Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
R A S S E G N A S T A M P A
GIUGNO 2023
Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
R A S S E G N A S T A M P A
GIUGNO 2023
Alto Adige | 7 giugno 2023
p. 33
Viaggio di 300 milioni di anni alla scoperta delle Dolomiti
dolomiti
Un viaggio a ritroso negli ultimi 300 milioni di anni alla scoperta della geologia delle Dolomiti: tutto questo è possibile grazie al nuovo «Geotrail», che non è più solo un percorso a tappe nell'arcipelago fossile, ma da qualche settimana è anche un'esperienza interattiva a disposizione di tutti (consultabile su dolomitesgeotrail.com). Il portale.Il portale, rispetto alle quattro guide cartacee realizzate negli anni scorsi, offre ulteriori contenuti che rendono più ricca la descrizione geologica del Patrimonio Mondiale. I percorsi possibili, intrecciati tra loro, non sono solo quello spaziale, lungo il percorso del Geotrail, e quello temporale, lungo la linea del tempo; è anche possibile seguire delle piste tematiche, accessibili grazie alle foto sferiche, attraverso la storia geologica, i cambiamenti climatici, gli eventi catastrofici.«L'effetto complessivo - spiegano gli autori - evidenzia molto bene la serialità del Bene Dolomiti, perché ogni segmento del racconto rappresenta una peculiarità unica ma fondamentale per comprenderle nella loro unitarietà e per accedere alla storia della Terra, che nelle Dolomiti trova una sorta di indice».L'obiettivo: rendere la geologia accessibile a tutti.Gli eventi che si sono susseguiti negli ultimi 300 milioni di anni hanno lasciato la propria traccia nelle rocce e nelle forme di queste montagne, facendo di esse un meraviglioso libro da leggere letteralmente passo dopo passo.Rendere la geologia accessibile a tutti è anche un modo per favorire una frequentazione lenta e consapevole del «Patrimonio Mondiale», lontana dal modello del mordi e fuggi e di un turismo di massa attirato dal valore estetico delle Dolomiti e poco disponibile a comprendere le ragioni profonde di questa incredibile bellezza.Chi ha partecipato al progetto.Citare tutti coloro che hanno collaborato a questo grande progetto è un'impresa difficile ma sicuramente
utile e necessaria.L'aspetto più importante da sottolineare è che si è trattato di un lavoro di squadra senza precedenti, che ha coinvolto tutti i territori oggetto del riconoscimento delle Dolomiti a Patrimonio Mondiale con il prezioso coordinamento della Rete del Patrimonio Geologico della Fondazione Dolomiti Unesco. I partner istituzionali del progetto sono, in ordine alfabetico, il Dipartimento di Fisica e Scienze della Terra dell'Università di Ferrara, il Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Padova, il MUSE - Museo delle Scienze di Trento, il Parco Naturale Adamello Brenta Geopark, il Servizio ecologia della Provincia di Belluno, il Servizio geologico della Provincia autonoma di Trento, il Servizio pianificazione paesaggistica, territoriale e strategica della Regione autonoma Friuli - Venezia Giulia, la Sezione geologia della Regione del Veneto e l'Ufficio geologia e prove materiali della Provincia autonoma di Bolzano - Alto Adige. L'elenco dettagliato dei collaboratori che hanno lavorato al progetto è disponibile sul sito https://dolomitesgeotrail.com/
Corriere del Veneto | 1 giugno 2023
p. 5, edizione Belluno
Il portale sulle Dolomiti tra clima e geologia
È online il nuovo portale della geologia delle Dolomiti Patrimonio Mondiale, il Dolomites World Heritage Geotrail (dolomitesgeotrail.com). I percorsi possibili, intrecciati tra loro, non sono solo quello spaziale, lungo il percorso del Geotrail, e quello temporale. C’è la possibilità di seguire delle piste tematiche, attraverso i cambiamenti climatici e gli eventi catastrofici. (m.g. )
Il Nuovo Trentino | 3 giugno 2023
p. 9
Online Geotrail delle Dolomiti
Scoprire le montagne patrimonio dell'umanità attraverso un'esperienza interattiva, alla portata di tutti. È ciò che offre il portale Dolomites World Heritage Geotrail, lo strumento - ora online - che permette di "leggere" in modo semplice e multimediale la geologia delle Dolomiti, in un viaggio lungo le ere geologiche.
Gazzettino | 1 giugno 2023
p. 5, edizione Belluno
La geologia delle Dolomiti Unesco a portata di mano con Geotrail
Perdersi nel tempo delle ere geologiche? Adesso è possibile anche da casa, o da smartphone. È online il nuovo portale della geologia delle Dolomiti Patrimonio Mondiale. Il Dolomites World Heritage Geotrail non è più solo un percorso a tappe nell'arcipelago fossile, un vero e proprio trail tra le montagne, ma da qualche settimana è anche un'esperienza interattiva a disposizione di tutti (dolomitesgeotrail.com).
Il portale, rispetto alle quattro guide cartacee realizzate negli anni scorsi, offre ulteriori contenuti che rendono più ricca la descrizione geologica del Patrimonio Mondiale. I percorsi possibili, intrecciati tra loro, non sono solo quello spaziale, lungo il percorso del Geotrail, e quello temporale, lungo la linea del tempo; è anche possibile seguire delle piste tematiche, accessibili grazie alle foto sferiche, attraverso la storia geologica, i cambiamenti climatici, gli eventi catastrofici.
L'effetto complessivo evidenzia molto bene la serialità del Bene Dolomiti, perché ogni segmento del racconto rappresenta una peculiarità unica ma fondamentale per comprenderle nella loro unitarietà e per accedere alla storia della Terra, che nelle Dolomiti trova una sorta di indice.
Il Dolomites World Heritage Geotrail è dunque un'esperienza interattiva alla scoperta della geologia delle Dolomiti. Gli eventi che si sono susseguiti negli ultimi 300 milioni di anni. «Un ottimo strumento per percorrere le Dolomiti e apprenderne la storia. Poterne fruire anche da pc e smartphone è sicuramente un elemento di valore aggiunto per la promozione e la valorizzazione del Bene» commenta il presidente della Provincia di Belluno, Roberto Padrin, che è anche vice presidente della Fondazione Dolomiti Unesco.
L’Adige | 6 giugno 2023
p. 10
«In quota prudenza prima di tutto»
UGO MERLO
In montagna si va con prudenza. È questo il messaggio lanciato dalla Sat, in collaborazione con il Soccorso alpino, il Collegio delle guide alpine del Trentino, l'associazione gestori dei rifugi, Trentino Marketing e Dolomiti Unesco. Andare in montagna consapevoli di trovarsi in un ambiente che può diventare ostile è fondamentale, come lo è per chi frequenta le terre alte la consapevolezza dei propri limiti: fisici e tecnici. Basta un temporale e si può passare dal prato assolato, al prato ricoperto di grandine, al sentiero dove si cammina senza difficoltà, al sentiero con rocce ed erbe bagnate e scivolose. Per questo, è stato spiegato nella conferenza stampa di presentazione dell'iniziativa, la prudenza in montagna la si fa in molti modi. «Quando si va in montagna - ha detto Iole Manica vice presidente Sat - dobbiamo avere rispetto per l'ambiente nel quale ci troviamo ed è importante la sua conoscenza. E' una questione di cultura. Andare in montagna preparati è il primo passo per escursioni nelle quali possiamo vivere e godere delle bellezze di questo territorio». «Quando andiamo in montagna - dice il presidente del Collegio delle guide alpine del Trentino Gianni Canale - sia nelle escursioni, che nelle scalate sappiamo che ci sono dei pericoli. Dobbiamo esserne consapevoli delle nostre capacità ed evitare di rischiare, scegliendo l'abbigliamento e l'attrezzatura adeguata e la gita a noi adeguata». Il Soccorso alpino interviene quando è necessario aiutare le persone in difficoltà, ma una parte importante del suo operato in Trentino, è la prevenzione. Il presidente Walter Cainelli: «La partecipazione alla settimana dedicata alla prudenza in montagna è per noi importante. La prudenza ci vuole tutto l'anno. Non ci occupiamo solo di andare in soccorso alle persone in difficoltà, ma cerchiamo di educare, con tutti i soggetti afferenti la montagna, i frequentatori delle terre alte alla consapevolezza dei rischi che ci sono fra e sulle vette». Sono presidio del territorio alpino i gestori dei rifugi e il loro compito di diffondere il messaggio: prudenza in montagna è fondamentale: «Al rifugio - dice un pò sconsolato Daniele Rosi, guida alpina, gestore del rifugio Passo Principe nel Catinaccio, che parla a nome dell'associazione rifugi del Trentinoarriva di tutto. Salgono senza rendersi conto di essere in montagna». La campagna è supportata dalla comunicazione, come ha ricordato Chiara De Pol di Trentino Marketing, con messaggi educativi dedicati. La seconda settimana della prevenzione in montagna, dal 16 al 25 giugno prevede alcune uscite di cui, novità 2023 una giornata dedicata alla mountain bike.Il calendario: venerdì 16, mountain bike ad Andalo, Paganella bike area: sabato 17, trekking a cima Parì in val di Ledro; domenica 18, arrampicata al rifugio Roda di Vael, in Catinaccio; venerdì 23, al rifugio Pradidali, pale di S. Martino: lasciati guidare con il gestore e le guide alpine; sabato 24, in ferrata sul sentiero Gustavo Vidi nelle Dolomiti di Brenta; domenica 25, in alta montagna a Passo Tonale Presena. Inoltre la commissione medica della Sat organizza venerdì 16 giugno, ore 17 nella sede Sat a Trento, un incontro con gli interventi dei medici: Antonio Prestini: zecche, vipere, insetti; Antonella Bergamo, presidente della commissione: sole e colpi di calore in montagna: Michele Pizzinini: alimentazione in montagna; Paolo Acler: salute in montagna, fattori di rischio e acclimatamento; Donato Vinante: bambini e montagna.
Il Nuovo Trentino | 6 giugno 2023
p. 10
A piedi o in bici, come in parete la montagna chiede prudenza
TRENTO
È un tema centrale da sempre, ma lo è diventato ancora di più negli ultimi anni, sia per la gran massa di nuovi frequentatori, giocoforza inesperti, che hanno scoperto la montagna nel periodo pandemico, sia per i diversi modi di viverla che si stanno imponento. Alla "Prudenza in montagna" è dedicata la settimana tra il 16 e il 25 giugno. Con una serie di iniziative che puntano a diffondere una cultura del rispetto e della prudenza sia negli operatori che, soprattutto, nei frequentatori dei nostri ambienti montani. A promuovere l'iniziativa l'Associazione Gestori Rifugi del Trentino, il Collegio Guide alpine del Trentino, il Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, la SAT, la Fondazione Dolomiti UNESCO e Trentino Marketing. Fulcro sono cinque uscite tematiche e momenti di riflessione e confronto più teorici.Le uscite sono programmate in luoghi e con modalità diversi e aperte a un numero massimo da 5 a 10 persone. I gruppi verranno accompagnati da guide alpine e Istruttori del Soccorso Alpino, oltre che da operatori di Trentino Marketing e Dolomiti Unesco, intenti a documentare l'evento, che mostreranno gli elementi tecnici, le insidie, i rischi da evitare per affrontare la montagna con prudenza. Ad ogni uscita corrisponde una attività differente: tra trekking, ferrata, arrampicata, progressione in alta montagna e bici. Per ogni attività è previsto un punto d'appoggio in un rifugio, con l'obiettivo di far comprendere l'importanza del ruolo di presidio che il rifugista esercita rispetto al territorio in cui opera. Per la bici il 16 giugno appuntamento alla Paganella Bike Area di Andalo; per il trekking
escursione a Cima Parì in Val di Ledro il 17 giugno; per l'arrampicata scelta la Roda di Vael, sul Catinaccio, il 18 giugno; la ferrata sarà la Gustavo Vidi nelle Dolomiti di Brenta, il 24 giugno mentre per l'alta montagna escursione a Passo Tonale - Presena, il 25 giugno.I momenti di informazione teorica: il 16 giugno "prevenzione e salute" a cura della commissione medica Sat, in sala Pedrotti alla Casa della Sat; "a tu per tu col gestore" il 23 giugno al rifugio Pradidali, sulle Pale di San Martino. Ognuna delle attività proposte richiede materiale specifico e la prenotazione, considerato il numero molto limitato di partecipanti ammessi. Il fine non è realizzare una "alfabetizzazione di massa" dei frequentatori della montagna ma portare l'attenzione sui temi della prudenza e delle competenze necessari per affrontare in sicurezza qualsiasi attività nel severo ambiente montano.
Corriere del Trentino | 6 giugno 2023
p. 10
Sicurezza in montagna targata Sat. Soccorso alpino, ricerche anche di notte
Cainelli assicura: saranno garantite le consuete modalità ed efficienza
Chiara Marsilli
TRENTO
La sicurezza prima di tutto, soprattutto in montagna. Se ne parla molto, in particolare nelle ultime settimane, segnate dal ricordo ancora vivo di quanto accaduto al runner Andrea Papi, e alle polemiche riguardanti le nuove direttive emanate dal dirigente della Protezione civile, Raffele De Col, che riguardano le operazioni di soccorso in notturna in aree del territorio con alta presenza di orsi e lupi. Dopo le prime preoccupazioni, la rassicurazione arriva dal presidente del Soccorso alpino Trentino Walter Cainelli. Le persone disperse, ferite o in pericolo continueranno a essere cercate e soccorse con le consuete modalità ed efficienza.
Nessuno stop preventivo agli interventi nelle ore della notte, solo una maggiore considerazione del rischio per garantire la sicurezza anche dei soccorritori. Insomma, nella valutazione da parte del Soccorso Alpino di come e quando intervenire, verrà incluso un occhio di riguardo per il fattore grandi carnivori.
Un mix di attenzioni, ambiente, meteo, orario, presenza o meno di animali - che ogni frequentante della montagna dovrebbe già applicare nella programmazione delle proprie gite estive per garantire l’incolumità di tutti e tutte, guide e professionisti della montagna compresi. Proprio per questo arriva il programma della settimana della «Prudenza in montagna»: dal 16 al 25 giugno sono previste cinque uscite tematiche in ambiente e altri momenti di riflessione e confronto più teorici, per arrivare preparati all’attacco del sentiero. L’iniziativa è promossa dall’Associazione Gestori Rifugi del Trentino, il Collegio Guide alpine del Trentino, il Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, la SAT, la Fondazione Dolomiti Unesco e Trentino Marketing: tutti enti che concorrono alla realizzazione delle uscite sul territorio. Primo appuntamento il 16 giugno per la bici alla Paganella Bike Area di Andalo, a cui seguiranno l’uscita di trekking alla Cima Pari in Val di Ledro (17 giugno), l’arrampicata alla Roda di Vael nel gruppo del Catenaccio (18 giugno), la ferrata Gustavo Vidi nelle Dolimiti di Brenta (24 giugni) e l’esperienza di alta montagna al passo Tonale (25 giugno). Ogni esperienza, per essere al massimo godibile e sicura, è aperta a un massimo di cinque o dieci persone, e verrà accompagnata da guide alpine, istruttori del Soccorso Alpino e da altri operatori. Info e prenotazioni allo 0461 233166 o a info@soccorsoalpinotrentino.it. Alle uscite pratiche il programma affianca anche degli appuntamenti «teorici».
La commissione medica Sat il 16 giugno dalle 17 alle 19.30 propone un incontro con vari medici specialisti per parlare di zecche, vipere, colpi di calore, alimentazione, patologie in alta quota e la montagna per i bambini. Il 23 giugno al Rifugio Pradidali alle Pale di San Martino è infine prevista la serata «Lasciati guidare in rifugio», una serata di racconti ed esperienze di chi in montagna ci vive al servizio degli altri.
Corriere della Sera | 9 giugno 2023
p. 18
Un progetto per comunicare la consapevolezza dei rischi in vetta
Montagna vuol dire anche sicurezza. Gli stessi fenomeni atmosferici, che si manifestano in modo più rapido e imprevedibile, richiedono un’attenzione maggiore nella programmazione anche di semplici escursioni scegliendo gli orari più adatti e rispettando i tempi di percorrenza. Così è nato il progetto Prudenza in Montagna, che ha visto come primo atto la costituzione di un tavolo tecnico coordinato da Trentino Marketing per veicolare questo messaggio. Il tavolo tecnico vede collaborare insieme SAT (Società Alpinisti Tridentini), Associazione Rifugi del Trentino, Collegio delle Guide Alpine Trentino, Soccorso Alpino e Speleologico Trentino, Fondazione Dolomiti Unesco, Collegio Provinciale Maestri di Sci del Trentino, Trentino Marketing, PAT, Guardia di Finanza, Carabinieri e Polizia di Stato. Alla base del progetto vi è un approccio differente alla consapevolezza del rischio. Per informazioni più dettagliate www.trentinomarketing.org/it
Corriere delle Alpi | 9 giugno 2023
p. 19
Le vie del Pelmo d'oro arrivano all'estero Premiato l'Alpine Club 1857 dei pionieri
Marcella Corrà / BELLUNO
Ha una forte connotazione internazionale il premio Pelmo d'oro di quest'anno. E non solo perché il riconoscimento all'alpinista in attività andrà allo spagnolo Santiago Padròs (Santi per gli amici e i vicini di casa della Val di Zoldo dove è venuto ad abitare da tempo), ma soprattutto per il premio speciale Dolomiti Unesco che la Fondazione diretta da Mara Nemela ha deciso di assegnare all'Alpine Club, il più antico club alpino del mondo, fondato a Londra nel 1857 da John Ball. Il 19 settembre di quell'anno Ball aveva inaugurato la storia alpinistica delle Dolomiti compiendo la prima ascensione conosciuta al Monte Pelmo. Pochi mesi dopo a dicembre, fonda l'Alpine Club di cui fu il primo presidente. L'ascensione al Pelmo fu la scintilla da cui nacque l'alpinismo, e il baricentro erano state le Dolomiti, montagne diventate patrimonio dell'Umanità nel 2009. E l'alpinismo è stato riconosciuto come patrimonio immateriale dell'Umanità nel 2019.
A ricevere il premio a San Tomaso Agordino il 29 luglio prossimo sarà l'attuale presidente dell'Alpine Club, Simon Richardson, tra i più importanti e noti alpinisti inglesi. Il giorno prima, il 28 luglio, Richardson salirà sul Pelmo accompagnato dal presidente nazionale del Cai, Antonio Montani. Livello elevatissimo, dunque per il premio voluto dalla Provincia di Belluno e nato 25 anni fa da una idea di Roberto De Martin (che è stato per sei anni presidente generale del Cai), concretizzata dall'allora presidente Oscar De Bona. E proprio ai due ideatori e fondatori del Pelmo d'oro verrà consegnato uno dei premi speciali di questa edizione, quello della Provincia di Belluno. I
Sono tre i riconoscimenti principali del Pelmo d'oro, annunciati ieri in Provincia dalla giuria, presieduta da Roberto Padrin e composta anche da Orietta Bonaldo (accademica del Cai), Federico Bressan (Cai), Giorgio Brotto (Cai), Paolo Conz (soccorso alpino), Giorgio Peretti (guide alpine Veneto), Marco Staunovo Polacco (Consorzio Bim).
