Periodico5 - La Fanzine del Collegio FSC

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NON CATECI I D U GI A L L A D ! A N I T R E COP


CoLoPhOn

ELEGANTI DALLA TESTA AI PIEDI, TRUCCO, PARRUCCO, ESPRESSIONE FIERA E DISTACCATA: PROPRIO QUELLO CHE VI ASPETTAVATE, VERO? SE LA SOCIETÀ FOSSE UNO SPECCHIO, RAVVISEREMMO AL SUO INTERNO UN RIFLESSO MANIERATO DI INECCEPIBILI RAGAZZI, STUDENTI MODELLO, DILIGENTI E SNOB, CON LA TESTA SULLE SPALLE E UN LIBRETTO DI SOLI 30. CI AVETE VESTITO DI AGGETTIVI TROPPO STRETTI PER ESSERE INDOSSATI DA CHI, PER INDOLE, SCEGLIE DI NON AVERE VESTITI. LA MODA E LE TENDENZE LE LASCIAMO ALLE PASSERELLE, QUESTE PAGINE SONO FATTE DELLE NOSTRE ANIME NUDE. IL LINGUAGGIO: IL MUST HAVE DI OGNI COMUNITÀ. MATTEO CAPPA HA FATTO DA STILISTA ALLE PAROLE CHE ATTRAVERSANO I NOSTRI CORRIDOI, CONFEZIONANDO NEOLOGISMI COLLEGIALI. CERCHIETTO BON TON E LENTIGGINI A SUBLIMARE UNO STOMACO TROPPO STRETTO PER DEI SOGNI COSÌ GRANDI: ALESSANDRA ESPOSITO HA DECISO DI FREGARSENE DEL GALATEO A TAVOLA, CON ERUTT-AZIONI CHE TUONANO FUORI DA NOI. CINQUE PUÒ ESSERE ANCHE LA MISURA DI TUTTE LE COSE SBAGLIATE, DI CUI NON RIUSCIAMO A FARE A MENO: I VIZI. GRAMMATICA SOVVERSIVA, QUELLA DI CRISTALL RUSSO: I SEGNI DI PUNTEGGIATURA SONO I SUOI INDUMENTI PREFERITI, PERCHÉ, A VOLTE, È PIÙ BELLO VESTIRSI DI GENTE, CHE DI ABITI D’OCCASIONE. CON SOFIA YE E M.A. BRUSCELLA UN PAIO DI MOCASSINI DIVENTANO IL VARCO PER RIBELLARSI AL GIUDIZIO E AL PREGIUDIZIO DEL POLITICAMENTE CORRETTO CHE CI VUOLE TUTTI BELLI E BRAVI, PULITI E ORDINATI, DENTRO E FUORI. IN UN MONDO IN CUI, ANCHE D’ESTATE, PREFERIAMO INDOSSARE LA COMODA SCIARPA DEL “TUTTO È RELATIVO”, GIOVANNI ZELIOLI È RELATIVAMENTE PIENO DI NON PRENDERE POSIZIONE. LUI, UNA SCIARPA NELL’ARMADIO, FORSE, NON L’HA MAI AVUTA. GESTI MANCATI, PAROLE DI TROPPO, IMPULSI E RIMPIANTI: NON TUTTI I PEZZI SI INCASTRANO NEL PUZZLE DELLA NOSTRA VITA. CAMILLA GUARNIERI SI OPPONE ALL’ARMOCROMIA DI UNA VITA SENZA “ERRORI”. FOTOGRAMMI DI VITA A CUI SOLO UNA CANZONE SA DAR VOCE: ESTATE È LA COLONNA SONORA DI RADIO FSC CHE, PER L'OCCASIONE, HA DECISO DI INDOSSARE IL COSTUME PIÙ COLORATO CHE CI SIA. “SAREBBE BELLO SE AL CONFORMISMO DELLA MODA, SI UNISSE QUELLO DI UN PIANETA VESTITO DI VERDE”, HANNO PENSATO ALBERTO E RICCARDO IN CITTÀ DEL FUTURO. QUANTO È DIFFICILE INDOSSARE UNA CONSAPEVOLEZZA? TRA UNA NOTA DI ROCK ‘N’ ROLL E UN SOSPIRO, FRANCESCA BRUSCHI HA TROVATO LA SUA. DIVISA, AIRPODS SEMPRE CONNESSE E DUE LENTI…PILOTA AL COMANDO? ELIA PITZALIS REAGISCE ALLE TURBOLENZE DELLA VITA, ALZANDO IL VOLUME PER ASSAPORARE MEGLIO LE PICCOLE COSE. SI SCENDE IN CAMPO. MARCO STELLACCIO LO FA CON UNA DIVISA DI SOGNI, AMBIZIONI…GOAL(S). NELL’ARMADIO DI DAVIDE, FRANCESCA, GIUSEPPE ED ELIA I VESTITI FANNO RUMORE: MUSICA. LA PELLE NUDA È PIÙ BELLA SE VESTITA D’INCHIOSTRO: I TATUAGGI SONO GLI UNICI INDUMENTI DI CUI NON VOGLIAMO DISFARCI. ALLO SFARZO DI ANNI IN CUI FORSE TUTTO BRILLAVA PIÙ DI QUANTO SEMBRASSE, DUE FRATELLI RESTITUISCONO UNO SGUARDO CHE SOPRAVVIVE, A MUSO DURO, TRA I GIUDIZI DELLA VECCHIA GENERAZIONE E UNA VITA CHE NON SEMPRE È COME VOGLIAMO. CI SONO SEGNI CHE NON SCEGLIAMO DI AVERE PER SEMPRE. LE CICATRICI SONO I COMPAGNI DI VITA CHE CI RICORDANO CHI SIAMO. PORTARLE CON ORGOGLIO È TUTTO CIÒ CHE CI RESTA. LA MEMORIA STORICA: L’UNICO CAPO A CUI NON DOBBIAMO PERMETTERE D’INVECCHIARE. SENZA, NON AVREMMO IDENTITÀ E MARISA CI RICORDA CHE VESTIRE LA PROPRIA COSCIENZA DI RESPONSABILITÀ MORALI NON È MAI ABBASTANZA. E SE SPOGLIARSI DELLE PROPRIE FRAGILITÀ FOSSE L’UNICO SCUDO NELLA BATTAGLIA DELL’ACCETTAZIONE DI SÉ STESSI? FEDERICA MOCCIA HA TROVATO, DENTRO DI SÉ, IL CORAGGIO PER FARLO. LA MENTE UMANA: FUORI PRODOTTO DI FABBRICA, DENTRO PEZZO UNICO DA COLLEZIONE. NON SIATE DELUSI: PREFERIAMO ARMADI DISORDINATI AD UNA PERFEZIONE CHE ANNOIA.


N COEOLO I LLEGGOS I MI MANGERESTI: V. TR. 1. APPREZZAMENTO IPERBOLICO 2. QUESITO VAGO A CUI SEGUE RISPOSTA PRECISA

FUMARE: V. INTR. 1. ATARASSIA TURBATA. COLUI IL QUALE

HA UNA QUIETE MENTALE COMPROMESSA PER VIA DI UN ACCADIMENTO O AFFERMAZIONE AFFETTUOSAMENTE OFFENSIVO

IMPAZZIRE: V. INTR. 1. ESSERE PRESO DALLA RABBIA, DIVENIRE IDROFOBO CALCIOOOO: S. M. 1. ESULTARE CON SMISURATA GIOIA AD UN EVENTO ACCADUTO

BRUSCELLARE: V. TR. 1. CERCARE SCOMPOSTAMENTE E IN MODO DISORDINATO DI FORNIRE UNA SPIEGAZIONE ALLE PROPRIE TESI

AZZELLARE: V. TR. 1. USUFRUIRE IN MODO SMODATO DEL TEMPO DISPONIBILE IN UNA GIORNATA

AEEEEEH:

INTERIEZ. 1. REAGIRE IN MODO ONOMATOPEICO AD UNA LIETA NOTIZIA; 2. SOTTOLINEARE CON ENFASI LE GESTA DI UNA PERSONA

SPINGERE: V. TR. 1. AIZZARE UNA PERSONA A DARE IL MEGLIO CAMMELLO/CAVALLO: S. M. 1. SOPRANNOME GIOVIALE MITICO: AGG. M. 1. DI PERSONA CHE GODE DI LODEVOLE REPUTAZIONE, COLUI CHE SI DISTINGUE PER ENCOMIABILE CONDOTTA

GIOSTRA: S. F. 1. CERCARE DI COMPRENDERE LA SITUAZIONE; SPESSO ACCOMPAGNATO DA UN VISTOSO MOVIMENTO DELLE MANI

OTTIMO: S. M. 1. SOPRANNOME INDICANTE SMISURATO RISPETTO PER UNA PERSONA

E COME MAI?: LOCUZ. 1. CERCARE DI COMPRENDERE ATTRAVERSO UN QUESITO RETORICO LO SVOLGIMENTO DI UN COMPORTAMENTO E/O ATTEGGIAMENTO BIZZARRO

