FOTOgraphia 249-250 marzo aprile 2019

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Mensile, 6,50 euro, Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge il 27-02-2004, numero 46), articolo 1, comma 1 - DCB Milano

Fa impressione che una rivista (di carta!) raggiunga il Duecentocinquantesimo numero. Temo che un mio contributo sull’importanza delle riviste di fotografia oggi sia piuttosto deludente ero un lettore consumatore regolare, e persino accanito, da ragazzo, quando cominciavo a fotografare in Sicilia. A quei tempi, parlavano soprattutto di macchine, obiettivi e di brodini per svilup i rulli. Allora mi serviva. Ho poi continuato, in maniera discontinua dalla fine degli anni Sessanta a Milano, ma parlavano soprattutto di test su macchine e pellicole. Argomenti che non mi ha mai veramente interessato. Di cultura fotografica assai poco. Poi ha cominciato ad essercene. Ma soprattutto sulla fotografia fotoamatoriale. Ce n’erano tante, ricordo. Vivevano soprattutt XXVI al- suo NUMERO 249/250 MARZOMiaAPRILE 2019 pubblicità delle case produttrici di materiali, che poi è andata scemando. E molte sono morte.ANNO Photo francese apice tirava duecentomila-esemplari! moglie Paola Bergna dirig l’edizione italiana. La vedevo. Ne vedevo anche altre e spesso FOTOgraphia, che aveva e ha continuato ad avere un approccio diverso, curioso, più interessante. Cara Grazia, sei abbona FOTOgraphia da moltissimi anni. Qual è, secondo te, il valore della rivista? «Personalmente, per mio uso e per il fatto che la conosco da vent’anni, direi che mi piace perché differisce dalle riviste di fotografia. Amo i suoi collaboratori e le loro rubriche, rubriche che attendo mese dopo mese. Poi, mi piace la sua impaginazione originale, un po’ retrò, che fa venire in mente qu belle eleganti ed esclusive riviste del passato. Mi piacciono i temi “inusuali” che vengono scelti, il fatto che non lasci spazio ai pettegolezzi. E, soprattutto, mi piace che non ci siano semp solo i fotografi celebri e osannati, ma autori semisconosciuti e interessanti. Insomma, una rivista che propone temi un po’ diversi, e porta alla luce i risultati di una ricerca di fotografi m personale e intelligente». Cosa pensi del fatto che FOTOgraphia sia soprattutto cartacea? Pensi che abbia ancora senso una rivista che ha rigorosi ritmi mensili, rispetto all’accumularsi di no che arrivano a ogni istante sulla Rete, arrivi così frequenti e, a volte, sconclusionati, che non ti lasciano il tempo di riflettere? In altre parole, nell’era digitale, pensi possa resistere una riv cartacea, una rivista che lasci spazio alla riflessione? Sfogliare e leggere una rivista, specialmente se tratta di Fotografia, è sempre una esperienza immersiva. Siamo così tempestati da imma e da slogan pubblicitari e politici che ci riempiono la testa impedendoci quasi di pensare autonomamente, che una rivista, ben stampata e ben composta, è un’oasi per gli occhi e per la me Possiamo finalmente concentrarci sugli argomenti trattati che sono di nostro interesse, trascurare altri che non ci sono affini, anche attraverso l’esperienza sensoriale con la carta e con le riflesse, potendo leggere, rileggere, saltare, confrontare, annotare, accantonare e riprendere secondo i nostri di ritmi... di tempi... di concentrazione. Alcuni temi ci possono affascinare e il compe immagini e testi esplicativi ci consente di entrare, di approfondire, di capire, di concordare o dissentire senza doverne forzatamente rendere conto, di corroborare le nostre opinioni e di far delle nuove. Insomma, di crescere individualmente. La presenza sul mercato di una rivista come FOTOgraphia, di Maurizio Rebuzzini, è confortante per tutti coloro che (io sono tra questi) riteng che un ragionamento e una analisi attenta siano necessari all’approfondimento della immagine fotografica. Che la parola possa e debba tracciare una linea netta di demarcazione tra l’att strabordante uso del linguaggio fotografico come mero mezzo di trasferimento di dati e l’utilizzo del mezzo fotografico con finalità artistiche e creative è ormai esigenza urgente. Se è vero il fatto che