RASSEGNA STAMPA
LUGLIO2025
LUGLIO2025
CorrieredelleAlpi|1luglio2025
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Gianolla:«Sonogliaccumuliilverocarburantedellefrane»
l'esperto «La pioggia intensa è spesso il fattore scatenante immediato delle colate detritiche, ma il vero "carburante" di questi eventi è rappresentato dai detriti accumulati nei bacini a monte. Ed è proprio su questo punto che entrano in gioco le caratteristiche geologiche e morfologiche della montagna». A spiegarlo è il geologo Piero Gianolla, membro del comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco, in una intervista curata da Giambattista Zampieri pubblicata ieri dal sito dellaFondazione www.dolomitunesco.info. «Prendiamo il caso dell'Antelao, una montagna emblematica e geologicamente attiva delle Dolomiti», spiega Gianolla, «ma il discorso vale anche per la Croda Marcora e le cime adiacenti. La sua tendenza a generare grandi quantità di materiale detritico non è casuale, ma legata a una serie di fattori». Innanzitutto «l'Antelao è composto in gran parte da rocce della Dolomia Principale e altre rocce carbonatiche giurassiche, che si fratturano facilmente», spiega il geologo, ma uno dei fattori è anche costituito dall'estrema ripidità dei versanti dell'Antelao e delle montagne sulla sinistra del Boite da Borca fino a Cortina: «Questo accelera i processi di erosione gravitativa e fa sì che il materiale si distacchi e si accumuli più facilmente». Ma gioca una parte anche il ritiro dei ghiacciai: «Anche se il ghiacciaio dell'Antelao è ormai molto ridotto», spiega Gianolla, «i processi legati al ritiro glaciale e alla fusione del permafrost destabilizzano ulteriormente le pareti rocciose. Quando il ghiaccio che teneva "incollati" i blocchi scompare, si riattiva il crioclastismo, i versanti diventano più instabili e aumentano i crolli. Soprattutto ora, che il cambiamento climatico (ma io preferirei più il termine di "crisi climatica"), sta innalzando la temperatura e lo zero termico. Le pareti a sud sono quindi più soggette a instabilità e crolli». C'è poi la struttura della montagna fatta a conche e canaloni, che favorisce l'accumulo di detriti, destinati a muoversi con forti piogge. «In altre parole, alcune montagne, come l'Antelao, sono vere e proprie "fabbriche di detriti" per ragioni strutturali e climatiche», spiega il geologo Piero Gianoll. «I bacini a monte si comportano come serbatoi che si caricano lentamente e si svuotano bruscamente. Comprendere questi meccanismi è fondamentale non solo per studiare il paesaggio dolomitico, ma anche per pianificare la prevenzione del rischio a valle». E per comprendere, spiega Gianolla, che serve «costruire un territorio più sicuro e resiliente, capace di convivere con una natura che sta cambiando».
CorrieredelleAlpi|1luglio2025
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Telecamereesensori:AlemagnasorvegliatapensandoaiGiochi
Francesco Dal Mas / SAN VITO
Sono già caduti pinnacoli della croda Marcora per oltre 15 mila metri cubi di materiale. E i distacchi continuano, sia prima della pioggia – arrivata ieri verso l'una – che dopo, anche ieri
sera. Tanto che la nuvola di polvere continua a stazionare lungo la parete, sale e scende sospinta dal vento e dalle temperature, a volte dilatandosi verso Cortina, a volte spingendosi in direzione dell'Antelao. In sostanza, se a metà del mese scorso erano piombati ai piedi della pareti, frantumandosi, crode per circa 4 mila metri cubi, da sabato alle 17 ne sono già venuti giù 11 mila, tre volte tanto. Secondo le rilevazioni dell'Arpav non vi dovrebbero essere pericoli per la salute, a seguito dell'inalazione di questo "borotalco", come lo definisce il sindaco Franco De Bon, che ieri sera, a seguito della pioggia, ha segnalato nuovi crolli (già ipotizzati dal geologo che ha fatto un sopralluogo), che però non hanno interessato la viabilità, per cui la SS51 rimane aperta. La Protezione Civile sul posto sta continuando il monitoraggio. L'ACQUA HA DILAVATO La pioggia di ieri ha dilavato l'ambiente. Ma siccome il fenomeno non si è fermato e considerata l'evoluzione storica di queste montagne, ecco che nel vertice in prefettura, ieri a Belluno, si è deciso di monitorare sia questa situazione che tutte le altre possibili colate che potrebbero mettersi in movimento in valle del Boite e nella stessa conca ampezzana. Una decina di siti, secondo i rilievi del geologo Luca Salti. Il monitoraggio è evidentemente orientato alla sicurezza della statale 51 di Alemagna che potrebbe essere investita da questi movimenti. Telecamere ad alta risoluzione, intanto, e poi sensori più sofisticati verrebbero installati sui versanti più a rischio mentre sulle strade sottostanti, a partire dall'Alemagna, troverebbero posto batterie di semafori, collegati alla strumentazione a monte, in grado da scattare sul rosso e bloccare il traffico con qualche momento di vantaggio per l'automobilista, prima dell'accadimento. Non solo, questo stema sarebbe collegato con una serie di display lungo la statale che avvertono dell'imminente emergenza. A Tai di Cadore e a Cortina, inoltre – cioè all'ingresso dell'Alemagna – da una parte e dall'altra, s'accenderebbero altri semafori per bloccare il traffico. Con l'avviso, via display, di cambiare direzione, dirigendosi verso Auronzo e Misurina. IN PREFETTURA Ieri mattina alle 10, si sono incontrati il prefetto Antonello Roccoberton, il delegato provinciale alla Protezione civile, Massimo Bortoluzzi, il sindaco di San Vito di Cadore, Franco De Bon, i dirigenti dell'Anas, dei vigili del fuoco, dell'Arpav, il geologo Nicol. Doglioni, che ha fatto più sopraluoghi su Croda Marcora. Il professionista ha detto di ritenere che il fenomeno dei distacchi possa ritenersi in esaurimento. Ha infatti mostrato immagini di crode che prima c'erano – prima del crollo di metà giugno e di quest'ultimo, sabato pomeriggio – e adesso non ci sono più. Esistono ancora delle fratture ma non tali da dover temere movimenti in tempi ravvicinati. Doglioni ha pure riferito di aver visto abbondanti chiazze d'acqua, proprio nell'area dei distacchi, tali da far ritenere che lo scioglimento della neve abbondante – fino a due settimane fa – potrebbe aver portato le fratture esistenti alla definitiva rottura. Con le temperature sempre più alte dei giorni scorsi – lo zero termico si trovava domenica ad una quota superiore di 2 mila metri alla cima Marcora –anche gli ultimi rimasugli di permafrost si sarebbero sciolti. GIOVEDì IL TAVOLO La conclusione del vertice in Prefettura è che giovedi prossimo si terrà il tavolo tecnico per fare l'ulteriore punto della situazione ma soprattutto per mettere a sistema la rete di sorveglianza. In sostanza potrebbe essere esteso a tutta la valle, comprese le pareti incombenti su Acquabona o forse anche quelle di Fiames, il modello di Cancia: con sensori a monte che captano i movimenti del terreno e in particolare di eventuali colate, pluviometri che segnalano quando le precipitazioni raggiungono il limite ai fini della sicurezza, ed i semafori a valle, ovviamente con le relative sirene. Ma il geologo Doglioni ha avanzato anche la proposta, subito accettata, di utilizzare delle particolari telecamere che direzionate verso le pareti a rischio crollo sono in grado di segnare
anche il movimento più impercettibile. E proprio questo sarà lo strumento che verrà immediatamente impiegato a San Vito. Sempre al tavolo di giovedì a Belluno in Ccs (Centro coordinamento soccorsi), verrà pure approfondita la possibilità di utilizzare la rete installata dall'Anas che fa dell'Alemagna la strada più digitalizzata d'Italia. Le strutture della Smart Road faciliterebbe anzitutto il posizionamento dei dispay, ma potrebbe anche facilitare l'installazione di telecamere puntate verso i versanti. c'è la regione Al tavolo verrà convocata anche Regione in ordine alla situazione del Rudan. Ma non solo: anche per l'apporto che può dare a tutta la rete di rilevazione, ad esempio attraverso il sistema Pimot. La Protezione civile del Veneto, d'altra parte, è direttamente coinvolta nel sistema della sicurezza ambientale delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi. I giochi, si sa, si svolgeranno in un periodo che potrebbe riservare grandi nevicate. E pure, magari, delle valanghe. Ecco, dunque, che squadre sorveglieranno tutte le strade di accesso a Cortina, come pure le aree dei giochi e dell'ospitalità. Si sa che a palazzo Chigi c'è massima attenzione affinché il più grande evento mondiale del prossimo anno si svolga lontano da ogni sorpresa. E cioè, senza valanghe (perché le precipitazioni nevose non si possono evitare), ma anche senza possibili frane o colate che, peraltro, con temperature gelide non dovrebbero palesarsi (ma qualche caso c'è stato). Ecco, dunque, che Palazzo Chigi ha allertato il Dipartimento di Protezione civile e che questo ha fatto altrettanto con la Pc regionale e ogni altra istituzione coinvolta. A partire dall'Anas. Claudio Andrea Gemme, ad di Anas, infatti, la scorsa settimana, quando è stato a Valle per l'abbattimento del diaframma della galleria, non solo ha voluto fare una ricognizione in elicottero su Cancia, insieme alla vicepresidente della Regione, Elisa De Berti, ma con lei ha presieduto un vertice su ulteriori livelli di sicurezza sull'Alemagna. Il monitoraggio puntuale, dunque, di tutte le aree a rischio, ma anche l'informazione capillare: di eventuali chiusure, totali o parziali; di chi far entrare sulla statale 51 in caso di emergenza, se solo auto e niente motociclisti, ad esempio; di stop ai carichi pesanti, in particolare quelli provenienti dall'estero. Tutti temi che saranno perfezionati nell'approfondimento di giovedì.
Gazzettino|1luglio2025
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«Nientedinuovo,colpadicaldoepioggeSeabitassiaCancia?Iocambiereicasa»
CLAUDIO FONTANIVE
«Se io abitassi a Cancia cambierei residenza. Dal 1868 quando una frana causò 12 morti, avrebbero dovuto pensarci, invece si è continuato a costruire in zone a rischio senza valutarne la situazione, ma sulla base esclusivamente di interessi politici e personali. A Borca si è costruito ad esempio il villaggio Eni, e significa andare a cercare problemi nei posti delicati, proseguendo nell'ottica di "io speriamo che me la cavo". Se andiamo da San Vito fino a Cima Banche, la strada statale 51 è cosparsa di aree critiche, compresa Acquabona dove ci sono state numerose ripetizioni di frane in passato, ma lì non si è costruito». Sono dure le parole di Vittorio Fenti, forse più della roccia che, specie negli ultimi giorni, si è sgretolata più volte a pochi chilometri da Cortina... Sembrerebbe una maledizione: giorni fa una colata detritica dall'Antelao sul borgo di Cancia, poi i distacchi più recenti dalla Croda Marcora a San Vito. In realtà sono solo gli ultimi episodi che testimoniano come il territorio bellunese sia già particolarmente a
rischio, in quanto di frane ne risultano censite ben 5934. Fenti è uno dei più autorevoli studiosi ed esperti di geologia locale, già insegnante della materia all'istituto minerario Follador di Agordo, con all'attivo più di 2000 lavori geologici in tutta Italia nella sua lunga attività professionale, nonché autore di oltre 40 pubblicazioni geologiche e innumerevoli altre qualifiche. Professor Fenti, i recenti e ripetuti distacchi sono un caso eccezionale? «A me non fanno meraviglia, perché sono stati dieci giorni di caldo eccessivo. L'elevata temperatura dilata la roccia in superficie mentre all'interno resta fredda. Si creano quindi fratture di tensione ed è quasi normale che si verifichi qualche crollo. L'elevata escursione termica fra il giorno e la notte può causare una certa accelerazione di tali fenomeni, ma niente di nuovo. Nelle frane ci sono problemi di sicurezza, ci sono stati morti, modifiche delle viabilità e degli abitati, ma anche aspetti creativi ed estetici. In poche parole, le frane hanno sempre influito sul nostro modo di vivere». A quanto pare siamo solo all'inizio di un'estate torrida, con lo zero termico già salito oltre i 5000 metri di quota. In virtù di questo, ci sono zone particolarmente sensibili alle frane? «Sono tantissime, e siamo ovunque generalmente a rischio. Ovviamente con l'aumento della temperatura si creano spesso fenomeni intensi come le bombe d'acqua; più frequenti saranno le bombe d'acqua e di conseguenza altrettanto lo saranno le dilatazioni della roccia. Le frane potrebbero causare altre problematiche ai territori conseguenti e connesse alla colate di detriti». In questi giorni è in uscita il suo ultimo libro: "Frane dell'Agordino e dintorni" che verrà presentato per la prima volta sabato 12 luglio ad Agordo. Perchè ha pensato di scriverlo? «Ho descritto un centinaio di frane nel territorio agordino, ma ce ne saranno a migliaia, nascoste o di scarso interesse per l'uomo, che non ho citato volutamente, come alcune scese durante la tempesta Vaia. Ho scelto alcune frane un po' scenografiche e importanti dal punto di vista umano. D'altro canto l'Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia indica che ci sono 635mila frane, ma io dico che ce ne saranno il doppio, e sono addirittura due terzi di quelle esistenti in Europa, e questo perché qui la geologia è giovane e le montagne hanno pendii ripidi. Anche le nostre Dolomiti si sono sollevate dal mare recentemente. La loro bellezza paesaggistica è indiscussa, ed è dovuta anche alle frane». Claudio Fontanive © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelleAlpi|2luglio2025
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«FrattureneinostrimontieroccepocoresistentiLeDolomitisonofragili»
EDOARDO DI SALVO
Niente aumento delle temperature, fenomeni estremi o altri eventi straordinari. All'origine della fragilità delle Dolomiti bellunesi c'è una caratteristica strettamente naturale, insita nel dna di questi luoghi. «Si tratta – spiega Giorgio Giacchetti, presidente del Consiglio regionale dei geologi del Veneto – di alcune fratture che attraversano il cuore delle montagne – e "muovono" le masse rocciose in superficie, che, a un certo punto, vengono giù e danno luogo alla frana». Dottor Giacchetti, è questo quello che è successo nella notte di martedì a San Vito di Cadore? «Sì, il Sorapiss e la Croda Marcora sono tra le vette più interessate da questo fenomeno. Le faglie che in passato si sono aperte nel cuore della montagna hanno lasciato una roccia particolarmente fratturata. Sul Sorapiss l'altezza delle pareti "pesa" parecchio proprio sulla quella roccia poco resistente, rendendo i versanti più deboli». Quindi si tratta di un fenomeno naturale, non causato da eventi estremi come il caldo di questi giorni... «Non c'è un nesso diretto tra temperature alte e frequenza dei fenomeni franosi. Le Dolomiti sono sempre venute giù,
anche prima dell'acutizzarsi del riscaldamento globale. Le variazioni di temperatura influiscono sullo spostamento delle temperature per pochi metri a stagione. Un'ondata di caldo di alcuni giorni non fa in tempo a propagarsi nella roccia e provocare dei cambiamenti alla struttura». Le frane, dunque, non hanno a che vedere con lo scioglimento dei ghiacciai. «No. O meglio, non in questo caso. È vero che lo scioglimento del permafrost interessa alcune aree alpine specialmente sotto i ghiaioni può essere una delle concause di frane, ma sulle nostre montagne si tratta di un fenomeno molto marginale». Oltre al Sorapiss, tra Veneto e Friuli Venezia Giulia ci sono altre montagne in cui si aprono faglie simili e che, dunque, sono particolarmente sensibili alle frane? «Queste fratture sono frequenti sulle nostre vette, in particolare in alcuni settori della Moiazza e dello Gruppo della Schiara, o nelle dolomiti dell'oltre Piave. Tutta l'area dolomitica è fragile». Diventerebbe dunque importante cercare di prevenire. È possibile "anticipare" una frana, sapere se e quando si verificherà? «In astratto sì, ci sono dei segnali ed è possibile interpretarli. Ma, allo stato attuale, i costi di indagini simili sono esorbitanti: per dare un'idea per analizzare un ettaro di terreno potrbbero servire circa 100 mila euro, non è una strada percorribile se si devono analizzare montagne intere. Ci sarebbero altre soluzioni, che comunque incontrano delle difficoltà...» Quali? «In quota si possono costruire delle opere di contenimento, così da "bloccare" la frana prima che arrivi. Ma anche queste hanno dei costi elevatissimi. Oppure si può agire in fondovalle che non consiste nell'evitare che la frana cada ma nell'impedire che provochi danni a persone o infrastrutture». Ad esempio? «Costruendo case più robuste che resistano alle frane in analogia a quanto si fa per gli edifici antisismici, proteggendo chi vive all'interno. Chiaramente si pongono problemi di ordine estetico, tecnologico ed economico. Ma possono anche essere realizzati dei cunei che deviano a monte del paese così da impedire che la frana colpisca il centro abitato. In realtà, a fronte di certi problemi, la soluzione più drastica sarebbe delocalizzare, spostare direttamente i paesi stessi, ma è chiaro che questo avrebbe implicazioni socioeconomiche enormi, che non la rendono una prospettiva facile e rapida da attuare». Quindi, allargando il discorso, dovremmo abituarci a convivere con le frane? «Sì. Al momento non riusciamo a rimediare a tutto. Bisogna entrare nell'ottica che il concetto il rischio zero non esiste, che possiamo mitigare i pericoli come non eliminarli. Dobbiamo accettare un certo livello di rischio anche per le frane. Al momento questa è la realtà con cui, allo stato attuale, dobbiamo convivere». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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p. 2, edizione Belluno
IlsindacodiSanVito:quilagenteèabituataallefrane,nonallapolvere
DAL PAESE SAN VITO DI CADORE (BELLUNO)
Arriva da giorni di emergenza, Franco De Bon. Il sindaco di San Vito aveva aperto il Coc (Centro operativo comunale) per la polvere caduta sul paese, a seguito dei crolli di roccia dalla Croda Marcora, la parete di Dolomia che segna lo skyline della località (e fa parte del gruppo del Sorapiss). Era il 14 giugno e la statale di Alemagna era stata chiusa qualche ora, per precauzione. Poi la criticità era rientrata e quei nuvoloni di polvere erano stati derubricati a caso quasi poetico, la polvere delle Dolomiti che si sgretolano. L'attenzione era passata sulla vicina frana di Cancia (Borca di Cadore) e il Coc era rimasto aperto quasi più per solidarietà che per una reale emergenza. Ma i crolli dalla Marcora sono continuati nei giorni scorsi, intensificandosi nel fine settimana. Nuove nuvole di polvere, boati e distacchi di roccia. E quindi, nuova
emergenza, e riattivazione del Centro operativo comunale. Poi quella polvere o meglio i frammenti di roccia, i sassi e la ghiaia si sono combinati con la pioggia torrenziale di lunedì sera. "Ed è scesa la frana" dice laconicamente il sindaco. LA CRONACA Gli occhi segnati dalla fatica, ma la determinazione di risolvere il prima possibile la situazione, De Bon racconta la notte. «Ieri sera (lunedì sera, per chi legge, ndr) mi hanno chiamato i volontari di Protezione Civile, che stavano monitorando la situazione. Mi hanno detto che stava piovendo. Attorno alle 22 sono andati fino a Dogana Vecchia e c'era molta acqua che correva. Ma non c'era nessuna frana. Il previsore meteo dell'Arpav poi mi ha detto che la cella si era spostata sul lago Garda. Pensavo fosse tutto tranquillo, ma poi a mezzanotte, quando già non pioveva più, è venuta giù la frana. Ora sulla base di che elementi possiamo calcolare quando e come riaprire la strada?». Anche perché la colata detritica - con un fronte di almeno 70 metri e un'altezza di 4 - ha continuato a scendere per ore. «Alle 7 di mattina c'era ancora materiale che si muoveva. E poi ne è scesa un'altra attorno a mezzogiorno, mentre stavamo già lavorando per liberare l'Alemagna. Tra l'altro queste colate vengono giù in una zona diversa da quelle storiche, non a Dogana Vecchia, ma in località Ponte del Venco, qualche centinaio di metro prima». DUE ORE D'AUTO PER CORTINA
In paese però sono tutti tranquilli (per quanto una frana che blocca il transito verso Cortina possa essere considerata tranquilla). Non c'è paura, semmai il fastidio di dover fare il giro per Auronzo e per il Passo Tre Croci per raggiungere Cortina: due ore di macchina anziché il classico quarto d'ora. «I sanvitesi sono collaborativi e non hanno paura della frana» dice il sindaco De Bon. «La polvere dei crolli della Croda Marcora aveva suscitato preoccupazioni ben più consistenti. Nei giorni scorsi, in concomitanza con quello che succedeva sulla parete di roccia e con i nuvoloni di polvere arrivati fino in paese, ho ricevuto diverse telefonate. Sono arrivate anche proposte piuttosto strane: qualcuno suggeriva di fare immediatamente un'ordinanza per imporre l'uso della mascherina, qualcun altro chiedeva che fosse disposto il divieto di uscire, e addirittura c'era chi mi chiedeva di chiamare i canadair per bagnare il paese e di fare lo spazzamento delle strade». Proposte strane che denotavano preoccupazione. Per la frana, invece, nulla di tutto ciò. «Rispetto alla frana, non c'è stato nessun allarme da parte dei cittadini, che anzi ho visto tranquilli e molto collaborativi dice De Bon -. Come mai? Direi che c'è un'unica spiegazione: la gente di San Vito è abituata alle frane, alla polvere no». D.T. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
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p. 2, edizione Belluno
Fiumediroccesull’Alemagnastopaltraffico,Cortinaisolata
MARCO DIBONA
LA GIORNATA SAN VITO DI CADORE (BELLUNO)
Uno scroscio violento, secchiate d'acqua nella notte, contro le pareti rocciose della Croda Marcora, e un'altra colata rapida di detriti si rovescia a valle, dalle pendici della Croda Marcora, sino al torrente Boite. Nella sua corsa forsennata questo fiume roccioso raggiunge per la prima volta la statale 51 di Alemagna, fra San Vito di Cadore e Cortina d'Ampezzo, poco a valle della località Dogana Vecchia, dove un tempo c'era il confine fra Austria e Italia, e la ricopre di ghiaia, sassi, tronchi d'albero divelti. Accade lo stesso con la sottostante pista ciclabile, la Lunga via delle Dolomiti, resa inservibile, non si passa neppure a piedi. La Regina delle Dolomiti viene isolata. Non ci sono conseguenze per le persone: in quel momento nessuno transita lungo
l'importante arteria di collegamento, locale e internazionale. Su quei ghiaioni, che digradano fra i pini, non ci sono costruzioni o infrastrutture, abitazioni o vasche dell'acqua. C'è soltanto ghiaia, tanta, accumuli millenari. L'INTERVENTO Scattato l'allarme accorrono tutte le istituzioni che in questi casi vengono coinvolte. L'Anas per la chiusura della strada, controllata dalle forze dell'ordine. La Protezione civile per rilevare la situazione. Il Comune di San Vito con il sindaco Franco De Bon, per molti anni agente della polizia provinciale, conoscitore della natura delle Dolomiti e dei suoi fenomeni. Per la Provincia di Belluno interviene il consigliere con delega alla protezione civile Massimo Bortoluzzi: ormai è di casa in Valle del Boite, nelle ultime due settimane ci sono stati tre episodi distinti, dal crollo di rocce dalla Croda Marcora alla frana che ha raggiunto una ventina di case a Cancia di Borca di Cadore, sino a questo nuovo evento. Sin dal mattino inizia la rimozione del materiale depositato sulla strada, per un fronte di un centinaio di metri, uno spessore che in qualche punto ne somma almeno quattro, forse cinque, di metri. La granulometria del materiale conferma la forza dell'evento: non c'è soltanto ghiaia, con ciottoli, ma ci sono massi di grosse dimensioni, anche un metro cubo, due tonnellate e mezza di peso. Ci sono i tronchi dei pini divelti. È piegata e divelta la barriera di protezione laterale della strada, di acciaio e legno. Dalla parte verso Cortina arrivano uomini e mezzi, al lavoro sin dal mattino: un escavatore di un'impresa privata, con un camion; altri autocarri dei vigili del fuoco; un camion dell'amministrazione comunale ampezzana, in un rapporto di buon vicinato; operatori e mezzi di imprese edili del territorio. Nel corso della mattinata il corpo della frana è aggredito anche da sud, dalla parte di San Vito, con pale gommate e altri camion. Intanto si lavora più a monte, per tentare di deviare la colata, di indirizzarla verso il vicino alveo, che porta al Ponte del Venco: lì c'è un sottopasso nuovo, realizzato nel piano delle opere per i Mondiali di sci alpino Cortina 2021, con un franco idraulico importante, uno spazio ritenuto sufficiente per far defluire l'acqua e il materiale in sospensione, verso il Boite, senza ostruire la statale. Peccato che questa ultima colata non si è riversata in quell'alveo, ma ha trovato una sua strada, nuova e diversa, poche decine di metri più a nord. ANCORA BOATI Risalire a piedi il pendio è faticoso, non si può camminare sul corpo della frana, perché è impregnata d'acqua, è molle, si affonda. Bisogna percorrere il bosco a lato, oppure calpestare i resti di colate precedenti, più piccole, che si sono fermate più in alto. Raggiunta quasi la base della Croda Marcora si vede nitido il canalone fra le rocce dilavate, dove scende ancora acqua, dalla notte precedente. Si sentono i boati dei grandi massi che precipitano e si frantumano, originano altro materiale, che l'acqua trasporterà a valle. Gli abitanti di San Vito li sentono da giorni, questi boati. Il 14 giugno c'è stato un primo crollo, che ha fatto ripensare a quello di due anni fa, con una inquietante nuvola di polvere portata dal vento lungo la Valle del Boite. Domenica 29 giugno il fenomeno si è ripetuto, ancora più evidente, con la polvere bianca di calcio e magnesio, della dolomia sbriciolata, a ricoprire le strade, le auto, le case, nel paese di San Vito imbiancato come a Natale, ma anche verso Cortina. I geologi stimano un volume complessivo di 15mila metri cubi di roccia crollata dalla montagna e sbriciolata. LA REPLICA Nel primo pomeriggio arriva un altro scroscio, violento e breve, ma sufficiente per innescare un altro "debris flow", una colata rapida, con la melma e la ghiaia che corrono sino a novanta chilometri all'ora. Uomini e mezzi che erano al lavoro sono allontanati in fretta, anche la troupe della Rai nella trasmissione in diretta, per documentare la situazione. Tutte le persone vengono fermate a distanza dal cantiere. Passano soltanto le biciclette di un gruppo di vacanzieri tedeschi: cartina alla mano, sul telefonino, scelgono la destra orografica del torrente Boite, lungo la strada sterrata che parte da Socol, in Ampezzo, dalla stalla dei Ronche, vicina all'area produttiva di Pian da Lago, e arriva a La Graes, alle porte di San Vito, vicino al Lago di Mosigo. Gli abitanti del posto sostengono da anni che quella sarebbe la soluzione, per togliere la statale di Alemagna
dall'incubo ricorrente delle frane che scendono dal Sorapis, dalla Croda Marcora, dall'Antelao. Marco Dibona © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelleAlpi|7luglio2025
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Ilgeologo:«Paretipericolose,fateattenzione»
Francesco Dal Mas / San Vito
«Le Dolomiti? Viviamole a cuore aperto, lasciamoci avvolgere da tanta bellezza. Continuiamo a frequentarle, a scoprirle, se non le conosciamo. Ma con tutte le precauzioni del caso. Rispetto al meteo, anzitutto. Ma anche prestando attenzione alla fragilità delle pareti». Il consiglio è di Luca Salti, geologo, che ghiaioni e colate, ma anche tante "perpendicolari", le ha conosciute palmo a palmo. Il cambio del clima, le temperature sempre più alte, il permafrost che si scioglie, sono tutti elementi che – secondo Salti – devono mettere in guardia dall'approccio superficiale anzitutto con le pareti: da parte di chi arrampica ma anche da chi, semplicemente, cammina ai loro piedi. «L'attenzione principale sta non solo nella preparazione, specie se ci si inoltra in ambienti complessi, ma anche nelle attrezzature. Massima attenzione, per esempio, ai sassi, per cui è d'obbligo il casco, affrontando determinate situazioni. Il pomeriggio è meglio essere a valle, perché arriva quasi quotidianamente il temporale. E per chi arrampica, è evidente che deve magari evitare le pareti un po'più fratturate, quelle ancora da scoprire». I ghiaioni, le colate? Da ragazzi ci si divertiva a scendere saltellando... «Niente di più sbagliato», taglia corto Salti, «tanto meno in presenza di pioggia. Ai ragazzini si insegna che, quando camminano sui sentieri, non debbono mai muovere i sassi, non buttarli mai giù, perché magari sotto ci può essere qualcuno. Quindi quando si cammina in quota bisogna stare attenti al contorno. Tanto più se è un ambiente che è umido». Il geologo si trova ogni settimana in quota per perlustrare gli ambienti più fragili, quindi più a rischio. «Le uscite vanno programmate da subito dopo l'alba, perché nel pomeriggio ti arrivano sempre i temporali che potrebbero trasformarsi in bombe d'acqua. L'accumulo dell'umidità durante l'arco della giornata porta poi a dei livelli di condensazione nell'ora più calde che generano i moduli turbolenti di nuvole e di precipitazioni improvvise. Poi con i contrasti di temperature, perché in alta quota purtroppo non c'è più lo zero termico, perché lo zero termico, tra temperature più calde e più fredde, questi contrasti di umidità vanno a generare fenomeni intensi. E i ghiaioni, per esempio, si muovono proprio come colate quando hai queste concentrazioni di pioggia». Ecco un'altra avvertenza. «L'altro giorno a Cancia c'era il sole, mentre sull'Antelao pioveva e infatti c'è stato l'innesto di una pseudo colata. La natura è eterogenea, quindi anche il clima in un brevissimo spazio può cambiare». Si diceva del permafrost che sta sciogliendo le rocce. «Non è vero che sia del tutto scomparso», puntualizza Salti. «È ancora presente in tante conche dolomitiche dove sono rimasti fazzoletti di ghiaccio, magari coperti da una chiazza di neve se non addirittura da sassi, come ad esempio proprio sull'Antelao. Certo è che con queste temperature anche le ultime resistenze possono sciogliersi. Ed ecco», conclude il geologo, «un altro elemento da attenzionare».
