Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Marzo 2024

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RASSEGNA STAMPA MARZO 2024

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PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI MARZO:

CRISI CLIMATICA: GLI EFFETTI SULLE DOLOMITI ............................................................................................. 3 MARMOLADA: CONTROLLI RADAR SUL GHIACCIAIO...................................................................................... 11 PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................................................. 11 #VIVEREINRIFUGIO: LA RASSEGNA EVENTI DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO .................................. 14 I DOCUMENTARI DEDICATI AI PARCHI DELLE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE SONO SU RAIPLAY ......... 15 DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI .......................................................................................................... 15 GESTIONE DEI FLUSSI ..................................................................................................................................... 16 PASSI DOLOMITICI ........................................................................................................................................... 17 DOLOMITI4ALL.IT ............................................................................................................................................. 18 STARLIGHT ROOM: GLI AGGIORMENTI ........................................................................................................... 18 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 19 NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO ................................................................................................................... 25 NOTIZIE DAI CLUB ALPINI ................................................................................................................................ 26 NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E ACCOMPAGNATORI MEDIA MONTAGNA ............................... 27 DOLOMITI IN TV ................................................................................................................................................ 30

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CRISI CLIMATICA: GLI EFFETTI SULLE DOLOMITI Alto Adige | 1 marzo 2024 p. 14 L'inverno più caldo della storia. Le rilevazioni meteo della Provincia bolzano. L'inverno meteorologico conclusosi ieri passerà alla storia come l'inverno più caldo, nella maggior parte delle zone dell'Alto Adige, dall'inizio delle rilevazioni", sottolinea Dieter Peterlin, dell'Ufficio meteorologia e prevenzione valanghe. «Solo in Val Pusteria si è trattato di un inverno da record. Tutti e tre i mesi invernali sono stati eccessivamente miti, con i maggiori scostamenti rilevati nel corso del mese di febbraio. Le temperature rilevate sono state di circa 2,5 gradi sopra la media a lungo termine nel periodo 19912020», evidenzia Peterlin.Nel corso dell'inverno meteorologico, la temperatura più alta è stata misurata il 3 febbraio a Laces con 21,3 gradi Celsius. La più fredda è stata registrata il 20 gennaio a Sesto con meno 21,7 gradi. Nella giornata precedente, il 19 gennaio, alla stazione meteo Anticima Cima Libera, la stazione di rilevazione più alta dell'Alto Adige, la colonnina di mercurio aveva fatto registrare una temperatura di meno 24,6 gradi.A febbraio, in tutta la provincia ha piovuto o nevicato circa il doppio della media a lungo termine. Anche in questo caso, durante i tre mesi invernali le precipitazioni sono state superiori alla media, soprattutto durante il mese di febbraio.La primavera meteorologica inizia oggi, venerdì 1° marzo. In cielo prevarranno le nubi con delle precipitazioni in giornata. Il limite della neve scenderà da 1600 a 1300 metri. Sabato, 2 marzo, prevarranno le nubi con solo brevi tratti soleggiati. Non si escludono dei rovesci, mentre per la giornata di domenica, 3 marzo, il cielo sarà molto nuvoloso con solo tratti soleggiati. L’ Adige | 1 marzo 2024 p. 10 È stato il febbraio più caldo di sempre Giacomo PolettiIl febbraio 2024 rimarrà negli annali per le temperature da record: mai infatti si era rilevato un febbraio così mite in Trentino, ma la vera notizia è forse l'enorme distacco rispetto ai primati precedenti. Un nuovo clima, in pratica. E a dispetto del meteo che, in questi giorni, propone neve a volontà, Non c'è una stazione del Trentino dove il febbraio del 2024 non risulti il più caldo e visto il trend, è probabile si possa trattare solo di un altro passo verso un pianeta più caldo. Un febbraio "monstre" infatti non solo in Trentino, ma pure in Alto Adige, in Svizzera (con dati dal 1864) e in Austria, con 257 anni di rilevazioni termometriche in archivio. A nord del Brennero il mese ha chiuso persino oltre la norma di marzo. Qualche numero aiuta a comprendere l'escalation, che si palesa, come è normale quando si parla di clima, con "salti" irregolari. L'inverno 23/2024 (che per i meteorologi si è concluso proprio ieri) è paradigmatico perché si piazza, tanto per cambiare, al primo posto in Trentino da quando si rilevano dati, cioè da più di un secolo. All'osservatorio di Trento Laste la media di febbraio è stata di +8,2° contro un valore normale (1981-2010) di +4.3 C°. Un'anomalia straordinaria di 3,9°, quindi, che fa il paio con i 3,5° registrati a Bolzano (anche qui record, con dati dal 1850). Sebastiano Carpentari, dottorando del gruppo di Fisica dell'Atmosfera a Trento, spiega: «A Calliano, con dati dal 1983, febbraio ha visto 8 giorni con nuovi record storici di temperatura minima e 4 di massima. 10 giorni su 29 sono definibili come ondata di calore, essendo stati superiori per temperature al 90esimo percentile storico». L'appassionato Ivano Versini rileva le temperature ad Arco da quarant'anni: «Nessuna gelata, successe solo nel 2014; la media di questo febbraio però è record, +8.2° contro i +4.7° della norma 1992-2021, uno scarto di 3,5°». Uno stillicidio di picchi che prosegue in altre zone del Trentino. A Costa di Folgaria abbiamo sentito Alessandro Cuel e Alessandro Toller: «Anche qui record, con 3° di scarto dalla media. Solo 11 le gelate (siamo a 1200 metri, ndr), la statistica degli ultimi dieci anni era di 23. Un cenno va poi alle piogge: caduti nel mese 240 millimetri, è il secondo febbraio più piovoso dopo il 2014. La media degli ultimi trent'anni sarebbe di appena 60 millimetri». Da Lavis conferma Alberto Longhi: «Anche qui febbraio più caldo di sempre con appena 3 gelate e al secondo posto per piogge dopo il 2014» mentre Flavio Toni di Trento Sud appunta una curiosità, la temperatura di rugiada oltre i 10°, un inedito, che rappresenta il contenuto di calore e umidità dell'aria. Proprio la pioggia, e la neve in quota, possono far pensare che tutto sommato in Trentino l'inverno ci sia ancora. Ma con un distinguo: in un clima più caldo le precipitazioni sono più intense, ma la quota dello zero termico aumenta. Ieri sera, per fare un esempio, pioveva a Madonna di Campiglio e in Paganella. I 72 centimetri di neve arrivati alle Viote martedì ieri si erano già ridotti a 31. I prossimi giorni vedranno ancora piogge e neve, ma non a quote basse. Meteotrentino prevede per oggi: «coperto con precipitazioni moderate, quota neve tra 1300 e 1600 metri» e per domani «variabile con possibilità di alcune deboli precipitazioni». E prosegue: «Domenica nubi in aumento e precipitazioni diffuse; quota neve oltre i 1200 metri ma in aumento lunedì. Fenomeni in esaurimento lunedì nel pomeriggio». Da martedì ci sarà un miglioramento, probabilmente duraturo. L’Altra Montagna | 2 marzo 2024 www.ildolomiti.it/altra-montagna

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Il 2022 in italia anno da record per le frane in quota: per la prima volta un team di ricercatori dimostra il nesso con il riscaldamento climatico Un team di ricercatori di Ginevra evidenzia, per la prima volta, la correlazione tra l'aumento delle frane e l'aumento delle temperature in un sito nelle Alpi svizzere Un recentissimo studio, edito su Nature, ha investigato il legame tra il riscaldamento globale e gli episodi franosi negli ultimi 100 anni, evidenziando come il degrado del permafrost abbia effettivamente aumentato la caduta di massi in un sito delle Alpi svizzere. La caduta massi è uno dei processi che ricevono maggiore attenzione nelle aree alpine a causa della sua (finora presunta) intima relazione con il permafrost e in particolare con la sua degradazione negli ambienti di alta montagna. Le ondate di calore che hanno colpito le Alpi nel 2003, 2015 e 2022 hanno causato picchi di incidenti di caduta massi sollevando preoccupazioni per i loro effetti destabilizzanti sui pendii. Una panoramica più generale dell'attività franosa in quota nell'arco alpino è fornida dal gruppo di ricerca GeoClimAlp (Geomorphological impacts of Climate change in the Alps) dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, a sua volta afferente al Consiglio Nazionale delle Ricerche. GeoClimAlp infatti elabora e aggiorna periodicamente il Catasto delle frane di alta quota nelle Alpi, attualmente disponibile qui per il periodo che va dal 2000 al 2022. Dal loro resoconto sugli ultimi vent'anni scopriamo che "fra le tipologie di processi più frequenti si segnalano 279 crolli di roccia e 191 colate detritico-torrentizie. Le regioni maggiormente colpite risultano essere la Valle d’Aosta (40,3 % del totale), La Lombardia (19,1 % del totale) e il Piemonte (16,3 % ), seguito a breve distanza dal Trentino Alto Adige. L’anno record per il periodo considerato è sicuramente il 2022, per il quale sono documentati 71 processi di instabilità e di questi, ben 60 sono avvenuti in estate. L’analisi su base annuale ha fatto emergere anche una evidente tendenza all’aumento degli eventi con il passare degli anni, con ogni probabilità un effetto dell’aumento delle temperature alle quote più elevate ed alla conseguente degradazione del permafrost. La stagione in cui questi processi si manifestano con maggior frequenza è quella estiva (giugno, luglio ed agosto), con 434 eventi documentati, pari al 56 % del totale". Tuttavia, la relazione tra cambiamento climatico, degradazione del permafrost e caduta massi è finora rimasta poco conosciuta. Le difficoltà nel correlare le cose risiede, in parte, nella scarsità di registrazioni meteorologiche ad alta quota, le prestazioni limitate dei modelli climatici in un terreno montano oltre che nel fatto che i dati esistenti sulla caduta massi tendono a soffrire di serie di osservazione non uniformi, non sufficientemente lunghe, e di distorsioni verso le cadute recenti e di maggiori dimensioni che hanno causato danni a infrastrutture. Un team di ricercatori dell’Istituto “Impatti e rischi dei cambiamenti climatici nell'Antropocene” di Ginevra, in Svizzera, ha voluto dimostrare che il riscaldamento in corso favorisce il distacco delle frane e che i cambiamenti nell'attività attività sono correlate in modo significativo con le temperature dell'aria in estate su scala interannuale e decadale. La ricostruzione dell’attività franosa è stata effettuata tramite tecniche di dendrometria, quella scienza che studia le tecniche che permettono di calcolare i valori biometrici relativi ad un albero o ad un bosco. Grazie a queste tecniche è possibile, attraverso lo studio degli anelli di accrescimento di una pianta e le loro anomalie, di pervenire ad importanti informazioni sulla storia del luogo in cui la pianta è vissuta, come ad esempio periodi favorevoli o sfavorevoli alla vegetazione, frane o alluvioni. Il team di ricerca ha ricostruito, per la prima volta, una serie temporale continua dal 1920 al 2020 dell'attività di caduta massi utilizzando le registrazioni degli anelli di accrescimento di 375 alberi danneggiati dalla caduta di massi a Täschgufer, nelle Alpi svizzere. L’area è stata scelta perchè soggetta a frequenti cadute di massi, che originano principalmente da aree localizzate tra i 2500 e i 2900 metri sul livello del mare, al limite tra il gelo stagionale e il permafrost. Brevissimo ripasso per chi ne avesse bisogno: il permafrost è un terreno tipico delle regioni fredde, come quelle alle alte latitudini o altitudini. Infatti si tratta di suolo perennemente ghiacciato e non necessariamente in presenza di masse d'acqua congelate. Nelle Alpi si trova a partire da quote di circa 2600 metri sul livello del mare, in funzione dell’esposizione). Per i più curiosi, che magari si staranno chiedendo come si fa a ricostruire frane avvenute decine di anni fa guardando agli anelli di accrescimento degli alberi su un pendio, ecco la risposta. La caduta dei massi danneggia gli alberi, causando delle lesioni. In risposta, l’albero lesionato cerca di guarire formando delle strutture specifiche per proteggere il legno dagli agenti patogeni nel giro di pochi giorni. Se le lesioni si sono verificate nella stagione vegetativa, la caduta dei massi può essere datata con una risoluzione addirittura sub-stagionale. Le tendenze interannuali e decadali mostrano correlazioni tra l'attività di caduta delle rocce e le temperature estive, con temperature più calde associate a una maggiore caduta di massi. In particolare, due periodi di maggiore frequenza di attività franosa e, contemporaneamente, di riscaldamento particolarmente pronunciato, sono stati identificati negli anni ‘40 e ‘50 e tra gli anni ‘80 e ‘90. Questi risultati confermano che il degrado del permafrost contribuisce all'instabilità dei pendii e alla caduta massi e costituiscono un punto di riferimento per studi futuri che possano essere estesi ad altre zone nelle Alpi. Ci si aspetta che il continuo riscaldamento promuova un aumento dell'attività di caduta massi dalle aree ripide del permafrost che, a sua volta, richiederà aggiustamenti nei pendii montani sempre più instabili, mettendo in pericolo le comunità montane e le vie di trasporto. La caduta di massi può coinvolgere volumi diversi, da singoli massi a valanghe di roccia, eventi che avranno probabilmente ripercussioni significative sui sistemi fisiologici, biologici e umani delle montagne. Il primo notevole sforzo di registrazione a lungo termine dell'attività di caduta massi realizzato nell'ambito di questa ricerca può contribuire a portare attenzione alla necessità di progettazione di misure di mitigazione e riduzione del rischio negli ambienti montani abitati che tengano conto dei cambiamenti climatici in atto sotto tutti i punti di vista. Corriere delle Alpi | 5 marzo 2024

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p. 12 Piogge, record dal 2016 A febbraio più 192% Mai così caldo dal 1998 Enrico Pucci / VENEZIA Maltempo, la fase di instabilità contrassegnata dalle eccezionali precipitazioni degli ultimi dieci giorni non è esaurita. Anzi. Le previsioni meteo annunciano per le prossime ore l'arrivo di una nuova perturbazione a partire dal tardo pomeriggio, fino alla serata di domani. In arrivo altre precipitazioni, specie sulle zone centro settentrionali della regione, con quantitativi più significativi sulle zone montane e pedemontane. Il limite delle nevicate si porterà mediamente intorno ai 1100-1300 metri. Il Centro Funzionale Decentrato della Protezione Civile regionale, sulla base di queste previsioni meteo, ha emesso un bollettino in cui dichiara lo stato di «Attenzione» (Giallo) per criticità idrogeologica e idraulica nei bacini Vene-B (Alto Brenta-Bacchiglione-Alpone) e Vene-E (Basso Brenta-Bacchiglione), dalle 14 di oggi fino alla mezzanotte di giovedì. È inoltre dichiarato lo stato di «Attenzione» (Giallo) per criticità idraulica nel bacino Vene-D (Po, Fissero-Tartaro-CanalBianco e Basso Adige). Le precipitazioni a febbraio sono state superiori del 192% rispetto alla media di questo mese. Sono caduti mediamente 170 millimetri fra pioggia e neve, quando la media del periodo 1994-2023 è di 58 mm. Lo si evince dal Bollettino della risorsa idrica dell'Arpav, pubblicato proprio ieri. Per trovare un febbraio più piovoso bisogna risalire al 2014 (231 mm) e al 2016 (192 mm). In totale ques'anno a febbraio sono stati calcolati 3.133 milioni di metri cubi di acqua. Un quantitativo sufficiente a metterci al riparo dal rischio siccità per la prossima estate? Su questo gli esperti dell'Arpav non si sbilanciano: troppo presto, dicono, per trarre conclusioni. Le massime precipitazioni sono state registrate dalle stazioni di Valpore Monte Grappa (Seren del Grappa, provincia di Belluno)con 577 mm e Turcati (Recoaro Terme, provincia di Vicenza) con 538 mm. A livello di bacino idrografico, rispetto alla media 1994-2023, sono state riscontrate ovunque condizioni di elevato surplus pluviometrico: +264% sull'Adige, +257% sul Brenta e sul Piave +236% (in questi tre bacini sono stati misurati apporti superiori nel febbraio 2014 ed apporti simili agli attuali nel 2016), +200% sul Livenza, +150% sul Sile, +145% sul Po, +115% sul Bacino Scolante, +107% sul FisseroTartaro-Canal-Bianco, +83% sulla pianura tra Livenza e Piave e +54% sul Lemene. Le precipitazioni dell'anno idrologico 2023-24 (da ottobre a febbraio) registrate sul Veneto sono mediamente di 606 mm; la media del periodo 1994-2023 è di 441 mm (mediana 389 mm). Gli apporti del periodo sono superiori alla media (+37%) e sono stimati in circa 11162 milioni di metri cubi di acqua. Erano stati osservati apporti maggiori negli equivalenti periodi degli anni 2013-2014, 2010-2011, 2008-2009, 2000-2001 ed apporti simili nel 2012-2013. Tanta acqua, poco freddo: febbraio è stato il secondo più caldo (+4,1 gradi rispetto alla media) dal 1991, dopo il 1998. Per la neve, la quantità caduta dal primo ottobre si è riportata quasi in pari con i valori medi, con un leggero deficit (-2%) nelle Dolomiti, più marcato (-21%) nelle Prealpi. — Alto Adige | 6 marzo 2024 p. 17 Tanta neve, ma ghiacciai a rischio davide pasqualibolzano. L'inverno meteorologico, appena terminato con la fine del mese di febbraio, in media è stato il più caldo dal 1850, ossia da quando in Alto Adige si effettuano misurazioni scientifiche. Ha anche nevicato più della media, specialmente in febbraio. Un manto nevoso tardivo però, assai meno efficace di quello invernale, quanto meno per preservare i ghiacciai. E se ancora non è dato sapere come si concluderà l'annata glaciale 2024, che terminerà a fine estate, i segnali al momento sono tutt'altro che incoraggianti. Previsti nuovi, pesanti ritiri dei ghiacciai nostrani. Lo spiegano il presidente del Servizio glaciologico del Cai Alto Adige, il generale Pietro Bruschi, e il direttore scientifico del SgAA, il geologo Franco Secchieri.Anche se adesso c'è la neve che li ricopre, chiariscono, è il caso di tornare a parlare dei ghiacciai perché, stagione a parte, sono formidabili indicatori di quello che sta accadendo al clima e all'ambiente. «Proprio per questo, già alcuni decenni or sono come Servizio Glaciologico del Cai Alto Adige avevamo segnalato un allarme per i ghiacciai che rimase tuttavia inascoltato». Oggi che la situazione climatica si sta aggravando, i ghiacciai sono saliti all'attenzione scientifica e mediatica per la veloce riduzione in atto a causa di annate siccitose e con temperature sempre più elevate.L'inverno 2023/2024 è finitoIn questi giorni l'inverno meteorologico sta volgendo al termine, spiegano oltre, e il manto nevoso in quota, che costituisce l'alimento essenziale per la sopravvivenza delle masse gelate, è abbastanza scarso nonostante le ultime nevicate. «È mancata la neve invernale, un segnale negativo per il bilancio glaciologico anche per questa annata (2023-2024), che si chiuderà alla fine della prossima estate». La neve invernale infatti, spiegano i glaciologi, «è più efficace di quella primaverile perché ha tutto il tempo di compattarsi maggiormente (nevato) e quindi più resistente alle elevate temperature e alla penetrazione dell'onda termica». Nel 2024 «dovremo quindi aspettarci una ulteriore riduzione delle masse gelate» con conseguenze che non riguardano soltanto il paesaggio, anche se l'aspetto delle montagne ha una grande rilevanza ambientale. «Certamente è una ferita al cuore vedere montagne come ad esempio la Palla Bianca, o altre famose cime altoatesine, rimanere senza il bianco cappotto, ma sarà ancora più grave vedere le portate di grandi fiumi come l'Adige ridursi in modo preoccupante». I ghiacciai, ricordano, costituiscono