GASI: V. INTR. 1. COMPIACIMENTO PER UNA PRESA DI POSIZIONE IMPOPOLARE

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di Alessandra Esposito

ERUTT AZIONI

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uò sembrare un po' volgare parlare di eruttazioni ma non lo è; o almeno non lo è più delle azioni che provocano il rutto, cioè quello che viene espulso dalla bocca. Ora, fin quando si emettono dalla bocca suoni che provengono dall’interno, fosse anche dalle interiora, ci può pure stare, ma quando a fuoriuscire sono parole che messe assieme provocano un suono sbalorditivamente nauseabondo, proprio non me la sento di astenermi. Se poi presto attenzione, colgo delle “azioni”, ma proprio tante, che hanno la stessa valenza dello stimolo alla base del movimento dei visceri, che si contraggono, si torcono e si allungano in uno spasmo, che si risolve solo nel benefico, quanto sconcio, suono. E quindi mi sono detta: ma vuoi vedere che le erutt-azioni non sono che un benefico prendere atto e conoscenza di quanti stimoli ci assillano quotidianamente, a più livelli,più o meno palesi, ma anche ben celati e fatti passare come “atto dovuto”, il fatidico “tanto non si può cambiare”. E quindi, perché non incominciare a vedere le cose, a considerare le “azioni” sotto questo filtro? Mi spiego meglio: perché non intervenire visceralmente, ognuno di noi, dicendo la nostra a suon di ... voci interiori? Ci sono tanti movimenti, tanti spasmi, l’uno opposto all’altro, per ogni azione, agonista, se ne prevede un’altra, semmai uguale e contraria, del tutto opposta, antagonista. Un concerto di suoni più o meno gravi e profondi: prendi ad esempio chi “russa”…però comunque è “nato” (rutto); chi si diver te su tik-tok con la “spazzatura” (rutto); chi invoca la legge del più forte (rutto), chi ha paura di dire perché sennò compromette tutto, e che non dice per paura e basta (rutto); chi partecipa guardando, tanto a fare ci pensano gli altri...(rutto). E avanti così... si finisce per sentire tanti suoni che vengono dall’interno, ma non dall’anima, non dalla nostra coscienza, ma dal nostro stomaco, dai nostri visceri. Sono suoni che, non passando per il pensiero, vogliono solo avere la strada aperta per poter uscire, per provare a “tuonare” un suono di disapprovazione, non di sazietà, non di digestione, ma di tracotante malcontento... che sì,le parole servono, ma a volte meglio lasciarsi andare a sane e liberatorie “erutt-azioni”.

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di Cristall Russo

,SEGNI DI PUNTEGGIATURA

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a vita di ciascuno è scandita da segni di punteggiatura. Ce lo insegnano a scuola, quanto la loro posizione cambi il significato delle frasi e quanto incida sul senso di un testo o di un racconto: il racconto della nostra vita fa parte di questi. Ad ogni evento, attribuiamo un segno di punteggiatura diverso e ogni vita è costellata, in base all’intensità del suo corso, da un’abbondanza di uno specifico segno di punteggiatura. Persino lo stesso evento, vissuto da due punti di vista differenti, può assumere un senso diametralmente opposto, perché una delle due penne ha dimenticato una virgola o, più spesso, un punto; per questo è importante rileggere, ma anche questo ce lo hanno insegnato bene. Ho conosciuto vite sovrabbondanti di punti esclamativi, si tratta di vite dedite all’eccesso; ma anche vite disseminate di infiniti punti interrogativi, logoranti ed essenziali, che suggeriscono il peggiore degli epiloghi per chi ha fame di risposte: dimenticare su cos’è che ci si stava interrogando davvero. A me, ad esempio, appartiene un uso smodato del punto, a cui sistematicamente se ne aggiunge un altro e poi un altro ancora; ed ecco che, in un attimo, mi guardo indietro e vedo una serie di puntini sospensivi, che diventano il preludio per il finale di una frase che sembrava già volgere al termine. La sospensione, l’attesa, la tensione: sentimenti che mi accompagnano e che mi ostacolano dal definire, ma che mi permettono di conoscermi. Come spero si concluda la frase? Quali parole sceglierei per farla terminare? Desidero davvero che finisca? La sospensione è uno strumento attraverso cui conoscere sé stessi. Poi ci sono le virgole. Le usiamo quando gli eventi ci colpiscono, uno dopo l’altro, e dobbiamo imparare a difenderci: ci sembra che la vita diventi un susseguirsi di colpi, di emozioni, di cambiamenti, da

cui ci facciamo trasportare perché non riusciamo a controllarli, come le onde di un mare in tempesta che ci travolge, ma che ci dà adrenalina. È pericoloso, ma non riusciamo a farne a meno. E tra una virgola e l’altra, iniziamo poi a temere o a sperare nell’arrivo del punto. Ma il punto arriva, ineludibilmente, proprio quando serviva, quando stavamo per annegare tra le virgole. Arriva e ci fa voltare pagina, anche quando non eravamo pronti a farlo. E in quei casi, allora, sotto al punto, non esitiamo a far spazio ad una virgola, così ci illudiamo che c’è tempo, che non è vero che si è arrivati alla fine e rimane ancora qualcosa da dire. Tra parentesi, poi, mettiamo tutto ciò che non ci sembra importante, ma senza cui non saremmo uguali: niente è trascurabile, se la vita lo sta scrivendo. E ce ne accorgiamo tardi, quando arriva il momento di aprire le virgolette per citare frasi del passato e buttarcele addosso come alibi di ciò che, a parole nostre, non riusciamo più a dire. Ciò che conta è continuare a scrivere, scegliendo con cura la punteggiatura adatta, che più si confà a quella interna. Non è semplice, si può sbagliare e accartocciare fogli è più facile che applicare correzioni, questo si sa. Esiste, allora, un momento in cui ci si può spogliare della punteggiatura e tutto ciò può essere abbandonato? Per me, esiste e, con prepotenza, lo avverto al termine di ogni giornata. Per me, quel momento è la notte. È quello il mio unico spazio franco, in cui vale una sola pretesa: quella di eludere le regole della grammatica emotiva. Il flusso di coscienza se ne frega e scorre libero, rendendo le domande più irrisolte delle banalissime risposte, riducendo i punti più marcati in delle brevissime parentesi. Trovate il momento, il posto, la persona che sia, per voi, notte.


Concept di Maria Antonietta Bruscella

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R O ENLEAI T P IEVTANM E I

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L VUOTO. Horror vacui. Non è mai stato irradiato dalla luce e nemmeno l’immaginario collettivo lo percepisce come illuminato. Il vuoto, in cui non ci si vede. Ombroso e tenebroso sono le uniche tonalità di COLORE che si possono distinguere nel vuoto. Perché lì c’è BUIO. Il vuoto è lo stadio ultimo, il compimento del relativismo: un termine antico che identifica un pensiero fallace secondo cui orientare la propria ESISTENZA, che da qualche tempo è tornato molto in voga, raccogliendo molti proseliti soprattutto tra i giovani. NOI. Perché vivere ispirandosi – o giustificandosi più o meno consapevolmente – al relativismo … c’est plus facile. O, almeno, sembra. Infatti, la FORZA propulsiva del relativismo risiede nel persuaderci che la donna o l’uomo sia misura di tutte le cose. Anzi, mi correggo. Che ciascuno di noi è misura a sé stesso. CAZZO, meglio ancora: è DIO a sé stesso. E se IO sono il dio – inteso come l’ordinatore primo ed il giudice ultimo – del mio MONDO tutto è possibile. Tutto è giusto. Tutto deve rispondere a me, per me e secondo me. Già, ma gli ALTRI? Nella migliore delle ipotesi, li uso strumentalmente fingendo di curarmene magari partecipando a chiacchiere alla realizzazione delle pretese (o capricci?) che vogliono vedere realizzate nei loro mondi; nella peggiore delle ipotesi, invece, me ne sbatto con un comodo e spontaneo «MASSÌ, OGNUNO È LIBERO DI ___________________» (tu, che leggi, scrivi quello che vuoi). Mi piacciono tanto queste parole, non per niente costituiscono i primi versi dell’inno nazionale del mio mondo: EGOISMO. D’altronde, nel mio mondo ci sono solo io, non gli altri. Sì, se occorre fingo di essere altruista, mi riesce piuttosto bene: lotto per cose su cui non mi sono interrogato A FONDO,

parlo per conformismi. E adoro CONFRONTARMI, con chi la pensa come me. FIGA, che idea! Potrei allearmi coi mondi di tutti (quelli che non discutono la mia essenza divina nel mio mondo). Altroché Archimede. Tant’è, non solo sono la mia unità di misura, ma del mio mondo adoro (o pretendo?) silenzio: mi piace la sensazione di essere SORDO. Non voglio rumori che non siano quelli riprodotti dalle mie airpods. Dico che odio tutto quello che non voglio ascoltare, anche se forse dovrei(?). A un quarto della mia vita sono arrivato. GRANDE.