CorrieredelleAlpi|7luglio2025
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LaguidaCasanova:«Daannicisonocrollimasonomancateoperediprevenzione»
F.D.M.
L'intervista Due le verità, secondo Frostian Cristian Casanova, ingegnere e guida alpina. La prima: non è tutta marcia croda Marcora. La seconda: da anni si ripetono i distacchi, c'è l'accumulo sulle conoidi, ma non si sono approntate per tempo le opere di mitigazione e protezione. Casanova ha aperto una delle sue prime vie, insieme ad Andrea Polo, proprio sulla Marcora, ancora nel 2016. «Per la verità, siamo arrivati a tre quarti della parete, è difficilissima, dovevamo completarla, ci mancherebbero le ultime decine di metri». Come avete trovato la roccia? «Noi siamo saliti a ridosso della parete crollata e la nostra era roccia di qualità eccezionale. La parte vicina era in effetti molto frastagliata, quindi con zone molto instabili. Quindi il Marcora presenta delle problematiche serie, perché puoi passare da una zona perfetta a un'altra che non lo è affatto. Il tutto su uno sviluppo di 800 metri perpendicolari. Dove noi abbiamo arrampicato, la roccia è sicura; siamo infatti andati avanti a speed perché non c'era la possibilità di mettere chiodi normali». Altre vie aperte nel passato hanno riguardato anche la parete dei crolli? «Una classica è stata aperta da Maurizio Dell'Omo. E poi un'altra in piena frana. Allora probabilmente non si presentavano le problematiche di oggi, quelle provocate dal cambiamento climatico. In ogni caso è bene sapere che il rischio zero non esiste. E non è vero neppure che sia tutta marcia la croda Marcora. Qui ci sono delle rocce così compatte che è difficile trovarle altrove sulle Dolomiti. Mentre la sommità è di roccia pessima. I crolli si sono verificati tra la cengia più alta e la cima». Ci dobbiamo aspettare altri distacchi, quindi altre colate? «Sono un ingegnere, non un geologo. Ma tutte le Dolomiti prima o poi avranno delle frane, perché è il ciclo naturale. Le nostre montagne sono destinate a diventare dei ghiaioni. Le Tre Cime di Lavaredo, ad esempio, sono molto marce; non hanno una roccia di qualità eccezionale. Non ce l'hanno neppure la Tofana di Rozes e la Tofana di Mezzo. Il Civetta ogni anno, sulla destra della parete Nord-Ovest che si chiama Pan di Zucchero, anima frane enormi, a livello del Marcora per capirsi». I crolli del Pelmo hanno fatto anche dei morti. «Purtroppo sì. Bisogna prestarci la massima attenzione a salirci. E come non ricordare il crollo da Cima Uno, in Val Fiscalina, che ha portato la polvere fino a Moso? Ma, ritornando al Marcora, c'è da dire che i crolli vanno avanti da oltre 5-6 anni. E non mi pare, purtroppo, che sia stato fatto granché dal punto di vista delle opere di prevenzione. Le frane hanno accumulato materiale detritico a valle, che con le bombe d'acqua comincia a venir giù. Non c'è più spazio per tenere questo materiale a monte. I bacini di laminazione nono indispensabili per prevenire le alluvioni, ma servono anche in montagna per evitare o quanto meno rallentare le colate». I consigli di una guida alpina per gli escursionisti o gli arrampicatori? Lei fa parte anche del Soccorso alpino. «Il consiglio canonico è di muoversi poco dopo l'alba, se non addirittura prima ancora dell'alba, in modo da essere di ritorno per mezzogiorno. E questo per non farsi trovare in arrampicata o in escursione sotto una parete il pomeriggio, quando immancabile arriva il temporale. Temporale, non si dimentichi, che spesso porta con se anche del fulmini pericolosi, come abbiamo visto nei giorni scorsi. Certo è che se una persona è in qualche modo preparata, sa i tempi e carica lo zaino di tutti i presidi necessari. Se si va a camminare sotto uno strapiombo o in cengia, è evidente che bisogna disporre del casco. E in talune uscite è consigliabile magari l'accompagnamento di una guida». A proposito, i sentieri che attraversano il Marcora sono tutti blindati? «Sì. Il Cai già da qualche anno li ha declassati. La cengia del Banco, sicuramente. Il sentiero che sale da Dogana Vecchia pure. C'è poi un percorso che arriva in cima da dietro la montagna, e che si biforca, perché da una parte si sale anche sulla Punta Sorapiss». F.D.M. © RIPRODUZIONE RISERVATA
CorrieredelTrentino|29luglio2025
p. 6
Brenta,lamontagnasisbriciola«Evacuaticentoescursionisti»
DAFNE ROAT
TRENTO
Il fenomeno dell’erosione delle Dolomiti è un processo naturale che esiste da sempre. È nell’ordine delle cose che le vette procedano verso una progressiva erosione. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni il fenomeno è stato accelerato dai cambiamenti climatici, con i crolli che stanno diventando sempre più frequenti. Gli ultimi in ordine di tempo hanno interessato entrambi i versanti (occidentale e orientale) di cima Falkner, nel gruppo di Brenta. Dopo le segnalazioni dei giorni scorsi, il Servizio geologico della Provincia con il supporto del Nucleo elicotteri ha effettuato un sopralluogo tecnico. Gli esperti hanno scoperto che l’intera cima è interessata da un fenomeno morfogenetico in corso, verosimilmente correlato alla degradazione del permafrost (strato di roccia che rimane permanentemente ghiacciato). Nel corso del sopralluogo sono state rilevate fratture che mostrano segni di evoluzione recente, oltre alla presenza di ghiaccio in corrispondenza delle nicchie di distacco. Questo indica un dissesto in corso, con potenziale aggravamento della situazione. Al crollo hanno assistito diversi escursionisti. «Durante la ferrata, un boato pazzesco. Ero proprio lì sotto la cima Falkner», racconta il conduttore de «La Zanzara» Giuseppe Cruciani su Instagram. Un quadro che ha imposto un intervento tempestivo da parte della Provincia e per ragioni di sicurezza è stata disposta la chiusura immediata di tutte le vie alpinistiche e dei sentieri che interessano direttamente la zona, tra cui il Benini (numero 305) e i sentieri numero 315, 316 e 331. Alla luce della chiusura del sentiero 316, il rifugio Tuckett rimane raggiungibile esclusivamente dal Vallesinella–Casinei. I sindaci dei Comuni di Tre Ville, Matteo Leonardi, e Ville d’Anaunia, Fausto Pallaver, hanno emanato delle ordinanze per vietare l’accesso ai sentieri, che partono dal Passo del Grostè. La decisione è stata presa durante una riunione tecnica convocata dal Dipartimento protezione civile, alla quale hanno preso parte i Servizi geologico, Antincendi e protezione civile e Prevenzione rischi e Cue, Foreste, i Comuni di Tre Ville e Ville d’Anaunia, la Società alpinisti tridentini (Sat), il soccorso alpino e la Federazione dei vigili del fuoco volontari del Trentino. L’area intorno a Cima Falkner sarà costantemente monitorata dal Servizio geologico e del Nucleo droni del Corpo permanente dei vigili del fuoco di Trento. Tutti gli escursionisti presenti in zona – circa un centinaio sono stati evacuati e informati presso il rifugio Stoppani al Grostè e alla stazione a monte della seggiovia del Grostè. La raccomandazione delle autorità è quella di prestare la massima attenzione e di rispettare le ordinanze. Ad oggi non è possibile sapere per quanto tempo resteranno chiusi i sentieri. «Bisogna vedere l’evoluzione dei prossimi giorni», osserva il presidente della Sat Cristian Ferrari. «Verranno effettuati controlli più precisi. Il nostro obiettivo è garantire alle persone la sicurezza e il minor rischio possibile», continua. L’erosione della roccia e i crolli fanno parte del processo evolutivo, ma i cambiamenti climatici, i forti acquazzoni e il grande caldo potrebbero aver accelerato il processo. «Le Dolomiti di Brenta sono più fragili rispetto all’Adamello o la Presanella, che sono più stabili ragiona Ferrari il gran caldo e gli acquazzoni potrebbero aver influito sullo stato del permafrost in quota, con le grandi piogge torrenziali l’acqua anche all’interno delle fessure e il grande caldo possono far venire meno la coesione». Anche a Cortins era stata adottata una decisione analoga a causa dell’erosione delle rocce dolomitiche.
CorrieredelleAlpi|29luglio2025
p. 29
CrollidalPelmo,chiusisentierievieDomanigliispettoriromaniaCancia
F.D.M.
Borca di Cadore
Il sindaco di Borca di Cadore, Bortolo Sala, deve vedersela con ben due situazioni a rischio: Cancia da una parte e il Pelmo dal versante opposto della valle. Domani, intanto, ci sarà una ispezione da Roma che verificherà i danni effettivi provocati dalla colata dall'Antelao a Cancia. La Provincia di Belluno ha chiesto 12 milioni per le spese di rimozione dei materiali detritici e di rimessa in sicurezza delle briglie, del vascone e della piattaforma di contenimento. La commissione della Protezione Civile verificherà anche le spese patite dal Comune, che ammontano a 2 milioni. Intanto, però, lo stesso sindaco ha dovuto occuparsi di quanto accaduto domenica sul Pelmo, in questo caso un crollo. «Pochi metri cubi di roccia dalla parete nord ovest», afferma Sala. Nessuna conseguenza per le persone (in Val d'Arcia, a qualche distanza dalla stessa parete, transitano due sentieri) come hanno potuto verificare anche i Vigili del Fuoco, informandosi direttamente al rifugio Città di Fiume. Siamo in territorio comunale di Borca di Cadore, anche se questa è la Val Fiorentina, per la maggior parte in territorio di Selva di Cadore. Il sindaco Sala ha fatto sbarrare ieri la strada di accesso che porta ad un'area di proprietà delle Regole di San Vito di Cadore e che viene utilizzata come grande parcheggio, sotto il passo Staulanza. Hanno però una deroga per il transito sia i rifugisti che i fornitori del rifugio Città di Fiume sia gli operatori della vicina Malga Fiorentina. Lo stesso sindaco di Borca ha fatto divieto di utilizzare i sentieri che da una parte conducono allo Staulanza e dall'altra al Rifugio Venezia in caso di forti precipitazioni. Per il timore – ha spiegato – che possano dilavarsi i ghiaioni, con un fronte di un chilometro, fino a provocare colate di sassi e fango, come è avvenuto nel 2023. «Il Pelmo ha la parete nord ovest che è soggetta frequentemente a crolli e distacchi», testimonia il geologo Luca Salti. «Ricordo che nella tragica circostanza del 2011 in cui sono morti, a seguito di uno di questi grossi distacchi, due volontari del Soccorso Alpino, ho esaminato approfonditamente quella parete e l'ho trovata, già allora, piena di fessure. D'altra parte la presenza dei ghiaioni sottostanti certifica che esiste questa problematicità, rispetto alla quale bisogna mantenere la massima prudenza». f.d.m.
Gazzettino|29luglio2025
p. 26, edizione Belluno
Dolomiti,estatedifrane«Maèsemprestatocosì»
DAMIANO TORMEN L'INTERVISTA BELLUNO
Prima la Croda Marcora ripetutamente e fragorosoamente, a dirla tutta venuta giù diverse volte da metà giugno in avanti, anche con nuvoloni di polvere che hanno ricoperto il fondovalle, arrivando fino alle porte di Cortina. Poi Cancia, dove i detriti dell'Antelao si sono impastati con la pioggia diventando una lingua di fango e sassi. Infine il Pelmo, che domenica pomeriggio ha dato una "scrollatina" sulla parete nordovest. La montagna perde i pezzi. «E dobbiamo
attendercene altri, di crolli». Ne è convinto Ennio Chiesurin, geologo che da anni collabora anche con la Provincia di Belluno come consulente per diversi dissesti geologici. «Questo genere di fenomeni fanno parte della natura della roccia, dell'evoluzione naturale delle Dolomiti». Chissà cosa penserebbe Charles Darwin. Del resto, le Dolomiti hanno oltre 200 milioni di anni. E nella loro vita ne hanno visti di crolli. Solo che spalmati su una linea del tempo di millenni è un conto, concentrati in poco più di un mese, e poi in maniera così ripetuta... fa un certo effetto. «Diciamo che è più o meno come quando si dà una scrollata a un melo pieno di mele mature dice Chiesurin -. Quelle mature cadono. Poi magari passano settimane prima che ne vengano giù altre. Per la montagna può essere lo stesso: adesso abbiamo avuto diversi distacchi, magari passeranno anni prima dei prossimi». E se invece dovesse succedere di nuovo a breve? «Non si può escludere. Anche perché dopo i primi crolli, la parete vive un disequilibrio e quindi può dare vita ad altre cadute di roccia. Del resto, le nostre montagne sono fatte di Dolomia, sono pareti verticali, spesso fratturate: sono soggette a questi movimenti». In che senso? «Basta vedere i ghiaioni di fondovalle per rendersene conto: sono l'effetto - e l'accumulo - di crolli storici». Qualcuno dice che i crolli sono figli del cambiamento climatico... «Le rocce sono vive, si dilatano e si restringono. Risentono dell'escursione termica, del gelo-disgelo, della piovosità... Ci sono masse che restano appese per secoli e millenni, e poi cadono quando salta il contatto con la parete. Come si dice, il peso non dorme. Oggi ci sono più crolli? Diciamo che casualmente stiamo assistendo a una somma di eventi particolari che stanno portando a un susseguirsi di crolli. Ma è anche cambiata la visibilità mediatica». Cioè, oggi tra social e foto, si "mostrano" più crolli che in passato? «Qualche anno fa c'è stato un distacco dal Civetta, avvenuto probabilmente in aprile. Ma è stato "scoperto" e divulgato solo a maggio. Poi ovviamente c'è crollo e crollo. Ricordiamo tutti quello del Pelmo del 30 agosto 2011, che costò la vita a due soccorritori (Alberto Bonafede e Aldo Giustina, che erano stati attivati per salvare due escursionisti tedeschi feriti da un crollo precedente, ndr). Se invece avvengono distacchi in aree non frequentate, pochi se ne accorgono. Ma è importante parlare di questi fenomeni, anche per sensibilizzare i frequentatori della montagna e ricordare loro che le Dolomiti sono bellissime, ma non sono un luogo a rischio zero. Non bisogna creare allarmismi, ma dare consapevolezza sì». Perché non c'è possibilità di prevenire o evitare i crolli. «A meno di non chiodare o mettere reti su tutte le pareti dolomitiche... ma allora perderemmo la magia e la bellezza delle nostre montagne. Che sono splendide ma non prive di pericoli». Damiano Tormen © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelTrentino|30luglio2025
p. 4
CimaFalkner,eccoidroniscanner
«Situazioneancorainmovimento»
CrolliaCimaFalkneralpinistievacuati
QuattrosentierieviechiuseTecniciallavoroconidroniscanner
Silvia M. C. Senette
Trento
L’altro giorno a Cima Falkner, sulle Dolomiti di Brenta, la montagna si è sbriciolata: un centinaio gli escursionisti evacuati, quattro i sentieri chiusi. Paura e terrore con il ricordo ancora vivo della Marmolada. Nella mattinata di ieri, grazie all’utilizzo di speciali scanner applicati ai droni, è stato
acquisito un modello in alta risoluzione dell’intera cima, che sarà ora confrontato con i rilievi precedenti. Le prime immagini raccolte mostrano un’evidente evoluzione delle fratture: in particolare, sono stati documentati allargamenti significativi, a conferma di una situazione ancora in movimento. Le fratture, in precedenza riempite da ghiaccio, ora risultano in parte vuote, segno di un cambiamento della morfologia di Cima Falkner. Si tratta di un’evoluzione legata anche alla degradazione del permafrost, elemento che in quota svolge un importante ruolo di «collante» per la massa rocciosa. Volkmar Mair, dirigente dell’ufficio Geologia e prove materiali della Provincia di Bolzano, forte di trent’anni di esperienza in rilevamenti e venticinque al servizio protezione civile, premette: «Non conoscendo i dettagli di Cima Falkner faccio fatica a identificare una causa, però abbiamo gli stessi problemi ovunque. Abbiamo avuto crolli anche sulle Dolomiti altoatesine e siamo consapevoli che possiamo averne un po’ ovunque». A cosa sono dovuti? «Ci sono diverse cause. Piogge intense e forti sbalzi di temperatura possono riattivare frane anche antiche. Poi il permafrost si scioglie, causando cicli di gelo e disgelo fino a 10-15 metri di profondità». Cos’è il permafrost? «È roccia permanentemente ghiacciata, con temperatura sotto zero per almeno due anni. Se le temperature oscillano attorno allo zero termico, l’acqua gela e disgela; quando gela, il ghiaccio si espande del 9% con enorme forza, circa 200 chili per centimetro quadrato, spaccando le rocce». Quali gli effetti diretti? «Non solo lo scioglimento, che provoca caduta massi. Il gelo-disgelo continuo, anche dieci volte al giorno, è come un cuneo che spacca le rocce. Grandi porzioni si staccano, creando “rock avalanches”, colate detritiche rapide e voluminose, o crolli massicci». Cosa accelera il fenomeno? «Il cambiamento climatico. Lo zero termico a 4.000-4.500 metri, ultimamente anche 5.000, rende l’alta montagna rischiosa: prima era fisso e il gelo-disgelo superficiale. Ora questo fenomeno raggiunge le cime, rendendo il terreno instabile. Abbiamo immesso troppa energia nel sistema geologico». Cosa può frenare il fenomeno? «Attualmente niente. Dovremmo raffreddare, non solo fermare l’immissione di calore. Presto sarà impossibile tornare indietro e dovremo conviverci a lungo». I teli sul permafrost funzionano? «Sui ghiacciai, in parte. Ma coprire tutte le Dolomiti con teli o reti è impensabile. Si immagina le Tre Cime di Lavaredo coperte da reti d’acciaio? Funziona su piccole aree, ma non è una soluzione tecnicamente o economicamente sostenibile». L’attività umana ha un impatto? «Poco, sull’evento stesso. Ma il turismo di massa espone più persone al rischio. Dobbiamo adeguarci scegliendo mete idonee, evitando zone con caduta massi attiva, chiedendo ai rifugisti. Non basta internet: occorre informarsi direttamente sul posto, con il meteo locale. Il servizio provinciale di Alto Adige e Trentino è ottimo. Piccoli accorgimenti possono salvare vite». Quali le zone più a rischio crolli? «Difficile dirlo, può succedere ovunque. Dove ci sono tante persone, sulle cime dolomitiche, c’è più rischio. Un crollo in alta montagna o in una valle isolata non ha impatto; il problema è dove in molti sono esposti». Avete cime particolarmente attenzionate? «Essendo impossibile monitorare 7.400 chilometri quadrati, abbiamo sensori e monitoriamo zone con molta gente o insediamenti e infrastrutture importanti». Ad esempio? «Corvara, Trafoi, Stelvio, Laudes, Val Passiria, sopra Merano: zone note. Monitoriamo anche il permafrost in Alta Val Senales e sul Pisciadù. Verifichiamo cosa succede ovunque, come i colleghi del Trentino con Marmolada e Brenta». Una raccomandazione per gli escursionisti? «Essere testardi non porta a nulla di buono: adattatevi alle condizioni. Guardate il meteo locale e chiedete a gente del posto. Non forzate le scelte, se le condizioni non sono ottimali cercate alternative: Trentino e Alto Adige offrono infinite possibilità. Verificate salute, preparazione fisica, meteo e temperature». Posti sicuri in cui andrebbe adesso? «Eviterei solo i luoghi troppo affollati. Il problema dei posti belli è che, una volta scoperti, non sono più “segreti”. Il posto giusto è ovunque, basta che ci siano le condizioni»
L’Adige|31luglio2025
p. 11
Ilcrollofatremareisismografi«Giù36milametricubidiroccia»
Il crollo di Cima Falkner, nel gruppo del Brenta, è stato avvertito dai sismografi nelle prime ore di domenica, nel cuore della notte. Per la precisione alle 2. 36. L’evento è stato percepito dalla strumentazione fino a 50 chilometri di distanza. La massa rocciosa franata, calcolata nelle ultime ore, è stata stimata in 36mila metri cubi circa. Ma la vetta continua a «sbriciolarsi» con piccoli crolli dalla parte sommitale che si sta aprendo «a fiore». A spiegare nel dettaglio il fenomeno, il dirigente del Servizio geologico della Provincia, Mauro Zambotto. Il crollo della cima è stato avvertito anche dai sismografi? Sì, abbiamo fatto una ricostruzione dalle nostre stazioni sismometriche: incrociando i dati, si è visto che alle 2. 36 circa di mattina di domenica, sono stati acquisiti dei segnali. Si vede che provengono dalla Cima Falkner nel gruppo del Brenta. Riguardo al monitoraggio e al sopralluogo con i droni, cosa emerge dal punto di vista dei volumi interessati dal crollo? Sul posto con le squadre intervenute, compresi due geologi del servizio geologico, vigili del fuoco e soccorso alpino, abbiamo appurato che ci sono delle fratture che tendono a far detensionare l’ammasso roccioso della cima che, per la forza di gravità, ha la tendenza ad aprirsi lentamente come un “libro”. Le fratture individuate, anche a detta dei rifugisti della zona, non sono mai state così importanti in un recente passato. Con i rilievi fatti ieri (l’altro ieri, ndr) dal drone e quelli già a nostra disposizione elaborati dai velivoli, si è visto che mancano all’appello circa 36mila metri cubi di roccia franati nella zona sud-ovest della cima. E anche confrontando i rilievi leader, i nostri tecnici hanno potuto vedere la differenza. Dalle altezze rilevate, hanno individuato l’area dove può esserci stato il distacco. Ci sono aree sotto la cima che sono più a rischio rispetto ad altre? Valutando come la cima si sia fratturata, è stata fatta anche una verifica sulle possibili espansioni verso le valli laterali. Rimane assodato il fatto che, verso Ville d’Anaunia a est, il pericolo è molto elevato: il sentiero è molto esposto, essendo alla base della parete principale. Sull’altro lato, c’è un po’più di distanza. A nostro giudizio, non è detto che arrivino masse di crollo, ma andrà valutata la cosa nel dettaglio. Che tipo di rilievi state effettuando e come avete elaborato il modello tridimensionale? Il rilievo è duplice. Con il drone del nucleo droni dei vigili del fuoco è stata rilevata una nuvola di punti. È un rilievo tridimensionale con coordinate e quota. Da questo si può ricostruire il volume globale: il totale della cima è 700mila metri cubi che potenzialmente sono instabili. Le possibilità di crollo rimangono inferiori, ma possono presentare fenomeni ripetuti, sull’ordine di grandezza di quello già avvenuto. Con il rilievo topografico invece, insieme alle sezioni che abbiamo applicato, vengono usati dei calcoli semplificati: con dei metodi geometrici si può ricavare a quale distanza può arrivare un espandimento di blocchi che cade verso le valli limitrofe. La causa della frana sembra attribuibile alla «degradazione del permafrost», come avete già potuto constatare nelle vostre valutazioni. In alta montagna, si parla di quote sopra 2. 700 metri, ci sono situazioni di permafrost, cioè un insieme di rocce fratturate o detriti di rocce di vario genere, che presentano componenti di ghiaccio nelle fratture o negli interstizi. Il ghiaccio da sempre agisce anche come collante perché ha un fattore di adesione e favorisce il mantenimento di una certa struttura. Se le temperature aumentano, come negli ultimi 40 - 45 anni, avviene quella che chiamiamo degradazione del permafrost. Ossia la parte solida del ghiaccio tende a ridursi e viene meno quel fattore di adesione “collante” tra gli elementi litici, i frammenti o lembi di
roccia. A un certo punto rimangono dei vuoti o si produce acqua e la roccia non sta più insieme, la forza di gravità prevale e tende a far cadere pinnacoli, pareti. Quali saranno i prossimi passi? Abbiamo usato dei procedimenti noti in letteratura, usati per casi simili di crolli massivi. Adesso metteremo in campo un nuovo rilievo per capire le differenze soprattutto dell’apertura delle fratture. Già oggi (ieri, ndr) ci sarà un incontro con la protezione civile. Il rischio zero in montagna non esiste, ma è possibile per gli escursionisti riuscire a fare le proprie valutazioni in questi casi?
Per le persone non addette ai lavori è difficile fare valutazioni di questo tipo. Capire meccanismi di questo tipo non è facile. Noi abbiamo avuto la segnalazione da persone che facevano roccia nelle aree limitrofe: segnali di crolli continui, anche di piccole dimensioni, possono essere indice di una deformazione più importante. Quindi è necessario avere dei campanelli d’allarme e agire tempestivamente per bloccare escursionisti e frequentatori. Siamo nelle Dolomiti di Brenta, patrimonio Unesco: a maggior ragione l’attenzione è più alta. Questo rimane l’avamposto più occidentale del patrimonio mondiale dell’umanità. C’è un monitoraggio costante sulla pericolosità delle aree? Il Servizio geologico, unitamente ad altri servizi tecnici, ha redatto delle carte della pericolosità che prendono in considerazione una serie di fattori fra cui i crolli rocciosi che costituiscono la prima fase di attenzione. L’alta montagna, le cime e le pareti sono già catalogate. Ma vanno studiati in dettaglio quando si presenta il fenomeno.
AltoAdige|1luglio2025
p. 16
Ilsecondogiugnopiùcaldodisempre
BOLZANO.
Servizio meteo provinciale: in archivio uno dei mesi di giugno più caldi di sempre. Si è trattato del secondo mese di giugno più caldo dall'inizio delle rilevazioni meteorologiche. Caldo record il giorno 29 con 37,5 gradi a Ora. Temperature in discesa a partire dalla serata di ieri. «In gran parte dell'Alto Adige, il mese di giugno di quest'anno è stato il secondo più caldo dall'inizio delle rilevazioni meteorologiche nel 1850, appena dietro l'estate record del 2003», chiarisce il meteorologo Dieter Peterlin dell'Ufficio Meteorologia e prevenzione valanghe dell'Agenzia per la Protezione civile. «In alcune zone, come la Val Pusteria, è stato addirittura il giugno più caldo di sempre. Le temperature hanno superato di circa 3,5 gradi la media pluriennale. Mentre la prima settimana di giugno ha portato temperature relativamente normali, il resto del mese è stato insolitamente caldo». Temperature massime/minime La temperatura massima è stata registrata il 29 giugno con 37,5 gradi ad Ora. La temperatura minima del mese è stata invece registrata la mattina del 9 giugno con 4 gradi a Monguelfo. Bilancio delle precipitazioni Il bilancio delle precipitazioni è stato piuttosto secco, con differenze locali dovute ai temporali. In Val Pusteria e nella zona di Bolzano ha piovuto molto, mentre nel Burgraviato e in Val Venosta si è registrata solo la metà delle precipitazioni rispetto alla media del mese di giugno. Previsioni per i prossimi giorni Il grande caldo dovrebbe esaurirsi. La pressione tenderà a calare e le masse d'aria diverranno più instabili. Nei prossimi giorni sono previsti temporali sparsi. Le temperature scenderanno di qualche grado, ma il clima rimarrà relativamente afoso. La rete di stazioni meteo In Alto Adige comprende un totale di 95 siti di misurazione automatica, di cui 58
si trovano nelle aree abitate e 37 in montagna. I dati delle singole stazioni meteo possono essere visualizzati in tempo reale.