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soprattutto la riserva d'acqua in forma solida che viene rilasciata durante la stagione estiva a tutto beneficio delle portate dei torrenti e dei fiumi.Un allarme poco ascoltatoOggi tutti ne parlano, tengono a sottolineare i glaciologici, «ma i segnali del cambiamento li avevamo già lanciati verso gli anni '90, quando le fronti glaciali cominciavano a ritirarsi dopo una breve espansione iniziatasi dopo la metà del secolo scorso, a causa di una piccola fase fredda».Un evento testimoniato proprio dall'avanzata di molti ghiacciai, che in qualche caso arrivò persino a superare i quaranta metri in un solo anno, come si desume dalle relazioni delle campagne di rilievi del Comitato Glaciologico Italiano. Tanto che in quegli anni si arrivò persino a prospettare l'inizio di una nuova piccola era glaciale. Un avvenimento climatico comunque non nuovo nella storia anche recente: si ricorda a proposito la nota Piccola età glaciale (Lia o Little ice age) che dal Medio Evo durò fino a circa la metà del XIX secolo e della quale esistono testimonianze come le grandi morene che oggi si possono ammirare in molte valli alpine.A rischio acqua ed energiaQuesto fatto, vanno oltre Bruschi e Secchieri, «porta taluni a sostenere che nulla di nuovo sta succedendo al nostro pianeta, ma certamente la velocità con cui tutto si sta verificando non ha sicuramente paragoni nella storia climatica». Sono a rischio estinzione le scorte di acqua in forma solida che i ghiacciai rilasciano durante l'estate per sopperire alla siccità «e questo sarà veramente un grave problema, oltre che per l'agricoltura, anche per le nostre abitudini, dato che per decenni la nostra società si è sviluppata con una grande abbondanza idrica, tanto da non preoccuparsi di attuare iniziative per il risparmio e l'eventuale accumulo di riserve». Dal punto di vista dell'energia - l'acqua dei laghi artificiali è sicuramente la migliore fonte pulita di produzione di elettricità - anche questi non saranno sufficienti «tanto che si pensa a realizzare grandi vasche di accumulo anche per non sfruttare ulteriormente l'ambiente montano».Non ci si può però illudere di poter cambiare il corso del clima in tempi brevi, sostengono gli esperti del Cai Alto Adige: «Per i climatologi, infatti, l'unità di misura sono i trenta anni e di questo si deve tenere conto semmai si dovesse pensare ad interventi anche drastici».Problemi anche in pianuraGuardiamo ai ghiacciai anche dalla parte più bassa della pianura, perché là arriva quella vena percorsa da quel liquido vitale che è l'acqua, che la lega alla parte più alta del territorio. «Se i ghiacciai dovessero scomparire - concludono - quella vena resterà senza sangue, con le conseguenze più tragiche che ora possiamo solo immaginare. Consideriamo che circa il 70% dell'acqua serve all'agricoltura, il 22% all'industria, il rimanente 8% all'uso domestico, naturalmente si parla di acqua dolce, che costituisce nemmeno il 3% del volume complessivo dell'acqua del pianeta».©RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 6 marzo 2024 p. 19 Tanta pioggia e neve in quota Un aiuto contro la siccità estiva Francesco Dal Mas / BELLUNO Piove di più, nevica di meno. Almeno da trent'anni a questa parte. E almeno alle quote in cui le precipitazioni s'intrecciano: perfino a 1800 metri, come è avvenuto nei giorni scorsi (ma il limite neve/pioggia si è piazzato quest'inverno mediamente intorno ai 1400 o 1500 metri). L'ultimo rapporto pubblicato da Arpav sulle risorse idriche certifica che in febbraio non solo è piovuto in abbondanza (addirittura il +192%), ma anche che la risorsa nivale è assai più rassicurante. Quindi, almeno per il momento, la siccità estiva dovrebbe essere congiurata. Bacino del Piave negli anni Dieci anni fa il bacino del Piave poteva contare, a fine febbraio, su una riserva idrica di 1100 milioni di metri cubi d'acqua, insieme ai sottobacini del Boite e del Maè. Si trattava del valore più alto dal 1966, anzi più di tre volte la media storica. E 10 anni dopo? Le prime stime della risorsa idrica nivale, da parte dell'Arpav e sempre a fine febbraio, sono di 220-230 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, di 140-160 nel bacino del Cordevole e di 200- 210 in quello del Brenta. Attenzione, però, siamo in recupero sugli ultimi anni. Al primo marzo 2023, il fiume Piave poteva contare su 134-136 milioni di metri cubi, addirittura solo 70 nel bacino del Cordevole e non più di 87-90 in quello del Brenta. Due anni fa, il bacino del Piave era fermo a 140-150 milioni di metri cubi, 85-90 nel Cordevole e 85-95 nel Brenta. Riempimento dei laghi Nei principali serbatoi del Piave il volume a fine febbraio è di 125,4 milioni di metri cubi (+34.3 Mm3 dalla fine di gennaio), pari al 75% di riempimento, valore sopra la media del periodo. Il bacino di Pieve di Cadore a fine febbraio era al 56% di riempimento, valore superiore alla media storica (+20%). Santa Croce risultava al 79% di riempimento (+44%). Il lago del Mis è arrivato al 90% di riempimento (+75%). Sul Corlo (Brenta) il volume invasato è di 22.6 Mm3 (-2.4 Mm3 dalla fine di gennaio), pari a un riempimento del 59% e poco sopra la media del periodo. Le precipitazioni di Belluno «Per la verità, le rilevazioni di cui disponiamo all'Arpav», dice Bruno Renon che a Belluno redige il bollettino mensile delle precipitazioni, «attestano che in tutto l'ultimo trentennio è piovuto di più. Dal 1991 al 2020 sono caduti mediamente a Belluno 1459 millimetri. L'anno più piovoso è stato il 2014, addirittura con 2293 mm; il 2015 e il 2022 i meno piovosi, con poco più di mille millimetri. Nei 30 anni precedenti, il valore cala a 1320, quindi 139 millimetri in meno di pioggia. Andiamo indietro di 100 anni e troviamo una media di 1213. Se consideriamo addirittura la media degli ultimi 140 anni, i valori sono leggermente più alti: 1278 millimetri». È proprio vero, dunque, che piove di più e nevica di meno? «In parte è vero: con la temperatura che aumenta tendenzialmente a parità di quota, nevica di meno. Però bisogna contestualizzare i dati. Il mese di febbraio scorso è stato di 4 gradi più caldo del normale, quindi "il più caldo in assoluto". Neve e riscaldamento

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«Nevica meno nelle quote in cui il riscaldamento globale porta spesso pioggia», sottolinea ancora Renon. «A Belluno nevica meno di una volta, perché la temperatura ovviamente è aumentata. E questo anche ad Agordo, pure a Pieve di Cadore. Oltre una certa quota, a 1500-1600 metri, non si notano più grosse differenze essendoci quasi sempre neve, a parte qualche caso isolato come l'ultimo episodio di maltempo in cui pioveva fino a 1800 metri d'altezza». Le massime precipitazioni Nel febbraio appena concluso le massime precipitazioni sono state registrate dalle stazioni di Valpore Monte Grappa (Seren) con 557 mm, in Cansiglio località Tramedere con 411. A livello di bacino idrografico sono state riscontrate ovunque condizioni di elevato surplus pluviometrico: sul Piave +236% rispetto agli ultimi 30 anni. Dall'inizio dell'anno idrologico, cioè da ottobre, il Piave ha registrato un surplus del 50%. E per quanto riguarda la neve al suolo, a 2000 metri abbiamo 70-90 cm nelle Dolomiti settentrionali, 100-140 nelle meridionali, 100-140 di neve fresca oltre i 1700 metri in Alpago e 70-80 centimetri a 1600 nelle Prealpi in generale. Con queste precipitazioni, il bilancio dal 1° ottobre, cioè dall'inizio dell'anno idrologico, si riporta quasi in pari con i valori medi, con un leggero deficit (-2%) nelle Dolomiti; rimane un deficit più marcato (-21%) nelle Prealpi. — Alto Adige | 7 marzo 2024 p. 15, segue dalla prima Adamello, scioglimento record Lo strato in superficie del ghiacciaio dell'Adamello risale a 40 anni fa. Il ghiaccio sul quale si cammina oggi, nel 2024, è quindi quello che s'è formato negli anni Ottanta. Ciò significa che da allora il ghiacciaio si è solamente consumato. Il dato emerge grazie al progetto «ClimAda» che ha ricostruito l'evoluzione climatica degli ultimi secoli, l'impatto che hanno avuto gli uomini e gli eventi storici in alta montagna e la dinamica delle specie vegetali. Il tutto è partito dal carotaggio del 2021 a Pian di Neve, dove venne estratto un cilindro di ghiaccio lungo 224 metri, che è stato poi analizzato da scienziati e ricercatori. Lo strato in superficie del ghiacciaio dell'Adamello risale a 40 anni fa. Il ghiaccio sul quale si cammina oggi, nel 2024, è quindi quello che si è formato negli anni Ottanta. Ciò significa, come ovvio, che in tutti questi decenni il ghiacciaio si è solamente consumato. Il dato, decisamente preoccupante, emerge grazie al progetto "ClimAda" - che si avvia alla conclusione ma che sarà riproposto anche quest'anno - e che ha ricostruito l'evoluzione climatica degli ultimi secoli, l'impatto che hanno avuto gli uomini e gli eventi storici in alta montagna e la dinamica delle specie vegetali. Il tutto è stato possibile grazie a un carotaggio: nel 2021 a Pian di Neve venne estratto un cilindro di ghiaccio lungo 224 metri, che è stato poi analizzato da scienziati e ricercatori nell'EuroCold Lab, il laboratorio dell'Università degli Studi di Milano Bicocca. E il cilindro, come fosse un libro, strato dopo strato - e quindi pagina dopo pagina - ha raccontato la storia del ghiacciaio. A svelare alcuni risultati è stato il Giornale di Brescia, grazie a un articolo di Giuliana Mossoni, in attesa del convegno previsto per la prossima settimana a Brescia, quando Fondazione Lombardia per l'Ambiente, capofila del progetto ClimAda, insieme ai partner coinvolti, presenterà i risultati conclusivi del progetto. Saranno resi pubblici i dati delle analisi fisicochimiche e biologiche delle carote di ghiaccio estratte dalla completa perforazione del ghiacciaio, del monitoraggio, tramite fibre ottiche, delle temperature e delle deformazioni del corpo glaciale e della modellazione della sua evoluzione prevista in funzione di diversi scenari climatici.Come accennato lo studio e le analisi sul ghiaccio estratto hanno permesso di ricostruire la storia del ghiacciaio dell'Adamello, ma anche la storia dell'Italia e quella degli eventi causati dall'uomo negli ultimi secoli. Che il ghiacciaio si stia ritirando non è un mistero: secondo le ultime rilevazioni del Servizio glaciologico lombardo, negli ultimi tre anni si è assistito a un arretramento di 174 metri di fronte e di 18 di spessore. Ma poi, come riporta il quotidiano bresciano, a 66 metri di profondità è è stato identificato un livello scuro alto una decina di centimetri, che rappresenterebbe gli effetti della Prima guerra mondiale, combattuta anche in Adamello oltre cento anni fa. Ancora, un po' più in alto nel cilindro di ghiaccio - a circa 23 metri di profondità - sono stati rinvenuti segni dei test nucleari del 1963. Ma solo sette anni fa quelle stesse tracce vennero rilevate grazie a un altro carotaggio a una profondità di 30 metri: altro segnale inequivocabile di come la fusione del ghiaccio stia accelerando. Infine nei primi centimetri del cilindro di ghiaccio sono emerse tracce del disastro di Chernobyl del 1986, a ulteriore conferma di come la parte di ghiaccio sulla quale si cammina oggi sia quella che si è formata negli anni Ottanta. Alto Adige | 7 marzo 2024 p. 15 MeteoTrentino: tra dicembre e febbraio temperature sopra la media, mai così negli ultimi 17 anni L'inverno meteorologico (ovvero dicembre 2023, gennaio e febbraio 2024) è risultato più piovoso della media ed eccezionalmente caldo, tanto che in circa la metà delle stazioni meteo sparse sul territorio e analizzate ha battuto i precedenti record che, quasi ovunque, risalivano all'inverno 2006 - 2007. Lo comunica MeteoTrentino, che ha diffuso l'analisi mensile riferita allo scorso febbraio e l'analisi dell'inverno meteorologico.Dopo una stagione, quindi, decisamente bagnata e con temperature miti, la primavera meteorologica (che inizia per convenzione il 1° marzo) è cominciata con una spiccata variabilità e temperature sopra la media. Tornando ai report, nei due documenti si legge che «febbraio 2024 è stato eccezionalmente caldo, con temperature minime sistematicamente sopra la media,

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e caratterizzato anche da precipitazioni sopra la media. In particolare durante l'ultima decade sono caduti quasi 100 millimetri a Trento Laste. Dal pomeriggio del 26 al pomeriggio del 28 le precipitazioni sono risultate diffuse e abbondanti soprattutto sui settori meridionali interessati dall'effetto "stau" (che si verifica quando una corrente d'aria, "costretta" a salire per la presenza di una catena montuosa, si raffredda determinando, sul versante sopra vento, precipitazioni più intense)». Venendo all'attualità, la neve caduta la scorsa notte, mediamente oltre i 1400-1500 metri di quota come previsto, non ha creato particolari problemi e disagi alla rete viaria provinciale grazie all'azione dei mezzi di sgombero neve e frese. Guardando invece alle previsioni per i prossimi giorni, il tempo resterà variabile. In particolare questa mattina ci saranno belle schiarite la mattina, ma entro il primo pomeriggio si riformeranno nuvole con nuove piogge deboli sulle cime (neve dai 1.500-1.600 metri), improbabili a Trento. Domani, venerdì, sarà ancora nuvoloso con precipitazioni deboli e a intermittenza tutto il giorno soprattutto in montagna, con la quota neve che calerà a 1.200 metri. Sabato mattina ecco le piogge più estese fino a mezzogiorno almeno, e neve (tra i 2 e gli 8 centimetri) dai 1000-1200 metri, mentre il pomeriggio dovrebbe essere asciutto. Infine domenica è previsto l'arrivo di una perturbazione con piogge fin dalla mattina presto e quota neve tra i 900 e i 1.100 metri. Corriere del Trentino | 7 marzo 2024 p. 1 «Neve tecnica con acqua pura e aria» Zuin «Chiamarla neve artificiale, come moltissimi ancora fanno — replica agli ecologisti Valeria Ghezzi, presidente dell’associazione nazionale che riunisce gli esercenti degli impianti a fune (Anef) — è profondamente sbagliato, perché di artificiale non ha proprio nulla: con la tecnologia di cui disponiamo — aggiunge — possiamo farla più bagnata o più secca, ma per realizzarla utilizziamo esclusivamente acqua e aria, nulla di più». Già il titolo del nuovo dossier invernale di Legambiente – «Il turismo della neve nelle montagne senza neve» -, che verrà presentato a Milano la settimana prossima, promette altre scintille dalle lamine: i detrattori dell’innevamento programmato contro i gestori degli impianti e delle piste da sci, che della cosiddetta «neve tecnica» non possono più fare a meno, per rispondere adeguatamente alla richiesta dei turisti-sciatori. «Ma chiamarla neve artificiale, come moltissimi ancora fanno — reagisce da San Martino di Castrozza Valeria Ghezzi, presidente dell’associazione nazionale che riunisce gli esercenti degli impianti a fune (Anef) — è profondamente sbagliato, perché di artificiale non ha proprio nulla: con la tecnologia di cui disponiamo possiamo farla più bagnata o più secca, ma per realizzarla utilizziamo esclusivamente acqua e aria, nulla di più». Presidente Ghezzi, dobbiamo rassegnarci a inverni con sempre meno neve naturale ? «Senza buttarsi in previsioni azzardate, ricordo a tutti che il processo di adattamento ai mutamenti l’abbiamo iniziato sin dal 1988, proprio l’anno in cui ho cominciato a fare questo mestiere: quello dell’88 e anche dell’89 furono due inverni di secco totale, non scese un fiocco a pagarlo. Da allora, abbiamo imparato a fare la neve ». Solo aria e acqua, come spiegava prima: ma quell’acqua, come pensano in tanti, è sottratta all’ambiente? «La preleviamo in novembre-dicembre e la restituiamo in aprile, quando l’agricoltura ne ha più bisogno. Tra l’altro, permettetemi di aggiungere: l’acqua prelevata per riempire una piscina alla fine del suo ciclo conterrà cloro, quella utilizzata nei campi verosimilmente avrà tracce di fertilizzanti o altri prodotti chimici; noi impiantisti, invece, restituiamo alla comunità solo e soltanto acqua, senza alcun additivo. Perciò i detrattori dovrebbero spiegarmi: dove sta lo scandalo?». Insomma, dal vostro punto di vista la neve programmata è vittima di un pregiudizio? «Ci sono sicuramente un pregiudizio e un’interpretazione distorta. Quando sento nei vari telegiornali titoli come “In Italia il 90% della neve è artificiale”, mi sembra evidente che questa distorsione c’è, a cominciare dalla percentuale: si può fare neve tecnica ma questo non significa che su quelle piste si scierà soltanto su neve programmata. Quest’ultima è un’integrazione, che serve a prescindere dall’innevamento naturale». Quanto costa produrre la neve programmata? «In base alla nostra esperienza può costare sui 3,5 euro al metro cubo. Volendo dare un altro parametro: per innevare un chilometro di pista, larga mediamente 40 metri, ci vuole un budget stagionale di 60 mila euro». Un alto fronte sempre caldo è quello relativo all’impatto degli impianti di risalita sull’ambiente circostante: una funivia o una seggiovia sono attività che si devono considerare «inquinanti»? «Allora, abbiamo già detto che l’acqua per produrre la neve programmata non è inquinata e non viene sprecata; quanto agli impianti, sono totalmente a trazione elettrica e, nel nostro caso, per un 40% sono alimentati con energia idroelettrica, perciò rinnovabile per definizione. Dove sta l’inquinamento? Certo, qualsiasi attività umana ha un impatto sull’ambiente e la nostra è sicuramente un’attività energivora, però ricordiamoci sempre che garantisce il lavoro e la vita a migliaia di famiglie delle terre alte». Gestire impianti a fune, nel 2024, è un mestiere redditizio? «Come per tutte le attività economiche, questo dipende dalla collocazione e dalle capacità degli imprenditori. Non c’è dubbio che, per quanto riguarda le stazioni sciistiche più piccole o situate in località appenniniche o prealpine, tenerle attive è più un servizio che un business. Se invece parliamo del Sella Ronda, è chiaro che i numeri sono molto diversi».

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Il T | 7 marzo 2024 p. 9 Inverno 2024, il più caldo di sempre Simone Casciano Trento non è York, ma il sole è comunque «sfolgorante» e non serve essere Riccardo III per definire, quello che si è appena concluso, come «l'inverno del nostro scontento». I dati non lasciano scampo: per la stazione di Trento Laste, ma anche per quelle di Tione e Rovereto, l'inverno 2024 è il più caldo da quando si registrano i dati. Inverno rovente A Trento Laste la temperatura media dell'inverno 2023/24 è stata di 5.6 gradi, la più alta da quando si registrano i dati, ossia dal 1921 più di un secolo fa. Tre gradi esatti sopra la media storica. Discorso simile per Rovereto dove il dato di quest'anno è di 5.7 contro una media di 2.9. «Il Trentino, come le regioni alpine in generale, purtroppo è un hotspot dei cambiamenti climatici - commenta Lorenzo Giovannini, docente di fisica dell'atmosfera dell'Università di Trento - Qui con le temperature siamo già oltre quella soglia del grado e mezzo che a livello globale si sta cercando di scongiurare». Guardando ai dati mese per mese risulta evidente come sia nato questo inverno rovente. «La cosa particolare è stata proprio la persistenza del caldo durante tutto l'inverno, in particolare febbraio è stato eccezionalmente caldo, ma anche gennaio e dicembre sono stati in larga parte sopra la media». Non si tratta comunque di un'anomalia trentina. «I dati nazionali raccolti dai climatologi del Centro nazionale di ricerca restituiscono un quadro identico: è stato l'inverno più caldo in Italia da quando esistono le serie storiche». E il discorso può essere esteso a buona parte dell'Europa, con buona pace di chi a inizio stagione metteva ancora in dubbio i cambiamenti climatici per quella nevicata che interessò i paesi del centro est del continente. Piove sul bagnato A temperature sempre più calde fa da corollario un'altra anomali rispetto alla media: il 2023/24 è stata un inverno ricco di precipitazioni. Si è trattato però per la maggior parte di pioggia, perché con temperature così alte la quota neve si è necessariamente alzata a sua volta. «Le proiezioni ci dicono che stiamo andando in questa direzione - spiega Giovannini - Avremo inverni sempre più miti e sempre più umidi. La neve a bassa quota sarà sempre più una rarità». Le precipitazioni quindi sembrano destinate ad aumentare, la neve, invece, a scarseggiare sempre di più e a rimanere meno in quota, sciogliendosi prima e quindi senza formare quella fondamentale riserva di acqua per l'estate. Il futuro Guardando i dati emerge anche un altro elemento che racconta le tendenze attuali, le minime storiche per media invernale, per le stazioni meteorologiche del Trentino, sono vecchie di almeno 60 anni e nel caso di Trento Laste risale addirittura al 1929. «Il febbraio del ‘29 fu un momento storico, ricordato e documentato negli annali del tempo. Temperature impensabili epr noi oggi. È un'altra testimonianza della tendenza di lungo corso in cui ci troviamo - spiega Giovannini - Mentre i record di calore saranno sempre più comuni nei prossimi anni, anche quando farà un inverno freddo non torneremo più alle basse temperature di un secolo fa. Proprio perché partiamo da basi completamente differenti». Corriere delle Alpi | 18 marzo 2024 p. 17 «Il cambiamento climatico spinge a riabitare le montagne» belluno "Energia rinnovabile e impatto dei cambiamenti climatici sulla montagna". È questo il tema al centro del convegno in programma oggi alle 15 a palazzo Doglioni Dalmas a Belluno, organizzato da Confindustria Belluno Dolomiti. Una riflessione sulla transizione ecologica e su come viene percepito il cambiamento climatico resasi ormai necessaria per orientare le scelte politiche rispetto alle energie pulite ma anche alle strategie per governare un clima che sta cambiando. L'idea a Confindustria Belluno è venuta dopo il Covid anche sulla scorta dei progetti e degli investimenti previsti dal Pnrr sulla transizione ecologica. Da qui è nata la volontà di capire meglio come la gente percepisce questi cambiamenti tramite un sondaggio sulla popolazione. La ricerca ha interessato tutto il Veneto a cui sono seguiti dei focus per ciascuna provincia. Un'analisi che ricalca le orme del progetto messo a terra l'anno scorso dall'università di Torino insieme con altri partner e commissionato dall'Associazione italiana degli ambasciatori del Patto europeo per il clima EuCliPa.it. La ricerca ha visto nel comitato scientifico anche il climatologo Luca Mercalli. L'analisi è stata coordinata dal professor di sociologia del territorio Andrea Membretti (che sarà presente anche oggi al convegno) e ha interessato le grandi città della Pianura Padana come Milano, Torino, Padova, Treviso, Venezia-Mestre, Bologna e le Alpi occidentali. Duemila le persone intervistate da cui è emerso che i «cambiamenti climatici spaventano tanto che soprattutto tra i giovani e le donne sta crescendo quella è stata definita "ecoansia", mentre i due terzi di chi vive nelle grandi città sta meditando di trasferirsi in montagna per evitare le estati troppo calde e l'inquinamento», precisa Membretti che aggiunge: «Molti trascorrono già parte dell'anno in quota, mantenendo però la residenza in città». Ma anche la montagna non è indenne ai cambiamenti climatici che generano dissesti idrogeologici. Cosa fare? «Servono politiche che garantiscano investimenti per la manutenzione del territorio».