LIBERO. Entro i miei confini vige la libertà assoluta, la mia, anche se talvolta mi domando se non sia illusione liberatoria. Sì, me lo chiedo perché mi accorgo che spesso, quando mi fermo un poco a pensare, non sono contento fino in fondo, mi sento in bilico. Del vuoto dentro di me. A bagno in una vita liquida.


M EMNATVEI P T IAELNE O R Che IDIOTA, mi sono scordato di specificarlo prima. Il mio mondo è pieno d’acqua. Non è un’isola, se me lo chiedi. Cioè, non lo so in realtà, mi bastano le apparenze e sapere che c’è ACQUA, che lava tutto. Ecco, ti so dire che scorre un fiume, il Lete, da cui attingo acqua fresca e leggerissima, che mi toglie ogni pensiero. Mi fa dimenticare tutto. Circondato da quest’acqua, però, ho tanto bisogno di TERRA ferma, ce n’è un po’, ma non mi basta. Non è molto vasto il mondo in cui sono venerato, se devo essere sincero. Mi sento solidale con Robinson Crusoe. Non riesco a capire perché mi senta così instabile

e incompleto se alla fine faccio quello che voglio, faccio quello che mi va. Magari sono finito sulle orme di una malintesa retorica della libertà di essere me stesso? Mi è capitato di leggere, stranamente non su INSTAGRAM, che sarei finito nel vortice del solipsismo individuale, come tanti altri miei coetanei. Lo pensa un sociologo, Giuseppe De Rita, che è pure presidente del Censis, sì proprio quell’istituto che mi ha persuaso nella scelta del mio percorso universitario. Pare sia uno importante, che ne capisca. Sarà, ma non è mai stato

di Giovanni Zelioli

ospite di MUSCHIO SELVAGGIO. Non ho approfondito, ma mi ha incuriosito questa cosa, anzi infastidito, perché potrebbe dire la verità. Ho sentito di sfuggita che molti giovani sarebbero attanagliati dall’immanentismo, ossia dalla credenza che non esista alcun ‘AL DI LÀ’ rispetto alla realtà che conosciamo. Quindi avremmo una concezione immanente della divinità, che si identificherebbe col mondo: il mio e il proprio di ciascuno. In effetti è così, sarebbe assurdo il contrario. Dopotutto, nulla è definitivo, tutto si equivale e non esiste alcun punto di riferimento assoluto. Ciascuno è arbitro di sé e giustamente amministra come meglio ritiene il proprio arbitrio. Per capire queste cose che appaiono ingarbugliate basta essere più razionali, no? Però, è anche vero che la ragione arriva fino a un certo punto, abbiamo dei LIMITI. Noi umani. Ma come, se siamo anche i nostri dei? Di queste cose sono convinto. Eppure, lo ammetto, siccome sono stufo di nasconderlo e non trovo una risposta soddisfacente: per quale motivo mi sento spesso SMARRITO, instabile e conformato alle mode del momento, anche se nascono come indipendenti? Mi sento attratto da qualcosa. Ma per ora preferisco rimandare. Tanto so che non troverò mai la VERITÀ assoluta. Quale verità, poi? Ognuno ha la sua. No? Però, in fondo, non mi basta. Forse, ce n’est pas si facile.

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ERRORI

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di Camilla Guarnieri


1000+PEZZI

IRORRE DA 0 A 95 ANNI

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a Est te RADIO FSC

"ESTATE, SEI CALDA COME I BACI CHE HO PERDUTO. IL SOLE CHE OGNI GIORNO CI DONAVA GLI SPLENDIDI TRAMONTI CHE CREAVA."

"È IL FESTIVALBAR, L’AMORE DI UNA SERA, GLI AMICI DI UNA VITA, LA MAGLIA DEI MONDIALI SCOLORITA. "

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"PERCHÈ L’ESTATE È ADDOSSO, IL GESSO A UN BRACCIO ROTTO, LA VOGLIA DI TUFFARSI: MARE, MARE, MARE, VOGLIO ANNEGARE!"


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"CAUSE SUMMERTIME IS WHEN THE LIVING IS EASY. PERCHÈ L’ESTATE È SEMPRE ESTATE, È GIOVANI VECCHI, È CANTARE MILLE, SOGNARE MALIBÙ."

"LE NAVI CHE SALPANO, LE SPIAGGE CHE BRUCIANO , SELFIE DI RAGAZZE DENTRO I BAGNI CHE SI AMANO."

"L’ESTATE È VITA! O SEMPLICEMENTE, LE NOTE DI UNA CANZONE CHE NON TI STANCHERAI MAI DI CANTARE, A SQUARCIAGOLA FINO ALL’ALBA, DI UNA NUOVA ESTATE."

"LATTINE ANNI 80 QUANDO IL MARE SI INCAZZA E RIPORTA RICORDI CHE AVEVI COPERTO DI SABBIA." "ESTATE È SAPORE DI SALE, SAPORE DI MARE UN GUSTO UN PO’ AMARO DI COSE PERDUTE, DI COSE LASCIATE. ESTATE È JERRY CALÀ, FORTE DEI MARMI E GLI AMORI ALLA CAPANNINA."

MATURITÀ; T’AVESSI PRESO PRIMA, AEROPLANI COI LIBRI DI SCUOLA, FINITA, PER ORA, INCLINATA COME L’ASSE TERRESTRE, PERCHÉ, “VOGLIO PRENDERE IL SOLE” È IL PROGRAMMA DEL PROSSIMO TRIMESTRE CHE BASTA UNA VESPA E TI PORTO IN VACANZA."

"NON IMPORTA CHE SIA SOTTO IL SOLE DI RICCIONE O DAVANTI ALLO SCHERMO, ALLA RICERCA DI UN PALLONE, CIÒ CHE CONTA È CHE SIA SOLTANTO UN’ALTRA ESTATE ITALIANA."

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"ESTATE È SULLA SPIAGGIA."

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C ITTÀ

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DEL FUTURO

ome immaginiamo la città del futuro? Futurista, utopica, ideale… La città del futuro non sarà altro che il risultato delle decisioni che le generazioni del presente prenderanno, favorendo uno sviluppo sostenibile, risultato di scelte ragionate e consapevoli. L’avvento delle nuove tecnologie può dare un grande contributo nella costruzione di un futuro più green, offrendo dei servizi innovativi e al contempo rispettosi del nostro pianeta. La tecnologia è diventata parte integrante delle nostre vite, semplificando e migliorando la nostra quotidianità, ma la consapevolezza crescente riguardo la necessità di equilibrio tra uomo e natura ci dà un’importante certezza: la tecnologia sarà il miglior alleato dell’uomo per progettazioni sempre più sostenibili e rispettose dell’ ecosistema in cui viviamo. Le metropoli del domani dovranno essere sempre più verdi; la realizzazione di giardini verticali e orizzontali, già presenti in molte città, regalerà agli edifici del futuro una seconda pelle che gli permetterà di respirare, catturando polveri sottili e CO2. Le scelte che faremo per l’arredamento delle nostre case dovranno essere sempre più ecosostenibili; optando per arredi grezzi e fibre naturali e sviluppando contesti all'avanguardia, in grado di sfruttare al meglio le risorse naturali a nostra disposizione. Il cambiamento, infatti, riguarderà la profonda ed emotiva presa di coscienza da parte della società, che ripenserà il suo rapporto con la natura non solo per questioni di convenienza, ma per un’attenzione maggiore nel preservare qualcosa di così prezioso. Se riuscissimo a progettare il nostro futuro unendo gli elementi del passato con quelli del presente, potremmo ottenere il connubio perfetto per raggiungere una qualità della vita sicuramente migliore. Immaginiamo quindi una tecnologia evoluta, ma invisibile. Una tecnologia che farà da motore della nostra vita, ma che lascerà spazio alla natura, vettore di esperienze, emozioni e sensazioni insostituibili.

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di Riccardo Spadafora e Alberto Aglianò


UNTIL THE DAY OF MY LAST B R E A T H O F L I F E

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ella libertà di essere me stessa ci ho trovato la fiducia in me stessa. La fiducia in me stessa l’ho trovata solo grazie alla consapevolezza di me stessa. La consapevolezza di me stessa l’ho trovata...dove l’ho trovata? E cosa è la consapevolezza?