Il premio all'alpinismo in attività è andato allo spagnolo Santiago Padros. Curriculum ricchissimo il suo: guida alpina, ha realizzato spedizioni alpinistiche in tutto il mondo, con nuove vie aperte in Himalaya, in Patagonia e sulle Dolomiti, dove vive dal 2006. E' anche scialpinista e guida di canyoning.
Il premio alla carriera alpinistica è stato assegnato allo zoldano Alessandro Masucci, che ha cominciato a scalare da giovanissimo: a tredici anni da solo e di nascosto sale la normale del Pelmo.
E' un nome che ricorre spesso nel curriculum dei premiati quello del Pelmo, Caregon del Padreterno. Il premio a Masucci vuole essere il riconoscimento ad un alpinista rigoroso, sempre alla ricerca di terreni inesplorati, di pareti meno conosciute, sulla scia di un alpinista e uomo di cultura come Giovanni Angelini. Si contano quasi mille tra ripetizioni e nuove vie nella carriera di Masucci, interrotta a 55 anni a casa di una malattia. Ma, come ha ricordato Bressan nel presentare i vincitori, non è venuta meno la sua attività a favore della montagna.
Il premio per la cultura alpina va ad uno dei suoi massimi rappresentanti, Italo Zandonella Callegher, di Dosoledo, che oltre alle imprese alpinistiche sulle Dolomiti e all'estero, ha svolto una lunga attività di scrittore, direttore editoriale della rivista "Le Dolomiti bellunesi" per trent'anni e per 16 della stampa nazionale del Cai. Ha anche presieduto il Trento Film Festival, ed è legato al premio Pelmo d'oro per aver fatto parte per anni della giuria.
Tre i premi speciali, quello della Provincia a De Bona e De Martin, quello dell'Unesco all'Alpine Club e quello in ricordo di Giuliano De Marchi a Silvana Rovis, morta due anni fa, che ha dedicato gran parte della sua vita al Cai e alla rivista "Le Alpi venete" per la quale ha scritto oltre settanta articoli e interviste.
La premiazione si svolgerà nella sala polifunzionale Arena 1082 di San Tomaso, ai premiati andrà la scultura di Gianni Pezzei, oltre a tre opere realizzate dallo scultore Albino Mezzacasa. Durante la cerimonia si esibiranno il gruppo folk "Bati Orz" e Domenico Menini.
Corriere delle Alpi | 9 giugno 2023
p. 19
Eventi, corsi, arte e convegni: il campo base è a San Tomaso
appuntamenti
Si comincia il 16 giugno e si arriva al 3 settembre: l'estate 2023 a San Tomaso Agordino ruota tutta attorno al Pelmo d'oro, con decine di iniziative collaterali che avranno il loro clou il 29 luglio, con la cerimonia di consegna dei premi all'alpinismo e alla cultura montana nella sala polifunzionale Arena 1082. Molti gli appuntamenti fissi: i venerdì dal 16 luglio al 29 settembre con "Cieli Dolomitici" al planetario di San Tomaso, e i sabati dall'8 luglio al 26 agosto al centro "Orti rupestri", con due corsi di autoriproduzione di semi di piante agricole montane e le visite guidate. Ci sono poi le date evento: il 25 giugno nella Vertik Area Dolomiti (la nuova palestra di
roccia) verrà presentato "Il cammino delle Dolomiti genuine", un percorso di 80 chilometri in sei tappe, toccando i villaggi di alta quota e gli angoli più affascinanti tra Falcade, Canale, Vallada, Cencenighe e San Tomaso. Nella prima settimana di luglio, spazio alla scultura con il VI simposio "Dolomiti Rock Miniatures, che vedrà impegnati tre scultori (italiano, equadoregno e russo) che riprodurranno il Focobon, il Monte Cristallo e il Sass Maor, montagne in miniatura che vanno ad aggiungersi alle 16 opere degli anni scorsi. Il 27 luglio verrà presentato il documentario "L'ultima via di Riccardo Bee" di Emanuele Confortin.
Il giorno dopo tocca a due giovani alpinisti, Sara Avoscan e Omar Genuin raccontare 15 anni di alpinismo in coppia. Momenti di musica e canto il 5 agosto nella frazione Chiea, con "Musica inte le vile" e il Coro Sintagma e il 16 agosto con il concerto della pianista Silvia Tessari. Nel fitto programma presentato dal sindaco Moreno De Val ci sono anche iniziative per i più piccoli, escursioni, la salita al Sasso Bianco, la festa dell'anziano, il festival della cucina tradizionale alpina e la decima festa dell'orzo e della birra artigianale che conclude l'estate di S. Tomaso il 2 e 3 settembre. MA.CO.
Corriere dell’Alto Adige| 1 giugno 2023
p. 3
Schuler: «Niente riprese a Carezza, non vogliamo un altro caso Braies»
Silvia M. C. Senette BOLZANO
Tra film, serie tv, documentari e cortometraggi italiani e stranieri, nel 2022 il Film Fund di Idm Südtirol ha erogato poco meno di cinque milioni di euro di fondi provinciali per sostenere ben 29 produzioni. Un budget non certo irrisorio, ma l’indotto generato sul territorio è stato nettamente superiore ed è stimato nel 223%. «Circa 300 giornate di riprese hanno generato un effetto Alto Adige di oltre 11 milioni di euro» conferma l’assessore al Lavoro Philipp Achammer.
Favorire quell’industria cinematografica attorno a cui gravitano oltre 70 imprese altoatesine e 600 professionisti iscritti al database dello spettacolo di Idm è lo scopo principale di un’immensa macchina che ha, come effetto diretto, anche quello di dare grande visibilità al territorio. Non sempre, però, con effetti solo positivi. L’esempio più eclatante è quello del Lago di Braies, un piccolo paradiso scelto nell’estate 2010 come set di «Un passo dal cielo».
Grazie all’immensa pubblicità derivata dalla fortunata serie tv con protagonista Terence Hill, Braies è diventato il luogo più visitato dell’intera regione. L’enorme affluenza turistica ha costretto la giunta provinciale ad adottare misure drastiche, come gli accessi a numero chiuso, per ridurre le presenze rendendole compatibili con il luogo inserito nel parco naturale Tre Cime. Una decisione ancora vigente che, oggi, l’assessore al Turismo Arnold Schuler rivendica con forza archiviando il progetto televisivo come qualcosa di «non più auspicabile» e che, con il famoso senno di poi, non riapproverebbe.
«Siamo diventati più prudenti dopo quell’esperienza e tutte le conseguenze che ha portato - ammette -. Il successo inimmaginabile ha avuto talmente tanti effetti negativi che abbiamo deciso di non finanziare l’ultima stagione, girata in Veneto». La notorietà tv aveva fatto da traino ai social e il Lago di Braies era diventato la meta più «instagrammata» d’Italia. «Una cosa incredibile - confessa l’assessore -. Le conseguenze che abbiamo dovuto affrontare e i problemi di gestione turistica che stiamo ancora cercando di risolvere, soprattutto in estate, non compensano il beneficio che l’Alto Adige ne ha tratto. Abbiamo capito che quella visibilità era diventata un problema troppo tardi e abbiamo deciso di non prolungare più il contratto con la società di produzione».
Ora le valutazioni sono diventate più accorte. «Due o tre anni fa abbiamo avuto una richiesta dal Ministero del Turismo per inserire il Lago di Carezza tra i sette tesori da scoprire in Italia. In Giunta ne abbiamo discusso e, memori dell’accaduto, abbiamo risposto “no, grazie”. Abbiamo avuto paura che si ripetesse quello che avevamo già visto. È un lusso poterselo permettere, ma non abbiamo bisogno di ulteriore pubblicità se il rischio è che gli aspetti negativi superino quelli positivi».
Schuler chiede di non essere frainteso: «È ottimo l’indotto sul territorio dell’industria cinematografica: i progetti selezionati da Idm sono un successo e da anni la Provincia va in questa direzione. Per le ditte locali, le maestranze e gli alberghi c’è di sicuro un successo economico, ma con il senno di poi, facendo un bilancio di pro e contro, Un passo dal cielo non andava approvato. Non si può dire che ci siano stati errori da parte di Idm, non ci sono colpe, il successo della serie non era prevedibile».
Anche la responsabile di Idm Film Fund, Birgit Oberkofler, ammette che la fiction ha segnato un nuovo capitolo: «Abbiamo tutti imparato da questo caso: non ci sarà più una serie tv ambientata nei parchi naturali. Sarà impossibile - confessa -. Ora abbiamo un certificato verde e un green manager per aiutare le produzioni a essere più sostenibili. Quello è stato un caso unico per Idm: la gente veniva in Alto Adige solo per Ötzi e il Lago di Braies, era più social di Rialto o del Colosseo, e questo ha generato un effetto boomerang». La dirigente parla di un caso delicato, sottolineando che «a fronte di tante belle produzioni che partecipano a festival e vincono premi, sarebbe un peccato se una serie non ben vista gettasse ombra sui lavori che finanziamo ogni anno. Ci stiamo muovendo per gestire le nuove produzioni per in modo da non avere mai più casi simili». Il retrogusto amaro resta come monito. «Il sistema è vincente e
funziona. È lungimirante da parte dei nostri politici investire non solo su agricoltura e turismo, ma anche su un settore innovativo e florido per coltivare talenti locali e portare in provincia professionisti di calibro internazionale».
p. 11
La giunta provinciale incontra i vertici di Trentino Marketing e delle Apt. Si punta sulla destagionalizzazione
Puntare sulla destagionalizzazione per far girare il motore del turismo trentino 365 giorni all'anno. È questo l'obiettivo per i prossimi anni, con un'attenzione particolare alle esigenze di mobilità degli ospiti all'interno del territorio. Parole d'ordine, che rischiano di essere sempre un po' vuote, sono innovazione, valore e, manco a dirlo, sostenibilità. Se ne parlato durante la seduta speciale della giunta provinciale: un incontro con i protagonisti del settore, Trentino Marketing e i presidenti delle Apt. Quello del turismo è un tema trasversale che tocca l'economia, l'ambiente, la sanità, il welfare, la formazione, i trasporti, le foreste, l' urbanistica, l' edilizia. Richiede un impegno coordinato per accompagnare una strategia di crescita. Questo il tema affrontato ieri nell'incontro fra l'esecutivo guidato da Maurizio Fugatti, il cda di Trentino Marketing e i presidenti delle Apt nella sede della società di sistema. Un momento utile - è stato detto - per fare il punto sugli obiettivi di sviluppo del comparto, che puntano su qualità dell'offerta, fidelizzazione, allungamento della stagione, nonché per discutere dei problemi e delle soluzioni in prospettiva. Dopo l'introduzione dell'assessore provinciale al turismo Roberto Failoni, è stato lasciato spazio all'illustrazione degli obiettivi di Trentino Marketing.Il presidente Gianni Battaiola e l'amministratore delegato Maurizio Rossini hanno evidenziato le finalità strategiche e l'ampio insieme di progetti avviati sul territorio. Gli obiettivi, hanno precisato, sono quelli di migliorare la qualità delle esperienze nelle stagioni "classiche", estate e inverno, e di rendere sempre più attrattivo il Trentino nelle "belle stagioni", cioè proseguire l'impegno sulla destagionalizzazione. Si lavora per creare, a parità di numeri delle presenze, maggiore valore, fidelizzazione e permanenza media, puntando su un grande numero di progettualità messe in campo in sinergia fra operatori, Apt, amministrazioni locali e realtà interambito.Tanti gli ambiti di azione: ad esempio nuovi servizi per la mobilità pubblica, gestione innovativa dei servizi per aumentare la qualità dell'esperienza offerta all'ospite, accessibilità, coinvolgimento dell'ospite, sensibilizzazione sui temi ambientali e tanto altro.Ne è seguito il confronto con gli esponenti della Giunta, oltre a Failoni il presidente Maurizio Fugatti, il vicepresidente Mario Tonina, gli assessori Giulia Zanotelli e Stefania Segnana. Presenti alla prima parte dei lavori anche gli assessori Mirko Bisesti e Achille Spinelli.Molti, come detto, i temi affrontati: le soluzioni per la mobilità e i trasporti, la tutela di un ambiente unico come quello trentino, l'accessibilità degli alloggi nelle zone turistiche, l'informazione agli ospiti sul tema dei grandi carnivori (il tema orso, come parlarne ai turisti e quali informazioni fornire), gli investimenti nella formazione per i giovani e gli operatori, il rapporto con l'agricoltura e le eccellenze del territorio, la presenza dei servizi per sanità e welfare, gli investimenti per servizi e infrastrutture.All'incontro erano presenti anche Luciano Rizzi, Presidente Apt Val di Sole nonché presidente del Consorzio delle Apt trentine e componente del cda di Trentino Marketing, Elisa Maccagni (cda), Silvio Rigatti (presidente Apt Garda Dolomiti), Lorenzo Paoli (Apt Val di Non), Denis Pasqualin (Apt Valsugana), Michele Viola (Apt Paganella), Paolo Gilmozzi (Apt Val di Fiemme), Franco Bertagnolli (Apt Trento-Monte Bondone).È stata l'occasione per presentare alla Giunta il Consorzio delle Apt, nato in seguito alla legge provinciale sul turismo, per dare una rappresentanza unitaria alle 12 realtà sul territorio, nonché per discutere dei diversi problemi e delle soluzioni seguendo un approccio condiviso. Tra i temi evidenziati i trasporti, la fattibilità di nuovi percorsi per le bici d'estate e a piedi d'inverno, l'accessibilità degli alloggi per i lavoratori.
Alto Adige | 7 giugno 2023
p. 23
Gestione hotspot
Lago di Carezza, siglato il piano
Bolzano
Garantire un turismo sostenibile e vacanze naturali ai visitatori del Lago di Carezza, oltre alla qualità della vita degli abitanti del luogo. Negli ultimi anni sono state investite parecchie risorse per indirizzare i flussi di visitatori verso il lago di Carezza. «Anche questa popolare destinazione è uno dei luoghi più amati delle Dolomiti per il quale la Provincia sta attuando misure per un'esperienza dolce, sull'esempio di quanto fatto per il Lago di Braies, le Tre Cime o i passi dolomitici», ha sottolineato l'assessore provinciale alla Mobilità Daniel Alfreider, nel corso di un recente incontro con il sindaco, Markus Dejori, e i rappresentanti comunali. Il lago di Carezza è una meta facilmente raggiungibile a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici e con la funivia. Oltre alla sensibilizzazione verso una mobilità sostenibile, i prossimi passi saranno la progettazione del parcheggio Paolina, prevista per l'estate 2023, e l'introduzione di un sistema di gestione del parcheggio, probabilmente il prossimo anno.Provincia e Comune uniscono le forze per una mobilità dolce al Lago di Carezza«Il monitoraggio del traffico sarà esteso all'area del Lago di Carezza e di Passo Nigra», ha detto Alfreider. "Dobbiamo innanzitutto concentrarci sulla sensibilizzazione e sull'informazione, sulle infrastrutture e sull'orientamento dei visitatori: a tal fine stiamo
attuando misure pro futuro", ha spiegato l'assessore provinciale. Come avviene già sugli altri passi dolomitici, anche nella zona del Lago di Carezza e di Passo Nigra sono previsti controlli della velocità e del rumore da parte di forze dell'ordine appositamente addestrate, ha spiegato l'assessore provinciale alla Mobilità. "Stiamo verificando tecnicamente se i limiti di velocità possano essere ulteriormente abbassati", ha concluso Alfreider.Anche nel settore del marketing l'orientamento verso una mobilità dolce rappresenta una priorità. Val d'Ega Turismo e IDM Alto Adige hanno predisposto a questo scopo un sito web, un flyer e un video introduttivo. Autobus, treni, percorsi pedonali e ciclabili andranno a costituire la spina dorsale della mobilità sostenibile attorno all'area del Lago di Carezza.Per la prima volta quest'anno, Passo Nigra, ai piedi del Catinaccio, sarà riservata agli escursionisti e ai ciclisti. Per due domeniche (11 giugno e 24 settembre), dalle 10.00 alle 16.00, la strada da San Cipriano di Tires alla Malga Franzin di Carezza resterà chiusa al traffico di moto e auto. Le funivie di Nova Levante e Tires garantiranno il trasporto dei turisti fino a Passo Nigra, mentre lungo il percorso le locande della zona serviranno ai visitatori specialità gastronomiche del luogo. L'11 giugno, inoltre, è in programma il Rosadira Bike, il Festival dolomitico della mountain bikeÈ possibile iscriversi a tour guidati in bicicletta e/o a corsi di tecnica di guida e a un variegato programma per bambini all'indirizzo: info@rosadira-bike.com, o telefonando al numero: 0471 619520.
Alto Adige | 10 giugno 2023
p. 34
Piano Braies esteso anche a Val Fiscalina e Tre Cime
Il modello Braies - con la prenotazione digitale degli accessi in auto (che ha comportato la riduzione del 24,6% del traffico individuale) - funziona e sarà esteso anche alle realtà limitrofe: dalla Val Fiscalina alle Tre Cime fino a Prato Piazza. La Provincia confida di ottenere un risultato, se possibile, ancora più significativo in zone ad alta densità turistica. Per ogni zona è stato studiato un piano «hoc».Lago di Braies.All'ingresso della valle, anche quest'estate, dal 10 luglio al 10 settembre, ci sarà un accesso auto prenotabile digitalmente dalle 9.30 alle 16. Tutti gli automobilisti autorizzati possono superare automaticamente il punto di accesso sulla strada principale verso il lago. Le telecamere leggono il numero di targa e aprono la strada. Chi non è autorizzato a passare può uscire da una rotatoria e raggiungere la valle e il lago di Braies con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta. Le navette per il lago sono le linee 439 e 442, per le quali è necessaria la prenotazione e il pagamento online. Per i titolari dell'AltoAdigePass, alcuni posti sono sempre riservati anche senza prenotazione online. Sono esenti coloro che sono in possesso dei permessi di transito per gli ospiti di ristoranti, negozi e altri fornitori di servizi della Valle di Braies, nonché gli ospiti in vacanza nella Valle di Braies per l'intera durata del loro soggiorno. Le navette e i parcheggi possono essere prenotati e pagati sul sito www.prags.bz/ticket.Prato PiazzaChi è diretto a Prato Piazza, può arrivarci con la propria auto prima delle 9.30 e dopo le 16, a pagamento. Il parcheggio corrispondente a Brückele può essere prenotato online (www.prags.bz/ticket). Tuttavia è più ecologico prendere l'autobus pubblico della linea 443 da Monguelfo e Dobbiaco/Villabassa.Val FiscalinaLa valle è raggiungibile dall'11 giugno all'8 ottobre con il Fischleintal Shuttle 440 (da Sesto), a piedi o in bici. Per l'accesso in auto sono previste chiusure temporanee dalle 9 alle 16. Per i visitatori provenienti da fuori Sesto, si consiglia di prendere il bus 446 Dobbiaco - San Candido, con la possibilità di cambiare alla stazione a valle della funivia del Monte Elmo a Sesto. Per la navetta Fischleintal non è necessaria la prenotazione.Tre CimeDal 3 giugno e fino al 15 ottobre 2023, in alternativa alla strada a pedaggio, è attivo un bus navetta da Dobbiaco. La navetta deve essere prenotata e pagata in anticipo su www.dreizinnen.bz/ticket. I biglietti rimanenti, se disponibili, possono essere acquistati alla stazione degli autobus o dei treni di Dobbiaco. I possessori di Alto Adige Pass viaggiano alla tariffa prevista dall'associazione dei trasporti, ma devono prenotare il posto online per l'intero periodo.Alfreider: «Un modello di accessibilità sostenibile».«Puntiamo sulla mobilità ferroviaria, degli autobus, delle bici e dei pedoni, combinata con la regolamentazione dei parcheggi e delle strade di accesso con la tecnologia digitale per un'accessibilità sostenibile, non solo per Braies, ma anche per Tre Cime, Prato Piazza e Val Fiscalina», spiega l'assessore provinciale Daniel Alfreider. «L'impatto sulla natura e sull'habitat è già stato ridotto grazie a misure a favore del sistema di orientamento dei visitatori, ultimamente con l'accesso contingentato al traffico motorizzato nella valle», afferma il sindaco Friedrich Mittermair. MAX.BO.