quasi ogni essere vivente abbia in tasca un apparecchio fotografico non può che riempire di gioia chi ama questo mezzo tecnico... è anche vero che due miliardi e mezzo di imma postate sui social ogni giorno meritino un ragionamento e forse la stesura di una bozza di “grammatica” della lingua nuova. E allora ben venga l’intelligenza limpida e spesso ironica della riv di Rebuzzini che combatte una preziosa (e un poco donchisciottesca) battaglia contro l’immenso esercito dei distratti e dei fruitori di immagini prive di contenuti. Dai, parliamo di noi. In ve lo facciamo costantemente alle conferenze stampa, al bar, alle inaugurazioni delle mostre, durante le chiacchiere che ci si scambia nelle più diverse occasioni. Lo facciamo -chi più, chi me , a seconda del proprio desiderio di esibirsi, della propria aggressività, del proprio garbo, del proprio rispetto delle altrui visioni del mondo. Ma è la prima volta che mi capita di parlare di per iscritto. Quindi: dai, scriviamo di noi! Sono amico di Maurizio Rebuzzini da mille anni. Sì da molto prima che nascessimo. Se crediamo alla reincarnazione, se crediamo alla vita dopo la m (e se crediamo anche a molte altre cose), mi sia concesso di credere che io possa essere stato amico di Maurizio mille e forse più di mille anni fa, prima di nascere, quando eravamo conf nell’Iperuranio (o mondo delle idee: concetto proprio di Platone, espresso nel Fedro). Condividiamo, infatti, le stesse idee sulla nostra specie (Homo sapiens), condivisione che ha trovato confe sulle riflessioni del nostro lavoro di docenti universitari, su orrori e meraviglie dei nostri studenti, ma anche sulle convinzioni di cosa sia la Fotografia. Condivisione che più recentement trovato altre conferme nella lettura di Sapiens. Da animali a dèi, di Yuval Noah Harari. E che si è ulteriormente rafforzata durante gli anni della mia collaborazione alla rivista, e nei coll sempre più frequenti con Maurizio, al telefono o al ristorantino non lontano da via Zuretti 2a, prima gestito da egiziani, oggi da bengalesi che ci ho messo un po’ a convincere a trovarm peperoncino abbastanza piccante per il solito piatto di fusilli al pomodoro. Evviva (si fa per dire), insigni studiosi di neuroscienze, nonché la rivista Scientific American, dopo approfonditi s e indagini, hanno stabilito che le persone capiscono e ricordano meglio un testo su carta rispetto a uno letto sullo schermo di un computer, di un e-book o di un cellulare. Leggendo onlin tenderebbe a diventare semplici assimilatori di informazioni e non a porsi interrogativi utili per sviluppare una qualche forma di pensiero. «Noi non siamo quello che leggiamo [...]. Noi si come leggiamo», afferma Maryanne Wolf, psicologa dell’età evolutiva e autrice del libro Proust e il Calamaro. Storia e scienza del cervello che legge (e, per essere in sintonia con lo stile pre di FOTOgraphia, segnalo che il libro è stato edito da Vita e Pensiero, nel 2012, e che io ho ripreso la citazione dal sito http://acarrara.blogspot.com). Mentre mi accingevo a scrivere queste r dedicate all’impegno di Maurizio (e di Filippo) per la sua rivista (e di Filippo), mi sono imbattuto in un articolo di grande interesse per gli argomenti che avrei voluto affrontare. Paola De Car sul Corriere della Sera, ci rendeva edotti della nascita di movimento «... slow looking che il Gruppo Tate ha fatto proprio». È, come si intuisce, un movimento che vuole creare e diffondere cultura dello sguardo lento e riflessivo, senza l’angoscia di una corsa contro il tempo per cercare di vedere (vedere?) il più grande numero possibile di opere. In media, hanno constatato nei Musei Tate il visitatore, davanti a ogni singola opera, si ferma per circa otto (8!) secondi; avete letto bene: otto secondi. Ma come è possibile, davanti a un’opera d’arte, pensare di ricev emozioni profonde in otto secondi? Se voi guardate anche la pubblicità di qualche tour organizzato restate senza parola: per esempio, il giro dell’Europa in sei giorni (tempo addietro, un f Se è martedì deve essere il Belgio). La fretta, l’accaparramento di esperienze, la quantità delle cose