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Per me consapevolezza significa felicità. E’ strano, vero? O forse troppo forte da sentire e leggere. La consapevolezza è sentirsi partecipi della vita, è percepire se stessi nel momento ed è sapere cosa ora, in questo momento, si sta provando. Ammetto anche che la consapevolezza sia una sicurezza, perché è una casa che ci creiamo da soli, con le nostre forze, quando siamo abbastanza grandi da capire quali sono le nostre fondamenta. Quindi è quel luogo sicuro su cui possiamo sempre fare affidamento e in cui possiamo essere sempre davvero noi stessi. Attraverso, con e grazie a lei, io non cado mai (o quasi mai) nell’oblio di me stessa, che spesso mi incatena ai miei pensieri, che mi ricordano le cose brutte di cui a volte è piena la vita. Se ancora qualcuno non avesse capito cosa significa tutto ciò, allora, posso dire che questo pezzo di carta è stato scritto per una buona causa. Quindi: la consapevolezza fa vivere meglio, perché non solo aiuta a sapere cosa desideriamo, che per quanto mi riguarda, è una cosa normale da capire, ma aiuta soprattutto a sentirsi unici nella vita. Aiuta a provare dei sentimenti nei confronti di sè stessi molto potenti, che ogni giorno riescono a farci

di Francesca Bruschi

sentire grati della vita che stiamo vivendo e che ci fanno capire che noi stessi andiamo bene così come siamo. Solo una cosa riesce a farmi sentire così: il rock’n‘roll, che è per me linfa di vita until the day of my last breath of life. É quella cosa che mi ricorda che ho del sangue, che mi scorre nelle vene, che mi rende cosciente del fatto che se sono nata in questo posto e in questo tempo, un motivo c’è. Ecco: il rock è la mia consapevolezza, come ognuno ha la sua. Anche se quasi nessuno, solitamente, conosce la propria: forse perché non se lo chiede o forse perché pensa di non poterla sentire, o peggio, perché crede di non meritarsela. INVECE NO. Credo vivamente che, se non si è capaci di sentirla e capirla, è solo perché siamo fin troppo vittime della società in cui viviamo. ASPETTATE. Non perché la società ci stia mangiando, ma perché noi ci stiamo facendo mangiare dalla società. E tutto ciò succede proprio perché la maggior parte di noi non conosce la propria consapevolezza e non si domanda per quale motivo faccia davvero parte di questa società. Ecco di chi è la colpa: nostra! Il problema siamo noi, che sappiamo solo lamentarci e non ci chiediamo più niente di davvero importante, perché diamo tutto molto per scontato, senza dare attenzione alle piccole cose che succedono a noi, agli altri e all’umanità intera. Tutte queste cose non le insegna nessuno, si sentono e basta. E ognuno ha il suo modo per sentirle. Quindi, sforziamoci di farlo, cercan-


do di essere sempre sinceri con noi stessi e portando pazienza nei confronti di tutto quello che ci succede. Noi abbiamo il diritto di mettere a posto la nostra anima, ma a volte sembra che non ne abbiamo la forza necessaria. Questa forte pigrizia deriva semplicemente dalla paura. Una paura enorme che noi giustifichiamo, definendola “ho paura degli altri”, ma che, in verità, nasconde esplicitamente il timore di conoscere e, di conseguenza, di essere davvero sè stessi. SMETTIAMOLA DI ESSERE VIZIATI. PER CONOSCERE SÈ STESSI, SERVE LA CONSAPEVOLEZZA. PER TROVARE LA CONSAPEVOLEZZA SERVE SENTIRSI. E PER SENTIRSI SERVE AVERE… COSA SERVE AVERE? CORAGGIO!

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T

e ne sei accorto, sì Che parti per scalare le montagne E poi ti fermi al primo ristorante. E non ci pensi più” Inizio così a descrivere quel sapore di insipido. Insipido perché, a volte, perdiamo il nostro tempo. Insipido perché, a volte, non ci godiamo tutto quello che facciamo. Insipido perché, a volte, non apprezziamo le persone (o anche, non le evitiamo). Insipido perché, a volte, facciamo cazzate. Insipido perché, a volte, ci facciamo condizionare. (Queste ultime due io non le faccio, ma penso vadano bene) Ed eccoci in onda, buonasera a tutti! Siamo in viaggio: i piloti fanno decollare l’aereo. C’è una turbolenza: i piloti disattivano il pilota automatico e prendono il comando. Viaggio finito: i piloti disattivano il pilota automatico e fanno atterrare l’aereo. Concentrati, tengono la cloche e indicano la direzione all’aereo. Noi siamo permanentemente in un aereo: siamo i suoi piloti. Siamo quelli che, consapevoli delle destinazioni da raggiungere e delle diverse tappe da superare, pilotano l’aereo. I passeggeri sono la nostra famiglia, i nostri amici: tutte le persone che prendono i popcorn e si godono uno spettacolo, speriamo, di un che fantastica storia è la vita. Motori, carrello, ali, finestrini, siamo noi. Noi in prima persona, con tutti gli insegnamenti e i consigli che le persone lasciano dentro di noi. [Ricordiamoci: siamo noi il motore, ma la forza ce la danno gli altri, mica i brillanti.

Impariamo dagli altri perché da soli al mondo non ci facciamo nulla. Banale ma effif ficace: gli altri sono un po’ come il nostro carburante.] E questa è la prima parte: a volte ci si dimentica di dover pilotare l’aereo. A volte, si inserisce il pilota automatico e non si vive al massimo. “Cosa salvi dei momenti colorati che tu chiami vita? Lucio come stai? Nemmeno tu sai dirlo ormai Ma vivi, tu vivi, tu vivi.” Ecco: quando ci si perde nel percorso o quando anche l’ago della più affidabile delle bussole sembra impazzire, ci si deve fermare. Ricalcolo percorso Momento breve, probabilmente di leggera disperazione: dove cazzo andare? È il momento in cui si sente “vai a destra”, “procedi in direzione nord-ovest”; è il momento in cui ci si trova in una strada con trenta uscite, senza marciapiede, e l’assistente vocale di Google Maps suggerisce “prendi il tunnel pedonale”. E io penso: “ma dov’è il tunnel pedonale zio porco?” Poi si preme il tasto pausa. Come quando guardiamo un film su Netflix e dobbiamo andare in bagno o peggio, ci arriva un messaggio vocale da un amico a cui facevano troppo male le dita “zio porco”. Nella pausa, diamo un colpo di spugna alla lavagna della 34, alleggeriamo il clima. Come quando devi studiare, ma con la camera in disordine non riesci a concentrarti. Nella pausa, ci ricordiamo che dobbiamo essere un po’ come Quentin Tarantino. Contemporaneamente il regista che dirige il film e l’attore. (Chiaro, lui fa la comparsa: sarebbe meglio che nel nostro film interpretassimo il protagonista). Concretamente, cari amici, è proprio questo il momento delle tre parole magiche:

PILOTI AL D O A C M N O di Elia Pitzalis


Colpo di spugna, riordiniamo la camera; chiediamoci: “cosa devo fare?”

-DEVO STUDIARE? -DEVO USCIRE A BERE QUALCOSA CON GLI ALTRI? -DEVO ANDARE ALL’UNIVERSITÀ? -DEVO PRENDERE IL TRENO? -DEVO CHIAMARE MIA ZIA PER FARLE GLI AUGURI DI BUON COMPLEANNO? -DEVO ANDARE ALLA RIUNIONE DELLA RADIO? (O FORSE ERA QUELLA DELLA FANZINE?) IN UNA FRAZIONE DI SECONDO TI RICORDI L’OBIETTIVO DEL MOMENTO. E, IN UNA FRAZIONE DI SECONDO, FAI UNO “SPEGNI E RIACCENDI”. PRENDI DI NUOVO IN MANO LA CLOCHE E ABBASSI LA MANETTA. Prima dentro, gas a martello e a semafori spenti, scatenate l’inferno. Adesso posso parlare in prima persona, se ancora avete voglia di leggere. Vi presento i miei bastoni da passeggio, i due pilastri del mio scudo indistruttibile che mi isola dagli altri. Mi isola sia da quelli che mi stanno simpatici sia da quelli che detesto, ma va bene così, è un “piloti al comando”. Sopra hanno la L e la R, ma in tanti momenti sarebbe più adatto il mantello di Superman o di altri eroi a voi più graditi. Sono le mie AirPods, raga! Insieme a Spotify Premium e Apple Music fanno la squadra dei vincenti. A volte, anche dei perdenti, a volte, anche squadra valpolicella. Spesso fanno squadra Montepulciano. Il tutto, senza ausilio di sostanze stupefacenti. E qui parte un viva la musica! Le AirPods ci impediscono di sentire gli altri, puliscono la nostra lavagna e ci danno il ritmo come un fottuto metronomo. Ci fanno da Cruise Control, da un allegretto fino a un prestissimo, passando per un assai e da un vivace. La pompetta, talvolta, deriva dall’alcol che spinge l’acceleratore prima del previsto, ma deriva principalmente dalla convinzione che se non avessi questa vita, giuro la vorrei. Personalmente, come tanti altri fortunati, quanto o più di me, penso che non mi manchi nulla. Vivo in quello che può sembrare un circo, ma in un posto dove non ho preoccupazioni. Ho un piccolo centro di gravità permanente, che gravita intorno al numero 34. Non ho le finanze di Jeff Bezos e neanche quelle di Flavio Briatore, ma il grande capo foraggia più o meno tutto quello che, adesso, voglio fare. Certo, se domani volessi comprare una casa o una Ferrari o la Luna, penso di non trovarlo tanto disponibile, MA VA BENE ANCHE COSÌ. 19


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L S ―A― O HO CHIESTO AD ALCUNI MIEI AMICI DI UNIVERSITÀ COSA PENSANO SUL LORO FUTURO. ECCOVI LE LORO RISPOSTE. di Marco Stellaccio

SOGNO:

?

