig zag che introduce l’odierna edizione di questo numero di rivista, “per certi versi speciale” (dalla Copertina). Sì, il soggetto esplicito, per quanto defilato, richiama la missione spaziale Apollo 11, nel suo cinquantenario. Ma non ci fermiamo a questo, a favore del princìpio della Fotografia come... s-punto privilegiato di osservazione e riflessione di mFranti

Anno XXVI - numero 253 - 6,50 euro DIRETTORE

RESPONSABILE

Maurizio Rebuzzini

IMPAGINAZIONE

Maria Marasciuolo

REDAZIONE

Filippo Rebuzzini

CORRISPONDENTE Giulio Forti

FOTOGRAFIE

16 Che fai tu, Luna, in ciel Spettacolarizzazione fotografica dalla missione spaziale Apollo 11, oggi e qui in cinquantenario (20 luglio 1969). Sottolineiamo come e quanto queste fotografie abbiano trasformato l’evento scientifico in coinvolgimento sociale complessivo e globale. Del resto, la Nasa (ente spaziale statunitense) ha sempre distribuito a piene mani fotografie appariscenti, per sostenere quell’affezione popolare ai propri programmi che sta alla base della continuità dei finanziamenti governativi, assolutamente indispensabili

24 Epocali... E oltre... Può la Fotografia influire sugli approcci esistenziali? In generale, noi pensiamo di no, in misura stretta di causa-effetto! Se non che, siamo convinti che la Fotografia, come altro ancora, contribuisca a formare le coscienze. Ma ci sono state tre fotografie, almeno, che si sono imposte in proprio tempo reale. Una di queste nasce dalla missione spaziale Apollo 8 di Maurizio Rebuzzini

33 Luna di carta Anzitutto e soprattutto, l’aristocratica monografia MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11; quindi, The NASA Archives. 60 Years in Space e Sputnik di Angelo Galantini

40 Hasselblad e non altri Da Mercury 8 / Sigma 7, del 3 ottobre 1962, Hasselblad accompagna le missioni spaziali Nasa di Antonio Bordoni

49 Seconda generazione

Rouge

SEGRETERIA

Maddalena Fasoli

HANNO

COLLABORATO

Antonio Bordoni mFranti Angelo Galantini Lello Piazza Piero Raffaelli

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Rivista associata a TIPA

Hasselblad X1D II 50C, con accompagnamento di zoom XCD 35-75mm f/3,5-4,5 e dorso CFV II 50C Nella stesura della rivista, a volte, utilizziamo testi e immagini che non sono di nostra proprietà [e per le nostre proprietà valga sempre la precisazione certificata nel colophon burocratico, qui accanto: «È consentita la riproduzione di testi e fotografie, magari citando la fonte (ma non è indispensabile, né obbligatorio farlo)»]. In assoluto, non usiamo mai propietà altrui per altre finalità che la critica e discussione di argomenti e considerazioni. Quindi, nel rispetto del diritto d'autore, testi e immagini altrui vengono riprodotti e presentati ai sensi degli articoli 65 / comma 2, 70 / comma 1bis e 101 / comma 1, della Legge 633/1941 / Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

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NASA

L’astronauta Walter Marty Schirra Jr ha proposto l’Hasselblad 500C per la sua missione spaziale, la terza orbitale del programma Nasa (Mercury 8 / Sigma 7; 3 ottobre 1962)

Hasselblad CFV II 50C On the Moon Since 1969


editoriale L

avorazione simultanea, con due approdi diversi, in ognuno dei quali c’è qualcosa in più dell’altro, e -per conseguenza- qualcosa in meno dell’altro. Da una parte, ho lavorato per realizzare un PowerPoint a supporto di uno speech sul cinquantenario dell’allunaggio di Apollo 11 (20 luglio 1969... 2019), programmato per la sera del venti luglio, nell’ambito della terza edizione del Pontremoli Foto Festival, in svolgimento nella cittadina dell’alta Toscana, in provincia di Massa Carrara, e per domenica ventotto luglio, a contorno del progetto Coscienza dell’Uomo, in svolgimento a Matera dallo scorso gennaio (e in cartellone fino al prossimo dicembre [FOTOgraphia, febbraio 2019]). Dall’altra, la stessa celebrazione è stata affrontata per questo numero di luglio della rivista, in sostanziale passo monografico... forse, ma non è detto: entrambe le interpretazioni scartano a lato la ricorrenza, per anteporre riflessioni soprattutto fotografiche. Ufficialmente, si tratta dello stesso argomento; ufficiosamente, lo svolgimento non è uguale, per quanto sia simile: con passaggio ovvio e scontato dall’incontro diretto con un pubblico presente in sala al riferimento indiretto, ciascuno a casa propria, dell’impaginazione redazionale e giornalistica. Così che, a parità di linea conduttrice e considerazioni specifiche, il discorso lineare del dialogo in forma di speech viene -per forza di coseframmentato nella cadenza di messa in pagina, che richiede e impone scomposizioni certe e inequivocabili. Non che questo influisca sui Contenuti, magari modificandoli o alterandoli, ma non possiamo ignorare, né sottovalutare come e quanto la Forma esiga sempre riguardo, deferenza e ossequio, ed esiga sempre declinazioni opportune, per l’appunto rispettose delle aspettative e volontà di chi riceve: soggetto unico, non soltanto esplicito, di qualsivoglia comunicazione, soprattutto in chiave professionale, vuoi di relatore preparato e accreditato, vuoi di giornalismo promesso. Accanto a me, in questa edizione particolare della rivista, interpretata e svolta in passo sostanzialmente monografico (dalla Copertina: Dalla Luna... Oltre la Luna... La Fotografia come...), hanno agito e operato collaborazioni preziose; mentre, per propria natura, lo speech è un monologo. A chi è stato qui accanto a me, va tutta la mia gratitudine: sono loro che -al pari di altri benemeriti dell’etica e della morale, ciascuno nel proprio ambito- agiscono in prima linea, per salvare quanto non ci possiamo permettere di perdere. Apprezzo la loro azione, il loro sforzo. E tutti dovremmo farlo! Quindi, ribadito che FOTOgraphia è una rivista che richiede di essere letta, non soltanto sfogliata distrattamente, rinforziamo per quanto raccolto e impaginato su questo numero, che dal proprio richiamo dichiarato (cinquantenario dal primo allunaggio) approda a considerazioni sul valore della Fotografia come... linguaggio. Da cui, onore e merito a Antonio Bordoni, Angelo Galantini, Mariuccia Marasciuolo e mFranti. E anche a Lello Piazza, con il quale condivido chiacchiere mattutine. L’avventura comune continua. Maurizio Rebuzzini

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Cinema

di Maurizio Rebuzzini - Ricerca iconografica di Filippo Rebuzzini

A

A volte, piuttosto che sempre, le convinzioni individuali sono plasmate dalle emozioni... e, quindi, hanno lacune, mostrano ed evidenziano specificità e particolarità proprie, spesso fortemente personali. In questa attuale edizione particolare della rivista, che prende spunto e pretesto dal cinquantenario dell’allunaggio di Apollo 11 (20 luglio 1969) per considerare altro e approdare altrove (là dove si può intendere la Fotografia come... chiave interpretativa di tanto altro, perfino della nostra stessa Esistenza), anche il rituale appuntamento basato sulla sua presenza (della Fotografia) nel cinema, per sceneggiatura e/o sola scenografia, deve essere altrettanto mirato e allineato. Se volessimo limitarci alla combinazione fotografia-cinema, in senso stretto e limitato, dovremmo chiuderla presto. Infatti, a memoria e ricordo, potremmo evocare soltanto la presenza Hasselblad, per l’appunto abbinata allo Spazio, tra le mani di astronauti/scienziati/ricercatori (fate voi) compresi nella scenografia dell’epocale 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick, film che ha cambiato il cinema, oltre ad aver influito (positivamente) su molte esistenze, e oltre ad aver dato vita a un autentico cult, coltivato con citazioni, richiami e evocazioni individuali e collettive [ce ne siamo occupati, nel dicembre 2014, in presentazione e commento dell’aristocratica edizione libraria di The Making of Stanley Kubrick’s “2001: A Space Odyssey”, in edizione Taschen Verlag]. Nella celeberrima scena della scoperta del monolite lunare (per curiosità spettacolare, girata negli studi di Shepperton, in Inghilterra, il giorno di Natale del 1965), si prevede la documentazione fotografica con l’immancabile Hasselblad, adottata dalla Nasa per le proprie missioni [su questo stesso numero, da pagina 40]. A parte il fatto che già dal precedente 1964 era disponibile la configurazione motorizzata 500EL, derivata dalla 500C di base, è ovvio che la scenografia richiedesse qualcosa di più appariscente, magari in previsione futuribile (del 2001 di riferimento) [comunque, l’esordio spaziale della 500 EL/70 è datato alla missione

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Tra i più accaniti censori della Nasa c’è lo statunitense Bill Kaysing, la cui raccolta di dati è stata pubblicata anche in Italia: Non siamo mai andati sulla Luna; Cult Media Net edizioni, 1997. Abbiamo strumenti per dissentire dalle affermazioni del testo, che riprendono molto (tutto?) dalla sceneggiatura del film Capricorn One, del 1977.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

SIAMO ANDATI SULLA LUNA


Cinema

Apollo 8, del dicembre 1968]. Da cui, per l’avanzamento del rullo, dopo ogni scatto, l’operatore fotografo di 2001: Odissea nello spazio non agisce sulla consueta manovella di ricarica standard, ma ruota/rovescia l’apparecchio tra le proprie mani: per l’appunto, in ipotesi tecnologica del futuro. Da qui, e oltre questo (poco/nulla), il cinema “spaziale” ha sostanzialmente ignorato la combinazione fotografica, certamente superflua per le sceneggiature via via ipotizzate. In conseguenza, come avvicinare il cinema in relazione all’indirizzo unico della Luna, proprio di questa edizione redazionale dichiaratamente mirata? Semplice: in individualità di intenti, in base e dipendenza di quelle convinzioni proprie evocate in incipit di testo. Prima di farlo, con intenzione di commentare, e contrastare!, le opinioni di coloro i quali asseriscono che le missioni lunari non sono mai avvenute (e ci arriviamo), due film “Apollo” meritano proprie sottolineature e certificazioni. Un film è recente: nelle sale cinematografiche dal 2016 (negli Stati Uniti, dal venticinque dicembre; in Italia, dall’otto marzo successivo... giornata della Donna), Il diritto di contare (in originale, Hidden Figures / Figure nascoste), di Theodore Melfi, racconta una vicenda vera. È sceneggiato sulla base del romanzo Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped

Win the Space Race (Figure nascoste: la storia delle donne afroamericane che hanno contribuito a vincere la corsa allo spazio), di Margot Lee Shetterly (in edizione italiana Il diritto di contare; HarperCollins Italia, 2017). Narra di tre matematiche afroamericane -Katherine G. Johnson, Dorothy Vaugan e Mary Jackson (rispettivamente interpretate dalle attrici Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe)- che hanno svolto ruoli di primo piano nei progetti spaziali della Nasa. Ribadiamo, storia vera, fino a oggi tenuta all’oscuro per due discriminanti/discriminazioni... donne e afroamericane, in un mondo maschile e maschilista e retrogrado (così la pensavamo ieri e la pensiamo ancora oggi), che aveva servizi igienici separati tra “bianchi” e “neri”, e non aveva previsto quelli per i “neri”. Comunque, la matematica, scienziata e fisica afroa-

Il film Capricorn One ipotizza una finta missione su Marte, con “collegamenti” dallo Spazio effettuati da una scenografia allestita in un hangar aeronautico (qui sopra e in richiamo di locandina, sulla pagina accanto). Possiamo concordare sul fatto che alcune delle fotografie attribuite alla missione Apollo 11 non siano effettivamente “lunari”, ma appositamente realizzate a Terra... ma!

mericana Katherine G. Johnson, che -insieme con Dorothy Vaugan e Mary Jackson- collaborò con la Nasa, sfidando razzismo e sessismo (grande valore sociale!), è colei la quale ha tracciato le traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11. Il secondo film, altrettanto storia vera, è quello che racconta l’odissea di Apollo 13, di Ron Howard, del 1995. E, ora, approdiamo all’ipotesi secondo la quale non saremmo mai stati sulla Luna, che fa il paio, nell’approfondimento politico-sociale dei nostri giorni, con le idee dei Terrapiattisti, ai quali si sono associati i Lunapiattisti. Allora, pensiamo che le missioni Apollo siano effettivamente allunate... per almeno tre motivi. Il primo, di sostanza, si basa su valutazioni scientifiche, a partire dalle risposte che abbiamo a Terra dalle installazioni collocate dagli astronauti sulla Luna. Il secondo è di ordine pratico: figuriamoci se, in piena Guerra Fredda, i sovietici sarebbero stati zitti. Il terzo è personale e, forse, definitivo: in età lontana, proprio in quegli anni a cavallo tra i Sessanta e Settanta, frequentavamo male (o bene!), a margine di una nostra attività “stradale”. Panno nero a terra, producevamo e vendevamo orrendi ciondoli manufatti con chiodi di cavallo. In particolare, ogni sabato pomeriggio, dopo l’orario scolastico, ci sistemavamo alla Fiera di Sinigallia, il tradizionale mercatino delle pulci di Milano. Lì incontravamo anche malavitosi del passato (sostanzialmente romantici); i falsari ci spiegarono che venivano sempre individuati e catturati, perché dovevano essere almeno in cinque; e tra cinque, uno che parla c’è sempre. Quanti sarebbero dovuti essere coinvolti in finte missioni lunari? Tutti zitti? Ciò che è buffo nelle teorie di non allunaggio è che si basano tutte sulla sceneggiatura del film Capricorn One, di Peter Hyams, del 1977. Curioso: mentre il cinema, per proprio solito e statuto, attinge alla realtà, una presunta verità si basa sul cinema. Quindi e a conclusione. Sì, ne siamo convinti: alcune delle fotografie spettacolari distribuite dalla Nasa e entrate nell’immaginario collettivo possono essere state realizzate in studi appositamente allestiti, per paura di risultati inadeguati o per eccesso di splendore formale. Ma questo non significa nulla! ❖