viste per poterle subito condividere sui social sono aspetti che aiutano a costruire la dif ignoranza e insensibilità dei nostri tempi. Il suggerimento degli esperti dei Musei Tate è semplice: scegliete qualche opera, fermatevi con calma a osservarla, a sentire che emozioni trasm scegliete... E se c’è qualche rumore, meglio! Non puoi immaginare di vivere lo slow looking senza rumore... «il rumore fa parte dell’habitat dell’opera». Quale pensi debba essere il ruolo delle riv cartacee rispetto all’online? «Per quanto riguarda le riviste di fotografia, è ovvio che sono le immagini. Le immagini online, io le guardo, ovviamente, ma non si possono godere abbasta Adesso è molto diffuso, spero non troppo, l’eBook. L’eBook è una paginetta, e di questa paginetta si leggono due o tre paragrafi, non di più, il che è molto diverso rispetto al leggere un lib una rivista. È chiaro che non si può fermare non il progresso -perché questo non è progresso-, ma non si può fermare la tecnologia». Rivista o pubblicazione, trovi differenze? La differe potrebbe essere l’approfondimento dei contenuti? «Le riviste mensili sono riviste mensili. Anche FOTOgraphia, che ha una cadenza mensile, può essere vista come pubblicazione. Non ries capire la differenza». Quali sono le riviste o pubblicazioni fotografiche che ti hanno più influenzata? «Mi hanno influenzato le riviste straniere, che però non esistono più. Come ad esempio P Letter e Camera. Erano riviste molto complesse e guardavano molto avanti. Oggi, per quanto riguarda la fotografia ad esempio messicana, sappiamo abbastanza. La fotografia, fin dalla sua nas si è trascinata dentro due equivoci o pregiudizi che costantemente hanno influenzato il suo corso durante la storia. Questi pregiudizi sono quello oggettivista e quello che sostiene l’impossib di creare una vera arte a causa di una presunta contaminazione della tecnica e della meccanica che sono alla base del procedimento fotografico stesso. Questi sono due preconcetti che si s rivelati con il tempo falsi ma ancora oggi posseggono una serie di proseliti: a proposito della supposta impossibilità del fare arte a causa della contaminazione meccanica vi sono molti affermano che è impossibile che possa esservi un intervento del fotografo nell’operazione e che questo si debba ridurre ad una sola presenza passiva. Io risolverei la questione dicendo solo la tecnica è indispensabile per un discorso autonomo, ma che è anche indispensabile una visione originale e soprattutto personale che asservisca la tecnica al nostro volere. Dice ad esem Raffaello «Impara il tuo mestiere; non basta il mestiere per diventare artista, è vero, ma il mestiere [la tecnica] è necessario. Non basta mangiare per vivere da uomo, ma non si vive se no mangia. Arte in italiano significa prima di tutto mestiere». Per leggere di fotografia, a volte serve una certa inclinazione. Fu una faticaccia davvero tenere inclinato con l’angolatura giusta risp alla luce quel numero di FOTOgraphia dell’aprile 2011. Che quel Franti matricolato di Maurizio Rebuzzini volle stampare tutto cu carta opaca nera, e fin qui passi, ma con inchiostro serigra nero lucido, e qui le cose si facevano complicate e perfide. A pensarvi bene era una sottilissima sapientissima citazione fotologica: erano, le pagine di quel numero della rivista, tutte un po dagherrotipi anomali. C’era ovviamente un motivo spiegato (nell’unico testo in bianco - bianco e nero, ci risiamo con le allusioni) dall’Editoriale: nero essendo l’unico colore adeguato, scriv il direttore, a un «mondo italiano della fotografia diviso e scomposto in orticelli senza scambi, né punti di contatto che servano a tutti», in cui «si è persa la vivacità di incontro e di dibattit qualche stagione fa». Il rapporto tra la fotografia e la carta nasce quel giorno in cui William Henry Fox Talbot aveva sensibilizzato un foglio di carta passandolo in una soluzione di sale e, d essiccazione, in una soluzione di nitrato d’argento. Il miscuglio si trasforma in cloruro d’argento, sale che si annerisce alla luce del sole come un piatto o una forchetta e che, da allora, no smesso di