R A S S E G N A S T A M P A
GIUGNO 2025
R A S S E G N A S T A M P A
GIUGNO 2025
Corriere del Veneto | 15 giugno 2025
p. 3, edizione Treviso – Belluno
Un boato tra San Vito e Cortina Crolla un pezzo di Cima Marcora
san vito di cadore (belluno)
A metà del pomeriggio un rumore sordo e poi tutti con gli occhi all’insù, per capire cosa stesse accadendo. Una frana imponente ha scosso attorno alle 17 di ieri l’area dolomitica tra San Vito di Cadore e Cortina d’Ampezzo, nel Bellunese. Dopo due ore di pioggia intensa, un’enorme quantità di materiale roccioso si è staccata da Cima Marcora, generando un impressionante boato udito distintamente anche nel centro abitato di San Vito e alzando una densa nuvola di polvere visibile a chilometri di distanza. Il distacco ha interessato parzialmente la strada statale 51 di Alemagna, principale arteria di collegamento tra Belluno e la zona di Cortina. I mezzi in transito sono stati investiti dalla nube polverosa, causando attimi di forte preoccupazione tra gli automobilisti. Fortunatamente non risultano persone coinvolte o ferite. Immediata la mobilitazione dei soccorsi: sul posto sono intervenuti i volontari del soccorso alpino, i vigili del fuoco e i carabinieri per verificare l’estensione del crollo e l’eventuale presenza di escursionisti nella zona. La montagna in questione, infatti, è attraversata da numerosi sentieri frequentati soprattutto nella bella stagione: «Il traffico lungo la strada statale 51 – ha dichiarato l’assessore regionale all’Ambiente Gianpaolo Bottacin – è stato temporaneamente rallentato ma ha ripreso a scorrere dopo poco tempo. La nube di polvere è rimasta visibile a lungo ed era piuttosto densa, ma non ci sono state segnalazioni di persone disperse né richieste di intervento al numero verde della Protezione Civile». A Cortina è stato attivato il Centro Operativo Comunale, mentre a San Vito il sindaco Franco De Bon si è recato personalmente sul posto per effettuare le prime verifiche. Il coordinamento con i primi cittadini dei Comuni coinvolti è stato tempestivo e i contatti con i vertici del soccorso Alpino confermano che la situazione è tornata rapidamente sotto controllo, anche se in continuo monitoraggio. Le cause del crollo vengono ricondotte, secondo i primi rilievi, a una combinazione di fattori naturali. Il geologo Franco Fiamoi ha spiegato come la dinamica possa essere stata innescata dalle temperature eccezionalmente alte registrate negli ultimi giorni, anche in alta quota: «La dilatazione termica della roccia, unita alle piogge intense delle scorse settimane e a un forte temporale poco prima del crollo, può aver aggravato la fragilità strutturale delle masse rocciose. Le Dolomiti sono meravigliose ma vulnerabili: le fratture esistenti nei versanti, sottoposte a sbalzi termici improvvisi, possono cedere con effetti anche impressionanti». Una frana come quella avvenuta sotto la punta del Marcora non è del tutto inaspettata in contesti simili: le strutture geologiche, formate da calcari dolomitici stratificati, sono soggette a erosione, instabilità e processi di disgregazione accelerati dal clima estremo. A rassicurare la popolazione ha pensato il sindaco di San Vito di Cadore, Franco De Bon: «C’è stata molta paura, il boato è stato fortissimo e la polvere ha invaso l’aria per diversi minuti. Ma possiamo dire con sollievo che il crollo si è verificato in una zona fortunatamente meno pendente e distante dalla strada e dai centri abitati. Nessuna casa è stata colpita e non ci sono stati feriti. È stata un’immagine impressionante, certo, ma al momento non rileviamo conseguenze serie». L’evento, sebbene fortunatamente non abbia causato danni a persone o infrastrutture, ha colpito molto la popolazione, che ha diffuso decine di video sul web nel tardo pomeriggio di ieri. In un contesto climatico sempre più instabile e caratterizzato da fenomeni estremi, anche le montagne iconiche come le Dolomiti diventano teatro di eventi imprevedibili e potenzialmente pericolosi: «È una caratteristica specifica delle Dolomiti quella di essere friabili – ha concluso Bottacin – i ghiaioni si sono formati così nel corso del tempo e bisogna mettere in preventivo anche situazioni come quella di ieri».
Corriere delle Alpi | 15 giugno 2025
p. 31
Forte boato e imponente nube a San Vito Crolla un pezzo della croda Marcora Alessandro Michielli / san vito Si stacca un pezzo della cima Marcora e provoca una frana. Ieri pomeriggio, poco prima delle 17 e dopo due ore di intensa pioggia, si è verificato un importante crollo di materiale dalla croda Marcora, a San Vito di Cadore. Il distaccamento, provocata dalla pioggia caduta nell'area dopo diverse giornate di bel tempo, ha generato una nube imponente, mitigata in parte dalle precipitazioni ma ben visibile da San Vito e Cortina. Il materiale caduto si è fermato sul bacino sovrastante l'Alemagna e non ha invaso le carreggiate, anche se i mezzi che transitavano lungo la statale 51 sono stati ricoperti dalla polvere prodotta dal crollo. A rischiare di più è stato un motociclista, che all'improvviso si è ritrovato completamente ricoperto di polvere bianca, trovandosi così in difficoltà a manovrare il mezzo. Il centauro si è fermato poco dopo al distributore Q8 di San Vito per ripulire la visiera del casco. Al momento del cedimento della montagna, a San Vito si è sentito un forte boato: la nube creata dai detriti ha limitato la visibilità e in un primo momento ha frenato l'intervento dei soccorritori (Soccorso alpino, vigili del fuoco e i carabinieri) giunti sul posto. Le prime verifiche si sono concentrate sugli stalli ai piedi della montagna, per capire se ci fossero auto parcheggiate da qualcuno che aveva affrontato i percorsi della zona. Appena la nube l'ha permesso, i volontari del Soccorso alpino hanno mandato in quota alcuni droni dotati di termocamera per verificare che non ci fossero persone coinvolte. Al momento della chiusura del giornale non risultavano feriti. il boato e la grande nube Gli abitanti di San Vito hanno sentito un forte boato, inizialmente confuso con un tuono visto il temporale in corso, ma poco dopo
hanno visto alzarsi la grande nuvola di polvere: «I vigili del fuoco e i carabinieri hanno dovuto aspettare che la nube si diradasse per potere perlustrare la zona», afferma Franco De Bon, sindaco di San Vito. «Il crollo ha creato un grande polverone, ma la pioggia ha aiutato a farlo calare. Dopo la frana, i detriti si sono fermati nel grande bacino naturale che si trova sotto la montagna. In strada non è arrivato nulla, il materiale si è fermato sopra Dogana, al confine con il comune di Cortina. Il crollo deve essere stato importante, perché guardando il profilo del Marcora è cambiato: si è proprio staccato un pezzo di montagna, un fatto già accaduto in passato». Il sindaco, dopo quanto accaduto, ci tiene ad evidenziare che se il materiale dovesse muoversi verso valle, il suo impatto potrebbe essere mitigato dagli interventi fatti negli ultimi anni lungo la strada: «Con i finanziamenti per i Mondiali 2021 avevamo fatto allargare i tombotti di intersezione con la strada», dice il sindaco. «Se la pioggia dovesse continuare a scendere copiosa, con questa soluzione si potrebbe smaltire bene l'eventuale colata di materiale». Il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, per precauzione ha istituito un Centro operativo comunale per il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione, anche se l'area di Cortina non è stata coinvolta. Oggi un geologo incaricato dalla Provincia salirà con l'elicottero dei vigili del fuoco per un sopralluogo: con l'occasione sarà fatta anche una valutazione dell'area di Cancia e Chiappuzza a seguito delle precipitazioni di oggi. © RIPRODUZIONE RISERVATA 1 2 Alcune immagini della frana di ieri pomeriggio a San Vito di Cadore. 1) La frana vista da una casa di San Vito di Cadore, 2) il monte Marcora con la frana in corso, 3) la nube di polvere vista dall'Alemagna 3.
Gazzettino | 16 giugno 2025
p. 36, edizione Belluno
Sorapis, è allarme rosso a frana può muoversi»
DAMIANO TORMEN
NUOVI CROLLI SAN VITO DI CADORE
La Croda Marcora è inquieta. E ieri è tornata a muoversi, a sgretolarsi. Crolli di assestamento, si dirà. Poca cosa rispetto a quanto era accaduto sabato pomeriggio, quando una nuvola di polvere di Dolomia aveva invaso la strada di Alemagna e poi raggiunto anche il paese di San Vito. I nuovi movimenti franosi di ieri si sono notati solo perché sulla montagna si vedevano nuvolette di polvere. Ma tanto basta per far scattare una fase d'allerta più stringente. Il sindaco di San Vito, infatti, ha aperto il Coc (centro operativo comunale). Che non significa pericolo imminente - dopotutto i crolli sono avvenuti in quota, lontano dalle case e dalla strada - «ma è meglio prevenire che curare», dice il primo cittadino, Franco De Bon. L'ALLERTA «Ogni anno ci sono dei crolli e le Dolomiti, per loro natura sono fatte di strati di carbonato di calcio che presentano una certa fragilità - sottolinea De Bon -. Certo, tra sabato e domenica, di crolli, ce ne sono stati di particolarmente consistenti. E quindi abbiamo deciso di prendere tutte le precauzioni del caso. Oggi (ieri, domenica, per chi legge, ndr) era la festa del patrono di San Vito: abbiamo celebrato la messa solenne e poi anche i vespri. Ma non è bastatosorride il sindaco - per fermare i crolli». Il Coc è stato aperto dopo il sopralluogo del geologo incaricato dalla Provincia di Belluno, Nicolò Doglioni. Il problema non è tanto il crollo in sé e per sé, quanto il fatto che il materiale sceso da una zona quasi in cima alla Croda Marcora e ora immobilizzato in quota, distante da case e dalla strada, possa combinarsi con l'acqua e scendere giù, fino all'Alemagna e alle immediate vicinanze del paese. Possibile? «Se venisse una bomba d'acqua, potrebbe accadere - dice il sindaco. Per questo il geologo ci ha consigliato di aprire il Coc». IL METEO Bomba d'acqua che non si può escludere. Le previsioni meteo sono abbastanza eloquenti: il bollettino Arpav di ieri parlava di «almeno due fasi di tempo spiccatamente instabile dal pomeriggio di domenica alla giornata di lunedì, in cui saranno probabili rovesci e temporali sparsi e irregolari con fenomeni anche di forte intensità (forti rovesci, forti raffiche di vento e grandinate)». In caso di precipitazioni intense e concentrate in poche ore, si potrebbe verifica quello che in gergo tecnico si chiama "debris flow", vale a dire colata rapida di materiale. E la Valboite sa bene di cosa si tratta, visto che se ne sono verificate diverse, di colate rapide (come a Cancia, tanto per fare un esempio). IL SORVOLO Intanto non si segnalano danni agli abitati. E anche il sopralluogo in sorvolo effettuato dal geologo - insieme alla Provincia e ai vigili del fuoco, con la presenza del comandante provinciale Matteo Carretto - ha escluso particolari disagi. «Il distacco, che possiamo definire di medie dimensionitra i 3mila e i 4mila metri cubi di materiale -, si è verificato nella stessa area di quello avvenuto due anni fa, ma è posizionato più in alto», spiega il consigliere provinciale delegato alla difesa del suolo Massimo Bortoluzzi, che è stato in sorvolo per una prima valutazione tecnica. «Gli aspetti di particolare interesse per un monitoraggio sono l'accumulo dei materiali a valle della frana di sabato e la valutazione di eventuali ulteriori distacchi, possibili in conseguenza di nuove precipitazioni. C'è poi il problema della polvere che continua ad alzarsi. Nel primo pomeriggio il geologo ha effettuato anche un sorvolo dell'area a bordo dell'elicottero messo a disposizione dei vigili del fuoco, da cui si è capito che si sono verificati due diversi distacchi su due canaloni adiacenti. Per ulteriori valutazioni bisognerà attendere che la situazione si assesti e sia possibile effettuare un sopralluogo da terra». Tra quanto osservato in sorvolo, anche un masso di grandi dimensioni rimasto incastrato tra due cenge di roccia, in quota. Al momento non desta particolare preoccupazione. Damiano Tormen
Gazzettino | 19 giugno 2025
p. 11, edizione Belluno
Nuovo distacco da cima Marcora Alemagna ok, 7 case sgomberate
ANGELA PEDERIVA
L'EMERGENZA VENEZIA
È crollato un altro pezzo delle Dolomiti. Neanche il tempo di riaprire l'Alemagna a Borca di Cadore da oggi, dopo la frana scesa domenica notte dall'Antelao sul borgo di Cancia, che ieri c'è stato un nuovo distacco dalla croda Marcora a San Vito. Il secondo dopo quello di sabato scorso, e forse non l'ultimo, è l'avvertimento della Regione, di fronte alla nube di polvere visibile fin dalla valle: «È probabile che il fenomeno si ripeta nei prossimi giorni a causa dell'escursione termica tra giorno e notte», ha fatto sapere il presidente Luca Zaia, mentre l'assessore Gianpaolo Bottacin ha sottolineato che «non ci sono rischi in quanto non interessa case o strade». IL MONITORAGGIO La possibilità di ulteriori cedimenti dall'imponente cima del gruppo del Sorapiss era stata messa in conto, vista la presenza in quota di materiale sciolto. È lo stesso motivo per cui procede la rimozione dei detriti che incombono sulla Statale 51, percorribile di nuovo da oggi benché sotto monitoraggio. «L'orario di apertura al traffico è soggetto al ripristino dei lavori di ripristino delle opere di presidio da parte degli enti competenti, sotto l'egida della Prefettura di Belluno con cui sono state stabilite tempistiche e modalità operative», ha spiegato Anas, annunciando che la ripartenza avverrà già dalle 6 per far passare le corriere. «Il personale Anas e le ditte incaricate hanno ultimato, anche grazie alla sinergia e alla collaborazione con i Vigili del fuoco e la Protezione civile, le attività di pulizia della sede stradale», è stato rimarcato. Sempre oggi sarà notificata a 10 residenti l'ordinanza del sindaco Bortolo Sala per lo sgombero temporaneo di 7 case. LE POLEMICHE Nel frattempo continua il dibattito sulla tragedia sfiorata a Cancia. In questi giorni è rispuntata la delibera con cui Palazzo Balbi nel 2010 aveva assegnato la competenza sulla frana alla Provincia di Belluno, la quale aveva bocciato il progetto di un vascone di contenimento del volume di 100.000 metri cubi. Un numero, viene notato dai residenti, superiore alla somma dei 60.000 trattenuti sul versante dal sistema giapponese più i 30.000 finiti fra le case in paese. Ad ogni modo, al momento gli organi di polizia giudiziaria non hanno trasmesso alcuna segnalazione all'autorità giudiziaria, rispetto ai danni registrati. «Non è arrivata nessuna informativa, peraltro non è detto nemmeno che ci siano profili penali», afferma il procuratore Massimo De Bortoli. In compenso le polemiche divampano sin Consiglio regionale, dopo l'interrogazione del verde Andrea Zanoni sul mancato funzionamento del sistema di allarme. «Evidentemente non sa che queste opere non sono state volute né finanziate dalla Giunta regionale», ribadisce il leghista Bottacin: «Mi spiace che Zanoni ancora una volta prenda un granchio grande come una casa, dimenticando piuttosto di essersi speso in più occasioni in passato per spingere affinché nell'area di massimo rischio della frana, così come delimitata dall'Autorità di bacino distrettuale Alpi Orientali e dalla procedura di allarme, fosse realizzato il villaggio olimpico. Dovrei farla io l'interrogazione a lui per chiedergli come mai si stracciava le vesti per questo». I FONDI Intanto l'associazione Giovani&Futuro, rappresentata da Luca Frescura e Luca Olivotto, ha scritto ai ministri Giancarlo Giorgetti, Gilberto Pichetto Fratin e Nello Musumeci, per chiedere «misure straordinarie di sostegno a favore dei nuclei familiari e delle imprese direttamente colpite dalla frana», come esenzioni o sospensioni di imposte e utenze. A proposito di fondi, sono in arrivo in Veneto 66 milioni per il maltempo dell'estate 2023: «Sostegno ai territori per ripartire dopo le calamità»,ha evidenziato il senatore meloniano Luca De Carlo. Angela Pederiva © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Corriere delle Alpi | 30 giugno 2025
p. 2, segue dalla prima
Nuovi crolli sulle Dolomiti San Vito imbiancata «Sembrava nebbia»
Francesco Dal Mas SAN VITO
Un forte boato, alle 3 di notte, e al mattino la popolazione di San Vito si è svegliata con i tetti, le strade e le auto parcheggiate in paese imbiancati come a Natale. Gli automobilisti che prima dell'alba si sono trovati ad attraversare San Vito di Cadore riferiscono che di punto in bianco hanno impattato una nebbia quasi impenetrabile. Che era, appunto, la polvere in libera caduta. «Sembrava quasi di trovarsi in pianura Padana in inverno con la nebbia fitta», racconta qualche residente di San Vito. Le rocce marce della cima Marcora hanno continuato a sgretolarsi dalle 17 di sabato, lanciando sinistri tonfi. Rumori sordi «Sono le 19, attendiamo l'elicottero della Protezione civile, messo a disposizione dall'assessore Bottacin, per una ricognizione, ma qui, ai piedi della montagna», ci testimoniava ieri sera il sindaco Franco De Bon, «continuiamo a sentire dei botti da far paura. Li razionalizziamo, perché i massi cadono da un'altezza di 3 mila metri e s'infrangono ai piedi della parete, a quota 1200. Un bel salto…». Intanto, però, dall'altra sera una nuvola di polvere ha continuato a incoronare la vetta, tenuta alta dalle correnti d'aria e dalle temperature. Ieri, al tramonto, il geologo Nicola Doglioni ha potuto usufruire dell'elicottero regionale per fare la prima ricognizione de visu. Volumi in libera caduta Aveva calcolato, in occasione del precedente distacco, che erano crollati circa 4 mila metri cubi. E che altri 4 mila erano rimasti sospesi, tra una fessura e l'altra, della vetta. «Non è da escludere che questa volta siano precipitati ben più di 4 mila metri cubi», afferma Massimo Bortoluzzi, consigliere delegato della Provincia, che da giorni si sta dividendo tra la colata di Cancia, la fuoriuscita di gasolio e San Vito. «Forse arriviamo a 10 mila metri cubi. Tutto materiale che si frantuma toccando terra, ma che eventuali precipitazioni, del tenore di quelle di Borca, potrebbero portare a valle, anche se il versante sotto la parete ha una pendenza leggera». Sicurezza dell'Alemagna Ed ecco che, come nel caso della statale d'Alemagna a Cancia, anche qui a San Vito si pone il tema di far bypassare l'eventuale colata sotto l'asfalto. Sempre ieri pomeriggio, in una ricognizione, sindaco De Bon e un dirigente di Anas hanno individuato, in località Dogana, una canaletta idraulica dove convogliare lo scarico. Il tema della sicurezza della statale 51 è incombente. In vista delle Olimpiadi, ma ovviamente anche per i residenti. Ieri mattina, all'alba, considerata la "neve", pardon la polvere in strada, tanti automobilisti hanno rinunciato a
uscire. E in Comune come alla stessa Anas ci si è posti il problema se sospendere la circolazione fino al lavaggio. Era domenica ma – testimonia il sindaco – «in modo encomiabile tutti si sono adoperati per bonificare ogni parte sensibile del paese: ringrazio i Vigili del Fuoco, la Protezione Civile, il personale del Comune, i privati che si sono fatti in quattro». Anas si è subita messa al lavoro per pulire la strada statale, mentre in modo provvidenziale e solidaristico dal sindaco di Borca, Bortolo Sala è arrivata la disponibilità a concedere in uso la spazzatrice utilizzata in questi giorni nel suo Comune per pulire il materiale detritico lasciato dalla frana di Cancia. Alla fine con questo mezzo si è provveduto a pulire le strade comunali dalla polvere. Importante anche l'intervento dei vigili del fuoco che con diverse autobotti hanno lavato l'Alemagna. «Spazzare va bene», ricorda Fabio Jerman, responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione Comando vigili del fuoco di Belluno, «ma per evitare che si formi una patina pericolosa che si trasforma in qualcosa di scivoloso in caso di pioggia, abbiamo preferito lavare la strada prevenendo problemi». Alba di lavoro Già numerosi gli ospiti, guarda caso per la maggior parte stranieri, degli alberghi. «Ringraziamo gli addetti del nostro hotel», ci dice Sabrina C., «che dall'alba hanno lavorato per pulire le pertinenze e lavare le auto degli ospiti. Massima efficienza anche per quanto riguarda strade e piazze». Il disagio, però, è stato notevole. A cominciare dal fatto che numerosi turisti, sorpresi da quel botto notturno, poi non hanno più ripreso sonno. Magari per il timore che accadesse di peggio». Ieri sono arrivati anche gli ispettori dell'Arpav per tenere sotto controllo le polveri. Per fortuna, a parte quelle scese di notte, durante il giorno le successive si sono tenute in alto. «Sembra quasi che la nuvola si sia incollata alla parete: permanente e immobile», attesta Bortoluzzi, che con il cannocchiale è risalito, metro dopo metro, lungo la perpendicolare del Marcora, riscontrando anche lui che «in alto ci sono ancora tante fessure». Il sopralluogo Un sopralluogo da parte degli esperti era previsto a metà pomeriggio, ma l'elicottero dei Vigili del Fuoco, quand'era atteso a minuti a San Vito, ha dovuto deviare per una tragica emergenza sul Piave a Pederobba. «Tuttavia, grazie alla collaborazione della Regione Veneto e dell'assessore Gianpaolo Bottacin, è stato immediatamente messo a disposizione un elicottero antincendio boschivo», informa Bortoluzzi, « che in serata ha operato un sorvolo dell'area, con a bordo il geologo incaricato dalla Provincia». L'obiettivo del sopralluogo – spiegava il consigliere delegato – è quello di acquisire informazioni aggiornate e dettagliate sulla situazione geologica in atto, «al fine di stabilire con precisione le aree di instabilità e valutare eventuali misure di prevenzione e sicurezza». Vertice in Prefettura Per questa mattina, infatti, è previsto alle 10.30 un incontro in Prefettura per esaminare gli esiti del sopralluogo e decidere le strategie da adottare nei prossimi giorni. Con una priorità in particolare: come garantire la sicurezza della transitabilità sulla strada olimpica per Cortina. «Tutte le 10 colate che interferiscono con l'Alemagna andranno monitorate», sottolinea Bortoluzzi, «e come nel caso di Cancia non è escluso che vengano installati dei sistemi di allarme che bloccano la Statale sul posto ma anche da Tai. Automaticamente. La proposta sarà portata all'esame del vertice». Lo scopo quindi del vertice prefettizio è di capire come evitare che il materiale roccioso depositato alle pendici del monte, in caso di pioggia, possa colare fino ai centri abitati. Si sa che nei giorni scorsi, a Roma, in sede di Protezione Civile ci si è posti qualche interrogativo sull'accesso a Cortina per i Giochi. Dopo quanto è accaduto a Cancia, non si vorrebbe che si ripetesse qualcosa di analogo pochi chilometri più avanti.