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ALLUNAGGIO 20 LUGLIO1969` IN TRASVERSALITA In prologo, percorso a zig zag che introduce l’odierna edizione di questo numero di rivista, “per certi versi speciale” (dalla Copertina). Sì, il soggetto esplicito, per quanto defilato, richiama la missione spaziale Apollo 11, nel suo cinquantenario. Ma non ci fermiamo a questo, a favore del princìpio della Fotografia come... s-punto privilegiato di osservazione e riflessione


di mFranti

E

ccoci qui, con i nostri smartphone, con le nostre app, con i nostri social, che perseguiamo e inseguiamo con tragica coerenza individuale (ahinoi, ma non certo ahimè, è stato conteggiato che, ogni giorno, nel mondo occidentale, ognuno passa almeno quattro ore ad agire con il proprio monitor portatile, più quanto spende con quello del computer, al lavoro oppure a casa, agendo attivamente o influendo passivamente). Sono passati cinquanta anni dall’allunaggio di Apollo 11, la notte del 20 luglio 1969 (ventuno luglio, per l’Europa e l’Italia, per rispondenza): e come possiamo -oggi!- richiamare, evocare e invocare il clima di quei giorni, la socialità di quel Tempo, quando e dove una diretta televisiva notturna -la prima in onda nel nostro paese- incollò davanti agli schermi, non necessariamente privati e domestici (la televisione non era presente in tutte le case), milioni di persone, desiderose di assistere a un evento storico annunciato, l’approdo dei primi Sapiens sulla Luna? Ovvero, come possiamo trasmettere quel criterio lontano, oggi, in un Tempo nel quale, complici i social e correi velocità e superficialità, tutto si consuma in fretta: ogni notizia scavalca quella immediatamente precedente (di pochi istanti), prima di essere, a propria volta, prontamente scalzata da quella successiva? Come possiamo richiamare momenti epocali in un Tempo nel quale la quantità di informazioni affossa la loro qualità, abbattendo qualsiasi e qualsivoglia scala di valori, senza alcuna soluzione di continuità dal macrocosmo dell’Esistenza al microcosmo individuale (approdato ai post dalla tavola da pranzo)? Attenzione: nessuna recriminazione, nessun rimpianto, perché -volente o nolente- il Tempo va avanti... con o senza di noi. Dunque, per consecuzione, qui e oggi, con questa edizione giornalistica “per certi versi speciale” (dalla Copertina), siamo coscienti di rivolgerci, simultaneamente, in due direzioni originariamente divergenti, che vorremmo far convergere in unica visione. In questo ordine: direzioni divergenti, contemporaneamente, verso coloro i quali condividono una anagrafe datata e un coincidente bagaglio di esperienze, e verso chi, più giovane, deve fidarsi di quanto stiamo per ricordare e sottolineare; finalità convergente, quindi, per approdare tutti insieme a una considerazione sovrastante che ci consente/consenta di osservare (piuttosto che giudicare) a partire dalla Fotografia (s-punto privilegiato), permettendoci, allo stesso momento, di valutare la stessa Fotografia come... chiave di riflessione e apprendimento.

NASA

GUERRA FREDDA E DINTORNI Insomma, e in coincidenza di intenti: “per certi versi” (ancora, dalla Copertina), forse ci interessano poco gli accadimenti sovrastanti che stiamo per raccontare, giusto a partire dall’allunaggio del venti luglio di cinquanta anni fa, ma sicuramente ci affascina stare qui a distinguere la realtà dalla sua rappresentazione fotografica, in forma di racconto e documento, proprio per sottolineare la funzione che svolge nella formazione e coltivazione dell’immaginario, perfino dell’immaginazione, proprietà esclusiva (?) del Sapiens.

Da cui, partiamo pure dalla diretta televisiva della notte del 20-21 luglio 1969, condotta in studio da Tito Stagno, con collegamento a Houston (Usa), dal quartier generale della Nasa, l’ente spaziale statunitense, con il corrispondente Ruggero Orlando. Non stiamo qui a rievocare le eccitazioni ed entusiasmi del tempo, ormai intraducibili, così come non ci permetteremmo neppure di farlo per un’altra epica diretta televisiva di un anno dopo, circa (17-18 giugno 1970): semifinale del Mondiale di Calcio in Messico, Italia-Germania Quattro a Tre, con tempi supplementari da tachicardia (all’esterno dello Stadio Azteca, di Città del Messico, una targa ricorda lo svolgimento della Partita del Secolo). E la potenza della televisione, ieri come oggi, ieri più di oggi (?), è tanta e tale che la spettacolarizzazione indotta ha trasformato l’evento scientifico in coinvolgimento sociale complessivo e globale. Tanto che, in richiamo dovuto (o, forse, soltanto voluto), non dimentichiamo il valore di una precedente divulgazione televisiva planetaria, questa volta non in diretta, che coinvolse le coscienze di tutto il mondo dall’11 aprile 1961 (il giorno prima dell’impresa spaziale di Jurij Gagarin, che stiamo per evocare): registrazione filmata e divulgazione mondiale da Gerusalemme, Israele, del processo al criminale di guerra Adolf Eichmann, l’SS-Obersturmbannführer responsabile di una sezione del Reichssicherheitshauptamt (Direzione generale per la Sicurezza del Reich), esperto di questioni ebraiche, che -nel corso della cosiddetta “soluzione finale” (ovvero sterminio degli ebrei... e dei Rom, degli omosessuali, di altre etnie e di nemici politici)- organizzò il traffico ferroviario per il trasporto ai campi di concentramento e sterminio. Se il nostro approccio alla Fotografia è in qualche misura lecito (come e quanto la stessa Fotografia in-

(pagina accanto) A conclusione della missione lunare Apollo 11, prima di risalire sul modulo Eagle per l’aggancio alla navicella madre Columbia, dal cratere orientale, Neil A. Armstrong, il primo Uomo sulla Luna, fotografa la sua ombra e il lontano LM.

Per l’allunaggio di Apollo 11, fu realizzata una diretta televisiva mondiale, la prima in Italia, nella notte del 20-21 luglio 1969. Fu condotta in studio da Tito Stagno.

fluisce sulla Vita, applicando magari il proprio lessico), in estensione di pensiero, lo riferiamo anche all’immagine in movimento (cinema e televisione), per quanto -a propria volta- raggiunge le coscienze. In buona compagnia, di Guy Debord, da La società dello spettacolo: «Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini». Quindi, fatta salva la spettacolarità del processo Eichmann, fortemente voluto dal premier israeliano David Ben Gurion, per rafforzare la propria politica estera, non possiamo ignorare che da quel dibattimento il mondo prese effettivamente coscienza dell’Olocausto, fino ad allora considerato fiaccamente, diede dignità e offrì credibilità ai sopravvissuti dai Campi, mitigando altresì le

La prima divulgazione televisiva planetaria -non in direttadi un avvenimento coinvolse le coscienze di tutto il mondo dall’11 aprile 1961 (il giorno prima dell’impresa di Jurij Gagarin): registrazione filmata e divulgazione mondiale da Gerusalemme, Israele, del processo al criminale di guerra Adolf Eichmann, l’SS-Obersturmbannführer responsabile di una sezione del Reichssicherheitshauptamt (Direzione generale per la Sicurezza del Reich).

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Se l’Unione Sovietica non ha tenuti nascosti fallimenti spaziali precedenti, come è possibile, considerata l’assenza di controllo pubblico nello stato socialista, in piena Guerra Fredda, il cosmonauta sovietico Jurij Gagarin è stato il primo Uomo nello Spazio: 12 aprile 1961, una sola orbita terrestre, con la navicella Vostok 1.

In clima di Guerra Fredda, l’impresa spaziale di Jurij Gagarin, del 12 aprile 1961, fu celebrata in misura almeno parziale (faziosa) dal giornalismo: «Un comunista nello Spazio» ( Daily Worker, tredici aprile); «L’U.R.S.S. in delirio Il mondo attonito: un uomo sovietico ha vinto lo spazio cosmico» / «Il compagno Yuri racconta il viaggio» ( l’Unità, tredici aprile).

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loro ferite interne. Ancora, da quelle udienze uscì anche un reportage giornalistico epocale: le corrispondenze di Hannah Arendt, inviata dell’autorevole settimanale The Newyorker, successivamente raccolte nel saggio La banalità del male (tante le edizioni in italiano). In confermata visione trasversale, per quanto originata dal cinquantenario di Apollo 11, va ribadito, va sottolineato anche il clima politico di Guerra Fredda, che, ai tempi, contrapponeva gli Stati Uniti all’Unione Sovietica, entrambi con propri stati sostanzialmente satelliti, più che alleati. Da cui, ancora dall’esordio degli anni Sessanta (per considerare i quali non sono sufficienti le leggerezze sociali, tipo concerto di Woodstock, a propria volta in cinquantenario -15-18 agosto 1969-, ma dobbiamo tenere anche conto della lacerazione della guerra in Vietnam), cerchiamo di entrare nel Clima, per valutare quello che fu l’impatto del primo volo orbitale del ventisettenne cosmonauta sovietico Jurij Gagarin (Jurij Alekseevič Gagarin; 1934-1968), il 12 aprile 1961: una sola orbita terrestre, con la navicella Vostok 1/Oriente 1, in un volo durato un’ora e quarantotto minuti, dalle 9,07 del mattino, ora di Mosca (ammesso che, in precedenza, non ci fossero stati altri lanci fallimentari). Il primo Uomo dello spazio fu uno shock per il mondo e la cultura occidentali. In patria, Jurij Gagarin fu insignito della più alta onorificenza del paese, quella di Eroe dell’Unione Sovietica; nel mondo, la sua impresa fu celebrata in misura almeno parziale (faziosa) dal giornalismo: «Un comunista nello Spazio», titolò sulle proverbiali nove colonne la prima pagina del Daily Worker, del tredici aprile, quotidiano del Partito Comunista Statunitense [dai tre ai cinque iscritti...]; e lo stesso, circa, fece l’italiano l’Unità, organo ufficiale del Partito Comunista Italiano, ancora il tredici aprile. Dal sommarietto al titolo, in questo ordine: «L’U.R.S.S. in delirio - Il mondo attonito: un uomo sovietico ha vinto lo spazio cosmico» / «Il compagno Yuri racconta il viaggio». A quel punto, e in piena Guerra Fredda, ribadiamolo, il presidente statunitense John Fitzgerald Kennedy, successivamente beatificato dalla Storia, nei primi mesi della sua breve presidenza (dal 20 gennaio 1961 al 22 novembre 1963), dovette lanciare un messaggio forte alla nazione: sia in risposta all’impresa di Jurij Gagarin (dodici aprile), sia per mitigare il fallimento del tentativo di rovesciare il regime cubano di Fidel Castro (Baia dei Porci, diciassette-diciannove aprile).

All’indomani di un volo suborbitale dell’astronauta statunitense Alan Shepard (Mercury 3), del cinque maggio, John F. Kennedy pronunciò un discorso davanti al Congresso, durante il quale profetizzò di portare un astronauta statunitense sulla Luna entro la fine del decennio. Dopo essersi consultato con il vicepresidente Lyndon B. Johnson (che gli subentrerà dopo l’attentato mortale di Dallas, del 22 novembre 1963) e con James E. Webb, neoeletto amministratore della Nasa, il presidente John F. Kennedy è convinto che una missione umana sulla Luna -pur essendo un’impresa estremamente dispendiosa e impegnativa- costituisca l’unica possibilità per gli Stati Uniti di battere i rivali sovietici nella corsa allo Spazio. Di fronte ai membri del Congresso, il 25 maggio 1961, chiede che gli Stati Uniti si impegnino, prima della fine del decennio, «a far sbarcare un Uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra». Un anno dopo, nel settembre 1962, dopo una visita di due giorni a Houston, quartier generale della Nasa [a pagina 35], accompagnato dagli astronauti John Herschel Glenn, il primo astronauta statunitense in orbita attorno alla Terra (Mercury 6 / Friendship 7, il 20 febbraio 1962; tre orbite), e Malcom “Scott” Carpenter (Mercury-Atlas 7, il 24 maggio 1962), il presidente John F. Kennedy rafforza le proprie opinioni. Da cui, il dodici settembre, nello stadio della Rice University, di Houston, di fronte a una folla di circa quarantamila persone -studenti universitari, famiglie con bambini, scolaresche, donne e uomini di tutte le età- riprende lo stesso concetto già annunciato al Congresso. In un discorso di trentatré minuti, accorato e vibrante, per quanto profondamente retorico, ma anche intenso e appassionato, declina sempre la prima persona plurale. Il soggetto è “noi”: noi americani, noi cittadini, ma anche -semplicemente- noi esseri umani [entrambi questi discorsi sono reperibili in Rete, sia in traduzione scritta, sia in video originali]. Riprendendo una considerazione appena accennata, dal punto di vista fotografico, ancora secondo il princìpio espresso da Guy Debord, altrettanto già accennato, «Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini», segnaliamo che la copertina del settimanale Life del 12 marzo 1962, all’indomani della sua missione spaziale, è stata la prima con un astronauta certificato nella propria identità: John Herschel Glenn (in precedenza, altre copertine “spaziali” si erano limitate a note di costume). Con l’occasione, rimandiamo al censimento delle copertine di Life visualizzate nella scenografia del film I sogni segreti di Walter Mitty, del quale abbiamo riferito nel maggio e giugno 2014, per ripeterci, nel dicembre successivo, in relazione alle copertine: nel film ne sono presenti tredici mai pubblicate da Life, ma che avrebbero potuto essere realizzate, più una parodia di questa di John Glenn, modificata con il volto del protagonista Walter Mitty, interpretato da Ben Stiller, anche regista. Prima del cosmonauta sovietico Jurij Gagarin, primo Uomo nello Spazio, il 12 aprile 1961, e dell’astronauta statunitense John Herschel Glenn, primo americano nello Spazio, il 20 febbraio 1962, le missioni spaziali delle due superpotenze mondiali si erano avvalse di animali, lanciati con capsule più o meno probabili (se vogliamo, quelle sovietiche meno probabili di quelle


statunitensi). Tra i tanti, molti dei quali morti in volo, quasi tutti, per il vero, soprattutto due hanno influenzato l’immaginario collettivo. La cagnetta sovietica Laika, che oggi sappiamo essere morta in decollo, meglio di morire nel rogo della sua navicella Sputnik 2, commosse il mondo, il 3 novembre 1957 (lo ricordo bene: tempi di seconda elementare); lo scimpanzé americano Enos fu eroe nazionale, il 29 novembre 1961, primo statunitense (non Sapiens) a raggiungere l’orbita terrestre.