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Al convegno oggi saranno presenti Vittorio Zollet, delegato Energia e Infrastrutture di Confindustria Belluno, Gianpaolo Bottacin, assessore regionale all'Ambiente, Clima e Protezione Civile, Marco Bussone presidente Uncem, Luciana Favaro ambasciatrice del Patto Europeo per il Clima e presidente EuCliPa.it. I risultati del sondaggio demoscopico sui cambiamenti climatici, saranno presentati da Giovanni Diamanti e Davide Policastro di Quorum YouTrend. — Corriere delle Alpi | 20 marzo 2024 p. 9

Corriere delle Alpi | 26 marzo 2024 p. 19 Due gradi in più in tredici anni: l'inverno più caldo di sempre l'analisi L'alluvione in Emilia Romagna, che a maggio dell'anno scorso ha provocato morte e distruzione. I 47° raggiunti il 24 luglio a Siracusa, mentre a Pordenone cadeva il chicco di grandine più grande mai rilevato nel continente. Restando alla nostra provincia, Vaia, che nel 2018 devastò con venti mai visti per intensità e violenza il Bellunese. Sono i fenomeni meteo estremi, sempre più diffusi e violenti. A raccontare il quadro sono i dati di 3B meteo, che sono stati elaborati dal Sole 24 Ore. Le piogge sono meno frequenti (al Nord 65 giorni in media all'anno, rispetto ai 109 del 2010), ma più intense, a tratti estreme, con accumuli straordinari in poche ore che il terreno non riesce a trattenere o assorbire. Negli ultimi tredici anni, poi, l'innalzamento delle temperature ha fatto lievitare le ondate di calore, che si verificano quando per tre giorni consecutivi la temperatura supera i 30 gradi, e i picchi di caldo estremo, ovvero gli sforamenti oltre i 35 gradi percepiti. L'anno scorso nelle città del Nord ci sono stati 19 giorni consecutivi con il termometro oltre i 30 gradi in più rispetto al 2010, per un totale di 47,4 giorni di caldo consecutivo. Il Nord si sta quindi allineando alle altre zone d'Italia in questo fenomeno. Gli eventi di caldo estremo sono sempre più marcati. Le giornate in cui sono stati superati i 35 gradi sono state dodici, nel 2010 praticamente nessuna. Il riscaldamento globale, insomma, colpisce più al Nord che al Centro-Sud, dove la temperatura media annua rilevata nelle città capoluogo di provincia è salita di due gradi in tredici anni: da 13,1 a 15,1. E il trend si conferma in questo inizio di 2024: il Cnr di Bologna ha annunciato che l'inverno appena trascorso è stato il più caldo da quando si fanno le rilevazioni in Italia. —

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MARMOLADA: CONTROLLI RADAR SUL GHIACCIAIO L’Adige | 8 marzo 2024 p. 24 Marmolada, controlli radar sul ghiacciaio La struttura interna del ghiacciaio della Marmolada torna sotto la lente dei ricercatori. Ieri, infatti, c'è stato un sopralluogo in quota con l'obiettivo di acquisire nuovi dati attraverso uno speciale apparecchio - "Ground Penetrating Radar" - in dotazione al Dipartimento di Ingegneria dell'Università di Trento. Lo scopo è quello di studiare lo stato del ghiacciaio in condizioni termiche differenti: quella realizzata oggi è stata infatti la terza campagna di acquisizione dati dopo i sorvoli compiuti a luglio e agosto 2023, con una situazione di differente contenuto d'acqua liquida all'interno del ghiacciaio.L'iniziativa è stata promossa dal Servizio prevenzione rischi e Cue e dal Servizio geologico della Provincia, in collaborazione con l'Università e grazie al supporto del Nucleo elicotteri del Corpo permanente dei Vigili del fuoco di Trento. Il sorvolo è stato realizzato ricalcando il tracciato della scorsa estate, che aveva coperto buona parte del ghiacciaio. L'analisi congiunta dei dati ripresi nelle 3 campagne, permetterà di verificare la capacità del radar e delle tecniche di elaborazione dei segnali, di estrarre informazioni sul volume del ghiacciaio e sulla possibile presenza di accumuli di acqua nella sottosuperficie. In base all'esito, i monitoraggi con il radar potranno proseguire valutando anche l'impiego di droni che consentirebbero di operare in modo più sistematico. Il T | 8 marzo 2024 p. 33 Marmolada, ripreso il monitoraggio del ghiacciaio canazei La struttura interna del ghiacciaio della Marmolada torna sotto la lente dei ricercatori. ieri mattina - recita una nota della Provincia - un sopralluogo è stato compiuto in quota con l'obiettivo di acquisire nuovi dati attraverso uno speciale apparecchio - il Ground Penetrating Radar - in dotazione al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell'informazione dell'Università di Trento. Lo scopo è quello di studiare lo stato del ghiacciaio in condizioni termiche differenti: quella realizzata ieri è stata infatti la terza campagna di acquisizione dati dopo i sorvoli compiuti a luglio e agosto 2023, con una situazione di differente contenuto d'acqua liquida all'interno del ghiacciaio. L'iniziativa - prosegue il comunicato - è stata promossa dal Servizio prevenzione rischi e Cue e dal Servizio geologico della Provincia, in collaborazione con l'Università di Trento e grazie al supporto del Nucleo elicotteri del Corpo permanente dei Vigili del fuoco di Trento. Il sorvolo è stato realizzato ricalcando il tracciato della scorsa estate, che aveva coperto buona parte del ghiacciaio. L'analisi congiunta dei dati ripresi nelle 3 campagne, permetterà di verificare la capacità del radar e delle tecniche di elaborazione dei segnali, di estrarre informazioni sul volume del ghiacciaio e sulla possibile presenza di accumuli di acqua nella sotto-superficie. In base all'esito della campagna - termina la nota della Provincia - i monitoraggi con il radar potranno proseguire valutando anche il possibile impiego di droni che consentirebbero peraltro di operare in maniera più sistematica.

PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI Corriere del Veneto | 1 marzo 2024 p. 2, edizione Treviso e Belluno «Pista da bob, laricidio». Ma Simico: «Metà erano malati» Martina Zambon Venezia «Laricidio» conia il Cai per accusare Simico di aver «ucciso» centinaia di «larici centenari». «Troppe ombre, Simico spieghi» rilancia la consigliera regionale di Europa Verde, Cristina Guarda. E la Società Infrastrutture Milano Cortina risponde per la prima volta specificando che i larici abbattuti nell’area del Ronco sono 560 e non 2 mila: «Una notizia totalmente falsa» specifica una nota ufficiale. La vicenda dei larici continua ad essere incandescente. E a gettare benzina sul fuoco è il Cai: «Il Club alpino italiano prende posizione. I “parchi a larice” da secoli sono soggetti a tagli però, ben diversi da quello a raso effettuato in questo caso, senza alcun rispetto delle procedure forestali. La montagna veneto-trentina, rischia di essere quella di un territorio alpino pressoché privo di boschi, ma “ornato” da strutture arrugginite di metallo e cemento».

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La risposta di Simico è articolata e dettagliata a partire dai numeri: « I larici secolari sono solo il 7% del totale rimosso che per metà era malato o danneggiato». Simico inizia facendo presente che il passaggio dal progetto originario alla versione «light» della pista «ha comportato una significativa diminuzione della superficie boscata interessata dai cantieri stimata in fase di progettazione esecutiva, portandola così da 24.291 mq a 19.980 mq, risparmiando 4.311mq di superficie boscata con una conseguente riduzione del numero degli alberi da tagliare: si stima infatti che il passaggio al progetto ‘light’ abbia anche consentito di evitare il taglio di oltre 200 alberi. Operazione, peraltro, autorizzata con parere dell’Unità Organizzativa Servizi Forestali di Belluno». La società recentemente affidata all’amministrazione di Fabio Massimo Saldini, spiega che si è fatta una mappatura dettagliata (posizione geografica, dimensioni, età e stato di consistenza) di tutti gli alberi presenti nell’area. Per ciascuno albero tagliato ne saranno piantati 12: questo porterà entro il 2026 alla piantumazione di oltre 10 mila nuove piante. Ma, soprattutto, si ricorda che i tagli sono inclusi nel Piano di riassetto forestale approvato negli anni scorsi su Cortina e che prevede, nel periodo 2009-2020, prelievi di alberi pari a 8.210 mc. Corriere delle Alpi | 3 marzo 2024 p. 25 I lavori della pista nel vivo da martedì Cantieri presidiati e con telecamere Francesco Dal Mas / CORTINA Entrerà nel vivo questa settimana il cantiere della pista da bob. Lo staff dell'impresa Pizzarotti è già operativo a Cortina, martedì saranno in movimento i primi macchinari della Grigolin. E nei prossimi giorni – come anticipa l'assessore Stefano Ghezze – l'Amministrazione si confronterà con il vertice di Simico per accelerare ulteriormente il cronoprogramma delle altre opere. Con due priorità – sottolinea sempre Ghezze – la bretella d'ingresso e l'impianto di arroccamento verso Socrepes, con il primo dei tre parcheggi in zona Apollonio. Accelerare significa anticipare le date previste di aprile e maggio per questi lavori. Una cosa che sarebbe oltremodo positiva. Ma – ed ecco la novità – bisognerà fare i conti con una variante in parte imprevista: quella della sicurezza. E non solo sui siti di Ronco e di Socol, ma per tutti i quindici cantieri in apertura entro l'anno. La preoccupazione di Zaia Ieri, a seguito delle minacce indirizzate al sindaco Gianluca Lorenzi, il presidente della Regione, Luca Zaia, ha confessato tutta la sua preoccupazione a margine dell'inaugurazione della fiera agricola di Godega. «Non so se avremo i cantieri blindati per motivi di sicurezza, spero di no. Però non lo escludo, la preoccupazione esiste». La pista da bob è stata l'unica opera al centro di forti e crescenti contestazioni, ma le autorità regionali sanno bene che sono attenzionate tutte quelle in corso e quelle che lo saranno entro l'anno. «Rinnovo la mia solidarietà al sindaco Lorenzi. So cosa vuol dire ricevere minacce. Dobbiamo fare in modo – e le autorità di pubblica sicurezza sono già in campo per assicurarlo – che i nuovi cantieri non si trasformino in un'occasione ulteriore per avere dei problemi, perché questo sarebbe veramente tragico. Le Olimpiadi dovrebbero essere un'occasione di festa e non di conflitto nel territorio». E ancora: «I cantieri non sono nostri, questo va spiegato: quindi non abbiamo noi il governo dei lavori. Certo è che queste Olimpiadi portano almeno 2 miliardi di infrastrutture e di opere che dovranno essere realizzate. Può essere che qualcuno tenti di fermarle, magari sfruttando il fatto che i giorni per farle sono contati». Ecco, infatti, l'altra parte: che si sfrutti ogni appiglio, magari anche con contenziosi giudiziari. In questi ultimi giorni sia la Pizzarotti e sia la Grigolin hanno confermato che sono attrezzate per lavorare in condizioni di sicurezza, da ogni punto di vista. Martedì i macchinari «Posso dire soltanto che siamo pronti a partire, con uomini e macchinari». Di più Roberto Grigolin non vuol far sapere. Dopodomani dovrebbe essere la prima giornata di messa a terra delle ruspe per tracciare il sedime della pista. L'assessore Ghezze va in ricognizione ogni giorno, a volte anche due, a Ronco e a Socol, sede quest'ultima del campo base degli uomini dell'impresa di Parma. «I cantieri sono super attenzionati da ogni punto di vista. Nulla ci sfugge, questo è sicuro. E dopo il disboscamento», fa sapere l'assessore, «la prima azione da parte della Pizzarotti sarà proprio quella di materializzare la zona di sicurezza. Dove nessun estraneo, ma davvero proprio nessuno, potrà e soprattutto dovrà entrare». Dunque, sia il cantiere di Ronco e sia il campo base di Socol saranno vigilati da telecamere, oltre che presidiati – naturalmente con la massima discrezione – dalle forze di polizia. Né le imprese, comprese quelle dell'appalto, né gli altri attori della cantierizzazione, compresi gli amministratori comunali, hanno ricevuto una qualche autorizzazione a specificare i lavori in corso. Anzi. Trasparenza La Pizzarotti, comunque, ha fatto sapere che garantirà la dovuta trasparenza, informando a tempo debito sull'avanzamento del cantiere. Le neve caduta negli ultimi 10 giorni ha rallentato la predisposizione dei sottoservizi nel campo base e l'installazione dei prefabbricati per circa 200 posti letto. La prossima sarà la settimana decisiva per fare gli scavi e preparare la rete dei servizi. Saranno impegnati gli addetti della Grigolin che, tra l'altro, possono contare come sede della foresteria di Vodo. La Pizzarotti, invece, per i suoi già numerosi collaboratori sul posto si avvale dell'ospitalità di alberghi convenzionati. Un supplemento di vigilanza

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«Il rapporto è estremamente collaborativo sia con Simico e sia con la Pizzarotti», precisa l'assessore Ghezze, «nonché con la prefettura con la quale ci interfacciamo sui temi della sicurezza. È evidente che l'episodio delle minacce al nostro sindaco ha comportato un di più di preoccupazione. E quindi un supplemento di vigilanza. Purtroppo dobbiamo mettere in conto che ci può essere qualcosa che va oltre il confronto molto civile che fino ad oggi siamo riusciti a condividere con chi da sempre ha espresso criticità. Non si riteneva che dei Giochi potessero provocare tensioni oltre il limite della legittimità. Dobbiamo impegnarci perché non accada». E proprio per questo, conferma l'assessore, la vigilanza è massima. Su questo e sugli altri cantieri che verranno. Anche perché lambendo l'immediata periferia della città, se non – in un prossimo futuro – il centro stesso, si creeranno inevitabilmente dei disagi per i residenti. — Corriere delle Alpi | 8 marzo 2024 p. 22 Quattro persone soccorse al giorno La metà ha solo sete o male ai piedi Cristina Contento / belluno Illeso ma incapace, non attrezzato, in ritardo, fradicio perchè non ha visto il bollettino, senza assicurazione. C'è chi chiama l'emergenza perchè è stanco, chi perchè ha male ai piedi. Perchè ha sete. È l'identikit dell'escursionista medio che si incroda sulle Dolomiti, d'inverno o d'estate: nel 2023 sono stati 533 gli illesi recuperati dal Soccorso alpino, a fronte di 1219 soccorsi totali (627 feriti), un pelo inferiore al 2022. In percentuale: il 46,30% del totale salvati, quasi la metà in un anno. A riprova della superficialità con cui si va in montagna, il 92,7% risulta al Cnsas senza assicurazione: «dati mai in calo» chiosa il Cnsas. Oltre quattro persone soccorse al giorno per il Cnsas, per 1095 interventi (oltre tre al giorno). L'attività del 2023 è stata presentata ieri nella nuova base all'aeroporto, dal Soccorso alpino bellunese, con il presidente regionale Rodolfo Selenati e i vertici della delegazione Dolomiti bellunesi Alex Barattin, della 11 delegazione prealpi venete Roberto Morandi e la sesta zona speleologica Cristiano Zoppello. Un approfondimento, quello dei soccorsi in montagna, che il Cnsas ha voluto condividere con chi quotidianamente è parte integrante delle operazioni: in platea anche il capitano Luca Morandi e Cristiano Romani della Finanza di Cortina, esponenti di Suem, Arpav, Usl con De Marco, Frigo, Cai. Una foto desolante, per il presidente regionale Rodolfo Selenati, quella offerta dal bilancio di un anno di lavoro: «Non so cosa si possa fare di più per abbassare queti dati». «Nel 2023 abbiamo operato 1219 soccorsi di persone ma mi casca sempre l'occhio su qualche causa in particolare: la perdita dell'orientamento per esempio: da 112 casi siamo saliti a 151. Poi maltempo, ritardo, malore: su questi interventi si può, si deve lavorare sensibilizzando ancora di più la gente, formare le persone. Perchè vuol dire che in tanti non pianificano le loro uscite in montagna: ed è qui che possiamo mitigare il rischio». Il Cai conta 70mila iscritti e negli ultimi tre anni ha avuto un aumento dell'8%, ha ricordato il presidente Frigo, ma «circa il 92,7% dei soccorsi nel 2023 non ha una assicurazione propria che copra le spese di recupero» marca Selenati. La montagna «come una palestra all'aperto», accusa il Cnsas che nota la «tendenza ad affrontare la montagna con metodologia irresponsabile e senza un minimo di preparazione fisica, consapevoli forse di poter contare su un efficiente sistema di soccorso». Colpiscono le cause che determinano i recuperi, ascrivibili alla mancata preparazione fisica e psicofisica, la perdita dell'orientamento e l'incapacità, «i ritardi, tutti leggermente in aumento rispetto al 2022. Sono il 29.30% dei soccorsi, rispetto al 28.4% del 2022. Come pure il "malore"» sottolinea il capo delegazione Barattin, «è da addebitare a diversi motivi e alla scarsa preparazione fisica, pari all'11.70%, con un aumento di +0,20%» In questo panorama, "caduta" e "scivolata" al 35%, sono una "normalità": «siamo in montagna» sottolinea Barattin «Il dato è leggermente in calo rispetto al 2022 di -1,20%» anche se il valore resta alto nel totale degli interventi. «L'escursionismo, spicca su tutte le altre attività coinvolte con il 46.30% di persone soccorse; quindi lo sci in pista a parimerito con le ferrate al 7,50%, queste in netto aumento rispetto al 2022 di +1.60%; mountain bike e e-bike si attesta ai valori degli anni precedenti con un 5.50%. Infine il parapendio, attività sportiva in forte crescita specie in zona Prealpi con un 4.80%». Calano i decessi: -15,71% con 59 casi tra i quali anche suicidi, (70 l'anno prima). Quanto alla nazionalità, gli italiani rappresentano circa il 73.30% degli interventi totali, in netta diminuzione rispetto al 2022 del 7.60%. Il 26.70%, in aumento del 7.60%, è suddiviso tra una quarantina di nazionalità: Germania, Usa, Polonia, Cekia, Francia e altri. Turisti in crescita: da 36 paesi nel 2022, ai 44 nel 2023; e stranieri aumentati dall'8 al 12%. Scende l'età dell'amante della montagna soccorso: il 60% fra 20 e 60 anni, un altro 15% tra i 60 e i 70. Come dire: battere sulla formazione dei ragazzi già sui banchi. Il Cnsas lo fa già, ha programmi specifici con gli studenti ma serve qualcosa di strutturale. «Andare in montagna dev'essere materia a scuola», taglia corto Barattin Corriere del Veneto | 26 marzo 2024 p. 15, edizione Treviso-Belluno Malagò: «Pista da bob? Se si ritarda pronto il piano B» Il presidente del Coni: «In quasi tutte le manifestazioni sportive si fa così». Il ministro Abodi: tempi da rispettare U. C.

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cortina d’ampezzo Andrea Abodi, ministro dello Sport e Giovanni Malagò, presidente del Coni (Comitato olimpico nazionale), hanno partecipato ieri alla tavola rotonda a Milano «Impianti e infrastrutture sportive: attori e processi—L’esperienza delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026». Il tema è scivolato sullo Sliding Centre di Cortina per le gare di bob, slittino e skeleton. «Le tempistiche non ci aiutano, ma vanno rispettate» ha sottolineato il ministro. «Ritardi? Il piano B esiste già» ha aggiunto il presidente del Coni. «Le cose non si risolvono e stravolgono da una settimana all’altra — ha precisato Abodi — ma si prosegue a ritmi incalzanti. I tempi non ci aiutano e vanno rispettati. L’eredità olimpica e paralimpica non dipenderà solo dalle opere che si chiuderanno prima, bensì da quelle che miglioreranno la qualità della vita dei cittadini: 3,5 miliardi di euro in investimenti che non sono il costo dei Giochi ma di opere pubbliche come strade, autostrade e tratti ferroviari». Malagò ha precisato che esistono sempre piani alternativi: «Questo succede quasi sempre, in quasi tutte le manifestazioni sportive». Sempre ieri al via alla Camera (dopo l’ok al Senato) la discussione generale sul decreto che contiene disposizioni urgenti sulla governance e sugli interventi di competenza della Società «Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026» (Simico), illustrato dal deputato della Lega Gianangelo Bof. Luana Zanella, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra, è intervenuta sottolineando che «anche nella maggioranza, non solo tra noi che facciamo da sempre ferma opposizione, c’è chi dubita sull’esito di questo insostenibile progetto tutto a firma leghista, visti i ministri, i presidenti di Regioni e di una Provincia autonoma coinvolti. Ci chiediamo se la presidente del Consiglio Giorgia Meloni abbia davvero mai messo un occhio sul pastrocchio leghista per costruire una pista da bob. Lì non si cerca di utilizzare le Olimpiadi per promuovere la montagna o l’occupazione durevole, o la mobilità ferroviaria (solo 400 milioni anziché 3 miliardi per le strade)». Infine la deputata del M5S Daniela Morfino ha sostenuto invece che i Giochi che «avrebbero dovuto comportare zero sprechi e alta sostenibilità ambientale con l’avvento delle destre si sono trasformati nei Giochi dello spreco».