Corriere del Trentino | 14 giugno 2023
p. 7
Cambiamento climatico e arrivi Indispensabile destagionalizzare
Se c’è un comparto che può festeggiare numeri importanti è quello turistico, che Bankitalia racconta essere riuscito a superare i valori del 2019: rispetto al 2021 c’è stato un aumento delle presenze in Trentino del 50%, in Alto Adige del 45. Ma lo studio ha anche voluto focalizzarsi su un aspetto specifico, le conseguenze sul settore del cambiamento climatico, scoprendo come Bolzano sia in realtà più capace di Trento di reagire agli stravolgimenti.
Senza neve, d’altronde, diminuiscono i visitatori, ma è anche vero che gli impianti altoatesini sono a quote più elevate di quelli trentini e possono quindi «stiracchiare» la stagione un po’ di più; c’è anche però un problema di qualità dell’offerta, registrata come maggiore
a Bolzano, fattore che aiuta nella destagionalizzazione. «Il confronto è sempre impari, partiamo da basi diverse e volendo guardare le singole aree i risultati variano molto, basti pensare all’Alto Garda ricorda Gianni Battaiola, presidente di Trentino marketing Il cambiamento climatico comunque ci regala anche un nuovo ragionamento sulle “belle stagioni”, che stiamo già portando avanti tra festival, cicloturismo, enogastronomia, escursionistica, rifugi... Qui scontiamo anche una mancanza di strutture alberghiere che rende più difficile stabilizzare il lavoratore e fidelizzare il cliente».
L’analisi di Bankitalia ha anche riguardato l’altro aspetto dei cambiamenti climatici, quello improvviso degli eventi estremi: analizzando le immagini satellitari delle presenze umane nei boschi della regione dopo la tempesta Vaia, infatti, si è potuta calcolare la riduzione delle presenze estive nelle estati dopo il disastro, crollate anche di un quarto. (p. f.)
Alto Adige | 29 giugno 2023
p. 19
Strada Passo Nigra, si punta a chiudere l'estate prossima
BOLZANO
Le prove generali si sono tenute l'11 giugno, il 24 settembre si ripeterà. Stiamo parlando della chiusura della strada di passo Nigra: dalle 10 alle 16 niente auto e moto, solo ciclisti passeggini e carrozze. E per salire in quota a malga Frommer, ci si serve degli impianti di risalita, la nuova funivia di Tires e la cabinovia da Nova Levante. Il sindaco di Tires Gernot Psenner sostiene l'iniziativa, come pure il primo cittadino di Nova Levante Markus Dejori. Per la chiusura definitiva, che si spera di attuare quanto meno la domenica ma se possibile tutti i giorni dalla prossima estate, mancano ancora alcuni lavori preparatori: la pericolosa fermata bus a passo Nigra deve essere risistemata, al parcheggio del Kaiserstein a Carezza serve una rotatoria stradale, si sta predisponendo un sentiero per gli escursionisti a lato della Provinciale, la linea bus da e per Tires deve essere migliorata. Ma la via per i sindaci è tracciata. E il sostanzioso contributo provinciale alla funivia di Tires è un chiaro segnale di sostegno. I sindaci non nascondono: si sta tentando di far rientrare la funivia di Tires nell'Alto Adige Pass, inglobandola nel servizio pubblico.Si oppone invece la Bürgerliste Welschnofen, soprattutto perché il concetto di rivoluzione della mobilità non coinvolge il paese di Nova Levante, molto più sotto pressione dal punto di vista del traffico motorizzato. La Civica fa infatti notare che se al passo Nigra una rilevazione ha contato 1800 mezzi al giorno, Nova Levante deve fare i conti con 6.900 passaggi quotidiani, ossia quasi quattro volte tanto, così come il passo Costalunga, di gran lunga uno dei più frequentati delle Dolomiti. La Bürgerliste teme inoltre che la chiusura di passo Nigra possa portare ad un ulteriore incremento dei passaggi nel paese, attraverso la val d'Ega, Collepietra e San Valentino in Campo. Finora, prosegue la Lista in una nota diramata ieri, tutte le contromisure adottate a Nova Levante non hanno sortito effetti degni di nota, a partire dai controlli sulla velocità. Anzi, si spiega, il traffico aumenta sempre più e il disturbo arrecato ai residenti e alle attività lungo la via per Carezza è diventato ormai insostenibile. La soluzione ci sarebbe, esiste da decenni nei piani urbanistici comunali, ma politicamente non è sostenuta e viene tenuta nei cassetti: una variante in tunnel, come fatto altrove, tipo a Moena in val di Fassa. La lista Civica di Nova Levante è convinta si debba elaborare un concetto più ampio, coinvolgendo anche i Comuni limitrofi e la trentina val di Fassa, invece di pensare a micro-soluzioni locali che lasciano il tempo che trovano e vanno magari a vantaggio solo di alcuni, pochi privati. La Bürgerliste chiede che le Dolomiti Patrimonio Unesco vengano onorate e messe in pratica davvero e non utilizzate in maniera distorta a soli fini di strategia di marketing. Infine, la Civica di Nova Levante chiede una maggiore trasparenza agli organi politici locali e che nelle decisioni su questi importanti argomenti, che incidono sulla vita di tutti, ci si confronti pubblicamente, in un processo che veda protagonista delle decisioni l'intera popolazione della valle. DA.PA
Corriere delle Alpi | 1 giugno 2023
p. 30
Siti Unesco a rischio per il troppo turismo
«Serve più qualità e meno quantità»
L'overtourism minaccia i siti Unesco. Lo ha detto chiaro e tondo, alla prima Borsa Internazionale dei siti Unesco, a Cison di Valmarino (Treviso), Matthew Emslie-Smith, responsabile del monitoraggio del Patrimonio Mondiale Iucn, colui che deve giudicare se vengono rispettati i criteri della tutela. Più sostenibilità, ha raccomandato il dirigente; basta puntare alla quantità, a far numero, si privilegi invece la qualità. Ed è quanto ha detto anche l'assessore regionale al turismo, Federico Caner, considerando il presente ed il futuro dei 9 siti Unesco del Veneto. Fergus Maclaren, presidente dell'International Council on Monuments and Sites, si è chiesto, ad esempio, se tutti i turisti che frequentano determinati siti sanno di trovarsi in un contesto di particolare protezione universale. E che richiede il massimo rispetto. Venezia, ad esempio. È lo stesso problema che la Fondazione Dolomiti Unesco si pone per le Tre Cime di Lavaredo,
raggiunte, in determinate giornate estive, anche da più di 13 mila visitatori. I cicli affrescati del 14° secolo a Padova, le Colline del Prosecco, le opere di difesa veneziane, i siti palafitticoli preistorici dell'arco alpino, le Dolomiti, la città di Verona, l'Orto botanico di Padova, le ville palladiane, Venezia e la sua laguna: sono questi i gioielli veneti. Con i turisti stranieri che sono sempre più numerosi: a Venezia e nelle altre città, ma anche sulle Dolomiti o sulle Colline Unesco, dove raggiungono percentuali tra il 20 e il 30 per cento. «Gli asset naturali e culturali debbono essere valorizzati, ma al tempo stesso protetti, per sviluppare adeguati flussi turistici. Con questo spirito nasce la Borsa Internazionale dei siti Unesco che favorirà lo scambio di buone pratiche e incontri buti, riservati al mondo della domanda e dell'offerta turistica, delle destinazioni italiane e straniere in cui sono presenti dei siti Unesco» ha precisato Caner. Presenti all'appuntamento 50 buyer europei selezionati, che avranno l'opportunità di incontrare gli oltre 70 seller che hanno sede e operano nelle aree inserite nella World Heritage List Unesco del Veneto. Il motore dell'iniziativa è stata l'Associazione Colline Unesco che si prepara ad aprire, fra un mese, il Cammino dell'Umanità, di 52 km, da Vidor a Vittorio Veneto. Intanto il Consorzio Prosecco Doc annuncia che «sono in arrivo i primi 100 turisti provenienti dal Giappone per visitare i luoghi di produzione delle bollicine». È il risultato della collaborazione stretta da tempo tra Consorzio e Hankyu Travel International, una delle più importanti agenzie di viaggio del Giappone. «Se il buongiorno si vede dal mattino – commenta il presidente Stefano Zanette – si tratta di un ottimo inizio. È in programma l'arrivo di altri tre importanti tour operator provenienti dal Sol Levante, che presto effettueranno nuovi sopralluoghi nelle nostre zone, con l'obiettivo di includere Treviso e le cantine site nel territorio della Doc Prosecco nei futuri itinerari turistici, a partire già dalla fine di quest'anno». Ma sempre un turismo di qualità, non i nvasivo, ammette lo stesso Zanette.
Corriere delle Alpi | 8 giugno 2023
p. 12
Fiumi, invasi e falde le piogge di maggio fanno salire i livelli Ma è ancora deficit
Francesco Dal Mas / VENEZIA
Bentornata pioggia, ma insufficiente per tutelare le campagne (e non solo) dalla siccità. Benvenuta anche la neve che quasi ogni pomeriggio si scarica sui 3300 metri della Marmolada, mantenendo la copertura di 2 metri sul ghiacciaio. L'Arpav ha calcolato che in maggio il Veneto si è dissetato con 174 millimetri di pioggia, ben 52 in più della media storica che mese. In sostanza sulla regione si sono scaricati 3209 milioni di metri cubi d'acqua. Emergenza scampata, dunque? Nient'affatto. O meglio, non ancora.
«Nei primi 8 mesi dell'anno idrologico (inizio ottobre), il deficit è oltremodo pesante (-132 mm), per cui sarebbe necessario che in questo mese piovesse per circa 228 millimetri – è il sospiro di preoccupazione di Giampaolo Bottacin assessore regionale all'Ambiente, che interpreta i dati del Rapporto mensile dell'agenzia dell'ambiente rispetto alle risorse idriche –. Se così non accadrà, il bilancio non torna in equilibrio. Anche se ovviamente non possiamo che essere soddisfatti dell'andamento di metà aprile e di tutto il mese di maggio».
Per cancellare la segnatura in rosso del bilancio idrologico, dal 1° ottobre, le precipitazioni di giugno dovrebbero risultare sostanzialmente più del doppio della media. Media che negli ultimi 30 anni è stata di 96 mm, sempre relativamente al mese di giugno; dovrebbero salire appunto a quota 228. «In Veneto – riferisce Bottacin - mancano, infatti, 10.844 milioni di metri cubi».
Se il Po è in attivo del 2% e il Fissero-Tartaro-Canal-Bianco del 12%, tutti gli altri bacini sono in rosso: l'Adige del 19%, il Brenta del 22, il Lemene del 16%, altrettanto il Sile, il Tagliamento del 10%. Il Piave addirittura del 32% e il Livenza del 33%. E le nevicate, che pure non sono mancate, sono state anch'esse di scarso apporto. Dai 3 mila metri in su, in questi giorni è quasi sempre nevicato; poca cosa, ma sufficiente a non consentire l'ablazione del ghiacciaio. L'Arpav rileva che a fine stagione (invernale) il cumulo di neve fresca evidenziava un deficit di 160-170 cm in quota, di 130 a 1600 metri e di 70-100 nei fondovalle, rispetto alla media degli ultimi 30 anni. Con gli apporti ulteriori fino a maggio la situazione si è un po' riequilibrata, ma senza concedere agli studiosi eccessive illusioni. Ecco, dunque, che i serbatoi lungo il Piave sono riempiti d'acqua all'88%, valore nella media del periodo. Le comunità locali, si sa, cominciano a preoccuparsi se vedono i livelli abbassarsi anche di un solo centimetro. Siamo all'avvio della stagione e i laghi pieni fanno scenario. Quello di Pieve di Cadore è in deciso incremento nella prima metà di maggio, poi in temporaneo calo, ma verso fine mese in ripresa, fino al 90% di riempimento. Soddisfatto, dunque, il sindaco di Calalzo, Luca De Carlo, che anzi recentemente si è preoccupato di come rimuovere il materiale flottante, per una radicale pulizia qui come negli altri bacini. Soddisfacente, a sentire il sindaco di Alpago, Alberto Pertile, la condizione del lago di Santa Croce, all'86% di riempimento. Il Mis ha registrato nel mese un andamento sostanzialmente stabile, comunque all'89% del volume massimo invasabile.
Sul serbatoio del Corlo (Brenta) il volume invasato è pari a 33,9 milioni di metri cubi, valore superiore rispetto a fine aprile (+7,2 milioni di metri cubi), pari ad un riempimento dell'89% (nella media del periodo: -7%, -2,7 milioni di m3). La siccità, si sa, dipende dalla ricarica delle falde. Ebbene, l'Arpav fa sapere che «nel complesso i livelli sono poco più alti dell'anno scorso». Quando, come tutti sanno, erano molto bassi. Nell'alta pianura vicentina e padovana l'incremento a maggio è stato di un metro, ma comunque in deficit del 43% rispetto al livello atteso.
In ripresa anche le falde del Trevigiano, ma alla centralina di Varago siamo sotto del 125% alla media e a Castagnole il deficit è del 95%. Va meglio in altre aree di media e bassa pianura. In ogni caso – riferiscono i tecnici dell'Arpav – a fine maggio le portate dei maggiori fiumi veneti sono tornate un'altra volta inferiori alle medie storiche. Le portate dei maggiori fiumi veneti, in calo nell'ultima decade dopo le morbide registrate a inizio mese, sono tornate un'altra volta inferiori alle medie storiche su tutti i principali corsi d'acqua: -14% sull'Adige a Boara Pisani, -29% sul Brenta a Barziza, -32% sul Po a Pontelagoscuro e -47% sul Bacchiglione a Montegalda.
Corriere del Veneto | 29 giugno 2023
p. 40, edizione Treviso-Belluno
Le piogge di maggio e giugno allontanano l’emergenza «Corsi d’acqua sotto la media, aumenterà il fabbisogno»
Venezia
A questo punto, nel 2022, la siccità era un’emergenza conclamata: fiumi in secca, prelievi irrigui contingentati, le prime ordinanze dei Comuni per ridurre la dispersione idrica bloccando fontane, giardini, lavaggi d’auto in cortile. L’inizio dell’estate 2023 è stato parecchio bagnato ma la pioggia di giugno non è bastata e, con buone previsioni, non basterà: il deficit dell’anno scorso non sarà recuperato facilmente. Il livello del lago di Garda, in crescita dall’inizio di maggio, è tornato vicino al valore medio stagionale ed è leggermente superiore al riempimento dell’anno scorso; la ricarica delle falde ha avuto un’accelerazione dopo le piogge primaverili; e i fiumi tornano a vedere l’acqua che nel 2022 mancava così tanto. I piccoli torrenti montani sono in salute ma i grandi fiumi veneti hanno portate «sostanzialmente stabili o in lieve calo dall’inizio del mese, si mantengono ancora inferiori alle medie storiche». Quello che se la cava meglio è il Brenta, in affanno Adige e Po, sofferenza sul Bacchiglione. I deflussi medi nei primi quindici giorni di giugno sono: -1% sul Brenta,-21% sull’Adige, -25% sul Po -48% sul Bacchiglione.
L’ultimo bollettino Arpav a disposizione, pubblicato la settimana scorsa, mostra che nella prima metà del mese sul Veneto sono caduti 77 millimetri di pioggia (l’anno scorso erano stati 33): il valore medio storico di giugno è di 97 nell’intero mese, quest’anno l’80 per cento è arrivato in sole due settimane. I record di pioggia sono stati nelle stazioni di Rio Rudan (Vodo di Cadore, Belluno) con 221 mm e al rifugio la Guardia (Recoaro Terme, Vicenza) e Col Indes (Tambre, Belluno) con 213 mm, mentre le minime precipitazioni sono state osservate sui Colli Euganei. Dovrebbe essere un buon auspicio, considerando anche le perturbazioni più recenti ma non basta perché la situazione è oscillante a seconda delle zone.
«Il mese di giugno ci ha riportati in media – commenta Andrea Crestani, direttore di Anbi Veneto – ma non ha certo recuperato il deficit accumulato nell’anno idrologico, iniziato a ottobre. Un piccolo contributo è arrivato anche da un apporto di neve che ha sicuramente migliorato nel complesso le portate di Adige, Piave, Brenta e Bacchiglione, ma non siamo in una condizione di normalità perché le piogge hanno bagnato i terreni e i prelievi irrigui sono appena iniziati. La richiesta è stata posticipata». Significa che i fiumi potrebbero svuotarsi con rapidità quando i campi avranno bisogno d’acqua. I serbatoi montani hanno recuperato quasi la piena capacità, il riempimento medio è fra il 90 e il 95% (sia per i bellunesi, che alimentano il Piave, sia per il lago del Corlo, unico serbatoio dell’asta del Brenta, sia per i trentini che aiutano l’Adige). «Non basta però guardare i livelli attuali – continua -. Se dovessimo confrontare le portate in rapporto a una normale annata, saremmo in stato di attenzione». Luglio e agosto sono due mesi in cui la richiesta è ancora forte «e aumenterà di giorno in giorno» rileva l’esperto: «La pioggia è arrivata in abbondanza in un momento importante per la crescita delle piante, nel momento del bisogno, ma dobbiamo ricordare che per tornare alla siccità del 2022 ci vuole davvero poco. Per questo non dobbiamo abbassare la guardia e non possiamo togliere attenzione alla necessità, sempre più urgente». Al momento, infatti, le derivazioni idriche sono al 70% della capacità, ma da qui in avanti si sale: «La ciclicità dei cambiamenti climatici è così evidente che può portare, l’anno prossimo, a ripresentarsi in una forma più massiccia» chiude Crestani, e introduce il tema che sta facendo litigare Veneto e Trentino: «La diga di Vanoi, a Belluno, potrebbe essere importante soprattutto per il fiume Brenta, molto sfruttato non solo dall’agricoltura, che ha come unico invaso il Corlo». E ha bisogno di essere sostenuto.
Corriere del Veneto | 8 giugno 2023
p. 7, edizione Treviso-Belluno
Dolomiti, sette crolli in 3 anni «È la natura della montagna» Ma oggi incide anche il clima Martedì è franato l’Omo: la Dona resta sola sopra Recoaro
Vicenza
Alla fine, dei due pinnacoli delle Piccole Dolomiti sopra Recoaro, è rimasta solo lei, la Dona. L’Omo, dopo millenni di immutata e rocciosa vita coniugale, è crollato all’improvviso con un grande boato in un martedì di giugno, cambiando per sempre il profilo del monte Plische. Quell’intima coppia montana, punto di riferimento dei viandanti, non c’è più. Sorprende sempre - e sempre incute timore
- assistere in diretta o in differita alle frane delle rocce Dolomitiche così caratteristiche del paesaggio veneto, ma gli esperti sono chiari: è successo nei secoli, succede ora, succederà ancora perché è la natura stessa della montagna a portare i cambiamenti e ogni crollo racconta un’evoluzione che non esonera i giganti della terra. Con quell’immancabile velo di nostalgia per qualcosa che non sarà mai più come prima.