NASA, DAL 1958

Quindi, riservando ad Apollo 11 e contorni e dintorni -soprattutto fotografici, sia chiaro e chiarito- altri spazi redazionali, su questo stesso numero, a seguire l’attuale prologo, non vogliamo ignorare una trasversalità che è stata rivelata recentemente: prima dal romanzo Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race (Figure nascoste: la storia delle donne afroamericane che hanno contribuito a vincere la corsa allo spazio), di Margot Lee Shetterly (in edizione italiana Il diritto di contare; HarperCollins Italia, 2017); a seguire, nel film Il diritto di contare sceneggiato dal libro, in originale Hidden Figures, di Theodore Melfi, del 2016. Nel film, le tre matematiche afroamericane Katherine G. Johnson, Dorothy Vaugan e Mary Jackson sono rispettivamente interpretate dalle attrici Taraji P. Henson, Octavia Spencer e Janelle Monáe. Il film ha ricevuto tre candidature ai Premi Oscar 2017, tra cui Miglior film.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

In questo senso, è emblematica la genesi dell’ente spaziale statunitense, contrapposto al rigore statale della inflessibile società/burocrazia sovietica; abbiamo approfondito nel novembre 2008, in occasione del cinquantenario di fotografie divulgate dalla Nasa. Qui, riassumiamo dal testo originario di Lello Piazza. Per anni, nei Cinquanta, negli Stati Uniti, l’antagonismo tra corpi militari diversi, dall’aeronautica alla marina e oltre, non prevedeva lo scambio di informazioni tecnologiche tra uno e l’altro. Così, si arrivò alla tragedia del 6 dicembre 1957: «Sulla rampa di lancio della base di Cape Canaveral, in Florida, che successivamente sarebbe entrata nella memoria collettiva del nostro tempo, è pronto il missile Vanguard, che deve portare in orbita il primo satellite statunitense. Si tratta di una risposta (tardiva) allo Sputnik sovietico, lanciato con successo il precedente quattro ottobre. Qualcosa non funziona, e il missile vettore esplode subito dopo l’accensione dei motori (per l’esattezza, alle 16, 44 minuti e 34 secondi). Disastro! Vergogna! «L’emergenza non è dettata soltanto dalla pessima figura che la nazione ha fatto, ma, soprattutto, dalla preoccupazione di perdere la leadership militare e tecnologica in uno dei settori più strategici. «Il governo americano reagisce, ma passano mesi prima che nasca la Nasa, ufficialmente avviata il 29 luglio 1958, quando il presidente Ike Eisenhower firma l’atto di nascita della National Aeronautics and Space Administration (Nasa), l’agenzia che, a partire da quel momento, ha il compito di coordinare tutti i progetti americani per la conquista dello Spazio. «Nell’agenzia, che nei decenni successivi si avvarrà di ingenti finanziamenti, viene coinvolto il grande scienziato tedesco Wernher von Braun, catturato dagli americani alla fine della Seconda guerra mondiale e portato negli Stati Uniti. Von Braun era stato l’inventore delle micidiali V1 e V2, che, lanciate dalla Germania, avevano martoriato Londra a partire dal 1944 [“Giovane ingegnere tedesco di quarantacinque anni, che aveva indossato l’uniforme nera con le teste di morto delle SS, padre di quelle armi della vendetta nazista, le V1 e le V2, che erano state fabbricate dagli schiavi deportati dall’Europa occupata ed erano piovute per mesi sulla testa di innocenti londinesi. La fantastica lavatrice della Guerra Fredda lo aveva ripulito, smacchiato, candeggiato e naturalizzato americano, perché lui e lui solo, Wernher von Braun, aveva il missile giusto, il progetto migliore, la chiave che avrebbe aperto per l’America le porte del cielo”, da Nasa, la leggenda contromano, di Vittorio Zucconi, in la Repubblica del 27 luglio 2008]».

Nel 1961, il presidente statunitense John F. Kennedy lanciò un messaggio forte alla nazione: sia in risposta all’impresa di Jurij Gagarin, sia per mitigare il fallimento del tentativo di rovesciare il regime cubano di Fidel Castro (Baia dei Porci). Di fronte ai membri del Congresso, il venticinque maggio, chiede che gli Stati Uniti si impegnino, prima della fine del decennio, «a far sbarcare un Uomo sulla Luna e riportarlo sano e salvo sulla Terra».

Secondo un princìpio espresso da Guy Debord -«Lo spettacolo non è un insieme di immagini, ma un rapporto sociale fra individui, mediato dalle immagini»-, segnaliamo che la copertina del settimanale Life del 12 marzo 1962, all’indomani della sua missione spaziale, è stata la prima con un astronauta certificato nella propria identità: John H. Glenn. Questa copertina è stata reinterpretata nella scenografia del film I sogni segreti di Walter Mitty, dove è stata modificata con il volto del protagonista Walter Mitty, interpretato dall’attore Ben Stiller, anche regista.

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La Nasa fu creata dall’amministrazione Eisenhower il 29 luglio 1958, all’indomani di un tragico fallimento spaziale dell’aeronautica: esplosione sulla rampa di lancio del missile Vanguard (6 dicembre 1957).

Prima del cosmonauta sovietico Jurij Gagarin, il 12 aprile 1961, e dell’astronauta statunitense John Glenn, il 20 febbraio 1962, le missioni spaziali si erano avvalse di animali. Tra i tanti, soprattutto due hanno influenzato l’immaginario collettivo: la cagnetta sovietica Laika (Sputnik 2, 3 novembre 1957) e lo scimpanzé americano Enos (29 novembre 1961).

Affascinante trasposizione romanzata di una storia vera, Hidden Figures: The Story of the African-American Women Who Helped Win the Space Race (Figure nascoste: la storia delle donne afroamericane che hanno contribuito a vincere la corsa allo spazio), di Margot Lee Shetterly (in edizione italiana Il diritto di contare; HarperCollins Italia, 2017), racconta delle tre matematiche afroamericane Katherine G. Johnson, Dorothy Vaugan e Mary Jackson ai vertici scientifici dei progetti spaziali statunitensi culminati con l’allunaggio di Apollo 11. Dal romanzo, è stato sceneggiato il film Il diritto di contare, in originale Hidden Figures, di Theodore Melfi, del 2016. Il libro e il film espongono una storia fino a oggi tenuta all’oscuro per due discriminanti/ discriminazioni... donne e afroamericane.

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Attenzione, attenzione, riallacciandoci all’incipit di questo intervento redazionale: a parte sfumature del Tempo (oggi incomprensibile ai più giovani, ma non solo a loro), tra le quali la mancanza di servizi igienici per afroamericani (negli Stati Uniti del 1969... non 1869), il libro e il film raccontano una storia vera, fino a oggi tenuta all’oscuro per due discriminanti/discriminazioni... donne e afroamericane. Comunque, la matematica, scienziata e fisica afroamericana Katherine G. Johnson, che -insieme con Dorothy Vaugan e Mary Jackson- collaborò con la Nasa, sfidando razzismo e sessismo (grande valore sociale!), è colei la quale ha tracciato le traiettorie per il Programma Mercury e la missione Apollo 11. Sono state loro a combattere in prima linea, al pari di quei fotografi (e altri) che agiscono per salvare quanto non ci possiamo permettere di perdere. E noi tutti apprezziamo la loro azione, il loro sforzo. A seguire, nelle prossime pagine, in questo ordine: spettacolarità di Apollo 11 sulla Luna, fotografie epocali da Apollo 8 e dintorni (la Fotografia come...), monografie per e dallo Spazio, cronologia ragionata e commentata dell’apporto Hasselblad alle missioni spaziali Nasa. Da cui, rivolgendoci verso chi sappiamo: e ora, provatevi voi a realizzare un numero di rivista (fotografica) altrettanto autorevole e competente. Per quanto, in visione originale. ❖



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CHE FAI TU, LUNA, IN CIEL?



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NASA


Neil A. Armstrong, primo Uomo sulla Luna, scende sulla sua superficie sei ore dopo l’allunaggio, alle 02,56 del ventuno luglio (UTC). Edwin E. Aldrin Jr, pilota del modulo lunare, qui raffigurato, scende diciannove minuti dopo. In una missione spaziale durata otto giorni, tre ore, diciotto minuti e trentasei secondi, i due astronauti hanno trascorso sulla Luna ventuno ore, trentasei minuti e venti secondi.

Buzz Aldrin accanto al modulo lunare LM (Eagle) del quale è stato pilota, in allunaggio e in decollo per il riaggancio alla navicella madre Columbia. Sulla superficie lunare, oltre le riprese fotografiche di protocollo, i due primi astronauti hanno realizzato anche fotoricordo, come è questa e come lo sono tante altre. E lo stesso hanno poi ripetuto gli astronauti delle missioni lunari successive. Fino ad Apollo 17.

Edwin E. Aldrin Jr in posa accanto alla bandiera statunitense fissata al suolo (situazione iconica ripetuta in ogni altra missione lunare, con varianti di inquadratura; anche a pagina 46, su questo stesso numero). Subito dopo, lui e Armstrong avrebbero dovuto invertire i ruoli. Invece, dal controllo a Terra arrivò l’ordine di rientrare nel modulo, per ricevere un messaggio del presidente Richard Nixon.

Immagine-simbolo di Buzz Aldrin sul suolo lunare, con Neil A. Armstrong riflesso nella visiera dorata. In effetti, il soggetto degli astronauti di Apollo 11 è sempre Edwin E. Aldrin Jr; nella sua autobiografia si trovano riferimenti appropriati: «Con il procedere del lavoro sulla Luna, Neil aveva quasi sempre con sé la macchina fotografica, e quando appare un astronauta su una fotografia, quello sono quasi sempre io».

Impronta di Neil A. Armstrong del suo primo passo sulla Luna... in ovvia assenza di fotografie che documentano la sua discesa. Come altre incluse in questa attuale selezione, come pure distribuite sull’intera messa in pagina di questo numero, e più di altre, per il vero, questa potrebbe benissimo essere stata realizzata a Terra, non sulla Luna, senza peraltro interferire con la veridicità della missione Apollo 11.

Lo stivale di Buzz Aldrin lascia un’impronta marcata sulla superficie lunare. Per questa fotografia, si ripetono le osservazioni riferite all’impronta di Neil A. Armstrong. In aggiunta, si sottolinea il valore iconico e simbolico di entrambe le inquadrature, che -al pari di altre fotografie della Storiatravalicano la propria realizzazione posata, per declinare un linguaggio visivo efficace, che fa lessico.

Prima di lasciare la superficie lunare, Edwin E. Aldrin Jr e Neil A. Armstrong rimossero una placca dal montante della scala del LM per depositarla sul suolo (è quella stessa che si intravede, in ricostruzione scenografica, nelle prime inquadrature dell’orrendo film Independence Day, del 1996). Sulla targa c’è inciso, in inglese: «Siamo venuti in pace per tutta l’Umanità»... per chi avrà modo di leggerla nel Mare della Tranquillità.

Dopo le fotografie epocali di Apollo 8 [da pagina 24], tutte le successive missioni spaziali hanno ripetuto la sequenza della Terra che sorge dalla Luna. Combinata anche per la tiratura in settantacinque copie di fotografie di Buzz Aldrin, in edizione per l’attuale cinquantenario [a pagina 38], questo montaggio della porzione centrale di sei fotogrammi 6x6cm è affascinante e avvincente.

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Fotografato da Michael Collins, dalla navicella madre Columbia in orbita, il modulo lunare LM (Eagle, in gergo), con a bordo Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin Jr (“Buzz”), primo e secondo Uomo sulla Luna, sta raggiungendo il luogo di allunaggio: Mare della Tranquillità (0° 40 26,69 N / 23° 28 22,69 E), alle 20,17,40 (UTC / Tempo Coordinato Universale) del 20 luglio 1969; ovvero, alle 22,56, ora di New York.

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EPOCALI... E OLTRE... Domanda spesso ripetuta: può la Fotografia influire sugli approcci esistenziali? Personalmente, non crediamo in un rapporto diretto e rapido di causa-effetto; ma, allo stesso tempo, siamo convinti che la Fotografia, come la Letteratura, la Musica e altro ancora, contribuisca a formare le coscienze. In questo senso, tre fotografie, sopra tutte, sono da conteggiare come epocali. Tra queste, la Terra fotografata durante la missione spaziale Apollo 8, del dicembre 1968


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di Maurizio Rebuzzini

R

ipetizione d’obbligo da altre precedenti rilevazioni: noi viviamo e suscitiamo sentimenti, e i sentimenti se ne vanno. Sono ormai passati cinquant’anni dallo sbarco dell’Uomo sulla Luna, al culmine del progetto spaziale statunitense Apollo: che si era appunto proposto di portare l’Uomo (il Sapiens) sulla Luna e riportarlo a Terra. Cinquant’anni sono tanti, oppure pochi, dipende. In tutti i casi, per un numero crescente di adulti e per i giovani di oggi, l’avvenimento è lontano e irreale: appartiene alla Storia. Lasciamo ad altri i termini filosofici e scientifici della missione; in celebrazione di date, qui e oggi, il nostro personale punto di osservazione privilegia l’aspetto fotografico di quell’avventura, a partire dai momenti antecedenti lo spettacolare allunaggio del modulo Eagle (aquila) di Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin Jr. Dunque e nel concreto, la serie fotografica epocale di Apollo 8. Prima di farlo, richiamiamo una nostra convinzione espressa, in sommarietto, oltre il titolo: sappiamo che l’ipotesi di “cambiamento” non è repentina, né immediata. Parole e fotografie cambiano nulla, pur influendo sulle coscienze, magari. E da questa somma di interiorità sorgono i presupposti delle metamorfosi a seguire.