DIVENTARE LO CHEF ITALIANO PIÙ STELLATO

AMBIZIONE:

LASCIARE UN SEGNO NELLA STORIA DELLA CUCINA E DIVENTARE UN MODELLO PER LE FUTURE GENERAZIONI DI CHEF

PAURE:

RITROVARMI A 40 ANNI A CUCINARE PIATTI NOIOSI NEI GUSTI E NELLA TECNICA, ESSENDO UNO DEI TANTI.

SOGNO:

AVVOCATO SOCIETARIO DELL’INTERNAZIONALE FC

AMBIZIONE: OBIETTIVO: AVVOCATO SOCIETARIO LA LAUREA

SOGNO: AMBIZIONE: OBIETTIVO: CORTE COSTITUZIONALE

GIUDICE PENALE

PASSARE PROCEDURA CIVILE

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IO NON CREDO DI AVER MAI AVUTO UN PRE

SOGNO

CISO LAVORATIVO, NON CREDO DI ESSERMI MAI IMMAGINATA CON ADDOSSO LA TUTA DI UNA ASTRONAUTA, IL CAMICE DI UN MEDICO, LA TOGA DEL MAGISTRATO. HO SCELTO GIURISPRUDENZA PERCHÉ PENSO, COME MOLTI, CHE DIA TANTE POSSIBILITÀ LAVORATIVE, ANCHE DIVERSE TRA LORO, E VORREI SOLO TROVARE UN LAVORO CHE MI RENDA INDIPENDENTE, AUTOSUFFICIENTE E POSSIBILMENTE CHE MI PERMETTA DI VIAGGIARE E MAGARI CONFRONTARMI CON PERSONE LINGUISTICAMENTE E CULTURALMENTE DIVERSE DA ME. MA LA VERITÀ È CHE NON ESISTE SOLO IL LAVORO NELLA VITA. CHI DICE CHE IL NOSTRO PIÙ GRANDE SOGNO, E LA NOSTRA MASSIMA AMBIZIONE SIA QUELLA DI RAGGIUNGERE UNA DETERMINATA POSIZIONE LAVORATIVA? CIÒ CHE A ME DAVVERO IMPORTA È STARE BENE CON ME STESSA E CON GLI ALTRI, ESSERE FELICE A 360° E QUESTO POTREBBE REALIZZARSI SEMPLICEMENTE PRENDENDO UN CANE, FACENDO DEI VIAGGI OGNI ANNO, CREANDO IN FUTURO UNA FAMIGLIA. INSOMMA, VIVERE E GODERSI OGNI ATTIMO.


OBIETTIVI

DI NE HO TANTI, MA MI SONO DATO ALTRETTANTO TEMPO PER RAGGIUNGERLI. TRA QUELLI A CUI TENGO DI PIÙ E SU CUI MI STO CONCENTRANDO ADESSO C’È L’IMPARARE A COMUNICARE MEGLIO CON LE PERSONE ED ESSERE SEMPRE IN GRADO DI PARTECIPARE AD UN DISCORSO PROPONENDO SPUNTI INTERESSANTI E MAI BANALI, AVERE INSOMMA SEMPRE QUALCOSA DI INTERESSANTE DA DIRE NEI VARI CONTESTI. DA PERSONA TIMIDA QUALE SONO È MOLTO DIFFICILE, MA CE LA FAREMO. UN ALTRO OBIETTIVO CHE VOGLIO RAGGIUNGERE È QUELLO DI ESSERE SEMPRE SUL PEZZO IN QUELLO CHE FACCIO, AMMIRO MOLTO LE PERSONE CHE LO SONO E CREDO SIA UN ELEMENTO FONDAMENTALE CHE SPINGE LE PERSONE A FIDARSI DI TE. UNA VOLTA RAGGIUNTI QUESTI ED ALTRI OBIETTIVI, IN FUTURO VORRÒ VIVERE, LAVORATIVAMENTE PARLANDO, ALL’INTERNO DI UN AMBIENTE DINAMICO E STIMOLANTE, CIRCONDATO DA PERSONE PROATTIVE E CON TANTA VOGLIA DI FARE, DOVE INNOVARE, SEMPLIFICARE E AUTOMATIZZARE GRAZIE ALL’AIUTO DELLA TECNOLOGIA SIA ALL’ORDINE DEL GIORNO.

SOGNO

INNANZITUTTO, IL È QUALCOSA CHE NASCE DAL PROFONDO, SPESSO DERIVA DAL PERCORSO DI VITA DI UNA PERSONA, DALLE DELUSIONI, DAI FALLIMENTI E, PERCHÉ NO, ANCHE DA UN PIZZICO DI INVIDIA. PERSONALMENTE IL SOGNO È UNICO E DEVE MIRARE AL BENESSERE E ALL’AUTOREALIZZAZIONE DELL’INDIVIDUO. IL MIO È QUELLO DI DIVENTARE NOTAIO. L’OBIETTIVO È DIVERSO: SPESSO È UN TRAGUARDO A BREVE TERMINE CHE MIRA ALLA SODDISFAZIONE TEMPORANEA, ALL’APPAGAMENTO DOPO CHE SONO STATI FATTI SACRIFICI PER RAGGIUNGERLO. PUÒ ESSERE UNA LAUREA, LA VITTORIA DI UNO SCUDETTO, LA VITTORIA DELLA SINGOLA PARTITA. È UN QUALCOSA DI TANGIBILE E DI CONCRETO. PROPRIO PERCHÉ VICINO. IL

SOGNO

IL È LA BASE DI TUTTO PER ME, TI PRESCRIVI UN DESIDERIO ANCHE SE POTREBBE ESSERE IRREALIZZABILE, E INFATTI VORREI DIVENTARE UNA CANTANTE. L’OBBIETTIVO È DIVERSO PERCHÉ QUANDO ME LO PONGO HO IL DOVERE DI RAGGIUNGERLO (VORREI DIVENTARE BRAVA A CANTARE). L’AMBIZIONE È LO STRUMENTO CHE TI SPINGE A RAGGIUNGERE IL TUO OBBIETTIVO.

OBIETTIVI

SONO I MIEI SEMPRE A BREVE TERMINE, QUINDI PER ORA TI DICO SCRIVERE UNA BUONA TESI E LAUREARMI, CERCANDO DI ESSERE IL PIÙ SERENA POSSIBILE. (L’OBIETTIVO PER ME DEVE ESSERE A BREVE PERCHÉ, PER UNA QUESTIONE DI CARATTERE, DEVE ESSERE COSTANTEMENTE NUOVO MA COMUNQUE PICCOLO… NON ME NE FISSO DI ENORMI, PERCHÉ MI PIACE RAGGIUNGERE LE COSE UNA PER VOLTA, LO TROVO PIÙ MOTIVANTE). LA MIA AMBIZIONE È RIUSCIRE A TROVARE UN LAVORO CHE MI RENDA FELICE, CHE MI DIA UN EQUILIBRIO, SIA PERSONALE CHE ECONOMICO, E CHE MI PERMETTA DI NON VIVERE PER LAVORARE, MA ALLO STESSO TEMPO DI ESSERE REALIZZATA.

MIO OBIETTIVO ATTUALMENTE È LA LAUREA. POI C’È L’AMBIZIONE. L’AMBIZIONE SECONDO ME È UN QUALCOSA CHE ATTIENE ALLO STATUS PERSONALE, L’AMBIZIONE DI MIGLIORE SUL PIANO UMANO E CULTURALE. L’AMBIZIONE È QUELLA DI DIVENTARE ECONOMICAMENTE INDIPENDENTI, DIVENTARE PADRE E METTERE SU FAMIGLIA.