Messaggero Veneto | 30 giugno 2025
p. 13
«La croda è marcia Dovremo attenderci ulteriori cedimenti nei prossimi mesi»
FDM
L'intervista
Perché tanta polvere da Croda Marcora? «Perché, come dicono in paese, la croda è marcia e i distacchi che scendono sbriciolandosi, sono importanti». La spiegazione è di Luca Salti, geologo che conosce le Dolomiti come le proprie tasche. E che nei giorni scorsi è salito sulle colate della val Boite a piedi per esaminarle, palmo a palmo. Tecnicamente come si spiega la polvere che ha coperto la valle per più di 24 ore? «Quando una roccia è così degradata, hai collassi di porzioni importanti nella meccanica del crollo e di conseguenza hai la polverizzazione che si è visto. Sono polveroni che si propagano per centinaia di metri, anche per chilometri». Il crollo precedente aveva provocato un polverone risoltosi in poco tempo. Questa volta, invece, perdura. «Si è sentito un grosso boato. È venuta giù, quindi, tanta roba. Inoltre va detto che la nube si è vista più di una volta nei giorni scorsi; a seguito, evidentemente, di crolli ripetuti, magari di più contenuta entità. Va detto, inoltre, che il materiale scaricandosi forma degli accumuli che sono precari. Alla base di quella parete c'è infatti un canalone pieno di materiale, che continua a muoversi. Per giorni sono stato in ricognizione sui versanti sopra Borca, San Vito e Cortina e, per la verità, ho sempre continuato a percepire dei rumori provenienti dal Marcora. E constatavo che la nuvoletta di polvere continuava a stazionare intorno alla cima». La montagna, dunque, è alla ricerca di un nuovo equilibrio? «La dinamica in atto sta senz'altro a dire che l'equilibrio precedente si è rotto. E quella in corso è la coda di un episodio importante». Se è una coda, andrà a cessare? «No, da quanti decenni la croda Marcora si sta sgretolando? Forse da sempre. È una montagna che riserverà ulteriori crolli anche nel prossimo futuro. Ecco perché sarà importante verificare sul posto che magari a monte non ci sia uno strato di fratture aperte; si chiamano parietali che sfettano la roccia». Quante sono le pareti a rischio crolli come la Marcora? «Ci sono almeno una decina di situazioni a rischio – crolli, distacchi e quindi colate detritiche – nella sola Val Boite e intorno a Cortina. Come, peraltro, altrove. La gravità non dorme. Quando hai pareti di 500 o mille metri di altezza hai sempre di queste forme di esposizione. Sono processi che fanno parte della naturale evoluzione delle montagne Sulle montagne del Veneto abbiamo circa 200 tra frane e crolli ogni anno». Sulle Dolomiti ci sono altre rocce marce come quelle del la Marcora? «Ci sono altri contesti dove c'è un maggiore stato di fratturazione e dove, quindi, la roccia è più debole dal punto di vista delle resistenze. I toponimi che davano i
nostri antenati a determinati siti non erano mai a caso. Il monte Toc, sul Vajont, lo testimonia tragicamente. La località Paludi testimonia che l'area è a rischio esondazioni. O un paese che si chiama la Boa è indicativo insomma».
Corriere del Veneto | 17 giugno 2025
p. 3, edizione Treviso - Belluno, segue dalla prima
«Dalla finestra ho visto massi grossi come auto precipitare verso valle Sono corso a chiedere aiuto»
Ugo Cennamo
borca di cadore (belluno)
«Ho visto massi grossi quanto auto volare e ho pensato che sarebbe stato un disastro peggiore di quello del 2009». A differenza di allora non ci sono invece state vittime e questo è il dato che conta, ma la notte di paura vissuta a Cancia e nella vicina Borca è un incubo che non sarà facile da dimenticare per chi l’ha vissuto in diretta. A vedere i massi volare verso valle è Francesco Accardo, general manager dell’ex Villaggio Eni oggi Corte delle Dolomiti. Il suo racconto è la testimonianza dei terribili minuti che come lui hanno vissuto quanti si trovano nelle loro abitazioni a Cancia. «Poco dopo le undici ero in camera - racconta - quanto ho sentito il pavimento tremare e un rumore sordo crescente. Prima ho temuto si trattasse di una scossa di terremoto ma poi mi è venuto naturale pensare all’Antelao. Sono uscito e ho raggiunto il centro vendite, la costruzione al limite del villaggio dove iniziano le strade che portano alle ville. «Mi sono affacciato al balcone e con la luce del cellulare ho illuminato macigni grossi come auto che volavano verso Cancia. Il disastro era nell’aria, tant’è che anche il vicesindaco (Arnaldo Varettoni, ndr ) stava arrivando. Mi ha raggiunto e insieme abbiamo avvisato il sindaco Bortolo Sala che ha dato l’allarme». Racconto che per molti versi coincide con quello di Samuel, che vive da sempre a Cancia. Era ragazzino nel 2009 quando Cancia venne travolta, si contarono due vittime e ingenti danni. Samuel conserva ricordi di quel giorno, ma sostiene che quello vissuto domenica sera è stato ben peggio: «La quantità di fango e massi venuta giù dall’Antelao è superiore a quella dell’altra volta, ma i lavori finiti nel 2021 hanno evitato che Cancia venisse cancellata nel giro di qualche minuto. Ieri sera tirava un vento molto forte e pioveva davvero tanto. Per questo ho pensato che la cosa da fare era chiudere tutto. Appena in tempo, prima che venisse giù una colata devastante che ha invaso anche l’Alemagna. Scendeva un fiume di fango e massi, tant’è che ho detto all’inquilino del piano di sotto di salire perché non potevamo immaginare quanto sarebbe durata». Tutto nel giro di pochi minuti, mentre il fiume fuori s’ingrossava. Le case di Cancia sono tutte protette da muretti in cemento armato che indirizzano la colata. Non sono alti più di un metro, hanno creato degli scivoli di melma verso il muro esterno delle abitazioni ora coperto da uno strato di fango simile a una malta marrone. Opere realizzate in concomitanza con la realizzazione della bretella a monte nel 2021 per un costo complessivo di 4 milioni 135mila euro. Seguendo gli angoli dati dal susseguirsi delle successive deviazioni, la colata ha trovato il suo corso spegnendosi poco oltre l’Alemagna. Dove a quell’ora, in una domenica notte tempestosa, il caso ha voluto non vi fosse nessuno in transito. Ora le ruspe tentano di rimettere le cose in ordine almeno sommariamente. Samuel racconta anche quando ha sentito suonare l’allarme: «Prima le campane, poi la sirena, ma quando oramai pioveva soltanto e la frana aveva già concluso la propria corsa invadendo prima la strada che porta verso la Corte delle Dolomiti e poi l’Alemagna». Il traffico sulla Statale è stato a lungo bloccato poco dopo Vodo, nel rettilineo che porta a Cancia, trecento metri prima della colata che le ruspe cercano di ridurre. In giro poche macchine, come se tutti nel Bellunese sapessero che oggi è bene evitare il Cadore. Si conta giusto qualche turista rimasto bloccato, forze dell’ordine, vigili del fuoco in azione, ruspe in arrivo che si aggiungono a quelle già in azione. La gente inizia mettere il naso fuori dalle case, tutte indenni, ma circondate da detriti, fango e massi. Il peggio sembra essere passato, ma si guarda al cielo con sospetto.
Corriere del Veneto | 17 giugno 2025 p. 5, edizione Treviso - Belluno, segue dalla prima
Monitorati diecimila smottamenti La stessa area fu colpita nel 2009
SILVIA MADIOTTO Venezia
In Veneto sono censite più di diecimila frane: piccoli, medi, grandi smottamenti attivi. Negli spazi aperti, vicino ai centri abitati, adiacenti alla viabilità principale e secondaria. Tutte frane note e monitorate, sotto controllo, dal Bellunese al Vicentino. Quello che è successo a Borca di Cadore rientra nella mappa di rischio della Provincia di Belluno trattandosi di uno dei fronti più fragili delle Dolomiti, ma non di certo l’unico. L’autorità di bacino distrettuale prevede per l’area di Borca, e soprattutto di Cancia, il massimo livello di rischio: lì è vietato costruire nuovi edifici, ma anche ristrutturare o ampliare edifici esistenti, bisogna limitare i pericoli. E questo è uno dei motivi per i quali l’ipotesi del villaggio olimpico all’ex villaggio Eni è stata scartata. Purtroppo, la zona è stata anche luogo di un lutto recente: nel luglio di sedici anni fa una frana aveva travolto l’abitato e c’erano state due vittime (Giovanna Belfi, 86 anni e Adriano Zanetti, 63, madre e figlio che vivevano assieme); trecento persone erano state evacuate, la zona residenziale era stata parzialmente sommersa,
era una frana da 50 mila metri cubi. Sempre d’estate, sempre quando le temperature si alzano. «Ero presidente della Provincia di Belluno, era un momento drammatico, la Regione ci assegnò la gestione della frana» ricorda Gianpaolo Bottacin, ora assessore regionale alla protezione civile. Immediatamente, partì una nuova progettazione per la messa in sicurezza. Le diecimila frane venete non hanno tutte lo stesso grado di rischio: sotto stretta osservazione sono soprattutto quelle che si trovano in prossimità di centri abitati o strade con flussi importanti. Quella di Cancia è una frana delicata, che interessa il paese intero e una statale; ci sono anche quella più a valle a Peaio, che interessa la statale, quelle di Perarolo e Schiucaz, vicine ai paesi. «La pericolosità della frana e il rischio che genera sono due cose diverse, il grado di pericolo è dovuto anche alle persone esposte – sottolinea Bottacin -. Ad esempio, quella di Perarolo è molto complicata, è in monitoraggio da tempo. Abbiamo usato anche l’esplosivo per ridurne la velocità e da allora non abbiamo più dovuto evacuare. Mentre, quando pioveva, un tempo dovevamo farlo. L’esplosivo e i lavori di drenaggio hanno facilitato il rallentamento». Ma ce ne sono anche altre in osservazione: «Quella di Rotolon, sopra Recoaro nel Vicentino, mentre la più grande sull’arco alpino è la frana del Tessina sopra Alpago». Sull’episodio di Borca, con un’analisi più ampia e tecnica del territorio bellunese, interviene il presidente dell’Ordine dei Geologi del Veneto Giorgio Giachetti: «Questa frana è stata ricaricata a monte da una sequenza di eventi alluvionali (anche Vaia nel 2018) che hanno accumulato decine di migliaia di metri cubi di detrito, sia alimentata dal progressivo disfacimento di ammassi rocciosi piuttosto fratturati - evidenzia -. In occasione di Vaia non sono discese colate: possiamo intuire la quantità di detrito che si è accumulata». Fra le opere realizzate per prevenire o ridurre l’impatto di incidenti il presidente ricorda «la briglia “sabodam” a Cancia, la canalizzazione delle acque di deflusso, la realizzazione di arginature, il ripristino del bacino di contenimento a valle, sistemi di monitoraggio, la sistemazione della “piazza alta” per la prima delle colate. E sono in progetto altre opere di completamento. Qui si è trattato di un evento di particolare importanza. Se per mitigare un pericolo al 75% l’amministrazione deve spendere una certa cifra, per mitigarlo al 90% va triplicata, e ancora non si elimina il problema. Ma quando il valore delle opere di difesa supera quello dei beni difesi, bisogna chiedersi se vale la pena realizzare nuove opere oppure dislocare i beni da difendere. È dura da digerire, ma è così». Eliminare del tutto i rischi, sintetizza Giachetti, è impossibile, «noi possiamo solo mitigare i pericoli per beni e persone». Tanto più che tutto il fianco ovest della dorsale che corre tra l’Antelao, Croda Marcora e Sorapiss è esposto al pericolo di colate (non solo Borca e Cancia, ma Chiappuzza, Ru del Vencio, Dogana Vecchia, Acquabona). E gli allarmi non sempre arrivano tempestivi: «Le previsioni meteo si portano dentro una tara d’origine: se lancio tutti gli allarmi ho elevate probabilità di indovinare l’evento meteo infausto, ma anche di introdurre un errore del 60% di falsi allarmi, perciò alla fine esse divengono inaffidabili. Viceversa, se lancio pochi allarmi ben accurati la qualità della previsione è molto affidabile, ma non colgo tutti gli eventi infausti. È da illusi pensare che una previsione possa risolvere tutto». I geologi chiedono che si punti sempre più su modelli matematici per la previsione dei fenomeni, ma potrebbe non bastare: «È necessario conoscere e monitorare la complessità geomorfologica del territorio, senza la quale produciamo modelli zoppi» conclude Giachetti.
Gazzettino | 18 giugno 2025
p. 8, edizione Belluno
L’Alemagna oggi chiusa oi riapertura “controllata” La frana monitorata a vista
Bentornato raggio di sole, a questa terra di fango e sassi. Il pantano si asciuga e la strada si secca: ogni camion che percorre l'Alemagna per andare a scaricare il suo carico di melma e rocce, lungo la sponda del Boite sotto il ponte di Villanova, solleva un polverone che imbianca Cancia. Per questo la Statale 51 resterà chiusa anche oggi: è la decisione presa dal vertice durato quasi tre ore, nella sede dell'Unione Montana a Borca di Cadore con il coordinamento del prefetto Antonello Roccoberton, disponendo che dalle 7 di domani mattina scatti la riapertura con monitoraggio a vista della frana, mentre saranno temporaneamente sgomberate le tre case più danneggiate. L'ORDINANZA La necessità è stata rappresentata dai vigili del fuoco e richiederà un'ordinanza del sindaco Bortolo Sala. Un paio delle abitazioni sono dimore di villeggiatura, per cui i disagi dovrebbero essere contenuti. Nel frattempo il primo cittadino fa i conti dei materiali da asportare e stoccare, che saranno successivamente venduti alle imprese di edilizia: «In paese sono scesi 30.000 metri cubi, sul versante ne sono rimasti almeno altri 50.000, più verosimilmente 60.000. Man mano che l'acqua si prosciuga, e restano solo i detriti, il deposito lungo il torrente può arrivare ad accogliere 15.000 metri cubi. Altri 25.000, tolti dai vasconi sulla montagna, saranno gradualmente portati all'ex campo sportivo. Ulteriori 10.000 saranno destinati alla discarica di Cortina d'Ampezzo, in corso di dismissione. In questo modo dovremmo arrivare a portare via 50.000 metri cubi, ritengo nell'arco di due, massimo tre settimane». L'andirivieni dei mezzi pesanti è continuo, ma dovrà intensificarsi per garantire quell'obiettivo, dal momento che mediamente un cassone può ospitare 12 metri cubi, a sentire gli autisti delle ditte Olivotto, Dolomiti Strade e Alfarè che collaborano all'operazione per conto di Anas. Di conseguenza è costante anche l'attività di pulizia del tratto di Alemagna interessato e della viabilità secondaria di adduzione: le autobotti caricano l'acqua dal Boite e la utilizzano per lavare le strade impolverate. IL PIANO Questa esigenza ha fatto slittare a domani il ripristino della circolazione sulla Statale 51, attualmente deviata su Auronzo di Cadore per i veicoli da e per Cortina d'Ampezzo. Riferisce l'assessore regionale Gianpaolo Bottacin, presente all'incontro insieme ai rappresentanti della Provincia di Belluno, delle forze dell'ordine e di Anas: «L'azienda sta completando lo sgombero del materiale, ma è necessaria la pulizia della polvere dalla sede stradale e dai tombini, per la quale interverranno i vigili del fuoco e i volontari della protezione antincendio boschivo, i quali dispongono dei moduli ad alta pressione. La strada sarà riaperta giovedì mattina salvo imprevisti. Finora hanno operato oltre 50 volontari di Protezione civile, ma il contingente salirà a 80. Il presidio notturno della zona sarà garantito da 6 iscritti all'Associazione nazionale carabinieri». Il piano prevede l'istituzione di un monitoraggio a vista: in caso di fenomeni temporaleschi e movimenti franosi, i volontari della Protezione civile attiveranno Anas e azioneranno un semaforo che bloccherà il
transito. Dopodiché venerdì mattina Bottacin accompagnerà in sopralluogo il professor Nicola Casigli, ordinario di Geologia all'Università di Trieste, esperto di frane e valanghe (fra cui quella sulla Marmolada), profondo conoscitore anche della situazione di Cancia per essere stato il co-autore della perizia disposta dalla Corte d'Appello di Venezia dopo la tragedia del 2009. L'assessore leghista ha infatti chiesto al dipartimento nazionale della Protezione civile l'intervento del docente per un supporto tecnico in vista delle future azioni di monitoraggio e di gestione, la cui competenza è in capo dal 2010 alla Provincia di Belluno. L'INTERROGAZIONE Nel frattempo il consigliere regionale Andrea Zanoni annuncia un'interrogazione «per chiedere le cause del mancato funzionamento del sistema di allarme, i costi effettivi affrontati dalla Regione per la manutenzione e gestione del sistema, quali verifiche tecniche la Giunta intenda mettere in campo e quali misure intenda adottare per risarcire i cittadini colpiti dai danni materiali». L'esponente verde lamenta ritardi e disservizi: «Da fonti giornalistiche si apprende che il sistema composto da una rete di sensori e sirene che rilevano i movimenti del terreno e l'aumento della portata d'acqua nel torrente, con attivazione automatica al superamento di soglie critiche, non ha funzionato. A questo si aggiunge il fatto che il sistema di allarme, installato lungo il torrente Rusecco, non ha operato correttamente, attivandosi quando ormai la colata aveva già invaso pericolosamente le vie del paese». Angela Pederiva © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gazzettino | 21 giugno 2025
p. 10, edizione Belluno
Droni e dinamite contro la frana «Ora l’allarme sarà automatico»
IL SOPRALLUOGO
dalla nostra inviata BORCA DI CADORE (BELLUNO)
Al terzo squillo di tromba, parte la carica di dinamite. Tre chili di esplosivo, un boato sordo, la nuvola di polvere: viene disintegrato così il primo dei sette massi ciclopici che la frana, scesa domenica sera dall'Antelao, ha disseminato lungo il versante che domina Borca di Cadore. Il paese è accoccolato laggiù, lungo l'Alemagna, in fondo al pendio. Intanto quassù a 1.300 metri di quota, nella piazza alta che sovrasta Cancia, il professore Nicola Casagli e l'assessore regionale Gianpaolo Bottacin vedono quello che dev'essere stato il film della colata: sullo schermo del Soccorso alpino, scorrono infatti in diretta le immagini girate dal drone, mentre sorvola il percorso variamente compiuto dai 60.000 metri cubi di rocce e fango che si sono fermati nelle vasche o nel canalone e dai 30.000 che sono rotolati fino in paese, coinvolgendo 24 case e bloccando la Statale 51. «C'è un certo rischio residuo e bisogna tenere alta l'attenzione», dice l'ordinario di Geologia all'Università di Firenze nel corso del sopralluogo disposto dal Dipartimento nazionale della Protezione civile, in cui coordina il rischio geologico, concluso dall'annuncio che dopo il test di giovedì prossimo il sistema d'allarme non sarà più manuale bensì automatizzato. CAVI A STRAPPO Saliamo con il fuoristrada attraverso l'ex villaggio Eni, dove tutto richiama il progetto visionario di Enrico Mattei. Dopo aver costeggiato l'iconica Capanna Zero, ma anche la carcassa di un'auto travolta dall'ondata di pantano e pietre, in via Metanopoli incontriamo gli addetti dell'azienda Cae mentre posizionano i nuovi cavi a strappo. Nel momento in cui saranno urtati, i sensori attiveranno in automatico il semaforo rosso per fermare il transito sull'Alemagna e le sirene per diffondere il segnale sonoro ai residenti di Cancia. «Siamo consapevoli che potrebbe bastare il passaggio di un ungulato per far scattare l'allerta senza motivo concordano il sindaco Bortolo Sala e il consigliere provinciale delegato Massimo Bortoluzzi ma dopo quello che è successo, pensiamo che almeno in questa fase un falso allarme sia preferibile a un allarme tardivo». In cima il colpo d'occhio cattura una panoramica superba, spaziando dal Rite al Pelmo, ma lo sguardo va al braccio meccanico che raccoglie il materiale da asportare. Nel frattempo all'orecchio arriva il rumore del trapano con cui vengono forati i massi ciclopici per l'inserimento dei candelotti che li faranno brillare. «Il disgaggio delle masse instabili è assolutamente necessario approva Casagli perché potrebbero cominciare a rotolare, prendere sempre più energia e magari arrivare a valle». GEMELLO DIGITALE Non è bastata la briglia frangi-colata Sabo Dam in ferro, diversa da quelle filtranti in cemento armato posizionate ad esempio a Vodo di Cadore, Cortina d'Ampezzo e Rocca Pietore. «Oltre alla frazione fine osserva l'esperto sono passati anche i blocchi grossi. Un suggerimento che mi sento di dare, è di ridurre le luci, cioè gli spazi fra una sbarra e l'altra. È curioso: qui è stato adottato un sistema nipponico, quando siamo stati noi italiani fin dal triestino Amerigo Hofmann ad insegnare ai giapponesi a fare le briglie...». Sarà invece tutta toscana la squadra che lunedì tornerà qui per realizzare un modello digitale tridimensionale della colata, oltre che per stendere una relazione dettagliata dei quantitativi franati, su cui fondare le decisioni da prendere per la gestione futura. «Nell'attesa è appropriata l'attività di rimozione in corso, che va continuata ed estesa, allargando le piazze deposito e aumentando le briglie», commenta Casagli. autore insieme a Stefano Lanzoni della perizia disposta dalla Corte d'Appello di Venezia per la tragedia in cui morirono Giovanna Belfi e Adriano Zanetti, che si concludeva così: «Si ritiene che le tragiche conseguenze dell'evento del 17-18 luglio 2009 siano da imputare alle caratteristiche non ordinarie del fenomeno di colata verificatosi e alla scorretta pianificazione urbanistica dell'area, piuttosto che a deficienze progettuali o di realizzazione delle opere strutturali di mitigazione del rischio». A distanza di anni, il geologo conferma quel giudizio: «C'è stato uno sviluppo urbanistico "allegro", come peraltro in tante altre parti d'Italia, dove si è costruito in zone a rischio. Qui però c'è stato un problema ancora più grande: durante l'edificazione del villaggio Eni, basata su una relazione geologica di cinque righe, è stato deciso di deviare il canalone per spostare il problema da una parte all'altra, secondo una tipica soluzione all'italiana. È arrivato il momento di prendere decisioni forti, ad esempio sulla delocalizzazione. Sicuramente con il cambiamento climatico gli eventi sono sempre più frequenti. Ma a Cancia la consapevolezza del pericolo doveva esserci già prima che il clima impazzisse: quassù va così da secoli». Angela Pederiva © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gazzettino | 1 giugno 2025