DALLA LUNA ALLA TERRA Ciò anteposto, una fotografia ha influito sul pensiero collettivo, agendo immediatamente (oltre altre due, entrambe dalla guerra in Vietnam, che richiamiamo in apposito riquadro, pubblicato a pagina 27). È quella

Apollo 8, in orbita dal 21 al 27 dicembre 1968, in preparazione dell’allunaggio di Apollo 11, del successivo venti luglio, è stata la prima missione spaziale ad allontanarsi tanto dalla Terra da poterla fotografare nella propria fragile sfericità. Quindi, consideriamo anche e ancora la fotografia (la sequenza fotografica) della Terra che sorge dalla Luna (ripetuta anche in missioni spaziali statunitensi successive, tra le quali Apollo 11, durante la quale scattò Buzz Aldrin). E, dunque, fotografie che hanno influito sul pensiero collettivo, agendo immediatamente: causa-effetto. In allungo ideale, oltre che concettuale e pragmatico, altre due sono fotografie epocali, ovvero Fotografie nel proprio lessico, non soltanto raffigurazioni di accadimenti; entrambe dalla guerra in Vietnam, che richiamiamo in apposito riquadro, pubblicato a pagina 27.

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

Numero speciale di Life, del 10 gennaio 1969 (cinquanta anni fa), due settimane dopo la missione spaziale Apollo 8, della fine del dicembre precedente (dal ventuno al ventisette). Non ci siano dubbi (storici): il fatidico Sessantotto -qui evocato come The Incredible Yearha proposto e offerto innumerevoli accadimenti, che dalla Cronaca si sono presto proiettati sulla Storia... non stiamo qui a ricordarli, ancora e ancora. Ma l’icona della Terra è stata subito intuita e declinata come Epocale: come effettivamente è. Se anche così volessimo considerarla, se anche così volessimo leggerla, lezione di giornalismo, che non si limita all’apparenza spettacolare a tutti visibile, ma è capace di andare sottotraccia, per raccontare la Storia. Da cui, perché studiare la Storia? A differenza di altre visioni codificabili (per esempio, fisica e matematica), la Storia non consente / non è un mezzo per esprimere previsioni accurate. Noi studiamo la Storia non per conoscere il futuro, ma per ampliare i nostri orizzonti, per capire che la nostra situazione presente non deriva/dipende da leggi naturali e non è inevitabile; di conseguenza, abbiamo di fronte a noi molte più possibilità di quante ne possiamo immaginare.

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della Terra che sorge dalla Luna e della Terra nella propria fragile sfericità (consideriamole in unicum), che hanno determinato un pensiero collettivo. Da qui, considerazioni dell’autorevole Piero Raffaelli, riprese dalla loro stesura originaria, per FOTOgraphia, del luglio 1994, per il venticinquesimo anniversario dell’allunaggio di Apollo 11, dalla riproposizione, nel luglio 2009, di quarantesimo anniversario, e dal richiamo, in passo simile a questo odierno, lo scorso febbraio. Fummo costretti a tenere gli occhi aperti, quella notte di luglio di [cinquanta] anni fa, aspettando che le zampe di Eagle si posassero sulla Luna. La data è fatidica, spiegavano i commentatori in diretta, manca poco, pochissimo al momento epocale; dopo, la Luna non sarà più quella di prima. La Luna, ricordavano, era stata una divinità alla pari con il Sole, le si rivolgevano preghiere, sguardi adoranti, domande metafisiche... tutto ciò finirà tra poco, pochissimo... Il sonno era stato cacciato da domande ansiogene: ci sarà un altro “Chiaro di Luna”? Come si canterà “oh Luna rossa”? Quale Leopardi chiederà “Che fai tu, luna in ciel? / Silenziosa Luna?”? [...] Dopo aver visto Buzz ripreso da Neil e Neil ripreso da Buzz, potemmo andare a dormire. La Luna era rimasta quella di prima, silenziosa. Da allora, è cambiata molto di più la Terra, e proprio in conseguenza dell’avventura spaziale e delle fotografie distribuite dalla Nasa. Le impronte dei doposcì di Armstrong e Aldrin simboleggiarono la Conquista, la bandiera Usa che sventola con l’aiuto di un filo di ferro annunciò la Vittoria Finale, esattamente come la bandiera issata dai marine sul cocuzzolo di Iwo Jima. La lezione delle Midway e della Normandia era stata chiara: chi domina il cielo, vincerà poi le battaglie sulla terra e sul mare. Avendo dominato nella battaglia virtuale della Luna, gli americani mostravano di poter vincere le battaglie reali, se si fossero combattute, e anche la guerra, a meno che... A meno che l’ultimo giorno, dal paese quasi sconfitto, non riescano a partire missili intercontinentali verso il paese quasi vincitore (la guerra nucleare può riservare più sorprese di un tie-break). Che fare in questo caso? Anni fa, Ronald Reagan trovò la risposta: «Noi abbiamo lo scudo stellare: i raggi laser sparati dalle nostre basi orbitanti intercetteranno tutti i missili in volo». Era un bluff. Lo scudo era meno che virtuale, non esisteva proprio. Una rivista scientifica americana scrisse che non era realizzabile. Però, la bandiera Usa sventolava indisturbata a base Tranquillity. E, comunque, l’Unione Sovietica non aveva più i soldi per continuare a giocare la guerra virtuale nello Spazio. Un anno prima dell’allunaggio, ci arrivarono dallo Spazio altre immagini. Non furono gasate da una diretta televisiva, ma si imposero ugualmente nella memoria di tutti. Nel corso della missione Apollo 8, gli astronauti si allontanarono dalla Terra tanto da poterla inquadrate tutta intera sullo sfondo nero. E poi, raggiunta l’orbita lunare, dopo aver sorvolato l’emisfero nascosto, videro e fotografarono la Terra che “sorgeva” sopra la Luna. Con questo primo controcampo, lo sguardo umano non si volgeva più verso l’infinito, bensì verso il luogo finito, lì dove c’erano le radici.

Quella piccola sferetta bianca-azzurra-verdegiallina, sospesa sopra il deserto lunare, appariva in tutta la sua preziosa anomalia. Teschi corrosi, come quelli della Luna, dovevano essercene molti nel Cosmo; la Terra era forse unica. Forse non si sarebbe mai visto un posto più bello. Tutti gli esploratori, Cristoforo Colombo compreso, espressero meraviglia per i nuovi luoghi scoperti. Gli astronauti Frank Borman, James Lovell e William Anders si commossero nel guardare la Terra. Il migliore luogo del Cosmo era “home”, come poi avrebbe scoperto anche ET, l’omuncolo extraterrestre di Spielberg. Guardando la sferetta colorata, si poteva immaginare che tutte le creature viventi ci potessero vivere in simbiosi (John Lennon cantava Imagine). Gli allarmi ecologici che si sarebbero diffusi negli anni seguenti erano stati preparati da quell’impressione di delicatezza: era facile immaginare che il sottile alone azzurrino potesse bucarsi. Certi slogan politici non si sarebbero espressi come progetti “globali” se non ci fosse stato quello sguardo rivolto alla Terra da lontano. “L’uso razionale delle risorse”, “il governo mondiale”, “lo sviluppo sostenibile”, “l’indipendenza tra Nord e Sud” e altre utopie divennero credibili perché le fotografie arrivate dallo Spazio le aiutavano. Era il Natale del 1968, quando arrivarono. Come annotiamo in ognuno degli odierni interventi redazionali, nel e per il cinquantenario di Apollo 11, con allunaggio del venti luglio, sono avvincenti sia le fotografie posate, sia quelle riprese in orbita, attorno la Terra e attorno la Luna. In questo senso, come rilevato da Piero Raffaelli nella riflessione appena riportata, in ripetizione, è esemplare e sintomatico il caso di Apollo 8 (21-27 dicembre 1968), la seconda missione con equipaggio del programma, la prima a raggiungere la Luna: due orbite attorno la Terra e le prime dieci orbite attorno la Luna, con debutto dell’Hasselblad 500EL/70. Le fotografie riprese nel corso della missione ebbero un’importanza determinante nell’ambito dell’intero progetto Apollo. Agli astronauti Frank Frederick Borman II, James “Jim” Arthur Lovell Jr e William Alison Anders fu affidato anche l’incarico di fotografare la superficie della Luna, alla ricerca del punto più indicato per l’allunaggio programmato per la missione Apollo 11. In assoluto, quelle di Apollo 8, furono le fotografie più affascinanti riprese dagli astronauti statunitensi. Una delle sequenze più belle riportate dai voli spaziali è giusto quella nella quale si vede il globo terrestre, d’un blu marmorizzato, sorgere a poco a poco sul desolato orizzonte lunare, per stagliarsi, infine, luminoso sullo sfondo nero profondo dello Spazio. Aneddoto, leggenda, storia: questa celebre sequenza fotografica stava per non essere realizzata. Frank Borman, il comandante, vide che la Terra stava per sorgere e chiese a William Anders, l’esperto fotografico della missione, di scattare. Questi si rifiutò, affermando che quanto gli veniva richiesto non era previsto dal protocollo operativo. Lo stesso Borman prese allora l’Hasselblad di Anders e scattò lui stesso. E poi, in continuazione di pensiero coerente -“La fotografia come...” (dalla Copertina)- ribadiamo, confermandola, la nostra visione della Fotografia come..., per


NICK UT (HUỳNH CÔNG ÚT) / THE ASSOCIATED PRESS

Con le proprie investigazioni dell’Universo, il telescopio spaziale Hubble non ha cambiato solo il volto dell’astronomia, ma anche la nostra stessa sensazione di esistenza nel Cosmo infinito. Ha guardato là dove l’occhio umano non arriva e osservato oltre ciò che è alla portata di indagini e analisi da Terra. Ha esplorato tutto, dai buchi neri agli esopianeti, che non appartengono al sistema solare e orbitano attorno Stelle lontane. Da quasi trent’anni anni, in orbita bassa terrestre, a cinquecentocinquantanove chilometri dal pianeta, alla velocità di sette chilometri e mezzo al secondo, ha ripreso spettacolari immagini dello Spazio profondo, eccezionalmente utili all’analisi scientifica. Immagini che si propongono e offrono anche come capolavori fotografici, tra tanto altro raccolti in eccellente monografia Taschen: per l’appunto, e didascalicamente, Expanding Universe. Photographs from the Hubble Space Telescope [FOTOgraphia, novembre 2016]. Le grandezze visuali del telescopio spaziale Hubble (in originale, Hubble Space Telescope / HST), lanciato in orbita il 24 aprile 1990, ventinove anni fa, con lo Space Shuttle Discovery, come progetto comune della Nasa, l’ente spaziale statunitense, e dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa), così chiamato in onore dell’astronomo americano Edwin Powell Hubble (1889-1953), si collocano e considerano al vertice/apice di una certa cadenza scientifica. Nel concreto, oltre i propri meriti scientifici specifici, che competono ad altri, il telescopio orbitante Hubble è l’“autore” di alcune delle immagini più avvincenti della Storia della Fotografia. Hubble non fotografa a colori: i suoi sensori vedono solo in sfumature di grigio, e l’aspetto finale delle sue immagini è il risultato di un intervento sulle riprese in bianconero, che vengono “colorate artificialmente”. Ciò ha motivate ragioni scientifiche. Infatti, la luce viene riflessa dai corpi celesti in una grande varietà di radiazioni, e soltanto alcune delle quali sono visibili: quelle con lunghezza d’onda compresa tra i 380 e i 750 nanometri (nm, un miliardesimo di metro). Prima dei 380nm ci sono gli ultravioletti, i Raggi X e i Raggi Gamma, oltre i 750nm ci sono l’infrarosso, le microonde e le onde radio, tutte radiazioni invisibili. Evidentemente, è importante “vedere” anche quei corpi che emettono radiazioni nelle bande invisibili all’occhio fisiologico. Spesso, le riprese in bianconero sono indirizzate soltanto all’interno di certe lunghezze d’onda: Hubble è dotato di una serie di filtri per tagliare le lunghezze d’onda indesiderate o, al contrario, isolare quelle che interessano. Una volta ottenuta la fotografia, gli scienziati intervengono con il colore. (continua a pagina 31)

VÜ BÍCH HÔNG (HONG ROSY)

TEMPO E SPAZIO

EDDIE ADAMS / THE ASSOCIATED PRESS

l’appunto: non tanto e non certo il soggetto per se stesso, ma la sua rappresentazione fotografica! Con altri due esempi che consideriamo fondanti, oltre che lungimiranti: le fotografie riprese dal telescopio orbitante Hubble, per certi versi in tema con il nostro passo attuale, e il progetto Anthropocene, del canadese Edward Burtynsky, dallo scorso giugno; in entrambi i casi, con accompagnamento di monografia avvicinabile da tutti.

Due fotografie che hanno cambiato il mondo, proprio in quanto “fotografie”, entrambe dalla guerra in Vietnam: Saigon, Vietnam del Sud, Primo febbraio 1968 (cinquantuno anni fa), per strada, il capo della polizia nazionale Nguy ễn Ngọc uccide Loan Nguy ễn Văn Lém, un sospetto vietcong, sparandogli alla testa (fotografia di Eddie Adams / The Associated Press [ World Press Photo of the Year 1969, sul 1968, e Premio Pulitzer 1969]); Trangbang, Vietnam del Sud, 8 giugno 1972, bambini ustionati fuggono in seguito al lancio di napalm sul loro villaggio (fotografia di Nick Ut [Huỳnh Công Út] / The Associated Press [ World Press Photo of the Year 1973, sul 1972; e, soprattutto, è iconica la bambina Phan Thị Kim Phúc, che corre nuda al centro dell’inquadratura; FOTOgraphia, dicembre 2004 / in fotoricordo con Nick Ut e Maurizio Rebuzzini, nell’autunno 2012]. Entrambe queste situazioni sono “fotografiche”, ovvero raccontate con il lessico e linguaggio della fotografia. Non raffigurano accadimenti eccezionali, quantomeno in termini di guerra, il cui svolgimento non manca certo di esecuzioni sommarie e bombardamenti dal cielo, ma rappresentano momenti emotivamente forti... in termini squisitamente “fotografici”.