#VIVEREINRIFUGIO: LA RASSEGNA EVENTI DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO Alto Adige | 5 marzo 2024 p. 30 #Vivere in rifugio, al lavoro per 10 «non eventi» estivi dolomiti. Quest'estate nei rifugi dolomitici ci sarà l'esordio assoluto dei «non eventi». In totale saranno dieci e il senso dell'iniziativa è quello di far avvicinare gli escursionisti alla montagna in modo intelligente: nessuna iniziativa impattante - dai concerti alle marce in quota - ma solo un'occasione per gustare a fondo lo spettacolo aprendo gli occhi e discutendo di temi importanti anche per le nuove generazioni, dal cambiamento climatico allo smaltimento dei rifiuti, dal rapporto con la clientela per renderla responsabile in termini di prudenza e rispetto per l'ambiente ai rifornimenti in alta quota.L'iniziativa con dieci appuntamenti. La Fondazione Dolomiti Unesco e i Gestori di Rifugio del Patrimonio Mondiale stanno definendo un calendario di una decina di appuntamenti tra le Dolomiti per accompagnare i frequentatori della montagna a capire che il senso della loro esperienza in quota è già tutto lì: sotto i loro piedi, davanti ai loro occhi. Il primo incontro nel Cadorino. Nei mesi scorsi, riuniti a Pieve di Cadore per il loro incontro annuale, i Gestori di Rifugio del Patrimonio Mondiale avevano espresso la volontà di proseguire con la campagna di comunicazione rivolta ai nuovi frequentatori della montagna, per sensibilizzarli sulla difficoltà della vita in quota e sull'importanza di condividere la responsabilità di un approccio sostenibile. In che modo? «Aggiungendo al format video #vivereinrifugio, una serie di incontri dal vivo, durante i quali riflettere semplicemente su alcune tematiche importanti e impattanti per la montagna, come la crisi climatica, e mostrare direttamente alcuni aspetti poco noti del lavoro di gestore, come i rifornimenti idrici ed energetici, lo smaltimento dei rifiuti, il rapporto con la clientela per renderla responsabile in termini di prudenza e rispetto per l'ambiente. Un'idea - spiega il portale ufficiale dolomitiunesco.info - nata dalla convinzione che la frequentazione della montagna non necessita di specchietti per le allodole e dedicata a chi, per mettersi in cammino, non ha bisogno di stimoli diversi dalla possibilità di contemplare la sublime bellezza del Patrimonio dolomitico e di comprendere la complessità del vivere in quota».Date ancora da fissare, previsti anche geotrekking nelle aree protette.Chi è interessato, ovviamente, deve cercare di non farsi sfuggire le date.«Continuate a seguire la Fondazione Dolomiti Unesco per conoscere nel dettaglio le date e i luoghi dei "non eventi" di #vivereinrifugio. Possiamo anticipare - spiegano gli organizzatori - che si tratterà di una decina di appuntamenti, di cui tre dedicati ad altrettanti geotrekking nelle aree protette. Gli altri seguiranno una formula estremamente semplice: raggiungere il rifugio autonomamente, pranzare, riflettere insieme ad alcuni ospiti qualificati su come stanno cambiando l'ambiente e la frequentazione della montagna, ascoltare dalle parole dei gestori di rifugio come si vive e si lavora, alla luce di quegli stessi cambiamenti, in questi fondamentali presidi d'alta quota». MAX.BO.©RIPRODUZIONE RISERVATA

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I DOCUMENTARI DEDICATI AI PARCHI DELLE DOLOMITI PATRIMONIO MONDIALE SONO SU RAIPLAY L’Adige | 5 marzo 2024 p. 31 Parchi naturali, i video disponibili su RaiPlay

DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI Corriere delle Alpi | 5 marzo 2024 p. 23 Vanoi, appello alla mobilitazione «Striscioni per dire no alla diga» Stefano De Barba / lamon Esporre striscioni con un semplice slogan: "Diga no, alternative sì". L'invito a rendere visibile in questo modo la protesta contro il progetto dello sbarramento a cavallo tra Feltrino e Primiero proposto dal Consorzio di bonifica Brenta per contrastare la siccità e garantire acqua alla pianura arriva dal Comitato per la difesa del torrente Vanoi e acque dolci, per bocca di Flavio Taufer. «Lo osteggiammo dal primo apparire nel 1998, quel famigerato fantasma che aleggiava in val Cortèlla minacciando il torrente Vanoi, fino alla sua sconfitta e dipartita nel 2005», ricorda Taufer. La mobilitazione dell'epoca puntava a «dire di no ad un'opera assurda e salvare uno degli ultimi corsi d'acqua a corsa libera esistenti nell'arco alpino (dalla Francia alla Slovenia) trascorsi vent'anni, ormai quasi estinti». Ora però il progetto della diga è stato riproposto e il comitato è tornato alla mobilitazione contro l'opera che prevede «un enorme invaso da 33 milioni di metri cubi (uno in più di Forte Buso, tre volte la Noana, quattro volte lo Schenèr) in area ad elevato rischio idrogeologico». Un'opera che, per il comitato, comporterebbe «un dissesto catastrofico sia sull'areale montano sia sul bacino idrografico di Cismon e Brenta, che vedrebbero strangolata l'unica vena vitale capace di rivitalizzazione, autodepurazione e ricarica delle falde da Passo Cinque Croci fino al mare. Sarebbe come amputare l'ultimo torrente sopravvissuto allo sfruttamento e che avanza con bandiera bianca».

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Ci sono però alternative, ricorda il comitato, per venire incontro al fabbisogno d'acqua della pianura senza costruire un maxi invaso. La Provincia di Belluno, nel suo ordine del giorno dello scorso autunno contro la diga, aveva ad esempio chiesto eseguire i lavori di manutenzione, pulizia e sghiaiamento dei bacini artificiali già esistenti. Ma anche le aree forestali di infiltrazione per aumentare l'accumulo idrico. «Vi sono studi intelligenti per salvaguardare tutto e tutti», ricorda il comitato del Vanoi, «costi assolutamente non paragonabili all'enorme investimento che richiederebbe la diga, con buone prospettive di riequilibrare, come nei vasi comunicanti, le necessarie logiche e sinergie tra montagna e pianura». Dal comitato arriva dunque l'invito a mettere sul tavolo le carte delle possibili alternative e intanto «manifestare e tenere desta l'attenzione su ciò che, nonostante le giustificate contrarietà, potrebbe accadere». «I corsi d'acqua sono fonte di vita. L'acqua deve essere tutelata nei suoi usi plurimi. Ciò che non può e non deve accadere è che una funzione diventi prevaricante, che pregiudichi le altre, che danneggi o comprometta irreversibilmente le condizioni di vita dell'uomo e dell'ecosistema». Per questo l'invito del comitato è a rendere visibile la protesta: «Chi se la sente metta a sventolare il proprio striscione: Diga no! Alternative sì». —

GESTIONE DEI FLUSSI Il T | 5 marzo 2024 p. 31 Val di Tovel, dal mese di maggio via ai parcheggi automatizzati Enrico Callovini VILLE D'ANAUNIA Parcheggi automatizzati per migliorare ulteriormente l'offerta della Val di Tovel. È questo l'obiettivo che l'amministrazione comunale di Ville d'Anaunia, guidata dal sindaco Samuel Valentini, ha in mente per incrementare ancora di più la qualità dell'esperienza di residenti e turisti che si recano al lago di Tovel. Un progetto per il quale sono stati stanziati - al momento circa 260 mila euro. «Stiamo parlando di una cifra ipotetica - ha detto il primo cittadino Valentini -. Abbiamo iniziato a raccogliere le varie esigenze e i costi reali, che andranno poi discussi con gli altri enti della convenzione (tra cui l'Asuc)». Come ormai noto, nel corso dell'ultima stagione estiva, la gestione della viabilità della Val di Tovel è passata per la prima volta dopo 20 anni nelle mani del Comune (in collaborazione con l'Asuc). Una nuova gestione che, come emerso dai dati (Il T del 25 febbraio) e come spiegato dal sindaco, ha funzionato molto bene. «La scelta di puntare sui parcheggi automatizzati, però, è stata presa perché ci siamo resi conto che migliorerebbe radicalmente la gestione della Val di Tovel - aggiunge Valentini -. Automatizzare i parcheggi permetterebbe di far sapere in tempo reale, a chi desidera recarsi in Valle, quante macchine ci sono nei vari parcheggi (che sono complessivamente otto). L'idea di fondo, però, è che con casse e ticket automatici, gli operatori abbiano più possibilità di dedicarsi ad altri aspetti come la pulizia dei sentieri intorno al lago o i servizi turistici». Altro tema non di poco conto, poi, è quello relativo al risparmio economico. «L'obiettivo del Comune non è certo fare business - spiega il sindaco -, ma stiamo cercando di lavorare sull'ottimizzazione dei costi. Abbiamo calcolato che l'automatizzazione ci permetterebbe di ridurre del 30% il costo del personale, che nel 2023 ha rappresentato il 54% dei costi totali. Inoltre, stiamo anche valutando la riduzione dei costi di trasporto pubblico, perché chiaramente con dei parcheggi più efficienti crediamo siano necessarie meno corse delle navette. Infine, ci darebbe la possibilità di monetizzare fuori orario, nel senso che se i biglietti, ora, erano dalle 9 alle 17 con controlli manuali, con l'automatizzazione possiamo estendere il pagamento con tariffe differenti a tutta la giornata o in base alla categoria di veicolo». La cifra è stata inserita a bilancio, ma non è ancora sicuro che l'intervento avverrà a breve. «Stiamo valutando diversi aspetti in queste settimane - prosegue il primo cittadino -. Se riusciamo a far quadrare tutto potremmo riuscire a farlo entro la fine di maggio, ma se non facciamo in tempo il sistema rimarrà quello precedente e ci ripenseremo più avanti. L'idea, comunque, è che in questi parcheggi ci sia una sbarra e un sistema di lettura targa. Così siamo convinti che si riesca ad avere un migliore controllo dei flussi e un accesso ideale ai parcheggi, che porta poi a non sovraccaricare la Valle». Qualche perplessità è emersa dai consiglieri di minoranza Santini e Pallaver, preoccupati soprattutto per via del fatto che, nei prossimi due anni, la Val di Tovel sarà interessata dai lavori per la realizzazione della galleria paramassi. Altro dubbio riguarda invece la spesa, visto che nel 2025 è previsto il termine della convenzione con l'Asuc. «La convenzione - spiega però Valentini - prevede che se facciamo un investimento di questo tipo possiamo introitare fino al recupero dell'investimento, quindi da quel punto di vista non ci sono problemi. In ogni caso, non vogliamo fare business, i nostri obiettivi sono sempre tre: il miglioramento ambientale, l'esperienza dei residenti e quella dei turisti. Siamo focalizzati su questo perché portano valore al territorio. Inoltre, la gestione automatizzata non è solo per oggi, ma speriamo che duri per i prossimi 20 anni. Una volta conclusa, la Val di Tovel non avrà più bisogno di interventi di questo tipo. E riguardo ai lavori, riuscire a partire già a maggio con questo sistema permetterebbe proprio di essere più resistenti al cantiere e fare in modo che tutto funzioni anche nei momenti più travagliati».

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PASSI DOLOMITICI Alto Adige | 14 marzo 2024 p. 30 Passi, limitazioni al traffico ma solo nelle zone Unesco ezio danieli DOLOMITI La Commissione trasporti della Camera dei Deputati ha approvato l'altro giorno una modifica al Codice della strada, con la quale intende consentire misure di limitazione del traffico nelle zone Unesco e quindi anche, ad esempio, sui passi dolomitici. «Si tratta di un passo importante, ma davanti a noi c'è ancora una strada complicata da percorrere», ha commentato l'assessore provinciale alla mobilità Daniel Alfreider che è soddisfatto del parere favorevole. «È un'apertura significativa dopo tanto tempo in cui c'era stata un'autentica chiusura in merito al problema che anche noi avevamo sollevato». Finora in Italia le limitazioni del traffico sotto forma di Ztl ("zona a traffico limitato") erano possibili quasi soltanto nelle aree urbane. Nel nostro Paese ogni anno, anche le strade fuori dai centri abitati devono subire autentiche valanghe di traffico. Stanno anche cercando di trovare le norme per le restrizioni al traffico. Grazie alla collaborazione con queste realtà è stato possibile ottenere una modifica del Codice della strada presso la Commissione dei trasporti. Questa novità è stata all'ordine del giorno nell'aula della Camera dei Deputati. «Se i deputati della Camera daranno il via libera alla modifica, anche il Senato dovrà essere d'accordo», dice l'assessore provinciale alla mobilità. Alfreider aggiunge di non essere del tutto soddisfatto del cambiamento. «Anche se si tratta di un traguardo importante ottenuto il quale ci sarà bisogno di lavorare parecchio». Si potrebbe prevedere un numero contingentato di veicoli, ma ciò richiederebbe anche le autorizzazioni adeguate. Tuttavia, la fissazione di una quota sarebbe estremamente difficile in termini di impegno amministrativo. Gli utenti della strada potrebbero legalmente pretendere il diritto di passaggio per vari motivi. «Sarebbe più semplice introdurre un pedaggio», ha spiegato Alfreider. A guidare questa modifica della legge è stata Forza Italia, insieme al sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti, Tullio Ferrante. Le limitazioni alla circolazione non potranno essere estese a tutto l'anno, ma soltanto per un massimo di 5 mesi. L'accesso alle strade trafficate interessate dovrebbe essere controllato elettronicamente. La proposta è un'innovazione importante e potrebbe essere applicata anche sui passi dolomitici. Corriere della Sera | 28 marzo 2024 p. 18 Codice della strada, il sì della Camera Ma è scontro sui limiti di velocità C. Vol. Roma I no sono stati 107. I sì 163. Dopo giorni di rallentamenti, polemiche, manifestazioni, la riforma del Codice della Strada è stata approvata alla Camera. È solo il primo passo. Il disegno di legge di 36 articoli che delega il governo per la revisione del Codice fermo al 1992 deve ora passare all’esame del Senato. Ma si annuncia una dura battaglia, dentro il Parlamento ma anche e soprattutto fuori. Perché il no compatto arrivato in Aula dalle opposizioni si associa a quello delle ultime settimane gridato da associazioni, sindaci e parenti di vittime della strada che hanno definito la riforma «un passo indietro» che «renderà le nostre strade ancora più pericolose» perché «non è stato fatto nulla per ridurre la velocità». E promettono: «La nostra mobilitazione non si fermerà», firmato Fevr—Federazione Europa delle Vittime di Violenza Stradale, AIFVS — Associazione Italiana Familiari e Vittime della Strada A.P.S., piattaforma #CITTÃ30SUBITO — Legambiente, Fiab—Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta, Salvaiciclisti, Kyoto Club, Clean Cities Campaign, ASviS, Amodo, Fondazione Michele Scarponi, Associazione Lorenzo Guarnieri, Fondazione Marco Pietrobono, Fondazione Luigi Guccione e Vivinstrada. Ieri è ripartito il mail bombing ai parlamentari, con migliaia di mail anche a senatori e senatrici: «Siete ancora in tempo per salvarmi la vita». Il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, promotore del disegno di legge, esprime invece «grande soddisfazione» per l’approvazione: «Siamo determinati a salvare vite, ci saranno più controlli, più educazione stradale, più rigore: dobbiamo ridurre quel numero superiore ai tremila morti sulle strade italiane, voglio arrivare alla fine del mio mandato con strade più moderne, larghe, più sicure e meno morti sulle strade». Con la riforma, arriva una stretta per chi guida ubriaco o sotto l’effetto di droghe, per chi usa il cellulare al volante o abbandona animali in strada. Vengono previsti poi la sospensione breve della patente (minimo 7 giorni) e l’obbligo di alcolock per i recidivi, ma anche limitazioni per i monopattini e gli autovelox «spesso usati — secondo la maggioranza — per fare cassa da parte dei Comuni». E si riduce l’autonomia dei Comuni su una serie di aspetti, oltre agli autovelox, come la realizzazione di piste ciclabili e isole pedonali, la regolamentazione della sosta e quella delle Ztl. Tutti motivi di protesta da parte di molti sindaci — da Roma a Milano, Torino, Bologna, Bergamo, Brescia — che hanno chiesto a maggioranza e governo di rivedere le norme che limitano la possibilità dei Comuni di

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intervenire sulla gestione della mobilità urbana e della viabilità stradale. Resta aperto quindi lo scontro sulle Zone 30 che la direttiva del primo febbraio scorso del ministro Salvini vieta nella maggior parte delle strade urbane, limitandole solo ad alcuni casi. Intanto arriveranno le Ztl nelle zone Unesco. È stata approvata la norma che le autorizza voluta dal sottosegretario al Mit Tullio Ferrante: «Un’occasione per valorizzare i nostri patrimoni».

DOLOMITI4ALL.IT Corriere delle Alpi | 7 marzo 2024 p. 25 "Dolomiti4all.it": 3,8 milioni per un turismo che volta pagina Lorenzo Soratroi/ LIVINALLONGO Destagionalizzazione turistica, investimenti in un turismo più inclusivo e accessibile rivolto a persone ipovedenti e cieche nonché a persone con ridotte capacità motorie e sensoriali, comunicazione ai bambini per formare i futuri fruitori consapevoli del patrimonio naturale dell'umanità Dolomiti. Questi gli obiettivi del progetto "Dolomiti4all. it" che vede Livinallongo come capofila per ben 76 comuni che fanno parte dei nove sistemi del cosiddetto Bene Dolomiti Unesco nelle province di Belluno, Pordenone, Bolzano, Trento e Udine. Il progetto Il progetto prevede la realizzazione di itinerari sostenibili tra i vari siti, webmarketing e la creazione di una piattaforma digitale per la prenotazione dei soggiorni. In ballo ci sono ben 3, 8 milioni, interamente finanziati dal ministero del Turismo per la valorizzazione dei Comuni a vocazione turistica. Il territorio delle Dolomiti Unesco rappresenta per la sua eccezionale bellezza paesaggistica una forte attrazione turistica non solo a livello nazionale, ma anche internazionale, che si avvale di uno strutturato sistema locale di offerta turistica che può contare su 15.000 attività ricettive con un potenziale di 300. 000 posti letto e un livello di occupazione di circa 40. 000 persone. Sistema che si caratterizza però per la concentrazione dei flussi in determinati periodi con picchi che rappresentano spesso un problema per la destinazione, le strutture ricettive, la sostenibilità dell'intero sistema, la qualità dei servizi e l'impatto sull'ambiente. Criticità che, secondo gli obiettivi del progetto, sono superabili attraverso il rafforzamento di politiche di sviluppo economico e di crescita sostenibile declinabili in destagionalizzazione turistica, periodi più lunghi ed alternativi, in particolare in primavera e autunno, e investimenti in turismo più inclusivo e accessibile. Il ventaglio dei temi proposti va dall'escursionismo e alpinismo alla bici e cicloturismo in tutti i loro ambiti di declinazione, dalla scoperta della storia e della cultura alla gastronomia autentica con i prodotti locali e di qualità, in sintonia con un turismo slow. Ma anche iniziative che, grazie alle moderne tecnologie digitali, possano rendere fruibili le Dolomiti anche alle persone ipovedenti e cieche, nonché a persone con ridotte capacità motorie e sensoriali. L'ospite target a cui l'offerta territoriale si rivolge è la persona interessata alla natura ed alla sostenibilità tra i cosiddetti millenials, ovvero nati tra il 1980 e il 2000, nonché le giovani famiglie con genitori con età compresa tra i 30 e i 45 anni. GLI INTERVENTI PREVISTI Diverse le attività ed i settori in cui si concentreranno le iniziative finanziate. In primis la comunicazione, che prevede la realizzazione di una piattaforma digitale di prenotazione offerte, interoperabile con il sito www. italia. it. Una web app, omnicomprensiva, costantemente aggiornata e interconnessa con le offerte di mobilità sostenibili, dove sarà reperibile il più ampio ventaglio di informazioni turistiche rilevanti ed utili sia per la pianificazione del viaggio e sia per la raccolta di feedback. Ci sono poi l'individuazione e la creazione di itinerari di collegamento sostenibili e tematici fra i nove sistemi delle Dolomiti Unesco a mo' di cammino delle Dolomiti, da percorrere a piedi, pedalando lungo viabilità e su sentieri già esistenti oppure con il trasporto pubblico locale nei comuni delle Dolomiti Unesco aderenti al progetto. L'attenzione alle persone con disabilità si concretizzerà con l'allestimento di itinerari, collocati in un ambiente immersivo e interattivo, fruibili, grazie ai moderni dispositivi tecnologici, da persone ipovedenti, non vedenti e con ridotte capacità motorie e sensoriali. L'obiettivo è creare un approccio esperienziale, autonomo e diretto per una tipologia di visitatori che forse meglio di altri riescono a percepire in modo amplificato e introspettivo suoni, odori e vivere emozionalmente le Dolomiti. La disabilità, temporanea o permanente, non dovrebbe infatti costituire un ostacolo o essere motivo di esclusione per nessuno, specialmente quando in campo c'è un patrimonio dell'umanità. Nel progetto è previsto anche il finanziamento di un evento di presentazione rivolto ai media ed ai vari enti che operano nel campo dell'inclusività, nonché eventi rivolti alle nuove generazioni in modo da coinvolgerle attivamente per la "formazione", in prospettiva, di un turista consapevole e rispettoso del Bene Dolomiti. —