AltoAdige|2luglio2025
p. 18
«Pioggiainaltaquotaezerotermicoa5000mPerighiacciaièSos»
DAVIDE PASQUALI
BOLZANO
Non solo il bollino rosso in fondovalle, che ha colpito Bolzano anche ieri. Gli alpinisti temono ancora di più quando lo zero termico sta sui quattromila metri, che poi è il limite massimo anche nelle rappresentazioni grafiche usualmente utilizzate dal sito e dalla app del servizio meteo provinciale. Figurarsi dunque quando si arriva ai cinquemila metri, come accaduto negli ultimi giorni. Un fatto impensabile fino a solo pochi anni fa. Lo conferma il generale Pietro Bruschi, coordinatore del Servizio glaciologico del Club Alpino italiano dell’Alto Adige: «Raramente lo zero termico supera i 4.000 metri. L’anno scorso arrivò a 4.200 a inizio luglio, Mille metri in più, quale l’impatto sui ghiacciai? Il ghiacciaio non è più come una volta, questo ormai tutti l'hanno capito. Quelli che erano abituati ad andare su un ghiacciaio in condizioni abbastanza normali, senza preoccupazioni particolari, cioè sempre attrezzati con piccozza ramponi eccetera, quest’anno devono essere ancora più prudenti, perché abbiamo visto già precedentemente che ci sono dei blocchi di ghiaccio che all'improvviso si staccano. Questi blocchi vengono causati dallo scorrimento nella zona sottostante del ghiacciaio. C’è il ghiacciaio e la parete rocciosa sottostante. I flussi d'acqua che scorrono sotto al ghiaccio, in alcuni casi dei veri e propri torrenti, stanno veramente decimando la parte sottostante del ghiacciaio. E così delle porzioni di ghiaccio, come è già successo anche a gente decisamente esperta, si staccano sotto i piedi, improvvisamente. Non solo quando si è su terreni ripidi, ma anche su un comodo panettone, dove prima non ti preoccupavi minimamente. Praticamente non si vede niente da sopra e vieni colto alla sprovvista. Viene giù tutto, senza quasi che te ne accorgi. Una volta, con l’esperienza e la dovuta attenzione, si poteva prevedere il movimento del ghiacciaio, in base allo scricchiolio del ghiaccio eccetera; adesso risulta abbastanza improbabile riuscirci. Ci sono, all’improvviso, questi distacchi». Quindi, estrema attenzione, molto più che non in passato. Che poi, insomma, bisogna pensare che siamo soltanto all'inizio di luglio. Storicamente, negli ultimi anni, negli ultimi decenni, insomma ce n'erano ben di salite tranquille da fare anche in posti magnifici... Adesso bisogna scegliere proprio per bene, non solo sui nostri Tremila di confine. Le Dolomiti insegnano: anche i Monti Pallidi, naturalmente, hanno le loro conseguenze negative, perché quel famoso collante che è il permafrost, che teneva attaccate le rocce più superficiali alla roccia centrale, al bacino centrale, ora si stanno sciogliendo, quindi, di conseguenza, si staccano dei blocchi anche piuttosto consistenti. Lo confermava nei giorni scorsi il re degli Ottomila, dal terrazzo della nuova Reinhold Messner Haus di Monte Elmo. Mostrava ai visitatori, proprio lì, sotto le vette della celebre Meridiana di Sesto Pusteria, dove sono venute giù frane ultimamente, proprio perché il permafrost non regge più. Ne siamo consci, si tratta di un processo probabilmente irreversibile. C’è qualche fenomeno ulteriore che desta preoccupazione? È un anno molto molto strano. Si verificano delle improvvise piogge e ormai piove anche in alta quota, niente più neve, solo acqua. Quindi la neve rimasta, il nevato, viene decimata, e si scioglie ulteriormente anche lo stesso ghiacciaio. Ci
sono dei temporali tremendi anche in alta quota, come accaduto lunedì in val Ridanna, i quali danno pure luogo a frane. Bisogna stare all’occhio anche durante una semplice escursione, insomma. Meglio stare veramente attenti anche al meteo. Non ci sono più i temporali di una volta. E sui ghiacciai, se butta male, tornare subito giù? Direi di più, vado oltre: in certi casi meglio non partire nemmeno. E scegliere le salite giuste. Cosa si attende da questo 2025 per i ghiacciai? Ovviamente l’evoluzione sarà negativa, quanto meno viste le premesse, ma sarà peggio o meglio degli anni scorsi? Forse peggio? Non c'è dubbio. Noi abbiamo già radunato, anche via telefono, i nostri operatori del servizio glaciologico: più o meno hanno già avuto la sensazione di quello che potrebbe essere. Quest’anno ancora non siamo materialmente andati sulla fronte dei ghiacciai, inizieremo i rilievi fra un po’, perché andare adesso, iniziare ora la misurazione delle fronti, è un po' prematuro. Ché il conto adesso, ai primi di luglio, è un altro rispetto a quello a fine di agosto-primi di settembre, come dovrebbe essere effettuato normalmente. Ci possono essere delle differenze anche sensibili, tra oggi e fra due mesi. L’impressione però... Qualcuno ha già avuto qualche preavviso. Negativo. Occorre a tale proposito far notare che gli accessi alle fronti dei vari nostri ghiacciai sono sempre più complicati, le fronti sono sempre più frastagliate. Sciogliendosi il ghiaccio, le fronti si frantumano, e quindi le lingue si sciolgono ancora maggiormente. E quello che lasciano è peggio... Per chi deve arrivare, per chi deve accedere alla fronte del ghiacciaio, il pericolo aumenta. Siamo tutti assicurati, per carità, ma io raccomando a tutti gli operatori di aumentare la prudenza in modo esasperato. Se c'è qualche problema, qualche dubbio, tornare indietro. Fotografie e immagini sono già sufficienti. Speriamo poi di fare ancora un sorvolo alla fine di agosto, per renderci conto con esattezza della situazione.
CorrieredelVeneto|3luglio2025
p. 3, edizione Treviso - Belluno
«DaVaiaalleultimefranelamontagnaèsentinelladeicambiamenticlimaticiManessunola ascolta»
Montebelluna Il 3 luglio 2022, poco prima delle 14, una colata di ghiaccio e detriti travolse la via normale di salita alla Punta Penìa, sulla Marmolada, uccidendo undici alpinisti e ferendone altri sette. Il più grave incidente glaciale mai registrato in Italia. In occasione del terzo anniversario, si è tenuto ieri a Montebelluna il convegno «Sicurezza in montagna» promosso dalla Fondazione Sportsystem e organizzato da Roberta e Antonio Gallina, genitori di Gianmarco, il geometra trevigiano che quel giorno morì insieme alla compagna Emanuela. Presente tra i relatori anche Jacopo Gabrieli, glaciologo del Consiglio Nazionale delle Ricerche e presidente di Dolomiti Emergency. Dottor Gabrieli, il crollo della Marmolada è legato al cambiamento climatico? «Sì, è stata una diretta conseguenza. Bisogna ricordare come il Presidente della Repubblica, nell’immediatezza dell’evento disse che si trattava di un effetto del cambiamento climatico non gestito» Adesso in vetta si registrano circa 10 gradi… «Sono esattamente le condizioni di quel giorno: alle 14, a Punta Rocca, si registravano 10 gradi. Subito si è detto: era inevitabile che accadesse. Per noi glaciologi e amanti della montagna è stato il nostro 11 settembre, perché tutti noi avremmo potuto essere lì. Il problema non è il caldo di un giorno: le temperature erano abbondantemente sopra la media climatica da mesi». I teli geotessili possono salvaguardare i ghiacciai? «Sono come un sudario sul corpo di un defunto. Hanno senso solo per proteggere l’economia turistica, ovvero le piste da sci, ma non salveranno i ghiacciai. La Marmolada ci
racconta la fragilità della montagna. Per rendere omaggio alle vittime, la cosa più importante è non cercare alibi e prenderci la nostra responsabilità». Dopo la tragedia si è parlato di sistemi di allerta... «L’idea di prevedere rischi mi lascia perplesso. Possiamo avere strumenti previsionali che ci aiutano a comprendere, ma poi cosa facciamo? Chiudiamo le montagne? Mettiamo i sigilli? È una scorciatoia. È facile chiudere, più difficile è analizzare e gestire il rischio». È rimasto un segno nella coscienza collettiva? «La gente ha percepito che il clima sta cambiando. Ma l’emozione dura poco. Lo stesso è successo con Vaia, un altro evento legato al clima. Una settimana dopo la tragedia della Marmolada, subito dopo aver seppellito i defunti, tutto è tornato come prima. Abbiamo bisogno di eventi estremi per svegliarci». E si stanno verificando... «La Marmolada ha mostrato come i cambiamenti climatici portino nuovi rischi. Tra le vittime di tre anni fa c’erano anche due guide alpine, che si sono trovate di fronte a situazioni imprevedibili. Nessuno pensava che un pezzo di calotta potesse staccarsi così. Ma anche le piccole frane degli ultimi giorni, dal Sorapiss a Croda Marcora, non devono meravigliare: ci sono sempre state, ma è aumentata la frequenza e la potenza di queste colate detritiche. Nell’imprevedibilità degli eventi estremi, lo sguardo al territorio deve essere maggiore: possiamo costruire tunnel, ponti, ma dobbiamo anche riconoscere che certe zone non sono più abitabili». Eppure il mercato immobiliare della zona del Cadore punta alle stelle… «C’è una discrasia tra la situazione reale e l’immaginario collettivo. Ma in questo caso c’entrano altre logiche, come le imminenti Olimpiadi Invernali. Penso ai soldi dedicati a una pista da bob quando invece si dovrebbe mettere in sicurezza l’asse viario, o le case di Cancia, per fare un esempio recente. Non è morto nessuno, ma la tragedia è stata sfiorata: non possiamo vivere sulla speranza che vada bene. La montagna è una sentinella dei cambiamenti globali. Qui vediamo prima e meglio quello che sta per accadere ovunque». Cosa possiamo fare? «Per la Marmolada nulla, scomparirà entro 15 anni, come tutti gli altri ghiacciai sotto i 3600 metri. Però possiamo ridurre le emissioni. Su questo la comunità scientifica non ha dubbi: la causa del cambiamento climatico, siamo noi». (altri servizi nel fascicolo nazionale).
CorrieredelleAlpi|11luglio2025
p. 19
Ilghiacciaiodell'Antelaoèsemprepiùpiccolo«Idetritiloproteggono»
L'analisi
E' proprio vero. Spariscono i ghiacciai, cresce l'erba. Ecco, infatti, che ai 2400 metri del ghiacciaio inferiore dell'Antelao spuntano già quelle essenze floreali ed erbose che fino a qualche tempo fa osavano insediarsi a qualche centinaio di metri più sotto. Lo hanno constatato ieri mattina gli studiosi che stanno partecipando alla quarta edizione del laboratorio "La risorsa acqua, dalle Dolomiti al mare", al Rifugio Galassi. Tema di quest'anno "I ghiacciai e la loro conservazione". Promosso dal Comune di Venezia e dalla Città metropolitana in collaborazione con il Cai di Mestre, l'evento in alta quota è tornato a riunire in alta quota il mondo della politica, della scienza e della ricerca per un confronto e una condivisione sulle strategie intraprese e quelle su cui convergere in un percorso di dialogo e collaborazione volto a tutelare l'elemento acqua, tema oggi più che mai attuale. «Siamo riusciti a raggiungere in comitiva il ghiacciaio inferiore», riferisce Francesco Abbruscato, presidente del Cai regionale, «perché c'era la neve ancora fresca, dell'altro giorno. Questa prima area di ghiaccio sarà larga 100 metri e si alzerà per 300, forse 400. Si trova sotto il canalone Menini. È in gran parte coperta di sassi, di ghiaia; di massi
che a volte emergono dal recente manto nevoso. Gli esperti ci hanno detto che proprio questa copertura detritica ha consentito la conservazione di questo ultimo microghiacciaio, che un tempo era ben esteso. Altrimenti i raggi solari lo avrebbero consumato. Ma di quanto si sia arretrato lo si vede, appunto da come i cuscini erbosi si sono alzati di quota». In ogni caso, non solo è diminuita la superficie, ma si è ridotto di molto anche il volume. «Ben distinte si vedono le scariche detritiche che scendono dalla parete superiore. Un fenomeno analogo a quello dal lato di Cancia», descrive Abbruscato. «Se abbiamo lo zero termico che sale fino a 5300 metri, come è accaduto nei giorni scorsi, è evidente che verso la vetta ne risente anche quel poco di permafrost che è rimasto e questi sono gli effetti. Basta, d'altra parte, girarsi intorno e anche ad occhio nudo si ha modo di riscontrare che la roccia è instabile». Quello del rifugio Galassi è un appuntamento che si sta consolidando a livello nazionale per accentrare l'attenzione sull'impatto dei cambiamenti climatici. Una sfida epocale, è stato evidenziato nella prima sessione di lavori del convegno, che richiede risposte urgenti e soluzioni da ricercare nel mondo della ricerca e della scienza.
L’Adige|12luglio2025
p. 14
Ghiacciairitiratidiunterzoindiecianni
AGNESE SANTORI
Negli ultimi 10 anni la superficie dei ghiacciai della provincia di Trento è diminuita di un terzo. Da una superficie di circa 30 chilometri quadrati nel 2013 a poco più di 20 chilometri quadrati nel 2023. «Oggi a Pian di neve, ghiacciaio dell’Adamello, camminiamo sul ghiaccio del 1985, il prossimo anno cammineremo in quello del 1984 e così via anno dopo anno andremo a perdere informazioni» spiega il presidente Sat. Questi i dati emersi dallo studio condotto da parte della commissione glaciologica della Sat presentato ieri in occasione della consegna del «Catasto Sat perimetri dei ghiacciai» al Servizio Geologico della Provincia Autonoma di Trento e ai Parchi naturali del Trentino. «La Società degli Alpinisti Tridentini, in collaborazione con i volontari della propria Commissione Glaciologica - spiega Cristian Ferrari, presidente Sat - ha completato un importante lavoro di perimetrazione dei ghiacciai trentini utilizzando strumenti all’avanguardia quali dati satellitari Sentinel, strumenti ad accesso pubblico e rilievi fotografici di alta precisione forniti dalla Provincia autonoma di Trento». Il progetto si pone all’interno dell’iniziativa globale guidata dall’Unesco «Anno internazionale per la conservazione dei ghiacciai»: «È uno studio molto importante per il territorio in quanto l'ultimo aggiornamento del catasto trentino risale a 12 anni fa con il "Nuovo Catasto dei Ghiacciai Italiani" a cura di Smiraglia e Diolaiuti del 2015 con dati rilevati al 2011» spiega Enrico Valcanover, presidente della Commissione Glaciologica della Sat. I dati aggiornati a oggi, o meglio al 2023, sono significativi anche alla luce di un'evoluzione estremamente rapida di quelli che sono i fenomeni di arretramento e riduzione delle aree. «I ghiacciai sono un patrimonio della collettività, e come Sat intendiamo proseguire nella restituzione e condivisione del lavoro, così che tutti possano usufruire delle informazioni sullo stato attuale dei ghiacciai trentini» conclude il glaciologo. Infatti i dati presentati ieri alla provincia consentiranno la correzione delle mappe dei parchi e dei portali cartografici sostituendoli con i dati aggiornati. Un dato allarmante quello riportato da Valcanover che ha poi lasciato la parola a due giovani appassionati della materia Massimo Santoni e Francesca Vallongo che hanno illustrato nel dettaglio l'evoluzione dei ghiacciai trentini: «Il progetto è
iniziato nel 2021 con obiettivo di creare un sistema semiautomatico con dati open-source completamente accessibili grazie all'utilizzo di dati telerilevati satellitari». La successiva comparazione dei dati raccolti nel 2023 con quelli del 2015 ha poi evidenziato una significativa riduzione delle aree principali dei ghiacciai in trentino. I dati rilevati dallo studio sono poi confluiti nel libro «I Ghiacciai del Trentino», cioè una pubblicazione di oltre 500 pagine che esplora il mondo dei ghiacciai trentini, analizzandone la loro evoluzione nel tempo. «Dobbiamo tenere alta l’attenzione tutto l’anno su questo ecosistema ad alta quota per questo, come Sat, intendiamo proseguire nella restituzione e condivisione del lavoro per sensibilizzare e informare la cittadinanza sulle conseguenze del cambiamento climatico» conclude Ferrari. Nel corso degli anni è stata avviata una collaborazione con l’azienda Surgiva con l’obiettivo di realizzare un sistema di analisi semiautomatico: «Per Surgiva, la cui acqua ha origine nel ghiacciaio dell'Adamello, sostenere la Sat è un gesto naturale: condividiamo la stessa attenzione per l’ambiente e per la montagna» interviene Camilla Lunelli, direttrice della Comunicazione e delle Relazioni Esterne del Gruppo Lunelli. Presente anche Matteo Viviani, di rettore del Parco Naturale Adamello Brenta che ha esortato a fare memoria della condizione dei ghiacciai e sensibilizzare sui momenti di rischio che si innestano dal regredire dei ghiacciai unito a eventi meteorologici. Nel corso della conferenza si è registrato anche lo sfogo del Presidente del Parco Naturale Paneveggio Pale di San Martino Valerio Zanotti: «Stiamo prendendo atto di questo arretramento continuo e perdita di fonti idriche senza riuscire a proporre soluzioni concrete». A tal proposito però la Sat ha lanciato il progetto «Freeze the future. Osserva, leggi, agisci» attraverso il quale si propone di informare la popolazione e sensibilizzarla ad attuare 10 buone pratiche per un’azione concreta. Tra le altre usare l’acqua con responsabilità, equipaggiarsi per andare in montagna in modo sostenibile, scegliere il trasporto sostenibile e rispettare i sentieri e la flora alpina.
IlT|17luglio2025
p. 9
«Inestatelozerotermicooltrei4.500nonèpiùraro»
Luca Lombroso è un uomo dai molti interessi. Lavora all'Osservatorio geofisico del Dipartimento di Ingegneria «Enzo Ferrari», Università di Modena e Reggio Emilia, ma è anche divulgatore ambientale, conferenziere e scrittore. Partecipa a progetti di tutela foreste e ambiente in Costa Rica, e gestisce la strumentazione meteo alla stazione di ricerca biologica e meteoclimatica Italia-Costa Rica. È autore di vari libri, i più recenti «Attenti al meteo, tornado, alluvioni, grandine e saette» (Edizioni Artestampa, 2022) e nel 2023 «Il tesoro sommerso storie tra fango e speranza nell'alluvione del 16-17 maggio 2023 in Emilia-Romagna», scritto con Andrea Raggini sempre per Artestampa. Ha un rapporto speciale con la montagna e in particolare con le Dolomiti. Ha partecipato ai convegni dedicati alle «Tesi di Moena» promossi dalla Sat (Società alpinisti tridentini) sui cambiamenti climatici nel 2007 e nel 2017. Abbiamo archiviato un mese di giugno particolarmente caldo che ha favorito la presenza turistica in montagna. Le Dolomiti, già abbastanza affollate, saranno una meta sempre più ambita per sfuggire alla canicola?
«Sì, giugno 2025 si è chiuso in linea con lo storico giugno 2003, mese che segnò l'avvio della nota torrida estate. All'Osservatorio Geofisico di Modena è risultato il secondo più caldo dal 1830 a un solo decimo di grado dal giugno 2003. In Svizzera è stato di 3.8 gradi superiore rispetto al periodo 1991-2020, secondo valore più elevato dall'inizio delle misure nel 1864. In Trentino
presumo la situazione sarà simile. Al contrario del turismo invernale, penalizzato dai cambiamenti climatici, quello estivo in montagna giova proprio delle temperature anche invivibili nelle città. È evidente la tendenza crescente a cercare rifugio in quota durante le ondate di calore, sempre più frequenti e intense in pianura. Le Dolomiti e le Alpi in generale stanno diventando non solo mete di vacanza, ma anche luoghi di temporaneo sollievo climatico. Tuttavia, anche qui le estati stanno diventando progressivamente più calde, e in certe valli la canicola si fa comunque sentire. Mi impressionano i 36-38°C registrati di frequente a Levico. Il cicloturismo per esempio ne risente, in questi giorni di vacanza in Trentino e in Alto Adige ho assistito a malori per il caldo da parte di ciclisti, per fortuna nulla di grave, ma occorre fare attenzione».
Come farà la montagna a rispondere alle necessità di una maggiore presenza turistica. Per esempio saranno sufficienti i meccanismi naturali delle sorgenti o da ora c'è la necessità di realizzare invasi per trattenere l'acqua anche per usi domestici?
«Le sorgenti da sole potrebbero non bastare più, soprattutto nei periodi siccitosi. L'aspetto clima è però solo una delle cause, non dimentichiamo i consumi o meglio chiamarli prelievi di acqua. Il diffondersi di piscine e centri benessere aumenta i fabbisogni idrici. Già oggi si osservano crisi idriche in alcune località alpine in estate. L'uso di piccoli invasi per uso plurimo può essere una soluzione solo parziale e deve essere adottata con attenzione. È importante affiancarli a politiche di riduzione dei prelievi e di uso efficiente dell'acqua».
Gli studi affermano che nelle Alpi l'aumento medio della temperatura è più sensibile che in altri luoghi. Quali altri parametri meteorologici stanno subendo le maggiori variazioni e quali sono le loro implicazioni?
«Le Alpi come noto sono un “hotspot” dei cambiamenti climatici, lo sappiamo da tempo. Già in una intervista a un quotidiano trentino del 2003, anticipavo il problema. Anche sull'Appennino i segnali del cambiamento climatico sono inequivocabili. Al Monte Cimone, come mostrato in un recente studio di cui sono tra i coautori con un team di ricercatori dell'Osservatorio Geofisico di
UNIMORE e pubblicato sull'International Journal of Climatology, le temperature minime crescono di +0,80 gradi per decennio e i giorni di gelo sono diminuiti drasticamente. Stiamo poi osservando cambiamenti significativi nella frequenza e nell'intensità delle precipitazioni, con più episodi estremi e brevi, seguiti da periodi di siccità. Qui però l'evidenza statistica è ancora scarsa. Evidente invece i cambiamenti dello zero termico che è in rapido innalzamento: ormai non è raro trovarlo oltre i 4.500 metri in estate, con implicazioni per il permafrost e la stabilità dei versanti».
Quali sono le proiezioni climatiche più preoccupanti per i prossimi 20-50 anni per la catena alpina?
«La fusione dei ghiacciai e la perdita del permafrost sono tra gli impatti più critici. Nel 2050 molti ghiacciai spariranno, ma paradossalmente potrebbero aumentare di numero perché alcuni si frantumeranno e divideranno in corpi glaciali più piccoli. Ciò comporta instabilità dei versanti, riduzione delle riserve idriche e perdita di paesaggi iconici. A medio termine, rischiamo anche una trasformazione profonda dell'ecosistema alpino, con spostamento delle fasce vegetazionali verso l'alto e perdita di biodiversità».
Si prevede quindi un aumento del rischio di dissesto idrogeologico. Ciò colpirà anche la rete dei sentieri?
«Assolutamente sì. Non a caso il convegno svoltosi a Reggio Emilia lo scorso 29 marzo per celebrare i 150 anni del Cai di Reggio Emilia, è stato intitolato “montagne fragili”. Nel mio intervento ne ho portato alcuni esempi. Fra questi, il crollo del ghiacciaio della Marmolada del 3 luglio 2022 e il distacco di un costone del Cervino del 26 agosto 2024. I fenomeni di dissesto,
come frane e colate detritiche, sono in aumento a causa delle piogge intense su suoli sempre più erosi o sciolti per il ritiro del permafrost. Anche i sentieri saranno sempre più esposti a danneggiamenti e interruzioni».
Quali dati e informazioni possono fornire i meteorologi per supportare le strategie di adattamento del settore turistico dolomitico?
«Serve un monitoraggio costante e manutenzione adattiva, nonché un miglioramento dei sistemi di allerta meteo precoce e una capillare sensibilizzazione e formazione di tutti i fruitori della montagna. Oltre alle previsioni quotidiane, possiamo fornire indicatori come lo zero termico, gli indici di disagio termico e il rischio di temporali. A livello stagionale, sono disponibili tendenze utili per la pianificazione turistica. E con reti di stazioni meteo ad alta quota, possiamo contribuire a sistemi di allerta precoce per eventi estremi. Si aggiungono importanti contributi da reti di stazioni amatoriali, fra tutte la stazione a Punta Penia, e il progetto di Cai e Cnr sui rifugi sentinella del clima e dell'Ambiente».
CorrieredelleAlpi|18luglio2025
p. 17
«Lepiantesalgonoadaltaquotapersopravvivere»Laparolaalloscienziato
CesareLasen:«DuecentospeciehannoinnalzatoillorolimitealtitudinaleAlcunefelcisisono alzatedi500metri.Infuturolevettesarannopiùerbose»
FRANCESCO DAL MAS
L'intervista
I cambiamenti climatici non sono all'origine soltanto dei crolli dolomitici, delle colate e delle frane. Stanno modificando radicalmente anche la flora e la fauna. «È stato sufficiente un mese di distacchi detritici - esemplifica Cesare Lasen - per modificare letteralmente il paesaggio boschivo e arbustivo della Val Boite. Che cosa crescerà (e quando) un domani in quelle pietraie? ».
Lasen, nato nel 1950 nell'omonima frazione di Feltre, vive alle pendici del monte San Mauro. È laureato in Scienze Biologiche. Ha lavorato al Centro ricerche termiche e nucleari a Milano, ma ha preferito dedicare gran parte della sua vita allo studio delle piante e dei fiori. È stato a capo del Parco nazionale Dolomiti bellunesi ed è componente del Comitato scientifico della Fondazione Dolomiti Unesco.
La sua umiltà lo porta a segnalare le scoperte degli altri, ad esempio dei ricercatori dell'Università di Padova e del Museo di Rovereto.
Partiamo allora da qui. «I botanici Giulia Tomasi e Alessio Bertolli – botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto – hanno scoperto sulla Cima della Moiazza, nell'Agordino, il record di quota della Campanula morettiana (2684 metri), sulla Civetta la quota più alta mai censita della Saxifraga facchinii (3215 metri), sul Pelmo uno dei record è toccato invece alla Paederota bonarota (3043 metri)».
Le temperature sempre più alte, ma soprattutto prolungate nel tempo, come in giugno, quali effetti hanno sulla vegetazione di alta quota?
«Senza entrare nei dettagli, frequentando gli itinerari più in quota possiamo constatare l'innalzamento di specie vegetali che fino a qualche anno fa non erano mai state in osservate. Cresce in altitudine anche il limite del bosco. Si riducono di numero le piante che amano gli
ambienti più freddi e più lungamente innevati. Di conseguenza si modifica anche la fauna superiore, oltre al variegatissimo mondo degli invertebrati».
Un esempio?
«L'istrice mediterraneo ha raggiunto le nostre montagne». Ci sono invece volatili o animali che rischiano di scomparire?
«Sono numerosi gli animali in sofferenza, quelli di alta quota. Tra quelli che soffrono di più c'è la pernice bianca, che si trova sempre più raramente. Ma anche lo stambecco è in condizioni di sopravvivenza. Sarebbe da studiare la relazione tra gli esemplari introdotti recentemente nel gruppo Sorapiss, Marcora, Antelao e i crolli. Come riusciranno a convivere? » .
Gli allevatori della pecora alpagota sono stati costretti a portare gli alpeggi fino a quota 1700 perché il lupo si ferma ben sotto; cerca acqua. E, quasi per reazione, si accanisce anche contro i piccoli yak.
«I piccoli nati in queste settimane, perché anche i carnivori si tengono lontani dagli yak più grandi».
Tornando alla vegetazione, al di là della casistica, qual è il trend generale?
«Dagli studi (ad esempio del Progetto europeo "Gloria") si osserva che le specie più caratteristiche, alcune anche artico-alpine, che hanno una distribuzione legata alla durata del periodo di innevamento, stanno tutte arretrando; cercano zone più alte o comunque conche lungamente innevate. Vengono avanti le piante delle praterie sottostanti, quelle dei pascoli e delle praterie, piante erbacee che non hanno a che fare con quelle delle vallette più in quota. Questo è il fenomeno più evidente, più eclatante».
In sostanza, gli studi dei suoi colleghi del Museo di Rovereto sulle nostre montagne che cosa stanno certificando?