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NICHOLAS METIVIER GALLERY, TORONTO] E

#4; DELTA DEL NIGER, NIGERIA, 2016 [© EDWARD BURTYNSKY / COURTESY ADMIRA PHOTOGRAPHY, MILANO EDWARD BURTYNSKY (DA ANTHROPOCENE ): BUNKERAGGIO

DI PETROLIO

Anthropocene, di Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier; volume-catalogo (in edizione italiana) della omonima mostra allestita alla Mast Gallery (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), di Bologna, fino al ventidue settembre [ FOTOgraphia, giugno 2019 (qui sotto), a cura di Sophie Hackett, Andrea Kunard e Urs Sthael; Ago, 2019; 150 illustrazioni; 256 pagine 17x23,5cm, cartonato; 25,00 euro.

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NASA (3)

Expanding Universe. Photographs from the Hubble Space Telescope, a cura di Owen Edwards e Zoltan Levay; Taschen Verlag, 2015 (distribuzione: Inter Logos, strada Curtatona 5/2, 41126 Modena; www.libri.it); multilingue inglese, francese e tedesco; 260 pagine 30x30cm, cartonato, con pagine foldout; 50,00 euro.

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(continua da pagina 27) In merito al telescopio, nella propria concezione ottica assoluta e inderogabile, oltre che non negoziabile, va rilevato che è nato molto prima della fotografia: possiamo conteggiarne oltre quattrocento anni di vita. Nel 1608, l’olandese Hans Lippershey (1570-1619) chiese il brevetto di uno strumento «che permettesse di osservare gli oggetti lontani come se fossero vicini». I documenti ufficiali parlano di questo strumento come di un apparecchio dedicato allo studio delle stelle. La genealogia di Hubble ha perciò inizio oltre quattrocento anni fa, e non dimentichiamoci dei perfezionamenti sostanziali del telescopio applicati da Galileo Galilei (15641642), fisico, astronomo, filosofo e matematico italiano, considerato il padre della scienza moderna. Una cospicua selezione di fotografie riprese dal telescopio spaziale Hubble, che ha indagato lontano nello Spazio e, perfino, indietro nel Tempo (!), sono state riunite in una affascinante monografia, pubblicata dal sempre attento Taschen Verlag, di Colonia: Expanding Universe. Photographs from the Hubble Space Telescope (Espansione dell’universo. Fotografie dal telescopio spaziale Hubble) presenta e offre immagini fantastiche, uniche, in ultra-alta risoluzione, che hanno dato risposte certe ad alcune delle domande più appassionanti del Tempo e dello Spazio. Ancora, queste stesse immagini fantastiche hanno altresì svelato misteri neppure immaginati prima, come l’espressione di “energia oscura”, che vede l’Universo in espansione continua e costante, a un ritmo sempre più accelerato.

ANCORA, ANTHROPOCENE A concludere il percorso che ci ha portati a considerare non tanto i soggetti espliciti (per quanto, lo abbiamo anche fatto), quanto la loro rappresentazione in Fotografia come... osservatorio privilegiato e linguaggio espresso, riprendiamo dallo scorso giugno, per ribadire la nostra propensione a ragionare e pensare su quanto la Fotografia ha influito / influisce sulla vita e la società. Quindi, in sovramercato, la nostra sollecitazione è inderogabile: osservare, piuttosto di giudicare e, in coerenza di intenti, pensare invece di credere. Poco da aggiungere a quanto sottolineato da Lello Piazza a proposito del progetto Anthropocene, per l’appunto appena presentato lo scorso giugno. Se non che riprendiamo e ribadiamo il pensiero dell’autore Edward Burtynsky: «Il nostro lavoro può offrire uno sguardo avvincente su ciò che accade; la nostra è una testimonianza reale. Far vivere queste realtà attraverso la fotografia è come creare un potente meccanismo che dà forma alle coscienze. È un lavoro più rivelatorio, che accusatorio. Sto divulgando luoghi che normalmente non vediamo e sto permettendo allo spettatore di giudicare se è buono o cattivo. Penso che l’arte possa far crescere la consapevolezza e farci riflettere sul mondo che stiamo creando e sui prezzi che vengono pagati per il nostro successo. Mi sento triste per ciò che sta accadendo in natura. I tassi di estinzione sono sempre più elevati. Penso che sarebbe disumano non provare tristezza per ciò che sta accadendo al pianeta, in particolare agli oceani». Già... la fotografia come. ❖

Giove e Galimede, il maggiore dei satelliti naturali del pianeta, a propria volta il più grande dell’intero sistema solare. Ganimede completa un’orbita attorno a Giove in poco più di sette giorni. Distanza dalla Terra, 628.300.000 chilometri.

La Galassia Girandola del Sud (nota anche come M83 o NGC 5236) è una galassia a spirale intermedia visibile nella costellazione dell’Idra e distante circa quindici milioni di anni luce dalla Terra.

(pagina accanto) Hubble Space Telescope (HST) è un telescopio spaziale lanciato in orbita terrestre bassa nel 1990, ed è ancora operativo. È il telescopio spaziale più conosciuto: strumento di ricerca di estrema importanza, oltre che vessillo delle scienze astronomiche nell’immaginario collettivo. L’HST è stato così definito in onore e omaggio dell’astronomo statunitense Edwin Hubble (1889-1953). Con uno specchio di 2,4 metri di diametro, i suoi cinque strumenti principali osservano nel vicino ultravioletto, nel visibile e nel vicino infrarosso. L’orbita esterna del telescopio, al di fuori dalla distorsione dell’atmosfera terrestre, gli permette di ottenere immagini a risoluzione estremamente elevata, con un disturbo contestuale sostanzialmente inferiore rispetto a quello che affligge i telescopi a Terra. L’Hubble ha registrato immagini dettagliate nella luce visibile, restituendo una visuale profonda nello Spazio e nel Tempo.

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Attrezzature fotografiche usate e da collezionismo Specializzato in apparecchi e obiettivi grande formato

di Alessandro Mariconti

via Foppa 42 - 20144 Milano - 331-9430524 alessandro@photo40.it

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (3)

TASCHEN VERLAG

MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11; con testi di Norman Mailer; Taschen Verlag, 2009; 350 pagine 36,5x44cm, in confezione di plexiglas; ogni copia comprende una stampa fotografica 40x32,5cm, incorniciata in plexiglas, del ritratto di Edwin E. Aldrin Jr in piedi sulla Luna, con Neil A. Armstrong che si riflette nella visiera del suo casco, firmata dallo stesso Buzz Aldrin [ritratto qui sopra, con la monografia]; in tiratura limitata e numerata di 1957 copie; 3500, 00 euro. MoonFire: L’epico viaggio di Apollo 11; con testi di Norman Mailer; Taschen Verlag, 2010; in italiano; 348 pagine 27x33cm, cartonato; 40,00 euro.

di Angelo Galantini

F

acili profeti, prevediamo che durante questo luglio Duemiladiciannove la ricorrenza del cinquantenario dall’allunaggio di Apollo 11 solleciterà mille commemorazioni e celebrazioni. Tante saranno le monografie illustrate a ricordo e commento (speriamo che alcune di queste siano anche di valore contenutistico); come pure, in coincidenza di date, attorno il venti luglio, altrettante saranno le proposte televisive, equamente distribuite su tutti i canali e tutte le emittenti oggi a disposizione (nel 1969 di riferimento non era così; in Italia, c’erano soltanto due canali Rai: il Nazionale, oggi Rai 1, e il Secondo, oggi Rai 2; Rai 3 sarebbe arrivata il 15 dicembre 1979). In attesa di quanto meritevole d’attenzione, dall’attualità dei nostri giorni torniamo a commentare una fantastica monografia illustrata: MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11, con testi di Norman Mailer, pubblicata da Taschen Verlag nel 2009, per il quarantesimo anniver-

MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11; con testi di Norman Mailer; Taschen Verlag, 2016; collana Bibliotheca Universalis; 616 pagine 14x19,5cm, cartonato; 15,00 euro. MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11; con testi di Norman Mailer; Taschen Verlag, 2019; edizione per il cinquantenario (1969-2019); 348 pagine 27x33cm, cartonato; 40,00 euro. Per tutti i volumi: distribuzione Inter Logos, strada Curtatona 5/2, Località Fossalta, 41100 Modena; 059-412648; www.books.it.

sario [FOTOgraphia, luglio 2009], e oggi rivitalizzata con ulteriori edizioni speciali, che si aggiungono a quelle standard realizzate nel corso dei dieci anni ancora trascorsi. Quindi, in cammino coerente, segnaliamo anche un’altra monografia dello stesso Taschen Verlag, editore dai mille meriti, sia fotografici, sia di altra personalità: The NASA Archives. 60 Years in Space, con testi di Piers Bizony, Andrew Chaikin e Roger Launius. Infine, qualche considerazione per Sputnik, che racconta l’epopea spaziale sovietica... l’altra metà dell’intera vicenda.

PRIMA DI TUTTO, MOONFIRE Come accennato, confezione editoriale di prestigio, presto seguita da confezioni standard e oggi approdata a qualcosa di più -di più ancora-, del prestigio librario originario [riquadro a pagina 34], MoonFire è una preziosa e autorevole monografia illustrata realizzata per celebrare il quarantesimo anniversario della missione spaziale statunitense di Apollo 11, che il 20 luglio 1969 ha raggiunto la Luna.

LUNA DI CARTA Partiamo dall’imponente monografia illustrata MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11, con testi di Norman Mailer, pubblicata da Taschen Verlag nel 2009, e oggi rivitalizzata con ulteriori edizioni più che speciali. Quindi, in cammino coerente, segnaliamo un’altra monografia dello stesso Taschen Verlag, The NASA Archives. 60 Years in Space. Infine, qualche considerazione per Sputnik, che racconta l’epopea spaziale sovietica... l’altra metà dell’intera vicenda

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(pagina accanto, dall’alto) Harrison H. Schmitt in una inquadratura fortemente simbolica: bandiera in primo piano e Terra sullo sfondo (Apollo 17; dicembre 1972, l’ultima arrivata sulla Luna). Evocata in prologo, da pagina 10, visita del presidente statunitense John F. Kennedy al quartier generale della Nasa, a Houston: 12 settembre 1962.

A titolo di esempio, a completamento delle illustrazioni, riportiamo i dati bibliografici di tre delle dodici copie della Lunar Rock Edition di MoonFire (nove delle quali, dalla numero 1958 alla numero 1966, già vendute a metà giugno). Numero 1967 / NWA 5153: breccia feldspatica mescolata con basalto, scoperta vicino al confine marocchino-algerino (38x27x23mm; 41,88g); 275.000 dollari. Numero 1969 / NWA 4936 (esemplare associato): breccia feldspatica lunare, scoperta in Marocco (90x75x51mm; 348g); 700.000 dollari. Numero 1968 / NWA 4936; breccia feldspatica lunare, scoperta a Siskou, in Marocco (69x42x17mm; 91,26g); 400.000 dollari.

Ripercorrendo una propria direttiva editoriale, avviata venti anni fa con l’edizione 50x70cm dell’originario Sumo, di Helmut Newton, della quale abbiamo riferito nel giugno 2009, in occasione della sua confezione standard, l’ineguagliabile Taschen Verlag, di Colonia, ha realizzato l’ennesima delle sue iniziative bibliografiche d’élite. In edizione di prestigio, a tiratura limitata, MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11 (L’epico viaggio di Apollo 11) si esprime su un binario doppio, collegato e abbinato. I raffinati testi di Norman Mailer, brillante esponente della beat generation, venuto a mancare nel novembre 2007, a ottantaquattro anni, originariamente scritti nel 1969 per le relazioni di Life sull’allunaggio, accompagnano spettacolari fotografie fornite soprattutto dagli archivi della Nasa, ai quali abbiamo attinto anche noi per la nostra attuale commemorazione giornalistica. In subordine, le pagine dell’affascinante MoonFire sono illustrate con immagini di altra provenienza, fornite da Life Magazine e agenzie: il tutto, per confezionare un tributo unico e fantastico alla definizione della missione scientifica più eclatante della nostra epoca. Appunto quella che ha portato il primo Uomo (Sapiens) sulla Luna (e poi, immediatamente a seguire, il secondo): Neil A. Armstrong e Edwin E. Aldrin Jr (“Buzz”), con Michael Collins ad attenderli sulla navicella madre in orbita, modulo di comando e servizio. Come sottolineato in prologo, da pagina 10, Apollo 11 ha concretizzato il proclama del presidente statunitense John F. Kennedy, che il 25 maggio 1961 auspicò lo sbarco sulla Luna entro il decennio. Appunto, un decennio di missioni spaziali in progressione, che ha impegnato un organico di quattrocentomila scienziati e ingegneri, e ventiquattro miliardi di dollari. Al culmine, un evento senza precedenti, seguìto in diretta televisiva da milioni di spettatori in tutto il mondo. Per gli Stati Uniti, si aggiungono le parole di Norman Mailer, riprese e riproposte in questa fantastica monografia, che dalle pagine di Life diedero risalto all’impresa dell’Uomo, agli stati d’animo e alle emozioni conseguenti. Tra i più grandi scrittori della sua generazione, Norman Mailer ha raccontato quei momenti con testi che rimangono inalterati a cinquant’anni di distanza. Ori-

ginariamente distribuite su tre numeri consecutivi di Life, e dopo averle finalizzate al suo saggio Of a Fire On The Moon, del 1970, da cui il titolo dell’attuale MoonFire, le sue riflessioni compongono oggi l’ossatura di una commemorazione convinta e partecipe: parole di analisi culturale e filosofia proposte in una veste originale. Esplorando le implicazioni filosofiche della scienza e delle missioni spaziali, come anche la psicologia degli uomini coinvolti nel fantastico progetto, Norman Mailer ha espresso opinioni e considerazioni provocatorie e proposto intuizioni taglienti, che rimangono insuperate nel definire questo evento epocale. Come rilevato, i testi di Norman Mailer sono contornati da centinaia di fotografie che sottolineano la spettacolarità delle missioni spaziali. Accanto a fotografie già note, viste e riviste, sono pubblicate anche immagini inedite (tutte restaurare con sistemi attuali di gestione e correzione); in assoluto, le illustrazioni tracciano i tempi dei progetti della Nasa, dalle prime sperimentazioni all’istante nel quale l’Uomo ha raggiunto la superficie della Luna [FOTOgraphia, novembre 2008, nel cinquantenario dell’agenzia]. Ancora, le considerazioni alte di Norman Mailer sono completate da valutazioni di esperti, che raccontano e spiegano la storia e la scienza che traspaiono dalle immagini. Ancora: interviste con gli astronauti e testimonianze di prima mano. Edizione di prestigio, come anticipato, l’originario MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11 è realizzato in tiratura limitata e numerata di millenovecentocinquantasette copie (1957); ovviamente, il prezzo di vendita/acquisto è proporzionale alla specificità della produzione: dai settecentocinquanta euro originari, nel 2009, si è approdato ai tremilacinquecento euro attuali. Ogni copia comprende una stampa fotografica a colori 40x32,5cm, incorniciata in plexiglas, del celebre ritratto di Edwin E. Aldrin Jr in piedi sulla Luna, con l’altro astronauta Neil A. Armstrong che si riflette nella visiera del suo casco. Immagine-simbolo dell’Uomo sulla Luna, proposta e riproposta migliaia di volte (anche e ancora da noi, oggi), questa autentica icona è qui offerta in una confezione dedicata, comprensiva della firma autografa dello stesso Buzz Aldrin.