p. 27, edizione Belluno, segue dalla prima
«Il rombo dei motociclisti disturba la quiete Unesco»
LAUREDANA MARSIGLIA
«Mi trovo a pochi metri dal rifugio Città di Fiume, all'ombra del Pelmo, ed è come essere in pista ad Imola, tanto è il rumore delle moto che percorrono il passo Staulanza. Così non si può andare avanti». Lo sfogo arriva dal sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, che chiede un tavolo provinciale per trovare misure che riducano l'inquinamento acustico nello scenario paradisiaco delle Dolomiti Unesco. «Qui dovrebbe regnare il silenzio - dice -, invece il frastuono è enorme. Basterebbe che tenessero un regime più basso ma così non è. Dobbiamo trovare misure che tutelino anche chi qui cerca il silenzio». A cento metri dal rifugio città di Fiume, che svetta a quasi 2mila metri all'ombra del monte Pelmo, una delle cime più significative delle Dolomiti patrimonio Unesco, Camillo De Pellegrin, sindaco di Val di Zoldo, non resiste più. Il rombo assordante delle moto che transitano sul passo Staulanza, trasforma la magia del santuario naturalistico in una sorta di assordante succursale di Imola, rompendo il silenzio che queste spazi meriterebbero. PASSI COME PISTE «Basta, è tempo di affrontare anche questo problema - afferma al telefono mentre scarpina per raggiungere il rifugio -. Io non sono contro i motociclisti, perché lo sono anch'io, ma non si può ridurre la montagna Unesco ad una pista per sgasare con le moto. Se andassero ad un velocità civile questo non succederebbe, ma così purtroppo non è. E allora servono soluzioni. Non è possibile che la loro presenza disturbi chi viene quassù per assaporare la pace e la bellezza, servono regole che rispettino tutte le sensibilità». Ma quale rimedio? Il caso non è certo di facile soluzione, specie da quanto gli autovelox sono stati messi fuori uso perché non omologati, tanto che da aprile dell'anno scorso tutto ancora tace in attesa di nuove misure che ne sdoganino l'utilizzo. «E SIAMO SOLO AGLI INIZI» «Non ho ancora idea di quali misure si possano adottareafferma De Pellegrin - ma di certo dobbiamo sederci ad un tavolo e trovare delle possibili soluzioni ad un problema reale, perché non è possibile tollerare questa situazione che crea disturbo, che inquina acusticamente le vallate». Con il primo fine settimana di bel tempo, dopo mesi di pioggia e freddo, caduto tra l'altro a ridosso del ponte del 2 giugno, i turisti si sono scatenati, in prima fila i motociclisti che amano i passi dolomitici dove poter dare sfogo a tecnica di guida, tra un tornate e l'altro, e velocità. E purtroppo gli incidenti, anche mortali, sono una sequenza senza fine. «Oggi il rumore si sente perfettamente anche da quassù - prosegue De Pellegrin - e siamo solo agli inizi della stagione estiva, figuriamoci cosa succederà entrando nel pieno della bella stagione. Tutto questo stride con la valenza ambientale di questi luoghi». UN TAVOLO PER RAGIONARE Ma c'è chi il rumore non lo sente, come una turista che De Pellegrin incontra mentre sta scendendo. «Sinceramente - risponde la donna intervistata al volo dal sindaco - non ci ho fatto caso, sono talmente rapita dalla bellezza di questi luoghi che mi sono persa... Però ora che me lo fa notare lo sento». Battagliero come sempre, geloso amante delle bellezze in cui è immersa la Val di Zoldo, De Pellegrin non demorde: «Chiedo un tavolo per ragionare su questo tema. Assieme possiamo trovare soluzioni rispettose di tutti, motociclisti compresi». Lauredana Marsiglia © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Corriere delle Alpi | 2 giugno 2025
p. 13
Incassi da multe con autovelox: a Colle Santa Lucia 400 mila euro
FDM
BELLUNO
Gli incassi dei Comuni dalle multe stradali continuano a crescere: sono stati di 650 milioni nel 2024 (+11%). Ma gli autovelox, tra i maggiori responsabili di questo fenomeno, rischiano lo stop: dal 12 giugno scattano nuove regole, ma mancano ancora le regole per l'omologazione degli apparecchi. I consumatori, Codacons e Assoutenti, fanno i conti anche in vista dei prossimi esodi estivi. Hanno scoperto così che il piccolo comune di Colle Santa Lucia, sulle Dolomiti, che conta poco più di 300 abitanti, grazie al suo unico autovelox ha incassato quasi 400 mila euro di multe nel 2024, ossia 1,66 milioni di euro totali nel periodo 2021-2024, in media 4.896 euro a residente. Assoutenti osserva come, «in assenza di regole certe, si rischi il caos sulle strade delle vacanze, con conseguenze non indifferenti sul fronte della sicurezza stradale e sulle casse degli enti locali». «I Comuni che adottano apparecchi non omologati dovranno infatti disattivarli» spiega il presidente Gabriele Melluso, «pena una raffica di ricorsi da parte degli automobilisti, anche in virtù di una recente sentenza della Cassazione che ha bocciato la circolare del Mit che equiparava l'omologazione all'approvazione degli autovelox, ribadendo come le sanzioni elevate da apparecchi non omologati siano nulle». Non solo: «Dal 12 giugno le amministrazioni locali, con l'entrata in vigore definitiva delle nuove regole varate dal Mit lo scorso anno, non potranno più disseminare le strade di autovelox, ma dovranno rispettare distanze minime tra una postazione e l'altra e installarli dopo il parere dei prefetti». Maurizio Troi, assessore del Comune di Colle Santa Lucia, replica osservando che le analisi delle associazioni vanno prese con le pinze: «Non voglio polemizzare, ma l'autovelox è posto sul passo Giau, preso d'assalto da migliaia d'auto in determinati periodi
dell'anno. È al momento l'unico strumento che abbiamo, non per fare cassa, ma per cercare di decongestionare il flusso, affinché questo avvenga nella massima sicurezza. Purtroppo già abbiamo corse continue di auto sportive, dalle Ferrari alle Porsche: anche l'altro giorno mi sono dovuto fermare in mezzo alla strada per il sopraggiungere, sull'altra corsia, di bolidi a 120 km orari». fdm © RIPRODUZIONE RISERVATA Colle Santa Lucia.
Alto Adige | 2 giugno 2025
p. 13
«Basta traffico», protesta dei ciclisti a Passo Sella
BOLZANO
Per due ore ieri mattina, dalle 9 alle 11, ciclisti ed escursionisti si sono «ripresi» Passo Sella. La strada è stata occupata dalla protesta pacifica organizzata dagli ambientalisti della Val Gardena, che chiedono misure efficaci contro l’eccesso di traffico e di rumore sui passi dolomitici. Troppe auto e moto, ribadiscono gli ambientalisti della associazione «Lia per Natura y Usanzes». La manifestazione ha trovato l’adesione anche, tra gli altri, di Mountain Wilderness. I ciclisti si sono dati appuntamento alla fermata dell’autobus di Plan de Gralba: da lì si sono diretti verso Passo Sella, scortati dalla polizia perché la manifestazione si svolgesse in condizioni di sicurezza. «Stop the traffic madness», «Silenzio sulle montagne», recitavano due striscioni esibiti dagli ambientalisti. A corteo terminato, auto e moto sono ripartite. «Contro il traffico eccessivo e per la sicurezza dei ciclisti sui passi dolomitici» era lo slogan della protesta. «Lia per Natura y Usanzes» chiede una legge nazionale per contingentare gli accessi dei mezzi a motore su alcune vie, per ragioni paesaggistiche e anche più presenza della polizia locale per ridurre almeno la velocità. «Come ciclista frequento molto i passi, ma incontro pochissimi controlli», lamenta uno dei partecipanti alla manifestazione. Ujep Runggaldier, (intervistato dalla Rai), sottolinea: «Le soluzioni devono arrivare dalla politica. Perché non pensare di prevedere lo stop al traffico ogni sabato dalle 9 alle 16?». ©RIPRODUZIONE RISERVATA.
Corriere delle Alpi | 4 giugno 2025
p. 27
Auto e moto a tutta birra sui passi Esplode la protesta dei sindaci
Francesco Dal Mas LIVINALLONGO
Strade dei passi pericolose, ma anche rumorose. A causa delle auto, ma pure delle moto. È l'allarme che arriva dagli operatori turistici e dai sindaci. «Ormai da settimane sui passi si materializzano le competizioni d'auto, fra le grosse cilindrate, magari provenienti dall'estero, ma anche da parte dei nostri concittadini, dall'acceleratore facile», protesta Oscar Nagler, sindaco di Livinallongo. Eppure le strade sono impraticabili. Non tutte, ma tante. Sui passi, soprattutto. «Dopo l'inverno, le nostre strade sembrano da terzo mondo. Asfalto ammalorato, buche, anzi voragini, dossi», dice Osvaldo Finazzer, che sul Pordoi gestisce due alberghi e coordina un'associazione di 78 operatori turistici, «e le auto scivolano sul ghiaino e urtano le pareti, moto e bici rischiano di finire a terra. Già un anno fa abbiamo evidenziano la pericolosità dell'asfalto ma non ci sono stati interventi. Attendono, ovviamente, la prossima tappa di un Giro d'Italia, ma quando arriverà?». Questa ed altre strade dei passi sono scelte dalle auto sportive durante il giorno per le loro corse. Anzi, competizioni. Che vengono anche riprese in video pubblicati sui social network. E di notte le strade si trasformano in circuito tra rombo di motori, accelerazioni e sgommate. «Protestiamo da anni, ma nessuno interviene», denuncia Finazzer. «I sindaci hanno poteri limitati. E, in ogni caso, personale di vigilanza ridotto all'osso», riscontra il sindaco Nagler, assicurando comunque tutto il suo impegno. Il collega Paolo Frena, sindaco di Colle Santa Lucia, conferma che quest'estate verrà completata un'indagine accurata sul traffico dalla quale scaturiranno gli elementi per procedere, l'anno prossimo, ad accessi più sostenibili, in questo caso al Giau. Ma dalla vicina Val di Zoldo il sindaco Camillo De Pellegrin rilancia altri allarmi. «Ci sono le corse, di auto e di moto, sui tornanti del passo Staulanza, ma non solo. Però è ancora più insopportabile l'inquinamento acustico, come quello che ho potuto constatare nei giorni scorsi salendo al rifugio Città di Fiume. C'è da chiedersi se i turisti, sempre più numerosi, anche stranieri, in arrivo per la straordinarietà delle nostre montagne, torneranno da questi parti dopo l'esperienza infernale di bolgia rumorosa che hanno maturato». Già l'anno scorso, Matteo Righetto, scrittore e presidente del Cai di Livinallongo e Colle Santa Lucia, aveva lanciato un analogo allarme: «Non si riesce a scalare, ad esempio sulle pareti del Sella, se da valle salgono rumori tali che non ci si sente neppure tra componenti della medesima cordata». L'albergatore Finazzer dice di avere le idee chiare sulle responsabilità: «I passi sono considerati angoli periferici poco sorvegliati e poco controllati dalle autorità, territori utili solo per eventi occasionali. Siamo ignorati e dimenticati perché posti ai confini dei territori: non c'è una visione o una strategia di sviluppo condiviso. Assente, purtroppo, anche la stessa Fondazione Dolomiti Unesco. Ribadiamo che gli imprenditori che vivono e lavorano sui passi difendono l'importanza dei collegamenti tra le valli per l'economia turistica, ma chiediamo un metodo più partecipativo delle politiche turistiche del territorio che viviamo». Il sindaco De Pellegrinn ritiene che sia urgente la convocazione di un tavolo, provinciale, anzi interprovinciale, per affrontare in modo condiviso il problema. «Non si tratta di vietare l'accesso dei mezzi motorizzati ai passi», dice, «se non in determinate situazioni, ma di porre dei limiti. A cominciare da quello relativo alla velocità. Soprattutto occorre più vigilanza, anche di notte, quando sempre più spesso si
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verificano corse improprie di auto, più o meno sportive». «Io, in Comune, ho due vigili», sottolinea, «ma nel fine settimana, quando interviene l'emergenza, dispongo solo di un agente, a turno. Bisogna trovare il modo di integrare, per dare la possibilità di muoversi in pattuglia».
Corriere delle Alpi | 6 giugno 2025
p. 19
Passi dolomitici: è stagione di gare Stop al traffico, largo alle biciclette
Francesco Dal MAS / BELLUNO
Via le Ferrari, le Porsche, le altre auto da corsa. Tutte le auto. Stop anche alle moto. Avanti solo i cicloturisti. Passi dolomitici chiusi, almeno alcuni giorni nei fine settimana, in modo da rendere più vivibili le alte quote, ma anche le valli. Ben 50 mila gli appassionati delle due ruote in arrivo sui Monti Pallidi, per un mese, da domani. Insomma, prove tecniche di chiusura. «Le Dolomiti escono dall'inferno». Esagera, ma non troppo, Leandro Grones, albergatore di Arabba, già sindaco di Livinallongo, «Con l'arrivo dei cicloturisti che sui Passi provano per il Sellaronda Bike Day in programma sabato, sono sparite le corse delle auto sportive; l'altro giorno giravano 20 Ferrari con targa cecoslovacca. Finalmente, dunque, ci godiamo il Paradiso, o quanto meno il Purgatorio». i sette passi e le chiusure Dunque, per un mese, nei fine settimana, i sabato soprattutto, le strade dei principali passi dolomitici, 7 per la precisione, accoglieranno decine di migliaia di cicloturisti e i loro accompagnatori. Stiamo parlando delle strade del Pordoi, del Campolongo, del Giau, del Falzarego, del Valparola, oltre che del Sella e del Gardena. Si comincerà domani, con il primo evento (se il tempo tiene, potrebbero arrivare 20 mila ciclisti). Ovviamente raduni così complessi sono autorizzati da Prefetture e Questure, vengono accompagnati dai Comuni e dalle Province, oltre che dalle organizzazioni di volontariato. Sabato 14 giugno sarà invece la volta del Sella Ronda Hero. Il giorno 21 del Dolomites BikeDaiys. Domenica 6 luglio ci sarà la classica Maratona Dles Dolomites. E domenica 13 luglio la Dolomiti Superbike. Poi in settembre, il giorno 7, ritornerà il Sella Ronda Bike Day. gli eventi Nelle giornate dei raduni le strade resteranno chiuse, ai turisti ma anche ai residenti. Domani, ad esempio, dalle 8.30 alle 16, intorno al Gruppo del Sella. Con tanto di autorizzazione, ovviamente, della Prefettura di Belluno, per quanto riguarda il territorio provinciale. Il 21 giugno, invece, saranno coinvolti altri Passi: il Campolongo, il Falzarego, il Valparola, per 51 chilometri. Il percorso – riservato esclusivamente alle bici, dalle 8.30 in poi – potrà essere affrontato da dove il ciclista desidera e nell'orario che riterrà più opportuno. Hero Sudtirol Dolomites è invece un itinerario destinato ad atleti (che non saranno comunque meno di 5 mila). È in agenda il 14 giugno e la gara viene considerata una delle manifestazioni di mountain bike più importanti per amatori e professionisti. Il percorso classico, intorno al Gruppo del Sella ha una lunghezza di 60 chilometri e un dislivello di 3.200 metri. La distanza intermedia è su 71 chilometri e presenta un dislivello di 4.100 metri. Infine c'è la Maratona, di ben 86 chilometri, con un dislivello di 4500 metri. L'evento più classico è la Maratona dles Dolomites, in partenza da Corvara, e in agenda il 6 luglio. Sarà a numero chiuso, 9 mila partecipanti. La partecipazione è molto ambita e purtroppo tante richieste rimangono escluse: per un criterio di sostenibilità ambientale. I percorsi sono diversi, coinvolgono ben 7 passi e sono lunghi complessivamente 139 chilometri, per un dislivello di 4.230 metri. Le strade vengono chiuse dalle 6.30 del mattino fino alle 16 circa. Il "circo" della pedalata in libertà si sposta il 13 luglio dall'altra parte della provincia, al confine con la Val Pusteria, per la Dolomiti Superbike, che attrae molti ospiti di Cortina e del Cadore, in particolare del Comelico, svolgendosi tra i laghi di Landro, Braier, Prato Piazza. pro e contro A Michela Lezuo, albergatrice e storica presidente del Consorzio turistico di Arabba, piace sottolineare due aspetti: «La ricettiva alberghiera ed extra di questo mese, iniziale per l'estate, conta molto su queste presenze, di cicloturisti e famigliari, fino a fare il pieno delle disponibilità e poi» aggiunge «certifichiamo che è possibile porre un limite all'assalto automobilistico, con seguito di inquinamento, alle nostre valli». «Sì, ma non bisogna esagerare» mette in guardia Osvaldo Finazzer, due alberghi sul Pordoi, e coordinatore di 78 operatori turistici di alta quota, «Che non si passi» ammonisce «dalla chiusura dei valichi qualche giorno all'anno a un fermo quotidiano, come si era tentato nel passato. Quella sperimentazione è stata un fallimento. E un danno». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Alto Adige | 7 giugno 2025
p. 29
«Più attenzione per economia e strade dei passi»
PASSI DOLOMITICI
Osvaldo Finazzer, gestore di due alberghi a Passo Pordoi e coordinatore di un’associazione di operatori turistici, torna alla carica per quanto riguarda il traffico sui passi dolomitici. Lo fa alla vigilia dell’estate e in vista della prossime manifestazioni ciclistiche (oggi il 19° Sella Ronda Bike Day) con il previsto grande afflusso di ciclisti. Le strade dei passi, dopo l’inverno, presentano tra l’altro tratti di asfalto danneggiato e buche e Finazzer lamenta l’assenza di interventi nonostante le segnalazioni fatte e sottolinea "che si attendono solo eventi come il Giro d’Italia per eventuali riparazioni. Inoltre, le strade sono teatro di corse di auto sportive e moto, spesso documentate sui social, che causano rumori forti e pericolo per chi le percorre, specialmente di notte. I sindaci si lamentano per i poteri limitati e la scarsità di personale per la vigilanza, ma assicurano il loro impegno. Intanto l’inquinamento acustico provocato dai mezzi rischia di
compromettere l’esperienza turistica e di allontanare visitatori. Anche il Cai e autorità locali hanno espresso preoccupazione”. Secondo Finazzer, "i passi sono considerati zone periferiche, poco controllate e sfruttate solo per eventi occasionali, senza una strategia turistica condivisa e senza un’effettiva attenzione da parte delle istituzioni, compresa la Fondazione Dolomiti Unesco". Come coordinatore degli operatori turistici, chiede quindi “una visione strategica per tutelare e valorizzare questi territori fondamentali per l’economia locale" e “controlli delle forze dell’ordine rafforzati”. E.D.