«Che le specie si stanno alzando in media di 3-4 metri l'anno. Nel breve-medio periodo vedremo le vette delle Alpi molto più erbose e bisogna inoltre considerare che in molti casi l'evoluzione del suolo non è così rapida e quindi le varie specie avranno un ambito altimetrico sempre più ristretto. Dalle ricerche compiute fino a un anno fa, sono oltre 200 le specie vegetali che, rispetto al passato, hanno innalzato il loro limite altitudinale massimo a livello provinciale, alcune solo di alcune decine di metri, altre anche di oltre cinquecento metri, come ad esempio alcune specie di felci (Cryptogramma crispa, Dryopteris dilatata, Dryopteris filix-mas, Diphasium alpinum ...). Il limite altitudinale assoluto di quota per le piante in Trentino, come verificato dai ricercatori della Fondazione Museo Civico di Rovereto, è stato registrato a 3.607 metri e riguarda una piccola graminacea (Poa laxa) trovata su Punta Taviela, nel Parco Nazionale dello Stelvio». Lei conosce le Vette Feltrine come le sue tasche.
Di che cosa è rimasto più sorpreso nelle ultime escursioni.
«Pensi che ancora tre anni fa trovai per la la prima volta il Cipripedium, la Pianella della Madonna, la più bella delle nostre orchidee, la più famosa, lassù in Busa delle Vette». È tutta responsabilità della temperatura che si alza, oppure della scarsità di neve?
«No. I cambiamenti climatici hanno componenti diverse. Un conto è l'aumento di temperatura, della durata della stagione vegetativa, che è un dato di fatto, però ci posson essere le condizioni morfologiche esterne. Ci sono, per l'appunto, gli accumuli di detriti, per cui il fenomeno non è generalizzato. Si manifesta in alcuni versanti, in alcune località. Sui versanti dove le slavine, la neve non impedisce ai nuclei di arboree di crescere, vediamo nuove colonizzazioni, anche a quote elevate, dove non eravamo abituati a vederli. Nei pascoli – mi vengono in mente le 14 malghe del Comelico – si vede chiaramente come sta venendo avanti l'arbusteto, e che i larici sono sempre isolati. Prima che arrivino gli alberi nella zona subalpina vengono gli arbusti per cui i rododendri stanno guadagnando parecchio spazio rispetto a un tempo».
Finora non abbiamo detto che anche l'uomo fa la sua parte. «Il fenomeno è concomitante nel senso che al cambiamento climatico, al riscaldamento globale, all'innalzamento termico si sommano gli effetti dell'abbandono o della riduzione comunque del carico pascolante per cui gli arbusti prendono piede».
Gazzettino|28luglio2025
p. 33, edizione Belluno
IlPelmoperdepezzi:crollodirocciainquota
Dolomiti di cristallo: un crollo di contenute dimensioni, ma reso visibile dal vento che ha trasportato per aria la polvere, si è verificato ieri nel pomeriggio dal Pelmetto, il bastione settentrionale del Pelmo che fa da cuspide tra val Fiorentina e val di Zoldo, unite dalla forcella Staulanza. Alcuni escursionisti hanno notato la polvere sollevata in aria e frammenti di roccia frantumata volare verso il basso depositandosi sul ghiaione sottostante. Nessuno è rimasto coinvolto anche perchè il sentiero dell'anello del Pelmo corre nel bosco abbastanza distante dai ghiaioni. Non è uno spettacolo inconsueto: scariche di sassi e cedimenti dalle guglie in quota sono all'ordine del giorno e sono legati alla fragilità della dolomia sulla quale agisce anche il cambiamento atmosferico degli ultimi anni. Da un crollo analogo aveva avuto origine anche la seconda frana scesa da Croda Marcora sul versante cadorino con conseguenze disastrose sull'Alemagna che era rimasta chiusa per parecchi giorni e ancor oggi è percorribile solo dalle 6 alle 21. Sarà possibile il transito anche nelle altre ore della notte solo dopo l'installazione dei sistemi di allarme che la provincia sta predisponendo per garantire il passaggio in totale sicurezza anche in condizioni meteo critiche. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelleAlpi|28luglio2025
p. 15
IlPelmoperdeunsuopinnacoloNuovocrollosullapareteNordovest
Francesco Dal Mas / BORCA
Incombe il maltempo, arriverà addirittura la neve in quota, ed ecco la preoccupazione di nuovi crolli e colate. Ieri teatro di un distacco ancora una volta il comune di Borca di Cadore, ma dalla parte opposta dell'Antelao. Verso le 15, dalla parete Nordovest del "Caregon del Padreterno", è crollato probabilmente un pinnacolo. Siamo vicini ai 3 mila metri, ma sotto la cima del Pelmo. Una parete che continua a eruttare sassi e crode, come testimonia il grande ghiaione che si sviluppa per oltre un chilometro alla sua base. Tra il Pelmetto e il Pelmo, per chi conosce bene la zona. Il distacco di ieri è avvenuto in sostanza dal lato opposto del canale che origina la componente più consistente del ghiaione, quella che arriva fino al parcheggio in Val Fiorentina, dove sostano coloro che salgono da una parte al rifugio Città di Fiume e, dall'altra, al rifugio Venezia. Area di sosta che Bortolo Sala, sindaco di Borca, ha vietato, dopo la colata di tre anni fa, con tanto di ordinanza proprio per questi motivi. «Mi trovavo ai 2 mila metri del Col dei Baldi e ho sentito un rumore sinistro», testimonia Jessica De Marco, vicesindaco di Val di Zoldo. «Davanti a noi, poco sotto la cima del Pelmo si sprigionava una nube, quella classica di polvere. Sapendo che sotto c'è la Val d'Arcia, attraversata da due sentieri, ho subito chiamato il mio sindaco
Camillo De Pellegrin, affinchè allertasse chi di dovere». «È ciò che ho immediatamente fatto», conferma De Pellegrin. «Si sa che il Pelmo è soggetto a questi fenomeni, ma siccome siamo in piana stagione di escursionsimo, è meglio essere previdenti». Mario Fiorentini è il gestore del Rifugio Città di Fiume. Confermo tutto», dice. «Ho sentito un botto, ho subito realizzato che ci poteva essere stato l'ennesimo distacco. Ho atteso gli sviluppi della nube, per interpretare la quantità di materiale che poteva essere venuta giù. La nuvola si è consumata in una ventina di minuti e quindi ha capito che si trattava di un episodio molto più contenuto di quello del 9 agosto 2022 e anche dell'estate successiva, nonché del tragico evento del 30 agosto 2011». In quest'ultima circostanza perirono due tecnici del soccorso alpino, Alberto Bonafede e Aldo Giustina, impegnati un'operazione di salvataggio di due turisti bloccati sulla via Simon-Rossi, feriti e impossibilitati a proseguire a causa di una scarica di sassi. Non siamo, per quanto riguarda la localizzazione di ieri, nelle vicinanze dell'area di quel tragico distacco. Ma la parete è la stessa, quella appunto nordovest. «Probabilmente», ipotizza Fiorentini, «si è distaccato un agglomerato di roccia fragile, come ce ne sono parecchi a quella altezza. Ma», assicura il rifugista, «non dovrebbero esserci stati problemi di sicurezza, né per gli eventuali escursionisti che di solito frequentano il sentiero principale per il Venezia, che si trova a 500 metri dalla parete interessata, né quelli del percorso secondario, che per la verità si avvicina alla stessa parete, conservando comunque un margine rilevante». Il Soccorso Alpino ha verificato la situazione – come ci conferma Dimitri De Gol, vicedelegato interprovinciale, «e non ha ricevuto richieste di intervento né ha riscontrato la necessità di verifiche sul posto. «Anche perché», dettaglia Fiorentini, «sotto la parete del crollo c'è una piattaforma di raccolta del materiale, che finirebbe a valle, quindi lungo il suo rispettivo ghiaione, solo in caso di volume imponente». Sta di fatto che i sindaci di Selva di Cadore, Luca Lorenzini, e di Borca, appunto Sala, si sono allarmati. «Sono stato al parcheggio per verificare se il materiale crollato avesse alimentato anche questa parte di ghiaione, ma così non è accaduto. Dovremmo quindi essere tranquilli. Anche se gli eventi di queste settimane ci hanno sempre riservato delle sorprese» ci ha detto Lorenzini. Ne sa qualcosa, infatti, il suo collega Sala, che è salito anche lui in verifica. «Voglio essere sicuro di persona che non ci siano problematiche. Ne abbiamo più che a sufficienza, qui a valle. Non ne vorremmo anche lassù. Il meteo dei prossimi giorni ci preoccupa». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
PASSIDOLOMITICI:GLIAGGIORNAMENTI
Corrieredell’AltoAdige|2luglio2025
p. 2
Controllisuipassialpini,rafficadimulte Iprotezionisti:urgentelimitareiltraffico
ALAN CONTI
BOLZANO
Domenica 29 giugno le strade delle quattro province alpine di Bolzano, Trento, Belluno e Sondrio sono state teatro di un’intensa attività di controllo interforze. Una giornata di pattugliamenti congiunti, decisa nel corso della videoconferenza del 12 giugno tra i commissari di governo e i prefetti dei territori coinvolti, per mettere ordine al traffico sempre più congestionato e spesso pericoloso che nei mesi estivi interessa le località di montagna e in particolare i rinomati
passi alpini. In Alto Adige, l’intervento ha riguardato 21 punti sensibili da passo Monte Croce di Comelico a Cima Bianca Grande passando per Valparola, Campolongo, Furcia, Stalle, Mendola, Pennes, Palade, Rombo, Stelvio, Tubre, Resia, Costalunga, Nigra, San Lugano, Giovo, Val d’Ultimo, San Genesio, Sella ed Erbe. In campo 20 pattuglie e 40 operatori della polizia di Stato, carabinieri, polizia stradale e municipale. Sono stati controllati 264 veicoli oltre la metà motocicli - e identificate 342 persone. Le infrazioni rilevate sono state 83, molte delle quali per violazione dell’articolo 141 del Codice della Strada, ovvero velocità non adeguata alle condizioni. Controlli utili, certo, ma non sufficienti. È il messaggio netto e critico che arriva dalla Federazione Ambientalisti Alto Adige, che denuncia una gestione “simbolica” del problema e accusa la politica di immobilismo. «Traffico eccessivo, conducenti spericolati, rumore insopportabile: la situazione è fuori controllo. È tempo di misure concrete, non di slogan», tuona la presidente Elisabeth Ladinser. La critica più aspra è rivolta alla promozione di eventi che, secondo la Federazione, finiscono per glorificare l’auto a combustione, anziché disincentivarne l’uso. Nel mirino c’è l’imminente celebrazione dei 200 anni della strada del Passo dello Stelvio, con un corteo annunciato di centinaia di auto e trattori d’epoca tutti rigorosamente a benzina o diesel e con il sostegno attivo dell’Agenzia di stampa della Provincia. «Il messaggio è chiaro denuncia Ladinser il motore a combustione viene celebrato come identità culturale, come se la crisi climatica non esistesse. Invece di sensibilizzare, si accelera». La Federazione chiede una svolta politica, prendendo esempio dai modelli di gestione già sperimentati al Lago di Braies o alle Tre Cime di Lavaredo, dove la regolamentazione degli accessi ha dato buoni risultati. «Servono controlli severi, certo, ma anche coraggio nelle decisioni: si può intervenire, se si vuole davvero» aggiunge Ladinser. Il contrasto tra ciò che avviene sulle strade pattuglie, multe, controlli e ciò che accade sul piano simbolico eventi celebrativi, cortei motorizzati è per gli ambientalisti la rappresentazione plastica di un cortocircuito politico. «Chi vuole costruire un futuro sostenibile non può continuare a inseguire il passato a colpi di marmitte. Serve una visione nuova, serve responsabilità» conclude la presidente della Federazione protezionisti. E mentre gli automobilisti tornano a invadere i tornanti alpini, le istituzioni sono chiamate a decidere: imboccare la strada della transizione oppure restare fermi, tra i gas di scarico e le buone intenzioni.
IlDolomiti|3luglio2025
https://www.ildolomiti.it//montagna/2025/le-strade-di-montagna-e-i-passi-dolomitici-nonsono-il-mugello-gare-raduni-e-rombi-di-motori-in-quota-residenti-e-altri-turisti-sonosempre-piu-insofferenti-a-questi-eventi
"LestradedimontagnaeipassidolomiticinonsonoilMugello".Gare,radunierombidimotori inquota."Residentiealtrituristisonosemprepiùinsofferentiaquestieventi"
"Non vogliamo questo tipo di turismo", il grido d'aiuto del Comitato salvaguardia dei passi dolomiti dopo il transito, in orario notturno, di tantissime Harley Davidson in (rumorosa) sfilata lungo i tornanti della Sellaronda. Ma raduni e gare caratterizzano in parte l'estate (non solo) trentina. Cosa fare? Il punto con la Società alpinisti tridentini, il parco naturale Adamello Brenta e la Fondazione Dolomiti Unesco. Un malessere diffuso sui territori, una situazione che spesso (non sempre) sfugge un po' al controllo delle destinazioni che subiscono, soprattutto se nelle aree di confine, eventi e manifestazioni di stampo motoristico. "Non vogliamo questo tipo di turismo", il grido d'aiuto
del Comitato salvaguardia dei passi dolomitici dopo il transito, in orario notturno, di tantissime Harley Davidson in (rumorosa) sfilata lungo i tornanti della Sellaronda (Qui articolo). Non solo lì. C'è stata anche la mega carovana di quad (Qui articolo). Ma la criticità è piuttosto generalizzata, così si riaccende il discorso della fruizione della montagna e delle sue strade. "Sono i residenti e i turisti a lamentarsi e forse bisogna analizzare meglio questo dato". Le parole di Cristian Ferrari, presidente della Società alpinisti tridentini. "E' una forma di turismo che sembrano non volere per prime le valli. Sono attività che non sono promosse dalle istituzioni e, almeno in parte, anche in questo caso una causa può essere ricercata nell'utilizzo dei social network".
La primavera e, in particolare, l'estate si traducono anche in raduni, gare, eventi e manifestazioni con protagoniste auto e moto. Un messaggio che appare in contrasto a quello generale di un territorio che punta sull'ambiente e sulla natura, sulle esperienze e sulla sostenibilità. "Non bisogna criminalizzare chi partecipa oppure organizza questi appuntamenti", aggiunge Ferrari. "Si possono comprendere le esigenze tutti. Il rischio di chiudere un occhio è di non tenere in considerazione che sul lungo periodo sono più i problemi".
L'estate è costellata di questi appuntamenti. L'organizzazione di eventi motoristici sono, naturalmente, legittimi ma quasi tutte le destinazioni alla fine cedono, per un motivo o per un altro, ogni zona ospita un raduno. Perché sono auto storiche o sportive (meglio se di lusso e di marchi importanti), perché l'appuntamento è di tradizione, perché è una manifestazione privata, perché in fin dei conti si tratta di un week end, di qualche ora, di pochi giorni. Quale tipo di turismo si vuole sviluppare?
"I territori hanno maturato una consapevolezza ma serve anche tempo per sviluppare un percorso ma, per esempio, sul nostro ambito c'è unitarietà di istanze", dice Walter Ferrazza, presidente del Parco naturale Adamello Brenta. "C'è un lavoro impostato. Il dialogo con le istituzioni, così come le Aziende per il turismo di Madonna di Campiglio, Paganella, val di Sole e val di Non, per esempio, è indirizzato verso la sostenibilità e una direzione che privilegia un rapporto più intimo con la natura e sul turismo lento. Organizziamo più di 200 eventi in questo senso tra accompagnamenti e visite guidate, poi ci sono le iniziative di Superpark e Junior park, oltre a numerose attività con la sostenibilità e il rispetto dell'ambiente quale filo conduttore".
Si cerca inoltre di rafforzare un circolo virtuoso tra i vari portatori di interesse. "Oggi le funivie e le società impianti ragionano sui numeri ideali sulle piste da sci, così come con le amministrazioni comunali si parla di mobilità collettiva, bus e treni - evidenzia Ferrazza - ma anche sulle politiche tariffarie e stagionali per una migliore gestione dei flussi nell'arco dell'anno. Tanti i progetti avviati e in cantiere, un percorso che può portare grandissima soddisfazione".
E' il territorio stesso che sempre più spesso sembra avere una sorta di rigetto verso queste manifestazioni. Manifestazioni che, però, sono autorizzate e che si svolgono con una certa regolarità. Un po' a ogni latitudine. "I passi dolomitici non sono parte del patrimonio Unesco e non è possibile un impegno diretto con azione di mitigazione - commenta Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco - ma è chiaro che c'è preoccupazione verso queste situazioni, soprattutto per la tipologia di turismo, per l'intensità e per la frequenza".
Dai residenti agli operatori, cresce l'insofferenza e c'è stato un cambio di passo a livello locale rispetto al passato ma comunque non si fermano questi appuntamenti che caratterizzano a modo loro alcuni periodi dell'estate. "C'è sicuramente un impatto ambientale ma anche economico e sociale perché ci sono ripercussioni sulla qualità della vita della popolazione ma anche sull'esperienza degli altri turisti, infastiditi e allontanati da questi eventi", continua Nemela. "Serve un ripensamento sull'uso delle strade di montagna e i passi non sono il Mugello".
Insomma, sul brevissimo periodo ci può anche essere un vantaggio di raduni, di gare e così via ma sul medio e lungo rischiano di emergere molto più gli aspetti negativi. "Può sembrare difficile regolamentare di più o limitare determinate situazioni. Si possono aumentare certamente i controlli e i monitoraggi perché è un tema di sicurezza in generale ma serve una maggiore attenzione al cambio culturale, anche degli organizzatori di questi eventi. In generale è necessaria un'assunzione di responsabilità per mitigare i problemi".
Cosa fare? "I territori sono coerenti verso l'immagine e il messaggio che vogliono veicolare e promuovere. Non c'è la motivazione e l'interesse in questa determinata situazione che corre, sempre più spesso, in modo indipendente. E' un fenomeno con impatti importanti e che esce dalla gestione di una destinazione, anche ma non solo per via dei social. Non è facile, tuttavia siamo ancora in tempo per fortificare l'impegno comune sovraterritoriale e di interconnessione per difendere la montagna e i passi dolomitici", conclude Nemela.
Gazzettino|3luglio2025
p. 29, edizione Belluno
Passi“violentati”damigliaiadimoto
LAUREDANA MARSIGLIA
TURISMO E AMBIENTE BELLUNO
Una notte in bianco per centinaia di cittadini, svegliati dal flusso continuo di migliaia di moto che nella notte tra sabato e domenica hanno assaltato, a suon di musica e "gioiose" sgasate, le strade che portano ai principali passi dolomitici. La Italy 500 Miles, organizzata dalla HarleyDavidson Hog Chapter Parma, che già a marzo aveva chiuso le iscrizioni per sold out, non è certo passata sotto silenzio ed è arrivata sul tavolo della prefettura di Belluno dove il primo cittadino di Alleghe, Danilo De Toni, ha portato un problema più ampio sollevato in origine dal collega di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin. «BASTEREBBE IL BUON SENSO» La Italy 500 Miles ha fatto da cassa di risonanza al tema delle moto che utilizzato i passi dolomitici come motodromi, spaccando il silenzio che è l'anima della aree naturalistiche targate Unesco, creando anche situazioni di pericolo e disturbo nei centri abitati. «Basterebbe un po' di buon senso - afferma De Toni - per risolvere il problema, ma così non è. Sono state tante le lamentele ricevute da parte dei cittadini tenuti svegli da un passaggio di moto durato 3-4 ore. E questo non significa che noi siamo contro le moto». «EVENTO AUTORIZZATO» Il mega moto-raduno solleva anche l'indignazione del Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici con una lettera aperta, a firma del presidente Osvaldo Finazzer, inviata alla prefettura di Belluno e al commissario di governo delle Province autonome di Trento e Bolzano. Una missiva per chiedere conto di come si sia potuta autorizzare una simile manifestazione. «La notte della scorsa domenica ha visto le Dolomiti assediate da una invasione di motociclette Harley-Davidson nell'ambito della Italy 500 Miles organizzata dalla Harley-Davidson Hog Chapter Parma - scrive Finazzer -. Le iscrizioni sono state chiuse il 25 marzo 2025 per sold out. Una cavalcata in Italia su un percorso di 500 miglia (805 km) da percorrere in 24 ore. Sono transitate sui passi dolomitici migliaia e migliaia di motociclette con marmitte e musica al massimo. Un rumore assordante tutta la notte. L'evento autorizzato dalle Prefetture di Belluno, Trento e Bolzano in spregio alle norme sul contenimento dei rumori notturni e sul rispetto dell'ambiente naturale. È ormai una realtà che i passi Dolomitici sono considerati terra di nessuno, sono scomodi da controllare per le forze dell'ordine durante il giorno, ma sono utili e interessanti solamente per eventi di massa che creano scompiglio. Che
senso ha un evento del genere che comporta il transito di migliaia di moto, di notte, in aree di elevato pregio naturalistico? Noi del Comitato per la salvaguardia dei passi dolomiticiconclude la missiva - condanniamo questo genere di turismo rumoroso e di massa, che non genera conoscenza e rispetto per la natura, non genera un rapporto equilibrato con l'ambiente, non contribuisce all'economia turistica. Un utilizzo usa-e-getta del territorio dolomitico che dovrebbe essere disincentivato e che invece trova l'autorizzazione delle più alte autorità di governo sul territorio. Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici». TICKET D'INGRESSO La soluzione non è certo facile da trovare, anche perché, affermano sia De Toni sia De Pellegrin, non si possono fare controlli con gli autovelox, attualmente fuori uso per il non ancora risolto problema dell'omologazione dei sistemi di rilevazione automatica della velocità. Impensabile anche impiegare personale della Polizia locale per vigilare sulle strade, così come si rendono difficili i pattugliamenti in quota da parte delle forze dell'ordine. C'è chi propone un ticket di ingresso, come in Laguna, proposta avanzata in questi giorni dall'alpinista per eccellenza, Reinhold Messner, ma che, secondo De Pellegrin, non risulta praticabile. Non si tratta, infatti, di strade all'interno di parchi dove è possibile controllare chi entra, ma di strade di collegamento dove non si può certo negare il passaggio a qualcuno. «In ogni caso - conclude De Pellegrin - è bene aver iniziato a parlarne, senza più la paura di infastidire questa o quella categoria». Lauredana Marsiglia © RIPRODUZIONE RISERVATA.
CorrieredelVeneto|3luglio2025
p. 15, edizione Belluno
IPassidolomiticiinvasidallemotoProtestedeiresidenti,turistiinfuga
TOMMASO MORETTO
Belluno
La processione di Harley Davidson che lo scorso fine settimana, precisamente la notte tra sabato e domenica scorsi, ha percorso i Passi dolomitici Campolongo, Pordoi, Sella e Gardena, ha innescato una coda di polemiche. L’ex sindaco di Livinallongo del Col di Lana e attuale consigliere d’opposizione, Leandro Grones, è categorico. «Ormai le Dolomiti sono state prese per un circuito dove fare corse chiarisce Ferrari, Porsche, Lamborghini, gare di qualsiasi genere. Incrociare tre Harley in una galleria con l’auto chiusa vuol dire venire assordati dal rimbombo. Alle due di notte fino alle cinque del mattino, lascio immaginare. Alcuni clienti degli alberghi se ne sono andati. Io non ho dormito. Non so quante fossero ma erano tante, tantissime. Ho sempre avuto una posizione molto critica contro questa deregulation». Oltre a lui, ieri, è intervenuto anche Osvaldo Finazzer, presidente del Comitato per la salvaguardia dei Passi dolomitici, che ha tuonato: «Dolomiti assediate da una invasione di motociclette HarleyDavidson nell’ambito della Italy 500 Miles organizzata dalla Harley-Davidson Hog Chapter Parma». Finazzer ha scritto una lettera aperta al prefetto di Belluno ed ai commissari di governo di Trento e Bolzano. «Le iscrizioni sono state chiuse il 25 Marzo 2025 per sold out si legge nella missiva Una cavalcata in Italia su un percorso di 500 miglia (805 chilometri) da percorrere in 24 ore. Sono transitate sui Passi dolomitici migliaia e migliaia di motociclette con marmitte e musica al massimo. Un rumore assordante tutta la notte». Continua Finazzer: «L’evento era autorizzato dalle Prefetture di Belluno, Trento e Bolzano in spregio alle norme sul contenimento dei rumori notturni e sul rispetto dell’ambiente naturale. È ormai una realtà che i Passi Dolomitici sono considerati terra di nessuno, sono scomodi da controllare per le Forze dell’ordine durante il
giorno, ma sono utili e interessanti solamente per eventi di massa che creano scompiglio». Aggiunge Finazzer: «Che senso ha un evento del genere che comporta il transito di migliaia di moto, di notte, in aree di elevato pregio naturalistico?». Il presidente del Comitato per la salvaguardia dei Passi dolomitici conclude dicendo: «Condanniamo questo genere di turismo rumoroso e di massa, che non genera conoscenza e rispetto per la natura, non genera un rapporto equilibrato con l’ambiente, non contribuisce all’economia turistica. Un utilizzo “usa e getta” del territorio dolomitico che dovrebbe essere disincentivato e che invece trova l’autorizzazione delle più alte autorità di governo sul territorio». La «Italy 500 Miles» non è una competizione, l’unico premio è una spilla per i partecipanti. Gli organizzatori spiegano, nel loro sito web, che si tratta di «una cavalcata in Italia aperta esclusivamente a possessori di di Harley-Davidson e Buell». La «cavalcata» è suddivisa in circa 10 o 12 tappe. La spilla va a tutti i partecipanti che riescono a farsi timbrare a tutti i controlli previsti nel percorso. Partecipare quest’anno costava 60 euro.
AltoAdige|5luglio2025
p. 30
«MotosuiPassi,raggiuntoillimite:regoleecontrolliperevitareilcaos»
MASSIMILIANO BONA DOLOMIT
«Sindaci e residenti in Gardena e Badia sono esasperati e c’è chi dice basta alle moto sui Passi e a una situazione che ha raggiunto il limite: servono regole chiare e controlli per evitare il caos e garantire strade sicure. Così non possiamo andare avanti»: a dirlo è l’assessore provinciale Daniel Alfreider. Con questo immobilismo politico e normativo rischia di scapparci il morto... È bene che tutti siano consapevoli della gravità dei fatti. Sa quando ho realizzato che è davvero troppo? Dica assessore... L’altra notte quando ho visto transitare un gruppo di harleysti, provenienti dalla val di Fassa, tra le 2 e le 3 di notte. Ma è stato svegliato dal rombo dei motori? Quella notte mi ero alzato, con degli amici per andare a vedere l’alba. Ero certo di riuscire a godermi un paio di ore di silenzio e invece mi sono imbattuto in questo gruppo di motociclisti irrispettosi. La situazione è davvero insostenibile. Non possiamo e non vogliamo diventare il Mugello. Ma lei dove vive esattamente assessore? A Colfosco, a 1.700 metri, e sono vittima in prima persona di questa situazione. Che è oggettivamente peggiorata nel corso degli anni. Ma qual è il limite di velocità a Passo Gardena? Abbiamo messo i 60 all’ora ma ci sono moto, e talvolta anche auto, che arrivano fino a 180. E devo ringraziare carabinieri, polizia di Stato e polizia locale per i controlli, che sono sistematici. Ma non possono certo fermare tutti 24 ore su 24 e sette giorni su sette. L’idea dei radar fissi è stata accantonata? No, affatto. Ne abbiamo acquistati 20 per tutte le zone sensibili della Provincia. Tra esse c’erano i Passi dolomitici ma anche Lutago, il Rombo e altri siti individuati nell’ambito delle cosiddette “Low emission zones” (zone a basse emissioni ndr). Eravamo sul punto di installarli, l’anno scorso, ma con il nuovo Codice della Strada abbiamo fatto un passo indietro. C’è chi dice che con i radar i Comuni vogliano semplicemente fare cassa. Cosa ne pensa? L’intento è opposto. È quello di garantire sicurezza a tutti gli utenti della strada. Ricordiamoci che sui Passi dolomitici devono convivere moto, auto e ciclisti. E il rischio di farsi male è già elevato di per sé, figuriamoci se c’è chi pigia sull’acceleratore senza criterio... Ma per agire servono norme chiare. Che al momento non ci sono. È esatto? Al momento la Provincia ha le mani legate. Al Governo chiediamo una cornice
normativa entro la quale operare o una delega per agire. Siamo anche pronti a metterci i soldi. Ma non è davvero il caso di continuare a temporeggiare e rinviare. Ma sulla soluzione da adottare la Provincia è aperta? Assolutamente. Ci crediamo e vorremmo confrontarci a breve a quattr’occhi con il ministro Salvini che ha la competenza sui Trasporti. Possiamo prendere in esame un contingentamento dei mezzi, un pedaggio, l’installazione di radar fissi. O altro ancora. Ma parliamone il prima possibile. Cosa pensa dei raduni degli harleysti in quota? Sono contrario in toto. Da parte nostra non mi risulta alcuna autoC’è chi critica la Provincia per il raduno dei trattori e quello di auto d’epoca a Passo Stelvio... In questo caso è doveroso fare una distinzione. La strada dello Stelvio compie 200 anni. E quei tornanti sono stati essenziali, per i nostri antenati, per collegare paesi e valli e alimentare gli scambi economici, turistici e anche linguistici. Certo, non daremo di sicuro autorizzazioni a pioggia in futuro. Siamo i primi a voler tutelare e rispettare ambiente e clima ma non si può nemmeno dire di no sempre a tutto invocando il piano per il clima. Serve solo un pizzico di buon senso da parte di tutti. Cosa pensa del «Sellaronda ferroviario» ipotizzato da Transdolomites? Serve sempre prima uno studio di fattibilità. In questo caso Transdolomites non dice nemmeno dove dovremmo passare. Vanno indicate particelle, eventuali espropri. E nel caso in questione non mi pare ci siano i presupposti per agire. È mera utopia. C’è un tratto in cui è possibile ipotizzare quantomeno la ferrovia? Sì, tra la Val Gardena e Chiusa ma non risolverebbe il problema. Chi è passato in questo periodo in val di Riga dove si parla solo di 2 chilometri può ben capire di cosa stiamo parlando. Quando Delrio era Ministro si parlò della ferrovia tra Cortina e Dobbiaco... Lì, tecnicamente c’erano i presupposti. Ma si parlava di 2 miliardi di euro. Tema Tre Cime: c’è spazio per trovare un accordo tra Comuni e Province interessate? Sì, certo. Le soluzioni ipotizzate tecnicamente - sono fattibili. Si potrebbe applicare il modello Braies. Serve solo la volontà politica ma credo ci si possa sedere a un tavolo e ragionare. Mettendo l’ambiente in primo piano.