ANCORA PIÙ SPECIALE. DI PIÙ ANCORA

In tiratura di millenovecentocinquantasette copie (1957) numerate, l’edizione speciale di MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11, in confezione dedicata, si arricchisce oggi di ulteriori particolarità bibliografiche in dodici esemplari, tanti quanti sono stati gli astronauti sbarcati sulla Luna (da Apollo 11 a Apollo 17, senza Apollo 13, come dovrebbe essere noto a tutti): conteggiate da 1958 a 1969. Disegnata da Marc Newson, la Lunar Rock Edition di MoonFire è ispirata al Lem di Apollo 11 (Lunar Excursion Module). Ogni volume è contenuto in una custodia composta da un singolo

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pezzo di alluminio, la cui superficie è una topografia 3D della Luna, e viene fornito con un pezzo unico di roccia lunare. I meteoriti della Luna sono eccezionalmente rari; ne esistono meno di settanta, il che li rende milioni di volte più rari dei diamanti di qualità gemma. La maggior parte dei meteoriti lunari è conservata ed esposta in collezioni museali e in istituti di ricerca; soltanto quindici chilogrammi circa sono a disposizione dei singoli collezionisti di tutto il mondo: dodici esemplari accompagnano le edizioni speciali Lunar Rock Edition di MoonFire: The Epic Journey of Apollo 11.


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BOB GOMEL / TIME & LIFE PICTURES / GETTY IMAGES

NASA


(pagina accanto) The NASA Archives. 60 Years in Space; testi di Piers Bizony, Andrew Chaikin e Roger Launius; Taschen Verlag, 2019; edizioni inglese e tedesco, e bilingue inglese e francese; 468 pagine 33x33cm, cartonato, in cofanetto; 100,00 euro.

(pagina accanto, astronauti) Edward White fotografato dal comandante di Gemini 4 Jimes McDivitt. Durante la prima delle sessantasei orbite, fecero un tentativo che non riuscì di incontrarsi con lo stadio superiore del veicolo di lancio Titano. Su consiglio di McDivitt, White attese un’altra orbita per riprendersi dallo sforzo dell’appuntamento fallito, quindi uscì dalla capsula per la sua storica passeggiata spaziale, il 3 giugno 1965. Dave R. Scott, pilota di Apollo 9 (e poi, sulla Luna, con Apollo 15), emerge dal portello, per testare i sistemi di tuta spaziale che sarebbero stati utilizzati per le operazioni lunari (fotografia di Russel Louis “Rusty” Schweickart, marzo 1969).

Di dimensioni consistenti, 36,5x44cm, le trecentocinquanta pagine di MoonFire comprendono quattro foldout (pagine che si aprono su se stesse) e sono confezionate in un contenitore di plexiglas convesso, con finestra centrale. Come abbiamo già precisato, a seguire sono arrivate le edizioni librarie standard, riassunte a pagina 33; quindi, come già anticipato, si sono aggiunte ulteriori confezioni di prestigio e costo ancora maggiore (eccome!), delle quali riferiamo a pagina 34.

ARCHIVI NASA, DAL 1958 Creata dall’amministrazione Eisenhower, il 29 luglio 1958, dopo precedenti vicende confuse e contraddittorie [su questo stesso numero, a pagina 14], oltre tante altre prerogative, la Nasa (National Aeronautics and Space Administration) si segnala come prima agenzia spaziale civile (?) al mondo. Ovviamente, nacque in risposta alle missioni spaziali sovietiche Sputnik, avviate l’anno prima. Nel breve volgere di un decennio, la Nasa si è evoluta da modesti team di ricerca che sperimentavano piccoli razzi convertiti in una delle più grandi imprese tecnologiche e gestionali mai conosciute, in grado di inviare astronauti sulla Luna a bordo di giganteschi veicoli e inviare esploratori robotici verso pianeti prossimi alla Terra, come Venere e Marte, e di esplorare anche oltre il nostro sistema solare. A conti fatti, non sottostimiamo come queste osservazioni spaziali, accompagnate da fotografie spettacolari, distribuite a piene mani, abbiano trasformato la nostra comprensione del Cosmo e della fragile collocazione del nostro timido pianeta al suo interno. Nei sessanta anni di storia della Nasa, le immagini/fotografie hanno svolto un ruolo centrale. Chi oggi non ha familiarità con le affascinanti visioni lunari delle missioni Apollo [qui e oggi in celebrazione e commemorazione], dell’Universo indagato dall’Hubble Space Telescope [su questo stesso numero, a pagina 30] e i panorami nitidi di Marte inviati dai rover della Nasa? Chi può ignorare o dimenticare tutte queste visioni? Realizzata in collaborazione con l’ente spaziale statunitense (di richiamo e riferimento), The NASA Archives. 60 Years in Space, raccoglie oltre quattrocento fotografie storiche, riprodotte in generose dimensioni:

una sorta di storia pittorica del nostro Tempo. I testi di accompagnamento sono firmati dal giornalista scientifico Piers Bizony, da Roger Launius, ex capo storico della Nasa (dal 1990 al 2002), e dallo storico del progetto Apollo Andrew Chaikin.

L’ALTRA METÀ DELLO SPAZIO Non se ne è parlato molto. Non se ne è parlato al di fuori dell’allineamento politico con l’Unione Sovietica, tipico e caratteristico di certe manifestazioni pubbliche e giornalistiche dei decenni passati. Complici gli schieramenti preconcetti, nel mondo, le missioni spaziali sovietiche non hanno certo avuto la risonanza di quelle statunitensi, che la Nasa ha peraltro abilmente condito con la diffusione capillare di fotografie spettacolari delle proprie conquiste. E proprio la fotografia dello Spazio ha sempre rappresentato non soltanto un imprescindibile strumento di indagine scientifica, ma il canale fondamentale attraverso il quale lo stesso ente spaziale statunitense ha catturato e conquistato l’attenzione del pubblico, stupendolo con visioni strabilianti e assicurandosi, a diretta conseguenza, il suo consenso, anche per tenere vivo l’impegno del mondo politico nei confronti dei finanziamenti necessari a proseguire lungo la strada che conduce alle stelle. Un’edizione libraria bilingue (russo e spagnolo), del 1997, ha raccontato l’epopea spaziale sovietica. A cura dell’autorevole fotografo, docente, saggista, curatore e scrittore spagnolo Joan Fontcuberta, semplicemente intitolato Sputnik, in replica del primo satellite artificiale della storia, lanciato in orbita il 4 ottobre 1957 dal cosmodromo di Bajkonur, nell’odierno Kazakistan, il volume accompagnò una mostra fotografica e di reperti allestita in Spagna. Con l’occasione, e senza allungarci su altre considerazioni, precisiamo che in russo, il termine Sputnik (in cirillico Спутник) significa compagno di viaggio, inteso come satellite in astronomia. Nel mondo fotografico, Sputnik è stata una affascinante macchina fotografica sovietica, direttamente derivata dalla biottica Lubitel, finalizzata alla rappresentazione stereo. Ce ne siamo occupati venti anni fa, nel maggio 1999, in dop-

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

OMAGGIO DICHIARATO E COMMOVENTE

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Alcuni viaggi, alcuni momenti, cambiano l’Umanità per sempre! Qualsiasi viaggio nella Vita, se non fosse intrapreso per ragioni umane e con comprensione e amore, sarebbe un viaggio assolutamente inutile. Parliamo sempre di qualcosa che vale la pena ricordare, dal momento che la tecnologia trasforma in realtà antichi sogni (e il Sapiens si qualifica per la propria capacità di immaginare). La fonte della tecnologia applicata (anche fotografica) è quella stessa fonte che alimenta la Vita e l’Evoluzione dell’Esistenza. Dieci anni fa, nel 2009, una affascinante campagna pubblicitaria Louis Vuitton ha celebrato e commemorato il quarantesimo anniversario della missione di Apollo 11, uno dei momenti che hanno segnato indelebilmente il cammino dell’Umanità.

Nella fotografia di Annie Leibovitz, evocativa dell’allunaggio, tre personaggi di spicco, che hanno tracciato linee demarcatorie dell’intero programma spaziale statunitense: Sally Kristen Ride, la prima statunitense nello Spazio (dal 18 al 24 giugno 1983, a bordo della STS-7; prima di lei, soltanto due donne sovietiche, Valentina Vladimirovna Tereškova e Svetlana Yevgenyevna Savitskaya); Edwin E. Aldrin Jr (“Buzz”), dell’equipaggio di Apollo 11, il secondo Uomo sulla Luna; e James Lovell, comandante di Apollo 13, la missione che non ha potuto raggiungere la Luna. La campagna internazionale Louis Vuitton è stata realizzata dall’agenzia Ogilvy & Mather, di Parigi: creative director Christian Reuilly, copywriter Edgard Montjean, art director Antoaneta Metchanova.


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La luna di Giove è sminuita dal pianeta in orbita: dalla navicella spaziale Cassini, in rotta verso Saturno.

Autoritratto di Curiosity, del 5 agosto 2015, realizzato con la telecamera Mars Hand Lens Imager (Mahli) all’estremità di un braccio robot lungo più di due metri.

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Sputnik / Спутник; a cura di Joan Fontcuberta; Fundación Arte y Tecnologia, 1997; edizione bilingue spagnolo e russo; 240 pagine 17x23cm, cartonato; oggi quotato 450,00 euro.

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Sei pose di Buzz Aldrin, il secondo Uomo sulla Luna, sono state editate da Taschen Verlag in tiratura di settantacinque copie montate su pannello in alluminio ChromaLuxe 101,6x101,6cm, firmate dall’astronauta e certificate: 4000,00 euro ciascuna.

pia presentazione, estetica e di contenuto, in relazione alla sua identificata personalità a un tempo eccentrica e trasgressiva: dal fascino dell’estetica al vigore formale della rappresentazione tridimensionale. Come detto, derivata dalla biottica Lubitel-2, la Sputnik ha un solo obiettivo reflex di visione, accoppiato ai due obiettivi accostati di ripresa Lomo T-22 75mm f/4,5. L’inquadratura su schermo chiaro e trasparente si abbina all’area centrale smerigliata per la messa a fuoco del soggetto; ovviamente, l’accomodamento degli obiettivi di ripresa è associato a quello dell’obiettivo centrale di visione: a partire dalla distanza minima di messa a fuoco di 1,3 metri circa. Anche la scala dei tempi di otturazione, da 1/15 a 1/125 di secondo più la posa B, e quella delle aperture di diaframma, fino a f/22, sono sincronizzate tra loro, in modo che i due obiettivi accostati siano regolati sui medesimi valori di esposizione. L’otturatore centrale, con caricamento a leva, non ha alcuna sicurezza contro le doppie esposizioni involontarie. E tanto ci basti. ❖



HASSELBLAD All’alba degli anni Sessanta, all’inizio delle missioni spaziali statunitensi, la sistematica documentazione fotografica non era stata presa in seria considerazione. Come qui raccontiamo, il primo astronauta John H. Glenn scattò alcune fotografie con la sua Ansco Autoset 35 personale (Minolta Hi-Matic), nella missione Friendship 7, del 20 febbraio 1962: i risultati furono scadenti. Un poco migliori furono le fotografie riprese con una Robot Recorder 35 dal secondo astronauta, Malcolm “Scott” Carpenter, in orbita il ventiquattro maggio dello

di Antonio Bordoni

Walter Marty Schirra Jr è stato il terzo astronauta statunitense nello spazio: Mercury / Sigma 7 (Atlas 8), il 3 ottobre 1962, sei orbite attorno la Terra. È stato lui a consigliare alla Nasa l’adozione dell’Hasselblad 500C per le riprese fotografiche (centro pagina).