Corriere del Veneto | 8 giugno 2025
p. 9, edizione Treviso – Belluno
Moto lanciate a tutta velocità L’ira dei sindaci: ridateci i velox
DIMITRI CANELLO
BELLUNO
Il sasso lo ha lanciato nei giorni scorsi il sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin. Un post feroce, pubblicato sui suoi canali social, sugli autovelox, per denunciare una realtà che sta diventando insostenibile. «Finite le prove il j’accuse ferocemente ironico di De Pellegrin oggi sono iniziate le gare motociclistiche sul circuito Longarone – Palafavera. Si ringrazia il ministero per aver tagliato il nastro anche per questa stagione estiva. Le prove si terranno ovviamente senza limiti di velocità, non avendo il ministero disciplinato un uso legittimo degli apparecchi di controllo dopo le sentenze della Cassazione che richiedono una omologazione degli strumenti impossibile da richiedere in quanto non esistente». Per poi concludere l’invettiva con un eloquente: «Si ringraziano sentitamente anche gli enti che ne hanno fatto un uso scellerato negli anni contribuendo a creare la situazione attuale in cui ogni controllo dei limiti è diventato illegittimo a discapito della sicurezza di tutti». La questione autovelox e la loro deregolamentazione agita il sonno dei sindaci bellunesi. In particolare quelli in zone dove le moto sfrecciano a velocità folli forti del fatto che gli apparecchi di rilevamento della velocità non siano omologati per legge. E che, quindi, siano al momento spenti, oltre che inutilizzati: «Il ritardo è clamoroso aggiunge De Pellegrin a qualche giorno dalla sua denuncia e speriamo tutti vivamente che presto accada qualcosa. Inutile girarci attorno, se si rispettano le leggi gli autovelox fissi non si possono utilizzare per mancata omologazione. La Trucam, ossia la pistola mobile che viene puntata contro gli automobilisti e i motociclisti per rilevarne la velocità, è nella stessa situazione. E per i velox fissi ci vogliono i vigili sul posto, con tutta una serie di limitazioni che favoriscono solo chi non rispetta la legge. Non possiamo più andare avanti così Quello che succede a Zoldo succede anche in tutto il resto della provincia». Fra i punti più a rischio, il rettilineo stradale tra Mareson e Pecol, il tragitto fra Cortina e il Passo Giau. Il presidente della Provincia Roberto Padrin, che ricopre anche il ruolo di sindaco di Longarone, allarga le braccia sconsolato. «La situazione è veramente difficile ammette anche perché continuiamo ad attendere una regolamentazione da parte del governo che tarda ad arrivare. Le settimane passano e in tutta la provincia sono sommerso di segnalazioni. Guardando in casa mia, posso dire e denunciare come sulla statale 251 in direzione del Vajont nel fine settimane siamo ormai in presenza di vere e proprie gare motociclistiche: le velocità raggiunte sono folli e nessuno può farci nulla. I cittadini sono giustamente preoccupati. In Italia ognuno fa quello che vuole, ma se un sindaco rispetta la legge, oggi non può utilizzare autovelox per elevare contravvenzioni, se lo fa un semplice ricorso al giudice di pace può annullare la sanzione con buona pace di chi cerca di far valere le regole e tutelare i cittadini».
Alto Adige | 22 giugno 2025 p. 33
«Corse di auto e moto sui passi: servono interventi immediati»
"Il livello di allarme ha raggiunto un livello tale da richiedere interventi immediati. Affronteremo in giunta la problematica e solleciteremo l'assessore provinciale Alfreider per vedere cosa è possibile fare". Roman Crazzolara, il nuovo sindaco di Corvara, è preoccupato per le “corse” sempre più frequenti di auto e moto sulle strade dei passi: "Le auto, sempre più potenti, e anche le moto osservaimperversano sui passi mettendo a rischio gli altri automobilisti e i ciclisti. Le proteste si ripetono da parte delle associazioni turistiche, fra gli abitanti e fra tutti gli ospiti dell'Alta Badia. Le velocità elevate e le situazioni pericolose si ripetono soprattutto nelle prime ore del giorno". Ieri si correva la Dolomiti Bike Day con i passi Campolongo, Falzarego e il Valparola chiusi al traffico: "Sembrava di essere in un altro mondo - dice ancora Crazzolara - regnava il silenzio. Appena i ciclisti hanno smesso di pedalare, erano passate da poco le 14.30, è ricominciata la corsa di auto e di moto”. E.D.
Corriere delle Alpi | 6 giugno 2025
p. 11, edizione Treviso – Belluno
Tre Cime, bus navetta per il rifugio «Meno auto e più sostenibilità»
DIMITRI CANELLO
AURONZO
Un passo deciso verso un turismo più sostenibile e rispettoso dell’ambiente: è questo il significato del via libera, da domani fino al 30 settembre, al nuovo servizio navetta gestito da Dolomiti Bus che collegherà Misurina al Rifugio Auronzo, cuore pulsante del turismo alle Tre Cime di Lavaredo. Un’azione concreta per alleggerire la pressione da traffico privato su uno dei luoghi simbolo delle Dolomiti e patrimonio naturale di valore universale e che si unisce alla decisione del Comune di Auronzo di istituire un numero massimo di veicoli (settecento) che possono raggiungere una delle perle delle Dolomiti Bellunesi. Nonostante le misure introdotte negli anni precedenti, come il pedaggio per i veicoli diretti al Rifugio Auronzo, la zona ha continuato a registrare numeri impressionanti, con picchi fino a 7-8 mila presenze al giorno nei periodi di alta stagione. La nuova navetta si inserisce in un quadro di riorganizzazione degli accessi, volto a coniugare fruizione turistica e tutela ambientale. «Le Tre Cime di Lavaredo spiega Andrea Biasiotto, presidente di Dolomiti Bus sono un patrimonio naturalistico di valore assoluto, ma il turismo non regolato ne ha compromesso l’equilibrio. Con questo servizio vogliamo dare una risposta concreta, promuovendo un accesso sostenibile e più consapevole». La navetta non sarà l’unico intervento previsto. Sono in programma corse dedicate da Cortina d’Ampezzo e da Auronzo di Cadore, con coincidenze comode da Calalzo, sede della stazione ferroviaria più vicina. Una rete che, nelle idee degli amministratori, punta a disincentivare l’uso dell’auto privata e ad agevolare l’accesso anche a chi viaggia con i mezzi pubblici. Da alcuni giorni la tariffa di accesso al Rifugio Auronzo è stata aumentata da 30 a 40 euro al giorno per gli autoveicoli e l’accesso sarà contingentato, per limitare l’impatto ambientale e garantire una migliore esperienza ai visitatori. Sul fronte del trasporto pubblico locale, intanto, il consigliere provinciale con delega alla Mobilità Massimo Bortoluzzi ha annunciato un imminente incontro con i rappresentanti dell’Unione Montana Comelico e i sindaci dell’area per discutere delle criticità sollevate in merito al nuovo orario estivo di Dolomiti Bus: «Il nostro territorio è vasto e variegato, ma dobbiamo ascoltare le esigenze di tutte le sue parti, soprattutto le aree più periferiche come il Comelico dice Bortoluzzi . Le richieste che raccoglieremo saranno portate al tavolo con Dolomiti Bus per cercare di trovare soluzioni che rispondano alle necessità di studenti, lavoratori e categorie fragili».
Corriere delle Alpi | 9 giugno 2025
p. 18
Misurina nella morsa delle auto «Le navette partano da Auronzo»
Francesco Dal Mas / AURONZO
Le contraddizioni delle misure contro l'overtourism. Le prenotazioni, nel caso delle Tre Cime di Lavaredo, lo stanno contenendo. Fino al punto di provocare la protesta dei rifugisti già attivi. Ma l'avvio delle navette, da ieri, riporta il pressing dei visitatori con macchina al seguito, parcheggiata a Misurina. Località che il Comune di Auronzo voleva liberare dalle auto. 700 automezzi al giorno Già sotto processo la prenotazione dei posti macchina ai piedi delle Tre Cime. È scattata il 28 maggio, sta portando in quota una media di 700 automezzi al giorno, quindi nel pieno rispetto della compatibilità ambientale. Ma sia i rifugisti, sia gli operatori turistici che operano intorno al Lago di Misurina, lamentano un 30% in meno di arrivi e presenze di visitatori. «Causa il tempo inclemente, ma non solo», afferma Gianni Pais Becher, storico titolare di un negozio di articoli sportivi. I suoi colleghi completano la spiegazione osservando che la prenotazione ha diradato di un terzo il flusso turistico. E che tanti automobilisti se ne vanno indispettiti quando scoprono che non si sale alla ‘Trinità' senza il ticket; vengono fermati alla rotonda della "Genzianella", tra Misurina ed il lago Antorno. Prenotazione, unica misura possibile Se in Val Pusteria, dei sindaci sono arrivati a chiudere il transito ai turisti lungo alcune strade panoramiche, in Comune ad Auronzo si sostiene che «la prenotazione, ad oggi, era l'unica soluzione possibile contro l'overtourism». Così, almeno, dichiara Nicola Bombassei, consigliere comunale delegato a Misurina e alle Tre Cime. «Le code e i parcheggi selvaggi suscitavano le proteste in prima istanza dei residenti e degli operatori. Davamo un'immagine nient'affatto rassicurante della nostra "Perla". In attesa di altre misure, più complesse, abbiamo riorganizzato le soste, evitando quelle appunto selvagge, e per far rientrare le code, è stata individuata la scelta ottimale della prenotazione. Che, come sappiamo, verrà adottata anche in altri siti. Ma, prima di noi, l'ha sperimentata Venezia». Le Navette, pro e contro Un'opera di razionalizzazione della mobilità e della sosta che viene compromessa da Dolomitibus, a parere del Comune. La Società del Tpl bellunese ha presentato le navette da Cortina e da Misurina, partite ieri, come un contributo alla compatibilità ambientale. Invece, come anche ieri si è dimostrato, tanti escursionisti arrivano con l'auto a Misurina e qui salgono con il pullman. «Dolomitibus ha potenziato le navette da Cortina e diminuito le corse da Auronzo», rileva Bombassei. «Inoltre ha moltiplicato il trasporto da Misurina alle Tre Cime, invogliando gli automobilisti a parcheggiare la macchina intorno al lago, quindi rioccupando le soste che il Comune aveva razionalizzato. Noi avevamo chiesto anche le navette da Auronzo, anzi da Calalzo».
L'organizzazione delle navette Solo dal 6 giugno è riaperto il Rifugio Auronzo. Ma già ieri, fin dalle prime ore della navetta, si sono subito concretizzate le code, alla fermata della Genzianella, dove il parcheggio è ampio, ma non con una disponibilità all'infinito. Quindi tante auto sono state portate in sosta lungo il lago. Oppure più su, al Rifugio del lago Antorno, dove pure c'è un park. E qui fa la prima tappa anche la navetta di Dolomitibus (la seconda è all'ingresso del casello d'ingresso della strada). La salita in pullman costa 10 euro, quella in auto 40 (quindi 10 euro a testa se si è in 4). Andrea Quinz, gestore del ristorante Malga Rin Bianco, contesta il contributo delle navette – perchè così è stato rappresentato – all'alleggerimento della pressione turistica: «Le navette per tentare di alleggerire? Semplice matematica: prenotazioni massimo 600 auto (media 3,4 per auto, tenendo conto che i van da 9 sono nella stessa categoria), quindi 2000 persone. Afflusso stimato, l'anno scorso di 12.000 persone al giorno. Chi porta in quota le 10.000 persone? Le navette. Chi fa l'overtourism? Le navette. Adesso saremo "salvati" da chi oltretutto intaserà di auto Misurina e le Tre Cime, perché le "navette" partono dal lago, non dai paesi limitrofi». Quinz suggerisce: «Volete ridurre l'afflusso e salvare anche l'economia morente di Misurina? Bus solo dai paesi, niente sosta se non per chi soggiorna». Non è colpa del Comune Ma in questi giorni Quinz ha protestato anche con l'amministrazione di Auronzo perché avrebbe permesso il moltiplicarsi del bus navetta, con partenza da Misurina. «Questo significa il riempimento fin dalle prime opre del mattino dei pochi parcheggi di Misurina. Il fenomeno era già grave l'anno scorso, con auto piantate ovunque e zero possibilità di trovare una sosta per chi arrivasse in tarda mattinata. Il Comune ha quindi pensato di interdire gli stalli non autorizzati, lungo le strade, riducendo ulteriormente la capienza della località». «Non abbiamo nessuna responsabilità», chiarisce Bombassei. «Abbiamo cercato di coinvolgere Dolomiti Bus nelle nostre decisioni per migliorare il servizio e la stessa viabilità verso le Tre Cime istituendo il nuovo sistema di prenotazione. Abbiamo diminuito i posti auto a Misurina per evitare lo scempio dei parcheggi selvaggi. I vertici di Dolomitibus erano ben consapevoli delle nostre intenzioni, abbiamo cercato di sensibilizzare l'azienda per aumentare le corse da Auronzo più volte nelle sedi opportune negli incontri istituzionali. Quello che da oggi ci troviamo ad affrontare è invece un orario che ci penalizza non poco, che costringe gli utenti a utilizzare i propri mezzi, altro che sostenibilità. Ci sembra che Dolomitibus voglia solo sfruttare Auronzo e le Tre Cime».
L’Adige | 6 giugno 2025
p. 34
Strada di Tovel, ecco gli orari di apertura
FABRIZIO BRIDA
VILLE D’ANAUNIA
Ancora un po’ di pazienza e poi si potrà di nuovo ammirare una delle perle più preziose della Val di Non e del Trentino in generale. Come è noto, sulla Strada Provinciale 14 della Val di Tovel sono in corso i lavori per la costruzione della galleria paramassi che renderà il collegamento tra l’abitato di Tuenno e lo splendido specchio d’acqua incastonato tra le Dolomiti di Brenta più sicuro, aumentando i periodi di accesso al lago. Così come avvenuto l’estate scorsa, anche quest’anno la strada, dove il cantiere procede per step, sarà percorribile in maniera regolata durante la bella stagione. A partire da venerdì 13 giugno sarà infatti possibile accedere alla Valle di Tovel nei fine settimana con apertura della strada a senso unico alternato dalle 18 del venerdì fino alle 8 del lunedì. Questa modalità resterà in vigore fino al 30 giugno. Nei due mesi successivi, e cioè dal primo luglio fino alla fine di agosto, la strada sarà percorribile tutti i giorni, sempre a senso unico alternato lungo il tratto di cantiere compreso tra il chilometro 2,150 e il chilometro 2,800. Dal primo al 14 settembre si tornerà alla modalità di apertura nei soli fine settimana, con gli stessi orari (dalle 18 del venerdì alle 8del lunedì). A partire dal 15 settembre, invece, la strada verrà chiusa al traffico. Tutto come da programma, insomma. Con l’obiettivo di consentire il completamento dei lavori, previsto nel corso della primavera 2026. «In questo modo, durante la stagione turistica – spiegano il presidente della Provincia Maurizio Fugatti e l’assessore all’ambiente e alla difesa idrogeologica Giulia Zanotelli, che risiede proprio a Tuenno – consentiamo l’accesso ai numerosi ospiti ed escursionisti, ma anche ai residenti in valle che ogni anno visitano la zona del lago, dove si trovano esercizi pubblici e strutture ricettive, e dalla quale si raggiungono la rete di sentieri e le malghe in quota. Nel frattempo prosegue la realizzazione di un’opera significativa, per il territorio e per tutto il Trentino». L’intervento, che prevede la costruzione di una galleria artificiale lunga circa 550 metri subito dopo la zona di Santa Emerenziana, è infatti ritenuto essenziale per la messa in sicurezza della zona, frequentemente soggetta a fenomeni franosi. L’opera è finanziata con un importo pari a 12 milioni di euro complessivi, di cui 2.859.059 euro dalla Provincia e 9.140.940 euro dal Pnrr nell’ambito degli interventi per la gestione del rischio idrogeologico. Attualmente sono in corso i lavori di realizzazione delle fondazioni e delle strutture in cemento armato della nuova galleria, mentre prosegue il monitoraggio del versante roccioso e si avviano alla conclusione gli interventi per l’installazione delle nuove barriere paramassi. Durante l’estate, compatibilmente con le aperture al traffico, proseguiranno le opere principali, mentre le strutture di copertura della galleria saranno completate nei mesi autunnali e invernali, in corrispondenza del periodo di chiusura della strada.
Corriere del Veneto | 15 giugno 2025
p. 2, edizione Treviso – Belluno
I Serrai di Sottoguda riaperti dopo sette anni «Ieri 370 visitatori»
ROCCA PIETORE (Belluno)
Le immagini dei Serrai di Sottoguda travolti dalla tempesta Vaia, alla fine di quel drammatico ottobre 2018, fecero il giro d’Italia e del mondo. E la devastazione di quel canyon, una delle attrazioni più suggestive delle Dolomiti patrimonio Unesco, fece pensare al peggio: sarebbe stato possibile ripristinare tutto com’era? E, soprattutto, in quanto tempo? A distanza di quasi 7 anni - e dopo una riapertura sperimentale nell’estate del 2024 - da ieri i Serrai sono tornati pienamente fruibili. Il complesso intervento di riqualificazione naturalistica finanziato dalla Regione per 11 milioni di euro, infatti, ha restituito al pubblico questa gola naturale unica al mondo, tra cascate e formazioni rocciose alte anche oltre cento metri. Con una novità: se prima l’accesso era sostanzialmente incontrollato, ora visite ed escursioni avverranno a numero chiuso. Non più di duecento persone contemporaneamente, dopodiché sarà ammesso un accesso per ciascuna persona in uscita. La gestione è stata affidata alla cooperativa «Sviluppo&Lavoro». Ieri sono stati 370 i turisti che hanno varcato l’accesso dei Serrai, comitive provenienti soprattutto dal Bellunese ma anche dal Trentino, dalla vicina Val di Fassa. Un bilancio che il sindaco di Rocca Pietore, nel cui territorio ricade la gola, valuta con soddisfazione e una punta di emozione. «Fin dalle prime ore c’era un centinaio di persone - spiega Valerio Davare -, a fine giornata (i Serrai sono aperti dalle 9 alle 17, ndr .) sono state 370. Direi che è andata molto bene». La scelta di introdurre il numero chiuso è stata dettata da più fattori. Il primo, per evitare le calche da «overtourism» ormai sempre più frequenti anche in montagna. Il secondo, ma non meno importante, «per consentire di visitare i Serrai - precisa il giovane primo cittadino - in tutta loro magnificenza». «Non vogliamo quell’effetto-fiera che si vede altrove - dice Davareper cui abbiamo deciso di spalmare l’accesso. Un po’ come succede in discoteca: se il locale è pieno, per entrare devi attendere che esca qualcuno». Un altro obiettivo è quello di convincere gli escursionisti ad evitare le ore più affollate, ossia fra le 11 e le 15, «abituandoli a presentarsi anche dopo o prima». Contemporaneamente, nell’intera Sottoguda è stata attivata la zona a traffico limitato: «Le auto resteranno fuori, così la bellezza del borgo potrà essere ammirato in tranquillità e in piena sicurezza», aggiunge il sindaco Davare. I Serrai, dal canto loro, sono uno dei luoghi più scenografici e geologicamente emblematici delle Dolomiti: costituiti da una profonda forra lunga poco più di 2 chilometri e larga da 5 a 20 metri, non si prestano certamente ad un «assalto» di turisti. Motivo per il quale ieri, grazie al contingentamento, uno dei protagonisti della giornata è stato il silenzio, rotto giusto dal rumore delle cascate e dallo scorrere dell’acqua del torrente Pettorina. Ma quanto costa entrare? Il prezzo del biglietto è di 5 euro per gli adulti, di 2 euro per chi ha tra 2 e 14 anni ed è gratis per under 14 e persone con disabilità.