Basta tornare indietro di tre anni per capire quale sia la frequenza di questi episodi. Maggio 2020, crollo della parete sud sulla Torre Venezia, del gruppo della Civetta; aprile 2021, crollo della guglia Corno nel gruppo del Fumante, sulle Piccole Dolomiti di Recoaro e due mesi dopo, nella stessa zona, crollo della punta delle Losche; ottobre 2021, 300 metri di parete rocciosa si staccano dal gruppo del Sorapis a Cortina d’Ampezzo; luglio 2022, distacco di un pilastro di roccia della parete sud della Moiazza (non distante dalla Marmolada), nella zona di Forcella del Camp; agosto 2022, crollo di una parete sotto il Monte Pelmo, Val di Zoldo. Aldino Bondesan, professore associato di Geografia Fisica e Geomorfologia dell’Università di Padova, evidenzia un «incremento nei crolli in quota e questo pare essere legato agli effetti di fusione del permafrost, lo strato permanentemente gelato che tiene “incollate” le rocce. Il ritiro dei ghiacciai e l’innalzamento delle temperature medie producono la penetrazione dell’acqua nelle fratture». Dobbiamo, quindi, essere preparati ad assistere anche ad altri crolli di pinnacoli o pareti: «Ma non diamo la responsabilità solo ai cambiamenti climaticicommenta -, ora il fenomeno assume maggiore visibilità a seguito della più intensa frequentazione delle montagne, e siamo diventati più sensibili».
E poi si arriva all’altro ieri, «l’Omo e la Dona», la coppia di pietre verticali sopra Recoaro. Non venivano utilizzati per l’arrampicata perché troppo friabili e la più imponente, l’Omo, probabilmente ferito dal maltempo e le infiltrazioni degli ultimi giorni, ha ceduto. Rileva Dino Zampieri, già professore associato di Geologia: «Il destino delle montagne è livellarsi nel tempo, è un fenomeno normale. Le Prealpi si sono sollevate negli ultimi 10 milioni di anni, e in senso geologico è un fenomeno molto recente. I due pinnacoli alti 15, 20 metri, sono formati di roccia Dolomitica molto fratturata. Crolli come questo avvengono o per eventi sismici, ma non è questo il caso, o quando ci sono fenomeni meteorici intensi, grandi quantità d’acqua. Quando l’acqua filtra, come forse è accaduto all’Omo, appesantisce la massa o la scava. La dolomia è sedimentaria e stratificata, se gli strati sono inclinati la potenzialità di crollo per scivolamento è più accentuata».
Quello che è successo all’Omo e ha lasciato sola la sua Dona non deve preoccupare, gli esperti sottolineano che si tratta di un crollo piccolo, lontano dai centri abitati (e tutti i fenomeni più recenti hanno riguardato cime e pareti in quota). Sottolinea Renato Frigo, presidente del Cai Veneto: «La montagna non va vietata, salvo in caso di pericolo incombente, ma va vissuta con attenzione e prudenza, conoscendo i propri limiti. Episodi simili avverranno ancora, tutto cambia, niente è immutabile su questa terra». Chiude
Frigo: «Spesso, in questi casi c’è anche la fortuna, o la sfortuna. Penso alla famiglia che tornava dalla montagna la cui macchina è stata colpita da un sasso che ha sfondato il tettuccio. Per fortuna nessuno si è fatto male. Quante coincidenze, tutte insieme, hanno fatto sì che il veicolo si trovasse in quel punto proprio mentre cadeva il sasso. Ma è la montagna, si muo ve come noi». E non chiede permesso.
Gazzettino | 5 giugno 2023
p. 5
Cortina 2026, ecco tutte le opere e i costi dei Giochi
Le Olimpiadi del 2026 porteranno in Veneto opere per un miliardo di euro. Anzi, di più se si considera la Variante di Cortina. Adesso è nero su bianco e, soprattutto, ha il timbro del Bur. Nell'ultimo numero del Bollettino ufficiale della Regione del Veneto, infatti, è stato pubblicato il Piano complessivo delle opere dei Giochi olimpici e paralimpici Milano Cortina 2026. Si tratta della delibera con cui la giunta di Palazzo Balbi ha espresso l'intesa con il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, con la Regione Lombardia e le Province Autonome di Bolzano e di Trento in merito agli interventi da realizzare.
Nella delibera, presentata dalla vicepresidente Elisa De Berti, è puntualizzato che il nuovo piano presentato dalla Società Infrastrutture Milano Cortina 2020-2026 (Simico) tiene conto delle richieste poste dalle amministrazioni coinvolte nell'intesa. Quelle del Venetoesplicitate in una delibera precedente, la 569 del 9 maggio 2023 e ora tutte accolte - erano quattro, tra cui quella inerente la "Proposta di partenariato pubblico privato per un nuovo sistema integrato di mobilità intermodale del Comune di Cortina d'Ampezzo" con la decisione che i maggiori costi previsti per 30 milioni di euro vengano coperti con fondi non a carico del bilancio regionale, mentre per la Variante di Longarone si è posta la condizione per una "entrata in esercizio prima dell'evento olimpico". Il Piano delle opere dovrà ora essere recepito con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri, un Dpcm "da perfezionare auspicabilmente entro la prima metà del mese di giugno, per poter dare avvio alle procedure di gara nel rispetto dei cronoprogrammi già condivisi".
Nella tabella pubblicata a lato ci sono tutti gli interventi "sia sportivi che stradali" da realizzare entro il febbraio 2026. Si tratta di opere per 892.248.684 euro. La cifra non tiene conto della Variante di Cortina, che però non sarà completata in tempo per i Giochi: si faranno infatti il lotto zero e il lotto 1°, mentre per quanto riguarda il 2° lotto (e cioè le canne stradali delle gallerie e l'opera di difesa della
statale 51 a nord del centro ampezzano) del valore di 483.207.800 euro, devono ancora essere reperiti 259.861.738,55 euro. Da finanziare c'è anche la Variante alla statale 12 da Buttapietra a Verona.
I FONDI
Interamente con risorse statali sono finanziati: l'allestimento temporaneo del Villaggio Olimpico di Cortina per quasi 40 milioni e la riqualificazione di immobili residenziali pubblici, dell'ex panificio e della piazza ex Mercato di Cortina. E ancora la Variante di Longarone e quella di Cortina.
Pagati dalla Regione Veneto sono: la ristrutturazione del trampolino del 1956 e il braciere (10 milioni); la sistemazione della pista olimpica della Tofana con l'adeguamento alle competizioni paralimpiche (1.380.000 euro)
Cofinanziati l'Olympic Stadium a Cortina con l'ampliamento e l'adeguamento degli spogliatoi per atleti paralimpici (6 milioni dalla Regione, 14.415.500 dallo Stato); gli interventi all'Arena di Verona con la riqualificazione dei servizi igienici (1.005.000 euro dalla Regione e 619mila euro dallo Stato), mentre gli interventi per il miglioramento dell'accessibilità saranno pagati tutti con fondi statali (18.969.800 euro). Poi ci sono la stazione di Longarone, il Prg di Ponte delle Alpi, il rinnovo delle stazioni e la costruzione di parcheggi a Belluno e Feltre. Ci sono anche i privati: il progetto per un nuovo sistema integrato di mobilità intermodale a Cortina, valore di quasi 127 milioni e mezzo, vede coinvolti Regione, ministero delle Infrastrutture e un proponente privato che metterebbe quasi 96 milioni.
BOB
La riqualificazione della pista da bob è stata suddivisa in tre lotti, di cui l'ultimo prevede la realizzazione del Memoriale Eugenio Monti con il recupero degli edifici e dei manufatti della storica pista olimpica e l'allestimento degli spazi museali. In tutto sono 124.770.100 euro. Il Comune di Cortina partecipa con tre contributi di 15mila euro, 470mila euro, 15mila euro; idem la Provincia di Belluno. Il resto lo mette lo Stato.
Alda Vanzan
Alto Adige | 7 giugno 2023
p. 34
«Giochi 2026, costi eccessivi per ambiente e popolazioni»
Fausto Da Deppo
Dolomiti
"Ombre sulla neve" è il titolo del "libro bianco" delle Olimpiadi invernali Milano - Cortina 2026 che Luigi Casanova ha scritto e presenterà a Bolzano, al teatro Cristallo (sala Giuliani), il 12 giugno dalle 18. Con Casanova, presidente onorario di Mountain Wilderness Italia, ci sarà Madeleine Rohrer, direttrice della Federazione ambientalisti Alto Adige. È un "libro duro - lo descrive Casanova - costruito con i comitati locali di cittadini. Senza di loro non sarebbe stato possibile raccogliere le notizie e le informazioni. I progetti relativi alle opere sono secretati o perché commissariati o perché in corso d'opera (e non saranno resi pubblici finché i cantieri non saranno chiusi). Per fortuna, sul territorio c'è gente tenace, gente che vuol sapere le cose che accadono, gente che realizza quella democrazia diretta non messa in atto dall'organizzazione delle Olimpiadi".È mancato sui Giochi il confronto con le comunità?"È mancato o comunque non è stato un confronto tecnico, ma solo un'esposizione di quanto fatto o da fare. E così è avvenuto per le associazioni, convocate periodicamente al tavolo con la Fondazione Milano - Cortina 2026, ma solo per ascoltare quanto già deciso e presentare quesiti mai presi in considerazione. Siamo stati usati per far sapere al Cio che il processo decisionale era condiviso. La Cipra si è tolta dal tavolo, le altre associazioni stanno valutando un documento di uscita". Ma di proposte, voi associazioni, ne avete fatte?"Continuamente. Un esempio: per la pista di bob abbiamo suggerito di usare quella di Innsbruck. La città austriaca era d'accordo, anche sugli interventi di riqualificazione dell'impianto. Bastava accordarsi per un affitto di 2-3 mesi, un costo sui 4-5 milioni. Invece dei 120 stimati ora (oltre all'impatto ambientale) per una pista nuova a Cortina d'Ampezzo. Con la mediazione del Team K, abbiamo coinvolto Zaia, il governatore veneto, che ci ha convocato e ci ha detto di non fargli perdere tempo. E comunque sono altre le cose che sconvolgono".Quali?"Vedere interventi i cui costi sono lievitati in pochi mesi e vedere nel programma delle opere olimpiche operazioni che non hanno nulla a che fare con l'evento".Punto uno."Nel 2019 era stato detto che per le piste ad Anterselva sarebbero bastati "ritocchi" da 1-2 milioni. Siamo arrivati a costi per 37,5 milioni. Ancora, il presidente della Fondazione Milano - Cortina Malagò aveva spiegato che il 92% delle strutture richieste era già presente sul territorio e, per la prima volta, un territorio offriva alle Olimpiadi ciò che già aveva. Poi si è visto (l'ha scritto il Sole 24Ore) che c'è un elenco di 73 nuove grandi opere varate in vista dei Giochi: strade, tangenziali, rotatorie, circonvallazioni, oltre a impianti sportivi. Il dossier di candidatura e la stessa Fondazione Milano - Cortina avevano ripetuto che l'evento si paga da sé parlando di costi totali sui 940 milioni saliti a 1,3 miliardi (con circa 500 milioni di introiti da pubblicità e tivù). Io ho preso solo cifre documentate da atti pubblici istituzionali e quei costi totali sono diventati 4 miliardi e 200 milioni (altri indicano una cifra superiore). Dall'uscita del mio libro nel novembre scorso, poi, con la legge di bilancio il Governo ha previsto ulteriori 400 milioni e si attende un decreto del presidente del Consiglio con lo stanziamento di altri 180 milioni entro giugno. Insomma, siamo vicini ai 5 miliardi di spese ufficiali".Punto due, le opere che, secondo lei, non c'entrano con le Olimpiadi."Anche qui degli esempi. Perché inserire nella mappa dei Giochi i caroselli sciistici da Cortina alla Badia, da Cortina ad Arabba e ancora da Cortina al Civetta, oltre a quello da Bormio a Livigno. Perché prevedere complessi di lusso, hotel e anche i villaggi ad Auronzo e Cortina. Il primo, ad Auronzo, costa 37 milioni e distruggerebbe un'area naturale intatta, l'altro, a Cortina, potrebbe essere rimpiazzato dal rilancio del villaggio Eni a Borca di Cadore. Per non parlare della Lombardia, dove sono in agenda opere per oltre 2 miliardi. Se servivano davvero
tante opere stradali, perché non discuterle con i cittadini e inserirle in un piano condiviso a livello politico o perché magari non potenziare la ferrovia?"Secondo lei perché non si è fatto?"Secondo me qualcosa di importante non ha funzionato. Oppure ha funzionato come altre cose hanno funzionato altre volte in Italia. C'è un grande evento (e qui ribadisco che io sono a favore delle Olimpiadi) e lo si usa per realizzare con procedure urgenti e con semplificazioni burocratiche quanto non è stato fatto prima. La macchina dei Giochi vede da una parte la Fondazione Milano - Cortina 2026 che deve gestire i 20 giorni della rassegna e dall'altra Infrastrutture Milano - Cortina 2026 (pubblica) che costruisce le opere stradali e sportive. Di questa seconda, cassa pagante dei Giochi, non si parla".Eppure, dice lei, si era partiti col piede giusto."Nel dossier di candidatura si leggeva di attenzione alla sostenibilità e di risposta diretta al problema dello spopolamento della montagna. Anzi, queste Olimpiadi dovevano essere il progetto pilota per il Cio per definire appunto i criteri della sostenibilità di un grande evento. Poi, la Vas, la valutazione ambientale strategica, normativa europea e legge nazionale, non verrà fatta per le opere nel loro insieme come si sarebbe dovuto fare. Anche questo è stato evidenziato dalle associazioni ambientaliste e la risposta è stata: facciamo Vas regionali. Che sono in corso e che quando verranno rese pubbliche daranno 30 giorni per proporre osservazioni. Ora, prendiamo il Veneto con pista di bob, tangenziali, circonvallazioni in programma... Come e chi potrà valutare in 30 giorni migliaia di pagine?"Altro aspetto. Il futuro di impianti (e investimenti). Anche qui, lei è critico."Ci sono opere che avranno futuro. Penso agli impianti ad Anterselva, alla variante ferroviaria del Val di Riga che migliorerà i collegamenti, al villaggio olimpico a Milano che diventerà studentato con 1.200 posti. Nonostante i costi alti, anche i trampolini al centro fondo a Tesero e a Predazzo rimarranno e, credo, saranno gestibili. Ma la pista di bob a Cortina che fine farà (a Cesana, in Piemonte, il tracciato è stato ritenuto insostenibile a fronte di una spesa di gestione di 1,2 milioni all'anno)? E il villaggio olimpico a Cortina che costerà fra i 50 e i 70 milioni e verrà smantellato a fine Giochi?"E tuttavia lei ha detto di essere a favore dei Giochi."Lo sono, rispettando le indicazioni del dossier di candidatura. Penso a Olimpiadi che valorizzino le diverse località in base alla rispettiva specialità. Quindi, gare di sci a Bormio, pattinaggio a Baselga di Pinè, bob a Innsbruck, hockey a Bolzano e così via. Interventi minimi e a vantaggio delle comunità. Rispettando il fatto che la montagna ci impone dei limiti, in quello che costruiamo, nel turismo che pensiamo. Con tutti gli interventi previsti, temo invece che nel 2026 Cortina, per esempio, sarà irriconoscibile".Ma se tutto è già nei progetti e nei cantieri, qual è l'obiettivo del suo libro?"Informare e creare dibattito. Dalla pubblicazione ho già incontrato oltre 1.000 persone. Ma mi pongo anche obiettivi concreti: cancellare i collegamenti sciistici di cui parlavo da Cortina e da Bormio, evitare la costruzione di hotel di lusso legati ai Giochi ad Auronzo e Cortina, evitare la realizzazione del villaggio olimpico e della pista di bob a Cortina e del villaggio ad Auronzo. Ci si può ancora riuscire. Se ci riusciremo, anche con questo libro, avremo fatto qualcosa di importante". ©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Veneto | 8 giugno 2023
p. 10, edizione Treviso-Belluno
Nuova pista da bob «A Innsbruck meno di metà della spesa»
Dimitri Canello cortina d’ampezzo
Ancora polemiche sulla nuova pista da bob «Eugenio Monti» a Cortina che verrà ricostruita per le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali del 2026. La consigliera regionale Cristina Guarda (Europa Verde) a gamba tesa. «I costi reali per la realizzazione della pista da bob di Cortina :_ tuona Guarda superano ora i 124 milioni di euro, cifra che, per dare un’idea, corrisponde alla somma di tutti i fondi del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza, Ndr) destinati alle scuole venete. Più della pista realizzata per i Giochi invernali del 2006 a Torino, che da anni giace in disuso». Guarda riporta in auge la soluzione-Innsbruck. «La giunta regionale spiega ha ribadito la tesi secondo cui non esisterebbero alternative rispetto alla pista a Cortina. Quella di Innsbruck comporterebbe importanti ammodernamenti per 50 milioni di euro». Soldi che, secondo Guarda, in questo caso non sarebbero a carico dei cittadini italiani. «Dalle autorità austriache sottolinea abbiamo appreso che, non solo di questi presunti costi potrebbe farsi carico l’Austria, ma soprattutto che i contatti con l’organizzazione dei Giochi invernali di Milano-Cortina 2026 sarebbero avvenuti solo nell’ultimo periodo. Perché?».
Alto Adige | 11 giugno 2023
p. 33
Heimatpflege in campo a tutela del Sassolungo
Selva
Istanza di opposizione alla delibera del Comune di Selva Gardena che equipara gli impianti di risalita presenti nel Piano urbanistico comunale con quelli del Piano provinciale per gli impianti di risalita e piste da sci. L'azione avversa rispetto alla delibera arriva dalla
Heimatpflege a firma della responsabile Claudia Plaikner. Complesse e articolate le obiezioni mirate tutte ad evitare l'antropizzazione della zona a scopi turistici. In primo luogo, dal punto di vista squisitamente tecnico si contesta l'operazione di equiparazione sulla base della stessa legislazione provinciale in materia di "Interventi integrativi nelle zone sciistiche". Quindi, nel merito, l'istanza di opposizione mira a contrastare qualsiasi azione che possa portare allo sviluppo sciistico della zona del Gruppo del Sassolungo. Ipotesi giudicata devastante dal punto di vista della protezione del territorio e dell'ambiente interessato da questi interventi da anni ipotizzati. Infatti, con la equiparazione degli impianti di Passo Sella-Sassolungo a quelli iscritti negli impianti provinciali di risalita si aprirebbe allo sviluppo definitivo della zona sciistica, in particolare nell'ancora immacolato "Cunfin" dove si stanno concentrando progetti di utilizzo invernale come ad esempio il collegamento Saltria-Monte Pana già nel cassetto da decenni. Un'eventuale decisione che, sempre a detta degli ambientalisti, avrebbe un effetto devastante in quanto aprirebbe allo sci anche la zona del Sassolungo. A tal proposito, fa notare l'Heimatpflegverband, già nel 1987 si registrarono le prime proteste delle associazioni degli ambientalisti così come della popolazione locale avversa all'ipotesi di ulteriore sfruttamento turistico della zona. In una nota rimarcano gli ambientalisti: «Il gruppo del Sassolungo non fa parte purtroppo del Patrimonio Naturale dell'Umanità Unesco Dolomiti. Ma in questa area sgorgano le sorgenti che riforniscono di acqua potabile Ortisei e paesi limitrofi, così come questo è luogo di riproduzione per numerose specie di uccelli altamente minacciate, fungendo addirittura da luogo di sosta per gli uccelli migratori. Infine, assieme alle foreste circostanti, questi territori svolgono un ruolo importante in termini di biodiversità e per questo devono assolutamente rimanere calmierati anche dal punto di vista ecologico», conclude la nota.