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S

oprattutto oggi, in un cinquantenario dall’allunaggio di Apollo 11 (20 luglio 1969) caratterizzato e definito da tempi sociali dominati dalla Rete, che tutto raccoglie e tanto può trasmettere, non serve richiamare la successione delle missioni Apollo, che hanno portato l’Uomo sulla Luna: ovvero, al giorno d’oggi, sono facilmente reperibili informazioni specifiche e dettagliate. Soltanto, dal nostro punto di vista mirato, che sottintende “La Fotografia come...” (dalla Copertina), dobbiamo osservare che la testimonianza visiva è raccontata da fotografie adeguatamente spettacolari, che la Nasa ha sempre distribuito a piene mani, anche per sostenere quell’affezione popolare ai propri programmi che sta alla base della continuità dei finanziamenti governativi, assolutamente indispensabili. Anche noi, ancora oggi, testimoniamo della spettacolarità delle fotografie dello e dallo Spazio, sostanzialmente diverse da quelle autenticamente scientifiche che sono servite e servono in altri ambiti, perfino in quelli militari e strategici (non possiamo ignorarlo). Quindi, come annotato altrove, siamo altresì convinti che


E NON ALTRI

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stesso 1962 (Mercury-Atlas 7). Per il terzo volo (Mercury 8 / Sigma 7; 3 ottobre 1962), l’astronauta Walter Marty Schirra Jr, anche fotografo per passione, che già conosceva e utilizzava il sistema Hasselblad, raccomandò agli scienziati della Nasa la 500C, che fu acquistata presso un negozio di Houston. Poche modifiche resero il suo impiego più comodo nel ristretto spazio della cabina di pilotaggio. Con quella prima “casualità”, iniziò il capitolo spaziale della storia Hasselblad, che alla fine degli anni Sessanta sarebbe sbarcata sulla Luna

alcune di queste fotografie potrebbero essere state realizzate a Terra, in allestimenti scenici predisposti, per sicurezza, piuttosto che spettacolarità certa. Comunque, alla resa dei conti e in rispetto dell’immaginario collettivo che è stato creato, sono avvincenti sia le fotografie posate, sia quelle riprese in orbita, attorno la Terra o attorno la Luna. In questo senso, come spesso sottolineato, è esemplare e sintomatico il caso di Apollo 8 (21-27 dicembre 1968), la seconda missione con equipaggio del programma, la prima a raggiungere la Luna: due orbite attorno la Terra e le prime dieci orbite attorno la Luna, con debutto dell’Hasselblad 500EL/70, con motore elettrico incorporato e magazzino per pellicole 70mm a doppia perforazione (annotazione d’obbligo). Le fotografie riprese nel corso della missione ebbero un’importanza determinante nell’ambito dell’intero progetto Apollo. Agli astronauti Frank Frederick Borman II, James “Jim” Arthur Lovell Jr (poi, comandante dell’equipaggio di riserva di Apollo 11 e comandante della missione Apollo 13, che dovette tornare a casa, senza raggiungere la Luna) e William Alison Anders fu affidato anche l’incarico di fotografare la superficie della Luna, alla ricerca del punto più indicato per l’allunaggio programmato per la missione Apollo 11.

Neil Alden Armstrong è stato il primo Uomo sulla Luna, il 21 luglio 1969, a seguito dell’allunaggio del giorno prima. Qui lo vediamo in una fase di addestramento, con Hasselblad 500EL/70 ancorata alla tuta, che avrebbe fatto parte della dotazione di Apollo 11.

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I primi due voli orbitali Mercury con equipaggio umano non contemplarono la documentazione fotografica, e quindi le prime fotografie dallo Spazio si devono alle iniziative personali degli astronauti John Glenn (Friendship 7) e Malcom “Scott” Carpenter, (Atlas 7), che il 20 febbraio e il 24 maggio 1962 portarono con sé apparecchi fotografici personali: rispettivamente, una Ansco Autoset 35 (Minolta Hi-Matic) e una Robot Recorder 35. Quindi, dall’autunno 2014, all’elenco si è aggiunta anche una inedita Leica Ig, con ampio mirino, che sarebbe stata usata da John Glenn, il primo astronauta statunitense (fonte: The National Air and Space Museum, di Washington DC).

In assoluto, quelle di Apollo 8 furono le fotografie più affascinanti riprese dagli astronauti statunitensi. Una delle sequenze più belle riportate dai voli spaziali è giusto quella nella quale si vede il globo terrestre, d’un blu marmorizzato, sorgere a poco a poco sul desolato orizzonte lunare per stagliarsi, infine, luminoso sullo sfondo nero profondo dello Spazio... con quanto ipotizziamo che ne sia conseguito [da pagina 24]. A seguire, sulla Luna sono state realizzate fotografie esteticamente ed espressivamente affascinanti, fino all’ultima missione Apollo 17, la sesta, con abbondanza di veicoli lunari al lavoro. Poi, ci sono anche le fotografie spaziali dal telescopio orbitante Hubble [a pagina 30 e, più ampiamente, in FOTOgraphia, del novembre 2008], e quelle delle sonde che hanno raggiunto Marte. A questo punto, approdiamo alle Hasselblad di Apollo 11, il cui rivestimento esterno in plastica venne sostituito con un involucro di alluminio, necessario a preservarle dal surriscaldamento. Tutti gli interruttori, i piccoli motori elettrici azionati da pile e gli altri elementi elettrici furono incapsulati nel corpo macchina, escludendo qualsiasi possibilità di scintille che, in un’atmosfera di ossigeno puro, quale quella che circonda gli astronauti, avrebbero provocato tremende esplosioni.

Non bisogna poi dimenticare che, tanto al decollo quanto all’atterraggio, gli apparecchi fotografici dovevano essere in grado di sopportare elevate sollecitazioni meccaniche. Nei test, vennero esposti a sollecitazioni di più/meno venti accelerazioni di gravità, per la durata di tre minuti (in queste condizioni, la macchina fotografica arriva a pesare venti volte più del normale). Inoltre, tutti gli apparecchi fotografici dovevano resistere sia a urti fino a trenta accelerazioni di gravità in undici millisecondi, sia alle grandi variazioni della pressione atmosferica. Infine, tutti furono collaudati a temperature da meno centotrenta a più cento gradi, anche se nello Spazio avrebbero dovuto lavorare “soltanto” entro le temperature comprese tra venti e sessanta gradi. Le immagini della superficie terrestre e di quella lunare riprese nel corso delle diverse missioni sono soprattutto servite per l’indagine di fenomeni geologici, atmosferici e meteorologici, che fino ad allora non erano mai stati osservati. Tra le immagini rese note, ci sono anche le documentazioni degli esperimenti effettuati dagli astronauti in volo: passeggiate fuori dalla capsula, aggancio di due moduli nello Spazio (appuntamento nello Spazio tra Gemini 6 e Gemini 7, il 15 dicembre 1965).


Configurazioni Hasselblad 500EL/70 e SWC in versione Nasa, per missioni spaziali: sia in raffigurazione integra, sia di apparecchi effettivamente utilizzati dagli astronauti. L’attrezzatura HDC (Hasselblad Data Camera), derivata dalla 500EL standard, fu dotata di un obiettivo Carl Zeiss Biogon 60mm f/5,6 altrettanto particolare, a propria volta congeniale alla restituzione fotogrammetrica. Come tutti gli obiettivi adattati da Zeiss alle esigenze e necessità della fotografia nello Spazio, anche il Biogon speciale venne costruito tenendo conto del comportamento in assenza di gravità. Le tolleranze per gli otturatori -con tempi di 1/60, 1/125 e 1/250 di secondovennero ridotte; e fu studiata una lubrificazione particolare delle parti meccaniche. Per altra parte, Kodak produsse pellicola invertibile 70mm a strato estremamente sottile, in modo da consentire di scattare fino a quattrocento fotografie con un tradizionale dorso portapellicola, che ha autonomia di novanta fotogrammi 6x6cm.

Attraverso la registrazione fotografica, l’Uomo comune ha partecipato alle straordinarie prospettive che si aprivano agli astronauti. L’Umanità ebbe un’immagine completamente nuova, e fino ad allora sconosciuta, del Mondo in cui viveva nell’Universo. In tutti i casi, non erano mai previste fotoricordo, neppure durante la breve permanenza sulla Luna: ventuno ore e mezzo, di cui venti ore e quaranta minuti di lavoro fuori dal modulo. La prima trasgressione spaziale nota, e già riferita, è quella di Apollo 8, durante la quale fu ripresa la sequenza della Terra che sorge dalla Luna. Anche Armstrong e Aldrin, una volta scesi sulla Luna, subirono il fascino del momento e si lasciarono andare a qualche fotoricordo. Per la verità, questo non è un capitolo a due voci, ma un monologo. Tutte le fotografie note della permanenza sulla Luna degli astronauti sono state scattate dal comandante Neil A. Armstrong, e dunque ritraggono sempre Buzz Aldrin, in posa oppure impegnato nelle attività extra-veicolari. Nell’autobiografia di Edwin E. Aldrin Jr si trovano riferimenti a questo riguardo. Aldrin precisa che «con il procedere del lavoro sulla Luna, Neil aveva quasi sempre con sé la macchina fotografica e quando appare un astronauta su una fotografia, quello sono quasi

sempre io». Aldrin annota anche di essere stato ripreso accanto alla bandiera statunitense fissata al suolo. Si ricorda che, subito dopo, lui e Armstrong avrebbero dovuto invertire i ruoli. Dal controllo a Terra arrivò invece l’ordine di rientrare nel modulo, per ricevere un messaggio del presidente Richard Nixon. Quella che abbina Hasselblad alle missioni spaziali della Nasa è una storia lunga. Da quasi sessant’anni, la svedese Hasselblad è legata a doppio filo con le missioni spaziali statunitensi. I primi due voli orbitali Mercury con equipaggio umano non contemplarono la documentazione fotografica, e quindi -pur deludenti- le prime fotografie dallo Spazio si devono soltanto alle iniziative personali degli astronauti John Herschel Glenn, di Friendship 7 (tre orbite attorno la Terra), e Malcom “Scott” Carpenter, di Atlas 7 (tre orbite attorno la Terra), che il 20 febbraio e il 24 maggio 1962 portarono con sé apparecchi fotografici personali: rispettivamente, una Ansco Autoset 35 (Minolta Hi-Matic, rinominata dalla Ansco Company, di New York City) e una Robot Recorder 35, ha annotato la Storia. In entrambi i casi, gli astronauti tornarono a Terra con fotografie di nessun valore, totalmente inutilizzabili. Quindi, dall’autunno 2014, all’elenco si è ag-

(doppia pagina precedente, al centro, dall’alto) Cartolina realizzata da Fowa (con partecipazione Hasselblad), per il decimo anniversario dell’allunaggio (20 luglio 1979), inviata da Göteborg, sede svedese di Hasselblad, con annullo postale certificatore. Grazie, signora Winkler. Hasselblad 500EL/70 in versione Apollo 11, e qualche missione precedente (da Apollo 8) e tutte le successive. Dodici di queste Hasselblad sono rimaste sulla Luna, come specificato nel testo principale; soltanto i magazzini portapellicola sono tornati a Terra.

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (2)

Addestramento di astronauti per l’uso dell’Hasselblad 500EL/70 e, in alto e in alto a destra, attività axtraveicolari delle missioni Gemini e Apollo, sempre con apparecchio fotografico Hasselblad tra le mani.

(centro pagina) Da una emissione filatelica dell’Isola di Man, del 15 aprile 2009 (quarantesimo anniversario dall’allunaggio di Apollo 11), due dei dieci valori in serie: in entrambi i francobolli sono identificabili apparecchi fotografici Hasselblad.

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giunta anche una inedita Leica Ig, con ampio mirino, che sarebbe stata usata da John Herschel Glenn, il primo astronauta statunitense in orbita attorno la Terra (fonte: The National Air and Space Museum, di Washington DC) [FOTOgraphia, dicembre 2014]. Il terzo americano del programma spaziale Mercury, Walter Marty Schirra Jr (“Wally”), era un fotografo dilettante. La sua competenza tecnica venne quindi tenuta in debito conto; accogliendo una specifica richiesta, la Nasa gli fornì una Hasselblad 500C. Comperata in un negozio di Houston, la macchina fotografica venne modificata soltanto per renderne più comodo l’utilizzo all’interno del ristretto spazio della cabina di pilotaggio. Con il volo Mercury / Sigma 7 (Atlas 8), del 3 ottobre 1962, sei orbite attorno la Terra, Hasselblad entra così nella storia delle missioni spaziali, salendo a bordo della navicella assieme al comandante Wally Schirra. La collaborazione con Hasselblad iniziò allora. All’avvio del programma Gemini, vennero usati soltanto apparecchi fotografici Hasselblad 500C; successivamente, la Nasa si orientò anche sulla grandangolare SWC, destinata a diventare involontariamente famosa. Nel corso della missione Gemini 10, nel luglio 1966, Michael Collins (che tre anni dopo avrebbe fatto parte dell’e-

quipaggio di Apollo 11, il primo con destinazione Luna) uscì dalla navicella per scattare alcune fotografie. In collegamento radio con Houston, divulgato a tutto il mondo, improvvisamente, Collins si lasciò scappare una imprecazione: «Maledizione! -disse- L’ho lasciata cadere! Ho lasciato cadere la mia Hasselblad!». Oltre questa SWC involontariamente sfuggita al controllo, altre Hasselblad sono non sono tornate a casa. Per lasciare posto ai reperti recuperati sulla superficie della Luna, le missioni Apollo, da 11 a 17, ad esclusione di Apollo 13, hanno specificamente previsto l’abbandono volontario di una parte delle attrezzature tecniche, tra le quali anche gli apparecchi fotografici (non i dorsi portapellicola, ovviamente). Complessivamente, sono rimaste sulla Luna dodici Hasselblad 500EL prive di magazzino portapellicola. Questi apparecchi fotografici si trovano nel Mare Tranquillitatis (Apollo 11), nell’Oceano Procellarum (Apollo 12), presso il Massiccio di Fra Mauro (Apollo 14), vicino alla Cresta di Hadley negli Appennini (Apollo 15) e vicino al punto di allunaggio Descartes (Apollo 16). Si tratta sempre di corpi macchina motorizzati 500EL, che Hasselblad ha modificato per l’uso in assenza di gravità e in presenza di forti oscillazioni della tempe-


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All’indomani della missione di Apollo 12 (14-24 novembre 1969), un’Hasselblad è diventata celebre per essere stata raffigurata al petto di Alan L. Bean: in alto, a sinistra, la raffigurazione ufficiale; in alto, a destra, un’altra posa. Una interpretazione di questa fotografia è stata usata per un’emissione filatelica svedese del 29 marzo 1988 (a sinistra, in basso): il bozzettista Czeslaw Slania (a sinistra, al centro) ha adattato la fotografia originaria alle esigenze del valore postale. Quindi, questa stessa fotografia è tornata d’attualità sulla copertina del mensile Newton, del novembre 2002.