STARLIGHT ROOM: GLI AGGIORMENTI Messaggero Veneto | 25 marzo 2024

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p. II, speciale “Nordest economia” Fenomeno Starlight Room tra Dolomiti e Disneyland Il patrimonio dell'umanità a portata di selfie, appena oltre il vetro di una stanza mobile appollaiata sulla roccia a una quota uguale o superiore ai 1.600 metri. Le "Starlight Room" sono il fenomeno del momento, brevettate due anni fa dal gestore del rifugio Col Gallina di Cortina, Remigio Campigotto, e diventate oggetto di una legge regionale e di un aspro dibattito tra chi le vede come l'emblema di un turismo montano immersivo e chi invece le considera come l'ennesima espressione di quel turismo da cartolina che trasforma in parco divertimenti luoghi in realtà fragilissimi come le Dolomiti. Tecnicamente si tratta di un monolocale dotato di camera da letto, piccola sala da pranzo e bagno. Nella realtà dei fatti è una costruzione in vetro e legno da adagiare sulle cime più suggestive delle Dolomiti. Le regole d'ingaggio per soggiornare sulla starlight room sono chiare. «Massimo due persone, niente animali e nemmeno bambini. Check-in tra le 16.30 e le 17, check-out alle 8 del mattino successivo», spiega Campigotto, «sono stanze ecosostenibili al 100%, fissate a terra, ma di fatto rimovibili. Gli scarichi sono interni alla struttura, per l'elettricità vengono utilizzati pannelli solari e il riscaldamento è a pellet». E a fine febbraio, dopo settimane di polemiche e tensioni all'interno della maggioranza, il Consiglio regionale del Veneto, con 35 voti a favore e 9 contrari, ha dato il via libera a queste strutture pur prevedendo qualche paletto. Le stanze potranno essere al massimo due per Comune, con non più di due posti letto per stanza. Dovranno essere realizzate in «vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto». Saranno collocate stabilmente sul suolo, ma dovranno essere «facilmente rimovibili». Potranno essere collocate sopra i 1.600 metri purché non distino più di 100 metri in linea d'aria da una struttura ricettiva esistente. «Sono soddisfatto che il progetto sia stato capito, anche nei suoi aspetti di piena sostenibilità», aggiunge Campigotto, «il mio intento non è promuovere un turismo elitario a vantaggio solo dei ricchi. Voglio solo offrire opportunità di un turismo emozionale, esperienziale». E così, con settecento euro a notte tutto compreso, anche la montagna diventa un'apericena. —

NOTIZIE DAI RIFUGI Corriere delle Alpi | 5 marzo 2024 p. 28 Il rifugio Lavaredo fa gola a molti: a giorni il bando AURONZO La gestione del rifugio Lavaredo fa gola a molti. Moltissimi, anzi, stando a quanto trapela dietro le quinte. Al punto che il Comune di Auronzo, ente proprietario, ha attuato una corsia preferenziale che nel giro di qualche giorno produrrà il nuovo bando chiamato a regolamentare la procedura d'assegnazione della struttura. Già stabilite le linee guida, ora si passerà alla stesura del documento. Questione di giorni, o forse di ore. L'obiettivo è quello di garantire la riapertura del rifugio Lavaredo in tempo per la stagione estiva. La struttura, dopo tanti anni, ha salutato con la fine della stagione estiva 2023 la gestione targata Daniele Vecellio Taiarezze. Contestualmente, attraverso una procedura di natura burocratica complessa che ne ha richiesto l'approvazione in consiglio comunale, il Comune per garantire continuità d'esercizio ha preso in mano quella che si presentava già circa un anno fa come una non semplice matassa da dirimere. Il nuovo bando era stato annunciato dall'amministrazione comunale già prima dell'estate scorsa quando l'apertura del Lavaredo sembrava a rischio. Cosa poi scongiurata anche grazie al prolungamento di un anno della gestione Vecellio Taiarezze che già prima della fine della scorsa stagione estiva (d'inverno il rifugio Lavaredo rimane chiuso) aveva annunciato la volontà di chiudere l'esperienza ai piedi delle Tre Cime. Ora il nuovo bando, al quale hanno già strizzato l'occhio aspiranti gestori, non solo auronzani. «Abbiamo attuato una procedura d'urgenza proprio alla luce della grande attenzione che in questo periodo abbiamo registrato attorno al futuro del rifugio Lavaredo», ha spiegato il sindaco di Auronzo, Dario Vecellio Galeno, «entro breve il bando sarà pronto e pubblicato. I tempi tecnici ci permettono di essere fiduciosi sull'apertura estiva della struttura». — Corriere del Trentino | 8 marzo 2024 p. 5 Al Pradidali si torna «al classico»

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Negli ultimi anni anche il turismo di montagna si è piegato ai «desideri» di chi anche in ata quota vorrebbe trovare servizi, assortimenti e comodità da hotel a 5 stelle. Una ricerca del lusso decisamente lontana dai valori che contraddistinguono la montagna e chi la vive appieno. Ma se il trend imperante ha costretto qualcuno a tentare di adeguarsi, c’è chi ha deciso di ribellarsi. È il caso del rifugio Pradidali, che sorge nel cuore delle Pale di San Martino, che con un post su facebook annuncia «il ritorno al classico»: «Quello che c’è, c’è. Ci saranno cose buone, ma non sarà certo un ristorante gourmet, di quelli ne trovate quanti ne volete in valle, ma sarà un vero rifugio d’altri tempi». Secondo il gestore Duilio Boninsegna, guida alpina, serve un ritorno al passato, «all’essenziale e alle cose davvero basiche e importanti della vita». E non c’è dubbio: molti escursionisti saranno d’accordo con lui. Corriere delle Alpi | 10 marzo 2024 p. 1 I rifugisti si ribellano «Basta richieste da hotel a 5 stelle Qui vige la sobrietà» Giù le mani dai rifugi alpini. Non sono né alberghi né ristoranti. Quindi? «Esigiamo una riclassificazione», risponde Mario Fiorentini, gestore del "Città di Fiume" e presidente dell'Associazione Agrav. «Solo quelli alpini dovrebbero essere chiamati rifugi», sostiene Renato Frigo, presidente regionale del Cai. «E si sa che da questi non si possono pretendere le prestazioni offerte da un ristorante, anche solo da un agriturismo, o da un albergo». I due appoggiano la protesta partita dal Trentino, precisamente dal rifugio Pradidali. «Anche la doccia non è un diritto ad alta quota», rimarca Mara Nemela della Fondazione Unesco. Dal Mas / PAGina 14 Giù le mani dai rifugi alpini. Non sono né alberghi né ristoranti. Quindi? «Esigiamo una riclassificazione», risponde Mario Fiorentini, gestore del "Città di Fiume", ai piedi del Pelmo, e presidente dell'Associazione Agrav. «Solo quelli alpini dovrebbero essere chiamati rifugi», sostiene Renato Frigo, presidente regionale del Cai. «E si sa che da questi non si possono pretendere le prestazioni offerte da un ristorante, anche solo da un agriturismo, o da un albergo». In Veneto sono 35 i rifugi alpini, quasi tutti del Cai. Un centinaio, invece, i rifugi riconosciuti come tali dalla Regione, ancora una decina d'anni fa, nonostante il Club alpino avesse invitato ad una distinzione. Qual è il problema? «I nostri amici clienti», informa Fiorentini, «pretendono tutti i confort che trovano in città, i piatti più tipici, i servizi più innovativi. Non sanno, invece, che utilizziamo l'elicottero per i trasporti, anche delle stesse "scoazze", quando non la teleferica, che però trasporta poca roba a giro. E un giro impiega anche 20 minuti se non mezzora». Duilio Boninsegna, guida alpina, gestisce il rifugio Pradidali, appena al di là del confine dolomitico tra il Bellunese e il Trentino. Ha lanciato l'altro ieri un messaggio che ha fatto discutere ma che sta trovando d'accordo parecchi operatori veneti, dal collega rifugista Fiorentini al presidente Cai Frigo. Non solo, anche Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco. «Ragazzi, ho deciso, quest'anno al Pradidali ci sarà un ritorno al classico», ha scritto Boninsegna. «Non venite a chiedere "voglio questo, voglio quello, avete quello o quell'altro". Quello che c'è, c'è. Ci saranno cose buone ma non sarà di certo un ristorante gourmet, di quelli ne trovate quanti volete in valle, ma sarà un vero rifugio alpino d'altri tempi. C'é bisogno anche in alta quota di un ritorno all'essenziale e alle cose davvero basiche e importanti della vita. E non ditemi "è caro", perché anche l'elicottero e la teleferica per portare su la roba sono molto cari e sono sicuro che capite, e se mi va vi offrirò anche una birra». «Se ci sarà acqua in abbondanza vi farò volentieri fare una doccia (a pagamento perché lassù il gas per riscaldare l'acqua ci costa il doppio), ma se la dovremo razionare scordatevela», aggiunge il gestore, «anche se siete in giro da giorni». Boninsegna invita gli ospiti ad essere gentili con i suoi ragazzi, perché anche loro sono chiamati agli stessi sacrifici. Poi aggiunge: «Non chiedetemi la camera singola o doppia perché "il mio amico russa", lo fanno tutti. Le notti, anche se in parte insonni, in una camera condivisa con altri ma in uno dei luoghi più belli del mondo vicino alle stelle, sono quelle che vi porterete nel cuore e vi ricorderete per sempre. Se vi accontentate di quello che il rifugio e noi vi possiamo offrire sarete i benvenuti in un luogo meraviglioso. Se invece volete "altro" non venite al Pradidali». «Condivido, parola per parola, quanto ha dichiarato Duilio», reagisce Mario Fiorentini, lamentando che soprattutto dopo il Covid gli escursionist i sono diventati troppo esigenti, pretendendo di trovare a duemila metri ciò di cui possono avvalersi in spiaggia o in città. «Ne hanno colpa fino a un certo punto, nel senso che dovrebbero immaginarsi che lassù, dove volano le aquile, non possono trovare tutte le comodità della pianura. Ma ci siamo sentiti dire che i rifugi sono rifugi, cioè debbono tutti avere le medesime prestazioni. E allora la responsabilità è di quelle istituzioni che hanno inserito nella stessa categoria il rifugio che si incontra lungo la strada e il Torrani che si trova a tremila metri di altitudine». Il Torrani – tanto per esemplificare – è annidato in cima al Civetta. L'escursionista che lo raggiunge parte da passo Staulanza, magari avendo modo di apprezzare il confort dell'omonimo rifugio. Sale al Coldai e trova già il clima del rifugio alpino, con maggiori ristrettezze. Se raggiunge il Tissi, si avvantaggia dell'ospitalità di un rifugio alpino ancora più severo. Se poi affronta la parete sud del Civetta e in cima raggiunge il Torrani, gode di un panorama unico ma deve accontentarsi della ospitalità sobria di un "nido d'aquila". «In vetta al Torrani o anche soltanto al Tissi, possiamo arrogarci il diritto alla doccia quotidiana come può offrire un rifugio raggiunto dall'acquedotto e privo di particolari spese di riscaldamento?», si chiede Fiorentini. Per il presidente del Cai Veneto Frigo, è necessaria una nuova riclassificazione da parte della Regione. «L'abbiamo chiesta da tempo ma riteniamo che fino alla prossima giunta dovremmo aspettare. Ci rendiamo ben conto, infatti, che distinguere i rifugi sarà operazione complessa perché osteggiata». —

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Corriere delle Alpi | 10 marzo 2024 p. 14 Fondazione Dolomiti Unesco al lavoro sulla campagna per l'uso consapevole della risorsa idrica Nemela: «A duemila metri di quota anche la doccia non è un diritto» L'intervista L'escursionista in rifugio ha o no diritto alla doccia? «La campagna per l'uso consapevole dell'acqua nei rifugi continuerà in modo ancora più incisivo perché, purtroppo, stiamo constatando che non tutti coloro che frequentano l'alta montagna se ne rendono conto. Ne abbiamo discusso anche nel recente cda della Fondazione Dolomiti Unesco». Ce ne dà conto la direttrice Mara Nemela. Come dire che non c'è un diritto alla doccia? «Assolutamente no. Ci sono rifugi che faticano con l'approvvigionamento dell'acqua. In alcuni casi viene portata con l'elicottero. Quindi va utilizzata con parsimonia. D'altra parte, il rifugio alpino deve avere la caratteristica della sobrietà, della misura». Sobrietà anche a tavola? «Certo. Ma se la scarsità d'acqua è un tema oggettivo, che in tanti casi è difficile da risolvere, per quanto riguarda la ristorazione posso assicurare che i rifugi garantiscono il massimo di qualità in ciò che possono confezionare. Nei corsi che come Fondazione abbiamo promosso, si è potuto verificare che tutti ci tengono alla cucina, perfezionata al massimo, ovviamente alle condizioni date. Certo, non si può pretendere a duemila oppure a tremila metri la performance del ristorante stellato di città». C'è chi chiede al gestore una spremuta di arance fresche, chi uno spritz con ghiaccio e oliva. C'è chi vuole affrontare i sentieri con i sandali e chi telefona per sapere se a 2700 metri si arriva in auto. Quindi è una cultura diversa che va promossa? «Esattamente. Ed è il nostro impegno come Fondazione. Una cultura che sia anche di adattamento ai cambiamenti climatici. Non sempre avremo disponibilità d'acqua come probabilmente ci sarà la prossima primavera, fors'anche l'estate, grazie alle recenti precipitazioni. La ricordiamo tutti la siccità di qualche estate fa». Il problema dell'acqua è appunto il più avvertito secondo quanto hanno riferito i rifugisti nei convegni di formazione organizzati dalla Fondazione. «L'utilizzo responsabile della risorsa idrica, viste le difficoltà di approvvigionamento in quota, è il concetto più difficile da far comprendere a quanti si aspettano che un rifugio eroghi servizi simili a quelli di un albergo o di un ristorante. E così, ci si trova a dove spiegare che in montagna può capitare di rinunciare alla doccia dopo una giornata passata a faticare su sentieri e ferrate. Conoscere la variabilità cui è soggetto il riempimento delle vasche in assenza di acquedotto, i costi di gestione e manutenzione, i "miracoli" quotidiani cui è costretto il gestore per garantire la ristorazione e i pernottamenti, appare sempre più indispensabile per formare gli escursionisti, consentendo loro, peraltro, di calarsi pienamente nel contesto montano e quindi di godere maggiormente dell'unicità dell'esperienza che li vede protagonisti». Abbiamo appena superato il mese di febbraio più caldo di sempre… «Ecco, la campagna della Fondazione non riguarderà solo le norme di comportamento, ma anche le cause profonde della necessità di risparmiare la risorsa idrica. L'aumento delle temperature nell'ultimo secolo, tutt'ora in corso, ha importanti ripercussioni sulla criosfera, cioè l'insieme delle zone innevate e ghiacciate della Terra, spesso l'unico serbatoio naturale di acqua in alta quota. I ghiacciai arretrano a una velocità tale da poter prevedere la loro totale scomparsa, sotto i 3500 metri entro il 2050. Molti rifugi dolomitici di quote medio-alte si trovano inoltre in aree carsiche, per loro natura poveri di risorse idriche superficiali, in quanto l'acqua piovana e di fusione nivale è rapidamente assorbita all'interno dell'ammasso roccioso calcareo-dolomitico. Conoscere anche questi aspetti del Patrimonio è un modo per viverlo e rispettarlo al meglio». — Fdm Il T | 13 marzo 2024 p. 10 I rifugi del futuro: sobri, essenziali e sostenibili «Sobrio, essenziale e sostenibile, presidio culturale e del territorio». Sono le caratteristiche imprescindibili di un rifugio alpino, nella definizione ufficiale del CAI e che - pur restando al passo dei tempi di una montagna in rapida trasformazione - devono continuare a ispirare architetti, ingegneri e gestori che si occupano di ristrutturare o ricostruire i rifugi in alta montagna. Tenendo a mente questi criteri, nel 2022 la Sat, per la prima volta nella sua storia, ha scelto di affidarsi a un concorso per la ristrutturazione dello storico Rifugio «Tommaso Pedrotti» a quota 2491 sul Brenta. Un successo che ha visto, oltre al progetto vincitore - presentato dal team di Stefano Pasquali, Samantha Minozzi, Alberto Stangherlin e Andrea Moser - oltre sessanta progetti, con cui altrettanti team hanno elaborato soluzioni diverse per le innovazioni richieste al rifugio ormai centenario. Per celebrarlo la Sat ha inaugurato ieri pomeriggio nel suo spazio la mostra «Progettare in quota» nella sua sede in via Manci, in cui sono esibite, oltre ai rendering e ai concept del progetto vincitore, quello di altri sette progetti segnalati dalla giuria, mentre tutti gli altri sono visitabili online sul sito della Sat. Collegata alla mostra si terrà un ciclo di incontri promosso dall'Ordine degli Architetti della Provincia di Trento il cui primo appuntamento, «Interni con vista. Significati dell'abitare l'alta quota», con l'architetto Luca Gibello, si è tenuto ieri.