impressionarsi. Era l’ottobre del 1833; Fox Talbot, trentatré anni, laureato e con un diploma di Master of Arts, appena sposato con Constance, aveva scelto Como per la luna di m Forse, per l’occasione, aveva acquistato una camera lucida, una specie di camera obscura portatile al rovescio. L’aveva inventata William Hyde Wollaston, come sempre per permettere agli a di far presto e meglio nella lotta con la prospettiva. La storia è stra-nota. Dopo l’ultima litigata con la camera lucida, che non voleva saperne di aiutarlo a fare “schizzi” del panorama off dal lago di Como, Fox Talbot pensa a una diversa soluzione usando la vera camera obscura, magari di piccole dimensioni. Tornato nella sua tenuta di Lacock Abbey, non lontano dalla rom Bath, sensibilizzato un foglio di carta, iniziò i suoi esperimenti. Quel furbacchione di Daguerre sarà stato il primo inventore ufficiale della fotografia, ma è Fox Talbot l’uomo che ha inven il negativo, anche se di carta! Ho scritto sempre e solo per il web. Gran parte dei materiali che consulto ogni giorno per il mio lavoro di giornalista è del tutto digitale e quando -a un ev stampa- mi pongono di fronte alla scelta tra una cartelletta ripiena di fogli e un’email con gli stessi materiali in formato digitale non ho dubbi, e opto sempre per la seconda soluzione. M sono alcuni ambiti in cui la carta rimane per me un’esperienza imprescindibile. Una sono certamente i libri: leggo già tante parole su display di tablet, smartphone e PC, durante la gior lavorativa, che nel tempo libero e per le letture che dedico alle mie passioni non ho voglia di posare il mio sguardo nuovamente su uno schermo, sia esso retroilluminato e e-ink, come qu degli e-book reader. Leggo di fotografia online per lavoro, ma leggo di fotografia per passione con delle pagine di carta che scorrono l’una dopo l’altra sotto i miei polpastrelli. C’è poi un a aspetto, che forse è addirittura più importante per me. Una rivista cartacea occupa uno spazio fisico all’interno della mia vita. Non può essere compressa in bit immateriali e stoccata su qua server. Una rivista cartacea vuole il suo spazio e quando non glielo si concede se lo prende da sola, magari occupando per giorni una mensola, un ripiano, oppure (e qui per anche per me anni) un cassetto. La prima volta che ho avuto la fortuna di visitare gli scantinati dove Maurizio Rebuzzini conserva, in un viale tortuoso di scaffalature stipatissime, la sua wunderkammer fotogra e l’ho ascoltato raccontare con il suo solito eloquio, affascinante e divertito, l’origine e la descrizione di oggetti o di macchine fotografiche, di libri o di illustrazioni, ho percepito come una pass può essere una fedele compagna di una vita. Esperto enciclopedico del settore? Scrittore, giornalista e critico dal linguaggio ricco e avvincente? Direttore deciso e caparbio, convinto assertore valore della rivista cartacea, concepita come una matrioska di pensieri colti e profondi? Ma chi è l’inventore di FOTOgraphia, il giornale che dal maggio del 1994 invita i suoi fedeli abbonati Riflessioni, le Osservazioni e i Commenti sulla Fotografia? Solo le sue parole, specchio di una personalità complessa e poliedrica, ci possono illuminare: «A parte la quantità e qualità di prese “fotografica” nel mio spazio operativo (studio? redazione di FOTOgraphia? accumulazione di testimonianze eterogenee?), ciò che mi pare faccia la differenza, stabilendo un passo, identifica una personalità, è il loro collegamento ideale e individuato. Nulla è per se stesso -come, peraltro, pure è-, ma tutto ruota attorno un’idea sovrastante di apprezzabile vitalità. Del resto, libri e ogg nello specifico riferiti alla Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi, non sono aridi punti di arrivo, ma -come tanto altro- straordinari s-punti di partenza. La passione è int e se possibile cresce ancora col passare del tempo. Sono fotografo professionista da decenni e mi sento ancora il fotoamatore degli inizi quanto a curiosità, entusiasmo e dubbi. Già, i dubbi cercano risposte, e più le cercano meno le trovano. Tra le poche cose che credo di aver compreso