Corriere delle Alpi | 1 giugno 2025
p. 28
Cabinovia e cantieri protesta a Mortisa «Comunità spaccata in modo insanabile»
Stefano De Barba / cortina
Esponenti del mondo ambientalista, attivisti, ma anche ampezzani stanchi di essere "foresti a casa nostra" e decisi a non farsi calare sulla testa un impianto olimpico, la cabinovia Apollonio-Socrepes, contestato per l'impatto sui prati di Mortisa e Convento e sul villaggio di Lacedel e per le criticità idrogeologiche del progetto. Gli organizzatori hanno contato oltre 150 partecipanti, ieri mattina a Mortisa, al flashmob organizzato proprio lì dove è prevista la stazione intermedia dell'impianto di risalita destinato a portare in quota atleti e spettatori durante i Giochi invernali 2026. C'era in prima fila Roberta de Zanna, consigliera di minoranza di Cortina bene Comune, e poi c'erano i rappresentanti di Mountain Wilderness, Italia Nostra, Legambiente, Peraltrestrade, assieme ad abitanti di Mortisa. «È vero che viviamo di turismo, ma di turismo si può anche morire», ha sottolineato de Zanna davanti ai partecipanti che innalzavano cartelli come "No a montagne di cemento" e "Stop al consumo di suolo". «Quando questa comunità avrà perso la propria identità, avrà perso il proprio potere di gestire il paese, vorrà dire che il turismo ci ha sopraffatti, non sarà più una fonte di vita per noi, ma sarà forse qualcuno appunto godrà ancora di queste ricchezze del paese». «Di questo impianto abbiamo detto di tutto e di più», ha rimarcato la consiglierea ampezzana, «sappiamo che è un impianto a rischio perché viene costruito su una zona franosa e quindi il rischio è che possa venir giù tutto. Ma il rischio è anche che questo impianto costi ogni anno un sacco di soldi in manutenzione, costi che peseranno sulle casse comunali». «Abbiamo detto che si mangerà un'altra fetta di paesaggio. Quando si arriva da sud la prima la prima visuale che si ha sulla Conca è di questi prati verdi di Mortisa», ha sottolineato. «E cosa succederà quando questi prati saranno attraversati da piloni? Ci hanno addirittura detto che questo impianto poteva servire agli abitanti di Mortisa per andare in centro a fare la spesa. Ecco, io vorrei chiedere agli abitanti di Mortisa che sono qui se hanno mai pensato di andare in centro a fare la spesa con una cabinovia». La risposta l'hanno data loro stessi, rumoreggiando e definendo "una battuta" l'ipotesi di scendere in centro a comprare il
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Corriere del Veneto | 1 giugno 2025
p. 10, edizione Treviso – Belluno
Il flashmob contro la cabinovia «Non abbassiamo la guardia»
Ugo Cennamo CORTINA
Aldilà di come la si pensi, si parteggi per i favorevoli o viceversa per i contrari alla realizzazione della cabinovia Apollonio Socrepes, fa davvero uno strano effetto pensare che in quei prati fioriti, ieri mattina baciati dal sole e mossi da una lieve brezza primaverile, in quell’infinita bellezza di una delle meraviglie che Cortina d’Ampezzo nasconde e a sorpresa rivela, camion e ruspe diventeranno per 240 giorni i protagonisti. Così il flash mob per ribadire il no all’impianto organizzato con la consueta indomita tenacia da Roberta de Zanna, consigliera comunale di minoranza del gruppo Cortina Bene Comune, ha avuto un sapore nostalgico piuttosto che battagliero. Quasi che i centocinquanta presenti all’appuntamento volessero portare a casa una foto ricordo di Mortisa, luogo a meno di un chilometro dal campanile di Cortina dove, anche nel primo giorno dell’affollato ponte del 2 giugno, il tempo sembra essersi fermato. Un’immagine prima di quella che i manifestanti considerano l’ennesima violenza perpetrata ai danni di «Cortina, la bella stuprata», come recita lo slogan su uno dei cartelli tenuti in bella vista mentre gli speaker, per lo più Ampezzani, Cadorini oltre a civici e ambientalisti di Mountain Wilderness, Legambiente e Italia Nostra, si alternano al microfono spiegando perché è importante non abbassare la guardia. Tutt’intorno poche case sparse e austeri tablà disegnano un bucolico quadretto, a far da sfondo le Tofane. Completa il presepe fuori stagione un gregge di pecore intento a brucare erba, insidiato solo da lupi e da volpi che predano eccome, tant’è che l’agnellino numero 33, come ieri lamentava la giovane coppia che ha scelto la pastorizia per vivere, mancava all’appello. Quando il cantiere aprirà, e dopo la nomina a commissario straordinario dell’ad di Simico Fabio Saldini difficile non succeda, non ci saranno greggi e nemmeno lupi e volpi. Poi, quando camion e ruspe avranno finito, l’impianto diventerà operativo trasportando 2.400 spettatori all’ora verso la pista Olympia teatro delle gare olimpiche di sci alpino femminile. Sempre che i lavori finiscano entro dicembre come Saldini assicura. Salvo che il Tar del Lazio non accolga il ricorso delle 24 famiglie di residenti e di proprietari di terreni a Lacedel, altra zona oltre a Mortisa interessata dal tracciato. O ancora, non bastino le contromisure adottate per fermare i movimenti franosi. Sarà vero che l’impianto servirà a ridurre l’assedio delle auto? Ieri a Mortisa nessuno ci credeva. Anche per questo Legambiente ha affibbiato per il secondo anno consecutivo la bandiera nera a Cortina. «Da affiancare sul municipio a quella olimpica», suggerisce un provocatorio ambientalista.
Corriere delle Alpi | 6 giugno 2025
p. 28
Socrepes, Tar del Lazio ago della bilancia Se la sospensiva verrà accolta stop ai lavori
Alessandro Michielli / cortina
La famiglia Curtolo, tramite lo studio legale fiorentino Caretti - Tagliaferri, il prossimo 25 giugno tratterà l'istanza cautelare contro la realizzazione della cabinovia davanti ai giudici del Tar del Lazio. Gli avvocati avevano già presentato un primo ricorso al Tar del Veneto (con scarsi risultati fino ad oggi), ma nella seconda istanza i giudici romani dovranno tenere in considerazione la relazione geologica realizzata dal professor Eros Aiello, geologo con oltre 50 anni di esperienza nel campo della geologia, geotecnica, geoingegneria e
17 pane con l'impianto olimpico. Per questo de Zanna ha attaccato: «Questa cosa di essere presi in giro continuamente non possiamo più sopportarla». Non è mancata la soddisfazione per la partecipazione al flashmob. «Quando sono andata in questura a chiedere il permesso», ha spiegato de Zanna, «mi hanno chiesto quanti saremmo stati, forse una ventina? Ho risposto che saremmo stati molti di più questa volta. E con tutte le persone che hanno manifestato la loro adesione pur non potendo partecipare, siamo veramente in tanti. Questo può significare due cose: che siamo qui per preservare i bei prati di Mortisa che verrebbero compromessi per sempre dall'impianto, ma anche che siamo stanchi, stufi, delusi e amareggiati per quello che sta succedendo al nostro paese». «Siamo preoccupati per quello che sarà il futuro di questo paese», ha rimarcato. «Non solo perché vediamo sorgere ogni giorno un nuovo cantiere senza sapere a volte perché. È proprio questa spaccatura che si è creata all'interno di questa comunità che non siamo riusciti a sanare in nessun modo. Vediamo questi cantieri e possiamo veramente parlare di un paese violentato». C'è il cantiere all'ex stazione, ha sottolineato de Zanna, «era una proprietà pubblica e l'abbiamo svenduta». C'è la pista da bob, «ci hanno detto che è bella, che va tutto bene, ma voglio vedere io se riusciranno a ridare una parvenza di naturalità a quell'area». Ci sono i cantieri per le ristrutturazioni alberghiere, «ed è vero che ci sono degli alberghi che stanno per essere ristrutturati dopo anni di abbandono e questo può essere positivo. Ma c'è il lato negativo della medaglia: questi alberghi una volta erano di proprietà delle famiglie di Cortina, adesso invece sono passati di mano, sono gestiti da multinazionali, da fondi di investimento, per cui non siamo più noi a gestire direttamente l'economia di questo paese. E io dico che quando avremo perso il potere economico di questa città, vuoi per gli alberghi, vuoi per i negozi, per tutte le attività produttive, avremmo perso anche la possibilità di decidere del futuro del nostro paese». ©
Corriere delle Alpi | 7 giugno 2025
p. 36
Impianto Socrepes il Comitato Civico scrive alle ditte «Sfregio ambientale»
Cortina
La controversia sulla cabinovia Apollonio - Socrepes continua a tenere banco a Cortina, evidenziando le istanze di salvaguardia ambientale e paesaggistica portate avanti dalla comunità locale. A scendere in campo ora è l'Associazione Comitato Civico Cortina, che ha inviato una lettera alle società che potrebbero essere interessate alla costruzione dell'impianto, esprimendo le proprie osservazioni e chiedendo che siano tenute in considerazione nella valutazione di partecipazione al bando. L'impianto a fune che dovrebbe collegare il centro con la ski area delle Tofane verrà costruito su una frana e fa parte di un più ampio progetto di "partenariato pubblico privato per un nuovo sistema integrato di mobilità intermodale", ovvero la costruzione della cabinovia, di un parcheggio interrato con vari servizi commerciali, e di un people mover per collegare i due versanti sciistici Tofana e Faloria. Il bando di gara tuttavia riguarda il solo impianto a fune, che è stato scorporato dalla costruzione del parcheggio e rimarrà in funzione solamente per il periodo dei Giochi Olimpici e Paralimpici, dopo di ché verrà chiuso, in quanto privo di parcheggio. Con la scadenza del bando di appalto integrato fissata per il 13 giugno, l'Associazione Comitato Civico Cortina si è fatta portavoce delle preoccupazioni dei cittadini e ha inviato una lettera a tre società potenzialmente interessate alla costruzione dell'impianto (i nomi sono citati ma li omettiamo, ndr) per esprimere la: «Profonda contrarietà all'opera», definendola «una violenza al territorio e uno «sfregio ambientale». La società Simico ha avviato l'appalto per la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori dell'impianto a fune, considerandolo necessario per la gestione dei flussi di spettatori e atleti durante le gare dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano-Cortina 2026. «Vi scriviamo in qualità di portatori di interesse della comunità locale di Cortina d'Ampezzo per segnalare la nostra profonda contrarietà alla costruzione dell'opera. Lo riteniamo una violenza al nostro territorio e uno sfregio ambientale», si legge nella lettera. «I rischi connessi alla costruzione e al successivo esercizio dell'impianto sono elevati e dichiarati in tutti i documenti tecnici, e non vi nascondiamo la preoccupazione per il possibile lascito di guai e problemi». Il Comitato Civico Cortina sottolinea inoltre l'assegnazione della "bandiera nera" di Legambiente (simbolo di natura violata) proprio per la cabinovia Apollonio-Socrepes. «Nel dossier, viene definita un'infrastruttura dall'impatto ambientale significativo e dalle molte criticità nel cuore delle Dolomiti. Il progetto della cabinovia ApollonioSocrepes solleva preoccupazioni per il significativo impatto ambientale e paesaggistico nel delicato ecosistema di Cortina d'Ampezzo, a prescindere dalle prescrizioni adottate. Nonostante le 14 prescrizioni previste per mitigare gli impatti del cantiere e dell'opera sull'ecosistema cortinese, restano forti preoccupazioni per le conseguenze paesaggistiche e ambientali del progetto. L'Autorità di Bacino Distrettuale delle Alpi Orientali ha evidenziato problematiche legate alla sicurezza idraulica e alla stabilità dei versanti, indicando la necessità di ulteriori approfondimenti per garantire la sostenibilità dell'opera». Il Comitato Civico Cortina auspica che le osservazioni espresse siano attentamente considerate da tutte le società che valuteranno la partecipazione al bando, affinché venga data priorità alla tutela del delicato ecosistema dolomitico.
Corriere delle Alpi | 12 giugno 2025
p. 29
Simico sulla gara di Socrepes «Avanti con determinazione» Simico sulla gara di Socrepes «Avanti con determinazione»
18 geologia applicata. L'analisi del professore evidenzia importanti criticità connesse alla realizzazione dell'opera e dovrà quindi essere analizzata con cura. le considerazioni sui dissesti In realtà anche la Geosolving Srl, società che ha prodotto le relazioni geologiche allegate alla gara per la cabinovia, ha sintetizzato alcune considerazioni relative al quadro dei dissesti che interessano il versante in esame, dove è ubicato l'impianto di risalita in progetto. A seguito di sopralluoghi condotti dalla società, nell'area dove sarà ubicata la stazione di partenza dell'impianto di risalita, "non si identificano specifiche evidenze dissestive, se non per gli effetti dell'erosione spondale operata dal Boite". Ma proseguendo sulla porzione a sud del Rio Lacedel fino all'abitato di Mortisa, la relazione afferma che, "è ben evidente la morfologia del conoide che si sviluppa lungo i prati di Mortisa e di Col caratterizzato da morfologie convesse e rigonfiamenti generati dal progressivo scivolamento verso valle del versante. Localmente sono inoltre presenti evidenze morfologiche di dissesti superficiali come contropendenze, scarpate e trincee. L'attività erosiva del fondo e delle sponde operata dal Rio Lacedel è inoltre ben documentata dalla presenza di numerosi dissesti superficiali". Geosolving poi aggiunge: "La stazione di monte sorgerà in località Lacedel, a valle dell'impianto esistente "Baby Socrepes", in un settore morfologicamente complesso, poiché interessato da corpi a comportamento cinematico differente. Risultano ben evidenti le morfologie legate al progressivo scivolamento verso valle del corpo di frana della colata lenta che si estende tra le località di Lacedel, Meleres, Gilardon e Crignes". Analisi che hanno spaventato alcune componenti politiche: «Le Dolomiti stanno per essere trasformate in un enorme luna park», afferma il consigliere regionale Renzo Masolo di Europa Verde. «Sicuramente in linea con un ministro del Turismo vedrebbe anche un aeroporto a Cortina. Se a un cittadino qualsiasi venisse raccontato che si intende costruire un impianto su una zona franosa, lo stesso ci chiederebbe senza dubbio se siamo impazziti». © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Cortina Simico, la società Infrastrutture Milano Cortina 2026, replica all'Associazione Comitato Civico Cortina, che nei giorni scorsi aveva scritto una lettera alle ditte che potrebbero partecipare alla gara per l'impianto di Socrepes, manifestando dubbi e preoccupazioni per l'impatto dell'opera. «Avanti con determinazione con le procedure relative alla cabinovia Apollonio-Socrepes, sulle quali Simico respinge con decisione ogni tentativo, diretto o indiretto, di condizionare la libera partecipazione alla gara pubblica», si legge nella nota ufficiale inviata ieri dalla società. «L'opera rappresenta un tassello strategico per il successo dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano Cortina 2026 e per il futuro della mobilità nell'area di Cortina d'Ampezzo», chiarisce la nota. «Il progetto ha individuato le soluzioni tecniche compatibili con la situazione geologica e garantirà collegamenti efficienti e sicuri tra le sedi di gara», assicura Simico. «Nel pieno rispetto dell'ambiente e della trasparenza amministrativa, è previsto un avanzato sistema di monitoraggio continuo, in grado di rilevare tempestivamente ogni eventuale anomalia, a tutela dei cittadini, degli operatori e del territorio. Simico, società pubblica responsabile dell'attuazione delle opere olimpiche, conferma il proprio impegno per una gara aperta, trasparente e fondata su criteri oggettivi, e intende rassicurare tutte le imprese interessate: la partecipazione è libera e protetta da ogni tentativo di pressione o condizionamento», aggiunge ancora il comunicato della società che poi conclude. «Non solo: per la cabinovia Apollonio-Socrepes, l'inserimento della stessa tra le infrastrutture strategiche e la nomina di un Commissario dedicato sono garanzie concrete per assicurare tempi certi di realizzazione e una gestione efficace nel pieno rispetto delle regole e degli obiettivi condivisi». ©
RIPRODUZIONE RISERVATA cortina Simico, la società Infrastrutture Milano Cortina 2026, replica all'Associazione Comitato Civico Cortina, che nei giorni scorsi aveva scritto una lettera alle ditte che potrebbero partecipare alla gara per l'impianto di Socrepes, manifestando dubbi e preoccupazioni per l'impatto dell'opera. «Avanti con determinazione con le procedure relative alla cabinovia Apollonio-Socrepes, sulle quali Simico respinge con decisione ogni tentativo, diretto o indiretto, di condizionare la libera partecipazione alla gara pubblica», si legge nella nota ufficiale inviata ieri dalla società. «L'opera rappresenta un tassello strategico per il successo dei Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali Milano Cortina 2026 e per il futuro della mobilità nell'area di Cortina d'Ampezzo», chiarisce la nota. «Il progetto ha individuato le soluzioni tecniche compatibili con la situazione geologica e garantirà collegamenti efficienti e sicuri tra le sedi di gara», assicura Simico. «Nel pieno rispetto dell'ambiente e della trasparenza amministrativa, è previsto un avanzato sistema di monitoraggio continuo, in grado di rilevare tempestivamente ogni eventuale anomalia, a tutela dei cittadini, degli operatori e del territorio. Simico, società pubblica responsabile dell'attuazione delle opere olimpiche, conferma il proprio impegno per una gara aperta, trasparente e fondata su criteri oggettivi, e intende rassicurare tutte le imprese interessate: la partecipazione è libera e protetta da ogni tentativo di pressione o condizionamento», aggiunge ancora il comunicato della società che poi conclude. «Non solo: per la cabinovia Apollonio-Socrepes, l'inserimento della stessa tra le infrastrutture strategiche e la nomina di un Commissario dedicato sono garanzie concrete per assicurare tempi certi di realizzazione e una gestione efficace nel pieno rispetto delle regole e degli obiettivi condivisi».
Corriere delle Alpi | 14 giugno 2025
p. 8
Cabinovia a Cortina, gara deserta Simico: «Una nuova procedura»
La gara per la realizzazione della cabinovia Apollonio-Socrepes è andata deserta. Nessuna impresa costruttrice di impianti a fune ha presentato un'offerta per partecipare al bando che si è chiuso ieri alle 12. Troppo poco il tempo a disposizione per realizzare un'opera tanto complessa quanto delicata nei termini richiesti dalla stazione appaltante. Almeno questo è il pensiero che trapela tra gli addetti ai lavori dopo l'esito negativo della gara: «I prossimi passi seguono la chiusura della procedura di gara, conclusasi senza aggiudicazione a causa dell'assenza di offerte presentate nei termini stabiliti», ha detto Simico tramite una nota. Ma Fabio Massimo Saldini non molla ed è convinto che attivando i nuovi poteri di Commissario straordinario la partita sia ancora aperta: «In linea con quanto previsto dalla normativa, nei prossimi giorni, il Commissario per la realizzazione della cabinovia Apollonio-Socrepes di Cortina d'Ampezzo procederà all'attivazione delle possibilità previste per l'affidamento dell'intervento così da garantire l'avanzamento dell'opera nei tempi programmati. L'impegno per la piena riuscita dei Giochi olimpici e paralimpici Milano Cortina 2026 prosegue con determinazione, per assicurare il completamento delle infrastrutture necessarie a potenziare l'accoglienza, la fruibilità e il futuro del territorio». Saldini, quindi, anche di fronte alla presa di posizione delle società specializzate nella costruzione di impianti a fune tenterà un'ultima e disperata azione. Ma su cosa farà leva? Anche a Livigno la gara per la costruzione del collegamento funiviario tra i versanti "Carosello" e "Mottolino" strategica in vista dei Giochi è andata deserta. E come a Livigno, dove è già in atto, verrà probabilmente avviata una procedura negoziata. In sintesi, Saldini contatterà direttamente le imprese costruttrici chiedendo di fare una nuova offerta con l'obiettivo di portate a casa l'appalto. Ma sarà molto difficile: a Cortina, infatti, il lavoro da fare è superiore e più complesso rispetto alla località lombarda, almeno secondo gli addetti ai lavori. Non è quindi una questione di soldi o forza lavoro, il verso problema sono i tempi di realizzazione che sembrano essere ormai troppo stretti. Simico, all'interno del bando di gara, aveva allegato un cronoprogramma, dettagliando tutti i passaggi utili per la realizzazione dell'impianto. Alcuni, però, sono sembrati da subito poco chiari e difficilmente realizzabili: ad esempio, per la progettazione esecutiva della cabinovia, la tabella di marcia di Simico prevede il solo mese di giugno. Un'ipotesi irrealistica secondo gli addetti ai lavori, tanto da aver spinto una delle società interessate a chiedere un chiarimento durante la gara: "In merito ai termini di esecuzione dell'appalto indicati all'art. 4. 1 del disciplinare di gara, si indicano 224 gg naturali consecutivi per completare l'opera. Si chiede di specificare quali siano le tempistiche relative alla presentazione del progetto
esecutivo". La risposta di Simico è stata: "Il tempo utile per la redazione del progetto esecutivo è di 30 giorni, naturali e consecutivi, con decorrenza dalla data dell'Ordine di Servizio di avvio dell'appalto".
Corriere delle Alpi | 19 giugno 2025
p. 29
Tutti gli impiantisti si schierano con Simico a favore della cabinovia
A.MICH.
Cortina
Gli impiantisti di Cortina si schierano con Simico a favore della realizzazione della cabinovia Apollonio-Socrepes. In una nota inviata da Cortina Skiworld, il Consorzio esercenti impianti a fune di Cortina, San Vito, Auronzo e Misurina, gli impiantisti esprimono, «pieno sostegno alla realizzazione della nuova cabinovia, un'infrastruttura strategica per il futuro della Regina delle Dolomiti e un tassello fondamentale per rafforzare l'offerta turistica in vista dei Giochi 2026». «La nuova cabinovia», prosegue la nota, «rappresenta un'innovazione necessaria per stare al passo con le località alpine vicine, molte delle quali stanno già investendo in impianti moderni, in grado di rispondere alle esigenze di una clientela sempre più attenta alla qualità del servizio, alla sostenibilità e all'accessibilità». «Parliamo di un'opera che migliorerà l'esperienza sia invernale che estiva», affermano congiuntamente gli impiantisti locali, «facilitando l'accesso alle piste, riducendo le code e incentivando un turismo più ordinato e sostenibile. Un'infrastruttura in grado di integrarsi nel territorio, aumentando il valore complessivo della ski area di Tofana e della conca ampezzana». «In un contesto di grande competizione internazionale e con eventi di rilevanza globale alle porte, come le Olimpiadi Invernali», prosegue la nota di Cortina Skiworld, «è imprescindibile continuare a investire con visione e coraggio». «La nuova cabinovia Apollonio-Socrepes non è solo un'opera tecnica», concludono gli impiantisti, «è un viatico per garantire a Cortina un posto di rilievo nel turismo alpino del futuro». Gli impiantisti ribadiscono la disponibilità a collaborare con tutte le istituzioni coinvolte, per un progetto che guarda avanti, nel rispetto dell'ambiente, della montagna e della comunità». a.mich. © RIPRODUZIONE RISERVATA Marco Zardini, presidente di Cortina Skiworld.