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L'idea di un concorso per rinnovare un rifugio è per la presidente della Sat Anna Facchini «un'idea nuova, quasi rivoluzionaria. Dopo la proclamazione del vincitore, insieme all'Ordine degli Architetti abbiamo deciso di procedere un percorso per rendere visibili gli elaborati presentati, tutti ottimi. Il risultato è un labirinto che, oltre alle otto opere presenti fisicamente - ha spiegato - vede un 'cassetto virtuale', in cui tutte le altre sono consultabili online. Un serbatoio di idee che aiuta a capire cosa significhi costruire in alta quota». La Presidente ha spiegato che punta a fare del concorso una «tradizione consolidata», già in atto per il rifacimento di altri due rifugi storici, il Graffer al Grostè (il cui vincitore dovrebbe essere reso noto ad aprile), e il G. Tonini in Lagorai. La Sat, ha ricordato, ha investito 11 milioni nel patrimonio immobiliare dei 35 rifugi che gestisce, quasi tutti in gran parte provenienti dalla Provincia e in secondo luogo dal Cai. «Ma anche se sono privati, i rifugi sono patrimonio di tutti». «La progettazione alta quota è un cammino in salita, come arrivare fisicamente in montagna, una sfida per rispettare i requisiti di oggi, il trasporto del materiale, l'efficienza energetica e la sostenibilità». ha commentato Fabio Ferrario, vicepresidente dell'Ordine degli Ingegneri di Trento. «Sono sfide anche di significato, progettare un rifugio nel 2023 vuol dire chiedersi a chi ci stiamo rivolgendo: in montagna oggi vengono sempre meno montanari e più turisti in cerca di comodità, ma dobbiamo pensare a come porci davanti a tutto questo», ha aggiunto Marco Piccolroaz, presidente dell'Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Trento. «Importante sottolineare che parliamo di adeguamenti e noi ampliamenti. Un concorso - ha spiegato - è una sfida vinta già a bassa quota, perché permette un dialogo costruttivo». Presente, al «taglio virtuale» del nastro della mostra, anche Simone Marchiori, Assessore alle politiche per la casa della Provincia. «Anche i rifugi sono case, ma anche punti riferimento e luoghi del cuore. E come tutte le case hanno bisogno di adeguamenti e manutenzione, che devono essere fatti in punta di piedi, nonostante le montagne intorno, con il cambiamento climatico, cambino velocemente». Il Rifugio Pedrotti, situato tra la Cima Brenta Bassa e il Croz del Rifugio, fu eretto quasi esattamente un secolo fa dal Deutscher und Österreichischer Alpenverein (DuÖAV - Club Alpino austro-tedesco), per passare alla SAT nel 1914. Il bando di concorso prevedeva il rifacimento e l'ampliamento del sottotetto, una scala antincendio e un ampliamento del volume del 5%, mantenendo rigorosamente la stessa capienza attuale (130 posti). Per realizzarlo il team vincitore ha optato per un tetto rialzato di colore rosso e una scala antincendio dello stesso colore, da realizzare pensando il rifugio come un «faro di montagna, un punto di riferimento per gli alpinisti e gli escursionisti in cammino data la sua posizione strategica, visibile dai vari sentieri». Il tutto, per la commissione che ha giudicato gli elaborati, è caratterizzato da una sobrietà ottenuta da elementi architettonici «che ricercano il dialogo con paesaggio circostante e lo fanno vedere dall'interno, mantenendo un linguaggio contemporaneo ma non dissonante rispetto al contesto». Corriere delle Alpi | 20 marzo 2024 p. 16, segue dalla prima Rifugi, prenotazioni online Il Cai lancia la piattaforma speciale di prenotazione, da sperimentare in estate. «Sarà una sorta di booking per i rifugi alpini», anticipa il presidente nazionale Montani. «Se devi fare un trekking di 5 tappe, dai i luoghi di partenza e arrivo e i giorni in cui vuoi andare e il sistema prenota tutti i rifugi che ci sono lungo il cammino». Sono già scattate le prenotazioni a distanza dei rifugi alpini. Specie dall'estero. E particolarmente lungo le Alte Vie più rinomate, la n.1 dal Lago di Braies a Belluno e la n.2 da Bressanone a Feltre. Ecco, dunque, che chi cerca un pernottamento nell'imminenza dell'estate, o pochi giorni prima dell'escursione, non trova un posto letto. Ecco, dunque, che il Club Alpino Italiano – in occasione della fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili, in programma dal 22 al 24 marzo all'Allianz MiCo di Milano – lancerà una piattaforma speciale di prenotazione, da sperimentare già la prossima estate. «Sarà una sorta di booking per i rifugi del Cai. E non solo, per tutte le strutture alpine», ci anticipa il presidente nazionale Antonio Montani. «Esemplificando, se devi fare un trekking di 5 tappe, tu dai la tappa di arrivo e la tappa di partenza, i giorni in cui vuoi andare e il nostro sistema ti prenota tutti i rifugi che ci sono lungo quelle tappe». Il presidente Cai assicura che è un sistema economicamente più vantaggioso perchè non ha canone rispetto al 18% che chiede booking. «Noi chiediamo il 3,5% di commissione bancaria per i pagamenti. Il sistema, inoltre, potrebbe darci dei dati aggregati di presenze per vallate, quindi può essere uno strumento molto utile anche per fare programmazione id investimenti». I rifugi alpini del Cai in Veneto sono 35, più di un centinaio compresi quelli privati. «Dopo la pandemia abbiamo registrato un crescendo di frequentazione delle nostre strutture e, al tempo stesso, l'esigenza da parte degli escursionisti di poter contare su una certa privacy, camere singole, ovviamente con bagno, oppure posti letto in camerata ma isolati l'uno dall'altro. Quindi», racconta Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume, ai piedi del Pelmo, e presidente regionale dell'associazione dei rifugisti, «siamo stati costretti a fare di necessità virtù, cioè a ridurre drasticamente la disponibilità di posti letto». Il risultato? Difficilmente lungo gli itinerari più frequentati trova posto chi non prenota, per cui è costretto a farsi un supplemento notevole di ore di camminati per trovare dove posare la testa. «Questa forma nuova di prenotazione il Cai vorrebbe usarla per incentivare alcune aree e per disincentivare di andare in altre aree, indicando una sorta di bollino rosso», interviene di nuovo il presidente Montani. «Si veda l'overtourism lungo le Alte Vie 1 e 2, mentre le altre sono quasi deserte. La piattaforma servirà anche per suggerire altri itinerari, ovviamente indicando tutte le opportunità da visitare, quindi dove camminare, dove alloggiare e dove ristorarsi». Secondo Fiorentini sarebbe altresì necessario che l'ospite potesse trovare in prenotazione anche il mezzo pubblico da utilizzare, insieme al relativo orario, poiché neppure gli itinerari escursionistici più blasonati sono serviti puntualmente di trasporto pubblico;

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immaginarsi gli altri. Un problema che si aggrava nei periodi fuori stagione, perché con l'inizio dell'anno scolastico saltano tutta una serie di c ollegamenti di pullman tra le valli e i passi, taluni anche con fermata nei pressi dell'avvio dei sentieri ai rifugi di maggior richiamo. «L'importante è che la piattaforma», insiste il presidente dell'associazione Agrav, «non sia troppo ascetica. È importante, cioè, che descriva il rifugio nelle sue caratteristiche, in modo da far capire a chi prenota che cosa trova. Faccio un esempio: un conto è il Città di Fiume, non difficile da raggiungere, un altro conto è il rifugio che si trova al passo Staulanza, dove si arriva in auto, un altro ancora il Coldai o il Tissi. Se poi si prenota il Torrani, si deve sapere che bisogna impegnarsi in un lungo e faticoso sentiero, se non in una arrampicata sulla parete nord del Civetta». Il sistema della prenotazione per diversificare le mete dell'escursionismo è apprezzato anche dalla Fondazione Dolomiti Unesco. Nel territorio delle Dolomiti Patrimonio Mondiale vi sono in particolare alcuni hotspot con sovraffollamento generalizzato, code e chiasso che impattano sull'ambiente e sulla qualità della visita e della vita delle comunità locali. A sentire i dirigenti della Fondazione, l'impatto dell'overtourism può mettere seriamente in crisi la capacità di accoglienza delle diverse aree. — Alto Adige | 22 marzo 2024 p. 24 I rifugisti privati fanno quadrato: troppa burocrazia bolzano. Il gruppo "Rifugi Alpini Alto Adige" dell'Unione Albergatori e Pubblici Esercenti (Hgv) ha recentemente avuto diversi incontri con i rappresentanti politici a livello provinciale. Il gruppo, si legge in una nota diramata dall'Hgv, «ha avuto la possibilità di esprimersi su diverse tematiche, come l'urbanizzazione primaria dei rifugi, la necessità di teleferiche per il trasporto di persone definite e altre richieste espresse da anni» in diversi colloqui con il presidente del consiglio provinciale Arnold Schuler e i consiglieri provinciali Paul Köllensperger e Franz Ploner.Nell'ambito degli incontri «sono state discusse soprattutto le modifiche legislative perseguite nella valutazione dei progetti edilizi dei rifugi alpini e il regolamento della gestione del patrimonio della Provincia di Bolzano, e il gruppo ha evidenziato i problemi che comportano». Le modifiche legislative erano state presentate dal Team K nell'ambito della competente commissione legislativa.Per il gruppo Rifugi Alpini «è incomprensibile che associazioni private, anch'esse proprietarie di rifugi alpini, possano influenzare attraverso un parere tecnico le attività di altri concorrenti dello stesso settore. I progetti edilizi dei rifugi sono già sufficientemente valutati attraverso le previste procedure di approvazione, che sono molto complesse e burocratiche». «Le procedure e valutazioni attualmente vigenti fanno sì che i gestori di rifugi alpini non abbiano alcuna certezza nella pianificazione dei loro progetti edilizi e che siano costretti ad accettare mediamente tempi di attesa inaccettabilmente lunghi nel rilascio delle concessioni edilizie», dice il presidente del gruppo Rifugi Alpini dell'Unione Albergatori e Pubblici Esercenti (Hgv), Stefan Perathoner. Un'ulteriore valutazione dei progetti edilizi comporta ulteriori e soprattutto inutili carichi burocratici, e complicherebbe ulteriormente e, soprattutto, sproporzionatamente i progetti edilizi dei rifugi alpini.Il Gruppo Rifugi Alpini, in cui sono rappresentati circa 60 dei 96 rifugi alpini dell'Alto Adige, di cui circa 40 proprietari di rifugi gestiti privatamente, «rigetta la burocratizzazione programmata e spera che i rappresentanti politici considereranno le richieste dei rifugi», conclude infine il comunicato stampa.«Comincia l'attacco» commenta laconico il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella. «È la solita storia, i privati vogliono essere privilegiati e sopratutto non controllati», gli fa eco il presidente dell'Alpenverein Südtirol, Georg Simeoni. DA.PA©RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere delle Alpi | 24 marzo 2024 p. 20 Portale del Cai: via alle iscrizioni dei rifugisti BELLUNO Detto, fatto. Arriva il sistema booking on line per rifugi e foresterie. Da parte del Cai, che lo ha presentato a Milano. Già da domani i gestori potranno richiedere l'inserimento del proprio rifugio o della propria struttura ricettiva nella piattaforma. Si tratta del "Portale Cai dell'escursionista", che il Club alpino italiano, con il supporto del ministero del Turismo, metterà a disposizione di escursionisti, camminatori e alpinisti per individuare facilmente rifugi – sono 35 quelli del Cai sulla montagna veneta, più di un centinaio quelli privati – e strutture ricettive in quota dove pernottare lungo sentieri, cammini e vie alpinistiche. Il portale funzionerà già dall'estate. Per il primo anno il servizio sarà gratuito per i rifugi del Cai e per i punti tappa ufficiali del Sentiero Italia Cai, mentre costerà 50 euro per tutte le altre strutture. Dal secondo anno in poi il costo annuale ammonterà per tutti a 130 euro. Gli importi saranno accreditati in pochi giorni con una commissione del 3,45%. All'indirizzo prenotarifugi.cai.it si potrà prenotare da qualsiasi dispositivo il pernottamento nei rifugi del Club alpino, in quelli privati, nelle foresterie e nei punti tappa lungo gli itinerari escursionistici e alpinistici selezionati, abbassando così i tempi per organizzare un'escursione di più giorni. Il nuovo sistema di booking online sarà multilingue (italiano, inglese, francese e tedesco), intuitivo e di facile consultazione, e verificherà automaticamente periodi di apertura delle strutture e disponibilità di alloggio.

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«Ritengo che questo sia il progetto più importante del Cai negli ultimi anni, oggi nel nostro Paese non esiste nulla di simile», spiega il presidente generale Antonio Montani. «Il portale è uno strumento pensato e ritagliato sulle esigenze dei camminatori, dove poter prenotare, con facilità per l'utente e utilità per il gestore, tutto ciò che concerne l'accoglienza nell'outdoor. Sarà possibile prenotare tutti i pernottamenti di un trekking in un'unica sessione e con un unico pagamento di tutte le caparre». Nel portale del Cai sarà presente un sistema cartografico con le tracce dei sentieri e dei cammini, 100 mila chilometri dei quali sono già online. «Oltre a facilitare l'utente, questo farà del portale un potente sistema di promozione di sentieri, cammini e territori montani», prosegue Montani. «Per la prima volta un gestionale online consentirà di prenotare i singoli posti letto e non le camere», ha aggiunto Cristina Bruschini, referente del progetto per la Cooperativa Montagna Servizi. «Sarà possibile effettuare una ricerca per nome della struttura, per luogo oppure navigando sulla mappa cartografica, con le strutture ricettive che compariranno durante l'esplorazione di una singola area». Con questo progetto il Cai vuole anche favorire e semplificare la gestione delle prenotazioni ai rifugisti, che potranno personalizzare la pagina della propria struttura con informazioni su prezzi, periodi di apertura e posti letto, oltre a foto e descrizioni. Il tutto sarà aggiornabile in tempo reale. «Il gestore riceverà notifiche per tutte le prenotazioni ricevute, che potrà gestire con una serie di filtri. La traduzione dei contenuti nelle altre lingue sarà automatica, così come l'aggiornamento dei posti letto disponibili», spiega ancora Cristina Bruschini. I pagamenti delle caparre potranno essere effettuati con carta di credito, bonifico e Paypal. — fdm Corriere del Veneto | 24 marzo 2024 p. 15, edizione Treviso e Belluno Sito web del Club alpino da cui acquistare camere e preparare itinerari Ugo Cennamo belluno Come accade quando si organizza un viaggio in una capitale o in una località turistica, le prenotazioni nei rifugi in quota dalla prossima stagione estiva si potranno effettuare online grazie al nuovo portale del Cai (Club alpino italiano). Collegandosi al sito web (prenotarifugi.cai.it ) possibile conoscere le aperture, la disponibilità di camere, il tipo di offerta delle strutture e anche perfezionare l’acquisto (pagando on line) e il proprio itinerario a seconda delle proprie esigenze. Intanto si raccolgono le adesioni dei gestori (email assistenza.gestori@cai.it ). Mauro Dapoz, gestore del Rifugio «Giussani» a 2.580 metri a Forcella Fontananegra, tra la Tofana di Rozes e quella di Mezzo, parteciperà da remoto giovedì alla presentazione del progetto. «Devo capire di cosa si tratta — sottolinea Dapoz — Tutti i rifugi hanno un loro sito web dove si presenta il tipo di offerta proposto che non è standard, ma diversa da luogo a luogo. Io ho una quarantina di posti-letto, ma non camere singole o doppie. Importante la chiarezza per non fare confusione». Il primo anno il servizio del portale sarà gratuito per i Rifugi del Cai, 50 euro per le altre strutture. Dal secondo anno in poi il costo annuale salirà per tutti a 130 euro. Riguardo gli utenti, i pagamenti delle caparre cauzionali per le camere potranno avvenire con carta di credito, bonifico, Paypal (con una commissione pari al 3,45%). «Il portale — ha sottolineato Antonio Montani, presidente del Cai — è una novità assoluta, sarà possibile prenotare tutti i pernottamenti di un trekking e questo farà del portale un potente sistema di promozione dei sentieri dei territori montani». Corriere delle Alpi | 28 marzo 2024 p. 26 L'appello dal Città di Fiume: sostenete il lavoro dei rifugisti Gianluca De Rosa / Borca Salutata la stagione invernale solo nello scorso weekend, con gli ultimi due giorni d'apertura, per Mario Fiorentini, storico gestore del rifugio Città di Fiume (in territorio di Borca ma che serve anche la Val Fiorentina) è arrivato il momento di tracciare un primo bilancio. Bilanci che ruotano attorno alla crescente presenza di turisti che, anche d'inverno così come avviene già in estate, scelgono questo specifico territorio per le proprie vacanze. In stile outdoor, concentrate lontano dalle piste da sci. Un dettaglio che non sfugge alla disamina del presidente di Agrav, che come al solito non le manda a dire. «A fronte di una presenza sempre più numerosa di turisti che scelgono per la propria vacanza sulla neve proposte concentrate ben lontano dalle piste da sci, manca da parte delle istituzioni la consapevolezza che, oggi più di ieri, esiste un'offerta che si potrebbe definire extra sci, o comunque parallela alle piste da sci, meritevole di attenzione e considerazione. Per la serie: si parla sempre più frequentemente di proposte alternative allo sci, anche alla luce dei cambiamenti climatici in atto, ma poi le attenzioni restano tutte o quasi tutte concentrate attorno a sci ed impianti di risalita. Questo soprattutto a livello economico». L'area tra Borca e la Val Fiorentina in tal senso si è confermata durante l'inverno ormai alle spalle un paradiso per gli escursionisti tanto che un rifugio come il Città di Fiume punta all'obiettivo di garantire un'apertura sempre più lunga e continuativa nel corso dell'anno.

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«Ma anche qui è bene fare un ragionamento», sottolinea Fiorentini, «che poi è un ragionamento che non riguarda esclusivamente il rifugio Città di Fiume ma tutti quelli che concentrano la propria attività in un contesto situato lontano da impianti e piste da sci. Così come esiste un piano economico di sostegno agli impianti, sarebbe il caso che qualcuno, sul fronte istituzionale, prendesse in considerazione il nostro tipo di attività. Tutti ci vogliono sentinelle della montagna, ma per stare quassù ogni giorno della settimana anche fuori stagione servirebbero incentivi. Si parla spesso del "fare squadra" , anche in montagna, ma manca la strategia. Le iniziative sono meritevoli, gli sforzi del territorio vanno apprezzati ma poi si perdono dietro azioni singole o estemporanee che non aiutano il turista ad orientarsi. È così che chi sceglie la montagna per una vacanza sugli sci sa cosa fare e si ritrova tutto ben organizzato, chi invece arriva in montagna ed opta per cose alternative spesso brancola nel buio». —

NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO Il T | 1 marzo 2024 p. 19 Il soccorso alpino: «Valanghe, in troppi senza attrezzatura» Il soccorso alpino del Trentino è pronto a affrontare quello che rischia di essere uno dei fine settimana a maggior rischio della stagione. La neve (a quote alte) è tanta, mai come se n'è vista nel resto dell'inverno. E il rischio valanghe resta alto: livello tre quello previsto nella giornata di oggi ma, tra domani e domenica, potrebbe anche aumentare a causa di nuove precipitazioni. I presupposti non sono dei migliori: mercoledì una slavina ha ucciso un ragazzo tedesco a Racines e in Trentino si sono registrati diversi eventi che hanno sfiorato sciatori, anche se senza conseguenze drammatiche. E negli ultimi giorni sono fioccate le multe a sciatori che si avventuravano in fuori pista senza i dispositivi salvavita. Un fenomeno che i soccorritori hanno già notato in diverse circostanze, quest'anno. «Purtroppo — afferma il presidente del soccorso alpino del Trentino, Walter Cainelli — è un problema che si ripropone. Le persone che si sono esposte di recente al rischio valanghe sono tutti freerider. Sciatori con gli sci da discesa che si fanno ingolosire dalla possibilità di un fuoripista. Solo che non hanno con loro il dispositivo Arva, la sonda e la pala, che gli scialpinisti, normalmente portano sempre con sé. A differenza degli scialpinisti, inoltre, molto spesso non sanno valutare le masse di neve e il conseguente rischio che si corre. È quello che è accaduto, negli ultimi giorni anche a Campiglio: per fortuna si è staccato solamente un piccolo accumulo di neve». Proprio in questi giorni, il soccorso alpino trentino ha rinnovato i proprio capistazione. Sulle 34 presenti sul territorio (33 territoriali, una speleologica, 23 responsabili sono nuovi, mentre undici sono stati riconfermati. «C'è stato un significativo ricambio: abbiamo molte persone giovani pronte a mettersi a disposizione, detto che i nuovi capi hanno tutti molta esperienza — continua Cainelli — Si tratta di un ruolo fondamentale, che ha la grande responsabilità di organizzare gli interventi di soccorso nel territorio di competenza, garantendo un servizio 24 ore su 24, 365 giorni l'anno: il tutto in modo completamente gratuito». D.O. Corriere dell’Alto Adige | 5 marzo 2024 p. 3 L’appello del presidente del Soccorso alpino: chiamateci, ci siamo sempre Matteo Macuglia BOLZANO La tragedia della morte di Markus Raffl, 16 anni, travolto da una valanga in val Passiria, ci ha ricordato ancora una volta come la montagna sia un luogo pericoloso, da trattare con il massimo rispetto. Specialmente d’inverno, quando le condizioni diventano più estreme e più imprevedibili. Lo sa bene Giorgio Gajer, presidente del soccorso alpino dell’Alto Adige, che da ormai 30 anni fa parte di questo gruppo di volontari impegnato, spesso con il rischio stesso della propria vita, a evitare che fatti del genere finiscano nel modo peggiore. «È chiaro che tragedie di questo genere fanno sempre male. Quello che ci intristisce ancora di più è che nonostante i messaggi e le campagne di prevenzione che proponiamo nel corso di tutto l’anno su come si affronti la montagna (ricordando che il rischio zero non esiste) a volte la si approcci comunque senza le adeguate precauzioni». Freeriders e scialpinisti sono attirati dalla neve fresca, forse sulla scorta della leggerezza con cui alcuni mass media passano filmati di situazioni estreme senza rimarcare quanto grandi siano i rischi. Invece ci vuole consapevolezza, innanzitutto facendo sempre riferimento ai bollettini meteo che in questi giorni segnalano un rischio valanghe «marcato», con un punteggio di 3 su una scala da uno a cinque. Ci sono poi delle zone più a rischio, che in questo momento corrispondono a quelle dove è nevicato molto con la creazione di grandi accumuli che prima o poi scenderanno a valle. «È chiaro che con le precipitazioni la situazione tende a peggiorare — sottolinea Gajer —, in particolare ora che con l’aumento delle temperature aumentano gli “stacchi” di grossi blocchi di neve che non danno alcun segnale prima di cadere. In questo momento le aree più a rischio sono l’alta val Venosta, la zona di Racines e Vipiteno». Ma in generale «dove c’è alta montagna c’è sempre rischio».

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Una delle prime raccomandazioni, per evitare problemi, è pianificare il proprio percorso, controllando sempre il meteo. Per quando riguarda il pericolo valanghe, strumenti utili sono il sito «Valanghe.report» e il Meteo provinciale dell’Alto Adige. C’è poi il capitolo dell’attrezzatura che deve essere adeguata alla sfida e alle temperature senza dimenticare gli strumenti tecnologici che possono salvare la vita. Chi sa di esporsi al rischio valanghe, deve sempre avere con sé l’Artva (Apparecchio di ricerca dei travolti in valanga), una pala e una sonda.Questi gli strumenti basilari, ai quali si può affiancare tecnologie di nuova generazione, come l’airbag integrato con lo zaino che permette di restare sulla cresta della slavina senza venirne inghiottiti. Non c’è spazio per l’improvvisazione insomma, ma se ci si trova all’improvviso davanti a qualcosa di inaspettato, è sempre meglio tornare indietro o chiamare i soccorsi. «Noi ci siamo — ricorda Gajer —. Con le nostre 21 stazioni sul territorio e i nostri volontari costantemente preparati e aggiornati su come intervenire in situazioni ad alto rischio. L’anno scorso sono stati più di 1.300 gli interventi del soccorso alpino provinciale».