della fotografia sono i suoi limiti più che le sue possibilità, e forse proprio i suoi limiti coincid con la sua natura. Primo fra tutti la sua intrinseca difficoltà, per non dire impossibilità, ad avvicinarsi alla sinestesia, quel magnifico e miracoloso attivarsi simultaneo di tutti i nostri sens fotografia, checché se ne dica, attiva direttamente, fisiologicamente, solo uno di essi: la vista. Gli altri, in rari casi, al massimo possono essere evocati, richiamati alla mente come fa la made nella Recherche di Proust. Resta il fatto che una fotografia di fragole, per quanto invitante, se mangiata saprà -a seconda del supporto- di carta, d’inchiostro, di fissaggio, o di plastica se lecchi il monitor che la visualizza. In ogni caso, mai avrà il sapore delle fragole: ben poca realtà in un’immagine dal reale. In un porto della costa occidentale europea un uomo vestito poverament ne sta sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchia. Un turista vestito con eleganza sta appunto mettendo una nuova pellicola a colori nella sua macchina fotografica per fotografare quella sc idillica: cielo azzurro, mare verde con pacifiche, candide creste di spuma, barca nera, berretto da pescatore rosso. Clic. Ancora una volta: clic e siccome non c’è due senza tre, ed è sempre me essere sicuri, una terza volta: clic. Quel rumore secco, quasi ostile, sveglia il pescatore mezzo addormentato, che si drizza pieno di sonno, cerca -pieno di sonno- il suo pacchetto di sigarette prima di averlo trovato lo zelante turista gliene mette già un altro sotto il naso, gli ha infilato una sigaretta non proprio in bocca ma tra le dita, e un quarto clic, quello dell’accendino, conch quella sollecita cortesia. Quell’eccedenza quasi impercettibile, assolutamente indimostrabile di scattante cortesia ha provocato un irritante imbarazzo che il turista -il quale conosce la lingua cale- cerca di superare entrando in conversazione. – Oggi lei farà una buona pesca. Il pescatore scuote la testa. Perché una rivista cartacea, invece di una rivista digitalacea? a) Perché la condivis è bella, ma noi esseri umani siamo animali strani e, oltre a condividere, ci piace possedere. Sarebbe disonesto non ammetterlo: un po’, piace l’idea di avere qualcosa che si possiede unicame e non solo che si veda. E la rivista di carta può essere posseduta, se la tieni per te, o regalata, o prestata, ma sempre con il sottile piacere di trasferire il possesso materiale. b) Perché l’immate è concettualmente eterno, ma noi esseri umani siamo legati alla sfera dell’impermanenza, e sotto sotto ci indispone questa tracotanza del file che si propaga senza modificarsi. La rivista di c è tenera come un essere vivente, e non presupponente come un file. Si stropiccia, si strappa, ingiallisce. Condivide con noi i segni del tempo, e questo la rende enormemente più degna di risp di stima e di gratitudine. Una fotografia che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata Fotografia. La passione della conoscenza spinge talora i fotografi nelle consorterie, se sapere mai che la verità non si trova nella Bibbia, ma nella strada: un’immagine realizzata fuori dal mercimonio contiene il volto di mille padri e restituisce la realtà che la percorre, la ab l’ossessiona... e si oppone all’ignoranza, al silenzio e alla beatitudine della ragione imposta. La fotografia è propedeutica; il sistema delle immagini si accontenta del tragitto spettacolare che l’ing «Tutto è così adulterato, oggigiorno, che neppure la dinamite si può comprare alla stato puro» (Oscar Wilde)... figurati la Fotografia. Ecco, allora, l’importanza della fotografia di carta o della c della fotografia, cioè un dispositivo -come la rivista FOTOgraphia, edita e diretta da Maurizio Rebuzzini- che interagisce con i linguaggi fotografici e, senza temere contrasti o censure, apre str fa riflettere, riporta sovente a un modo di vedere e di vivere attraverso l’immaginario fotografico. Perché dove la Fotografia regna, la bellezza si confonde col giusto, il resto è tru

PAROLE DI ALTRI IN RIFLESSIONE DOVUTA


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