AltoAdige|8luglio2025
p. 30
«BastaautosportiveintoursuiPassidelleDolomiti»
STEFANO ZANOTTI VAL GARDENA
Associazioni turistiche, Comuni, impiantisti e Centro mobilità della val Gardena hanno deciso di fare fronte unico «per chiedere la fine dei giri organizzati con le auto sportive sui Passi dolomitici». L’appello giunge pochi giorni dopo la presa di posizione dell’assessore provinciale Daniel Alfreider che invece si era lamentato del caos generato dalle moto. Una situazione generale che rischia di compromettere l’equilibrio ambientale e l’immagine della zona. Da anni, gli operatori turistici della zona lavorano per promuovere una mobilità sostenibile. «Il nostro obiettivo è ridurre il traffico, attraverso sistemi di contingentamento e l’introduzione di una tassa ambientale. Nonostante il sostegno di diversi partner l’attuazione di queste misure è in standby». L’ostacolo più grande - come aveva sottolineato lo stesso Alfreider - «è la mancanza di una normativa nazionale che supporti le iniziative regionali, poiché la competenza in materia è statale». Sindaci e Apt si lamentano della crescita dei cosiddetti “drive-events”, «spesso proposti da organizzazioni internazionali in collaborazione con operatori locali, che generano malcontento tra residenti e turisti, contribuendo a un’immagine distorta del turismo sul territorio». Di fronte a queste criticità, la Gardena punta su nuove strategie. Negli ultimi due anni sono stati ampliati i servizi di linea, potenziate le corse in bus dedicate alle escursioni e allo sci,
ed è stato introdotto un moderno sistema di informazione per i passeggeri. Queste iniziative mirano a ridurre il traffico nelle zone più delicate dal punto di vista ambientale. Sindaci, presidenti delle Apt e del consorzio degli impianti di risalita hanno espresso il loro disappunto verso le iniziative che «disturbano l’immagine della valle e non risolvono i problemi alla radice». Chiedono una regolamentazione chiara ed efficace del traffico sulle Dolomiti, accompagnata da controlli più stringenti e da un monitoraggio continuo. «Finora, le misure di controllo annunciate si sono rivelate insufficienti e il rischio di un degrado ambientale è tangibile. C’è la necessità di un quadro normativo stabile e condiviso, capace di tutelare il patrimonio naturale e l’immagine della regione. La sfida è quella di coniugare il rispetto per l’ambiente con un turismo sostenibile e di qualità, valorizzando le Dolomiti come patrimonio mondiale dell’umanità e non come scenario di un traffico caotico e dannoso». Solo così, si spera, si potrà garantire un futuro più equilibrato e rispettoso per il turismo in montagna.
AltoAdige|8luglio2025
p. 30
«BastaautosportiveintoursuiPassidelleDolomiti»
STEFANO ZANOTTI VAL GARDENA
Associazioni turistiche, Comuni, impiantisti e Centro mobilità della val Gardena hanno deciso di fare fronte unico «per chiedere la fine dei giri organizzati con le auto sportive sui Passi dolomitici». L’appello giunge pochi giorni dopo la presa di posizione dell’assessore provinciale Daniel Alfreider che invece si era lamentato del caos generato dalle moto. Una situazione generale che rischia di compromettere l’equilibrio ambientale e l’immagine della zona. Da anni, gli operatori turistici della zona lavorano per promuovere una mobilità sostenibile. «Il nostro obiettivo è ridurre il traffico, attraverso sistemi di contingentamento e l’introduzione di una tassa ambientale. Nonostante il sostegno di diversi partner l’attuazione di queste misure è in standby». L’ostacolo più grande - come aveva sottolineato lo stesso Alfreider - «è la mancanza di una normativa nazionale che supporti le iniziative regionali, poiché la competenza in materia è statale». Sindaci e Apt si lamentano della crescita dei cosiddetti “drive-events”, «spesso proposti da organizzazioni internazionali in collaborazione con operatori locali, che generano malcontento tra residenti e turisti, contribuendo a un’immagine distorta del turismo sul territorio». Di fronte a queste criticità, la Gardena punta su nuove strategie. Negli ultimi due anni sono stati ampliati i servizi di linea, potenziate le corse in bus dedicate alle escursioni e allo sci, ed è stato introdotto un moderno sistema di informazione per i passeggeri. Queste iniziative mirano a ridurre il traffico nelle zone più delicate dal punto di vista ambientale. Sindaci, presidenti delle Apt e del consorzio degli impianti di risalita hanno espresso il loro disappunto verso le iniziative che «disturbano l’immagine della valle e non risolvono i problemi alla radice». Chiedono una regolamentazione chiara ed efficace del traffico sulle Dolomiti, accompagnata da controlli più stringenti e da un monitoraggio continuo. «Finora, le misure di controllo annunciate si sono rivelate insufficienti e il rischio di un degrado ambientale è tangibile. C’è la necessità di un quadro normativo stabile e condiviso, capace di tutelare il patrimonio naturale e l’immagine della regione. La sfida è quella di coniugare il rispetto per l’ambiente con un turismo sostenibile e di qualità, valorizzando le Dolomiti come patrimonio mondiale dell’umanità e non come scenario di un traffico caotico e dannoso». Solo così, si spera, si potrà garantire un futuro più equilibrato e rispettoso per il turismo in montagna.
AltoAdige|9luglio2025
p. 30
CaosdiautoemotosuiPassiL’Heimatpflege:pedaggisubito
DOLOMITI
Si infiamma il dibattito sul caos di moto e auto sui Passi dolomitici: questa volta a prendere posizione è l’associazione Heimatpflege che chiede l’applicazione della cosiddetta “Low emission zone” e l’introduzione dei pedaggi. «Durante l’alta stagione estiva, le strade sui valichi dell’Alto Adige si trasformano in una sorta di autodromo. Oltre al normale traffico escursionistico, migliaia di motociclette, tour organizzati in auto sportive, raduni di auto d’epoca ed eventi motoristici causano disagi e indignazione». Oltre al Sella e al Gardena - che sono in assoluto i più intasati - l’Heimatpflege fornisce un dato anche sul Rombo, dove nel 2024 è stato registrato il passaggio di centomila moto. Secondo l’associazione ci sarebbe anche qualche strumento per intervenire in tempi ragionevolmente brevi. «Invitiamo la giunta ad attuare quanto previsto dalla delibera del Consiglio provinciale dell’8 maggio 2025 e a creare le basi legali per una reale riduzione del traffico sui Passi alpini. Il primo step deve essere l’attivazione della “Dolomiti Low Emission Zone” con obbligo di prenotazione online. Invitiamo anche i parlamentari altoatesini a impegnarsi in tal senso. Sollecitiamo poi l’applicazione dell’articolo 11/bis della legge provinciale per la tutela dell’aria (16 marzo 2000, n. 8), che consente l’introduzione di pedaggi su strade particolarmente trafficate». Come quelle dolomitiche, appunto. Per l’Heimatpflege ci sono anche diversi modelli virtuosi sull’arco alpino che potremmo prendere come esempio. «La strada alpina del Großglockner in Austria, ad esempio. L’accesso è soggetto a un pedaggio elevato: 45 euro per le auto e 35 euro per le moto. Questo ha portato a un netto calo del traffico: oggi transita la metà dei veicoli rispetto agli anni ’90. In Tirolo, il distretto di Reutte nel 2020 ha introdotto un divieto di circolazione per moto rumorose (oltre i 95 dB di rumore a veicolo fermo) su sei lunghi tratti stradali. Una valutazione, successiva, del Land Tirolo ha confermato i benefici: il rumore è diminuito sensibilmente». La richiesta per le Dolomiti è chiara: su Pordoi, Sella, Gardena e Campolongo serve «l’introduzione di un sistema di prenotazione online con accesso contingentato». MAX. BO.
Corrieredell’AltoAdige|9luglio2025
p. 2
TroppimotorieinquinamentosuipassiGliambientalisti:«Ripensarelamobilità»
BOLZANO
È ormai una spiacevole consuetudine, finora rimasta senza o quantomeno con pochi, inefficaci rimedi: durante l’alta stagione turistica estiva, le strade sui valichi alpini dell’Alto Adige, non solo ma soprattutto su quelli dolomitici, si trasformano ogni anno in una sorta di autodromo. Oltre al normale e già intenso traffico escursionistico, anche migliaia di motociclette, tour organizzati di auto sportive, raduni di auto d’epoca ed eventi motoristici causano disagi e indignazione nella maggior parte dei frequentatori degli spazi montani e alpini. Nello 2024, solo al Passo del Rombo, sono state contate per la prima volta oltre 100 mila moto in transito. Le conseguenze di tutto ciò sono pesanti: situazioni pericolose, alte emissioni dannose e inaccettabile
inquinamento acustico che affligge intere vallate. Una minoranza di appassionati di motori potenti e rumorosi danneggia la qualità della vita della maggioranza dei residenti, degli escursionisti, dei ciclisti e degli ospiti. Da noi, prosegue l’associazione in una nota, i problemi strutturali e l’immobilismo politico hanno favorito un trend ormai fuori controllo, mentre chi lo dovrebbe fare non ha finora adottato misure efficaci per arginare il problema. L’inquinamento da traffico e rumore non è una calamità naturale, anche se è accettato come tale, e un utilizzo illimitato dei mezzi privati è in estrema contraddizione con l’obiettivo provinciale di ridurre del 25% il traffico motorizzato individuale entro il 2035 (Piano provinciale di mobilità 2037) e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2040 (Piano clima Alto Adige 2040). Le zone montane devono ritornare a essere spazi di svago, habitat per la fauna e rimanere territori protetti dalla legge, come il Parco Nazionale dello Stelvio, i parchi naturali altoatesini o il Patrimonio Mondiale Unesco delle Dolomiti. Su questo tema l’Heimatpflegeverband ricorda gli esempi concreti che provengono dalle regioni alpine vicine, nazionali ed estere. In Tirolo, il distretto di Reutte nel 2020 ha introdotto un divieto di circolazione per moto rumorose su sei lunghi tratti stradali ed anche la strada alpina del Grossglockner ne è un esempio positivo: l’accesso è soggetto a un pedaggio elevato che ha portato a un netto calo del traffico. Oggi vi transita la metà dei veicoli rispetto agli anni Novanta e la navetta pubblica rappresenta un’alternativa sostenibile. Anche in Valtellina (Sondrio) ogni anno si tengono almeno venti giornate senz’auto sui passi alpini dedicate a ciclisti ed escursionisti, con il loro numero che è in costante aumento. Al contrario, in Alto Adige il protocollo d’intesa per l’istituzione della «Dolomiti Low Emission Zone» firmato già nel 2022, non è mai stato attuato. Il sistema di prenotazione con accesso contingentato ai passi dolomitici è stato rinviato a tempo indeterminato e senza spiegazioni, nonostante le basi giuridiche fossero pronte. L’Heimatpflegeverband chiede da anni «un ripensamento radicale della politica della mobilità sui passi dell’Alto Adige e, finalmente, misure concrete e coraggiose per una reale riduzione del traffico. La legge provinciale che consente il pedaggio ora va applicata». E aggiunge: «È ora che gli strumenti esistenti vengano utilizzati perché chi prende sul serio la tutela del clima, la qualità della vita e la ricreazione alpina non può più restare a guardare». Infine, «un altro modello di mobilità è possibile ed è tempo di metterlo in pratica», conclude l’associazione dei Protezionisti altoatesini nel sollecitare la Giunta provinciale ad attuare la delibera del Consiglio provinciale dell’8 maggio 2025 e a creare le basi legali per una reale riduzione del traffico sui passi alpini. La prima mossa deve essere l’attivazione immediata della «Dolomiti Low Emission Zone» con obbligo di prenotazione da effettuare online. Invitiamo anche tutti i parlamentari altoatesini, nelle rispettive sedi, a impegnarsi in tal senso. Questo anche per favorire l’applicazione dell’articolo 11/bis della legge provinciale che si occupa della tutela dell’aria (16 marzo 2000, n. 8), che consente l’introduzione di pedaggi su strade che si rivelano particolarmente trafficate.
AltoAdige|17luglio2025
p. 29
Auto,motoeraduni:isindacibadiotiscrivonoaKompatscher Ilcaso.«Decinedisegnalazionieproteste,cichiedonotutticosastafacendolapolitica»
VAL BADIA
È ormai "divenuto insostenibile il traffico sempre più intenso e non regolamentato di moto, auto sportive e, soprattutto, del raduni motorizzati sui passi dolomitici.
Questi flussi generano congestione, rumore, inquinamento e una generale percezione di situazione non ulteriormente sopportabile. Stiamo assistendo a un deterioramento dell'identità stessa delle Dolomiti come destinazione sostenibile e bike friendly, con un conseguente e pericoloso disallineamento tra la promessa comunicata e l'esperienza reale vissuta non solo dai nostri ospiti, ma anche e soprattutto da chi in valle ci vive. Si percepisce un senso di esasperazione diffuso tra la popolazione".
Lo scrivono i sindaci di Badia, Corvara e La Valle, che hanno inviato al presidente della Provincia autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, e al commissario del governo, una lettera in cui lamentano di ricevere "quotidianamente decine di segnalazioni e telefonate di protesta, con cittadini e ospiti che ci chiedono cosa sta facendo la politica per affrontare e gestire questa 'invasione incontrollata'". La richiesta degli amministratori locali, condivisa dalla società cooperativa turistica Alta Badia e da Alta Badia Brand, è quella di "regolamentazione/limitazione concreta del traffico sui passi dolomitici, con entrata in vigore già a partire dalla primavera 2026". I sindaci segnalano inoltre che nelle scorse settimane "numerosi cantieri stradali, la cui importanza e necessità riconosciamo pienamente", sono stati avviati e proseguiti contemporaneamente ad eventi come la Maratona dles Dolomites, Dolomites Bike Day e Sellaronda Bike Day. Per questo la richiesta è che "tutti gli interventi programmabili sulla rete viaria locale vengano tassativamente conclusi entro il 31 maggio di ogni anno. Una pianificazione attenta e coordinata con gli attori del territorio non solo è possibile, ma oggi più che mal necessaria per salvaguardare un'eccellenza turistica che richiede coerenza, visione e rispetto", concludono gli scriventi.
CorrieredelTrentino|26luglio2025
p. 4, segue dalla prima
PassidolomiticiconlaZtl,TrentodialogaconBolzano:«VacoinvoltalavaldiFassa»
MARIO PAROLARI BOLZANO
Il sottosegretario di Stato al Mit Tullio Ferrante ha incontrato l’assessore altoatesino alla mobilità Daniel Alfreider. Nel corso del vertice, Ferrante, che ha voluto inserire nel nuovo codice della strada le zone a traffico limitato per i siti Unesco per tutelare la costiera amalfitana, si è detto favorevole ad estendere le limitazioni anche sulle Dolomiti. Una misura che potrebbe essere applicata non solo in Alto Adige ma anche in Trentino. «Può essere una buona iniziativa dice l’assessore al turismo trentino Roberto Failoni . Ma dopo aver ascoltato i territori, come la Val di Fassa». Per Gianni Battaiola, presidente di Trentino Marketing: «Bisogna trovare un equilibrio». a pagina 4
Un incontro istituzionale, un confronto tecnico e un segnale politico: il sottosegretario di Stato al Mit, Tullio Ferrante, ha incontrato il vicepresidente della Provincia autonoma di Bolzano e assessore alle Infrastrutture e alla Mobilità, Daniel Alfreider. Al centro del dialogo, la viabilità del territorio altoatesino, la sicurezza stradale e le nuove misure per favorire una mobilità più efficiente e sostenibile, così da contenere l’ormai sempre più urgente overtourism nei luoghi più sensibili. Nel corso del vertice il sottosegretario Tullio Ferrante, che ha voluto inserire nel nuovo codice della strada le zone a traffico limitato per i siti Unesco per tutelare la costiera amalfitana, si è detto favorevole ad applicare le limitazioni anche sulle Dolomiti che pure rientrano sotto la tutela Unesco. Una misura che potrebbe essere applicata non solo in Alto Adige ma anche in
Trentino e in Veneto. In pratica in tutte le aree che ricadono sotto la tutela Unesco. Il modello, come spiega Alfreider è quello di Braies: «Abbiamo imparato molto dall’esperienza del Lago di Braies: la prima sbarra era troppo vicina, il traffico si moltiplicava. Poi l’abbiamo spostata sempre più indietro. Ora sono felice che tutti l’abbiano capito: bisogna intervenire prima delle valli, non sui passi». Un principio che la Provincia vorrebbe applicare anche alla Val Gardena, in sinergia con il consorzio mobilità della zona. Il progetto non è ancora partito, spiega l’assessore. La localizzazione esatta per il “blocco”, innanzitutto, resta da definire: «Non è detto che sia per forza a Pontives. Sarebbe ancora più ideale bloccare il traffico a Chiusa, già all’uscita dell’autostrada, organizzando shuttle e autobus per portare le persone in valle. Io sono assolutamente favorevole a un contingentamento del traffico». Se applicare il modello Braies anche agli altri passi Dolomitici lo si vedrà nelle prossime settimane e comunque andrà concordato con le Regioni vicine. In Trentino le prime reazioni sono di apertura al dialogo. «Può essere una buona iniziativa dice l’assessore al turismo della Provincia di Trento Roberto Failoni . È positivo che Alfreider sia andato a Roma e noi siamo sicuramente in accordo con Bolzano. Ma sempre dopo aver ascoltato i nostri territori, in questo caso la Val di Fassa. Le zone Unesco sono tante, bisogna capire in quali di queste la misura è applicabile e in quali no». Più cauto Gianni Battaiola, presidente di Trentino Marketing. «Quando chiudi una strada devi offrire alternative, come parcheggi e navette sostiene – Il tema è molto più ampio: serve uno studio che prenda in considerazione tutte le montagne, i passi e i sistemi di mobilità, coinvolgendo anche Lombardia e Veneto. Queste soluzioni a spot finiscono per isolare un territorio rispetto a quelli circostanti, soprattutto sulle nostre Dolomiti. In più, qualsiasi iniziativa per quest’estate è sbagliata: i turisti hanno già prenotato le vacanze avendo determinate informazioni. Per cui sediamoci pure ad un tavolo. A tutti piacerebbe una montagna senz’auto, ma bisogna trovare il giusto equilibrio tra turismo, rispetto dell’ambiente e cittadini». In Alto Adige invece l’idea di intervenire negli hotspot è condivisa anche dal mondo economico come fa intendere il presidente dell’Unione commercio Philipp Moser: «Il turismo, così importante per l’Alto Adige, ha bisogno di misura, rispetto e una chiara regolamentazione, per il bene di tutti. L’appello a un contingentamento sul Seceda è giustificato ed estremamente urgente». Moser sostiene con forza il contingentamento: «L’Alto Adige vive di turismo. Ma questo può funzionare solo se sia gli ospiti che i residenti beneficiano in egual misura della sua qualità». A rafforzare il fronte, anche la voce dei sindacati. Kleva Gjoni, segretaria della Filcams Cgil, è netta: «Basta turismo usa e getta con le montagne che diventano solo sfondi per selfie. La politica deve avere il coraggio di promuovere un turismo sostenibile». Sulla stessa linea anche il segretario regionale della Uil Tucs Stefano Picchetti. «Non possiamo continuare a vendere il territorio pezzo per pezzo, come se fosse una risorsa infinita».
CorrieredelVeneto|26luglio2025
p. 2, edizione Treviso – Belluno
Paesisoffocatidall’overtourism,ilTrentinoAltoAdigevuolelimitarel’accessoaipassi.Le motosonouncaso
GLORIA BERTASI
Belluno
Sentieri affollati che nemmeno piazza San Marco a Venezia nei giorni del Carnevale, automobili in coda come per raggiungere Jesolo a Ferragosto e stradine che attraversano i paesi invase
da veicoli e moto lanciati in corsa per raggirare traffico e, anche, i tanti cantieri aperti in vista delle Olimpiadi. E i residenti delle Dolomiti non ne possono più: troppa la pressione del turismo in un territorio abituato ai ritmi, un tempo lenti, e solitari della montagna. Senza cioè selfie, schiamazzi e motori roboanti. Dal Bellunese, all’Alto Adige e Trentino si cercano soluzioni per arginare il fenomeno dell’overtourism. Con un’ultima ipotesi avanzata dalle due province autonome e già portata all’attenzione del ministero delle Infrastrutture, ossia di introdurre lungo tutti i valichi, compresi quelli di confine con il Veneto, una Ztl (Zona a traffico limitato) facendo leva sulla necessità di tutelare il sito patrimonio Unesco delle Dolomiti. Roma (l’incontro è stato con il sottosegretario forzista Tullio Ferrante) avrebbe dato un generico via libera all’idea, ancora tutta da sviluppare. Intanto, sul versante veneto, si sperimenta sul campo come ridurre la pressione delle presenze di visitatori e, soprattutto, di mezzi privati. Primo a partire il Comune di Auronzo che, dopo un’estate, la scorsa, da lacrime e sangue per la sosta selvaggia a Misurina, quest’anno si è preso d’anticipo e ha deciso di introdurre l’obbligo di prenotazione per le Tre Cime di Lavaredo: non un numero chiuso alle persone (con i mezzi pubblici chiunque può raggiungerle) bensì ai veicoli. Una soluzione che sta dando i risultati sperati: il booking funziona, la sosta è diventata ordinata e, in generale, c’è meno congestione di auto e pullman. I numeri lo confermano: giugno, primo mese di sperimentazione, i posteggi sono andati quasi sold out con dodicimila utenti registrati e 4.866 ticket venduti. Con luglio gli accreditati sul sito auronzo.info sono saliti a 61.500 e i parcheggi a disposizione, fino a fine agosto, sono agli sgoccioli. E il prezzo non è nemmeno economico: 40 euro per le automobili (in piazzale Roma a Venezia, per dire, è 35), 26 per le moto, 60 per i caravan e tra gli 80 e i 160 euro per i pullman. «La soddisfazione è grande. Pensare al caos che c’era l’anno scorso e vedere come è cambiata la situazione non ha prezzo ha osservato Nicola Bombassei, consigliere comunale responsabile del progetto dopo un sopralluogo . La strada è percorsa tranquillamente e con parcheggi regolari in centro e in quota, senza tensioni e anzi potendo apprezzare la tranquillità della montagna. Molti erano scettici, ci dicevano che non ce l’avremmo fatta, ma abbiamo dimostrato, con i fatti, che con le persone e le idee giuste, i risultati si ottengono». Un risultato che ora potrebbe portare a replicare un sistema simile anche alle Cinque Torri, passo Giau e Legazuoi. Chiusi dalla tempesta Vaia, a metà giugno hanno riaperto i Serrai di Sottoguda con la novità del numero chiuso (l’ingresso a 5 euro) e un massimo di duecento persone in contemporanea con l’obiettivo di contenere appunto l’overtourism e permettere di visitare meglio l’area. Inoltre, è stata introdotta la Ztl a Sottoguda, le auto ora non possono più entrare, se non si è residenti. Per contenere il traffico di attraversamento è in arrivo un’altra zona a traffico limitato: ad agosto il tratto di strada lungo il lago ad Alleghe sarà off limits . La giunta del sindaco Danilo De Toni si è affidata a esperti del settore che hanno valutato analoghe soluzioni nei centri turistici. Ma il problema che in quest’estate di proteste contro l’eccesso di presenze sembra non trovare una rapida soluzione è quello delle moto che sfrecciano. Tutti i Comuni se ne lamentano e i residenti chiedono soluzioni, quantomeno per i fine settimana quando gruppi di motociclisti percorrono i tornanti a velocità elevate. I sindaco di Val di Zoldo Camillo De Pellegrin addita la colpa al Mit che non ha sciolto il nodo dell’omologazione dei velox. «Venga lui stesso (il ministro Matteo Salvini, ndr ) a fare i controlli e a vedere cosa succede dalle nostre parti», dice. Livinallongo sta invece valutando un sistema di contingentamento con un ticket a pagamento per disincentivare gli afflussi. Nell’attesa di una exit strategy , le corse in stile MotoGp continuano.
Corrieredell’AltoAdige|31luglio2025
p. 3
Trafficosuipassialpini,laProvinciachiedepedaggieautovelox
BOLZANO
Le richieste dell’Alto Adige per la regolamentazione del traffico sulle strade dolomitiche arrivano alla Conferenza delle Regioni. È stato lo stesso presidente della Provincia, Arno Kompatscher, a intervenire con i suoi omologhi per richiamare l’attenzione sul crescente carico di traffico sulle strade alpine: «Il traffico nelle nostre delicate zone montane è in costante aumento. L’eccesso di velocità e il rumore sono un peso sia per la popolazione che per l’ambiente. Abbiamo bisogno di maggiori controlli, regole chiare e strumenti di controllo efficaci per contrastare questo fenomeno» ha sottolineato Kompatscher durante la Conferenza. La Provincia di Bolzano ha elaborato un pacchetto di misure che è già stato presentato a livello tecnico ed è attualmente in fase d’istruttoria in seno alla Conferenza. L’obiettivo delle misure proposte è quello di aumentare la sicurezza stradale e, allo stesso tempo, alleggerire il carico sulla popolazione e sull’ambiente lungo le strade di montagna. La proposta prevede, tra l’altro, la semplificazione dei controlli mediante autovelox fissi e l’assegnazione di personale supplementare alla polizia locale a sostegno delle forze dell’ordine statali. Si valuterà anche l’introduzione di limiti di decibel che potrebbero escludere i veicoli particolarmente rumorosi dalle zone sensibili. Un’altra proposta riguarda la possibilità di limitare l’accesso e di introdurre pedaggi nelle zone fortemente trafficate. Le entrate così ottenute dovrebbero essere investite in modo mirato in progetti per la mobilità ecologica. A titolo integrativo, potrebbero essere utilizzati sistemi digitali di gestione del traffico per controllare meglio gli accessi ed evitare congestioni. Già la scorsa settimana il presidente della Provincia Kompatscher aveva consegnato una risoluzione dei Comuni interessati al ministro dei Trasporti Matteo Salvini, che si era mostrato aperto alla richiesta e aveva assicurato il suo sostegno. Inoltre, l’assessore provinciale alla Mobilità Daniel Alfreider ha discusso con il sottosegretario Tullio Ferrante il tema delle limitazioni al traffico e dei controlli con autovelox.