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C

di Davide Zappia

’erano una volta, tanto tempo fa, due amici: un pianoforte e un giovane musicista. Tra i due c’era un grande legame, trascorrevano f intere giornate insieme, suonando un tasto dopo l’altro, cercando di diventare sempre più bravi: il giovane musicista rendeva più veloce la sua mano e il piano perfezionava le sue corde. Passavano gli anni e i due amici erano più bravi che mai ma, insieme alla bravura, crebbe l’età del giovane musicista che costretto a studi “migliori” lasciò solo quel pianoforte. C’era una volta un vecchio pianoforte, che forse per le corde scordate o forse per i tasti graffiati e ingialliti non veniva mai suonato. Un giorno un ragazzo ci passò a fianco per caso, incuriosito posò le mani su quei vecchi tasti e improvvisamente due note dalla voce bassa e grave iniziarono a passeggiare sulla tastiera, creando qualcosa di speciale chiamato suono. Un giorno, durante una delle tante passeggiate, le due note ne incontrarono altre due dalla voce più alta e acuta e, innamoratesi subito di esse, iniziarono a litigare su quale delle due fosse la più bella. Naturalmente si accese una discussione e come in tutte le discussioni ci fu un gran sovraffollamento di voci; poi arrivò il canto di una vecchia signora, chiamata melodia, che come per magia trasformò il disordine in ordine e si creò armonia.” Nel corso dell’evoluzione della logica, ovvero nel momento in cui l’uomo iniziò a pensare oltre quella che comunemente veniva considerata opinione comune (“δόξα”), non accettando un’unica teoria plausibile conosciuta come “mito”, iniziò a porsi delle domande, spinto da una sorta di meraviglia o stupore, inizialmente causato anche dai fenomeni più semplici, fino ad arrivare a delle risposte attraverso il ragionamento (“λόγος”), creando dunque filosofia. I primi filosofi si posero domande riguardanti il principio (“ἀρχή”), principio dal quale tutto: Universo, natura o essere, avesse avuto origine. Così Talete, uomo politico, astronomo,

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matematico e fisico, ipotizzò l’acqua, in quanto bagna ogni cosa; Anassimandro, concittadino e contemporaneo di Talete, qualcosa di indefinito e indeterminato chiamato “ἄπειρον”; Anassimene l’aria, immaginandola come “un animale gigantesco, che respirando emana soffio vitale”. Poi, intorno al VI secolo a.C., arrivò un certo Pitagora, sostenendo che la vera risposta a questo misterioso “ἀρχή” fosse il numero. Naturalmente la concezione di esso a quel tempo era molto diversa da quella attuale e ragionando, pensando al numero come parte di un “noioso” problema di matematica è difficile attribuirlo al principio; tuttavia, riconsiderandolo come sequenza, proporzione, struttura da cui deriva un modello, il discorso cambia … Così, partendo dalla fisica del suono, generato da un numero determinato di vibrazioni, passando attraverso le strutture di un accordo mediante proporzioni e arrivando al pentagramma mantenendo tutto ciò secondo un preciso intervallo di tempo, la risposta è servita. Forse è meglio rallentare un momento, forse stiamo correndo troppo, stiamo insinuando che la nostra amata musica, quella che ci accompagna durante tutto l’arco della giornata, diventata parte di noi, ascoltata dalla mattina sull’autobus fino alla sera prima di andare a dormire, potrebbe essere derivata da qualcosa di così “noioso e ostile” come un numero? Ho paura di sì, ma se dicessimo invece che la musica già esiste: dal fruscio delle foglie in un bosco e magari anche dall’ululato di un lupo, alle onde del mare, e persino al movimento degli astri? Bisogna solo scriverla e questo è il dilemma: trasformare quegli 88 tasti in qualcosa di nuovo, attuale, geniale, semplice e intenso. Un testo di musica viene strutturato secondo una determinata legge che comporta a sua volta determinate alterazioni, un po’ come le scelte che si fanno nel corso di una vita: scegliere determinati studi, professioni e valori che a loro volta conducono a determinati comportamenti.


Un testo di musica segue un ciclo, con ognuno una storia da raccontare, premette un’introduzione o una nascita, seguita da una crescita, che se veramente lo vorrà, un giorno raggiungerà un apice, e dopo aver dimostrato ciò che è da dimostrare, lentamente si dissolverà. Arrivati a questo punto della storia è un po’ banale dire che la musica, e tutto ciò che segue, assume un valore importante. Partiamo ad esempio da noi, cari adolescenti, che consideriamo un qualsiasi cantante o “rapper”, come colui che rappresenta la moda internazionale, anello di congiunzione tra questo ed un universo migliore; noi, che consideriamo i medesimi testi più che come versi in rima, come stili di vita e leggi da cui derivare ciò che è bello e non. Premesso che tutti i generi devono essere ascoltati: da una chitarra in un falò, a una voce lirica accompagnata da un’orchestra, sia per alternare sia per cultura personale, senza voler criticare i contenuti della musica attuale poiché oltre ai testi poetici, quelli colmi di significato, anche le battute scherzose e le barzellette su Pierino sono importanti; semplicemente suggerisco che forse, ogni tanto, se non si ha niente da fare, una sonata di Beethoven si potrebbe ascoltare, magari potrebbe anche piacere … ed ecco che a tali parole affiora la topica domanda: “Può la musica cambiare il mondo?” Come potrebbe sembrare così semplice da leggere, non altrettanto semplice è trovare una riposta, infatti ci sono molte opinioni a riguardo. Personalmente credo che la musica, e solo la musica, non basti a cambiare il mondo, piuttosto potrebbe renderlo un tantino migliore; in che modo? Studiandola. Oltre che musica, cosa sono solfeggi, frazioni, scale, toni e semitoni se non altro che quesiti di logica? A che serve studiare esercizi di tecnica apparentemente cacofonici se non a raggiungere e superare i propri limiti fino ai confini della disciplina e della competenza? E prendiamo in considerazione anche un eventuale concerto. Solo tu e uno strumento, lo stesso che

hai amato e odiato negli ultimi due mesi, ma invece di essere nella tua cameretta, sei in una sala sotto i riflettori e con un centinaio di sguardi puntati verso di te, così, umilmente, sperando di azzeccare tutti i passaggi tecnici e di non dimenticare niente, con le dita tremolanti, incominci a scalare una nota dopo l’altra … Il brano inizia a scorrere e tu inizi a dimenticare, dimentichi il pubblico, dimentichi i riflettori, dimentichi la tecnica e ritorni nella tua cameretta, diventando qualcuno con qualcosa da dire e l’unico mezzo per farlo è quello strumento; e allora le mani non tremano più, il corpo è perfettamente sincronizzato, non con il brano, non con le mani ma con te stesso, eppure non te ne accorgi, e come per incanto, insieme al cadere della nota finale, risuona dal pubblico un applauso appagante. Nella mia accademia di musica non sarò considerato un genio nella teoria, né un prodigio della tecnica e di certo non un fulmine nella lettura a prima vista; non voglio essere accostato ad uno dei tanti studenti modello, che ad un giorno da un’assegnazione suonano un pezzo ai limiti delle loro capacità perfettamente. Onestamente parlando, non sono scolasticamente in grado, ma ci sono state occasioni di concerti in cui la mia esibizione, quella tecnicamente più semplice e “noiosa”, ha scaturito l’applauso più intenso. A volte la tecnica non conta, in fondo questo “razionale” lascia il tempo che trova, e viene superato dall’irrazionale, poiché come ogni occasione è importante, ogni nota è importante, e come ogni riflessione è importante, ogni pausa è importante.

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T

e st a a lt a e re sp ir ia m o : us c ia m o d i c a sa , si am o vi vi . C ava lc h ia m o i gi ga n ti , vi ag gi am o , c ava lc an d o le b uc h e p iù d ur e .

P re n d ia m o la m ir a : va tu tt o b e n e , è tu n o rm a le . tt o C h ie d ia m o c i d a q ua n d o n o n fa c c ia m ro b e n uove o e un ic h e , ta n to n o n sb ag m o a vi ve re lia . E in c a so , sp ie gh ia m o c o m e si fa . Te n ia m o la fa c c ia d i c h i vu o le ave re tu to , m a n o n sa tn ie n te . E an c h e se c i se ti am o p ic c o nli, ri d ic o li, im p e gn ia m o c i. Le n o st re c ar at te ri st ic h e : vo li im p reve d ib ili e d a sc e se ve lo c is si me. La n o st ra vo c e d eve gr id ar e d a so la , c an ta n d o tu tt o in si e m e in un c o ro . Ta n to un a c an zo n e è se m p re tr o p p o c o rt a ,m a p uò fa re b e n e a c h i l'a sc o lt a P uò d ar gl i la . svo lt a . A lz ia m o il vo lu m e , m a i il si le n zi o . E ri c o rd ia m o c i c h e si am o fi gl i d e lle st e le : n o n c i d o lb b ia m o fe rm ar e m a i, p e r n ie n te a l m o ndo. R ic o rd ia m o c i d i ap p ar te n e re a d un m d o un p o ’ m onag ic o : ta n to c o m un q ue an d rà sa rà un su c c e ss o . A b b ia m o la sc ia to gl i am ic i, a b b ia m o p e rd u to l'a m o ,m a q ua n d o p e n si am o si a fi n it a , ri c che o rd ia m o c i c h e ri fi o ri ra n gi o ie p a ss at n o le e , m ag ar i c o n il ve n to c a d i un’a lt ra e ld o st at e . C h e fa n ta st ic a st o ri a è la vi ta L’ au gu ri o p e r tu tt i sa rà se m p re p e rc h ap ra il c ie lo : é si si ap ra a c h i vi ve d a so lo , a chi non h b an d ie ra e a a chi non ha p re gh ie ra . C h e si ap ra il c ie lo a n o i, c h e a vo lt e m o st at i e sa si are m o q ue llo c h e n o n si am o.