J.M.©RIPRODUZIONE RISERVATAAlto Adige | 15 giugno 2023
p. 34
Alto Adige | 16 giugno 2023
p. 34
«I Piani di Cunfin rischiano di morire di eccesso di turismo»
val gardena
"Proteggere i Piani di Cunfin" evitando la costruzione di impianti di risalita nell'area e l'ampliamento dell'impianto di Campitello. L'appello arriva dal gruppo "Climate Action", che articola in 8 punti la propria posizione e le proprie richieste. Innanzitutto, scrive l'associazione, "quest'area è essenziale per l'approvvigionamento di acqua potabile per Santa Cristina e Selva, ma finora non esiste una protezione ufficiale e forte. La protezione è urgente, dopo che per anni non è stato fatto nulla! Questo è anche il parere dell'Ufficio per la protezione delle acque della Provincia".E ancora: "I resti del ghiacciaio tra il Sassopiatto e il Sassolungo si sono notevolmente
ridotti. Per quanto tempo ancora avremo acqua? La strada attuale passa già sopra le sorgenti e negli ultimi anni il traffico è aumentato invece di diminuire".E questo porta al punto 2, l'eccesso di turismo: "Esistono già problemi di sovraturismo, con una delle più alte densità di turisti del Sud Tirolo (in estate e inverno). Esistono già ottime opportunità di guadagno per le imprese ricettive locali. Ha senso aumentarle? Con il nuovo impianto - scrive Climate Action - tutte le altre strutture dovranno essere ulteriormente ampliate, dai rifugi agli hotel e ai collegamenti con gli autobus. Per cosa?"."Con il rinnovo dell'impianto di risalita di Campitello - continua Climate Action - il Sassolungo e l'Alpe di Siusi saranno presi d'assalto da tre lati. La ristrutturazione dell'impianto raddoppierà quasi la capacità di risalita dal 2025: da 2.000 ospiti/ora a 3.500 ospiti/ora".E qui Climate Action sottolinea l'urgenza di conservare la natura: "Uno degli ultimi rifugi naturali rimasti in un'area altamente turistica verrà soffocato dallo sviluppo turistico eccessivo. Eppure i turisti vengono oggi sull´Alpe di Siusi proprio per la splendida natura di quest'area. Il progetto è in contraddizione con il piano di contrasto al cambiamento climatico della Provincia e con l'obiettivo 30x30 (il 30% del territorio nazionale deve essere protetto entro il 2030)". Inoltre, "l'asfaltatura della strada sterrata esistente non deve essere effettuata nella riserva naturale".Una volta ripetuto che "la regione è già ottimamente sviluppata" e che strutture ricettive e "i gestori di impianti di risalita guadagnano già molto bene", Climate Action ricorda che "l'industria dell'ospitalità soffre per la grave carenza di personale soprattutto dopo la Pandemia". E sottolinea che "la maggior parte della popolazione locale è contraria alla costruzione di nuovi impianti di risalita, compresi molti albergatori, ristoratori e maestri di sci", ma critica "il silenzio dei sindaci: perché tacciono?"Infine, un appello alla mobilità alternativa: "Gli autobus circolano solo in inverno. In estate ci sono sempre più appassionati di e-bike. La mobilità elettrica rende inutile l'impianto e l'asfaltatura della strada e la zona è già servita in modo eccellente dalle strade della valle, tutte asfaltate. Gli ospiti possono scendere a Ortisei attraverso la nuova pista a valle e poi raggiungere S. Cristina e Selva Gardena con l'autobus di linea. Non c'è bisogno di autobus per raggiungere l'altopiano. In alternativa, si può attraversare il paese fino alla stazione di risalita del Seceda, attualmente vecchio e con poca capacità, ma che sarà ampliato entro 2 anni".
Alto Adige | 25 giugno 2023
p. 33
«Un incontro col sindaco Demetz per il futuro del Sassolungo»
val gardena.
"Noi del gruppo d'iniziativa Nosc Cunfin siamo lieti della sua disponibilità al dialogo, espressa sui giornali locali sul tema della Forcella del Sassolungo. Vorremmo quindi invitarla a un nuovo incontro per discutere insieme il progetto per il nuovo impianto di risalita alla Forcella". Il gruppo gardenese scrive al sindaco di Selva Roland Demetz, ricordandogli che "l'ultima volta che siamo venuti a trovarla, lei non è stato in grado di darci informazioni concrete sullo stato e la situazione del progetto". "Purtroppo- continua il messaggio scrittoi e inoltrato dal gruppo d'iniziativa Nosc Cunfin - anche la nostra mail certgificata del 15 maggio indirizzata al Comune di Selva è rimasta senza risposta. Lo stesso giorno, il progetto è stato presentato agli uffici della provincia in sua presenza, il che significa che sono stati determinati anche i dati tecnici sulle dimensioni". "Nella nostra lettera al Comune - proseguono i membri di Nosc Cunfin - abbiamo chiesto che il gruppo di iniziativa Nosc Cunfin possa intervenire in una riunione del consiglio comunale e presentare i propri obiettivi. Come sicuramente saprete, Igor Marzola della Piz Sella Spa ha definitivamente disdetto il nostro invito all'incontro, dopo i nostri incontri con il Club alpino di Bolzano, con la Lia da Mont, con le guide alpine. Ci incontreremo a fine giugno con gli accompagnatori di media montagna della Val Gardena, dell'Alpe di Siusi e di Castelrotto per un ulteriore scambio. Vorremmo quindi invitarla - insiste Nosc Cunfin rivolgendosi sempre al sindaco di Selva Demetz - a un incontro con il gruppo di iniziativa Nosc Cunfin all'inizio di luglio, per parlare del nostro obiettivo di inserire il gruppo del Sassolungo con i Monumenti Naturali Piani di Cunfin del Cunfin e della Città di Pietra in un parco naturale e per confrontarci anche sulla situazione del Passo del Sassolungo. Coordineremo le date proposte con la vostra segreteria. Vi ringraziamo per la vostra disponibilità al dialogo e attendiamo volentieri il nostro incontro".
Alto Adige | 29 giugno 2023
p. 34
Sassolungo, il Cai fa muro sul temuto nuovo impianto
massimiliano bona VAL GARDENA
Prosegue la battaglia delle associazioni alpine e ambientaliste contro la realizzazione di un nuovo impianto sulla Forcella del Sassolungo. Ieri è stato il turno del Cai di Bolzano, che - oltre a ribadire il proprio secco no - ha chiesto inoltre formalmente di chiudere l'attuale bidonvia e di rimuovere i piloni posti sul terreno di proprietà dell'associazione alpina. «Il Consiglio direttivo del Cai sezione di Bolzano ha preso visione del progetto per un nuovo impianto relativo al collegamento funiviario con la forcella del Sassolungo presentato dalla società Piz de Sella. Il Consiglio ha espresso la propria contrarietà in merito alla costruzione del nuovo impianto ed a qualsiasi ampliamento della stazione a valle posta sul suo terreno nonché allo spostamento della stessa stazione. Preso atto inoltre
che il diritto di superficie che grava sul terreno di proprietà del Cai sezione di Bolzano è in realtà venuto meno da molti anni, il Consiglio firettivo ha deliberato di chiedere la chiusura dell'attuale bidonvia e la rimozione della stazione a valle e dei piloni posti sul terreno di sua proprietà. Il tutto nell'ottica di una migliore tutela del territorio del gruppo del Sassolungo in coerenza con gli ideali e lo statuto del Cai e in sintonia con le altre associazioni ambientaliste».Sul tema si era espressa nei giorni scorsi anche l'associazione locale Nosc Cunfin: «Uno degli obiettivi principali che il gruppo di iniziativa Nosc Cunfin si è posto è quello di inserire il gruppo del Sassolungo e i piani del Cunfin sotto la tutela di un parco naturale. Sarebbe un progetto storico che le nostre prossime generazioni ricorderebbero con grande soddisfazione e gratitudine».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere dell’Alto Adige | 29 giugno 2023
p. 5
Il Cai di Bolzano: «Va smantellatala bidonvia del Sassolungo»
L’associazione è proprietaria dei terreni: «Scaduto il diritto di superficie»
BOLZANO
Nuovo «no» del Cai alla funivia del Sassolungo. Questa volta è la sezione bolzanina a chiedere addirittura che l’impianto venga smantellato: lo ha stabilito il consiglio direttivo del Cai cittadino, presieduto da Maurizio Veronese, nel corso della sua ultima riunione nel corso. Il direttivo ha preso visione del progetto per il nuovo impianto relativo al collegamento funiviario con la forcella del Sassolungo, presentato dalla società Piz de Sella.
«Il consiglio spiega il presidente Veronese ha espresso la propria contrarietà in merito alla costruzione del nuovo impianto ed a qualsiasi ampliamento della stazione a valle posta sul suo terreno nonché allo spostamento della stessa stazione. Preso atto inoltre che il diritto di superficie che grava sul terreno di proprietà del Cai di Bolzano è in realtà venuto meno da molti anni, il consiglio direttivo ha deliberato di chiedere la chiusura dell’attuale bidonvia e la rimozione della stazione a valle e dei piloni posti sul terreno di sua proprietà». Si tratta quindi di una richiesta forte da parte del Cai, che ricorda di essere proprietario dei terreni sui quali si trova una parte del vecchio impianto di risalita.
«Il tutto nell’ottica di una migliore tutela del territorio del gruppo del Sassolungo, in coerenza con gli ideali e lo statuto del Cai e in sintonia con le altre associazioni ambientaliste» conclude Maurizio Veronese.
Torna quindi d’attualità la vicenda della cabinovia del Sassolungo. Il prossimo anno scadrà la concessione per la cabinovia sulla forcella e la società Piz de Sella ha già presentato un progetto per un nuovo impianto, più grande e con una maggiore portata, che aveva subito scatenato le polemiche delle associazioni ambientaliste: «No al rinnovo della concessione e alla prevista ristrutturazione con finanziamento per il 45% con fondi pubblici» hanno infatti dichiarato di recente i membri del gruppo di iniziativa Nosc Cunfin con la Lia per Natura y Usanzes, la Lia da Mont Gherdëina, nonché i rappresentanti delle guide alpine della val di Fassa, della val Badia e della val Gardena.
Da parte loro era arrivato un accorato appello affinché il gruppo del Sassolungo venga posto sotto tutela. Ora interviene anche la sezione bolzanina del Cai che esprime contrarietà al nuov0 impianto.
Alto Adige | 11 giugno 2023
p. 29
Corriere delle Alpi | 15 giugno 2023
p. 32
Ambientalisti al Tar contro il villaggio dei Meister a Collalto Comune nel mirino
AURONZO
Gli ambientalisti non ci stanno e sul progetto del villaggio turistico a cinque stelle pensato dalla famiglia altoatesina Meister nell'area di Collalto alzano le barricate passando alle vie legali. Le associazioni Italia Nostra e Mountain Wildness figurano infatti come firmatarie di un'azione legale avviata davanti al tribunale amministrativo del Veneto contro il Comune di Auronzo e, contestualmente, contro la società Meister&C. Srl.
L'iniziativa punta all'annullamento della delibera comunale che dichiara il progetto turistico di rilevante interesse pubblico. «Per la realizzazione del progetto è necessaria una modifica alla pianificazione comunale», si legge in una nota congiunta firmata dalle sigle Italia nostra e Mountain Wilderness, sostenute da un gruppo di cittadini auronzani, «la legge regionale 11 del 2004 stabilisce che i Comuni, prima di apportare modifiche alla pianificazione corrente, debbano progettare il loro sviluppo attraverso il Piano di assetto territoriale (Pat). Il Comune Auronzo tuttavia non ha mai redatto questo documento in quasi vent'anni. In assenza del Pat, la legge regionale prevede la possibilità di modifiche alla pianificazione comunale solo per la realizzazione di opere di interesse pubblico, come ad esempio una scuola, un ospedale, una infrastruttura viaria. Il Comune di Auronzo ha improvvisamente dichiarato il progetto della famiglia Meister di interesse pubblico senza averne il titolo, che invece è in capo alla Regione, e senza valutarne né l'impatto ambientale né quello paesaggistico».
La delibera comunale sopra citata è stata dunque impugnata dalle associazioni ambientaliste che ne contestano, oltre al contenuto, anche alcuni passaggi ritenuti «superficiali».
«La delibera comunale riporta valutazioni basate su concetti come attrattività, crescita, turismo, sviluppo, che sono ormai obsoleti, soprattutto in un contesto di cambiamento climatico in atto», si legge ancora nella nota, «quale futuro è stato immaginato dal Comune di Auronzo per il proprio territorio nel deliberare l'interesse pubblico del progetto? E quale lavoro è stato immaginato dallo stesso Comune per i propri giovani che stanno chiedendo altro e che non rimarranno certo in valle per fare i camerieri in hotel a 5 stelle?».
Detto delle questioni prettamente burocratiche, le associazioni ambientaliste contestano un altro passaggio del futuro progetto turistico: «La costruzione del villaggio prevede il drenaggio di una torbiera alpina, millenaria, di grande valenza ecologica e biologica». Il progetto contestato prevede la costruzione di un villaggio turistico di lusso tra Federavecchia e Collalto composto da 23 chalet, 15 case sugli alberi e da un edificio centrale per un volume complessivo di circa 33mila metri cubi. Il villaggio sarà raggiungibile attraverso una strada forestale di nuova costruzione.
«Le associazioni Italia Nostra e Mountain Wilderness auspicano che il Comune di Auronzo possa fare scelte lungimiranti per il proprio territorio e per la propria popolazione, costruite su principi di reale sostenibilità ambi entale e sociale», conclude la nota.
Gianluca De RosaAlto Adige | 2 giugno 2023
p. 34
Funicolare a Monte Pana, meno traffico in quota
massimiliano bona SANTA CRISTINA
La funicolare tra la zona sportiva Iman di Santa Cristina e il Monte Pana potrebbe presto diventare realtà con il sostegno di Comune, Provincia e Apt. Il progetto, che prevede la sostituzione di un impianto ormai obsoleto, ha indubbi benefici anche a livello ambientale perché saranno ridotti i posti auto in quota - in una zona sotto tutela paesaggistica - ma anche i mezzi privati e gli shuttle che vanno avanti e indietro in gran numero soprattutto in alta stagione. A parlare dei dettagli dell'iniziativa è Christian Stuffer, albergatore ma anche uno dei soci della Sunpana, che ha presentato il progetto.«È una società nata da 11 persone di Santa Cristina che ha come obiettivo quello di promuovere la realizzazione di una funicolare che collega il paese di Santa Cristina con il Monte Pana. Al momento questo collegamento esiste ma con una seggiovia obsoleta che ha oltre 30 anni». Molti, secondo Stuffer, i vantaggi di questa soluzione. «Innanzitutto la creazione di parcheggi a ridosso della stazione a valle al centro Iman e la contestuale riduzione di parcheggi a Monte Pana. Ciò comporterà, di riflesso, un calmieramento del traffico verso Monte Pana. Questo aspetto è stato caldeggiato da tutti gli attori coinvolti perché Monte Pana si trova in una zona di tutela paesaggistica dell'Alpe di Siusi. Grazie al nuovo impianto ci sarà anche un avvicinamento della stazione a valle alle strutture ricettive del centro».La seggiovia attuale si trova, infatti, all'imbocco della strada che parte per il Monte Pana ed è lontana da qualsiasi struttura ricettiva. «Questa funicolare è stata concepita per essere a misura di famiglia visto che il Monte Pana è uno dei posti più ambiti in Alto Adige per chi ha figli. Al momento, invece, la seggiovia per motivi di sicurezza non è adatta ai bambini piccoli».Per quest'impianto, tra l'altro, non ci sono nemmeno freni e ostacoli da parte delle associazioni ambientaliste. «Mi risulta - prosegue Stuffer - che l'associazione Nosc Cunfin sia intervenuta a più riprese per quanto attiene i piani di realizzazione, che vanno avanti da almeno 40 anni, del collegamento tra il Monte Pana e Saltria e sul rifacimento dell'impianto che collega il passo Sella con la forcella del Sassolungo. Sunpana non ha nulla a che fare con questi 2 progetti e oltre ad essere fortemente voluta dagli operatori turistici incontra gli interessi degli stessi ambientalisti visto che tutti auspicano una forte riduzione del traffico verso il Monte Pana».I presupposti per arrivare a un progetto esecutivo in tempi ragionevolmente brevi sono dunque buoni. Al momento c'è un parere positivo degli uffici ambientali preposti ma saranno necessarie - come ha spiegato questa settimana la giunta provinciale - ulteriori verifiche di tipo tecnico e giuridico. La questione tornerà dunque al vaglio dell'esecutivo altoatesino.©RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 4 giugno 2023
p. 28
Carrozzine elettriche e monosci SeAm in campo per i disabili
«Vogliamo diventare la capitale dell'inclusione dei disabili in area alpina». Così Roberta Alverà, vicesindaco di Cortina, spiega le ultime iniziative per dare cittadinanza ai piedi delle Tofane (o, se vogliamo, del Cristallo) ai diversamente abili.
Il Comune, infatti, ha deliberato l'incarico alla società partecipata Seam per la gestione di due carrozzine elettriche per disabili adatte a percorrere sentieri di montagna e di un monosci, attrezzature acquistate dal Comune di Cortina tramite i fondi del Progetto "Turismo sociale ed inclusivo nel Veneto".
La Seam, a questo punto, le renderà fruibili a tutti i potenziali utilizzatori, secondo specifiche modalità. Che poi sono queste: le carrozzine ed il monosci dovranno essere concessi in comodato gratuito a chiunque ne faccia richiesta, a ore o a giornata. Gli utilizzatori saranno tenuti a corrispondere una cauzione che sarà restituita non appena le attrezzature saranno riconsegnate al deposito.
È da tempo che Cortina si misura con le opportunità di un'accoglienza a tutto campo non solo degli atleti, compresi quelli diversamente abili, ma anche dei turisti.
«È la nostra ambizione sociale e culturale, al di là della convenienza economica-turistica», precisa la vicesindaco Alverà. «Gli alberghi, ad esempio, ed altre attività già da tempo hanno incominciato ad abbattere le barriere architettoniche. Purtroppo non dappertutto è possibile, ma questo è l'intento degli operatori. E il Comune intende porsi come capofila».
L'azienda sanitaria Ulss 1 Dolomiti, lanciando a suo tempo questo progetto, lo ha inserito in un quadro più ampio di cittadinanza dei disabili: con esperienze, ad esempio, di autonomia abitativa e di inclusione sociale. Non è mancato neppure l'invito al Comune a promuovere esperienze di tirocinio lavorativo rivolte a persone fragili già seguite dai servizi.