GESTIONEDEIFLUSSI:ILCASODELLETRECIMEDILAVAREDO
Corrieredell’AltoAdige|2luglio2025
p. 2
TreCime,laprenotazionefunziona
DIMITRI CANELLO
BOLZANO
Il bilancio del primo mese del numero chiuso sulle Tre Cime di Lavaredo, che verrà presentato oggi ufficialmente, è a dir poco lusinghiero. La scelta del sindaco di Auronzo di Cadore Dario Vecellio Galeno di istituire un numero massimo di veicoli, quasi 700, che possono essere accolti in quota, ha avuto una risposta eccezionale da parte dei turisti. A parte i primi giorni, in cui alcuni che non erano a conoscenza della novità si sono presentati a Misurina senza pass (sono quindi stati costretti a fare marcia indietro) la novità adeguatamente pubblicizzata ha portato risultati positivi. I dati ufficiali verranno presentati oggi ma, per il mese di giugno, si è registrato quasi il sold out. E, proprio in linea con la scelta del provvedimento, chi non ha trovato spazio nel
weekend ha spostato la prenotazione durante la settimana, visitando una delle meraviglie più ambite del territorio con meno calca. I primi dati parlavano già chiaro: 4.866 ticket venduti per le prime quattro settimane e oltre 12mila utenti registrati. Un boom che confermava l’interesse per uno dei luoghi simbolo delle Dolomiti, ma anche l’efficacia della nuova modalità di gestione della mobilità adottata dal Comune di Auronzo. Il sito dedicato, auronzo.info , aveva superato i 100mila accessi in un mese, con il 65% proveniente dall’estero e il 64% da dispositivi mobili. Non paiono spaventare neppure i prezzi stabiliti dall’amministrazione comunale: si va dai 40 euro per un’autovettura, ai 150 stagionali per i veicoli appartenenti a Guide alpine, accompagnatori di media montagna, guide ambientali ed escursionistiche, ai 26 euro per i motocicli; 80 euro per gli bus fino a 30 posti a sedere, 60 euro per gli autobus oltre i 30 posti e 60 euro per i caravan. Le associazioni ambientaliste, schierate a favore dell’iniziativa, nei giorni scorsi hanno chiesto un’ulteriore accelerata: «Si deve puntare – ha spiegato il presidente di Moutaing Wilderness Luigi Casanova - a ridurre ancora il traffico veicolare verso le Tre Cime, privilegiando al massimo il mezzo pubblico. Apprezziamo quello che si sta facendo, ma chiediamo un incontro pubblico agli amministratori per studiare una strategia condivisa». E se giugno ha fatto registrare un vero e proprio boom, a luglio e agosto è già soldout.
Gazzettino|3luglio2025
p. 35, edizione Belluno
ParkMisurina,orasiragiona«L’overtourismcosìègestito»
GIANFRANCO GIUSEPPINI
AURONZO DI CADORE
Primo mese - quello di giugno appena trascorso - in cui il Comune di Auronzo ha introdotto in via sperimentale la prenotazione obbligatoria dei circa 800 posti auto dei parcheggi situati ai piedi del versante meridionale delle Tre Cime di Lavaredo. Grazie al nuovo sistema, l'amministrazione civica dice di aver raggiunto l'obiettivo. Quale? Quello di smentire le Cassandre di turno, per cui ora «l'overtourism non è servito, è gestito». È quanto affermato in una nota del Comune in sostituzione dell'incontro a Misurina con la stampa saltato a causa della frana di Dogana Vecchia che con l'interruzione viaria ha riversato parte del traffico su ruote nella val d'Ansiei. Un aumento veicolare paragonabile a quello ferragostano, niente di più, a parte i mezzi pesanti, è il commento generale nella vallata. IL RESPONSABILE A fare il punto dell'area di Misurina è il consigliere responsabile del progetto, Nicola Bombassei, che smentisce delle voci per cui quanti pernottano nei rifugi della zona Tre Cime sono esenti dal ticket del parcheggio. Tuttavia afferma che si sta cercando una soluzione perché siano agevolati in qualche modo coloro che pernottano ad Auronzo e Misurina. Quindi prosegue: «La soddisfazione è grande. Pensare al caos che c'era tra Misurina e le Tre Cime l'anno scorso, e vedere com'è cambiata la situazione, non ha prezzo. La strada per le Tre Cime è percorsa tranquillamente e ordinatamente da auto, moto, bus e con parcheggi regolari in centro e in quota, senza tensioni e anzi potendo apprezzare la tranquillità della montagna. Molti erano scettici, ci dicevano che non ce l'avremmo fatta, ma abbiamo dimostrato con i fatti che con le persone giuste e le idee giuste, i risultati si ottengono. Quello che era un problema è diventato un'opportunità». IL PUNTO FORTE Eccola l'opportunità spiegata da Nicola Bombassei: «Non è solo la gestione del parcheggio alle Tre Cime il punto forte di questa operazione. Collegando il sistema di prenotazione obbligatoria al sito turistico, abbiamo permesso a chi già sceglieva le Tre Cime di
Lavaredo e le nostre Dolomiti, di scoprire le proposte a 360 gradi di Auronzo, non solo in estate, ma tutto l'anno». Insomma per il consigliere auronzano è stato come il classico catturare due piccioni con una fava e quindi snocciola tutta una serie di dati: «A oggi il sito auronzo.info conta oltre 420mila accessi, ben 35mila visite alla pagina dedicata alle strutture ricettive. Non solo: 5mila 400 persone si sono iscritte alla newsletter, di cui la metà nel solo mese di giugno, per ricevere periodicamente informazioni sulle proposte turistiche di Auronzo. Questo è un numero destinato certamente a crescere. È facile immaginare oggi la nostra soddisfazione e la spinta a continuare su questa linea». Luca Gatto di Abaco spa, che ha la gestione del progetto mobilità e sosta ed è il fornitore del sistema di prenotazione del parcheggio delle Tre Cime, in tale occasione ha dichiarato: «Gli utenti che si sono registrati al portale di prenotazione sono circa 61.500. È un portale user-friendly che sta raccogliendo tantissime richieste. Nel mese di giugno abbiamo stabilizzato i processi di comunicazione con l'utenza per la prenotazione, per offrire un servizio sempre più efficiente. IPOTESI SATURAZIONE «Nel parcheggio in quota, oltre il 90 per cento dei ticket da 12 ore sono venduti sulla disponibilità giornaliera, lasciando più libere le ore serali, tutto come da copione, rispettando anche gli interessi dell'ente - ha spiegato Luca Gatto -. Il parcheggio arriva a saturazione in tarda mattinata per poi lasciare spazio alla normale rotazione dei veicoli prenotati nel pomeriggio. Il tempo medio di permanenza è in costante crescita. Per ora non si sono registrate code o disservizi e anche i flussi di transito e sosta a Misurina sono stabili con grande beneficio di tutti, operatori, turisti e cittadini, e della natura meravigliosa che ci circonda». Gianfranco Giuseppini © RIPRODUZIONE RISERVATA.
GESTIONEDEIFLUSSI:ILCASODELLAGODIBRAIES
Corrieredell’AltoAdige|8luglio2025
p. 3
LagodiBraies,numerochiusoperleautofinoasettembre
ALDO DE PELLEGRIN
BOLZANO
Da giovedì 10 luglio e fino al 10 settembre ritorna in vigore la regolamentazione degli accessi motorizzati al lago di Braies e con essa pure la calmierazione degli accessi con mezzi privati all’intera vallata, compresa la località in quota di Prato Piazza. All’interno delle date indicate, il primo degli hotspot turistici altoatesini che stanno soffrendo da anni di quello che i tecnici chiamano ormai «overturismo» tanto da doverne controllare gli accessi per garantirne la vivibilità dei residenti come pure quella degli stessi ospiti, nella fascia oraria fra le 9.30 e le 16, sarà accessibile con l’auto privata (comprese moto, pulmini, bus e camper) solo con prenotazione e pagamento online a numero chiuso: in base cioè alla disponibilità delle quattro aree di parcheggio oppure con le navette dedicate in partenza dalle stazioni di Dobbiaco e Villabassa per le quali è ugualmente necessaria la prenotazione ed il pagamento online dei relativi ticket di viaggio ad un prezzo che parte da 13 euro. Al di fuori degli orari indicati gli accessi sono liberi, compatibilmente con la disponibilità della aree di parcheggio che rimangono comunque a pagamento. Gli accessi a piedi, in bici o con e-bike sono invece sempre liberi e non soggetti ad alcuna limitazione. C’è anche da ricordare che, solo per le prenotazioni anticipate, è compreso anche un buono di 20 euro spendibile degli esercizi
convenzionati di tutta la valle. Dalla passata stagione ormai, il sofisticato sistema di videolettura delle targhe installato all’accesso controllato delle vallata (dotato anche di area di sosta e di ufficio informazioni) agevola il passaggio immediato di residenti, turisti giornalieri ed ospiti della aziende ricettive, come pure quello dei fornitori abituali, limitando al minimo indispensabile le attese e fluidificando in tal modo anche i transiti al punto di controllo. Da questa stagione nel portale provinciale di prenotazione per la Valle di Braies sono state integrate anche tutte le informazioni per gli accessi regolamentati all’altro famosissimo «punto caldo» del turismo dolomitico: parliamo ovviamente dell’intera area delle Tre Cime di Lavaredo, che dal versante altoatesino sono accessibili a piedi attraverso una miriadi di sentieri mentre l’accesso motorizzato avviene dal versante bellunese di Auronzo attraverso la strada a pedaggio e con prenotazione che conduce ai 2.333 metri del Rifugio Auronzo. Dal versante altoatesino il rifugio Auronzo è raggiungibile privatamente o con la navetta in partenza dalla stazione di Dobbiaco e fermata unica al rifugio. Sia l’andata che il ritorno vanno prenotate online e ciascuna corsa costa 16 euro mentre per l’accesso motorizzato il comune di Auronzo ha previso l’obbligo di prenotazione per il parcheggio in quota fino a disponibilità e con esso un regolamento ed un tariffario che sono già in vigore dal momento dell’apertura stagionale della strada alpina alla sua chiusura invernale. Da maggio al primo luglio il sito di prenotazioni dedicato aveva già registrato oltre 61.500 utenze. L’accesso a piedi o in e-bike (salvo specifici divieti) alle Tre Cime dai versanti e sentieri altoatesini di Dobbiaco, San Candido e Sesto Val Fiscalina resta invece libero. Le navette per la Val Fiscalina contrassegnate col 440/446 sono accessibili con l’Alto Adige pass e anche la Mobilcard. Per ogni informazione e per le prenotazioni obbligatorie i siti sono: www.braies.bz.it per l’alta Pusteria e www.auronzo.info per il parcheggio alle Tre Cime di Lavaredo.
CABINOVIAAPOLLONIO–SOCREPES:GLIAGGIORNAMENTI
CorrieredelVeneto|9luglio2025
p. 2, edizione Treviso – Belluno
Olimpiadi,affidatiilavoriperlacabinoviaSocrepes
CORTINA D’AMPEZZO
«Abbiamo adottato un piano di indagini mirato per la realizzazione dell’impianto, che verrà costruito in sicurezza e a tutela della comunità, come per tutto il resto delle opere del Piano olimpico». L’assicurazione sulle modalità di costruzione della cabinovia Apollonio-Socrepes arriva da Fabio Massimo Saldini, amministratore delegato di Simico, la società che si occupa delle infrastrutture dei Giochi olimpici invernali Milano Cortina 2026. Ed è un’assicurazione che arriva a margine con l’affidamento dei lavori ad un’associazione Temporanea di Imprese costituita da Graffer, Dolomiti Strade e Ecoedile. Le parole di Saldini toccano una delle criticità di un’opera avversata da residenti e ambientalisti sotto molti aspetti, oggetto di ricorsi e carte bollate, compresa la sicurezza del terreno sopra il quale sarà costruita. Si parla di problematiche geologiche e geognostiche. Ma è difficile non leggere anche la soddisfazione del manager per un affidamento che ha tempi strettissimi per la realizzazione della cabinovia, con l’inaugurazione dei Giochi tra meno di un anno. Di certo l’opera è imponente. «L’impianto prevederà l’installazione di 10 piloni, la realizzazione di tre stazioni con 50 cabine da 10 persone
capaci di trasportare 2.400 persone all’ora» ha ricordato Saldini. Numeri che sono la cartina di tornasole di uno degli obiettivi più importanti dell’infrastruttura: accompagnare i tifosi all’impianto di gara di sci sgravando la viabilità di Cortina evitando che migliaia di automobili intasino la città. L’ad di Simico interviene anche sulle obiezioni ambientali. «Abbiamo predisposto uno studio cromatico e della forma dei sostegni, promuovendo un ottimo inserimento paesaggistico» ha annunciato Saldini. L’entusiasmo del manager non è condiviso. A intervenire è Roberta de Zanna, consigliere comunale di opposizione con Cortina Bene Comune e storica ambientalista. A proposito dello studio cromatico «sembra uno scherzo - ha commentato -. Se partirà quest’opera avremo l’ennesimo cantiere in una Cortina irriconoscibile, nel quale regna il caos viario e nella quale si parcheggia impunemente in ogni buco, nella quale l’aria è resa irrespirabile dalle decine e decine di camion che vanno avanti e indietro». Quindi «l’impatto della cabinovia sarà enorme e andrà a deturpare i prati di Covento, Mortisa e Lacedel».
SECEDA:ILCASODEITORNELLICONTROL’OVERTURISM
CorrieredelleAlpi|9luglio2025
p. 10
TornelliinValGardenacontrol'overtourism
Ha suscitato polemiche ed applausi l'iniziativa di protesta contro l'overtourism di un contadino della Val Gardena che ha installato un tornello a pagamento (5 euro) all'ingresso del sentiero che porta a un punto panoramico dal quale si possono fotografare le famose vette dolomitiche Odle. L'iniziativa è già stata sospesa, ma il tema del turismo «mordi-clicca-fuggi» è attuale. Qualche anno fa un contadino aveva messo un tornello per limitare l'assalto di turisti alla famosa chiesetta della val di Funes. Va prenotato con lo smartphone nell'accesso in macchina all'incantevole lago di Braies. Le masse di turisti intenti a fotografare le Tre Cime di Lavaredo fanno concorrenza a quelli della Fontana di Trevi. E dunque, come a Venezia, anche sulle Dolomiti crescono i malumori tra i residenti per il turismo d'assalto. .
AltoAdige|9luglio2025
p. 29
Walcherchiamasubitoarapportoiduesindaci
VAL GARDENA/BOLZANO
La “patata bollente” è arrivata ieri mattina anche sul tavolo dell’assessore provinciale al turismo Luis Walcher che ha deciso di prendere subito la questione in mano per evitare che possa degenerare. La stagione turistica estiva è entrata ormai nel vivo e una polemica di questo genere rischia di avere un effetto boomerang anche sull’immagine dell’Alto Adige e sui pernottamenti. «Mi sono messo in contatto subito - spiega lo stesso Walcher - con i due sindaci interessati, Senoner per Santa Cristina e Moroder per Ortisei, e conto di incontrarli nei prossimi giorni per fare chiarezza e affrontare il tema a 360 gradi. Posso capire, da un lato, la frustrazione
dei proprietari esasperati per la maleducazione di qualche turista ma di principio non posso pensare che la risposta a questi problemi possano essere dei tornelli a 2.500 metri in pieno Parco naturale. Serve una mediazione politica con risposte adeguate». Duro anche Simeoni (Avs): «Va rimosso il prima possibile». I tornelli, con un biglietto da 5 euro, sul Seceda hanno scosso anche il presidente dell’Alpenverein Georg Simeoni che è per l’immediata rimozione ma ammette l’esistenza di un problema. «In assoluto la ritengo una follia pura, una cosa che non si può fare per mille motivi. Se dovesse passare questo concetto finirebbe immediatamente il nostro modo di intendere e vivere la montagna. Dalle prime informazioni che ho acquisito non ci sarebbe, tra l’altro, alcuna base giuridica per agire in questo modo. Capisco tuttavia, almeno in parte, i quattro proprietari dei terreni e la loro frustrazione. Ci sono turisti che si avventurano con i cani in quota e li lasciano fare tranquillamente i loro bisogni senza raccogliere, come dovrebbero, le deiezioni. C’è il desiderio di tutelare i propri fondi ed è quindi legittimo chiedere e pretendere rispetto. Ma i tornelli non possono e non devono essere la risposta a questo problema. Confido, pertanto, che passato questo momento si possa individuare una soluzione in grado di accontentare tutte le parti in causa». Sotto l’aspetto meramente giuridico Simeoni invoca l’intervento degli enti preposti. «Il Comune di Santa Cristina e la Forestale devono fare e immagino faranno - subito la loro parte». Il fotomontaggio. Nel frattempo sul web - oltre a centinaia di commenti negativi da parte di turisti italiani in vacanza sulle Dolomiti - stanno circolando anche fotomontaggi ironici. Abbiamo scelto il più divertente in cui si vede un tappeto rosso, con tanto di scritta “Vip entrance”, hostess e bodyguard all’ingresso. Sullo sfondo ovviamente il Seceda, involontario protagonista di un caso che sta montando di ora in ora. MAX.BO.
AltoAdige|9luglio2025
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«Migliaiadipersonealgiorno:serveunindennizzo»
VAL GARDENA
Daniel Gasser, presidente del Bauernbund, non se la sente di gettare la croce addosso ai 4 proprietari terrieri (tre gardenesi e un pusterese) che hanno deciso di installare il tornello sul Seceda. Presidente, cosa si può fare per sbloccare la situazione? Una proposta ragionevole potrebbe essere quella di prevedere un indennizzo, una sorta di compensazione ambientale. Se i numeri che ho letto in giro sono corretti ci sta assolutamente. Si riferisce alle 3 mila persone al giorno che passano sul sentiero Monte Seceda - Forcella Pana? Esattamente. Non stiamo parlando di un sentiero isolato su cui non ci sarebbero nemmeno i presupposti per intervenire. Si tratta di una zona che in alta stagione è letteralmente presa d’assalto. E c’è anche del lavoro dietro da parte dei proprietari. Giusto? Tenere i prati in ordine e raccogliere il fieno a 2.400-2.500 metri di quota non è uno scherzo. E in giro c’è anche qualche turista maleducato che sale in quota con l’unico obiettivo di scattare un “selfie”... E che magari calpesta la proprietà altrui senza curarsi di cosa lascia dietro di sé... Ma lei non si immagina le montagne altoatesine piene di tornelli a pagamento... No, questa sarebbe una soluzione impraticabile. Parliamo di sentieri con migliaia di persone al giorno. Solo lì ci sono i presupposti per intervenire. MAX.BO.
AltoAdige|9luglio2025
Iproprietari:«Noipuliamo,altriincassano:cosìnonva»
Georg Rabanser (52 anni), uno dei quattro proprietari terrieri del Seceda al centro del caso di questi giorni, ha provato a “surfare” con lo snowboard per la prima volta a 15 anni. Allo stesso modo oggi prova a destreggiarsi controcorrente per cercare di sbloccare la situazione sul Seceda: «Non pretendo - spiega l’ex campione, che è stato ad un passo dal partecipare alle Olimpiadi invernali di Nagano e Salt Lake City - che la gente capisca. Ma la nostra vuole essere soprattutto una provocazione. Dopo 3 anni di trattative interminabili, praticamente a vuoto, le cose devono cambiare». Come e quando è iniziato tutto? Direi 5-6 anni fa. Di punto in bianco hanno iniziato a salire migliaia di americani e asiatici che volevano scattare selfie con le Odle sullo sfondo. Di quante persone stiamo parlando? Sono cresciute col tempo. E oggi in alta stagione parliamo anche di 5-6 mila persone al giorno. C’è chi si piazza nelle nostre baite, lascia immondizia e rovina i prati. Ci siamo trovati con Comuni, Apt e impiantisti e abbiamo spiegato loro che così proprio non va. Cosa non va esattamente? Noi puliamo e teniamo i prati in ordine e gli altri incassano. Ma avete avanzato delle proposte di indennizzo? Sì, certo. Per salire e scendere con gli impianti si pagano 52 euro circa, noi abbiamo proposto 10 centesimi a passaggio. Ma sostanzialmente ci hanno deriso. A quel punto avete messo il tornello sabato scorso. Giusto? Ci siamo detti che non potevamo restare in silenzio. Ma qualcuno ha pagato il biglietto? C’è chi ha capito e ci ha fatto un’offerta. Ma abbiamo fatto passare tutti. Ora il tornello è coperto. Lo rimuoverete? Intanto starà lì coperto. Poi vedremo il da farsi. Ma il sentiero è pubblico? No è privato e non è ancora scattata l’usucapione. MAX.BO.
L’Adige|9luglio2025
p. 17
Controselfieeimmondiziaiprivatimettonountornello
MASSIMILIANO BONA
«Sul tornello installato nei giorni scorsi da quattro privati sul sentiero che porta alla Forcella Pana abbiamo aperto un procedimento»: a parlare è il sindaco di Santa Cristina Christoph Senoner, che arriva a ipotizzare la sussistenza di un possibile abuso edilizio anche perché in Comune non sono arrivate richieste per ottenere una concessione. «Ci sono parecchi elementi che stridono in una zona di verde alpino all’interno del parco naturale. Sono state montate, oltre al tornello, anche una telecamera e una staccionata senza avere alcuna autorizzazione». Il procedimento in questione potrebbe portare a un’ordinanza di demolizione, ma i privati avrebbero fino a 90 giorni di tempo per ottemperare. «In sostanza - conclude il primo cittadino - è stata avviata un’attività a fini economici senza che vi siano i presupposti giuridici per farlo ma c’è anche, vista la presenza delle telecamera, una questione di privacy. Mi aspetto che oltre al Comune si attivino Forestale e Finanza». Il tornello, intanto, è ancora lì “incappucciato” con i proprietari che chiedono 10 centesimi a passaggio, visto che per salire e scendere con l’impianto servono 52 euro. «Siamo stanchi di pulire mentre gli altri incassano senza muovere un dito». Durante l’alta stagione si stimano 5-6 mila persone al giorno. Rilievi della Forestale. In parallelo si è attivato anche Günther Unterthiner, direttore della Ripartizione Servizio forestale, che conferma come la
Provincia si sia già mossa. «Ci siamo attivati con una serie di rilievi in loco. In base alle prime informazioni che ho raccolto si tratterebbe di una struttura in contrasto con le norme vigenti sia sotto il profilo urbanistico che sotto l’aspetto paesaggistico. La nostra ripartizione invierà poi una relazione dettagliata alla Ripartizione 28 (Natura, Paesaggio e Sviluppo del territorio, ndr) per tutti i provvedimenti del caso». La Forestale cercherà di stabilire «l’impatto e le possibili conseguenze». L’albergatore e presidente dell’Apt Demetz: «Una situazione che si trascina da 4 anni». Lukas Demetz, albergatore dell’Hotel Interski e soprattutto presidente dell’Apt di Santa Cristina, illustra i retroscena: «Con i quattro proprietari (tre gardenesi e un pusterese) ne stiamo discutendo da anni in modo da arrivare ad una soluzione. Immagino che la loro sia una provocazione e che vi sia il desiderio di compartecipare agli utili, ma un tornello sul Seceda non può essere la soluzione. Qualora dovesse esserci una vertenza - visto che parliamo di un presunto abuso edilizio - noi, come Apt, siamo pronti a costituirci parte civile». Il sindaco di Ortisei: «Valutiamo eventuali compensazioni». Il sindaco di Ortisei Tobia Moroder individua una possibile via d’uscita: «In inverno diversi proprietari terrieri ricevono un indennizzo: forse sarebbe il caso di pensare a una formula analoga per l’estate. Siamo d’accordo, peraltro, sul fatto che un tornello non possa essere la risposta giusta al sovraffollamento in quota».
L’Adige|13luglio2025
p. 17
«Mucchepiù“educate”deituristi»
MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO
«Guardi, è più facile incanalare le mucche lungo un sentiero piuttosto che le persone». Se la ride, per non piangere, Georg Rabanser. È uno dei quattro proprietari dei terreni sul Seceda, dove nel periodo da maggio ad ottobre si esplica quel fenomeno da turismo di massa che porta in media 3mila persone al giorno (condizioni meteo permettendo) - «ma con punte di 5-6mila persone», si affretta a precisare - che vanno ad ammirare il panorama: dalle Odle al Sella, dal Sassolungo al Sassopiatto. Più in generale una buona fetta di Dolomiti. «Insieme a me Josef Dorfmann e Martin Moroder», ancora Rabanser. Sono tre dei 4 proprietari terrieri: hanno affidato all’avvocato Thomas Kofler dello studio legale Meinhard Durnwalder la stesura di uno scritto sulla loro posizione, dopo aver messo il tornello lungo il sentiero, per fare pagare un obolo. Tornello a mo’ di provocazione, che non è più in funzione. «E per ora non lo sarà, poi vedremo». «I proprietari dei prati di pascolo che si trovano sul Seceda nel comune catastale di Santa Cristina - J. D., M. M. e G. R. comunicano la chiusura di un tratto di sentiero alpino che conduce alla Forcella Pana, da anni ufficialmente chiusa», viene ribadito. Prosegue lo scritto: «All’inizio di maggio 2025 è stata fatta comunicazione alle autorità competenti in ordine alla manutenzione della recinzione in legno già esistente e all’installazione del cancello, ma i proprietari non hanno ricevuto alcuna risposta. Il tratto interessato non è più parte integrante della rete ufficiale dei sentieri, poiché la cosiddetta “Forcella Pana” è inaccessibile ormai da anni. Gli escursionisti utilizzano da tempo un percorso alternativo situato più a valle, che attraversa comunque i terreni interessati e che rimane regolarmente percorribile. Da oltre sei anni, i proprietari hanno tentato invano di avere un dialogo costruttivo con l’associazione turistica della valle, il Comune di Santa Cristina, la società impiantistica Seceda Spa, la stazione forestale e la Provincia di Bolzano, per trovare una soluzione sostenibile alla pressione esercitata dai turisti». «In
particolare, si segnala la continua fuoriuscita dal percorso del sentiero, con conseguente danneggiamento dei pascoli e inquinamento da rifiuti, sporcizia e perfino escrementi umani. Inoltre sul tratto si sono già verificati diversi incidenti. Il più grave si è accaduto il 28 luglio 2021, quando un influencer danese ha perso tragicamente la vita». E si precisa: «L’installazione - che include un tornello conforme alle norme ma non attivo - vuole essere un segnale simbolico e un appello alle autorità responsabili. Si tratta di un grido d’allarme da parte di chi, come piccolo proprietario e gestore dei pascoli, si sente sopraffatto dagli effetti del turismo di massa e abbandonato dalle istituzioni». «L’accesso libero - è ribadito non sarà mai negato agli escursionisti, ai residenti e ai membri delle varie associazioni alpine. Ciò che si intende fermare è invece il comportamento irrispettoso verso la nostra natura, il nostro paesaggio e le basi della nostra esistenza, causato dal turismo di massa». «Il punto è che i turisti arrivano e si fanno i loro sentieri nei prati, derogando dal vero sentiero, nonostante ci siano delle recinzioni. Ma evidentemente è più facile incanalare le mucche che le persone, queste ultime scavalcano il filo senza problemi. Tutti sanno che nei terreni non si può andare, comunque finora non c’è stato un vero sostegno da parte degli enti ed istituzioni. Ma tantissime persone ci hanno espresso solidarietà. Ecco il posizionamento del tornello è stato un modo per provocare», evidenzia Georg Rabanser. La soluzione? «Non la sappiamo, ma così non si può andare avanti. Sarebbe utile se le istituzioni, dal Comune alla Provincia, cercassero una soluzione insieme a noi proprietari», chiude Rabanser. E intanto, si va avanti così. Anche ieri erano in migliaia ad ammirare il panorama.