E li a P it z a li s

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o una chitarra per amica. Sulla chitarra riverso le mie gioie, i miei tormenti, le mie emozioni e l e mie preoccupazioni. Ogni volta che la impugno lascio una traccia di me sulle sue corde, come se fossero le corde della mia anima, del mio spirito. Quando inizio a suonare tutte le preoccupazioni e lo stress si dissolvono in un solo momento per lasciare spazio all’espansione sonora del susseguirsi di accordi, che mettono ogni cosa al posto giusto dentro me’.

Giuseppe De Rosa


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In ri c o rd o d i un a c an zo n e m a i sc ri tt a su lle n o te d i Le o n ar d C o h e n , A re zz o 2 016 . È e st at e e d o gn i c o sa si c o lo ra d i b ri lla n te zz a , an c h e le st ar id e se m b ra ra d e p iù n o so rr id e re e gl i a lb e ri d p ar c h i b a lla ei re c o n il ve n to . P e r la st se n ti un se ra d a n so d i ap p ar te n e n za p e sa i c h e ti st rc h é a a sp e tt an d o q ua lc un o d i p o rt an te p e im r c ui p o tr e st i ve n d e re la an im a . A llo ra tu a q ua n d o se n ti il ri to rn e llo q ue lla c an zo di n e c ap is c i c h e p e r te q ue c an zo n e è st a q ue l m o m e n to . U n m o to d a l c o lo re menin c an d e sc e n te c h e h a p o re d i vi ta sa e d i fe lic it à . E sa i d i p o c o n d iv id e re te rl o c o n c h i vo rr a i tu , c h e ti a sp e tt an d o st a so tt o il vo st ro so lit o a lb ro d e l p ar c o ec h e è se m p re st at o q ue d a lla sc uo la llo . Q ue st a vo lt a p e rò gl i a lb n o n sa ra n n o e ri sp o gl i, m a p ie n i d i fo gl ie si c o lo ra n o che d e lle st o ri e e d e i se n ti m c h e c i st ar e e n ti m o p e r ra c c o n ta re .

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A lm e n o un a vo lt a n e lla vi ta a b b ia m o tu tt i sp e ri m e n ta to c o sa vo gl ia d ir e "a ve r p au ra d i in n am o ra rs i tr o p p o " se n za la sc ia re sc am p o a ll' in c o n sc io p iù le e se gr e to deb o d i tu tt i n o i. M a sa p p ia m o an c h e c h e in q ue st o so tt e rr an e o c o sì “i n fe rn o ro sa ” è p o ss ib ile p rova re e se n ti re un p o' d i “c o n fu si o c o n la p au ra n e ”, c h e il “t e m p o d i m o ri re ” ar ri va n d o . st ia U n c uo re d e b o le e in c e rt o che p o chi n o sp e ri m e n h an ta to d avve ro , ap e rt o ag li chi del mon ocd o p e r p o te r fi n a lm e n te ta re q ue st o c an gr an d e am o re . “R e sp ir an d o ” p ro fo n d am e n te p o i ri e sc p e rc e p ir e un i a ' ar ia c h e è se m p re au tu n a le , un se n nso c h e ir ra d ia e c o lm a m an c an za p o gn i e rs o n a le . A llo ra ti re n d i c o n to c h e n o n so lo sc ri ve re q ue p uo i st e “E m ozi o n i” , m a c h e p e rc e p ir le , p uo i p e n sa rl e e vi ve rl e . Q ue c ui p ar lo è llo d i un a d e lle se n sa zi o n i p iù fo d am e n ta li e nau te n ti c h e c h e e si st a “u n uo m o d per a i c ap e lli ve rd e ra m e ”, d o p o un ri sv so siamo catapultati al di fuori del mondo: che e gl io , h a fi n a lm e n te c ap c h e il su o p ci ritroviamo a volare dentro delle “Innoit o e n sa re è vi ve re c o n sa p ev m e n te , o gn i centi Evasioni”. Motivo per cui è lecito e o lgi o rn o d e lla su a vi ta . Ta n te a lle go normale che ogni sua canzone sia dentro di ri e e tr o p p e ar m o n ie ri e sc n o a c o lp ir e noi e dentro la nostra vita, dentro ogni frase oe a re n d e re fr ag ile un a p so n a c o n un scritta o letta, percepita o non percepita. e rp o' d i te st a e d i am o re c o rp o , ta n to Per poi capire infine, che niente e nessuno, in d a fa r sc o c c ar e o gn i vo un p o' d i fe lic se non noi stessi, in cima alla nostra “collilt a it à , c h e si p e rc e p is c e at tr ve rs o la su a na dei ciliegi” siamo e saremo per sempre, avo c e , an c h e se in q ue l m m e n to st a gr come lui, figli dell'immensità. oid an d o a iu to . N o n è b an a le e ss e re Lu c io B at ti st i, è st at o , è , Francesca Bruschi che e se m p re sa rà un a c o n ti c o n fe rm a d n ua ' e ss e n za d ' am o re e gi si a p e r la vi ta o ia ,c h e p e r il p ro ss im o , d i p ur an im a vi va , a ri us c it a d o p o ta n to a ri n e p ro p ri o il 2 a sc e 9 se tt e m b re . Q ue llo c h e c i h a se m p re artwork di Davide Zappia in se gn at o il st ro c ar o an “N o ge lo ” è il m o ti vo p e r c ui sp e s-


LA

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OR T A


RIO O T

2026

Il passato, il presente e il futuro, nei ritratti senza volto di antichi collegiali, ripensati e rivisti in ottica contemporanea.

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C I C A T R I C I

C I C A T R I C I

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concept di Gaia Renna

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voi è mai successo di trovarvi faccia a faccia con un'emozione troppo grande da essere tradotta? Ineffabile: è quel sentimento così forte che nessuna parola è all'altezza di spiegarlo, che cresce nel petto e rimanere lì, immobile, finché non ti consuma. Ci possono chiedere come stiamo, cosa stiamo provando, ma quante volte diamo una risposta sincera? Le persone non hanno voglia o tempo di sentirsi dare una vera risposta. È più facile dire “sto bene, grazie” e proseguire il discorso con inutili convenevoli. Ma è giusto? Forse lo può essere quando si parla con degli estranei o dei conoscenti ma perché lo si fa anche con parenti o quelli che consideriamo amici? La risposta è semplice: mostrarsi fragili non è facile. Far vedere che non si sta bene o che si sta passando un brutto periodo può essere imbarazzante. In un mondo in cui è il più forte a prevalere, non c’è spazio per le persone deboli. Fin da piccoli ci insegnano che mostrare le proprie fragilità fa capire agli altri che non si è all’altezza di un qualcosa. Ci dicevano “I bambini grandi non piangono” così che dovevamo per forza farci vedere forti e poi, crescendo, ci hanno raccontato che non bisogna “mai mostrare il fianco sennò qualcuno ci avrebbe ferito”. Nasce così il senso di vergogna da cui deriva la tendenza a nascondere le emozioni e ci porta a fingerci diversi da come siamo per adattarci a quelli che, secondo noi o la società, sono gli ideali da rispettare per essere apprezzati dagli altri. Gli psicologi la chiamano desiderabilità sociale, e la mettiamo in pratica di continuo, senza rendercene conto, perché è molto più facile di ammettere di essere fragili. Quando attraversiamo un periodo doloroso o qualcosa ci provoca una profonda sofferenza, apriamo la porta alla nostra vulnerabilità e, di riflesso, ciò che facciamo è costruirci una corazza dietro alla quale nasconderci. Ci si rannicchia in sé stessi e nei propri pensieri, sperando che tutto passi al più presto e che nessuno si accorga di come si sta perché le persone che provano

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ad avvicinarsi assumono magicamente il potere di farci stare meglio o distruggerci. Purtroppo, però, viviamo in una società talmente impregnata di ipocrisia che distinguere chi veramente ti vuole bene da chi indossa una maschera è diventato quasi impossibile. Ognuno è immerso nel proprio individualismo e l’opportunismo è ciò che crea e, allo stesso tempo, distrugge tutti i legami. Ma se in questo caos chiamato vita riusciamo a trovare qualcuno che ci sembra sincero e a cui vogliamo aprire il nostro cuore raccontando quello che ci tormenta, ciò che ci viene detto sono solo frasi del tipo “ce la farai” o “resisti, tutto passa”, come se dovessimo affrontare una dura prova e appellarsi al nostro coraggio e alla nostra forza fosse la soluzione per non stare male. Meno spesso ci invitano a mostrare le nostre fragilità, a non contrastarle e lasciarci sfogare. Per evitare di rimanere delusi dal comportamento degli altri si cerca di mostrarsi invulnerabili e richiedere a sé stessi costantemente una forza tale da potersela cavare da soli in ogni occasione ed essere sempre all’altezza delle situazioni. Una richiesta che, però, a lungo andare è insostenibile e diventa essa stessa motivo di dolore. Un dolore dovuto alla paura di venir rifiutati, di non essere accettati, di non potersi sentire protetti. Ciò nasconde un grande bisogno: quello di essere amati e capiti. Bisogno che, però, impedendo il contatto con gli altri non trova mai soddisfazione. La paura di farsi vedere deboli è una ferita che ci portiamo tutti dalla nascita e che oggi viene acuito da una cultura che esalta quella positività tossica che vuole mostrarci sempre perfetti. Per tutta la vita faremo i conti con le nostre fragilità e solo quando riusciremo ad accogliere la tristezza e la vulnerabilità potremo capire quando ci manca qualcosa, potremo apprezzare ciò che non abbiamo ma che possiamo cercare di avere per essere felici. Nel momento in cui accetteremo di essere fragili ci potremo mostrare per ciò che siamo realmente, senza la paura di non essere all’altezza di un qualcosa e, soprattutto, essendo autosufficienti.