Da sempre, si legge nella delibera municipale, c'è stata questa apertura da parte del Comune.
Ma è anche vero – ricorda la stessa Alverà – che pure gli alberghi di Cortina si sono fatti carico di esperienze innovative socialmente, inserendo personale disabile nei loro organici, ovviamente accompagnandolo all'inclusione.
È interessante che per l'uso delle carrozzine e del monosci, l'amministrazione non pretenda un euro, ma solo la cauzione che verrà peraltro restituita.
Il progetto era stato ideato ancora nel 2021 dall'allora ministero della Disabilità, per essere subito adottato dal Governo. La Regione lo ha fatto proprio, compartecipando al finanziamento. Quindi l'operazione è passata all'Ulss e infine al Comune.
«Le Paralimpiadi attireranno a Cortina non solo atleti diversamente abili, ma anche visitatori con disabilità da ogni parte del mondo. Le carrozzine magari, così speriamo, si moltiplicheranno; pure i monosci. Ma, ripeto, già le attività ricettive stanno realizzando o comunque progettando l'abbattimento di ogni barriera. Diventeremo così la capitale dell'inclusività», conclude Roberta Alverà
Corriere della Sera | 9 giugno 2023 p. 41
Con «Brenta Open» l’esperienza alpina diventa aperta a tutti
di Peppe Aquaro«Avevo voglia di rimettermi in gioco, dando un valore aggiunto alle mie competenze di guida alpina: così ho deciso di frequentare il corso di accompagnatore in montagna per persone con disabilità. E dal momento che, nel 2015, si celebravano i 150 anni della prima scalata della Cima Tosa, mi hanno proposto, terminato il corso, di scalarla insieme ad un ragazzo con disabilità». Simone Elmi, nato a Lodi 55 anni fa e trentino d’adozione da più di tre decenni, ha così risposto immediatamente di sì alla proposta dell’Accademia della montagna del Trentino.
Nasceva in questo modo il festival «Brenta Open: la montagna inclusiva», la cui nona edizione si svolgerà l’8 e 9 luglio prossimi al rifugio XII Apostoli, nel territorio Dolomiti-Paganella.
Un festival all’insegna dell’inclusività. «Anche la musica, suonata sulle cime del Brenta da musicisti-alpinisti (Michele Selva, al sax soprano, e Michele Pavesi alla tromba) serve ad abbattere le barriere», aggiunge Elmi, fondatore dell’evento Brenta Open, il cui scopo è far frequentare la montagna a tutti, al di là delle proprie abilità fisiche.
Anche la stessa musica, suonata sulle cime del Brenta da musicisti-alpinisti serve ad abbattere le barriere
Il prossimo mese saliranno sulle cime XII Apostoli e D’Agola, tre esperti alpinisti, insieme a Kevin Ferrari, Gianluigi Rosa entrambi con una gamba amputata e Nicolle Boroni, giovane scalatrice trentina, priva del braccio destro. Intanto, un po’ più in basso, dai 2.400 metri del rifugio, si potrà assistere alle scalate e ascoltare l’Inno alla Gioia di Beethoven, composto come molti sanno quando il compositore era ormai completamente sordo. Per rendersi conto della forza di questi ragazzi, basta osservare le loro facce (ritratte da Filippo Frizzera) o ascoltarne la voce. «Questa mattina mi sono svegliato col sorriso», racconta Gianluigi Rosa nel podcast della mostra «In cantiere: idee da costruire», da fine giugno al 9 luglio, in piazza Sissi, a Madonna di Campiglio. «Quel giorno, Gianluigi si è svegliato prestissimo: non vedeva l’ora di scalare insieme a me il Campanile basso, una guglia verticale pazzesca», conclude Elmi.
Adige | 25 giugno 2023
p. 32
Brenta Open, il festival che abbatte le barriere
STENICO
Si rinnova l'appuntamento con Brenta Open, l'evento che pone al centro l'individuo e la sua forza di volontà. La due giorni, giunta alla nona edizione, si svolgerà l'8 e il 9 luglio nella splendida cornice del Rifugio XII Apostoli, a 2.489 metri di altitudine, e nasce con l'obiettivo di promuovere una montagna inclusiva e accessibile a tutti attraverso una camminata e una scalata sulle Dolomiti per
persone con disabilità e non, dove, più che le barriere architettoniche e naturali, entrano in gioco la forza morale, il carattere e le qualità umane. «Brenta Open è un evento dove la storia di pochi diventa conquista di molti e che vuole ricordare e sottolineare come la forza di volontà, con soluzioni innovative e inaspettate, sia in grado di rendere accessibili luoghi naturali che nell'immaginario presentano barriere insormontabili», spiega Luca D'Angelo, direttore dell'Apt Dolomiti Paganella, tra le realtà coinvolte nell'evento insieme a Dolomiti Open, l'associazione sportiva dilettantistica.«Un bene comunitario come le Dolomiti appartiene realmente a tutti solo se diventa fruibile dall'intera comunità, indipendentemente dalle caratteristiche fisiche del singolo. È questo uno dei messaggi più importanti di Brenta Open», ricordano gli organizzatori.Protagoniste dell'edizione 2023, insieme all'alpinista trentino Ermanno Salvaterra, saranno ancora una volta le nuove generazioni, rappresentate dai ragazzi del Liceo scientifico per le professioni del turismo di montagna di Tione di Trento, che a scuola seguono percorsi specifici legati all'attività in montagna.A loro si affiancheranno gli atleti paralimpici Nicolle Boroni, Gianluigi Rosa e Kevin Ferrari, che scaleranno le cime dolomitiche che fanno da anfiteatro alla conca del XII Apostoli. L'attività alpinistica sarà accompagnata da intermezzi culturali, storici e artistici. Fulcro musicale della due giorni sarà il concerto dalle vette, che unirà tutti i partecipanti in un grande abbraccio trasformando le Dolomiti di Brenta in un teatro a cielo aperto. A suonare saranno due musicisti alpinisti che, guidati in cordata dalle Guide alpine e in compagnia di persone disabili e non, si metteranno in gioco per scalare le verticali pareti delle guglie del Brenta.Sabato 8 luglio, dunque, alle ore 10 è previsto il ritrovo dei partecipanti presso il parcheggio di Malga Movlina in Val Algone e la salita al Rifugio XII Apostoli (2.489 metri, percorso di 4-5 ore, 900 metri di dislivello). Nel pomeriggio sistemazione in rifugio. Dalle ore 17.30 ecco i racconti e i suoni "DoloMitici" con il giornalista di montagna Rosario Fichera e altri interpreti. A seguire, le "Interviste impossibili" di Marcello Palmieri con i pionieri dell'alpinismo dolomitico.Domenica 9 luglio, alle ore 8, partenza per la scalata della Cima XII Apostoli (2.699 metri) e delle torri di Cima d'Agola (2.959 metri, arrampicata di 4° grado). Per gli altri partecipanti, dalle 9 alle 13, prove libere sulla parete della palestra d'arrampicata del Rifugio XII Apostoli ed escursione a cima Susat (2.890 metri). Per tutti, dalle 11 alle 12, "Echi dalle cime", esecuzione musicale "in botta e risposta" dalle cime a opera di 2 musicisti alpinisti.Brenta Open si chiuderà con le date speciali del 19 luglio e 9 agosto a Molveno e del 24 agosto a Pinzolo, tre serate - evento aperte al pubblico durante le quali sarà possibile vivere il racconto di Brenta Open attraverso immagini, musica e le storie dei protagonisti.
Corriere delle Alpi | 30 giugno 2023
p. 13
Marmolada, il difficile ritorno alla normalità Un anno dopo tra dubbi e il ricordo delle vittime
Francesco Dal Mas
Erano le 13.43 di una calda domenica pomeriggio, il 3 luglio 2022, quando il seracco del ghiacciaio di Punta Rocca collassò improvvisamente, travolgendo alcune cordate di alpinisti con 19 persone direttamente coinvolte: 11 i morti, 8 quelli veneti. È ritornata la neve su questa montagna, tra maggio e giugno. Ne è rimasta per un metro e mezzo, dai 3 mila metri in sù; 80 cm dai 2600 metri di Pian dei Fiacconi. Solo negli ultimi giorni le temperature più alte stanno cominciando a scioglierla.
«Speriamo che non si rialzino di tanto e che la copertura di neve non permetta l'ablazione del ghiacciaio come l'estate scorsa» dicono Ermanno Lorenz e sua moglie Anna, gestori del Rifugio Cima Undici, rimasto chiuso per un anno. È qui che lunedì ci sarà la cerimonia commemorativa, alle 11, con una messa dell'arcivescovo di Trento Lauro Tisi, presenti le massime autorità della Provincia e di Canazei, oltre a quelle venete e bellunesi, i famigliari delle vittime, i soccorritori.
Sarà inaugurato anche un luogo di meditazione, alcune panchine per sedersi, la statua della Madonna; alzando lo sguardo si incrocerà inevitabilmente la tragica "ferita". «La memoria di quei poveri morti resta forte, intatta. Come dimenticare quel tragico pomeriggio? Ma la montagna non è un museo – afferma la signora Anna -. La Marmolada è riaperta. Certo, non si può andare dappertutto. Attraversare il ghiacciaio è proibito. Ma passo Fedaia e la stessa Cima, Punta Penia, sono accessibili».
Rimarrà chiuso il rifugio Ghiacciaio, lambito quel 3 luglio dalla slavina; Luca Toldo, il gestore, ha dovuto recuperare un'altra attività. «Per 10 mesi ha cercato un contatto con la Provincia – racconta -. Ho scritto pec, mi sono attaccato al telefono senza perdermi d'animo. Zero riscontri. Se non un ristoro, calcolato sul fatturato degli anni precedenti. A me però bastava sapere se potevo riaprire il rifugio o meno. Così ho deciso di mollare. Ma quel rumore terribile e le urla, la montagna che è venuta giù, non le dimenticherò mai». A Punta Rocca, territorio veneto, di Rocca Pietore, dalla parte opposta del massiccio, la funivia continua a far salire centinaia di visitatori al giorno. Sulla sinistra intercettano con lo sguardo interrogativo, tante volte smarrito, il cratere, in parte ancora coperto dalla neve, sotto di loro osservano i grandi teloni che proteggono il ghiacciaio della pista di discesa più lunga d'Europa. La famiglia Vascellari, titolare degli impianti sta così proteggendo 50 mila metri quadri di "riserva nivale".
Domenica mattina, ai 3343 metri di punta Penia, dove Aurelio Soraruf gestisce la Capanna-Rifugio, alle 11, quanti vi salirono un anno fa e perirono al ritorno, saranno ricordati con una messa celebrata da don Franco Torresani, con gli scialpinisti o i rocciatori che
sapranno affrontare 4 ore di salita. «I volti di quelle vittime li abbiamo ben presenti, tutte persone coscienziose, responsabili – ammette Soraruf -. Io abito la Marmolada tutto l'anno, non ci vengo sol per un'uscita, un'escursione. Nessuno poteva aspettarsi quanto è accaduto». Responsabilità? «Le abbiamo tutti. Perché tutti contribuiamo al riscaldamento climatico». Soraruf, che vive 365 giorni l'anno al passo Fedaia e gestisce l'albergo Rifugio Castiglioni, manifesta in questi giorni un solo desiderio: «In questo primo anniversario onoriamo i morti, confermiamo la nostra vicinanza ai familiari, ma asteniamoci dal dar lezioni gli uni agli altri. Piuttosto chiediamoci come evitare analoghe tragedie e in particolare come proteggere questi patrimoni naturali». Chissà mai, ad esempio, se la neve resisterà sino alla prossima precipitazione. Intanto per domani e domenica, il Comune di Canazei in collaborazione con l'associazione "Ensema per Cianacei" ha organizzato due appuntamenti. Alle ore 21 di sabato, piazza Marconi ospiterà un dibattito pubblico dal titolo "Marmolada, il futuro della montagna al tempo del cambiamento climatico", con la partecipazione del re degli ottomila Reinhold Messner e del glaciologo del Muse Christian Casarotto. Domenica 2 luglio alle ore 15, i canti di montagna del Coro Valfassa risuoneranno a Passo Fedaia.
L’Adige | 15 giugno 2023
p. 3
Quella Diga del Vanoi: acqua per il Veneto ma è terra trentina
gigi zoppello
canal san bovo
Se ne parlò (in via di massima) negli anni Sessanta: era l'epoca delle dighe e in tutto il Trentino spuntavano come funghi. Poi più niente per oltre mezzo secolo. Ed ecco che dal cilindro del Pnrr spunta il progetto, già approvato ed appaltato dalla Regione Veneto: sul torrente Vanoi sorgerà una diga alta cento metri, con un bacino di 33 milioni di metri cubi d'acqua. Con un problema: la diga sorgerà in Veneto (Comune di Lamon) per poche centinaia di metri. Ma il bacino è tutto in Trentino: su terreni di Canal San Bovo e Cinte Tesino.Il sindaco di Canal San Bovo, Bortolo Rattin, cerca di stare calmo: «Pur comprendendo i problemi di siccità, del cambio climatico, della pianura Padana...». Vabbé, e poi? «Non hanno detto niente ai territori. Noi sindaci proprietari dei terreni non siamo stati informati, fino a cose fatte».Le cose fatte sono semplici: a dicembre 2022 il via libera della Regione, subito dopo l'affidamento al Consorzio del Brenta, che immediatamente appalta il progetto esecutivo alla ditta Technital di Verona. Un, due tre: un affare di quasi un miliardo di euro (962 milioni), con una prontezza e una segretezza che ricorda l'iter della Circonvallazione Ferroviaria di Trento (e l'importo è lo stesso...).«Adesso io e i colleghi di Lamon e Cinte Tesino abbiamo preparato una lettera - dice Rattin - che abbiamo inviato al presidente del Consorzio, Sonzat, ma anche a Zaia e Fugatti, oltre che ai prefetti di Belluno e Trento».Risultati? Fugatti ha promesso un incontro, ma «poi c'è stata la storia dell'orso, è slittato tutto, aspettiamo la convocazione». E pensare che un incontro c'era già stato: «Il 23 marzo scorso - dice il sindaco, consultando la sua precisissima agenda - ho telefonato a Tonina, ed ho avuto un incontro con Fugatti: non è accettabile trovarsi davanti al fatto compiuto».I tre sindaci sono uniti: «Prima di tutto chiediamo di sapere se ci sono tutte le garanzie di sicurezza. In primis - ricorda Rattin - nella valle Cordella a maggio 2020 è caduta una enorme frana, che ha interrotto anche la vecchia strada. Tutti e due i versanti della valle sono a rischio, e dopo Vaia sono spuntate decine e decine di nuove fonti. E poi vogliamo sapere se un invaso del genere - sarebbe il più grande del Trentino, più di Forte Buso - potrà influire sul microclima della valle. Le case sono lì a due passi».Bortolo Rattin, per prima cosa, ha voluto informare la popolazione: «Ho fatto una serie di incontri, in tutte le frazioni: volevo essere certo che la gente lo sapesse da noi, e non da "radio scarpa". Che poi si innestano tensioni e polemiche politiche dannose».E cosa ha risposto la gente di Canal San Bovo? «Che servono rassicurazioni. Poi sull'opera si può sedersi a parlarne, ma solo quando i tecnici ci avranno detto che non c'è alcun pericolo. E questo deve essere fatto con uno studio approfondito, pagato dal Consorzio del Brenta. Ma vogliamo la supervisione del Servizio Geologico e Rischio Idraulico della Provincia, che già da tempo ha sotto osservazione tutto il versante della valle, sotto alle frazioni di Ronchi, che diventerebbero la sponda del bacino. E lì ci hanno già detto che c'è un piccolo movimento del versante».Di contrari, però, a Canal San Bovo e Lamon ce ne sono tanti. Come ad esempio i pescatori. Spiega il presidente dell'associazione del Vanoi, Dino Taufer: «Per cominciare, è un altro sbarramento, e gli sbarramenti dei corsi d'acqua sono la morte della pesca. E poi proprio dove sbocca il rio Cordella, è l'unica zona di cova della trota marmorata, se fanno un bacino, possiamo dire addio anche a questa».Per Bortolo Rattin, un brutto colpo: «Ne sentivamo parlare a fine 2020, ma erano voci incontrollate. Poi invece abbiamo scoperto dai siti che era tutto fatto». Sicuri? «Basta andare a vedere il progetto esecutivo, è pubblico: sarà pure lo stesso progetto di massima degli anni Sessanta con le date cambiate - dice il sindaco di Canal San Bovo - ma di fatto hanno già stanziato il primo milione di euro, e vanno avanti. Senza mai averci detto niente di ufficiale».Di ufficiale, però, ci sono le parole (e gli atti) del governatore veneto Luca Zaia. Che ha molte carte da giocare: l'invaso serve contro la siccità (competenza del ministro leghista Salvini), e il commissario all'emergenza idrica Dell'Acqua è veronese; e poi la nuova diga serve anche a far vedere che lo Stato riesce a spendere i soldi del Pnrr (ne ha un bisogno disperato). La diga la vuole: tre anni di cantiere previsti, a circa 800 metri a monte della confluenza del Vanoi con il Cismon; il bacino idrografico è pari a 234 chilometri quadrati ed è caratterizzato da una elevata piovosità media annua, pari a 1319 millimetri. Il volume utile ipotizzato è di 33
milioni di metri cubi, con un volume medio annuo di 119 milioni di metri cubi. E la Provincia di Trento? Avrebbe il diritto di veto. Ma per ora «interloquisce» con Zaia. Mentre il progetto avanza.