ARCHIVIO FOTOGRAPHIA (3)

Ancora Hasselblad in filatelia statunitense: foglio Souvenir con francobollo olografico, dell’8 luglio 2000.

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ARCHIVIO FOTOGRAPHIA

(a destra, in alto) Annuncio pubblicitario internazionale Hasselblad che sottolinea la propria partecipazione al programma spaziale statunitense, culminato con l’allunaggio di Apollo 11, il 20 luglio 1969... cinquanta anni fa.

Saluto alla bandiera, ma anche a noi, a conclusione di questo lungo cammino sollecitato dal cinquantenario dell’allunaggio di Apollo 11, dal quale ci siamo mossi per considerazioni indirizzate, ma anche deviate. Comunque, dalla missione Apollo 15 (26-30 luglio 1971), in fotogramma 6x6cm su pellicola 70mm a doppia perforazione, l’astronauta James Irwin.

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ratura. Oltre gli apparecchi fotografici che possiamo definire sostanzialmente standard, sulla Luna, la Nasa ha utilizzato soprattutto Hasselblad complete di una piastra reseau, il cui reticolo a croci -impressionato sul fotogramma- ha consentito una perfetta misurazione delle dimensioni del soggetto inquadrato. Questa attrezzatura HDC (Hasselblad Data Camera) fu dotata di un obiettivo Carl Zeiss Biogon 60mm f/5,6 altrettanto particolare, a propria volta congeniale alla restituzione fotogrammetrica. Come tutti gli obiettivi adattati da Zeiss alle esigenze e necessità della fotografia nello Spazio, anche il Biogon speciale venne costruito tenendo conto del comportamento in assenza di gravità. Le tolleranze per gli otturatori -con tempi di 1/60, 1/125 e 1/250 di secondo- vennero ridotte; e fu studiata una lubrificazione particolare delle parti meccaniche. Per altra parte, Kodak produsse pellicola invertibile 70mm a strato estremamente sottile, in modo da consentire di scattare fino a quattrocento fotografie con un tradizionale dorso portapellicola, che in condizioni normali ha una autonomia di novanta fotogrammi 6x6cm. All’indomani della missione di Apollo 12 (Charles “Pete” Conrad Jr, Richard Francis Gordon Jr e Alan LaVern Bean; 14-24 novembre 1969), un’Hasselblad è diven-

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A differenza di quanto ipotizzato durante gli esperimenti condotti a Terra, il lavoro sulla Luna costò minor fatica agli astronauti. Questo ha consentito a Buzz Aldrin e Neal A. Armstrong di sistemare facilmente tutte le apparecchiature che la missione Apollo 11, in allunaggio dal 20 luglio 1969 (cinquanta anni fa), si proponeva di mettere in funzione. Qui sopra, davanti al modulo lunare, è visibile un inconsueto apparecchio Kodak stereo, per rilevazione della superficie lunare. Appoggiata al terreno e comandata da un braccio estensore (grande impugnatura, tipo aspirapolvere), questa particolare dotazione realizza fotogrammi stereo che inquadrano una superficie di circa venti centimetri quadrati, rendendo estremamente visibili i dettagli della superficie, come la famosa polvere lunare, che contiene piccole particelle lucenti di forma sferica. Gli scienziati hanno potuto stabilire che qualsiasi parte del suolo ha sempre avuto questo aspetto, senza subire alcuna modifica attraverso migliaia di anni.

tata celebre per essere stata raffigurata al petto di Alan L. Bean. Lontana dal rigore delle documentazioni scientifiche di protocollo, al pari dell’immagine-simbolo di Apollo 11 (dell’Uomo sulla Luna), il ritratto di Buzz Aldrin con Neil A. Armstrong riflesso nella visiera, anche questa fotografia è analogamente curiosa, perché raffigura due astronauti simultaneamente: Charles Conrad Jr è riflesso nella visiera dorata, come in uno specchio. Per tanti versi, la doppia raffigurazione di Alan L. Bean con Charles Conrad Jr riflesso nella visiera è emblematica delle missioni lunari. Hasselblad a parte, che richiama soprattutto l’attenzione del mondo fotografico, l’inquadratura sintetizza il senso delle rilevazioni scientifiche assegnate agli astronauti. Alan L. Bean regge un contenitore per campioni, appositamente studiato per l’analisi dell’ambiente lunare. Insieme con Charles Conrad Jr, l’ha appena riempito di sabbia del Cratere Sharp, nell’Oceano delle Tempeste. Sul polso sinistro della tuta è visibile l’elenco delle operazioni da svolgere; l’Hasselblad sul petto è agganciata al quadro di controllo. Le missioni spaziali statunitensi debbono non poco alla propria documentazione fotografica, realizzata appunto con apparecchi Hasselblad, prodotti in Svezia. E, ora, basta. La piantiamo qui. ❖



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un negozio di terroni* per terroni** In un paese ed epoca in cui la forma apparente ha sostituito il contenuto, perché non agire per sovvertire questa tragica condizione, per tornare alla parola che sia se stessa, e sia densa di significati propri? Perché non considerare che il rispetto è valore concreto, da frequentare e perseguire? Perché non agire nella convinzione che etica e morale siano ancora qualità e doti, insieme con garbo, eleganza e grazia? Una volta ancora, una volta di più, non certo per l’ultima volta: vogliamo parlarne?

* Terróne (sostantivo maschile / terróna, al femminile). Derivazione da “terra”; probabilmente, tratto da denominazioni di zone meridionali, quali “Terra di Lavoro” (in Campania), “Terra di Bari” e “Terra d’Otranto” (in Puglia). Appellativo dato, con intonazione spregiativa (talvolta anche scherzosa), dagli abitanti dell’Italia settentrionale a quelli dell’Italia meridionale [Enciclopedia Treccani ]. Terrone è un termine della lingua italiana, utilizzato in tono dispregiativo (talvolta in tono scherzoso, a seconda del contesto) per designare un abitante dell'Italia meridionale. Ha diverse varianti piuttosto diffuse e riconoscibili nelle lingue locali: terún, terù, teron, tarùn, tarù (lombardo); terún (ligure); terù, terún, tarún (piemontese); tarùn, taroch, terón (veneto, friulano); teròch, tarón (emiliano-romagnolo); terón, terró (marchigiano); teróne, taròne in altri idiomi dell'Italia settentrionale, mentre rimane terrone in toscano e romanesco [Wikipedia ].

** L'espressione politicamente corretto (traduzione letterale dell'inglese politically correct) designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l'offesa verso determinate categorie di persone. Qualsiasi idea o condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare, quindi, per contro, politicamente scorretta (politically incorrect ). L'opinione, comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale, o relativo a disabilità fisiche o psichiche della persona [Wikipedia ].


Attualità tecnologica di Antonio Bordoni

SECONDA GENERAZIONE

P

Presentata nell’estate 2016 e ufficialmente pubblica dalla Photokina del settembre immediatamente successivo [FOTOgraphia, novembre 2016], l’avvincente e convincente Hasselblad X1D approda ora alla sua seconda versione, per l’appunto identificata X1D II 50C. Facile: le caratteristiche e prestazioni basilari e formative rimangono le stesse, e vengono confermate, in una configurazione trasformatasi “dentro”; l’evoluzione tecnologica è sottolineata dalla graduatoria “II”, ovvero Seconda; la consistente risoluzione di cinquanta Megapixel è ora certificata nella sigla esplicita “50C”. Per quanto, poi, l’Hasselblad X1D abbia avviato un nuovo comparto tecnico-commerciale -Mirrorless medio formato, con sensore di dimensioni generose e prestazioni avvincenti-, l’attuale configurazione X1D II 50C conferma la solidità e intelligenza di una interpretazione tecnologica capace di fare la differenza, soprattutto nel concreto ambito della fotografia professionale senza compromessi qualitativi e nel comparto di quei non professionisti altrettanto indirizzati, quantomeno dal punto di vista formale (attenzione: nel proprio insieme e complesso, l’industria fotografica assolve, fornendo agli utilizzatori utensili/strumenti adeguati; il fotografo, poi, risolve / deve risolvere con la propria perizia espressiva). Si conferma il sensore della prestigiosa reflex H6D-50c, del quale vanno ripetuti i parametri operativi: sensore Cmos da 50 Megapixel (8272x6200 pixel), con filtro IR, dimensioni fisiche 43,8x32,9mm, per riprese fotografiche (Raw, 65MB; Tiff, 154MB) e Video HD (1920x1080p). Nella propria configurazione Mirrorless, l’Hasselblad X1D II 50C può essere definita “compatta”, a partire dai suoi soli seicento grammi (600g), che è metà del peso delle reflex più diffuse. Quindi, si presenta con una livrea che ripropone in termini moderni e contemporanei disegni già incontrati nel sistema Hasselblad senza tempo. Chi ha questa memoria, chi ha questa competenza, chi conosce anche il passato tecnologico... non può non tornare con

La Mirrorless originaria Hasselblad X1D, del 2016, cede oggi il passo alla seconda generazione Hasselblad X1D II 50C, migliorata sulla base del protocollo tecnico già noto e apprezzato.


Attualità tecnologica

A propria volta evoluzione del dorso digitale originario CFV 50C, l’attuale versione Hasselblad CFV II 50C, presentata unitamente alla seconda generazione Mirrorless X1D II 50C, offre migliorie di uso e prestazioni incrementate, mantenendo la propria missione originaria di abbinarsi ai corpi macchina meccanici del sistema V (dal 1958 in avanti!). Ancora, oltre questa combinazione, un interfaccia 907X (stile corpo macchina SWC, ma di dimensioni inferiori) ne consente l’impiego con gli obiettivi XCD della X1D e X1D II 50C, di tiraggio sostanzialmente contenuto (Mirrorless). Di fatto, l’affascinante interfaccia 907X va considerato e conteggiato come corpo macchina medio formato, probabilmente il più piccolo corpo macchina della Storia tecnica della fotografia: per obiettivi Hasselblad XCD e dorsi Hasselblad in attacco V, sia digitali sia per pellicola a rullo 120 e 220, con copertura del fotogramma 6x6cm. Così che, presente/futuribile e passato si combinano in un’ipotesi modulare senza precedenti, visto che, rispetto altri aggiustamenti simili nel concetto, si basa su un sistema ottico attuale. Tra l’altro, e in nostro allineamento odierno, alla maniera delle versioni fotografiche speciali di qualche stagione fa, in forma di conio impreziosito, registriamo la configurazione dorso, interfaccia e obiettivo, in nero, dedicata al cinquantenario di Apollo 11: ovvero, On the Moon Since 1969, in pregiata (e costosa?) tiratura numerata.

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il proprio pensiero alla genìa delle grandangolari SWC, con Carl Zeiss Biogon 38mm f/4,5 fisso. Tanto che, personalmente, speriamo proprio di vedere presto una ammaliante Hasselblad X1D II 50C Super Wide, con un grandangolare equivalente fisso (inutile!). Per ora, non disdegniamo la disponibilità di un sistema ottico XCD adeguatamente cadenzato, che -in occasione di questa novità tecnica sovrastante (X1D II 50C)- si arricchisce altresì di un nuovo disegno ottico: zoom XCD 35-75mm f/3,5-4,5. E poi, ancora, si conferma la possibilità di utilizzare obiettivi Hasselblad HC/HCD, H, Xpan e V, mediante appositi anelli adattatori. Ideata per gli appassionati di fotografia, siano professionisti o non professionisti, l’Hasselblad X1D II 50C declina l’immediatezza della ripresa a mano libera, con mirino portato all’altezza dell’occhio, con il rigore formale del sensore medio formato di acquisizione digitale di immagini. Soprattutto con l’obiettivo standard XCD 45mm f/3,5, questa combinazione, questo connubio, è a dir poco stupefacente, tanto da dischiudere la porta a un innovativo modo di affrontare, avvicinare e svolgere la fotografia dei nostri giorni, in acquisizione digitale di immagini. Certo, lo sappiamo bene, e ne siamo consapevoli: ai tempi di fotografia

Unitamente alla nuova versione Hasselblad X1D II 50C e al dorso digitale CFV II 50C, a propria volta seconda generazione dell’originario CFV 50C, per corpi macchina Hasselblad V, soprattutto meccanici, arriva sul mercato anche il nuovo disegno ottico zoom XCD 35-75mm f/3,5-4,5.

chimica, di pellicola fotosensibile, non sono certo mancate configurazioni fotografiche medio formato a mirino esterno, sia con messa a fuoco a telemetro, sia autofocus, sia a obiettivi intercambiabili, sia a obiettivo fisso. Ne abbiamo avute per formati di ripresa variati su pellicola a rullo 120 (e, a volte, persino 220): dal 4,5x6cm al quadrato 6x6cm, dal 6x7 e 6x9cm alle inquadrature panorama 6x12 e 6x17cm. Però la personalità dell’Hasselblad X1D II 50C è altro, e forse addirittura di più, perché si esprime in tempi nei quali la tecnologia digitale presenta e offre anche (ma non solo!) retrogusti amari di improvvisazione, disattenzione e altro tanto ancora. Così, una medio formato digitale compatta e portatile, a obiettivi intercambiabili, con sensore da cinquanta Megapixel, avvia un percorso, indica un tragitto, coinvolge / può coinvolgere autori di raffinata capacità osservativa e visuale. In conclusione, note tecniche, così come stabilito da consuetudini giornalistiche che raramente decliniamo... ma! Il già menzionato sensore medio formato Cmos da cinquanta Megapixel (8272x6200 pixel / 43,8x32,9mm) offre una gamma dinamica estesa su quattordici stop; l’acquisizione può essere selezionata 3FR Raw e Jpeg; il mirino è elettronico e il monitor posteriore touch screen; l’otturatore propone una ampia gamma di tempi, da sessanta minuti a 1/2000 di secondo, con sincronizzazione flash completa; sensibilità da 100 a 25.600 Iso equivalenti; doppio slot per schede di memoria SD, modulo GPS, Wi-Fi USB-C; Phocus per Mac e Windows e Phocus Mobile 2 (supporto per connessione via USB-C); batteria Li-ion ricaricabile via USB. (Fowa, via Vittime di Piazza Fontana 52bis, 10024 Moncalieri TO; www.fowa.it). ❖


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