Testo e artwork di Federica Moccia



Paralisi emotiva. Silenzio assordante. Sguardo stretto sull’immensità del cielo. A volte, mi chiedo dove finiscano quei pensieri che le mie labbra non riescono a partorire. A volte, mi sono chiesta dove finisce la pupilla del mio occhio quando il vuoto la riempie, mentre il mio pensiero corre tra i rumori intorno. A volte, mi sono chiesta come fosse possibile pensare di fermare il cuore. A volte ho pensato fosse impossibile e invece, poi, è accaduto, senza nemmeno volerlo, è accaduto. Ti è mai capitato di confondere i colori del tramonto con un dolore? Ti è mai capitato di confondere il vuoto della vertigine con la paura di affrontarla? Ti è mai capitato di confondere il dolore con la vita di ogni giorno? Confondere per confondersi e non riconoscersi. Ti fa star bene, forse. Vivere nell’illusione di essere altro da sé, di guardarsi da fuori, quasi come spettatori della nostra stessa vita, quasi come quando sogni e sei coscientemente fuori di te mentre ti muovi, ti affatichi, ti vivi. Ma la verità è un’altra: non si vive di sogni e nemmeno d’amore. Si vive, punto fermo e niente a capo. Dopo c’è solo il vuoto, proprio lo stesso vuoto della vertigine che sale e non ti fa respirare. Si vive, senza se e senza ma, senza persone intorno che, mettiamocelo in testa, sono solo un contorno. Si vive per sopravvivere e sperare di arrivare un giorno, presto o tardi, a voltarsi indietro per compiacersi della propria vita sopravvissuta. Perché la vita sopravvissuta è meglio di quella vissuta. Un sopravvissuto è un uomo che ha visto la vita sfuggire via dalle sue mani, che ha rischiato di perdere tutto, ma che ha lottato a denti stretti per riprendersi fino all’ultimo istante la propria vita. Li avete visti mai gli occhi di una persona sopravvissuta? Quegli occhi avidi, assettati che annaspano secondi di tempo, che afferrano emozioni e affrontano dolori, senza spada e senza scudo, ma solo a muso duro. Fissa i tuoi occhi riflessi, quanto sono spenti? Fissa le tue labbra, quanto sono strette? Pensa i tuoi vorrei, quanta distanza li separa da un presente indicativo? Pensati senza sognarti, pensati vivendoti, anzi, sopravvivendoti. Ogni giorno, in ogni azione, in ogni scelta, pensati sopravvissuto. Ogni giorno, svegliati e lascia che la vita ti venga sparata, dritta in faccia, senza provare a schivarla. Siamo stati messi al mondo per essere battitori, non difensori. E allora smettila di sognare la vita che vorresti, smettila di sognarti vivente per essere soddisfatto di un passato vissuto. Smettila di parare colpi per la strada e prenditi la vita su per le scale, a pugno chiuso, a denti stretti, a muso duro.

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di Maria Antonietta Bruscella


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iudicatemi ancora, perché noi in fondo siamo la generazione del giudizio. Quella che si è sentita dire così tante volte “ai miei tempi” , quella che, se tutto va bene, lavora a trent'anni, si sposa a 40 e va in pensione…mai. Siamo quella generazione che si ritrova a dover fare da steward in parlamento. Siamo figli di quella generazione che ha riscoperto tutti i tabù, di chi ha potuto svolgere una certa vita nei famosi anni '80, più per fortuna che per merito, ma che ora passa il tempo a giudicare e dispensare consigli, come se non avessero già fatto troppi danni. Siamo la generazione stanca dei soliti discorsi fatti alle cene di Natale, stanca delle solite domande, della laurea, dei fidanzati e chi più ne ha, più ne metta. Siamo quelli a cui viene chiesto di cambiare il mondo, ma ai quali non si dà il tempo di cambiare il mondo. Eppure, siamo i primi a capire che non va più bene questo stile di vita, siamo i primi a dire che la vita dovrà essere più sostenibile, che non è più giusto questo modo di far politica, ma ogni volta che uno di noi raccoglie il coraggio, ci prova, tenta di dire e di fare certe cose, come un disco rotto risuona nella nostra testa una frase, anzi, la frase più snervante e approssimativa che possa esser detta: “tranquilli ora parlano i grandi, avrete il vostro tempo”. E poi tutti a nascondersi dietro questa retorica del nostro tempo, che dovremmo essere noi a prendere in mano le cose, che “ora è arrivato il tempo dei giovani”, ma poi ogni volta il tempo dei giovani è domani. Dalle cose più piccole alle più grandi, da un padre che dovrebbe passare la propria attività al figlio neo 18’enne, alla politica che, con fare puramente sofista, ti dice di non credere in te. Eppure, noi siamo sempre quelli che hanno riscoperto le studentesche, le piazze, le radio e addirittura, di tanto in tanto, una fanzine. Eppure, noi siamo quelli che litigano e lottano affinché una legge sui diritti passi in Parlamento e siamo i primi che si indignano ai cori da stadio fatti nello stesso. Anche con i nostri limiti, anche con i nostri difetti e con le nostre paure, siamo sempre quelli che, a modo nostro, provano a cambiare le cose e, a volte, quando ci si dà spazio, ci riescono anche. Perché in fondo ognuno è a modo suo e siamo tutti stanchi di questa retorica per la quale dovremmo assomigliare a una generazione ormai vecchia, attaccata ad ideali spenti e che non capisce le nuove esigenze. Perché tanto noi, a modo nostro, lo cambiamo questo mondo, nonostante non siamo tutti dei geni o non siamo tutti dei fenomeni alla guida di un’auto. Ma tanto a voi, cosa interessa? L’importante è arrivare a fine giornata pronti per iniziarne un’altra di giudizi, ma fate pure, giudicatemi ancora, tanto io ho imparato a non ascoltarvi più.

di Alessandro Bruscella

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N O N È M A I A B B A S TA N Z A

on è mai abbastanza provocare guerre. Non è mai abbastanza attaccare civili indifesi. Non è mai abbastanza sentire storie di ingiustizie. E ancora una volta non è mai abbastanza sentire di donne che subiscono ingiustizie. Perché privarle della serenità di avere accanto i propri figli e i propri mariti non era abbastanza. Bisognava colpire una delle sfere che più di tutti incide sull’essere umano: l’identità. Oltre alle storie di deportazioni ce n’è una che risuona in lontananza. La notizia delle donne ucraine combattenti alle quali hanno rasato a zero i capelli dovrebbe pesare sulle coscienze di ognuno di noi. Anni di lotte, di sacrifici, di commemorazioni di tragedie sono stati cancellati in un solo istante. La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato alla società contemporanea una grossa eredità da ricordare, per non dimenticare e soprattutto da non replicare. L’episodio delle donne ucraine è emblematico: i capelli rappresentano la propria identità, il proprio modo di essere. Tagliarli forzatamente significa togliere la parte dell’uomo “libera” di esprimersi senza remore, e lasciare spazio all’umiliazione più profonda. È importante tenere a mente quanto sta avvenendo in Europa, a poca distanza da noi. Le donne, che sono tra le principali vittime, in forma più o meno grave, di questo conflitto, dovranno sostenere il peso di ricordi tremendi, che potrà essere in parte alleviato solo se saranno protagoniste della ricostruzione del loro Paese. 2022. Da una parte l’anno della svolta e della probabile “fine” della pandemia, dall’altra l’anno di una guerra senza precedenti nella storia contemporanea.

di Marisa Toraldo 33

T


T

TATUAGGI: VESTITI CHE DECIDIAMO DI INDOSSARE E DI NON TOGLIERE PIÙ.

A T T O O

Le fiamme

fanno cool Volevo solo scomparire in un abbraccio

Sono un pesce fuor d'acqua, nel tuo mare dentro

A volte il tempo sembra sfuggirmi di mano

Pensare al bello quando tutto sembra andare giù

Chi è sensibile si può rovinare. Io sono sensibile anche alle foglie Che bello sedersi su uno scoglio e mescolarsi con l'alba

Mi piaceva e basta

Ma tanto, alla fine

concept di Giuseppe De Rosa

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