Corriere del Veneto | 26 giugno 2025
p. 10, edizione Belluno
Socrepes, il Tar non ferma la cabinovia «Nuovo ricorso se partono i cantieri»
Ugo Cennamo
Cortina
È attesa in giornata la decisione del Tar del Lazio rispetto alla richiesta di sospensiva dei lavori per la cabinovia Apollonio - Socrepes presentata dai residenti nelle zone di Mortisa e di Lacedel a Cortina d’Ampezzo. L’orientamento che pare potrebbe prevalere parte dalla constatazione di un dato di fatto: non può essere concessa una sospensiva visto che i lavori non sono iniziati. Non solo, dato che l’asta è andata deserta e il commissario straordinario Fabio Saldini non ha ancora indicato un’impresa che potrebbe farsi carico della realizzazione dell’opera, non vi sarebbe una situazione di pericolosità manifesta. «Un po’ come se si sostenesse spiega l’avvocato Primo Michielan che tutela gli interessi di venticinque dei residenti ricorrenti aspettiamo che si verifichi una frana per decidere». Dal canto loro, i legali rappresentanti di Simico non avrebbero accolto la richiesta di rimandare ogni decisione a ottobre, come sarebbe stato proposto, in virtù dei diversi passaggi, prima la Via poi la Conferenza di servizi, che hanno ritenuto il progetto compatibile con il luogo in cui andrebbe realizzato. I tempi stringono e rimandare di mesi l’inizio dei lavori significherebbe non riuscire a concludere l’opera entro il periodo delle prossime Olimpiadi. «Se si dovesse andare in questa direzione confermano i legali dello studio Michielan non faremo altro che ripresentare la stessa istanza dal momento in cui venisse indicata un’impresa e i lavori dovessero iniziare». Sulla ferma volontà da parte di Simico di procedere sembrano non esserci dubbi. Nei giorni scorsi sono state presentate le richieste di esproprio ai proprietari dei terreni lungo il tracciato della cabinovia e al proprietario dell’immobile che si trova in corrispondenza dell’area dove dovrebbe sorgere la stazione di partenza della cabinovia. Da inizio settimana si attende il nome dell’impresa che affronterebbe la controversa realizzazione. Secondo i cittadini che si oppongono alla realizzazione della cabinovia in realtà un nome già ci sarebbe, ma non sarebbe stato ancora ufficializzato proprio per arrivare alla scelta obbligata da parte del Tar di non poter far altro che respingere la richiesta di sospensiva.
Gazzettino | 29 giugno 2025
p. 35, edizione Belluno
Nuova cabinovia dal centro: ore cruciali per l’affidamento dopo le due pronunce del Tar
Sono ore cruciali per il futuro del nuovo impianto di risalita di Cortina d'Ampezzo, dal centro del paese verso le pendici della Tofana, da piazzale Revis a Ria de Saco, nel comprensorio sciistico di Socrepes. Già domani potrebbe arrivare la decisione definitiva sulla nuova opera, a chiudere mesi di attesa e contrapposizione fra i fautori dell'intervento e gli oppositori. L'iter si è sbloccato dopo il pronunciamento del Tar Lazio, che ha respinto due ricorsi, presentati contro la costruzione del nuovo impianto di risalita, "in ragione della natura strategica dell'opera". A questo punto il commissario di governo per le opere olimpiche Fabio Saldini, (nella foto) tramite il ministero delle Infrastrutture, può stabilire se imprimere una decisa accelerata, con l'assegnazione diretta del lavoro, per avere la cabinovia in funzione per i Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026, oppure se frenare e agire con più calma, trascorso il grande evento sportivo, per lasciare una solida eredità delle Olimpiadi al paese che le ospita per la seconda volta, settant'anni dopo l'edizione 1956. Nel caso in cui Saldini dovesse assegnare il lavoro, avrebbe l'opportunità di scegliere fra alcune delle principali aziende del settore, in particolare l'italiana Leitner di Vipiteno, oppure l'austriaca Doppelmayr, senza però scordare la francese Mnd Montagne et neige developpement, non nuova a incarichi del genere, anche in Italia. L'ITER La procedura per assegnare i lavori di costruzione della nuova cabinovia ebbe un brusco allentamento lo scorso 16 marzo, quando Saldini intervenne dopo la diffusione dei nomi di due imprese del settore, indicate per la preselezione: «Ho deciso di annullare la gara, nel rispetto delle norme del Codice degli appalti, a garanzia della legalità degli atti e della correttezza e trasparenza», dichiarò in quella circostanza. Lo scorso 13 giugno un altro intoppo: la nuova gara per individuare l'impresa assegnataria dei lavori è andata deserta. Società infrastrutture Milano Cortina, della quale Saldini è amministratore delegato, non ha dimostrato sconcerto, quasi a confermare l'ipotesi che quell'impianto non sia davvero indispensabile per lo svolgimento dei Giochi 2026, ma sia piuttosto una eredità da lasciare al paese. Quella cabinovia era stata inizialmente proposta e progettata da una cordata di società di impianti a fune di Cortina e delle valli vicine, nella convinzione che possa migliorare l'offerta della conca d'Ampezzo e delle Dolomiti, ricolta gli sciatori. Soltanto in un secondo tempo è stata inserita fra le opere strategiche per i Giochi 2026, per il trasporto degli spettatori, diretti al traguardo di Rumerlo, dove si conclude la pista Olympia delle Tofane, che vedrà le gare di sci alpino femminile delle Olimpiadi e tutte le gare di sci, maschile e femminile, delle Paralimpiadi, oltre allo snowboard, nel vicino comprensorio di Socrepes. M.Dib.
Corriere delle Alpi | 25 giugno 2025
p. 19
Dellai, i fratelli Coubal e Fontanive Ecco la terna vincente del Pelmo d'oro
Marcella Corrà / BELLUNO
Alpinismo e cultura, salvaguardia delle pareti e montagna come luogo di dialogo e pensiero ma anche per curare i malanni del nostro tempo: corrono lungo questi fili, sottili ma resistenti, le scelte della giuria che ha conferito i premi Pelmo d'oro 2025, edizione numero 27, che saranno consegnati sabato 26 luglio a Calalzo. I nomi sono stati resi noti dai protagonisti delle scelte: Federico Bressan (Cai), Roberto Bressan (guide alpine), Stefano Santomaso (accademico del Cai), Francesco Abbruscato, neopresidente del Cai Veneto, Gianpaolo Sani (Cnsas) e Dimitri De Gol (Cnsas). La parte istituzionale era rappresentata dal padrone di casa, Roberto Padrin, e dal sindaco di Calalzo, Luca Fanton, paese che ospita quest'anno la consegna del premio. Un onore ma anche un onere non indifferente, organizzare una cerimonia di premiazione del Pelmo d'oro, che negli ultimi anni è diventata l'occasione per far conoscere il paese ospitante in tutti i suoi aspetti. E Calalzo non si è tirata indietro, organizzando un programma intenso che dura tutta l'estate. In un momento di celebrazione della montagna e dei suoi protagonisti, Roberto Padrin ha voluto ricordare la fragilità di questo stesso territorio, con il pensiero rivolto a Cancia. E ha rivolto un grazie speciale a tutti coloro che dopo dieci giorni stanno ancora lavorando per liberare le strade, le case, i vasconi dalla ghiaia e dai massi caduti dall'Antelao. I premi principali Sono tre i premi principali, aggiudicati da una giuria molto qualificata: alpinismo in attività, carriera alpinistica e cultura alpina. Per il settore "alpinismo in attività", è stato scelto Diego Dellai, vicentino del paese cimbro di Tonezza del Cimone. Classe 1990, perito minerario diplomato ad Agordo, è un uomo del Soccorso alpino, prima della stazione di Arsiero e dal 2022 di quella di Belluno. È anche istruttore regionale e tecnico del Soccorso alpino della base Suem 118 di Pieve di Cadore. «È stato praticamente adottato dall'Agordino», ha raccontato Sani, «non solo per le scuole ad Agordo ma soprattutto per le grandi imprese compiute sull'Agner e sulle Pale di San Lucano». Due le imprese che lo hanno reso famoso nell'ambiente alpinistico, la "Diretta 4 gatti" e "Ultima Perla", entrambe sull'Agner, una estiva e una invernale. Ma il curriculum del 35enne alpinista è lungo e pieno di grandi prestazioni, anche fuori dai confini nazionali. Si esce dalla provincia di Belluno per il premio alla carriera alpinistica, assegnato ai fratelli Miroslav e Michal Coubal della Repubblica Ceca. Premio in coppia, perché in coppia hanno scalato per gran parte della loro vita alpinistica. Fino alla caduta del muro di Berlino hanno potuto arrampicare solo nei Paesi del blocco dell'Est, ma nel 1983 sono arrivati in modo clandestino alle Tre Cime di Lavaredo, rimanendone incantati. Importanti vie alpinistiche sono state aperte dai due fratelli sia sulle Dolomiti che in Svizzera, come sulla tremenda parete dell'Eiger. Si torna in Agordino per il premio alla cultura alpina, assegnato a Giorgio Fontanive, perito minerario e giornalista, profondo conoscitore della sua vallata, autore di libri e di articoli, ma anche presidente della sezione agordina del Cai e consigliere regionale del Cai. Molti i libri che ha dedicato all'Agordino, dedicati alla storia, alle tradizioni, alle esplorazioni, senza dimenticare la sua attività alpinistica, con
molte ripetizioni di vie classiche. I premi speciali Ci sono poi altri tre premi, uno in memoria dell'alpinista e medico Giuliano De Marchi, il premio Dolomiti Unesco e il premio speciale della Provincia. Il medico Alfio De Sandre riceverà a Calalzo il premio in memoria di Giuliano De Marchi. Di San Vito di Cadore, ha fondato e diretto il Centro di alcologia di Auronzo, ed ora in pensione è ancora collaboratore dell'Ulss Dolomiti proprio nella riattivazione del centro di alcologia. Arte e montagna si uniscono in Riccarda De Eccher a cui è stato assegnato il premio Dolomiti Unesco. Ben ottanta le pareti salite nel suo curriculum alpinistico, comprese quattro vie nuove, e alcune spedizioni extraeuropee. Ha in seguito trovato nella pittura una nuova forma per esprimere il suo amore per la montagna. Infine, premio speciale della Provincia a Francesco Chiamulera, di Cortina d'Ampezzo, giornalista, saggista, storico e organizzatore di eventi letterari, primo fra tutti "Una montagna di libri", a cui di recente si è aggiunta la rassegna "Una collina di libri", il premio Cortina d'Ampezzo e il premio della Montagna Cortina d'Ampezzo. © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Gazzettino | 25 giugno 2025
p. 26, edizione Belluno
Rocciatori, alpinisti, artisti I “signori” della montagna
I PREMIATI BELLUNO
In primo piano la bellezza e le potenzialità dell'ambiente montano, ma senza dimenticare la montagna che fa fatica: «In questo momento di festa ha detto ieri il presidente della Provincia di Belluno Roberto Padrin nel presentare la 27^ edizione del premio Pelmo d'Oro ricordiamo gli abitanti di Cancia a cui esprimiamo solidarietà e vicinanza». Ma ieri, nel momento dell'ufficializzazione dei sei premiati dell'edizione Pelmo d'Oro 2025, la scena è stata occupata soprattutto dai protagonisti tre su sette i bellunesi, ma tutti, naturalmente, legati alla nostra provincia che il prossimo 26 luglio saranno premiati nelle sei diverse sezioni previste dal premio. Nell'atto fondativo del riconoscimento si legge infatti che vengono riconosciuti "particolari meriti acquisiti nell'ambito dell'alpinismo e della solidarietà alpina, della tutela e valorizzazione dell'ambiente e delle risorse montane, della conoscenza e promozione della cultura, della storia, e delle tradizioni delle comunità delle Dolomiti bellunesi". DALL'AGNER ALLA REPUBBLICA CECA Sei le sezioni, sette i premiati perché un riconoscimento andrà a due fratelli. Questi i nomi e le motivazioni. Per l'alpinismo in attività Pelmo d'Oro a Diego Dellai: «Alpinista di talento su roccia e ghiaccio, capace, fra l'altro, di scrivere due importanti pagine di storia alpinistica sulla parete nord dell'Agner senza venir meno ai valori più nobili dell'alpinismo tradizionale». Premio per la carriera alpinistica ai fratelli Michal (1958) e Miroslav (1961) Coubal della Repubblica Ceca: «A cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta hanno aperto una serie di prime salite in arrampicata libera su molte pareti delle Dolomiti e delle Alpi. Itinerari severi e difficili e all'epoca davvero avveniristici per le difficoltà affrontate che ancor oggi sono poco ripetuti e rimasti misteriosi; alcuni di essi tutt'oggi banco di prova per i più forti alpinisti attuali». LA CULTURA ALPINA Riconoscimento per la cultura alpina all'agordino Giorgio Fontanive: «Ha condensato il suo impegno particolarmente sulle Dolomiti agordine e lo ha concretizzato in un lavoro puntuale e coinvolgente di valorizzazione alpinistica, storica, antropica e scientifica del territorio. Autore appassionato e appassionante ha saputo raccontare e divulgare l'anima più autentica dei monti di Agordo riuscendo a dipingerne l'intima essenza». Scrittrice e pittrice, a Riccarda de Eccher sarà assegnato il premio speciale Dolomiti Unesco: «Ha scalato le cime delle montagne con spirito esplorativo e attraverso il linguaggio artistico continua a cercare e a rappresentare la forza delle rocce, la delicatezza e i contrasti cromatici dei paesaggi che rendono uniche le Dolomiti». A Alfio De Sandre il premio speciale intitolato a Giuliano De Marchi: «La sua vita, dedicata alla cura, prevenzione e percorso di consapevolezza delle dipendenze nelle comunità bellunesi, è interpretazione esemplare dei valori di solidarietà, prossimità e umanità che il premio intende onorare. Con il suo approccio innovativo e profondamente umano ha saputo creare una rete di sostegno estesa, con percorsi di salute, formazione e ascolto». Per il premio speciale della Provincia è stato scelto Francesco Chiamulera: «Per aver valorizzato la montagna come luogo di dialogo e pensiero, pura incarnazione di bellezza. Attraverso la rassegna "Una montagna di libri" ha promosso l'identità delle Dolomiti bellunesi, facendone un luogo di incontro cosmopolita; ha ideato il primo museo diffuso della letteratura delle Dolomiti. Esempio di come le radici locali, irrobustendosi, possono incontrare il mondo senza mai dimenticare le storie e i volti di chi abita i monti». Giovanni Santin © RIPRODUZIONE RISERVATA
Messaggero Veneto | 27 giugno 2025
p. 24, edizione Pordenone
Turismo sostenibile nelle aree montane
Oggi, alle 14.30, all'auditorium della Regione in largo San Giorgio 12, a Pordenone, si svolgerà il convegno dedicato al tema "L'altra montagna - Narrazioni di comunità per un turismo sostenibile". Porteranno i saluti iniziali l'assessore regionale alle risorse agroalimentari, forestali e ittiche e presidente della Fondazione Dolomiti Unesco Stefano Zannier e il responsabile scientifico del progetto "L'altra montagna", Mauro Pascolini, professore di geografia del dipartimento di Lingue e letterature, comunicazione,
formazione e società dell'ateneo di Udine. L'incontro è dedicato al dialogo sui temi del turismo sostenibile e della comunicazione turistica. Saranno presentati gli esiti del progetto "L'altra montagna". Avviato nel 2018 grazie alla convenzione tra l'università di Udine e la Regione nell'ambito della Rete della promozione del turismo sostenibile della Fondazione Dolomiti Unesco, il progetto ha saputo coinvolgere le comunità delle Dolomiti friulane nella narrazione turistica dei luoghi, in chiave di sostenibilità. L'evento sarà un'occasione per interrogarsi sulla possibilità di una narrazione alternativa della montagna, incentrata sulla sostenibilità e sul coinvolgimento delle comunità locali. A seguire, si svolgerà la tavola rotonda per un confronto su alcune progettualità turistiche sostenibili esistenti e sul ruolo delle comunità locali nei processi di narrazione e promozione del territorio. Infine, sarà presentata la recente pubblicazione "Le montagne del silenzio. Narrazioni di comunità per un turismo sostenibile per le Dolomiti friulane". © RIPRODUZIONE RISERVATA.
L’Adige | 3 giugno 2025
p. 11
Poca neve, la siccità spaventa i rifugisti
FRANCESCA CRISTOFORETTI
La stagione dei rifugi è pronta a ripartire, anche quest’anno non senza preoccupazioni riguardo ad acqua e siccità in quota. Le strutture più a rischio sono quelle sulle Dolomiti, prese particolarmente d’assalto dai turisti negli ultimi anni. E per cercare di salvaguardare il bene più prezioso in montagna, l’oro bianco, in alcune strutture Sat e non solo - si è cercato di intervenire, laddove necessario, sul potenziamento delle prese, delle vasche, dei serbatoi di accumulo per evitare di rimanere a secco nel corso dell’estate, ormai alle porte. Ma gli interventi hanno riguardato anche il fronte fognature: dopo il problema che si era presentato in Val di Fassa, ora ai rifugi Roda de Vael e al Pederiva si sta lavorando per un nuovo ramale. Ossia un sistema interrato di tubature che andrà a collegarsi direttamente con la fognatura di Vigo di Fassa che “risolverà definitivamente la gestione dei reflui”. Rete fognaria in val di Fassa. Come accennato, la nuova opera - a cura dell’Agenzia per la depurazione (Adep) della provincia autonoma di Trento - attesa da anni, dovrebbe essere pronta al termine del 2025, salvo imprevisti. «Nel frattempo si proseguirà con l’impianto di grigliatura già in usodichiara Roberto Bertoldi, presidente della Commissione Rifugi Sat - che consente di trattenere la parte “grossolana” di ciò che arriva dagli scarichi dei rifugi che poi viene raccolta e portata via in sacchi per essere smaltita. Mentre la parte liquida viene rilasciata nel sottosuolo per andare in dispersione». Un meccanismo in uso dagli anni Novanta e previsto dal Piano di risanamento delle acque. «Piano che potrebbe essere rivisto, alla luce del turismo di massa degli ultimi anni». Ma torniamo al nuovo ramale. «Le tubature raccoglieranno le acque di scarico dei due rifugi situati nella zona del Catinaccio. Che data l’alta frequentazione, producono un’alta quantità di reflui. La Pat proprio per questo ha ritenuto utile, anche su sollecitazione della Sat, creare un ramale di fognatura nuovo che si colleghi fino alla rete di Vigo di Fassa. Un tubo di circa 2-3 chilometri di lunghezza». Cosa che «risolverebbe tutti i problemi definitivamente». Tra questi anche lo sversamento di liquidi fognari registrato due anni fa nella zona, che aveva messo nei guai i rifugisti delle due strutture citate. Nell’attesa che l’opera venga portata a compimento, è stata potenziata la trincea drenante del sistema di grigliatura, una sorta di “sacca” nel terreno che raccoglie la parte liquida delle acque reflue prodotte (che vengono disperse grazie a materiale come sassi e ghiaia presenti nella “vasca”). Con lo scopo di ingrandirla per utilizzarla ancora quest’anno. Scarsità di acqua in quota. La preoccupazione più grande, da un paio di anni a questa parte, è sicuramente quella legata alle risorse idriche in quota a causa del cambiamento climatico che sta lasciando solchi profondi. Nonostante la stagione non abbia ancora preso il via ufficialmente, alcuni rifugi hanno già deciso di aprire le porte delle loro strutture. «I gestori che hanno già aperto, a quote medie, confermano che ci sia un accumulo di neve minore rispetto agli scorsi anni - riporta il presidente della Sat, Cristian Ferrari - Meno neve significa: da un lato che molti dei sentieri non presentano residui come lo scorso anno, che avevano causato problemi al passaggio degli escursionisti. Dall’altra, meno neve vuol dire meno acqua a disposizione». La direzione della società alpinistica è chiara: risparmiare ed economizzare le risorse a disposizione. «Perché dietro ad un bicchier d’acqua o uno sciacquone in quota, c’è un sistema ben più complesso rispetto a ciò che si pensa», prosegue il presidente. «Le raccomandazioni rimangono sempre le stesse: raccomandiamo di economizzare il più possibile l’acqua, non tanto durante la preparazione dei pasti ma piuttosto chiudere i rubinetti o evitare più docce al giorno». Questo si riflette anche nella progettazione dei rifugi. Prendiamo come esempio il Pedrotti. «È stato previsto un maggior accumulo di acqua, anche di quella piovana, oltre a un sistema di riutilizzo dell’acqua della doccia che con dei trattamenti di rimozione dei grassi, viene raccolta in una vasca per poi essere usata per il water». Non tutte le strutture hanno beneficiato di interventi di questo tipo, ma tante sì. Tra queste anche il Dodici Apostoli, sulle Dolomiti di Brenta, dove sono state create nuove vasche di accumulo. «Dove si può e dove c’è necessità, si provvede. Va detto che alcuni non ne hanno bisogno». Rifugi dolomitici. Quelli che patiscono di più, generalmente, chi va in crisi sono i dolomitici. «Sul Brenta, sul Catinaccio, sulle Pale di San Martino, la roccia è soggetta al fenomeno del carsismo». La neve, dunque, quando si scioglie non rimane in superficie, ma tende a scorrere sotto. «Una volta non ci si faceva caso conclude Ferrari - oggi in montagna ci si ritrova sia senza acqua che, a volte, con eccessive quantità che non sappiamo dove stoccare». Il turismo di massa non ha aiutato: «Sempre più persone frequentano le vette e i rifugi. Questo significa anche più persone che utilizzano, per esempio, i servizi igienici». Inutile dirlo. «Con il cambiamento climatico, ci stiamo facendo i conti ormai da qualche anno. E così sarà anche in futuro».