AltoAdige|13luglio2025
p. 17
“Seceda,menodifficileincanalarelemucchechemigliaiadituristi”
MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO
«Guardi, è più facile incanalare le mucche lungo un sentiero piuttosto che le persone». Se la ride, per non piangere, Georg Rabanser. È uno dei 4 proprietari dei terreni sul Seceda, dove nel periodo da maggio ad ottobre si esplica quel fenomeno da turismo di massa, che porta in media 3mila persone al giorno (condizioni meteo permettendo) «ma con punte di 5-6mila persone», si affretta a precisare Rabanser - che vanno ad ammirare il panorama: dalle Odle al Sella, dal Sassolungo al Sassopiatto. Più in generale una buona fetta di Dolomiti. «Insieme a me Josef Dorfmann e Martin Moroder», ancora Rabanser. Sono tre dei 4 proprietari terrieri: hanno affidato all’avvocato Thomas Kofler dello studio legale Meinhard Durnwalder la stesura di uno scritto sulla loro posizione, dopo aver messo il tornello lungo il sentiero, per fare pagare un obolo. Tornello a mo’ di provocazione, che non è più in funzione. «E per ora non lo sarà, poi vedremo», sottolinea Rabanser. E intanto, come provocazione dell’artista Aron Demetz, è anche spuntato un finto casello per il pedaggio sulla statale tra Pontives ed Ortisei. I proprietari dei terreni. Ecco la loro posizione: «All’inizio di maggio 2025 è stata fatta comunicazione alle autorità competenti in ordine alla manutenzione della recinzione in legno già esistente e all’installazione del cancello sul sentiero che conduce alla Forcella Pana, ma i proprietari non hanno ricevuto alcuna risposta. Il tratto interessato non è più parte integrante della rete ufficiale dei sentieri, poiché la cosiddetta “Forcella Pana” è inaccessibile ormai da anni. Gli escursionisti utilizzano da tempo un percorso alternativo situato più a valle, che attraversa comunque i terreni interessati
e che rimane regolarmente percorribile. Da oltre sei anni, i proprietari hanno tentato invano di avere un dialogo costruttivo con l’associazione turistica della valle, il Comune di Santa Cristina, la società impiantistica Seceda Spa, la stazione forestale e la Provincia di Bolzano, per trovare una soluzione sostenibile alla pressione esercitata dalla massa dei turisti giornalieri nel periodo maggio - novembre. In particolare, si segnala la continua fuoriuscita dal percorso del sentiero, con conseguente danneggiamento dei pascoli e inquinamento da rifiuti, sporcizia e perfino escrementi umani, vista la mancanza di servizi igienici pubblici. Nonostante siano state avanzate proposte di collaborazione per la realizzazione di tali strutture, non vi è stata alcuna risposta da parte dell’amministrazione comunale. Sul tratto si sono già verificati diversi incidenti. Uno anche mortale. L’installazione – che include un tornello conforme alle norme ma non attivo – vuole essere un segnale simbolico e un appello alle autorità responsabili. Si tratta di un grido d’allarme da parte di chi, come piccolo proprietario e gestore dei pascoli, si sente sopraffatto dagli effetti del turismo di massa e abbandonato dalle istituzioni. L’accesso libero non sarà mai negato agli escursionisti, ai residenti e ai membri dei club alpini. Ciò che si intende fermare è invece il comportamento irrispettoso verso la natura, il paesaggio e le basi della nostra esistenza, causato dal turismo di massa». «Il punto è che i turisti arrivano e si fanno i loro sentieri nei prati, derogando dal vero sentiero, nonostante ci siano delle recinzioni. Ma evidentemente è più facile incanalare le mucche che le persone, queste ultime scavalcano il filo senza problemi. Tutti sanno che nei terreni non si può andare, comunque finora non c’è stato un vero sostegno da parte degli enti ed istituzioni. Ma tantissime persone ci hanno espresso solidarietà. Ecco il posizionamento del tornello è stato un modo per provocare», evidenzia Georg Rabanser. La soluzione? «Non la sappiamo, ma così non si può andare avanti», chiude Rabanser. E intanto anche ieri migliaia di persone ad ammirare il panorama. Il finto casello per il pedaggio. Per rimanere in tema nella notte tra venerdì e sabato è stato posto un finto casello per il pedaggio sulla statale nel fondovalle tra Pontives ed Ortisei. Nella casetta la «cassa» con una scritta: 5 dollari il passaggio e 17 dollari per la foto. Ieri mattina sul posto si sono recati i carabinieri di Laion che hanno chiesto alla Provincia di rimuovere il «casello». Cosa che i collaboratori del Servizio strade provinciale hanno fatto poco dopo.
AltoAdige|28luglio2025
p. 13
Seceda,riattivatoiltornellocolticket«Nessunosièmosso,andiamoavanti»
ANTONELLA MATTIOLI
BOLZANO
All’inizio di luglio quando era scoppiata la polemica rimbalzata subito a livello nazionale - i quattro proprietari dei terreni avevano assicurato che la loro era solo una provocazione e infatti il tornello sul sentiero del Seceda - preso d’assalto ogni giorno da centinaia di turisti alla ricerca del selfie sullo sfondo delle Odle - era stato attivato solo per un paio di giorni. Dalla Provincia avevano fatto sapere che non c’erano né i presupposti urbanistici e paesaggistici per installare il tornello né giuridici per chiedere il ticket per il passaggio. Il Comune di Santa Cristina, ipotizzando un possibile abuso edilizio, aveva aperto un procedimento amministrativo. Tutto rientrato quindi? Assolutamente no. Da alcuni giorni il tornello è stato riattivato e - oltre ai cartelli - c’è una persona che spiega e controlla. Il ticket è di 5 euro; esclusi bambini e residenti in Alto Adige. Ma non doveva essere solo una provocazione per “sensibilizzare” la Provincia, i
Comuni di Santa Cristina e Ortisei, oltre che le associazioni turistiche della Val Gardena, sui disagi - pascoli danneggiati e rifiuti abbandonati - causati dalle centinaia di turisti che passano ogni giorno? Il proprietario «Il nostro era un grido d’aiuto - spiega Georg Rabanser, uno dei quattro proprietari dei terreni attraversato dal sentiero che “guarda” le Odle -. Ci aspettavamo una chiamata da parte degli amministratori provinciali. Invece niente. Abbiamo letto solo dichiarazioni sui giornali. Chiacchiere; nulla di concreto. Non abbiamo ricevuto neppure lettere di diffida. Per cui andiamo avanti. In Provincia devono capire che mentre gli impiantisti guadagnano fior di quattrini dall’assalto turistico, noi abbiamo solo costi e danni. Oltre ai rifiuti abbandonati e ai prati rovinati dal passaggio di orde di turisti maleducati». Il presidente dell’Apt Deluso dall’immobilismo degli amministratori provinciali anche Lukas Demetz, albergatore e presidente dell’Apt di Santa Cristina: «Non so più cosa dire; non ho parole. Nei giorni scorsi ho contattato tutti: Comune, Forestale, Provincia. Non si è mosso nessuno; o forse si stanno muovendo ma troppo lentamente. Non si capisce su che basi giuridiche possano incassare il ticket per il pedaggio. La verità è che i proprietari vogliono solo incassare. Hanno installato il tornello dopo che gli impiantisti hanno risposto negativamente alla loro richiesta di indennizzo. Stessa risposta da noi dell’Apt. Del resto se dovessimo pagare i quattro proprietari dei terreni del Seceda, dovremmo fare altrettanto con tutti gli altri. Non è pensabile. Eppure noi come Apt abbiamo fatto di tutto per cercare di andar loro incontro. La realtà è diversa da come viene presentata: sono quattro anni che ci stiamo lavorando». In concreto cosa avete fatto? «Abbiamo assunto quattro rangers che girano, controllano che i turisti rimangano nei sentieri, non danneggino i prati e non facciano volare droni. Le cose sono notevolmente migliorate. E anche il problema dei rifiuti abbandonati non è grave come viene raccontato. Si è fortemente ridimensionato». Tende nei rifugi E restando in tema di overtourism anche in alta quota, c’è chi propone di utilizzare le tende per accogliere gli escursionisti. « I posti letto nei rifugi sono esauriti, compresi quelli negli stanzoni comuni? Consentiamo di mettere delle tende, modello igloo, ma solo per la notte, per evitare gli accampamenti». È la proposta di Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, per rispondere all’affollamento dei rifugi ed in particolare di quelli che si trovano nelle località più famose. «Mai vista - dice - così tanta gente nei rifugi. C’è chi arriva con gli impianti, fin dove è possibile, poi fa quattro passi per raggiungere il rifugio e- tra un selfie e l’altro - si ferma per mangiare. Ma cresce anche il numero di coloro che fanno trekking di diversi giorni. Arrivano da ogni parte del mondo, attirati dalle campagne di marketing che pubblicizzano le Dolomiti, patrimonio dell’Unesco; e ancora di più dagli influencer attivissimi sui social. Prenotano con mesi di anticipo. Visto l’affollamento - soprattutto nelle destinazioni più famose - è difficile trovare un posto per dormire. Per questo voglio proporre di consentire l’installazione di piccole tende vicino ai rifugi. Solo per la notte, ovviamente. Un’ipotesi potrebbe essere: dalle otto di sera alle otto di mattina. Forse non sono belle da vedere, ma sono pratiche. Per me si potrebbe fare, anzi lo auspico visto l’affollamento soprattutto di certi rifugi. Bisogna però vedere se lo consentono». Perché chi dovrebbe negare l’autorizzazione; visto che il Cai è proprietario di 13 rifugi, di 12 l’Alpenverein, 25 la Provincia? «Molti rifugi sono nei Parchi, quindi in aree protette, non è così scontato ottenere l’autorizzazione».
DOLOMITIACCESSIBILI:LAPRIMAEDIZIONEDICORTINAOPEN
CorrieredelleAlpi|11luglio2025
p. 30
InclusioneeaccessibilitàprendeilviaCortinaOpen
Marina Menardi / cortina
Le Cinque Torri saranno lo scenario della prima edizione di Cortina Open 2025 – Dolomiti Placetobe, in programma domani e domenica al rifugio Scoiattoli, grazie al connubio tra Dolomiti Open e CortinaSenzaConfini, associazione nata con l'obiettivo di far riconoscere Cortina d'Ampezzo come un esempio di inclusione e di stimolare la riflessione sull'accessibilità in vista delle Olimpiadi e Paralimpiadi 2026. «Il confine è uno stato mentale oltre che fisico», dice Elena Galli, socia fondatrice di CortinaSenzaConfini, «ed il tema dell'inclusività trova convergenza comune in questo evento, capace di creare un volano mondiale perché la montagna, vista come barriera naturale, diviene invece trampolino per lanciare un messaggio universale: ciò che sembra impossibile viene superato con la forza di volontà. Le Dolomiti, Patrimonio dell'Umanità, diventano quindi uno scenario in cui l'individuo con la sua unicità, diviene protagonista attraverso la forza di volontà, dove la resistenza non è solo il parametro della fatica fisica, ma è motore di resilienza applicato alla vita quotidiana». Il programma delle due giornate unisce simbolicamente l'attività alpinistica con parentesi culturali ed artistiche, tra musica e spettacoli teatrali, in sintonia con la mission di CortinaSenzaConfini. «La sinergia tra Dolomiti Open, CortinaSenzaConfini e la fondazione Sportfund Ets», ribadisce Simone Elmi, presidente di Dolomiti Open, «trova terreno comune nell'identificazione del limite fisico come orizzonte mentale, capace di modificare la percezione collettiva verso un'unicità, qual è quella delle Dolomiti, che è forza e non debolezza». I protagonisti saranno persone con bisogni diversi che scaleranno le cime accompagnati dalle guide, non prima di aver posto le loro storie e le loro esperienze al centro dell'evento. Il programma prevede alle 10 di domani il ritrovo dei partecipanti al parcheggio al Col Gallina. Si inizierà con la salita al rifugio Scoiattoli dove alle 16 si terrà la presentazione dell'evento e dei protagonisti, accompagnata da racconti e suoni DoloMitici con il giornalista di montagna Rosario Fichera e la partecipazione altri interpreti. Domenica alle 6 la partenza per la scalata delle Cinque Torri, mentre altri partecipanti potranno svolgere prove libere d'arrampicata sulla parete della palestra di roccia tra le 9 e le 13, salire al rifugio Averau, oppure optare per una pratica di yoga inclusivo con Alice Lazzaro, insegnante di yoga. Alle 11 il momento più emozionante, ovvero l'esecuzione musicale in "botta e risposta", dalle cime, di due musicisti alpinisti per suggellare la giornata attraverso il linguaggio più universale e inclusivo, quello della musica. Alle 14 lo spettacolo teatrale "S-lega – una storia vera". Nel pomeriggio discesa a valle lungo il sentiero Cai 440 con arrivo a Pian dei Menis. Verranno organizzate delle navette per il ritorno al parcheggio di passo Falzarego.
AltoAdige|11luglio2025
p. 14
Doppelmayr,nuovacabinoviadaCampitelloalColRodella
MAURIZIO DALLAGO
BOLZANO
Da funivia a cabinovia. La prima lascia dopo 40 anni di onorato servizio con 22 milioni di passeggeri trasportati. La vedevi passare sopra la valle da Campitello di Fassa al Col Rodella e viceversa. In alto arrivi in pratica a Passo Sella ai piedi del Sassolungo, a collegarsi in inverno al Sella Ronda ed in estate a tutti i sentieri escursionistici nella zona del passo. La vecchia funivia faceva ormai parte del paesaggio. Adesso è chiusa per permettere i lavori del nuovo impianto targato Doppelmayr. Quest’ultimo sarà pronto per il prossimo dicembre. La soluzione scelta è stata una cabinovia trifune con 22 cabine da 30 posti ciascuna. La caratteristica di questo impianto è la presenza di due funi portanti fisse per ogni via di corsa e di una fune traente ad anello che viaggia ad una velocità di 8 metri al secondo. «Nelle stazioni, i veicoli si disammorsano dalla fune traente muovendosi poi ad una velocità ridotta e garantendo quindi un accesso confortevole per i passeggeri», dicono i tecnici. Il sistema trifune combina i vantaggi delle funivie, come quella precedentemente installata sul Col Rodella, con l’elevata capacità di trasporto degli impianti a movimento continuo. È quindi in grado di coprire grandi campate tra i sostegni e di trasportare circa 2.177 passeggeri all’ora nella fase iniziale, con possibilità in futuro di espansione a 2.812 passeggeri ogni ora. Le due nuove stazioni. La stazione a monte è situata in posizione arretrata rispetto alla vecchia stazione della funivia, per consentire un accesso più agevole alle piste da sci senza dover percorrere un tratto in piano. La vecchia stazione viene sostituita da una struttura in vetro sul lato rivolto verso Canazei, mentre il resto della stazione e l’area di sosta delle cabine sono interrati per ridurre al minimo l’impatto ambientale. La stazione a valle, costruita dietro il parcheggio esistente, ospiterà anche l’ufficio della scuola di sci, un deposito, un negozio di noleggio sci e la biglietteria. La società Sitc Spa. L’investimento complessivo di 60 milioni di euro portato avanti dalla società Sitc Spa con sede a Canazei, ha l’obiettivo di offrire un sistema di trasporto più efficiente, sostenibile e in grado di eliminare le lunghe code degli sciatori che fino ad ora si accumulavano con la funivia; la portata oraria precedente, pari a circa 1.000 persone/ora, risultava infatti insufficiente, sia in salita che in discesa. In occasione dei 40 anni la funivia avrebbe richiesto importanti lavori di revisione ed ammodernamento, che non avrebbero in ogni caso migliorato le prestazioni ed il comfort. «Quella del nuovo impianto è - ad oggi - la più grande realizzazione impiantistica intrapresa dalla società. Come fatto 40 anni fa, vogliamo ridare innovazione, comfort e nuova qualità di trasporto ai nostri ospiti, con un impianto che ha una grande importanza durante la stagione invernale ma altrettanto durante l’estate, dal momento che garantisce collegamenti con una fitta rete di altri impianti a fune e di altrettanti itinerari escursionistici estivi», sottolineano i vertici della Sitc Spa. Dislivello di 980 metri e una pendenza massima del 71,3%: l’impianto rappresenterà sicuramente una grande attrattiva turistica per ammirare la bellezza delle Dolomiti e del territorio della Val di Fassa. La Doppelmayr Srl. Il Gruppo Doppelmayr si occupa di impianti a fune per il trasporto di persone, materiali e soluzioni intralogistiche ad alta tecnologia. Lo stabilimento italiano di Lana, occupa 122 collaboratori e si concentra sugli impianti speciali, ovvero progetti unici per ogni commessa come grandi funivie, funifor, funicolari, «people mover» e soluzioni particolarmente impegnative che vengono realizzate in tutto il mondo. Nell’esercizio finanziario 2023/24 Doppelmayr Italia ha raggiunto un fatturato di 70,46 milioni di euro
PELMOD’ORO
2025:ILPREMIOSPECIALEALLAPITTRICERICCARDADEECCHER
CorrieredelleAlpi|13luglio2025
p. 20
Lapittricedellevette«L'alpinismosottovalutaledonne»RiccardadeEccherLapittricedelle vette«L'alpinismosottovalutaledonne»RiccardadeEccher
MARCELLA CORRà
Una donna piena di passioni, prima per l'alpinismo, poi per la famiglia, quindi per la pittura e adesso per le battaglie femministe, che sono, a dire il vero, un tratto costante della sua vita. A Riccarda de Eccher, poco più di 70 anni, nata a Bolzano da una famiglia trentina profondamente irredentista, verrà consegnato il 26 luglio a Calalzo il premio speciale Dolomiti Unesco, nell'ambito del Pelmo d'oro. Divide la sua vita tra gli Stati Uniti e il Friuli, Udine in particolare, dove la famiglia si trasferì quando lei era adolescente. Ma è dalle Dolomiti che non riesce a stare lontano, anche se ha lasciato l'arrampicata da molti anni. «Quella dell'alpinismo è stata una fase durata una decina di anni, che si è conclusa quando ho avuto i figli. Ho sempre pensato che, se ci sono dei figli, bisogna abbandonare l'arrampicata e questo vale sia per le donne che per gli uomini, beninteso». Quando ha cominciato a scalare? «Quando ci siamo trasferiti in pianura io mi sentivo persa senza le montagne. Ho conosciuto l'istruttore di un corso di roccia e ho pensato di provare: la prima salita, prima ancora di finire il corso, è stata una via nuova sulle cime marginali di Riobianco, nelle Alpi friulane. Avevo 18 anni. L'ambiente alpinistico di Udine era però molto conservatore, pensavano che fossi brava, ma che non avrei continuato. A Trieste, dove sono andata per frequentare l'università, c'era tutta un'altra mentalità, la presenza delle donne era assodata». La scelta di abbandonare l'alpinismo attivo è stata legata anche ai tanti lutti vissuti da vicino? «Penso di sì. Tiziana Weiss era una mia grande amica, una grandissima alpinista. Con lei ho scalato la via Tissi sulla Torre Trieste, nel 1977. L'atteggiamento verso le scalate era totalmente diverso da quello di oggi: eravamo amiche, andavamo ad arrampicare, e basta. Non ho neppure una foto di quella salita. Al giorno d'oggi al primo terrazzino raggiunto, scattano una foto e la mettono subito su Instagram. Tiziana morì l'anno dopo sulle Pale di San Martino: toccò a me dare la notizia a sua madre». È stata quella la scalata più difficile? «No, penso che sia stata la Einsenstecken alla Roda di Vael. Ci sono state anche due spedizioni extraeuropee, all'Annapurna III nel 1977 e all'Everest nel 1980. Nella spedizione dell'Everest c'erano diversi alpinisti poi premiati con il Pelmo d'oro, come Masucci e De Marchi. Avvenne prima delle spedizioni commerciali, siamo andati a piedi da Katmandu e ci abbiamo messo 21 giorni: adesso si spostano in elicottero». Dopo oltre dieci anni, finisce per lei l'epoca dell'arrampicata, ma non l'andare in montagna. «Non si può smettere di andare in montagna. Mi sono sposata con un americano e sono andata a vivere in America, ma venivo di frequente in Italia per il mio lavoro, anche perché non potevo stare senza le montagne. Mio marito, quando ci siamo conosciuti, mi ha detto che il posto più alto in cui era stato era la schiena di un cavallo. Ma è uno sportivo e un buon camminatore, ora viene in montagna con me. Non ho bisogno adesso di arrivare in cima, mi godo la fatica, l'atmosfera, la natura». La giuria del Pelmo d'oro l'ha definita una "malata di Pelmite". Come mai questo titolo? «Me l'ha dato un mio compagno di cordata da ragazza. Io gli mandavo continuamente foto del Pelmo e lui mi ha detto: ma sei malata di Pelmite? Dipingo spesso il Pelmo, quando una montagna ha quella bellezza ti sembra di non riuscire a catturarla mai abbastanza: ogni volta che lo guardo mi dico che non riuscirò mai a dipingerlo così bello». Come è iniziata la passione per la pittura? «Ho cominciato a dipingere venti anni fa, senza averlo mai fatto prima. Per molti anni con la famiglia siamo stati in vacanza in un posto meraviglioso nel Tirolo, tra malghe, prati falciati, silenzio e natura, niente a che vedere con la quantità di gente che affollava anche allora le Dolomiti. Un giorno un mio nipote mi chiese i nomi di fiori, io non li sapevo, a parte quelli comuni. Così mi sono procurata un
manuale pieno di fotografie. I nomi dei fiori non li ho imparati, ma ho cominciato a dipingere per riprodurli. E poi ho continuato a casa in America, con delle nature morte. Ho cominciato a fare corsi, a comprare libri: sono un po' fanatica quando mi appassiono a qualcosa. Quando sono tornata in Europa, ho pensato di dipingere le montagne che amo tanto: è cominciata così». Ha al suo attivo molte mostre. «Moltissime. Quest'anno ne ho fatta una in Val Gardena e una ad Amburgo. Dieci anni fa sono stata anche a Oltre le Vette e mi avevano invitata pure l'anno scorso. Mi sono accorta allora che il titolo completo della rassegna è "Oltre le vette – metafore, uomini, luoghi della montagna". Gli ho detto, togliete la parola uomini, mettete una parola più inclusiva, come gente». Eccola qui, la femminista della montagna. «Il mondo dell'alpinismo è ancora prettamente maschile. Penso a quello che succede se una donna alpinista muore in montagna, magari lasciando dei figli piccoli, come è accaduto. Su di lei si scatena il putiferio mentre per un uomo non succede. Organizzo iniziative al Trento Film Festival e in Friuli per dibattere su questi temi. Serve una prospettiva diversa e c'è ancora tanto da lavorare. Ho notato tra l'altro che nell'elenco del Pelmo d'oro, non ci sono molte donne premiate nel corso degli anni. Eppure ci siamo anche noi, ci sono alpiniste fortissime in attività. Dobbiamo liberarci, noi come donne, da quella cultura della sottomissione di cui siamo ancora intrise, senza rendercene conto». Come è cambiato l'alpinismo negli ultimi decenni? «È cambiato in modo inverosimile, bello da alcuni punti di vista: ci sono mille attività che prima non si facevano, ognuno può ritagliarsi il posto che vuole. Ai miei tempi non esisteva neppure l'idea della falesia, adesso c'è gente che arrampica solo lì e in montagna non va mai. È diventato uno sport di massa e spesso si va in montagna totalmente impreparati alle condizioni meteo che possono cambiare in poco tempo. E poi si lamentano tanto che costa caro salire al rifugio Auronzo, per fare il giro delle Tre Cime: ma andateci a piedi. La montagna non è per tutti e per tutte le età: si fa quello che è in armonia per la propria età». Alle Tre Cime è legato da ricordi? «Sono andata su con gli sci una notte di Capodanno con Tiziana Weiss e la mattina dopo abbiamo scalato la Grande di Lavaredo».
CorrieredelleAlpi|27luglio2025
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Pelmod'oro,unpremioaimontanariresilienti
Marcella Corrà / CALALZO
Parte davvero da lontano il presidente della Provincia Roberto Padrin per parlare di montagna e di montanari in occasione della consegna dei premi Pelmo d'oro ieri a Calalzo. Parte dalla luna e da quel 20 luglio 1969 quando il primo uomo ha messo piede sul suolo lunare: prima Armstrong, dopo 19 minuti Aldrin. Sono i due astronauti poi osannati in tutto il mondo. Con loro c'era anche Collins, che sulla luna non è arrivato ma è rimasto sulla navicella Columbia a ruotare attorno alla luna: «Senza di lui, gli altri due non sarebbero tornati a casa». Che c'azzecca, direbbe qualcuno, l'allunaggio con la montagna bellunese? «In Collins ci vedo la montagna, le terre alte, gli abitanti di questi territori affascinanti e difficili, che mostrano panorami da favola ma anche frane che bloccano la viabilità». Vette altissime ma anche lunghe distanze da paese a paese, difficili da colmare. «Territori fondamentali per l'ecosistema, per la cura dell'ambiente: parte integrante di una missione fondamentale, come quella di combattere il cambiamento climatico, di coltivare un rapporto sano tra uomo e natura, di conservare acqua e aria pura, di tramandare quel ritmo naturale che altrove è stato sacrificato sull'altare del consumismo».
Questi montanari resilienti, che amano la loro terra e la curano nonostante le avversità, che passano da una frana ad una tempesta come Vaia, ma che continuano a sceglierla come luogo dove vivere e lavorare nonostante tutto, sono stati al centro degli interventi istituzionali della cerimonia di premiazione, sia quello di Padrin, che quelli dei sindaci di Pedavena Castellaz e di Calalzo Fanton, nel momento del passaggio di consegne tra chi ha organizzato la cerimonia l'anno scorso e chi quest'anno, e del presidente del Consorzio Bim Staunovo Polacco. «Troppo spesso questa montagna è vista come luogo di villeggiatura, un luna park da usare quindici giorni all'anno» ha continuato Padrin, «Invece la montagna è parte integrante del sistema Paese». In diversi hanno fatto cenno alla nuova legge sulla montagna (ad ascoltarli, tra molti sindaci, il senatore Luca De Carlo), sulla cui applicazione sperano in tanti. Ma la cerimonia di Calalzo è stata soprattutto un omaggio agli alpinisti e agli uomini di cultura. Organizzato dalla Provincia, insieme con la casa comune dell'alpinismo (Cai, guide alpine e soccorso alpino) con il contributo del Consorzio Bim, il premio è stato consegnato al vicentino (guida alpina e tecnico di elisoccorso a Pieve di Cadore) Diego Dellai per l'alpinismo in attività, ai fratelli ceki Miroslav e Michal Coubal per la carriera alpinistica e all'agordino Giorgio Fontanive per la cultura alpina. Sono stati consegnati anche tre premi speciali, al medico Alfio De Sandre in memoria di Giuliano De Marchi, al giornalista, scrittore e storico Francesco Chiamulera quello della Provincia e a Riccarda de Eccher, alpinista e artista, quello della Fondazione Dolomiti Unesco. Tanta emozione sul palco e tante storie di alpinismo ma non solo. C'è, ad esempio, la storia del Centro di alcologia di Auronzo, creato da De Sandre, chiuso per alcuni anni per mancanza di personale e riaperto l'inverno scorso, un centro di rilevanza nazionale. C'è la cultura alpina di Fontanive, autore di tanti libri che hanno raccontato e raccontano la storia delle Dolomiti e soprattutto delle sue genti. C'è il femminismo di Riccarda de Eccher, valente alpinista per una decina di anni e ora artista di livello internazionale, che si lamenta delle poche donne finora premiate con il Pelmo d'oro. E ci sono le imprese alpinistiche di un giovane come Dellai e dei fratelli ceki che per scalare le Dolomiti ci arrivarono da "clandestini" nel 1981, quando uscire dalla loro patria era proibito. «Già allora», hanno raccontato grazie all'interprete, «le Tre Cime erano piene di gente, meglio l'Agner e la valle di San Lucano». E infine le rassegne culturali di Francesco Chiamulera a Cortina con "Una montagna di libri".
DOLOMITIEOVERTOURISM:LAPOLEMICACONTROILRICONOSCIMENTOUNESCO
Corrieredell’AltoAdige|31luglio2025
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«DopoilriconoscimentoUnescoleDolomitisonoormaiinvase»
BOLZANO
Dopo settimane di polemiche legate al tornello a pagamento sul monte Seceda di Ortisei, interviene anche l’Alpenverein Südtirol. Georg Simeoni, presidente dell’associazione alpinistica, invita a guardare in faccia la realtà. E a cambiare approccio prima che sia troppo tardi. Simeoni, cosa pensa dell’installazione del tornello? «Capisco il malessere dei proprietari terrieri. Dopotutto, c’è chi non ne può più del comportamento irrispettoso di alcuni turisti. Il problema più grande, secondo me, è proprio questo: molta gente non sa come ci si comporta in montagna. Se tutti avessero rispetto della natura, non saremmo arrivati a questo punto. Ma
finché si continua a portare la massa comodamente in quota con la funivia, senza che le persone abbiano consapevolezza sulla fatica che si deve provare in montagna, la situazione peggiorerà». Il gestore dell’impianto del Seceda ha detto di voler potenziare la funivia. Potrebbe essere una soluzione? «Al contrario: si sposta il problema dalla valle all’alta quota, non lo si risolve. Se triplichi il numero di persone che salgono, aumenti anche la pressione esercitata sulla natura. In quota, gli spazi sono limitati. Una cosa, infatti, è chiedersi come gestire il turismo di massa, un’altra è chiedersi quanto una montagna può davvero reggere. E in alcuni punti, quel limite lo abbiamo già superato». Serve quindi un tetto agli accessi? «Sì, bisogna trovare un modo per contingentare. Al Lago di Braies e alle Tre Cime di Lavaredo pare funzioni. Non ci sono alternative: il turista va educato. Il problema non sono gli escursionisti veri, ma il turismo del selfie, del mordi e fuggi. Chi sale solo per fare uno scatto e se ne va lascia un impatto enorme. E non porta neanche valore al territorio». Qual è, secondo lei, l’errore più grave fatto finora? «Il riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio mondiale Unesco: lo avevamo accolto pensando che fosse un “marchio” di protezione per le montagne e invece è diventato un puro strumento di marketing. Da lì è partita ogni cosa: un’onda comunicativa globale, arrivata oltreoceano, dove Dolomiti - Unesco ormai è un tutt’uno. Ma la tutela non si fa con i riconoscimenti, si fa con le regole e con il coraggio di applicarle». Anche il traffico sui passi è un nodo cruciale. «Lo diciamo da vent’anni, assieme al Cai: servono chiusure temporanee. Non si tratta assolutamente di bloccare tutto, come spesso è stata ribaltata la proposta, ma di regolare il traffico. Chi lavora può passare, ma chi sale solo per svago, in certe fasce orarie, dovrebbe usare i mezzi pubblici. Le Dolomiti non sono piste panoramiche per auto e moto». Nel caso del tornello al Seceda, la Provincia rimanda al Comune e il Comune rimanda alla Provincia. Che idea si è fatto? «Il solito gioco di rimpalli della politica. Parlano, commissionano studi, ma poi non decidono. Sui passi dolomitici non so quanti studi hanno fatto, eppure non arrivano mai al dunque. E nel frattempo la pressione aumenta. Sappiamo che è difficile: ci sono due Province e una Regione coinvolte. Ma serve volontà politica. Senza quella, è inutile, non si va da nessuna parte».