L’Adige | 28 giugno 2023
p. 30
«Diga, il Veneto fermi il progetto»
Andrea Orsolin
VANOI
Non si farà la diga del Vanoi. Non senza l'assenso della Provincia di Trento, a cui spetta l'approvazione di opere idrauliche come questa che, pur ricadenti in territorio bellunese (il muro da 116 metri verrebbe costruito nel comune di Lamon), hanno importanti ripercussioni sulle zone di propria competenza. Cioè sui territori di Canal San Bovo e Cinte Tesino. Provincia che, peraltro, già in passato aveva più volte espresso la contrarietà alla realizzazione di un nuovo serbatoio di ritenuta sul torrente Vanoi, di cui se ne parla almeno dagli anni '60. Un bacino idrografico che potrebbe avere una superficie pari a 234 chilometri quadrati, sommergendo la selvaggia val Cortella (nella foto di Daniele Gubert) con 33 milioni di metri cubi d'acqua (più di tre volte di quelli dell'invaso dello Schener).Il vicepresidente e assessore all'ambiente Mario Tonina ha comunicato per iscritto la posizione ai colleghi della Regione Veneto, gli assessori Gianpaolo Bottacin (ambiente e clima) e Federico Caner (fondi UE e agricoltura). Ha ribadito la posizione anche ieri mattina nell'aula del consiglio provinciale, rispondendo all'interrogazione di Alex Marini (M5S). «L'intervento in questione deve in primo luogo essere oggetto di un confronto tra le nostre amministrazioni - ha detto Tonina ai due assessori veneti - Nel frattempo, intervenite tempestivamente per sospenderne la progettazione della diga».La Regione Veneto ha però deciso di fare di testa sua, senza dire nulla al Trentino (questo è ciò che sostiene Tonina). Il governatore Luca Zaia ha inserito l'opera tra quelle prioritarie sull'acqua: per risolvere il problema della siccità, ma anche per la laminazione delle piene e per scopi idroelettrici. A dicembre il Consorzio di Bonifica Brenta si è aggiudicato l'incarico per la progettazione definitiva (finanziato dal Ministero delle politiche agricole) della diga, il cui costo di costruzione è stato stimato in 150 milioni.Le motivazioni del "no" della Provincia (a cui si aggiunge anche quello del Comune di Canal San Bovo) sono legate all'impatto ecologico dell'invaso, che per la maggior parte si estenderebbe sul territorio trentino, dove l'alto livello di naturalità degli ambienti interessati richiederebbe la loro conservazione. Inoltre è stato evidenziato che le acque del torrente Vanoi sono già oggetto di concessione a scopo idroelettrico in una serie di impianti posti a cascata sull'asta del sistema Vanoi-Cismon (San Silvestro, Schener-Moline, Arsiè, Cavilla). «A queste considerazioni - ha detto Tonina ai due assessori veneti - si aggiunge anche l'evidenza della pericolosità dell'area dove è prevista la costruzione del serbatoio, connotata perlopiù da pericolosità massima della carta di sintesi della pericolosità provinciale dovuta a potenziali crolli e alla particolare situazione lito geomorfologica dei versanti, oltre che dalla massima pericolosità fluviale/torrentizia».Trovandosi il serbatoio per la maggior parte della sua superficie in Trentino, spetta alla Provincia la competenza nel rilascio delle necessarie autorizzazioni. «Essendo un'opera che interesserebbe sia il Trentino che il Veneto - spiega Tonina - la sua realizzazione necessita di uno specifico accordo. L'opera è priva di qualsiasi riferimento all'interno degli strumenti di pianificazione in vigore, in quanto non è presente in alcuno degli strumenti deputati alla gestione delle acque a livello distrettuale».
L’Adige | 29 giugno 2023
p. 30
Andrea Orsolin
VANOI
Il Veneto non arretra. La diga serve, per garantirsi la disponibilità d'acqua in periodi di magra, per la laminazione delle piene e, perché no, per scopi idroelettrici. L'opera è ritenuta fondamentale, essenziale per sopravvivere nel futuro. Non si vuole andare allo scontro con i vicini trentini, a cui toccherebbe "staccare" le autorizzazioni per realizzare la mastodontica opera (muro alto 116 metri, invaso da 33 milioni di metri cubi d'acqua, cioè più di tre volte di quello del vicino Schener), costruita in territorio bellunese ma il cui bacino ricadrebbe tra Canal San Bovo e Cinte Tesino. Anche se trovare un punto di incontro, allo stato attuale, appare difficile visto il secco "no" del Trentino.«Serve parlarne assieme alla Provincia di Trento, con cui abbiamo ottimi rapporti e, da parte mia, c'è massima disponibilità al dialogo - dice l'assessore veneto all'agricoltura Federico Caner - Per noi l'opera è essenziale e anche i consorzi di bonifica ce la chiedono. Abbiamo sempre sostenuto la necessità di avere più acqua, sia per l'utilizzo umano che per usi agricoli». Della diga in val Cortella se ne parla almeno dagli anni '60. Perché il momento favorevole potrebbe essere proprio ora? «Oggi ci sono finalmente le condizioni, sia amministrative, sia tecniche che economiche, per la sua costruzione. Stiamo investendo molto nel Pnrr e nei bandi ministeriali per costruire bacini di raccolta e accumulo. Lasciamo andare a mare ancora troppa acqua. Abbiamo la necessità di raccogliere e tesaurizzare l'acqua quando cade dal cielo, per poi usarla in periodi di siccità. Ma vogliamo prima capire quali sono le perplessità di Trento sull'opera».Le motivazioni del "no" sono legate soprattutto all'impatto ecologico dell'invaso, con possibili
conseguenze negative sul microclima, e al pericolo geologico dovuto a potenziali crolli (la zona è connotata perlopiù da pericolosità massima). Mario Tonina, l'assessore all'ambiente e vicepresidente della Provincia, lo ha detto a chiare lettere martedì nell'aula del consiglio: «Il Veneto fermi subito la progettazione della diga». «La sicurezza sta a cuore anche a noi - dice Caner - Su queste cose non si può scherzare, prima di procedere ci deve essere il via libera dei professionisti. Sulle questioni di carattere ambientale, invece, se ne può discutere: l'acqua è un bene talmente prezioso che non si può pensare di sprecarla. Credo che dovremo tutti pensare alla costruzioni di bacini di laminazione e invasi per trattenerla».C'è poi la questione della genesi dell'opera. Tonina sostiene che la Provincia non sia stata preventivamente informata dal Veneto dell'avvio della progettazione della diga, mentre il consigliere Alex Marini (M5S) ha giudicato «inverosimile» che Fugatti (contattato ieri, ma senza risposta) non ne sapesse nulla, ricordando come l'agosto scorso nel consiglio regionale veneto veniva approvata la mozione del leghista Giuseppe Pan, che impegnava la giunta veneta a farsi portavoce della realizzazione della diga nei confronti del Governo e la giunta provinciale trentina. Da una prima verifica, pare che in piazza Dante non sia arrivata nessuna comunicazione ufficiale. Non è peraltro la prima volta che l'acqua è terreno di scontro con il Veneto, come dimostrano anche alcuni recenti provvedimenti assunti dalla Regione governata da Zaia e successivamente impugnati dal Trentino (ad esempio per stoppare la decisione che impone ai grandi concessionari idroelettrici di cedere gratuitamente parte dei Kwh prodotti).Sulla questione è intervenuta anche la consigliera Lucia Coppola (Europa Verde). «Sostengo con forza il Comitato che si oppone alla costruzione di una diga sul torrente Vanoi, ritenendola costosa, fuori dal tempo e pericolosa per l'ambiente. Allo stato attuale, prendendo come spunto il tema della siccità si cerca di far passare ovunque come necessaria la costruzione di bacini artificiali, mettendo in crisi e deturpando ecosistemi e paesaggi preziosi e consolidati. Una diga non ha mai un impatto indolore sull'ambiente. Auspico che la Provincia si impegni in una interlocuzione efficace e chiara con il Veneto».
Il Nuovo Trentino | 30 giugno 2023
p. 1
La diga del Vanoi è un’impresa impossibile
Flavio Taufer e Daniele Gubert
Ci si domanda perché e "per come" si possa ancor oggi parlare, discutere, dibattere, spendere denaro per un progetto che nessuno studio ingegneristico esperto, oltre che nelle grandi opere, anche in vasche da bagno, oserebbe proporre.Signori tutti, di là e di qua dei nostri effimeri confini, vi raccontiamo una storia che, salvo qualcuno abbia a ribattere, conserva ancora dei testimoni.Torniamo al 1958. L'ingegner Taci, per conto della ditta Rodio di Milano, dirigeva i lavori di sondaggio del versante est del monte Còppolo, in destra orografica del torrente Vanoi. Incaricato come assistente ai rilievi e misurazioni era stato assunto Gino Bellotto che, ciò che vide, lo vide con i propri occhi.Gli operai iniziarono ad incidere il calcare nel punto prefissato dall'ingegner Dal Prà per l'erezione della diga (112 metri) tra il versante bellunese e quello trentino. Sul versante monte Totóga vi era la massima affidabilità. Non altrettanto sicuro il versante opposto. Necessitavano le opportune verifiche. Si affondò pertanto nella solida roccia con l'ausilio di idrocompressori per circa 10 metri, fintanto che si rese necessario ricorrere all'esplosivo. Furono brillate forse due, tre cariche per facilitare l'affondo: la missione era fondamentale per accertare la tenuta del bastione roccioso.La mina fatidica esplose calcolata per tempo e carica ma, al rovescio di ogni previsione, il materiale frantumato, anziché diffondersi nei paraggi, implose e scomparve ingurgitato e dal profondo si scoprì emergere sabbia! SEGUE A PAGINA 2
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA Sconcertati per l'imprevisto esito, gli addetti prelevarono un sacchetto di sabbia dall'interno della cavità ed uno nell'alveo del torrente. Val la pena a questo punto ricordare che, come tutte le vallate alpine, la val Cortèlla, ha subito fenomeni glaciali ed erosivi epocali e senza dubbio, prima i ghiacciai, poi il torrente Vanoi, hanno creato in maniera "fantasiosa" quel solco. L'acqua passa ovunque può...Gli operai, sotto la direzione dei tecnici, portarono quindi i due sacchi di sabbia sul tavolo dell'antica osteria "Al Pòrt", rendendo pubblica evidenza agli indizi raccolti che, a sorpresa, rivelavano l'esistenza di cavità importanti a fianco del torrente. Olivo Bellotto (figlio di Gino) è oggi ancor memore dell'episodio! I due campioni s'involarono poi verso un non meglio specificato laboratorio di analisi dei terreni che ne assicurò l'appartenenza ad una medesima classificazione.Tale circostanza non poteva essere trascurata: divenne quasi sicuramente il motivo che allora determinò la rinuncia all'impresa. Nell'epoca delle dighe a gogò, la saggezza dei tecnici a confronto con le viscere del Còppolo e con l'alveo epigenetico del torrente, li indusse, zitti zitti, a ripiegare. Marcia indrè.Vale in seconda battuta la pena ricordare che l'impresa Rodio vantava già la costruzione di 79 dighe, più aeroporti, strade e autostrade... un capolavoro di industria ed ingegneria riconosciuto a livello europeo. Ad onor di cronaca fece poi una brutta fine: morì decapitata per non lasciarsi corrompere dal racket delle industrie. Ma questa è un'altra vicenda...Su quel progetto calò il sipario.Questa storiella dovrebbe far riflettere chi, oltre sessant'anni dopo, insiste a spada tratta sul progetto di fermare con una diga il torrente Vanoi. Inutile mettere sottosopra una valle con un'infrastruttura a rischio conclamato! Le carte geologiche parlano chiaro, l'instabilità dei versanti della valle è visibile agli occhi di un bambino... se poi andiamo un pochettino "a fondo"... ecco cosa salta fuori!L'elenco delle ulteriori considerazioni che sconsigliano di procedere è molto lungo... se necessario alla "partecipazione" tra i portatori di interesse verrà dettagliatamente compilato. Ma quanto sopra dovrebbe già bastare e avanzare. Da oggi in poi, il "Comitato difesa torrente Vanoi e acque dolci", per tempo fondato nel 1998, sicuro dell'adesione di Comitati e Associazioni rilevanti nell'arco alpino e a livello nazionale, ritorna a ribadire la contrarietà a tale ostinata ipotesi di sbarramento. Il torrente Vanoi non si lascerà mai
domare da niente e nessuno: tutte le volte che qualcosa lo ha bloccato, un varco lo ha trovato... è un torrente libero e tale sempre sarà!(Comitato per la Difesa del Torrente Vanoi e delle Acque Dolci)
Corriere delle Alpi | 26 giugno 2023
p. 7
La crociata della montagna
Adige | 26 giugno 2023
p. 15
Croci in vetta, bufera politica sul Cai
LUISA MARIA PATRUNO
Una frase mai pronunciata - a detta del protagonista, Marco Albino Ferrari, direttore editoriale del Cai (vedi intervista a fianco) - sulla rimozione delle croci dalle vette alpine, ha suscitato ieri una bufera politica con una raffica di dichiarazioni indignate di ministri e parlamentari di Fratelli d'Italia e Lega, che hanno fatto a gara per stigmatizzare le presunte intenzioni del Club alpino italiano di eliminare i simboli sacri dalle montagne. Tanto che nel pomeriggio il presidente del Cai, Antonio Montani, ha sentito il dovere di precisare che: «Non abbiamo mai trattato l'argomento delle croci in vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale». E si è scusato «personalmente» con la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, «per l'equivoco» assicurando che «per ogni argomento di tale portata il nostro ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto». Le polemiche, ha sostenuto Montani, sono nate da «dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro». Proprio Daniela Santanchè era stata tra i primi a intervenire per strigliare il Cai: «Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l'identità del territorio, il suo rispetto. Un territorio si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori», A ruota si sono fatti sentire, tra gli altri, anche il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha affermato: «Dovete passare sul mio corpo per togliere anche solo un crocifisso da una vetta alpina» e il ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha aggiunto che «sono un riferimento per gli scalatori». Il governatore leghista della Lombardia, Attilio Fontana, ha avvisato: «Continueremo a mettere altre croci». Per il commissario trentino di FdI, Alessandro Urzì, poi: «La visione di una montagna senza segni lasciati dall'uomo, con il suo bagaglio culturale collegato al luogo che frequenta, è quantomeno oscurantista». Di croci sulle vette si era parlato giovedì scorso durante la presentazione a Milano all'Università Cattolica del libro «Croci di vetta in Appennino» di Ines Millesimi. A rappresentare il Cai c'era appunto Marco Albino
Ferrari. Nel dibattito i relatori hanno concordato, come riporta «Lo Scarpone» il portale del Cai, sul rispetto e la manutenzione delle croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, ma anche sul fatto, condiviso anche dal Cai, di «disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne».
Adige | 26 giugno 2023
p. 15
Ferrari: «Travisato dai giornali di destra»
LUISA MARIA PATRUNO
Una frase mai pronunciata - a detta del protagonista, Marco Albino Ferrari, direttore editoriale del Cai (vedi intervista a fianco) - sulla rimozione delle croci dalle vette alpine, ha suscitato ieri una bufera politica con una raffica di dichiarazioni indignate di ministri e parlamentari di Fratelli d'Italia e Lega, che hanno fatto a gara per stigmatizzare le presunte intenzioni del Club alpino italiano di eliminare i simboli sacri dalle montagne. Tanto che nel pomeriggio il presidente del Cai, Antonio Montani, ha sentito il dovere di precisare che: «Non abbiamo mai trattato l'argomento delle croci in vetta in alcuna sede, tantomeno prendendone una posizione ufficiale». E si è scusato «personalmente» con la ministra del Turismo, Daniela Santanchè, «per l'equivoco» assicurando che «per ogni argomento di tale portata il nostro ministero vigilante sarà sempre interpellato e coinvolto». Le polemiche, ha sostenuto Montani, sono nate da «dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro». Proprio Daniela Santanchè era stata tra i primi a intervenire per strigliare il Cai: «Resto basita dalla decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero. Non avrei mai accettato una simile decisione che va contro i nostri principi, la nostra cultura, l'identità del territorio, il suo rispetto. Un territorio si tutela fin dalle sue identità e le identità delle nostre comunità è fatta di simboli che custodiscono nel tempo la storia e valori», A ruota si sono fatti sentire, tra gli altri, anche il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha affermato: «Dovete passare sul mio corpo per togliere anche solo un crocifisso da una vetta alpina» e il ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo ha aggiunto che «sono un riferimento per gli scalatori». Il governatore leghista della Lombardia, Attilio Fontana, ha avvisato: «Continueremo a mettere altre croci». Per il commissario trentino di FdI, Alessandro Urzì, poi: «La visione di una montagna senza segni lasciati dall'uomo, con il suo bagaglio culturale collegato al luogo che frequenta, è quantomeno oscurantista». Di croci sulle vette si era parlato giovedì scorso durante la presentazione a Milano all'Università Cattolica del libro «Croci di vetta in Appennino» di Ines Millesimi. A rappresentare il Cai c'era appunto Marco Albino Ferrari. Nel dibattito i relatori hanno concordato, come riporta «Lo Scarpone» il portale del Cai, sul rispetto e la manutenzione delle croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, ma anche sul fatto, condiviso anche dal Cai, di «disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne».
Il Nuovo Trentino | 27 giugno 2023
p. 3
«No allo scontro sulle croci»
TRENTO
Le parole pronunciate qualche giorno fa dal direttore editoriale del Cai Marco Albino Ferrari durante un convegno organizzato all'Università Cattolica di Milano, in occasione della presentazione di un libro - «non saranno istallate nuove croci sulle montagne»sono finite al centro di una polemica, con tanto di richieste di marcia indietro e dimissioni. È il centro destra ad insorgere, capitanato da FdI. Si fa sentire anche il governo che con la ministra Daniela Santanchè chiede al Club alpino di rimangiarsi «la decisione», lamentandosi di non essere stata informata. Così qualche ora dopo tocca al presidente del Cai Antonio Montani gettare acqua sul fuoco: «Non abbiamo mai trattato l'argomento delle croci in vetta in alcuna sede, tantomeno prendendo una posizione ufficiale» afferma, scusandosi anche con Santanchè per l'equivoco, nato da «dichiarazioni personali» di Ferrari e da un editoriale sulla rivista del Cai 'Lo Scarpone'. Il portale del club aveva evidenziato la larga concordanza emersa nel convegno circa «la necessità di lasciare integre le croci esistenti, perché testimonianze significative di uno spaccato culturale, e allo stesso tempo di evitare l'istallazione di nuovi simboli sulle cime». L'editoriale parlava di una tesi condivisa pienamente dal Cai specificando che nessuno intende rimuovere le croci che già ci sono, ma è «il presente caratterizzato da un dialogo interculturale che va ampliandosi e da nuove esigenze paesaggistico-ambientali, a indurre il Cai a disapprovare la collocazione di nuove croci e simboli sulle nostre montagne». Non c'è una posizione univoca e non si è mai trattato l'argomento, ribadisce Montani, «e se se ne parlerà il ministero vigilante sarà sempre coinvolto». Quando arriva il chiarimento di Montani, ormai però la polemica si è innescata. A partire all'attacco è Santanchè, «basita» dalla «decisione del Cai di togliere le croci dalle vette delle montagne senza aver comunicato nulla al Ministero». Per la ministra la scelta era già compiuta tanto che ha invitato il club alpino a «rivedere la sua decisione». Non è mancato nemmeno l'intervento del
vicepremier Matteo Salvini, «dovete passare sul mio corpo per togliere anche solo un crocifisso da una vetta». E poi tutto un susseguirsi di dichiarazioni indignate targate soprattutto FdI, che culmina con la richiesta di dimissioni del deputato Mauro Malaguti.Travolto dalle polemiche, Marco Albino Ferrari ha affidato a un post social la propria risposta: «Prima che questa pagina venga investita dalla valanga di detriti più o meno appuntiti riguardo a presunte mie posizioni su "rimuovere le croci di vetta" (presunte, appunto, e non vere), vorrei subito dire come la penso. La cosa più interessante, però, non è tanto il mio pensiero, piuttosto come si è innescata questa valanga che è arrivata fino al TG1 e a tutti i giornali. Le croci di vetta rappresentano un elemento culturale delle nostre montagne che va preservato. Penso che il Cai debba, e lo fa, guardarle con rispetto e occuparsi della loro manutenzione (ripulendole dagli adesivi, restaurandole in caso di bruschi crolli, ...). Certe montagne, senza le loro famose croci non sarebbero neppure lontanamente le stesse, anche se si tratta di pochi metri di ferro. Allora a presto, con una nuova saga de "Le croci di vetta" 2!» conclude . «Le montagne sono di tutti, nessuno ha il diritto di metterci il cappello» è invece la posizione di Reinhold Messner, che ha definito «anacronistico» il dibattito suscitato dalla proposta del club. «Il Cai da tempo si occupa dell'importante questione 'di chi sono le montagne?'. Purtroppo anche questa volta si è sollevato il solito polverone sui social» .
