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Riconosciti e vinci
tono: chi si accinge a scrivere in versi non tesse più arabeschi ermetici, ma si arma di una carica d'ira, di ironia, di denuncia. La poesia, così, tende concretamente alla verità, deve «servire agli altri come strumento di lotta».
Abbiamo citato due nomi fondamentali, quasi emblematici, Pavese e Pasolini: tra la denuncia esistenziale del primo e la disperata vitalità del secondo si muovono poi altri nomi legati alla generazione della resistenza tra i quali spicca il lavoro di Franco Fortini. E ancora una generazione di intellettuali che si formano attorno a riviste («Officina», il «Verri», il Gruppo 63): che spingono il canto civile verso esiti ormai di piena avanguardia.
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Questa succinta introduzione è stata necessaria per collocare e definire il lavoro del milanese
Nelo Risi, approdato alla pagina scritta dopo esperienze di cinema. Tra le più note raccolte Polso teso, Pensieri elementari, Dentrola sostanza, e lo straordinario «Di certe cose», (premio Viareggio '70) e nel quale il poeta da epigrammista elegante alza il discorso largo e franco di poeta civile: un'indignazione appassionata e una vivida ironia sono la tessitura del giudizio morale, secco e senza remissione, che Risi riserva ai farisei del nostro tempo, ai bari e agli sciacalli, ai servi ed ai tiranni di un potere che si alimenta con l'assenteismo e la pigrizia mentale. In «Di certe cose (che dette in versi suonano meglio che in prosa)» tutto è leggibile e fruibile come un raro dono all'intelligenza del lettore: e la poesia che propongo (la n. 16) è scelta tra molte altre possibili, senza la pretesa di un'indicazione di merito ma appena sollecitata da un' inclinazione personale.
Franco Gentilucci
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