L’Adige | 3 giugno 2025
p. 11
Nuovi giovani custodi per Punta Penia
FRANCESCA CRISTOFORETTI
Dopo sette anni di gestione in mano a Carlo Budel, Capanna Punta Penia trova due nuovi “custodi”: Andrea Gallo, 28 anni di Valdagno, nel vicentino, e Tobia De Marco, 35 anni da compiere il prossimo settembre, di Pieve di Cadore, nel bellunese. Il primo con in tasca una laurea in Scienze politiche all’Università di Padova, il secondo in Arte e design a Bolzano. Il minimo comune denominatore che ha fatto spiccare la coppia di amici rispetto alle altre candidature (circa una decina in totale quelle raccolte), la passione e la conoscenza della montagna e del mondo dei rifugi. A consegnare le chiavi della struttura nel gruppo della Marmolada, situata sopra i 3.300 metri di quota, è stato lo storico proprietario Aurelio Soraruf, gestore anche del rifugio Castiglioni. «Siamo ancora in fase di preparazione e allestimento del rifugio, ma per il 14 giugno siamo pronti a partire», sostiene Gallo. «Aurelio Soraruf rimarrà il proprietario, ma ci saremo noi fissi su. Abbiamo spalato la neve qualche giorno fa. Torneremo su a breve, non appena farà bello, poi partiremo con la manutenzione, gli interventi e i rifornimenti per cibo e quant’altro». Entrambi hanno esperienza in quanto a rifugi. «Ed entrambi siamo molto legati al territorio: Tobia nato a Pieve di Cadore e cresciuto a Feltre e io adottato da Pieve negli ultimi anni». Ad unirli l’amore per le cime. «La nostra amicizia è nata proprio in un contesto di montagna. Avevamo già avuto esperienze con i rifugi: abbiamo provato a presentare domanda per un bando del Cai nel bellunese, ma non è andata. Poi abbiamo saputo che Budel avrebbe lasciato la gestione sulla Marmolada. Abbiamo contattato il gestore, Aurelio, e ci siamo presentati, proponendoci. Lui ci ha dato fiducia e noi abbiamo colto questa opportunità, senza sprecarla». Negli ultimi anni, Andrea, ci racconta, ha lavorato al Caf di Belluno per poi dedicarsi al lavoro in rifugio. Le ultime stagioni, per lui, sono state al Malga Monte di Mezzo nel parco dell’Adamello. Stessa storia per Tobia che, invece, lavora - ancora oggi - come installatore nelle gallerie d’arte. «E proprio in questi giorni si trova a Berlino con un artista». Il punto centrale, però, è uno solo. «Abbiamo sempre voluto fare e creare qualcosa qui, in quella che reputiamo casa nostra, sulle Dolomiti», conclude il ventottenne. Un cambiamento anche per Aurelio Soraruf, che ripone piena fiducia nei suoi due nuovi collaboratori. «Nel colloquio ho subito notato che erano persone tranquille e appassionate - così il proprietario - anche sulla base della loro esperienza passata. Loro saranno i custodi di Punta Penia, ma le prenotazioni si faranno da noi al Castiglioni così come le forniture. Anche la responsabilità rimane nostra (della famiglia Soraruf, ndr), ma affidiamo loro il compito di gestirsi in autonomia la giornata. Abbiamo ricevuto più di una decina di domande. Il nostro criterio di selezione? Sapere dove si va e in che tipo di ambiente, oltre che avere avuto esperienza in rifugio. L’ambiente lì è duro: non è facile, si raggiunge a piedi, senza impianto»
L’Adige | 8 giugno 2025
p. 16
«L’acqua viene data per scontata»
FRANCESCA CRISTOFORETTI
La scarsità di acqua in quota preoccupa i rifugisti, in particolare sulle Dolomiti. Tra quelli che più hanno patito la siccità estiva, il rifugio Pradidali, a 2.278 metri, nel cuore delle Pale di San Martino. «Da qualche anno a questa parte c’è sempre preoccupazione perché non sappiamo come andrà la stagione - dichiara il gestore Duilio Boninsegna Cercheremo di aumentare le riserve di acqua. Ora sono previsti nuovi lavori proprio su questo fronte. Verranno portati avanti durante questi mesi, quindi per la prossima stagione tutto dovrebbe essere pronto». L’intervento consisterà nell’aggiunta di nuove cisterne sotterranee, ma per gli scavi «ci vorrà del tempo». «Questo è uno dei pochi modi per ovviare al problema - aggiunge - Abbiamo sempre attinto dal ghiacciaio della Fradusta, dal quale arrivava sempre acqua. Dai primi anni Duemila il ghiacciaio è calato. Adesso cerchiamo di prendere l’acqua dalla neve che si scioglie e poi raccogliendo quella piovana. Fino a qualche settimana fa ci sono state delle precipitazioni nevose, che sono state invece assenti quest’inverno. Ma questa neve non è sufficiente e si è già sciolta». La stagione per la struttura deve ancora ufficialmente partire, ma il via è previsto a breve. «Il 20 giugno riprendiamo l’attività. Prima non si riesce, dobbiamo allestire tutto, compresi i tubi che vanno sistemati e collegati alle prese d’acqua». Tubature che arrivano a una lunghezza pari a oltre 3 chilometri per giungere più in alto, verso il ghiacciaio. Ma i timori chiaramente non mancano. «È chiaro che non c’è certezza su come andrà la stagione. Sotto il profilo idrico, fino a luglio saremo a posto. Il problema, in caso, si presenterà ad agosto. Poi speriamo soltanto che piova nei momenti giusti». Il gestore sottolinea il sempre più crescente utilizzo di acqua che si è registrato negli ultimi anni. Il turismo di massa, infatti, ha causato anche questo. «L’acqua in quota viene data per scontata. È difficile ormai riuscire a dire di no al cliente. Ora la gente abitata a fare la doccia anche più volte al giorno: la rinuncia è difficile, quando si ha sempre tutto». La struttura infatti già in passato ha avuto problemi con le risorse idriche. «Anche lo scorso anno abbiamo dovuto dire basta alle docce, dato che l’acqua andava razionalizzata. Ci sono dei metodi per limitare il suo utilizzo e il suo spreco, ma mettere dei limiti alle persone è difficile perché spesso è un’azione che non viene capita». Intanto le cisterne attendono di essere riempite: «Sono pronte ma al momento, vuote conclude Boninsegna - La settimana prossima le riempiremo in vista dell’apertura. Nei nostri rifugi dolomitici, vista la conformazione della roccia, abbiamo sempre avuto problemi di questo tipo».
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Corriere delle Alpi | 16 giugno 2025
p. 17
Riaprono i rifugi Escursionisti italiani e stranieri tornano in massa
Francesco Dal Mas / BELLUNO
Al via la stagione dell'alta montagna. Gran caldo in pianura ed ecco la fuga verso l'alta montagna, perfino quella con la neve. Come testimoniano gli escursionisti più arditi che raggiungono la vetta delle Dolomiti, i 3342 metri di Capanna Punta Penia, sulla Marmolada. l'acqua c'è Solo in Cadore, su 37 rifugi hanno già aperto in 25, con una settimana di anticipo. Numerosi hanno anticipato anche fra i 33 del Cai Veneto, il cui presidente regionale, Francesco Abbruscato, si dice soddisfatto non solo per la massiccia presenza di stranieri, ma anche perché uno dei più gravi problemi avvertiti nelle ultime stagioni, ossia quello dell'approvvigionamento idrico, in questo inizio d'estate pare che non si presenterà: «Le sorgenti sono ben cariche d'acqua». Per festeggiare l'avvio anticipato di stagione, Lorenzo Bellenzier, figlio di Paolo, il gestore del Rifugio Tissi, sabato si è avventurato nell'apertura di una nuova via sulla parete perpendicolare del Civetta. «Da una certa quota in su c'è ancora neve» fa sapere la zia, Eliana, «che copre anche i piccoli ghiacci di questa montagna e ci raggiungono, comunque, tanti stranieri innamorato di questo contesto». Abbruscato conferma, peraltro, che «il grande caldo di questi giorni in pianura e in città, lancia la montagna nelle condizioni privilegio. Anche rispetto al mare». E infatti la maggipor parte ha aperto i battenti. chi ha aperto Ma vediamo quali sono i rifugi già aperti: l'Antelao, già da maggio, l'Auronzo e il Lavaredo, alle Tre Cime; non ancora il Locatelli. Sul Pian al Pian dei Buoi, sopra Domegge e Lozzo di Cadore, il Baion è funzionante, il Cercenà no, il Ciareido sì. Dall'altra parte della valle, l'Eremo dei Romiti non chiude mai e anche il Rifugio Padova consente una prolungata attività. In Comelico, il Berti ai piedi del Popera sta già accogliendo gli escursionisti. Lo stesso fanno il rifugio Forcella Zovo, condotto dal sindaco di San Pietro di Cadore, Malga Coltrondo, Malga Dignas, il rifugio De Doo, il Rinfreddo. Così pure il Città di Carpi, raggiungibile da Misurina, il Col De Varda, dalle stesse pari, il Città di Fiume in faccia al Pelmo. Solo venerdì prossimo sarà attivo il Bosi sul Monte Piana. Di fronte, sui Cadini, gli sta il Fonda Savio, già in esercizio. Venerdì prossimo Giuseppe Monti offrirà i suoi famosi canederli al rifugio, Carducci, sopra Auronzo. Dallo stesso giorno comincerà a funzionare il Rifugio Chiggiato, ai piedi delle Marmarole. Chi sale sul Rite, a Cibiana, per visitare il Museo fra le Nuvole trova il Dolomites funzionante. Chiuso il Tenente Fabbro a Vigo di Cadore, precisamente sull'altopiano di Casera Razzo, dove invece è attiva l'omonima Malga. La data tradizionale del Cai, quella del 21 settembre, sarà rispettata dal Rifugio Galassi, ai piedi dell'Antelao, e dal Rifugio Larin. Sopra San Vito di Cadore, è aperto il San Marco, a fine settimana lo sarà anche lo Scotter. Nello stesso ambito, in pieno lavoro il Venezia, il Talamini, il Tita Barba. A Cortina ha ricevuto i primi escursionisti l'altro ieri il Croda Da Lago, mentre il Vandelli lo farà a giorni. Ha preso il via, sabato, anche il Biella, mentre il rifugio Lagazuoi ha aperto i battenti con la Funivia. Attendono gli escursionisti anche il Mulas, sopra Falcade, il Coldai sul Civetta, mentre in val Fiorentina da un mese l'Aquileia garantisce la sua ospitalità. Lo fa pure il Carestiato, in comune di Agordo, mentre nel feltrino il Dal Piaz sarà pronto dal 20 giugno. Dall'inizio del mese, l'ospitalità è assicurata anche dal 7° Alpini sullo Schiara, sopra Belluno. carenza di personale Ancora una volta la difficoltà per i rifugi è stato il recupero del personale. Il Giussani è l'unico autogestito: da più di 120 soci del Cai di Mestre. «L'anticipo delle aperture è un primo segnale di destagionalizzazione, ma il problema è rappresentato appunto dai collaboratori: che cosa facciamo se a maggio o inizio giugno arrivano frequenti giornate di maltempo in cui non si lavora?». Ma nei rifugi lungo le Alte Vie più frequentate, la nr1 e la nr 2, ad esempio, le prenotazioni garantiscono l'80 per cento dell'accoglienza. Qui, dunque, si va sul sicuro e, appunto, si può anticipare o allungare la stagione. Al Tissi, in faccia al Civetta, si è infatti aperto quest'anno in largo anticipo, proprio perché durante la settimana i tedeschi piuttosto che gli inglesi o gli americani, garantiscono la copertura dei posti letto, avendo prenotato in anticipo. Lo conferma Eliana Bellinzier, precisando che nei fine settimana sono gli italiani a prevalere. Simone Corte Uase, gestore del Rifugio Lavaredo, ha aperto sabato. Non si lamenta per l'afflusso di escursionisti. Ha invece qualche disappunto da sedare perché a poche ore dall'avvio si è abbattuto sulle Tre Cime un temporale: in tilt la corrente. «Effetti del cambiamento climatico».
Gazzettino | 23 giugno 2025
p. 25, edizione Belluno, segue dalla prima
Rifugi alpini nuova meta dei turisti Usa
«La montagna sta lavorando bene, ma non sediamoci sugli allori». Così Mario Fiorentini che sei anni e mezzo fa fondò Agrav (Associazione dei rifugi alpini del Veneto) a cui fanno capo 23 strutture in quota: le raggiungi, a piedi, per sentieri, mulattiere, vie ferrate. In alcuni casi pure con mezzi motorizzati. E l'estate 2025 pare promettere già bene. Anche se occorre fare un distinguo: i rifugi che si trovano lungo le Alte Vie, sui trekking storici o sugli anelli classici, da mesi hanno ricevuto un elevato numero di prenotazioni e spesso sono già al completo. Così spiega Fiorentini: «Arrivano escursionisti da tutto il mondo, con un aumento netto degli statunitensi che, ovviamente, come tutti gli stranieri hanno pianificato la vacanza per tempo». Idee chiare le sue anche su un termine che viene spesso utilizzato a proposito di turismo: destagionalizzare. «La volontà c'è, ma dev'essere strutturata, occorre una regia. Non può essere il rifugista a tenere aperto a ottobre se gli altri servizi non funzionano. La destagionalizzazione, insomma, va resa operativa e comunicata». Detta in altre parole, con un esempio: se il rifugio è la destinazione turistica, serve che poi ci sia per quel turistaescursionista la possibilità di trovare operativi i mezzi pubblici per il trasporto. D. De Donà a pagina III.
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«La montagna sta lavorando bene, ma non sediamoci sugli allori». Così Mario Fiorentini che sei anni e mezzo fa fondò Agrav (Associazione dei rifugi alpini del Veneto) a cui fanno capo 23 strutture in quota: le raggiungi, a piedi, per sentieri, mulattiere, vie ferrate. In alcuni casi pure con mezzi motorizzati. Idee chiare le sue su un termine che viene spesso utilizzato a proposito di turismo: destagionalizzare. GLI SCENARI «La volontà c'è, ma dev'essere strutturata, occorre una regia. Non può essere il rifugista a tenere aperto a ottobre se gli altri servizi non funzionano. La destagionalizzazione, insomma, va resa operativa e comunicata». Detta in altre parole, con un esempio: se il rifugio è la destinazione turistica, serve che poi ci sia per quel turista-escursionista la possibilità di trovare operativi i mezzi pubblici per il trasporto. L'operazione apertura, partita già il 2 giugno per le strutture a bassa quota, si è conclusa questo fine settimana con i pochi rifugi ancora alle prese con la neve. A proposito di nevai e acqua: va tolta dalla testa l'idea che nei rifugi l'acqua abbondi solo per il fatto che si è in montagna. Era il 2022 quando il problema siccità si presentò in modo netto anche nei rifugi, con sciacquoni dei water con minimo rilascio e docce con flusso contingentato. «Alcune strutture, in alta quota, utilizzano l'acqua dei nevai, se ce n'è, e di torrenti vicini e collegati. La maggioranza, da allora, si è attrezzata con cisterne». L'ONDA DAGLI STATES L'estate 2025 pare comunque promettere bene. Anche se occorre fare un distinguo: i rifugi che si trovano lungo le Alte Vie, sui trekking storici o sugli anelli classici, già da mesi hanno ricevuto un elevato numero di prenotazioni e spesso sono già al completo. Così spiega Fiorentini: «Arrivano escursionisti da tutto il mondo, con un aumento netto degli statunitensi che, ovviamente, come tutti gli stranieri hanno pianificato la vacanza per tempo. Sono queste le dinamiche delle prenotazioni: chi viene da più lontano si deve organizzare, dal volo al transfert, fino al rifugio». Altra storia per chi abita a poche ore dalla montagna ed è protagonista del cosiddetto turismo di giornata: «Qui entrano in gioco elementi esterni che condizionano, dalle previsioni meteo, ai bollini rossi, al traffico sulla Alemagna». Insomma: piove (o avevano detto che avrebbe piovuto) e si sta a casa. Ecco il motivo per cui molti rifugisti tendono ad entrare dentro un percorso: se ben pubblicizzato porta escursionisti sicuri: «Si crea uno zoccolo di lavoro sicuro». NUOVO ORGANIGRAMMA Fiorentini, che gestisce il rifugio "Città di Fiume", ha da poco ceduto il timone della presidenza di Asgrav ad Omar Canzan, gestore del rifugio "Aquileia" (Selva di Cadore). Ha però mantenuto la carica di vicepresidente. Nel nuovo direttivo sono entrati Fabrizio Gaspari (rifugio "7. Alpini") e Andrea Bonotto (rifugio "Sora i sass"). Nel programma del neo presidente Canzan (che ha gestito per anni il "Chiggiato", rifugio con approvvigionamento tramite teleferica, senza acqua corrente né elettricità) c'è il desiderio di fare chiarezza a proposito della differenza tra rifugio alpino e rifugio escursionistico: «Hanno caratteristiche ben diverse, dobbiamo far capire al legislatore che c'è troppa eterogeneità». Per quel che riguarda la stagione estiva che è alle porte Canzan è ottimista: «Già nel dopo Covid si è visto un aumento nella frequentazione della montagna, con le persone che apprezzavano lo stare all'aria aperta -è la sua premessa- quello che ora manca è, per i rifugi del Veneto, un marketing che punti non solo sugli hot spot, ma permetta alle persone di fruire, a macchia d'olio, di percorsi meno noti, ma altrettanto belli». Daniela De Donà
Alto Adige | 26 giugno 2025
p. 22
Rifugi Cai e Avs dalla Provincia l’80% dei costi
I rifugi non sono solo luoghi di riposo per escursionisti, ma anche infrastrutture fondamentali per la sicurezza e il turismo sostenibile nelle zone alpine. In occasione di un incontro tenutosi ieri, il presidente della Provincia Arno Kompatscher e l'assessore Luis Walcher hanno concordato con i presidenti delle due associazioni alpine e i membri dei direttivi di Cai e Avs un piano finanziario per la promozione e la conservazione dei rifugi. Nell'ambito del piano decennale di investimenti per i rifugi Avs e Cai, la giunta provinciale intende mettere a disposizione ulteriori fondi. Per i rifugi di proprietà delle associazioni alpine che sono concessi in affitto, la Provincia finanzierà fino all'80% dei costi.
Messaggero Veneto | 1 giugno 2025
p. 36, edizione Pordenone
Via libera al trenino turistico della Valcellina
Da stamattina il trenino turistico tornerà a percorrere la vecchia strada della Valcellina: le perizie geologiche eseguite sulla carreggiata a picco sull'orrido del torrente hanno infatti decretato la sicurezza dei transiti. La polizia locale ha quindi dato il via libera al trenino, che per qualche tempo è rimasto fermo a causa del pericolo di frane. Il mezzo è stato ereditato dalla Magnifica comunità montana e segue un percorso che dalla Molassa di Andreis sale sino al lago di Barcis. Lungo il tragitto ci si imbatte in canyon e panorami mozzafiato. Importanti anche le testimonianze del sito, uno dei più frequentati del Parco delle Dolomiti friulane: da qui si possono infatti vedere i primi impianti idroelettrici.
L’Adige | 8 giugno 2025
p. 31
Rapporto tra uomo e ambiente al Parco
MATILDE ARMANI SAN LORENZO DORSINO
Chi vive la montagna lo sa: il rapporto tra uomo e natura non è mai stato semplice. È un legame fatto di rispetto, sfida, adattamento, trasformazione. A volte armonia, a volte conflitto. Ma è proprio in questa relazione profonda e continua che si gioca il futuro dei territori di alta quota, delle comunità che li abitano e dei paesaggi che li modellano. Ed è su questa riflessione che si costruisce il triplice appuntamento di martedì 10 giugno nella frazione di Prato, nel comune di San Lorenzo Dorsino, organizzato dal Parco naturale Adamello Brenta, guidato dal presidente Walter Ferrazza. Alle ore 18 si aprirà ufficialmente la Casa “UO.MO. – leggero come una montagna”, uno spazio completamente riallestito e dedicato al tema del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. La riqualificazione è frutto della collaborazione con il Consorzio Borgo Vivo e l’Azienda per il turismo Dolomiti Paganella. L’inaugurazione sarà introdotta dai saluti istituzionali e dal tradizionale taglio del nastro. Contestualmente sarà presentata la mostra “Dolomiti: in cammino nella geologia della meraviglia”, curata dalla Fondazione Dolomiti Unesco con il supporto scientifico della Rete funzionale del Patrimonio geologico e realizzata da Biosphaera. L’esposizione, già ospitata a Palazzo Thun a Trento fino a metà maggio, racconta 250 milioni di anni di storia delle Dolomiti, svelando le forze geologiche che hanno generato queste montagne e i fenomeni che ancora oggi le trasformano. L’obiettivo è avvicinare visitatori e comunità locali alla conoscenza del patrimonio geologico, stimolando una consapevolezza più profonda del paesaggio e delle sue continue metamorfosi. Con questo evento prenderà il via anche la sesta edizione della rassegna “I Martedì del Parco”, che quest’anno si concentra proprio sulle dinamiche storiche, culturali, antropologiche e scientifiche che regolano la coesistenza tra uomo e natura. L’incontro inaugurale, dal titolo “A ciascuno la sua montagna”, sarà affidato alla divulgatrice scientifica Anna Sustersic e ruoterà attorno a una domanda tanto semplice quanto provocatoria: “La montagna ha proprio bisogno dell’uomo?”. La rassegna si propone come un viaggio culturale e fisico all’interno del territorio del Parco Naturale Adamello Brenta, per esplorare non solo i luoghi, ma anche le idee e i valori che legano le persone al paesaggio montano. Ogni tappa sarà accompagnata da ospiti autorevoli che offriranno spunti di riflessione, stimoli alla scoperta e chiavi di lettura per interpretare il passato e orientare il futuro. Il secondo appuntamento si terrà lunedì 1 luglio a Carisolo, alle 18, presso il punto lettura “Natura & Cultura”, con l’incontro “L’estate del Làres”, dedicato all’ascolto del Canto del Ghiaccio. Seguirà la serata di lunedì 26 agosto a Valdaone, sempre alle 18, presso la “Casa del Parco Fauna” in località Pracul, con l’incontro “L’orso e noi”, un viaggio suggestivo nel complesso rapporto tra uomo e orso bruno sulle Alpi. Il quarto appuntamento, dal titolo “Spirito collettivo. Nuovi valori per antiche consuetudini”, è previsto per lunedì 7 ottobre, alle 18, presso la Casa Mondrone a Preore, nel comune di Tre Ville. Al termine della serata inaugurale del 10 giugno, è previsto un momento conviviale con degustazione di prodotti tipici del territorio. Tutti gli incontri verranno registrati e saranno successivamente disponibili sul canale YouTube ufficiale del Parco Naturale Adamello Brenta.