NOTIZIEDAIRIFUGI
CorrieredelleAlpi|1luglio2025
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PrimailfulminepoiilrogoDistruttalatelefericadelrifugioPiandeFontana
DAMIANO TORMEN
LONGARONE Fiamme e distruzione, a Pian de Fontana. È bastato un fulmine, nel bel mezzo del temporale, a disintegrare la teleferica di servizio del rifugio, che prende nome proprio dalla località (alla testata della Val dei Ross, ai piedi del Talvena, su un pascolo alla base delle conche glaciali dei Van de Zità, sotto il gruppo montuoso della Schiara, nel cuore del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi). Erano all'incirca le 17, ieri, quando una saetta ha colpito la stazione d'arrivo dell'impianto a fune (quella di partenza si trova a valle, poco sopra la località Casere Grisol di dentro). In un attimo la piccola tettoia è diventata un rogo. Le fiamme si sono sviluppate nel giro di pochissimi minuti, e hanno divorato ben presto l'intera struttura della stazione di arrivo (un casotto aperto sui quattro lati). Fortunatamente non c'erano persone nelle
immediate vicinanze, per cui non risultano feriti. Ma l'incendio ha distrutto completamente la teleferica, dato che le funi della teleferica sono state tranciate dalle elevate temperature sprigionate dal rogo. Di fatto, l'impianto non esiste più ed è un danno enorme per il rifugio Pian de Fontana (piazzato a 1.600 metri di altitudine), che proprio su quella teleferica basava gran parte della propria attività (tutto il materiale che serve al normale funzionamento del bar e punto ristoro veniva portato in quota con il sistema a fune; l'alternativa è trasportarlo a spalla lungo il sentiero che parte qualche chilometro dopo Soffranco, all'incirca 3 ore di camminata). Un danno enorme tanto più se si pensa che il Pian de Fontana si trova sulla direttrice dell'Alta via n.1 (dal lago di Braies a Belluno) di cui rappresenta una tappa fondamentale; e tanto più se si considera che è appena cominciata la stagione dell'escursionismo (il rifugio solitamente è aperto da inizio giugno a fine settembre), con camminatori che arrivano da tutta Europa per affrontare l'avventura dell'Alta via. «Il danno andrà calcolato, ma di certo la teleferica al momento è inservibile» spiegava ieri Roberto Padrin, sindaco di Longarone, nel cui territorio sorge il rifugio. «Chissà quanto ci vorrà per ricostruirla... Quello che è accaduto ci lascia un grandissimo dispiacere per il rifugio, ma soprattutto per Elena e Antonio che lo gestiscono da anni con tanto amore e passione. Senza teleferica sarà durissima mandare avanti la stagione estiva, ma i due gestori sapranno gettare il cuore oltre l'ostacolo. Cercheremo insieme le possibili soluzioni». Il sindaco Padrin è stato chiamato dal presidente del Cai di Longarone, Antonio De Bona, che aveva appena saputo dell'incendio. Anche i vigili del fuoco sono stati allertati per le fiamme. E avevano già predisposto un volo con l'elicottero per raggiungere la località interessata dall'incendio. Ma il temporale ha impedito il decollo. I pompieri saliranno molto probabilmente stamattina - condizioni meteo permettendo - per verificare la situazione ed eventualmente operare la bonifica dell'area del rogo. Damiano Tormen © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Corrieredell’AltoAdige|2luglio2025
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RifugioLocatelli,vialiberaalrisanamento
Silvia M. C. Senette
BOLZANO
Aria di novità sulle Tre Cime di Lavaredo: la giunta provinciale ha dato il via libera a un intervento infrastrutturale cruciale per il Rifugio Locatelli. Un pacchetto che promette di rivoluzionare la gestione e la sicurezza in un’area delle Dolomiti iconica e fortemente frequentata, con oltre 160mila visitatori annuali e picchi di duemila presenze giornaliere nei periodi di maggiore affluenza. Su proposta dell’assessore alle Opere pubbliche, Christian Bianchi, ieri è stata deliberata la copertura radio, l’elettrificazione permanente, un nuovo sistema per lo smaltimento delle acque reflue e la connessione dati in fibra ottica per il rifugio. «Con questo progetto garantiamo maggiore sicurezza e sostenibilità ambientale» ha dichiarato Bianchi sottolineando come l’intervento permetterà «alle squadre di soccorso di operare in modo più efficiente e ridurrà significativamente l’impatto ambientale delle strutture esistenti». Il progetto prevede l’installazione di due antenne radio sul tetto del Rifugio Locatelli per assicurare comunicazioni stabili, vitali per la sicurezza e l’attività delle organizzazioni di soccorso. L’elettrificazione, con l’allacciamento alla rete di media tensione, sostituirà i due generatori diesel attivi solo in estate, risolvendo il problema dei consumi elevati e delle emissioni inquinanti.
Sarà inoltre realizzato un nuovo collettore fognario al posto dell’impianto biologico del 2001, sottodimensionato e fonte di odori molesti, infiltrazioni e problemi di manutenzione. Il rifugio avrà infine la sua prima connessione dati in fibra ottica, in grado di fornire un canale di backup per le comunicazioni radio e supportare la digitalizzazione dei servizi in quota. Le infrastrutture saranno posate congiuntamente, lungo un unico percorso di 4.624 metri che dal rifugio scende attraverso l’Altensteintal fino al Rifugio Fondovalle. Un investimento totale di 3,8 milioni di euro, così ripartiti: 1,8 milioni per l’allacciamento elettrico, altrettanti per la rete fognaria e 270 mila euro per il collegamento in fibra ottica. «Grazie a un unico tracciato si realizzeranno più infrastrutture essenziali, in modo coordinato e con il minimo impatto sul paesaggio» ha concluso Bianchi. Un passo significativo per la salvaguardia e la fruibilità di un’area naturalistica di pregio. Il rifugio Antonio Locatelli Sepp Innerkofler sorge nel parco naturale altoatesino delle Tre Cime a un’altitudine di 2.450 metri. Fu creato per iniziativa di Karl Stemberger, proprietario dell’hotel Post di Sesto, che nel 1881 propose di costruire un rifugio per la sezione Alta Pusteria dell’Alpenverein presso la forcella di Toblin.
CorrieredelleAlpi|4luglio2025
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IlComunesimobilitaperripararelateleferica
Longarone
Solidarietà ai gestori del rifugio Pian de Fontana dal Parco e dal Comune, proprietario della struttura, mentre lo stesso Comune annuncia che di essersi attivato per ripristinare al più presto la teleferica messa fuori uso lunedì scorso da un fulmine che ha colpito la stazione di arrivo, incendiandola. Solidarietà la esprime il commissario del Parco nazionale Dolomiti bellunesi, Ennio Vigne. «Siamo molto dispiaciuti per quanto è successo, proprio all'inizio della stagione estiva, quando il flusso degli escursionisti sull'Alta via numero 1 è più importante», dice Ennio Vigne. «Da sempre collaboriamo con il rifugio e con il Cai, sosteniamo la manutenzione della struttura e della sentieristica, e anche in questo frangente ci rendiamo disponibili per supportare il rifugio». Il sindaco di Longarone, Roberto Padrin, da parte sua sottolinea che si tratta di «un danno enorme che renderà inutilizzabile la teleferica per diverso tempo». «Il Comune ha già contattato un professionista del settore per mettere a punto l'intervento di ripristino», assicura comunque il sindaco Padrin. «Un grazie al Cai di Longarone per essersi subito attivato, ai vigili del fuoco, ai carabinieri del Parco per esser intervenuti prontamente. Un abbraccio ad Antonio ed Elena che da anni gestiscono il rifugio comunale con passione, entusiasmo e dedizione». © RIPRODUZIONE RISERVATA
CorrieredelleAlpi|9luglio2025
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RaccoltafondiperPiandeFontanaIlCaigiàallavorosullateleferica
Enrico De Col / longarone
Mobilitazione attiva della sezione Cai di Longarone per raccogliere fondi per ripristinare l'impianto della teleferica del rifugio Pian de Fontana. Il Cai longaronese, che ha la gestione del
rifugio di proprietà del Comune di Longarone, si è attivato sin dalle prime ore dopo il maltempo che ha duramente colpito l'impianto terminale della centralina che ha anche preso fuoco. Un fulmine aveva incendiato la cabina e tranciato i cavi, a seguito una ditta specializzata si è prodigata per cercare di contenere la situazione che rimane critica dato che di fatto è stata quasi completamente distrutta. La teleferica è infatti fondamentale per i servizi del rifugio e intanto in questi giorni i volontari si sono prodigati per portare, anche manualmente a spalla sui sentieri, le merci necessarie per garantire la corretta attività del rifugio. Dopo il pronto intervento dei Vigili del fuoco e dei Carabinieri del Parco e l'azione del Comune di Longarone che aveva subito contattato un professionista del settore per mettere a punto l'intervento di ripristino, l'esatta stima economica è ancora in corso, ma intanto il Cai ha preso la decisione di far partire una sottoscrizione per tutti coloro che vogliono dare una mano. «In molti ci stavano contattando per poter fare qualcosa a sostegno del Rifugio Pian de Fontana a seguito di quanto accaduto», scrivono dal Cai di Longarone, «abbiamo quindi pensato di aprire una raccolta fondi per fronteggiare le spese che ci saranno. Questo fine settimana sono iniziati i rifornimenti tramite elicottero e con il sostegno di alcuni volontari che hanno portato alcune attrezzature e merci necessari. Ad oggi non si sa ancora di preciso a quanto ammontano i danni e quali saranno gli interventi scelti per arrivare ad una soluzione del problema che arriva in un momento particolarmente difficile perché è stata da poco avviata la stagione di apertura. Sicuramente un contributo anche economico sarà di enorme aiuto per permetterci di sostenere anche economicamente i gestori Elena Zamberlan e Antonio Tedde. Faremo presto sapere se si potrà contribuire anche fisicamente alla riqualifica di tutte le parti danneggiate. Invitiamo tutti coloro che vogliono aiutare a dare una somma: intanto grazie a tutti per la vicinanza ed attenzione». Per chi vuole contribuire alla raccolta fondi per la teleferica è stato quindi creato un conto corrente gestito dal Cai di Longarone all'IBAN IT69C0200861180000041136765 con causale "donazione Rifugio Pian de Fontana".
L’Adige|12luglio2025
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Fognature,accessilimitatiairifugi
SÈN JAN
Sono materialmente cominciati i lavori di posa del nuovo collettore delle acque nere che risolverà il grave problema delle infiltrazioni dei reflui nei terreni e dell’inquinamento delle falde acquifere e degli acquedotti della zona di Tamion e Vallongia, nel comune di Sèn Jan. Aggiudicati dal Servizio appalti della Provincia di Trento il 22 gennaio scorso, solo con il bel tempo la ditta Lago Rosso sc di Ville d’Anaunia ha potuto avviare i cantieri, ora in corso. Ma proprio la necessità di lavorare durante la bella stagione ha costretto il sindaco del Comune interessato, Giulio Florian, a ordinare il divieto di transito ai veicoli e ai pedoni su una serie di percorsi di accesso alle strutture che beneficeranno dei nuovi scarichi allacciati alla rete di Vigo di Fassa. Dallo scorso 1° luglio e fino alla fine dei lavori (comunque non oltre il 19 dicembre prossimo), non si potrà transitare sulla strada forestale “de Vael” dalla località “Pian de Bee” alla località “Mandra de Vael”, così come sul sentiero Sat E547 per l’intero tratto esistente e sul sentiero E545, sempre della Sat, tra “Mandra de Vael” (a quota 2106) e i rifugi interessati. La ditta appaltatrice dovrà comunque garantire il passaggio dei rifornimenti diretti alle due attività turistiche tra le 19 e le 6.30 del mattino. Va chiarito che i rifugi sono comunque raggiungibili
tramite il sentiero 548 che parte dal Passo di Costalunga (dislivello 530 metri, lunghezza 3,5 km), o percorrendo i sentieri 539 e 549 e poi salendo al rifugio Paolina con la seggiovia omonima (dislivello 150 metri, distanza di 2 km) o ancora dal “Vial de le feide” (Sentiero delle Pecore), salendo sino al Ciampedie con l’omonima funivia (dislivello di 300 metri, distanza di 4,5 km).
CorrieredelleAlpi|13luglio2025
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IlGalassidiventaunlaboratorioperstudiareilclimachecambia
Francesco Dal Mas / CALALZO
Il rifugio Galassi, ai piedi dell'Antelao, accessibile dalla Val d'Oten ma anche da San Vito di Cadore, è destinato a diventare un laboratorio scientifico a livello universitario sugli effetti dei cambiamenti climatici. Come si esauriscono i ghiacciai. Perché si scioglie il permafrost e si verificano i crolli e le colate detritiche. Quanta autonomia hanno le sorgenti in quota. In che modo la vegetazione riconquista le quote rocciose o ghiaiose, spinta dal riscaldamento. Sono tutti approfondimenti che hanno potuto realizzare gli studenti dell'ateneo Ca' Foscari di Venezia partecipando, in collaborazione con la Fondazione Dolomiti Unesco e il Cai regionale, alla quattro giorni di convegno sul tema "Risorsa Acqua dalle Dolomiti al Mare - I ghiacciai e la loro conservazione", promosso dal Comune di Venezia e Città metropolitana. Un'esperienza giunta alla quarta edizione che anno dopo anno si è arricchita di temi, riflessioni, contributi, testimonianze, non solo da parte del mondo della politica ma anche di quello scientifico, dal popolo della montagna e da quello del mare. LO SGUARDO AL FUTURO «Con questa edizione dei lavori abbiamo posto le premesse», spiega Francesco Abbruscato, presidente regionale del Cai, «per diventare sede, come rifugio Galassi, dei prossimi summer school che potrebbero svilupparsi ai 2000 ed oltre metri di questo incantevole sito per lo studio di come si sta trasformando l'ambiente, dei problemi relativi all'acqua, attraverso una collaborazione sempre sinergica tra il Cai, l'Università e l'Unesco». SOPRALLUOGHI SUL CAMPO Gli universitari e quanti altri hanno potuto partecipare ai corsi hanno toccato con mano gli effetti del cambiamento del clima. Sono stati portati a verificare le sorgenti: quella dell'Antelao, ai piedi del ghiacciaio, si è esaurita, l'altra, sulla montagna al di là della forcella, lo Scoter, è invece ancora attiva, tra l'altro perché in vetta è rimasta della neve. «Ma noi quassù raccogliamo anche l'acqua piovana, abbiamo le cisterne belle piene; ci servono per i servizi igienici». Salendo lungo la normale dell'Antelao, poi, il gruppo ha anche potuto rendersi conto di quanto la roccia sia friabile e di come si originano i crolli. «Sul pilastro tra i due canaloni dell'Antelao, dove corre la via Olivo, abbiamo scoperto una grossa frana che è in movimento. E che si sta ampliando sempre di più. La vediamo molto bene perché la parete da grigia sta diventando gialla e sono ben visibili anche dei crolli che avvengono soprattutto all'inizio di stagione». I TEMI DEL FOCUS Sono stati molteplici i temi affrontati nel corso delle quattro giornate: risorse idriche sulle montagne, attività di ricerca del Cai, la fauna nei corsi d'acqua e la presenza di piante acquatiche sono le tematiche che hanno concluso i lavori del primo focus. "Dalle Dolomiti al mare" si è svolta grazie anche alla collaborazione e al contributo di Consiglio nazionale delle Ricerche, ufficio regionale Unesco per la Scienza e la cultura in Europa, Fondazione Dolomiti Unesco e Europe Direct Venezia Veneto, Città metropolitana di Venezia, Consorzio di Bonifica Acque Risorgive, Università Ca' Foscari, Fondazione Venezia capitale mondiale della sostenibilità.
CorrieredelleAlpi|27luglio2025
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Rifugi,glistranierisalvanolastagionePioggiaefranescoraggianogliitaliani
Francesco Dal Mas / BELLUNO
Sono gli stranieri a salvare questo inizio di stagione. Almeno in alta, anzi in altissima quota. Lo dicono i gestori dei rifugi alpini: i pernotti sono al 90 per cento di stranieri. E gli italiani stanno diminuendo del 70 per cento. Alpinisti ed escursionisti che arrivano da ogni parte del mondo, dal Nord America in larga parte ma non solo. Latitano soltanto gli israeliani; anzi, le uniche disdette (perché le prenotazioni erano arrivate ancora l'anno scorso) arrivano proprio da loro. il trend «Piove, c'è maltempo? Nessuna preoccupazione» ammette Oscar Canzan, presidente dell'associazione Agrav, che raggruppa i rifugisti del Veneto, «L'alpinista straniero non ha paura della pioggia. Neppure di qualche frana o colata». Canzan gestisce il rifugio Aquileia, in Val Fiorentina. Siamo sull'Alta Via n1 «Abbiamo avuto un inizio stagione davvero rassicurante. Se la prossima settima è prevista pure la neve, speriamo che il maltempo si risolva in pochi giorni. Il fatto è che il pernottamento è al 90% di stranieri, di gente che arriva anche dai paesi più lontani, mentre gli italiani si vedono solo a pranzo, oppure nei fine settimana». Dunque, americani, canadesi, coreani, australiani, appassionati da Singapore, nordeuropei, tedeschi, francesi, spagnoli, inglesi. «Dagli israeliani abbiamo avuto disdette perché, ci hanno detto, sono venuti meno i voli. Ma, probabilmente, la motivazione è un'altra, comprensibile». Di solito le Alte Vie sono frequentata da giovani israeliani, o comunque escursionisti di età fino ai 40 anni. Quindi, tutti in età di arruolamento. «In verità, qualche israeliano lo vediamo ancora sull'Alta Via nr2» ci confida sebastiano Zagonel, che gestisce il rifugio Mulaz, sopra Falcade, con panorama maestoso, dal Civetta alla Marmolada, fino alle Pale di San Martino, «In ogni caso, la stagione sta registrando un trend positivo. Peccato soltanto che di italiani ne vediamo ben pochi. Si affacciano soltanto nel fine settimana. E non ci spieghiamo questo forfait proprio nella stagione in corso. Anzi, possiamo dire che il mese di luglio non fosse stato per gli stranieri, avremmo potuto tener chiuso. Forse loro hanno una mentalità diversa: nella testa sanno che non siamo fatti di zucchero, la pioggia non ci scioglie». Zagonel fa riferimento al maltempo, che non è mancato dopo le giornate accattivanti di un sole straordinario. pochi italiani Vuoi vedere –proviamo ad azzardare – che l'escursionista italiano cerca probabilmente un maggiore comfort rispetto a ciò che può garantire uno dei 40 rifugi alpini del Cai? «Sia chiaro, io ho dedicato una vita al rifugio alpino, sì quello con le camerate e l'alimentazione sostanziosa ma sobria. Se il Cai mi chiedesse di cambiare metodo (ma non succederà), io prenderei il largo. Ho fatto una scelta di vita e vorrei proseguire con quella scelta. Siamo nati così e dobbiamo mantenere alto e orgogliosamente questa caratteristica, credo. D'altra parte, l'escursionista straniero ci apprezza proprio per questo». Gli italiani sono calati pesantemente. Ma Zagonel è convinto che potrebbero recuperare in agosto. E lassù, sul rifugio più alto delle Dolomiti, il Torrani, in cima al Civetta, come sta andando la stagione? «Speriamo che migliori" risponde significativamente Venturino De Bona. I suoi clienti arrivano per la maggior parte scalando la Alleghesi, lungo la parete nord del Civetta: «Anche noi, quassù, abbiamo la quota più consistente composta da alpinisti ed escursionisti stranieri. In verità abbastanza tedeschi, poi francesi, spagnoli, americani». Gente esperta, dunque, anche perché il sentiero di accesso più semplice, quello dalla val Zoldana, è comunque complesso, faticoso, molto lungo. Ma oggi arriverà una compagni di tesserati Cai di Conegliano, la sezione che ha la titolarità del rifugio. «Sarà
l'occasione» anticipa De Bona «per farmi spiegare quando inizierà la ristrutturazione di questo nido d'aquila. La neve, in questi giorni, non ha fatto capolino. Venturino la aspetta per domani o dopodomani. «E poi speriamo nel bel tempo, in modo anche noi di recuperare un po' di italiani nel mese di agosto». i disagi De Bona ritiene, che a riguardo della carente presenza di connazionali, possa aver inciso anche la paura di crolli, di distacchi, frane e colate. «Certo, bisogna stare attenti, da parte di chi arrampica, ma il percorso normale è al sicuro. Il Civetta non è una montagna che tradisce; d'altra parte, si sa quali sono i suoi punti deboli. Li si conosce. E li si evita».
CorrieredelleAlpi|31luglio2025
p. 34
Viaggiaresicuricon"Alpiontheroad"
LeDolomitinellaguidaLonelyPlanet
l'iniziativa
Dai passi alpini iconici, ai paesi più remoti, passando per laghi e città: "Alpi on the road" è la nuova guida attività Lonely Planet – in collaborazione con Uncem – che contiene 50 itinerari da percorrere in auto, moto o camper. E le Dolomiti fanno il loro ingresso a testa alta. I percorsi si snodano lungo tutto l'arco alpino, da Monaco a Trieste, collegando Italia, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria e Slovenia. Un volume pensato per chi desidera vivere un'avventura indimenticabile nel pieno rispetto dell'ambiente alpino. Scritta dagli autori Lonely Planet Piero Pasini e Denis Falconieri, che del volume è anche il curatore, la guida propone 25 itinerari in Italia – dalle Alpi Marittime alle montagne friulane, passando per i grandi Quattromila e le nostre Dolomiti – e 25 percorsi oltre confine, alla scoperta di alcune delle aree alpine più spettacolari: Grenoble, Megève, Chamonix, Annecy in Francia; Crans-Montana, Zermatt e l'Oberland Bernese in Svizzera; il Tirolo, il Grossglockner, Klagenfurt e Graz in Austria; Lubiana e le Alpi della Slovenia. Ogni percorso è studiato per guidare il viaggiatore lungo strade panoramiche e suggestive, accompagnandolo con mappe dettagliate e indicazioni chiare tappa dopo tappa. Non manca l'attenzione alla parte organizzativa: la guida include consigli pratici sull'abbigliamento da montagna e sulla sicurezza, con innumerevoli suggerimenti per chi desidera svolgere attività outdoor, con livelli di esperienza diversi, dall'escursionismo alla bicicletta o alle gite in battello. Una sezione è dedicata a chi viaggia in moto o in auto, con accorgimenti sulla guida in montagna, la stagionalità dei valichi alpini e le specificità dei percorsi ad alta quota. «Nel 1984 usciva la prima edizione di un libro che è rimasto pietra miliare nella storia delle politiche per la montagna. Il geografo Warner Batzing pubblicava Le Alpi. Un faro per comprendere le geografie europee. Poco dopo sarebbero arrivate una serie di iniziative istituzionali come la Convenzione delle Alpi e poi la cooperazione transnazionale con Spazio alpino, da ultimo nel 2013 la Strategia macroregionale alpina. Sette Stati, 70 milioni di abitanti, 48 regioni. È da qui che siamo partiti, Lonely Planet e Uncem», evidenzia Marco Bussone, presidente nazionale Uncem, che ha ispirato la guida, «per un racconto delle Alpi On the Road, da attraversare e da vivere, nella prima guida turistica che unisce la regione unica al centro dell'Europa, le Alpi-cerniera che non sono più barriera fra gli Stati, ma da solcare per scoprire
come stanno cambiando i paesi, come si modificano i versanti, i terrazzamenti e le foreste, le montagne, l'accoglienza, i campanili». Il volume è arricchito da approfondimenti culturali – sulla storia locale, le tradizioni, le identità linguistiche - fa focus sulle Green Community e da sezioni dedicate alle soste gastronomiche e alle specialità regionali. Le numerose fotografie a colori restituiscono la bellezza e la varietà del paesaggio alpino, dalle cime innevate ai borghi di pietra, dai laghi cristallini agli alpeggi. Alpi on the road è una guida per viaggiatori curiosi, consapevoli e indipendenti, scritta, verificata e testata per chi ama costruire il proprio itinerario giorno per giorno, con il piacere della scoperta e lo sguardo sempre rivolto al viaggio. «Questi itinerari sono i migliori per scoprire innovazione, trasformazioni, grandi opportunità, ma anche la capacità di stare nelle grandi transizioni. Come le Alpi affrontano le crisi climatica e demografica, lo spopolamento, e come le comunità locali che abitano migliaia di piccoli paesi stanno in relazione e dialogano con le città. Questi itinerari partono infatti dai capoluoghi, dove ci sono stazioni, aeroporti, hub di merci, ma anche università, centri di ricerca, grandi imprese. Le città» prosegue Busone, «che guardano alle valli alpine per andarle a scoprire in modo nuovo, con nuovi occhi rinnovati dalla scelta di affrontare le crisi di oggi con le risposte di domani. Insieme. Comunità nella sostenibilità, green community che dimostrano come i Comuni alpini di tutti e sette i Paesi sanno crescere nel "noi", oltre i campanilismi. Un nuovo fronte anche di accoglienza, oltreché di vivibilità che fa bene a tutto il vecchio continente».
Gazzettino|31luglio2025
p. 8, edizione Belluno
Un'accattivante immagine del passo Giau, con i colori dell'autunno, illumina la copertina della nuova guida Loneny Planet "Alpi on the road", che propone cinquanta itinerari su strada, da compiere sull'arco alpino. I percorsi si snodano da Monaco a Trieste, fra le montagne di Italia, Francia, Svizzera, Liechtenstein, Germania, Austria e Slovenia. Venticinque sono in Italia, gli altri all'estero, a scoprire località spettacolari come Grenoble, Megeve, Chamonix, Annecy, Crans Montana, Zermatt, l'Oberland Bernese, il Tirolo, il Grossglockner, Klagenfurt, Graz, Lubiana e le Alpi della Slovenia. IL FILO CONDUTTORE C'è un concetto che ricorre: le Alpi non dividono, ma uniscono. Per riassumere tutto questo, nella prima immagine della guida, sulla copertina, è stato scelto il passo Giau, destinazione degli antichi camminatori, come testimoniano i ritrovamenti archeologici di Pra Comun, dove lasciarono le loro tracce i cacciatori del Mesolitico, diecimila anni fa. Quel valico, così aperto di prati e senza ostacoli naturali difficili da superare, come pareti rocciose, per millenni ha unito le vallate e accolto i viandanti. Lo fa ancora oggi, dischiuso sui due versanti, a ridosso della balconata di roccia dei Lastoi de Formin, verso la Tofana e la conca d'Ampezzo da una parte, con lo sguardo che supera la Marmolada e va a mille cime, dall'altra. Ogni percorso della guida è studiato per guidare il viaggiatore lungo strade panoramiche e suggestive, accompagnandolo con mappe dettagliate e indicazioni chiare. C'è tanta attenzione alla parte organizzativa: la guida include consigli pratici sull'abbigliamento da montagna e sulla sicurezza, con suggerimenti per chi desidera svolgere attività all'aperto, con livelli di esperienza diversi, dall'escursionismo alla bicicletta o alle gite in battello, sulle acque raccolte fra le montagne delle Alpi. Una sezione è dedicata a chi viaggia in moto o in auto, con accorgimenti sulla guida in montagna, la stagionalità dei valichi alpini e le specificità dei percorsi ad alta quota. Un ruolo importante nella stesura della guida l'ha avuto Unione nazionale comuni comunità enti montani; il presidente regionale Marco Bussone sottolinea: «Sette stati, 70 milioni di abitanti, 48 regioni. È da qui che siamo partiti, Lonely Planet e Uncem, per un racconto delle Alpi "On the road", da attraversare e da vivere, nella prima guida turistica che unisce questa regione unica al centro dell'Europa. Le Alpi cerniera non sono più barriera fra gli stati, ma sono da solcare, per scoprire come stanno cambiando i paesi, come si modificano i versanti, i terrazzamenti e le foreste, le montagne». M.Dib. © RIPRODUZIONE RISERVATA.