NOTIZIE DAI CLUB ALPINI L’Adige | 2 marzo 2024 p. 12 Sat, verso il cambio al vertice leonardo pontaltiSi avvicina il momento del cambio al vertice per la Sat: dopo due mandati, dall'aprile prossimo Anna Facchini non sarà più alla guida del sodalizio degli alpinisti tridentini. Per statuto, non avrebbe potuto più ricandidarsi e stessa sorte toccherà anche a una delle sue due vicepresidentesse, Elena Guella. Della presidenza attuale, dunque, si ricandiderà soltanto l'altra vice, Iole Manica.Si avvia così alla chiusura una fase per la Sat: la guida di Anna Facchini - prima donna scelta al vertice - in questi sei anni è stata attenta alla sostenibilità non solo dell'ambiente montano ma anche e soprattutto dei conti, come la stessa Facchini non ha mai nascosto spiegando più volte che una delle priorità - a fronte del calo delle contribuzioni pubbliche e delle donazioni private al di là dei tesseramenti - era quella di garantire autonomia e stabilità alla Sat, con una guida a impronta manageriale che ha aperto la strada a partnership commerciali e a fatto storcere il naso a qualcuno dei soci, anche per la necessità di aumentare i canoni di alcuni rifugi con conseguenti addii di gestori storici.Una guida che comunque è stata legittimata dai satini con la rielezione nel 2021 ma ora si starà a vedere se il cambio della guardia porterà continuità o meno.In campo per ora ci sono le candidature per il Consiglio centrale, verso l'assemblea dei delegati del 20 aprile al centro congressi Erickson. I posti sono 19 e tra questi verranno poi eletti dal Consiglio presidente e vice. I candidati per il Consiglio centrale sono 32: l'ex magistrato Carlo Ancona, il vicepresidente del Soccorso alpino Johnny Zagonel, il veterinario Alessandro de Guelmi, il geologo Giovanni Galatà, il presidente Sosat Luciano Ferrari (e con lui altri presidenti di sezione: tra gli altri Caré Alto con Matteo Motter, Alta Fassa con Licia Favé, Pinzolo con Paolo Querio, Rallo con Massimiliano Corradini), Roberto Anselmo, Mauro Baldessari, Gianmario Baldi, Nicola Dall'Oglio, Cinzia Fedrizzi, Cristian Ferrari, Stefano Gaio, Giovanni Ghezzer, Riccardo Giacomelli, Lorenzo Kessler, Iole Manica, Corrado Mazzocchi, Mauro Mazzola, Bruna Penasa, Roberta Rosi, Alessandro Rossi, Domenico Sighel, Franco Tessadri, Valentino Trainotti, Paolo Pezzedi, Alessio Trentini, Mauro Viesi, Paolo Visconti.L'assemblea dei delegati dovrà eleggere anche il Collegio dei Probiviri (cinque i candidati: Edda Agostini, Roberto Caliari, Paolo Mondini, Ettore Luraschi, Marco Matteotti) e l'organo di controllo (sei candidature: quelle di Stefano Giovannini, Stefano Curzio, Luciano Dossi, Nicola Francesco Lenoci, Christian Pola, Paolo Scoz).Dopo l'elezione del Consiglio centrale il 20 aprile, la scelta dei nuovi vertici da parte dei consiglieri avverrà nei giorni successivi. Corriere del Trentino | 6 marzo 2024 p. 6, segue dalla prima Sul sito della Sat creata una sezione ad hoc. C’è chi garantisce anche il giorno libero Persone che si occupino delle camere, della sala. Ma soprattutto cuochi: i rifugi della Sat iniziano la ricerca del personale per affrontare la prossima stagione estiva. L’apertura tradizionale è fissata per il 20 giugno, ma l’attività all’interno del sodalizio è già alta: non a caso, sul sito internet è stata creata una sezione specifica per unire domanda e offerta. All’apertura «tradizionale» manca ancora qualche mese: secondo il calendario della Sat, la stagione estiva dei rifugi parte infatti il 20 giugno, per proseguire almeno fino al 20 settembre. Eppure, in vista della riapertura dell’attività in quota, i gestori sono già al lavoro. Per preparare tutto il materiale. Ma sopratutto per riuscire a trovare il personale che, nei tre mesi «caldi», dovrà occuparsi della cucina, delle camere, della sala. Compito tutt’altro che facile, di questi tempi: da qualche anno infatti la ricerca di personale stagionale, in ambito turistico, fa penare non poco gli operatori del settore. Anche in Trentino. E anche in montagna. Proprio per cercare di aiutare i gestori dei rifugi nella ricerca del personale, la Società degli alpinisti tridentini ha creato una sezione ad hoc del proprio sito internet che punta a mettere in contatto domanda e offerta. Raccogliendo le richieste dei gestori e fissando le figure che più vengono ricercate. E scorrendo l’elenco — ancora in divenire — a saltare agli occhi è soprattutto un dato: a mancare, nella squadra dei rifugi, sono in particolare i cuochi. O comunque il personale per la cucina: dagli aiuto cuochi ai lavapiatti.

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Cerca un cuoco per il periodo giugno-settembre, ad esempio, il rifugio «Denza» ai piedi della Presanella. Al rifugio «XII Apostoli» in Brenta sono alla ricerca di un aiuto cucina «con esperienza», ma anche di una persona che possa occuparsi di sala e camere «con buona conoscenza dell’inglese». Al rifugio «Segantini» in val d’Amola manca all’appello un aiuto cuoco, mentre il rifugio «Pernici» alla Bocca di Trat ha presentato un elenco più articolato: per il periodo compreso tra maggio e ottobre servono infatti un cuoco, un aiuto cuoco-lavapiatti e un cameriere. Ma visto l’afflusso di turisti durante i mesi più intensi della stagione estiva, i gestori sono pronti a rafforzare la squadra con un cameriere nei mesi di luglio e agosto (con la possibilità di lavorare anche durante gli altri weekend di apertura) e con un lavapiatti-aiuto cuoco per il mese di agosto. L’assicurazione che segue potrebbe attirare più di un aspirante: «Si garantisce un giorno libero a settimana, vitto e alloggio». Anche il rifugio Vajolet, sul Catinaccio in val di Fassa, è alla ricerca di un aiuto cuoco «con esperienza» per l’estate. Mentre il rifugio Cima d’Asta punta a trovare un cuoco. «Lavorare in un rifugio è un’esperienza indimenticabile che lascia il segno nella vita di chi decide di intraprendere questa avventura» scrive la Sat sul sito internet. Mettendo in evidenza pro e contro: «È un lavoro impegnativo fatto di lunghe giornate, ma la soddisfazione è tanta. Il rifugio è un mondo a sé, spesso lontano dalle comodità quotidiane, ma che ti permette di conoscere molte persone, stringere amicizie, vivere luoghi e ambienti unici e scoprire un nuovo pezzetto di sé». Intanto, in vista dell’estate, da assegnare ci saranno anche le gestioni di tre storici rifugi: il Sette Selle in Lagorai, il Carè Alto e il Mandron. Alto Adige | 8 marzo 2024 p. 38 In tre puntano alla Sat Centrale fabrizio bridaVALLI DEL NOCE - Massimiliano Corradini, presidente della Sat di Rallo, Alessandro Rossi, vicepresidente della sezione di Malé, e Lorenzo Kessler, membro della sezione di Magras.Sono loro i rappresentanti delle Valli del Noce in lizza per entrare a far parte, insieme ad altri 29 candidati, del Consiglio centrale della Sat. L'assemblea dei delegati, in programma sabato 20 aprile alle 9 al Centro Congressi Erickson a Trento, avrà infatti il compito di eleggere i 19 nuovi consiglieri.In rappresentanze delle due valli e delle 21 sezioni nonese e solandre, hanno deciso di scendere in campo tre appassionati di montagna che hanno le idee ben chiare su come dovrà essere la Sat del futuro.Massimiliano Corradini, presidente della sezione di Rallo da due mandati e consigliere della Sat Centrale uscente con un ruolo di collegamento tra il Consiglio Centrale e la Commissione Glaciologica, è anche componente del Comitato di gestione del Parco dello Stelvio. Ha fatto inoltre parte della giuria per il Premio Dolomiti Unesco-Sat al Trento Film Festival per tre anni.Per lui la parola chiave è trasparenza. «Vedrei bene una Sat che guarda sì al futuro, ma tenendo in considerazione la tradizione e le sue basi - spiega -. Una Sat che metta davanti i volontari e la sezione, perché ritengo necessaria una presenza di valle nel senso di rappresentanza territoriale. I soci devono poter dire la loro e sentirsi rappresentati, con una parte del Consiglio centrale eletto direttamente dalle sezioni di valle che individuano il consigliere di riferimento, che entra di diritto. La restante parte, invece, è votata da tutte le sezioni».È originario di Mezzocorona, ma risiede a Pellizzano, Alessandro Rossi, vicepresidente della sezione di Malé e consigliere della Sat Centrale da due mandati con un ruolo di collegamento tra il Consiglio Centrale e la commissione Tam (Tutela Ambiente Montano), portavoce nel Comitato Provinciale Difesa Acque del Trentino e rappresentante in Cabina di Regia Aree Protette.Tra le sue salite, oltre a moltissime montagne locali e nazionali, si ricordano un 8.000 e diversi 7.000 in Himalaya, tanti 6.000 e 5.000 sulle Ande. «Vorrei che aumentasse l'attenzione alla protezione dell'ambiente, montano in primis ma non solo - rivela - e vorrei una maggior snellezza in risposte e azioni nei confronti di segnalazioni che paventano progetti contro natura e contro quanto scritto nel nostro statuto».Ha sempre amato la montagna - un amore trasmesso anche ai suoi figli - Lorenzo Kessler della Sat di Magras. «Anche se non ho grandi esperienze di alpinismo in alta quota, mi sono sempre dedicato al trekking in Italia e all'estero, allo sci e alla mia baita in Val di Sole - racconta -. Vedrei bene una Sat meno timida, più propositiva nel dibattito e nella tutela della montagna, ma anche pragmatica e inclusiva, visto che rappresenta più di 26mila appassionati. Credo sia necessario ascoltare tutte le necessità e le proposte delle varie sezioni, per trovare poi una sintesi che porti benefici a tutti».

NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E ACCOMPAGNATORI MEDIA MONTAGNA Corriere delle Alpi | 4 marzo 2024 p. 20 Professionisti della montagna: la riforma delle polemiche BELLUNO

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Non appena, tra oggi e domani, il pericolo valanghe scenderà da 3 a 2, riprenderanno il fuoripista, le ciaspolate, lo scialpinismo. Chi saranno gli accompagnatori? Le guide alpine o quelle escursionistiche? Ritornerà, insomma, la competizione tra professionisti e no. «Fino a prima delle recenti nevicate, abusivi hanno continuato a svolgere mansioni che non competono a loro», punta il dito accusatore Enrico Geremia, a capo delle Guide Alpine del Veneto. Ma il tema è molto più vasto. DIECImila in Italia Sono circa 10 mila le persone in Italia, tra guide ed accompagnatori, che provvedono alle uscite in sicurezza in alta quota. Più di un migliaio operano in provincia, circa il triplo nel resto del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige. C'è grande dibattito, ormai da anni, su chi fa che cosa. Il parlamentare Enrico Borghi, di Italia Viva, ha presentato una proposta di legge che punta al riordino del settore, istituendo quattro figure: la guida escursionistica di montagna (che va a sostituire l'accompagnatore di media montagna), il maestro di arrampicata, la guida Fas e la guida canyoning. Le reazioni sono state pesantissime. Il Club Alpino Italiano, al quale fanno riferimento per storia e tradizione, le Guide Alpine, nell'intendo di promuovere la massima sicurezza in montagna, sta tentando una mediazione, cioè di portare a sintesi le diverse posizioni garantendo il riconoscimento professionale alle diverse figure, ma pretendendo la condivisione, anzi l'unitarietà formativa. In campo il Cai Ecco perché in settimana si terrà a Roma un vertice in sede Cai che comincerà a trovare il modo di portare intorno allo stesso tavolo le diverse componenti che si stanno di fatto contrastando. E, in particolare, per preparare l'audizione sul disegno di legge Borghi che si terrà in Senato il 15 marzo. «Non nascondiamo la preoccupazione – ammette Renato Frigo, presidente regionale del Cai – sul fiorire in particolare di nuove figure di istruttori di arrampicata e di accompagnatori senza un percorso formativo comune. Ogni realtà si arrangia in proprio, magari facendo riferimento sempre al Cai. I tempi, invece, sono maturi affinché tra tutte le figure professionali che operano in quota si trovino delle basi culturali e formative comuni. Tenendo sempre in giusta considerazione – rimarca il presidente del Cai regionale – le esperienze formative e professionali delle guide alpine e di altre associazioni che si occupano professionalmente di accompagnamento». Frigo ovviamente conferma che proprio il Cai dovrebbe essere il punto di riferimento istituzionale: «Da sempre opera nella formazione e nell'accompagnamento, dell'alpinista come dell'escursionista». Istruttori professionalizzati Con 1.350 istruttori di alpinismo tra Veneto e Friuli Venezia Giulia e oltre 200 titolati di escursionismo, secondo Frigo il Cai ha l'autorevolezza, le competenze e l'esperienza per poter svolgere questo importante ruolo. E, tra l'altro, per poter avanzare una proposta di legge che recepisca puntualmente le esigenze di quella che alla fin fine è la sicurezza in montagna. Nei giorni scorsi è intervenuto anche il Collegio Nazionale Guide alpine italiane, per precisare – a fronte delle polemiche in atto – che «le Guide alpine Italiane non sono state coinvolte nella stesura di questo disegno di legge e non ne sono promotrici». Precisa, inoltre, che il primo articolo dello stesso disegno di legge non va a creare una nuova figura professionale ma a modificarne una già esistente, quella di Accompagnatore di media montagna, istituita dalla legge nazionale n. 6 del 1989, art. 21. Le Guide alpine «C'è o no un tema di sicurezza in montagna, tanto più pressante considerato il numero esponenziale di frequentatori? Si pone, quindi – si chiede ancora Geremia – un problema di professionalizzare l'accompagnamento per meglio garantire la sicurezza? Ecco, dunque, che quell'articolo in oggetto, semplicemente modifica il nome di questa figura professionale da "Accompagnatore di media Montagna" in "Guida escursionistica di montagna", inquadrandone l'attività come già faceva la legge 6/89, con alcune specifiche aggiuntive». Questo articolo, oggetto della polemica sollevata da Associazioni di Guide ambientali, di fatto dà la possibilità, ma non l'obbligo – precisa il Collegio Nazionale delle Guide Alpine – alle Guide ambientali di vedersi riconosciuta la propria competenza professionale, facendo richiesta di rientrare negli elenchi ordinistici degli Accompagnatori di media montagna, a patto di adeguare la propria formazione e di superare l'esame di abilitazione finale. Per la verità da parte delle varie associazioni di accompagnatori, si è contestata soprattutto l'eventuale istituzione degli elenchi speciali per le nuove professioni «la cui tenuta e affidata ai collegi regionali delle guide alpine». Abilitazione all'esercizio Presidente del Collegio Veneto è appunto Geremia. «E' vero, l'abilitazione all'esercizio delle professioni la ottiene chi è iscritto all'elenco. E che ha l'abilitazione tecnica, conseguita attraverso la frequenza di appositi corsi sia teorici e pratici, con il superamento di specifici esami». Guide ambientali, escursionistiche e di canyoning, nonché i maestri di arrampicata sportiva temono, con questo, di perdere i titoli acquisiti e non desiderano affatto di passare sotto le forche caudine delle guide alpine. Protesta delle associazioni «E' evidente che se ci poniamo intorno ad un tavolo per riflette potremo trovare una sintesi, altrimenti no» interviene il presidente regionale del Cai. Aigae, Lagap, Assoguide e Agae, le associazioni delle guide ambientali ed escursionistiche, insieme a quelle canyoning, hanno costituito un tavolo di consultazione permanente ed hanno promosso una raccolta di firme, in ambito nazionale, peraltro ferma a quota mille, per dire che la proposta di legge non va bene e sollecitare l'intervento sia del ministro dello sport, Andrea Abodi, che del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Esplicita anche la sollecitazione al parlamentare Borghi ad essere più coinvolgente. Il timore è che la riforma di fatto stoppi anche gli istruttori affiliati alla Federazione Arrampicata Sportiva Italiana (Fasi), all'Unione Italiana Sport Per Tutti, Us Acli (Unione Sportiva Acli), Opes (Organizzazione Per l'Educazione allo Sport) e Csen (Centro Sportivo Educativo Nazionale). Liberalizzazione delle professioni L'Associazione delle Guide Ambientali Escursionistiche (Gae) è dal canto sua intervenuta per lanciare un pesante allarme: «la nuova figura di Guida Escursionistica di Montagna prevista dal disegno di legge metterebbe ingiustificatamente a rischio le qualità professionali e l'accesso all'attività di oltre 7.500 Guide Ambientali Escursionistiche, che da ormai 30 anni operano su tutto il territorio

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nazionale». Il 28 febbraio le associazioni si sono incontrate ed hanno concluso che il riordino proposto da Borghi è di fatto in contrasto con le tendenze europee orientate alla liberalizzazione di queste professioni. — Corriere delle Alpi | 16 marzo 2024 p. 20 I professionisti della montagna bocciano il riordino del sistema I professionisti della montagna non vogliono essere ingessati. Contestano, in particolare, la nuova figura di Guida escursionistica di montagna. Ieri, per la prima volta, le diverse organizzazioni di settore – sono ben 15 mila le guide che frequentano le Dolomiti – hanno avuto modo di confrontarsi nella sede del Cai a Milano sul disegno di legge, prima firma Enrico Borghi di Italia Viva, che si propone di riordinare il vasto e complesso sistema delle professioni, a partire dalle guide alpine. Il Ddl ha l'obiettivo di modificare le disposizioni della legge del 1989. Oltre a prevedere una più moderna articolazione e regolamentazione, il disegno di legge ha l'obiettivo di dare legittimità e di uniformare le professioni che si sono sviluppate negli ultimi anni, per garantirne l'esercizio in tutto il territorio nazionale in modo professionale, fissando i requisiti e le modalità per l'istituzione degli elenchi speciali e per la formazione dei professionisti. La riforma è incardinata in commissione Cultura e Sport al Senato. «Questa legge, così com'è, sembra che non interessi a nessuno», ha sintetizzato il presidente del Cai, Antonio Montani, al termine dei lavori. Erano presenti i delegati delle Guide ambientali escursionistiche a livello nazionale (Aigae, Agae, Lagap e Assoguide), dell'Associazione guide alpine italiane (Agai), oltre a rappresentanti del mondo dell'arrampicata sportiva, del canyoning e delle guide turistiche e i dirigenti del Cai. Dal Veneto è intervenuta anche la senatrice Daniela Sbrollini, sempre di Iv e relatrice della proposta. Le Guide ambientali escursionistiche contestano il disegno di legge e sono preoccupate che la nuova figura di "Guida escursionistica di montagna" possa minare la loro esistenza, che coinvolge circa 7.500 persone in tutta Italia, imponendo la costituzione di un ordine professionale. Inoltre, rivendicano che "non si continui con l'idea che l'escursionismo sia un sottoprodotto dell'alpinismo, dal punto di vista legislativo. Un buon medico non è necessariamente un buon veterinario". Le Guide alpine, attraverso il vicepresidente di Agai, Fabrizio Pina, ribadiscono di non essere state coinvolte in questo disegno di legge né di averlo sollecitato. «Le leggi non le fanno le Guide alpine: anche a noi non piace tutto quello che c'è scritto, fosse solo per la conflittualità che sta creando. Non sappiamo da dove salti fuori, ma crediamo che sia una proposta sepolta prima di partire». Recentemente Enrico Geremia, a capo delle Guide alpine del Veneto, aveva però sottolineato l'esigenza di una qualche regolamentazione. E così pure aveva anticipato Renato Frigo, presidente del Cai veneto. Entrambi avevano osservato che c'è troppo abusivismo; un fenomeno che mette a rischio la sicurezza in montagna. Constatando l'esito del primo dibattito, il presidente Montani del Cai nazionale ha amaramente concluso: «Non c'è volontà né interesse della politica a portare avanti la riforma. Il disegno di legge ha già difficoltà a raccogliere adesioni, visto che è stato presentato da due esponenti della minor anza, figuriamoci se tutti noi diciamo che così non va bene». Questo, però, sembra essere l'unico punto condiviso da una parte all'altra del tavolo, dove di fatto si ripresenta lo scontro andato in scena nelle scorse settimane, seppure a distanza. Sbrollini ha riferito di aver fatto una relazione del testo in commissione, ma ha aggiunto: «Ci sarà tempo per ricevere altre proposte di legge e, soprattutto, per fare audizioni e ricevere proposte di modifica e integrazioni». La parlamentare aggiunge, inoltre, di essere già d'accordo con il ministro dello Sport, Andrea Abodi, e con il presidente del Coni, Giovanni Malagò, che: «Se non si troverà la quadra su una proposta condivisa con il tavolo che avete istituito, il disegno di legge verrà bloccato». E la strada, visti anche gli esisti del confronto successivo a cui la senatrice non ha preso parte, sembra essere proprio questa. «Come Cai crediamo che andare a mettere ordine nelle professioni di montagna sia necessario», ha aggiunto il presidente del Cai, «sfruttiamo l'occasione storica di questo tavolo per iniziare a pensare a modifiche normative che possano veramente agevolare il comparto della fruizione outdoor». Montani ha chiesto uno sforzo comune, anche alle Guide alpine, di non accontentarsi dell'attuale apparato normativo che regola le professioni di montagna, partendo ad esempio da un ragionamento su un'uniformità formativa. Il tavolo si aggiornerà tra un paio di mesi. — Corriere delle Alpi | 17 marzo 2024 p. 17 Test del bastoncino per saggiare la neve I consigli di sicurezza delle Guide Alpine L'intervista La neve che prima mancava finalmente è arrivata ed è dunque comprensibile la voglia di escursioni. «Ma occorre tanta prudenza», spiega Davide Spini, Istruttore Guida alpina. «È necessario prestare la massima attenzione nel valutare attentamente la neve, la sua evoluzione in funzione del meteo e il terreno su cui si vuole effettuare l'escursione, sia in fase di pianificazione che durante lo svolgimento dell'uscita». Nato nel 1983 ha vinto un oro ai campionati del mondo di scialpinismo e un bronzo nella corsa in montagna, entrambi nella categoria Junior. Dopo la laurea triennale in Ingegneria civile è diventato Guida Alpina: «L'unica via in grado conciliare