Il T | 1 giugno 2025
p. 3
«Selfie e storie, il “toccata e posa” ha colonizzato le Dolomiti»
Entro il 20 giugno saranno aperti tutti i rifugi trentini. Alcune strutture hanno già avviato la stagione. Insomma, si entra nel vivo dell'estate, con i suoi pro e i suoi contro. «Negli ultimi anni la logica del “toccata e posa” ha colonizzato molte icone dolomitiche», dice Cristian Ferrari, presidente della Sat (Società alpinisti tridentini)
Quanti sono i bivacchi in Trentino?
«Le strutture riconosciute sono poco più di 40, 18 delle quali gestite dalla Sat e dalle sue sezioni, oltre ai bivacchi invernali presenti negli oltre 30 rifugi della Sat e altre decine di strutture come malghe o punti di appoggio spar». Avete mai preso in considerazione l'idea di introdurre un sistema di prenotazione per accedere ai bivacchi?
«L'attuale legge provinciale definisce i bivacchi come “costituiti da sobrie e minimali strutture, costruite con materiale idoneo a far fronte alle avverse condizioni meteorologiche, adibite al ricovero degli alpinisti, incustodite e aperte in permanenza, idonee a garantire ricovero di emergenza.” Ad oggi non è compatibile l'utilizzo del bivacco con sistemi di prenotazione, come succede invece in molti Paesi del Nord Europa dove si tratta più di rifugi incustoditi che di strutture di emergenza. Oggi i bivacchi hanno un ruolo "ai fini di sicurezza”, in caso di emergenza. Prenotarlo non lo farebbe più essere un bivacco, ma altro tipo di struttura. Dovrebbe cambiare la normativa. Diventerebbe un rifugio non gestito, a cui do accesso con le chiavi, e magari dietro un compenso. Allora mi verrebbero chiesti dei requisiti minimi come i bagni con relativa autorizzazione e questo li renderebbe delle strutture semi-gestite. Andrebbe in pratica abbandonato il discorso del "bivacco" come lo conosciamo. Non escludo possa diventare un'evoluzione dello stato attuale, ma serve una riforma della norma di settore».
Vi è mai stata segnalata qualche criticità riguardo l'accesso ai bivacchi?
«Purtroppo il fenomeno è in forte aumento. Negli ultimi anni la Sat e la stampa locale hanno denunciato episodi di inciviltà, abbandono di rifiuti e danneggiamenti, penso al bivacco Segalla nel gruppo dell'Adamello, al bivacco Giacomelli e a Malga Derocca in Vigolana, al bivacco Pozze in val di Bresimo (descritto come “splendido chalet” online), il bivacco Minazio nelle Pale di San Martino, o ancora al bivacco invernale del Rifugio Roda di Vaèl nel Catinaccio. Porte sfondate o lasciate aperte, rifiuti (spesso bottiglie di alcolici) non riportati a valle, cibo abbandonato in confezioni aperte, condizioni igienico sanitarie negli ambienti esterni ormai discutibili, scorte di legna da ardere usate addirittura per i falò all'aperto, coperte e materassi sporcati. Le segnalazioni parlano anche di sovraffollamento nei weekend estivi: gruppi numerosi che occupano ogni cuccetta, lasciando fuori chi arriva tardi o in emergenza. Il problema è accentuato dalla facile reperibilità di tracce Gpx e video tutorial online che rendono alcuni itinerari “virali”».
Cosa ne pensa dell'influenza delle piattaforme digitali?
«Sui social spopolano gli “esploratori” di bivacchi che raccontano percorsi di accesso, disponibilità di acqua e risorse, fotografie di tazze fumanti, albe e tramonti, con una narrazione che invita a visitare le strutture e come effetto ne provoca un sovra-utilizzo. Questo sovraffollamento spesso porta persone impreparate, senza nemmeno un frontalino e non in grado di ritornare a valle nel caso in cui la struttura fosse piena o tensioni perché in strutture già sovraffollate si prova magari a entrare con il proprio animale domestico, non trovando sempre accettazione da parte degli altri occupanti. Da un lato il mondo dei social network avvicinano nuovi pubblici, dall'altro riduce la montagna a fondale estetico, spesso senza la preparazione fisica né culturale necessaria. In assenza di filtri di accesso possibili, i bivacchi sono la prima valvola di sfogo di questo turismo di massa, che nulla lascia sul territorio». È in corso una sorta di spettacolarizzazione della montagna?
«Negli ultimi anni la logica del “toccata e posa” ha colonizzato molte icone dolomitiche: si arriva in auto, si scatta la foto-cartolina per Instagram o TikTok e si riparte. Alle Tre Cime di Lavaredo il flusso estivo ha toccato punte di 14.000 visitatori al giorno, con code d'auto fino a Misurina e sentieri ridotti a passerella fotografica. Le piattaforme che premiano scatti spettacolari spingono gli utenti verso luoghi “instagrammabili”, spesso senza valutare distanza, dislivello o fragilità dei siti. Allo stesso tempo, l'accessibilità crescente abbassa la soglia di fatica. Il risultato è una fruizione più da consumatore che da escursionista. Gli effetti negativi sono evidenti: erosione dei sentieri, rifiuti, inquinamento acustico, banalizzazione dell'esperienza e falsa percezione della prudenza necessaria. La visibilità social ha portato anche risorse economiche a valli periferiche, ha rilanciato storici rifugi e ha avvicinato un pubblico nuovo alla cultura alpina. Ma in alcuni luoghi si arriva presto alla saturazione che produce anche ostilità sociale: i graffiti “Tourists go home” sono un gesto che segnala un malessere diffuso nelle comunità locali. In definitiva, la montagna-palcoscenico è un dato con cui fare i conti: non si può “spegnere” Instagram, ma si può spostare il racconto dalla spettacolarità fine a se stessa a un modello di fruizione responsabile, in cui la foto diventa memoria di un'esperienza autentica e non mero trofeo digitale».
Esistono anche degli “influencer della montagna”. Sono più i benefici o i contro? «I creator outdoor creano valore quando promuovono comportamenti responsabili: riporta i rifiuti, frena il disturbo faunistico, destagionalizzano le visite e spingono mete alternative, collaborano con Apt e amministrazioni su progetti di gestione (es. navette prenotate, ticket digitali). I rischi emergono quando l'engagement supera la capacità di carico: i follower imitano itinerari senza valutarne difficoltà, si concentra il traffico su pochi spot e cala la qualità dell'esperienza. I benefici vincono solo se c'è un patto chiaro tra influencer, destinazione e comunità locale, non sempre rispettato. Il nodo non è “social sì o social no”, ma governance dei flussi: regole sull'uso dei geotag, comunicazione coordinata con influencer attenti alla sostenibilità».
Secondo lei quando è iniziato il boom?
«Il salto si registra dal 2020 in poi: restrizioni sui viaggi esteri, ricerca di spazi aperti e sicurezza sanitaria hanno spinto molti italiani a scoprire l'alta quota. I dati Ispat confermano presenze record nel 2024 (+2,6 % sul 2023, oltre 19,6 milioni di pernottamenti) e una forte quota di turisti domestici (56 %). Una riscoperta di un ambiente che per sua natura ha una limitazione intrinseca alla capacità di carico».
Gazzettino | 16 giugno 2025
p. 27, edizione Belluno
«In 3 anni perso il 10% del ghiaccio alpino e la crisi peggiorerà»
L'ESPERTO FELTRE
La montagna è un territorio fragile, e i cambiamenti climatici contribuiscono a renderla sempre più instabile. Il 2025 è l'anno internazionale della conservazione dei ghiacciai, proclamato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite con l'obiettivo di sensibilizzare la società sul ruolo essenziale dei "giganti bianchi" nel sistema climatico e idrologico globale, ma la sentenza sulla loro scomparsa pare ormai inappellabile. Inverni miti con precipitazioni scarse ed estati particolarmente calde, contribuiscono allo scioglimento dei ghiacciai tanto che quello della Marmolada potrebbe non sopravvivere oltre i 30 anni. Proprio qui si ricorda il dramma della valanga che si è verificata il 3 luglio 2022, oppure in Svizzera più recentemente il gigantesco distacco da un ghiacciaio nel Canton Vallese che ha travolto l'abitato di Blatten. Carlo Barbante, 62 anni, originario di Feltre, è docente ordinario di chimica analitica all'università Ca' Foscari di Venezia. Si occupa di ricostruzioni climatiche e ambientali e dello sviluppo di metodologie analitiche in campo ambientale e biologico. Ha partecipato a numerosi spedizioni e campagne di prelievo in aree polari e nella Alpi, ed è coordinatore di progetti di ricerca nazionali e internazionali. Prof Barbante, quali conseguenze possono avere sui ghiacciai le elevate temperature estive? «Tutta la criosfera è minacciata dal riscaldamento globale. Negli ultimi 3 anni sulle Alpi è stata persa più del 10%
della massa glaciale. Poi le temperature elevate possono contribuire al crollo dei seracchi e di queste masse. C'è un indebolimento delle strutture dei ghiacciai e quindi questi distacchi improvvisi sono sempre più frequenti. Un altro aspetto legato al riscaldamento è lo svuotamento dei laghi glaciali che si formano alla superfice o ai margini dei ghiacciai e che possono svuotarsi anche improvvisamente per il cedimento delle dighe naturali che li contengono. La riduzione delle risorse idriche si riscontra specie nei mesi estivi quando devono alimentare fiumi e torrenti che fanno da tampone a tutto il sistema. C'è anche la fusione del permafrost, ovvero il suolo congelato. Ne abbiamo ancora in alcune zone nelle Dolomiti ma si sta scongelando e questo porta a un'importante instabilità del terreno e a formazione di frane. E questo può portare anche ad ulteriori problemi di instabilità. I ghiacciai e la criosfera li chiamiamo le sentinelle del cambiamento climatico perchè sono i primi ad essere influenzati da quello che sta accadendo». Le scorse estati lo zero termico ha superato anche a lungo i 4000 metri di quota. Giornate particolarmente calde possono influire sul rischio di improvvisi distacchi? «La situazione è generalmente molto critica sulle Alpi nei periodi estivi. Se ci sono prolungati periodi di caldo il sistema va sotto forte stress. Ma è difficile prevedere questi eventi, e lo abbiamo visto anche per il distacco di tre estati fa dal ghiacciaio della Marmolada». Temporali improvvisi e violenti sono previsti anche per l'estate in arrivo? «È acclarato che uno degli effetti del cambiamento climatico è un incremento nella frequenza delle precipitazioni intense, e quindi avremo dei rischi maggiori. Per fortuna i nostri servizi metereologici sono in grado di dare allerte meteo precise. Ad esempio, la tempesta Vaia è stata devastante ma tutto l'apparato previsionale e di protezione civile ha funzionato bene». Si può fermare il riscaldamento globale? «Dobbiamo evitare quello che già sta accadendo e quindi abituarci a prendere in considerazione tutte le tecniche di adattamento, ma dobbiamo anche evitare quello che domani sarà ingestibile. Per questo ci sono tutte queste raccomandazioni a livello europeo e mondiale per le diminuzioni di gas serra in atmosfera. Dobbiamo prendere in considerazione le azioni di mitigazione ma è chiaro che non daranno risultati immediati. Non basta terminare oggi le emissioni di gas serra per avere subito una riduzione del riscaldamento globale, ma la strada va intrapresa in maniera decisa. Gli studi che facciamo in Antartide servono a comprendere bene la risposta al clima anche rispetto al gas serra». Le Dolomiti sono aree particolarmente a rischio nel contesto alpino? «Il rischio è generalizzato; di per sè la montagna è un ambiente che ha già dei rischi intrinsechi. In Valle d'Aosta ad esempio il ghiacciaio di Planpincieux, in val Ferret, è costantemente monitorato con tecniche avanzate. Queste situazioni di rischio non sono comunque facilmente prevedibili. Il messaggio da passare è che dobbiamo prendere atto che il clima cambia velocemente e che servono azioni immediate per l'adattamento al cambiamento climatico». Claudio Fontanive © RIPRODUZIONE RISERVATA.
Alto Adige | 27 giugno 2025
p. 19
«Il turismo resta ancora il petrolio dell’Alto Adige»
MONTE ELMO (SESTO PUSTERIA)
«L’overtourism? Una sciocchezza. Basta allontanarsi dieci minuti a destra o sinistra dai luoghi più frequentati e non si incontra praticamente nessuno». È la sua posizione su uno dei macrotemi dolomitici degli ultimi anni. Il Messner-pensiero è chiaro: chi oggi lancia messaggi del tipo “Tourists go home” non ha idea di come il turismo abbia risollevato l’Alto Adige, portandolo dalla miseria al benessere. Figli di papà, si potrebbe sintetizzare. Che non si rendono conto delle fatiche fatte dai loro nonni e genitori, per arrivare qui dove siamo oggi. Gli eccessi vanno eliminati, «ma il turismo rimane il nostro petrolio». Un museo che non è un museo, molto diverso da ciò che aveva fatto fino adesso. Molto personale. C’è molto Reinhold Messner, in questa casa... «Molto più attento anche alla struttura che c’era, per raccontare quello che c’è da raccontare. I musei erano molto più facili. Cos'è un museo? Un corridoio a sinistra, uno a destra, e poi ci sono esposte delle immagini, che hanno un valore, ma è più che altro il tentativo di usare l’arte per raccontare ieri. Qui l'arte è secondaria. A contare è il posto, e poi la capacità di incrociare il paesaggio, i pezzi d’arte, e con molto spazio libero». Una provocazione, ci perdoni: si parla molto di overtourism, in questi anni, in particolare in Dolomiti. Ecco, se vogliamo, lei ha contribuito ad aumentare ancora di più l'attenzione verso la montagna coi suoi musei, compresa questa nuova struttura di Monte Elmo. È d’accordo? «I musei non hanno niente a che fare con l’overtourism, perché noi vogliamo che la gente si fermi, rifletta e non faccia baccano fuori. A me non è mai successo, facendo 3000 salite almeno, e andando ancora molto avanti anche a camminare in montagna, di essere disturbato da altri camminatori. Questo perché parto dove gli altri non ci sono. Certo, sui grandi sentieri sulle Tre Cime è quasi impossibile scappare, lì è un problema serio. Io avrei una risposta, ma non sono un politico, non posso decidere. Normalmente se io entro su un sentiero strapieno, vado dieci minuti a destra o a sinistra e non c’è nessuno. L’overtourism è una chiacchiera. E poi bisogna sapere che il turismo è la base della nostra economia. Anche le altre attività - artigianato, costruzioni, commercio - tutto è legato al turismo e noi dobbiamo stare attenti specialmente al paesaggio. Il paesaggio è il nostro petrolio. Per fortuna non è il petrolio, è il paesaggio che abbiamo. Per questo è nata questa nuova casa sopra Sesto: la grande stanza finestrata con vista verso le Dolomiti. Una visione totale verso il paesaggio. Se salviamo quello, salviamo tutto». Come si è tentato di fare al lago di Braies, e come si dovrebbe forse fare alle Tre Cime? «Del lago di Braies non si può parlare, però lì hanno trovato una soluzione, accettabile. Sulle Tre Cime ho già fatto delle attività, avevo parlato anche con la sindaca di una volta. Devono mettersi d'accordo, fra Dobbiaco e Auronzo, per trovare una soluzione. Che c’è, non è difficile. Non attuarla sarebbe una perdita in più per tutti e due, anche economicamente. Ma la gente, la massa, non vuole capire. E il politico non ha la capacità di un Durnwalder di una volta, che ha detto: così facciamo e risolviamo. Perché sulle Tre Cime non è più accettabile quello che c’è». Lei pensa al numero chiuso? «È una soluzione. Come sui passi. Io sono convinto che il numero chiuso sarebbe una soluzione oppure chiudere per due giorni alla settimana alle macchine, dare anche alla bicicletta una chance, anche alla moto, anche se sulle moto sono molto scettico, perché fanno un rumore enorme. A me
piacerebbe, adesso, avere trent'anni e andare in politica a cambiare le cose». Dovrebbero farlo i giovani... «Se i nostri giovani, che vivono dei soldi dei padri, che hanno lavorato dopo la guerra, e molto, per portare questo benessere, scendono in strada e dicono Tourists go home... Ma questi turisti hanno dato la possibilità non della nostra ricchezza, questo non si può dire, ma del nostro benessere sì. Eravamo la provincia italiana più povera, dopo la guerra. Oggi siamo la provincia più ricca, anche perché la gente lavora. Però adesso anche da noi la generazione nuova non ha la minima idea di come hanno vissuto i nostri padri, di lingua tedesca e anche italiana, tutti e due, anche quelli che hanno lavorato a Bolzano, nelle industrie. Hanno fatto il possibile con le loro forze e adesso c'è tutto. Stiamo bene e allora vogliamo lavorare quattro giorni a settimana...» E pensare, dire o scrivere “Tourists go home”.
Corriere delle Alpi | 2 giugno 2025 p. 16
Messner contro l'overtourism: «Bravi i sindaci del numero chiuso»
Francesco Dal Mas /CIBIANA
Ancora più di un anno fa, Reinhold Messner, il primo a conquistare i 14 Ottomila, sollecitava dalle nostra pagine un stringente dibattito sulla possibile ricaduta delle Olimpiadi sull'overtourism. «Un anno dopo, e a 8 mesi dai Giochi, constato che il dibattito è rimasto a mezzaria. Anzi, dalle Olimpiadi ci si auspica tanti più arrivi e presenze. Bene, quindi, fanno quegli amministratori che con previdenza introducono i numeri programmati, le prenotazioni». il museo fra le nuvole Messner è impegnato in queste settimane a realizzare l'ultimo dei suoi musei, quello sul Monte Elmo. Intanto, però, sul Monte Rite, sopra Cibiana, da ieri ha riaperto i battenti il "Museo fra le nuvole", gestito dalle figlie dell'alpinista esploratore. Con alcune grosse novità, tra le quali una mostra dedicata a Walter Bonatti, che nel 2004 visitò Cibiana e il Rite accompagnato, appunto da Messner. «Il Monte Rite» continua a ribadire l'ex campione dell'arrampicata «continua a essere il più bel balcone dolomitico sulle montagne olimpiche, per cui ci auguriamo che venga valorizzato proprio in questa dimensione». Ma tra l'altro, sulla stessa montagna, precisamente sul versante a nord, Messner continua a sostenere un allevamento di yack, che da anni ha affidato alle cure di Patrizio Agnoli. Il quale subito tiene a precisare: «Tutti conoscono il museo di Messner, ma si sappia che tanti appassionati di natura, soprattutto di lingua tedesca, salgono sul Rite per conoscere un animale atipico per le Dolomiti, anzi le Alpi, qual è appunto lo yack. E noi ne abbiamo ormai 70 esemplari, con numerose nascite ogni anno. Se i pascoli lassù non si sono inselvatichiti, abbandonati, il merito è di Reinhold che li ha importati dall'Himalaia». la sala bonatti In questi giorni al museo è in allestimento una sala dedicata a Bonatti e in parte a ritratti di alcuni fra i più importanti alpinisti europei. La dedica, con parole dello stesso conquistatore del K2, è significativa. "… Se l‘uomo perde la dimensione ulissiana, quella dell'avventura, quella di conoscere il desiderio di sapere di conoscere di misurarsi, è finito tutto. L'avventura va sognata, va voluta, va conquistata. Va fatta prima di tutto del tuo cuore nella tua mente. L'ultima cosa da fare è realizzarla, dare sostanza, dare materia all'avventura, ma devi sognarla". In occasione della 73ª edizione del Trento Film Festival, Messner ha presentato in anteprima il suo nuovo documentario, K2 – Der Grosse Streit (K2 – La Grande Controversia), che rievoca la prima ascensione italiana al K2 nel 1954, mettendo in luce le tensioni e le controversie che seguirono l'impresa. Non nasconde il desiderio di presentarlo anche a Cibiana, paese per il quale sogna da almeno 20 anni che diventi come "una piccola Katmandu". Ebbene, secondo Messner, «oggi tantissimi alpinisti sono preparati fisicamente e fanno grandi cose, ma occorre anche saper pensare la montagna, riflettere su di essa e darle un significato altro. Walter Bonatti sapeva farlo, sapeva raccontare. Non dimentichiamolo, la montagna non è solo una sfida fisica, ma un'esperienza che richiede introspezione, narrazione e comprensione profonda». Nell'azione del rinnovo del "Museo fra le nuvole" non mancherà, quest'anno, anche un programma di intrattenimento teatrale. Un teatro in movimento, all'inseguimento degli attori che percorreranno intorno alla cima da cui si possono ammirare l'Antelao, il Pelmo, il Civetta, le Tofane, il Cristallo, perfino la Marmolada, dunque alcune tra le più belle cime dolomitiche. Messner continua ad adoperarsi, specie con la Regione Veneto, affinché conceda la possibilità di recuperare il finanziamento (meno di 5 milioni di euro), per un impianto a fune che trasporti i visitatori da passo Cibiana al Rite. Evitando le polveri e il rumore delle navette. © RIPRODUZIONE RISERVATA «Questa zona continua a essere il più bel balcone dolomitico» Reinhold Messner con la figlia Magdalena.