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passione e ragione, per vivere la montagna a 360 gradi, 365 giorni l'anno». È considerato uno degli esperti del Collegio nazionale delle Guide alpine. Quali sono, in giorni come questi, le valanghe da temere di più? «Le valanghe a lastroni sono tra le più pericolose, statisticamente sono responsabili di oltre il 90% delle vittime da valanga. Avvengono quando uno strato compatto di neve (il lastrone) collassa sopra uno strato più debole e scivola a valle». Sono distacchi spontanei o provocati? «La frattura iniziale può essere spontanea oppure provocata, spesso anche dal passaggio di una sola persona. Ed ecco che si propaga velocemente provocando il distacco di tutto il lastrone con un fronte anche molto esteso». È determinante l'inclinazione del pendio? «Certo. Le valanghe a lastroni avvengono generalmente su inclinazioni dai 30 ai 45 gradi e l'inclinazione del pendio è sicuramente uno dei fattori scatenanti di una valanga, ma fortunatamente è anche quello più facile da quantificare». Quindi, il primo consiglio utile per chi esce in questi giorni? «Chi va in neve fresca (con sci, ciaspole, o altro) deve saper valutare questo fondamentale fattore, sia in fase di pianificazione che poi sul singolo pendio. In questo la tecnologia ci viene in aiuto». Quali strumenti abbiamo a disposizione? «Da qualche anno esistono applicazioni che ci consentono di valutare, con discreta affidabilità, l'inclinazione dei pendii già in fase di pianificazione. Molto utile per questo scopo può essere, tra le altre, l'applicazione "Fat Map" (disponibile anche offline e in questo caso a pagamento), che aiuta sia in fase di pianificazione, grazie al layer con le classi di inclinazione dei pendii, sia sul terreno, grazie alla visione 3D dell'ambiente e alla funzione di geo-localizzazione». E una volta pianificato il percorso? «Ovviamente bisogna assumere tutte le informazioni nivo-meteorologiche. Andremo quindi a rivalutare il rischio direttamente sul terreno per capire se il pendio è accettabile da percorrere o meno, cercando di bilanciare la stabilità del manto nevoso all'inclinazione del pendio e alle conseguenze di una possibile valanga». Come si possono cogliere i segnali di instabilità del manto nevoso quando ci troviamo in ambiente? «Come prima cosa bisogna semplicemente guardarsi attorno e osservare la presenza di eventuali distacchi recenti: la natura a volte ci avverte in maniera chiara di eventuali pericoli. È importante poi rendersi conto che una cattiva visibilità non permette di osservare questo, ed altri, importanti segnali di pericolo. Quando la visibilità non è buona, è necessario essere ancora più attenti, stare lontani da pendii ripidi e prediligere escursioni più semplici, possibilmente all'interno del bosco, tenendo in mente che l'arrivo dei soccorsi sarà decisamente più lento e difficoltoso. Un altro importante segnale di instabilità è il cosiddetto "Vuum"». Di che cosa si tratta? «È il rumore di assestamento, detto anche "wumpf" o "whoom". Quando si sente questo suono, percorrendo un pendio, anche se poco inclinato, significa che il lastrone ha fatto collassare lo strato debole sottostante, il rumore è prodotto dalla fuoriuscita dell'aria. In pratica abbiamo provocato una valanga se poi non c'è scorrimento, magari è solo perché in quel punto l'inclinazione è inferiore ai 30°». Chi sente il vuum? «Lo sente chi apre la traccia. Chi sta dietro, per provare a valutare il manto nevoso, può eventualmente spostarsi dalla traccia di qualche metro (se non siamo su un pendio critico) e ascoltare cosa accade nell'affondamento dello sci: se lo sci affonda poco e gradualmente si "appoggia" a qualcosa via via più compatto in generale è un buon segnale. Se, invece, quando viene dato peso allo sci, questo sprofonda come se ci fosse del vuoto sotto, è un segnale negativo». I bollettini dell'Arpav mettono in guardia anche dalle cornici. Che cosa sono? «Le cornici sono strutture strapiombanti che si formano per l'azione del vento sulle creste delle montagne. Abbondanti nevicate, accompagnate all'azione eolica, portano alla formazione di grosse cornici particolarmente instabili perché costituite, e cariche, di neve soffice e poco coesa. Si formano sul lato sottovento di una cresta, e sono difficili da vedere o intuire, per chi sale la montagna dai versanti sopravento, quelli "erosi", da cui spira il vento. Sono inoltre un pericolo oggettivo: dobbiamo evitare di passarci sotto o, se siamo obbligati a farlo, limitare il tempo di esposizione e il numero di persone esposte, in particolare se le temperature sono miti come quelle previste per la settimana corrente perché ne facilitano il distacco, anche spontaneo». Quindi, se siamo in cresta e ci sono cornici? «L'indicazione è di rimanere lontani dalla loro estremità; la presenza di rocce ci aiuta a capire i limiti "solidi" di una cresta. Teniamo inoltre presente che il crollo di una cornice, come quello di un seracco, in condizioni d'instabilità, potrebbe provocare il distacco di una valanga, non a caso, in talune condizioni, il taglio di una cornice è anche usato anche come test di stabilità». Lo scialpinista deve testare la stabilità del manto nevoso. Come può farlo? «Col test del bastoncino. Non è molto accurato ma probabilmente è il più usato in ambito sportivo. Bisogna spingere il bastoncino (dalla parte dell'impugnatura) in profondità nel manto nevoso: se i primi strati sono soffici e la base è compatta e densa è un buon segnale. Se spingendo il bastoncino, invece, noto che rallenta, diventa duro e poi percepisco "del vuoto", è un segnale di pericolo: potrebbero esserci le condizioni per una valanga a lastroni». —

DOLOMITI IN TV L’Adige | 10 marzo 2024

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p. 32 Falegnami ad alta quota. I Curzel all'opera... in tivù luigi oss papotCALDONAZZO - Da mercoledì 20 marzo, per otto puntate totali, andrà in onda sul canale 52 Dmax la terza serie di "Falegnami ad alta quota", diretta da Katia Bernardi, con protagonista la famiglia Curzel di Caldonazzo.Un successo crescente per i falegnami trentini specializzati in interventi in alta montagna ed in condizioni proibitive, tanto che la nuova stagione conterà ben 8 episodi.Quest'anno, cuore della narrazione attorno alla quale ruoterà poi l'intera stagione saranno i lavori di ampliamento di Capanna Fassa, a 3.152 metri di altitudine in vetta al Piz Boè. Un lavoro, raccontano Paolo e Giovanni che incontriamo nella falegnameria a Caldonazzo, durato dal 7 giugno a fine ottobre dell'anno scorso, e con l'ultimo giro a novembre per l'assemblamento dei mobili: «Avremmo dovuto -raccontano- andar su anche in questi giorni per quelle che sono le ultime rifiniture, ma viste le condizioni meteorologiche abbiamo rimandato».Oltre all'altitudine, a rendere complicate le operazioni sul Piz Boè, per chi non conoscesse questa cima, sono gli stretti spazi di manovra per qualsiasi operazione e la variabilità del meteo, tanto che a fine giugno la vetta era imbiancata dalla neve. «Non è da tutti lavorare in alta quota -aggiunge Giovanni- perché la squadra deve essere coesa, andare d'accordo. Non si può prendere la sera e cercare uno svago, sei lassù e basta. Infatti, un ragazzo che aveva iniziato a lavorare con noi ha poi mollato».La "nuova" Capanna Fassa può vantare ora una sala da pranzo esposta ad ovest ed a nord, con un'impagabile vista sul gruppo del Sella, oltre a sei servizi igienici più decorosi anche per lo staff, per la gioia dello storico gestore, Guido Bernard, che la scorsa stagione si è fatto una cinquantina di viaggi a piedi fino alla funivia del passo Pordoi per caricarsi sulle spalle gli approvvigionamenti da portare al Piz Boè, dimostrando una tempra da vero uomo di montagna.Oltre a questo, i falegnami trentini saranno chiamati per un intervento d'emergenza ancora più in alto, al rifugio Vioz che con i suoi 3.535 metri di altitudine è il più elevato del Trentino: «Una prova ancora più dura -spiega Paolo- per il lungo cammino che bisogna fare per raggiungerlo, con in spalla attrezzi e materiali».A condire il tutto, con inframezzi nelle varie puntate, ci saranno anche alcuni lavori e realizzazioni sugli altipiani cimbri: «Si vedrà anche il drago di Vaia di Martalar -aggiunge Giovanni- prima che fosse distrutto dalle fiamme, con lo stesso artista che racconterà la storia del nuovo drago che è in corso di realizzazione».Tra cantieri aperti ad altitudini uniche e corse in elicottero in condizioni quasi inverosimili, interventi di manutenzione e riparazione dell'ultimo secondo, senza dimenticare la realizzazione di baite in bioedilizia, i fratelli Curzel e i loro collaboratori porteranno gli spettatori in alcuni dei luoghi più spettacolari del Trentino, fino al finale a sorpresa che li porterà al mare.«Quello che per noi è lavoro normale -conclude Paolo- in luoghi straordinari, per il pubblico televisivo diventa uno spettacolo che cattura tutte le fasce d'età, e che nei fatti, come ci ha spiegato la produzione, ha riportato le famiglie davanti alla tv».Altri progetti per i Curzel sono già in atto per il 2024, e chissà, magari anche per la quarta serie.

Alto Adige | 19 marzo 2024 p. 11

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Corriere dell’Alto Adige | 19 marzo 2024 p. 3 Cinema, in Alto Adige si girerà «Cliffhanger 2» Le Dolomiti scelte come set del sequel del famoso film. Idm prevede un indotto milionario Silvia M. C. Senette BOLZANO È in lavorazione, dopo ben 32 anni dal primo film, il sequel di ««Cliffhanger», ambientato sulle Montagne Rocciose americane ma girato per la maggior parte nelle Dolomiti altoatesine dall’aprile all’agosto 1992. Oggi la pellicola d’azione, che aveva per protagonista Sylvester Stallone, la star italoamericana nota per aver prestato il volto a Rambo e Rocky, rivivrà grazie al secondo capitolo che, ancora una volta, avrà come set le Alpi sudtirolesi grazie al primo round di finanziamento con cui Idm Film Fund Commission supporterà la produzione del thriller. Un ritorno molto atteso per un film che, nel 1993, aveva riscosso un ottimo successo commerciale, incassando oltre 255 milioni di dollari a fronte dei 70 spesi per produrlo, e fu accolto con ben tre candidature ai premi Oscar. «Cliffhanger 2» torna dunque in Alto Adige con la regia di Jean-Francois Richet ed è uno degli undici progetti cinematografici approvati per il finanziamento: tra questi, una serie televisiva, due cortometraggi, quattro film documentari e due serie documentari. Sette le produzioni che provengono dall’Italia, tre dalla Germania e una dall’Austria. Nel complesso sono stati già pianificati 24 giorni di riprese in provincia di Bolzano e l’«effetto Alto Adige» previsto, ossia l’indotto sul territorio, è di oltre 3,1 milioni di euro. «Negli ultimi anni l’Alto Adige è stato sempre più spesso scenario di produzioni hollywoodiane e di progetti di successo targati Netflix: basti pensare a “Everest” con Jake Gyllenhaal, Keira Knightley e Josh Brolin, a “Heart of Stone” con Gal Gadot, Jamie Dornan e Matthias Schweighöfer o a “Il mio nome è vendetta” con Alessandro Gassmann e Ginevra Francesconi — elenca Vera Leonardelli, direttrice business development di Idm —. Grazie alla visibilità acquisita con i finanziamenti cinematografici, l’Alto Adige è riuscito ad affermarsi come location interessante nelle menti dei professionisti locali. Un progetto come “Cliffhanger 2”, sostenuto da Idm, non è quindi più solo un colpo di fortuna». Nel sequel del thriller, il protagonista è l’esperto alpinista Gabe Walker, che si è stabilito sulle Dolomiti, dove gestisce un esclusivo rifugio assieme alla figlia Sydney. Quando i due accompagnano il figlio di un ospite miliardario per un avventuroso weekend in una valle remota, cadono nelle grinfie di una spietata banda di rapitori. Naomi, la figlia minore di Gabe, ancora traumatizzata da un tragico incidente di arrampicata, assiste al rapimento e riesce a fuggire. Per salvare la sua famiglia, Naomi deve superare le sue paure e affrontare una lotta tra la vita e la morte sulle Dolomiti italiane: un territorio che, fortunatamente, conosce molto bene e in uci sa destreggiarsi. Il film d’azione è una coproduzione di Austria, Germania e Inghilterra e vedrà la troupe impegnata in almeno cinque giorni di riprese in Alto Adige. Torna in Alto Adige anche «Woodwalkers 2» di Sven Unterwaldt, mentre tra i quattro documentari finanziati in pre-produzione spicca infine «Ötzi – the Iceman» di Yuri Massaro. Corriere delle Alpi | 29 marzo 2024 p. 1 Ciak si gira su Dolomiti e Prealpi Il Veneto continua ad essere un set cinematografico a cielo aperto: sono tante le produzioni che hanno partecipato al "secondo sportello" del bando per l'erogazione di contributi (complessivamente 2,5 milioni di euro) per la realizzazione sul territorio veneto di lungometraggi, corti, documentari, serie tv e progetti di realtà virtuale e aumentata. Ancora una volta Dolomiti e Prealpi sono protagoniste. Contino / PAGina 34 Marco Contino Il Veneto continua ad essere un set cinematografico a cielo aperto: sono tante le produzioni che hanno partecipato al "secondo sportello" del bando per l'erogazione di contributi (complessivamente 2, 5 milioni di euro) per la realizzazione sul territorio veneto di lungometraggi, corti, documentari, serie tv e progetti di realtà virtuale e aumentata. Già nelle scorse settimane, alcune di queste produzioni hanno battuto i primi ciak, ma il numero di set allestiti nella regione aumenterà nei prossimi mesi. Uno dei progetti più ambiziosi e autoriali porta la firma di Pietro Marcello, già regista di "Martin Eden", in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2019 e premiato con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione di Luca Marinelli: il 4 marzo scorso sono, infatti, iniziate le riprese di "Duse", dedicato all'attrice teatrale originaria di Chioggia, che sarà interpretata da Valeria Bruni Tedeschi. IL PALCOSCENICO DELLA DIVINA Il film – ambientato anche ad Asolo, città di adozione di Eleonora Duse, e Venezia – racconterà la "divina" alla fine della sua leggendaria carriera quando, negli anni tra la Prima Guerra Mondiale e l'ascesa del fascismo, sceglierà di tornare lì dove la sua vita è iniziata: sul palcoscenico, facendo della propria arte un atto rivoluzionario, anche a costo di sacrificare salute e affetti. Le riprese di "Duse" seguono quelle del documentario (The Greatest) che Sonia Bergamasco ha diretto, sempre tra Chioggia e Asolo, in occasione delle celebrazioni per i cento anni dalla morte di Eleonora Duse. Entrambi hanno ottenuto il contributo della Regione Veneto e il supporto della Veneto Film Commission. L'UOMO PESCE DI HINTERMANN

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Fra i 13 progetti di lungometraggio finanziati, quello di Carlo Hintermann – che nel 2020 ha aperto la Settimana Internazionale della Critica con l'ambizioso "The Book of Vision" – è, senza dubbio, uno dei più eccentrici. Si intitolerà "Fish" e sarà ambientato quasi integralmente a Venezia (in città e nei suoi palazzi: Villa Heriot, Palazzo Widmann, Palazzo Rocca Contarini Corfù). Una storia di mutazioni e di cambiamenti che ha per protagonista il professor Fish Osburne, custode di un segreto inconfessabile: sta per trasformarsi in un pesce e dovrà scegliere se assecondare la propria mutazione o morire. L'OSSESSIONE DELL'ULTIMA OMBRA Francesco Sossai (il regista feltrino già affermatosi con l'opera prima "Altri cannibali") dirigerà, invece, una sorta di road movie alcolico (dal titolo "Le città della pianura"), tra le province di Belluno, Padova, Treviso e Venezia, che ha per protagonisti due amici con l'ossessione di bere l'ultima "ombra" in attesa del ritorno di un loro idolo di gioventù, accompagnati da uno studente che vivrà una vera e propria notte di iniziazione. CRISI DI COPPIA A NATALE Si sono, invece, da poco concluse le riprese a Cortina del film "Nelle migliori famiglie" di Paolo Costella, incentrato su una coppia in crisi che deve fare i conti con i fantasmi del passato per superare insieme una tormentata e dolorosa Vigilia di Natale che si rivelerà anche la più magica e sorprendente della loro vita. Lei e lui sono interpretati, rispettivamente, da Anna Foglietta e da Giuseppe Battiston che, proprio in questi giorni, sta girando a Treviso e in provincia, la serie tv dedicata all'Ispettore Stucky, ispirata dai romanzi di Fulvio Ervas, che aveva già ottenuto il contributo della Regione Veneto nell'ambito del primo sportello del bando a favore delle produzioni cinematografiche e audiovisive. ADAMO ED EVA SUL DELTA DEL PO C'è molta attesa anche per il progetto prodotto da Nefertiti Film (fondata da Nadia Trevisan e Alberto Fasulo), dopo l'exploit di "Piccolo corpo" di Laura Samani. La nuova opera, che sarà diretta dallo stesso Fasulo, chiude l'ideale trilogia composta da "Tir" e "Menocchio": "La corda", ambientato tra la laguna di Venezia, la foresta del Cansiglio, il Delta del Po e le Dolomiti bellunesi, immagina una Terra morta, con l'umanità che sogna nel cosmo un paradiso artificiale, fino a quando un uomo (interpretato dal grande attore francese Denis Lavant) sarà cacciato sulla Terra e, insieme ad una donna, come novelli Adamo ed Eva, lotteranno per una nuova consapevolezza dell'essere umano. LA VIOLINISTA DI VIVALDI Echi del film in concorso alla Berlinale ("Gloria! " di Margherita Vicario) risuonano nel progetto di Indigo Film dal titolo provvisorio "Primavera", ambientato a Venezia. La storia è quella di una giovane violinista che vive, nei primi anni del '700, nel più grande orfanotrofio della città (il Pio Ospedale della Pietà) che avvia le orfane più brillanti allo studio della musica, nascoste, però, alla vista del pubblico, non potendosi esibire davanti ai ricchi signori e ai mecenati. Ma l'incontro con il nuovo insegnante di violino, da poco ordinato prete (un giovanissimo Antonio Vivaldi), scuoterà improvvisamente la vita della protagonista e accenderà la sua personale rivoluzione di primavera. ECHI DI GUERRA Tra i progetti finanziati, i cui set saranno allestiti in Veneto, ci sono anche quelli che attraversano la Storia, come "L'Angelo del Grappa" di Giacomo Talamini – interpretato, tra gli altri, da Andrea Pennacchi e Mirko Artuso, sull'amicizia impossibile tra un soldato italiano ed uno austriaco durante la Prima Guerra Mondiale – o come "L'amore vince la guerra" di Marco Pollini, che ricostruirà nel parco della Lessinia un episodio invece del secondo conflitto mondiale quando i militari italiani accolsero quelli canadesi, britannici e americani venuti a liberare il Paese. DOPO I DINOSAURI, GLI SQUALI E ancora: l'adattamento del romanzo "Gli squali" di Giacomo Mazzariol (autore di "Mio fratello rincorre i dinosauri", già diventato un film), racconto di formazione, in parte ambientato a Castelfranco Veneto, e diretto da Lorenzo Zurzolo; le relazioni pericolose tra due coppie in "Amici comuni", ambientato tra le Ville Palladiane di Vicenza e, infine, la storia della prima università gestita da bambini e rivolta agli adulti, al centro del progetto "On Life" firmato da Rodolfo Bisatti che sarà girato a Villa Piovene Porto Godi a Lonedo di Lugo di Vicenza e nel campus di H Farm a Ca'Tron di Roncade. —

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