Il Nuovo Trentino | 27 giugno 2023
p. 3
«Lasciamo che le cose si sviluppino naturali»
Trento
«Le croci alpine? Quelle che ci sono lasciamole, ma non incoraggio a metterne di nuove nemmeno io». È quanto dichiara l'Arcivescovo emerito di Trento, Monsignor Luigi Bressan, circa l'accesa discussione che il dibattito del Club Alpino Italiano ha creato negli ambienti politici.Secondo lei dovremmo continuare ad apporre delle croci sulle montagne?La croce ha un valore simbolico importante, esprime il massimo della donazione dell'amore di Cristo nei nostri confronti. D'altra parte anch'io penso che non si debba esagerare. Penso che un buon compromesso sia lasciare le croci alpine già esistenti, ma mi rendo conto che sono già numerose, quindi non incoraggio a metterne di nuove nemmeno io.La croce secondo lei non è un simbolo esclusivo della comunità cristiana. Durante gli anni che ho trascorso come nunzio apostolico in Pakistan ho avuto diverse occasioni di confronto e dialogo con la popolazione locale. Notai come per trattare la morte anche loro spesso ricorressero al simbolo della croce, posta sulla lapide funeraria, pur essendo la quasi totalità delle persone di fede mussulmana. Con questo intendo dire che certi segni sono dei simboli di più ampio significato condivisi da più culture. La croce in questo caso può significare una meta, un punto d'arrivo di un viaggio che per noi cristiani tuttavia non si esaurisce qui, perché per noi si tratta di un passaggio verso la resurrezione.E qual è il legame simbolico che intercorre tra la croce e la montagna?Dalla cima materiale si passa a quella spirituale. Il monte nelle Sacre Scritture ha sempre avuto un grande valore: Mosè sale sul Monte Sinai per parlare con il Signore che gli si rivela, Gesù conferisce le Beatitudini e sempre da un monte compie il suo ultimo passaggio terrestre, ascendendo in cielo. E non bisogna vedere la morte di Cristo come una somma di sofferenze, al contrario Gesù ha voluto immedesimarsi pienamente nella nostra vita, anche con la sofferenza portata dalla morte e dalla tortura. Ma il monte non è un termine, anzi, dalla sua cima il Signore può estendere il suo amore a tutto il mondo.Detto questo...Non credo che dobbiamo mettere croci dappertutto. Lei in passato ha partecipato a qualche cerimonia di consacrazione per questi simboli?Non di frequente, mi sarà successo per una, due croci massimo, altre volte ho rifiutato perché non pensavo fosse opportuno. Ma ci tengo a chiarire un concetto importante. Di che cosa si tratta?La montagna non è meno sacra nel suo aspetto umano e nel suo messaggio se non reca una croce. La fede si può vivere anche a livello interiore. Secondo lei quindi saranno la prassi e la diffusione della fede a dettare l'adozione di questi simboli?Se ci sono determinate tradizioni è giusto che si mantenga la testimonianza del loro passaggio, che ha un importante valore storico. A ogni latitudine nel mondo c'è uno stretto collegamento tra religione e cultura, ad esempio in Thailandia i segni del buddhismo sono dappertutto, anche nelle aree montane, dove le statue vengono poste sopra tantissimi sassi. Anche se non sono obbligato a fare un gesto religioso in presenza di un'icona sacra, posso apprezzarne il valore da un punto di vista culturale e questo si applica anche a noi cristiani verso altre confessioni. Oggi anche in Trentino c'è un piccolo tempio buddhista. Sì, e penso che le cose si debbano lasciare sviluppare naturalmente senza drammi o forzature. Sono convinto che la montagna manterrà il suo significato naturale e spirituale, portando all'elevazione della persona e alla sua condivisione con tutte le altre persone del mondo. I.P.
p. 3
TRENTO
Il Nuovo Trentino | 27 giugno 2023
«Oggi basta un nulla per causare il finimondo»
Trent'anni fa si battè contro l'installazione di un altare religioso a corredo della croce di Cima Capri, ritenendolo eccessivo da un punto di vista paesaggistico. Ma oggi per Roberto "Bistecca" Franceschini, ex consigliere provinciale dei Verdi per due legislature dal 1983 al 1993, la discussione nata in seguito all'idea di non proseguire con la collocazione delle croci in montagna «è una strumentalizzazione politica che ha poco a che vedere con le sfide che la montagna deve affrontare in questi anni». Si ricorda che cosa successe a Cima Capri?Avevano costruito un altare in pietra in cima alla montagna, un corredo che mi pareva esagerato per la croce e la funzione del luogo. Nonostante questo e pur considerandomi un ateo "straconvinto", nutro rispetto verso qualsiasi luogo di culto, che siano moschee, chiese, templi buddhisti o di altri credi, mi è capitato di visitarne di tutti i tipi pur non condividendone l'aspetto religioso.Come spiega le discussioni che sono nate dalle affermazioni del direttore editoriale del Club Alpino Italiano Marco Albino Ferrari?Oggi come oggi basta che una persona scriva qualcosa su Internet che si scatena il finimondo. Fa parte della società moderna in cui viviamo. Spesso poi le parole vengono cambiate, travisate. Bisogna fare molta attenzione a ciò che si dichiara. Il caso nasce a Milano, ma secondo lei nemmeno noi possiamo considerarci "al sicuro". Ormai in Trentino mancano pochi mesi alle elezioni provinciali e possiamo aspettarci che qualsiasi cosa verrà strumentalizzata.In passato ha mai assistito a divisioni o discussioni relativamente alle croci montane?Mai vista una discussione dai toni così accesi. È capitato che qualcuno criticasse alcuni eccessi in quelle realizzate in tempi più recenti. Soprattutto in Alto Adige sono state realizzate installazioni giganti, illuminate, delle esagerazioni che io personalmente non condivido. Ma nessuno ha mai avuto da ridire sulla presenza o meno dei capitelli o delle croci come simbolo. E penso che la montagna oggi debba affrontare tante altre sfide più importanti rispetto a queste polemiche. Ad esempio?Io da sempre sono contrario a certi "mega-impianti di risalita" nei nostri comprensori sciistici e ne calcolarei una riduzione in futuro, anche perché la neve è destinata a ritirarsi a quote sempre più alte. Forse si potrebbe attuare una maggiore cura dei sentieri, poi favorirei la chiusura dei passi alpini troppo trafficati dando una possibilità in più alle biciclette a pedalata assistita che stanno registrando un grande successo. Negli anni '60 abbiamo avuto molti scempi edilizi, come la Fascia Laurina in val di Fiemme e Fassa o i grattacieli al Passo del Tonale. Questi eccessi per fortuna sono diminuiti e in Trentino la situazione è tutto sommato buona rispetto al resto d'Italia, ma come in tutte le cose dobbiamo sempre ricordarci di mantenere moderazione. Indirizzarci verso un turismo più "slow" può venire incontro alle mutate necessità di un sempre più persone che cercano un luogo di silenzio e tranquillità. Un bisogno condiviso da chi viene in visita sul territorio?In passato abitavo a Trento, ma ormai sono 30 anni che abito in un paesino di montagna. Un tempo le persone lasciavano i propri paesi per trasferirsi in fondovalle, oggi chi può viceversa cerca rifugio in una dimensione più piccola, con maggiori rapporti tra gli abitanti del luogo. Per i turisti è lo stesso e il Comune in cui vivo, Margone di Vezzano (oggi Vallelaghi) ne ha fatto uno slogan: «Dove il silenzio è un bene prezioso». I.P.
Corriere delle Alpi | 27 giugno 2023
p. 20
Le croci sulle Dolomiti non si toccano «Ma quelle nuove andranno condivise»
Il caso
Non c'è Cima Dolomitica dove non sia stata posata una croce. La più alta è quella di Punta Penia, la cima della Marmolada, a 3343 metri. La seconda è quella dell'Antelao, a 3264 metri, la terza si erge, più alta di tutte le altre, grazie anche al basamento, ai 3225 metri della Tofana di Rozes. Quest'ultima è la più firmata e "adesivata". Anzi no. E davvero un'indecenza la condizione in cui è stata ridotta la croce del Monte Pelmo, a quota 3168: letteralmente coperta di adesivi. Quella della Tofana, in ogni caso, batte di soli 5 metri la quota della croce della Civetta, a 3220 metri, lassù all'arrivo della Ferrata degli Alleghesi. Solo sesta la croce di Cima Grande di Lavaredo, a 2999 metri.
Chiediamo a Giuliano Dal Mas: quale di questi segni, di questi simboli tirerebbe giù? «Nessuno. Sono simboli di una fede, di un'identità, di una cultura, quindi anche di umanità. Tutti meritano di restare. E, come ha promesso il Club alpino italiano, di essere ripuliti, per riconquistare la loro dignità originaria». Giuliano Dal Mas, nato nel 1945 a Belluno, emigrato in Argentina, laureato in Scienze Politiche, ha svolto servizio di segretario comunale nell'Agordino per oltre 30 anni. Appassionato di giornalismo, cultura e storia locale, poesia e arte, musica classica, montagna e fotografia, è autore di numerosi saggi dedicati alla montagna. È socio accademico del Gruppo italiano Scrittori di montagna e nel 2021 ha ricevuto il Pelmo d'Oro. «Le croci che ci sono fanno parte della nostra storia, quindi debbono restare. Piuttosto sarei cauto nel piantarne di nuove. E se proprio dobbiamo farlo, si eviti che siano monumentali. La croce simboleggia il calvario, che è il contrario della monumentalità».
«È il contrario anche della vita», fa subito notare Renato Frigo, presidente regionale del Cai, un'educazione in parrocchia, «rappresentata invece dalla risurrezione».
Ed ecco che entriamo in argomento. Frigo ribadisce che nessuno mai del Cai si è sognano di togliere le croci dalle vette alpine. «La riflessione del nostro direttore editoriale, Marco Albino Ferrari, di cui abbiamo appreso con dispiacere le dimissioni dopo la presa di distanze del presidente Montani, è stata politicamente e ideologicamente strumentalizzata. Ferrari non ha mai detto né scritto proponendo un' eventuale rimozione delle croci di vetta sulle montagne. C'è chi, a livello politico, ha voluto strumentalizzare». Niente, però, nuove croci? «Neppure questo è vero. Tanti, anzi la maggioranza dei dirigenti del Cai conviene con autorevoli esponenti della
stessa Chiesa che ancora anni fa hanno detto che l'autorizzazione a installare nuove croci va data con moderazione e soprattutto con condivisione».
Dalla cima del monte Rite ad altre vette ecco che compaiono sempre più numerose le testimonianze religiose che fanno memoria di Budda. Si chiamano "stupa", sono microcostruzioni di sassi, triangoli o piramidi, spesso con bandierine multicolore al vento. «Nessuno si è mai sognato di farle togliere», puntualizza Toio De Savorgnani, alpinista e ambientalista. Che peraltro ricorda : «Quando ci è stato proposto di innalzare una croce di 10 metri luminosa sul monte Pizzoc (in Cansiglio), tale da essere vista da Venezia, noi ambientalisti ci siamo confrontati con il promotore don Giovanni Dan e lui intelligentemente ha accettato di fissare questa croce sulla piazza della pace, che un tempo ospitava una base Nato, di dimensioni ridotte. Che bisogno c'è, dunque, di strumentalizzare come hanno fatto i ministri Santanchè e Salvini?».
L'altro ieri, 70 dirigenti del Cai veneto e friulano hanno sperimentato un pezzo del "Sentiero Italia", intorno al monte Quaternà, in Comelico. Da malga Coltrondo sono stati accompagnati in vetta da una decina di capre della stessa malga. Raggiunta la vetta si sono fatti fotografare sotto la grande croce. «Salvini dice che le croci sono intoccabili perché ricordano i nostri caduti. Un errore grossolano», lo definisce Frigo. «Le vittime delle guerre o di attentati sono ricordati sulle lapidi, la croce simboleggia valori ancora più universali. È un abbraccio di salvezza a tutta l'umanità. Proprio per questo ci impegniamo, come Cai, a pulirle, a manutentarle». E quanto a nuove croci? «Come ha anticipato il vertice del Cai, siamo disponibili ad esaminare e a condividere, nella loro appropriatezza paesaggistica oltre che dimensionale, le nuove proposte che ci dovessero arrivare».
Corriere delle Alpi | 27 giugno 2023
p. 20
Messner: «Montagne di tutti Nessuno ci metta il suo cappello»
l'intervento
Nel passato il grande alpinista, Reinhold Messner, si era dichiarato contrario all'installazione di nuove croci sulle vette alpine. Oggi, mentre si accinge ad inaugurare un nuovo museo in Nepal, ritorna sull'argomento e conferma il suo pensiero. «Le montagne sono di tutti, nessuno ha il diritto di metterci il cappello».
Il dibattito sollevato in queste ore lo trova «anacronistico e inutile». «Il fenomeno delle croci di vetta», spiega il re degli ottomila, «è relativamente recente, è iniziato circa 200 anni fa con l'Illuminismo. Prima la gente aveva, infatti, troppo rispetto della bellezza e della maestà delle montagne».
Dopo la Seconda guerra mondiale sono stati «soprattutto i movimenti giovanili cattolici nei paesi di montagna a portare le croci sulle vette», prosegue Messner. «Le croci», aggiunge, «esistono praticamente solo sulle Alpi, in Asia la gente del posto non saliva sulle montagne sacre, mentre sulle Ande si facevano sacrifici alle divinità».
«Le croci in montagna ci possono accompagnare. Ma solo quando rispettano il valore autentico del Vangelo. Niente spettacolo, zero mercificazione (vedasi il Cristo Pensante a Paneveggio) e tanta sobrietà», ammette Luigi Casanova, già portavoce di Mountain Wilderness e Cipra. «La montagna è territorio di libertà. Sta alla mia sensibilità, al mio senso del sacro, individuarne la religiosità più intima: personale, poche volte collettiva, sempre diversa anche di giorno in giorno. Non c'è bisogno delle croci abnormi in vetta per dirsi religiosi», afferma Casanova. «Queste croci, sempre più diffuse, sempre più invadenti, più che il sacro rappresentano la visione della montagna come obiettivo di conquista. Come potere. Di un gruppo associativo, di una municipalità, di pochi singoli che non sanno come gettare il loro tempo. Oggi, lo dimostrano quei miseri politici che hanno attizzato la polemica, addirittura ministri della Repubblica, la religione è propaganda e spettacolarizzazione, umiliazione della spiritualità e dell'autenticità delle vette». Per fortuna le montagne, «a differenza di cosa ne pensino certi politici, se ancora riescono a pensare, ci impongono il rispetto verso il territorio e verso le diversità, tutte, di genere, di nazionalità, di pensieri. Sono simbolo di delicata accoglienza, sufficiente leggere i Vangeli», insiste casanova.
Casanova rivendica, a questo punto, parte del merito di aver sollevato il problema. «Mi dispiace che una ricercatrice universitaria tanto impegnata e uno scrittore – giornalista di alto profilo siano stati travolti da una simile barbarie politica. Io rivendico orgoglioso quella piccola parte di contributo che ho offerto alla ricerca di dottorato della prof.ssa Ines Millesimi. La ringrazio perché un tema tanto spinoso è stata capace di trasformarlo in ricerca scientifica, culturale, storica e in un necessario, opportuno inventario».
Corriere del Trentino | 28 giugno 2023
p. 6
Croci di vetta, bufera nel Cai:si dimettono Ferrari e Lacasella Zeni (Pd): «Polemica strumentale». Gli Schützen: «No alla rimozione dei simboli»
Ma. Gio.
La tensione, dopo la nota diffusa domenica dal presidente del Cai Antonio Montani, è salita alle stelle. E ieri, al termine di un’altra giornata di polemiche social, ma non solo sulla controversa questione delle croci di vetta, nel Club alpino italiano si sono registrati i primi, importanti scossoni. Con le dimissioni, a poche ore di distanza, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari e del curatore del sito internet Pietro Lacasella (il primo chiamato in causa dallo stesso presidente Montani, il secondo autore di un articolo sul web proprio sul tema delle croci di vetta). E con la proclamazione dello sciopero da parte dei collaboratori de «Lo Scarpone» (il portale online del Cai) per protestare contro il trattamento riservato dai vertici del club a Ferrari e Lacasella.
Ferrari, che era finito nel mirino anche del centrodestra (nazionale e locale), ha affidato ai social la sua decisione. Prendendo subito le distanze dalle «dichiarazioni inventate secondo le quali io avrei detto che le croci di vetta vanno tolte». Un equivoco che, aggiunge, «il presidente del Cai ha contribuito a alimentare: si è scusato con il ministro Santanché per una colpa inesistente prendendo le distanze da una mia dichiarazione mai fatta. Peccato, non difendendo i suoi collaboratori e il suo ente da infondate polemiche, ha perso l’occasione per dimostrare che il Cai ha la schiena dritta». Da qui, prosegue Ferrari, sono maturate le dimissioni da direttore editoriale e responsabile delle attività del Club, presentate «per la serietà a cui non posso sottrarmi». Si limita a comunicare la notizia delle sue dimissioni invece Lacasella. «Avrei tanto cose da dire in questi giorni di tensione» scrive sui social. Ma «l’essenziale», aggiunge, è dare la notizia delle sue dimissioni.
Alle quali è seguita la nota, dura, dei collaboratori del portale del Cai. «Siamo stupiti di come la presidenza Cai si legge nella nota non abbia difeso chi con passione e professionalità si occupa di raccontare le nostre montagne e la nostra cultura, riportando la discussione nel merito dei reali contenuti degli articoli». A Ferrari e Lacasella i collaboratori esprimono solidarietà, invitandoli a tornare alla guida della testata. Ai vertici del Club, invece, si chiede «una presa di posizione chiara e trasparente»: «Finché non la assumerà, ci asterremo dal produrre nuovi contenuti per il portale».
In serata, sempre via social, il Cai ha provato a spiegare, con domande e risposte, il proprio pensiero. Ribadendo che «sulle croci di vetta nessuna delibera è mai stata dibattuta o votata». E precisando che l’articolo pubblicato sul sito del club «è stato steso da un collaboratore»: «L’articolo, così come pubblicato, lasciava intendere che vi fosse una posizione ufficiale, quando in realtà si trattava meramente di un’opinione personale». Per quanto riguarda le scuse alla ministra, si legge, «il Cai aveva il dovere di farle». Ma il post ha scatenato un ampio dibattito, con giudizi contrapposti tra chi ha gradito e chi, invece, lo ha giudicato «incommentabile». Intanto le prese di posizione non si placano. Con Alessandro Urzì (FdI) che già nelle scorse ore si era scagliato contro Ferrari. E che ieri ha criticato lo sciopero dei collaboratori del portale online del Cai: «Il direttore ha infangato il governo» sottolinea Urzì. Da appassionato di montagna riflette sul tema anche Luca Zeni. «Sabato mattina osserva il capogruppo del Pd ho fatto una splendida corsa in Brenta, passando per tre cime: Piz Galin, Croz dell’Altissimo e Cima Lasteri. Su ogni cima c’era una croce. E ho percepito quelle croci come parte di quell’ambiente, non ho avvertito il senso di disturbo che provo in inverno sentendo la musica da discoteca provenire dai rifugi sulle piste, o quando passa un veicolo a motore in mezzo ai boschi». Croci, precisa Zeni, «del colore delle rocce, non arlecchinate, integrate con il paesaggio». «Allo stesso tempo prosegue trovo serio che chi si occupa e vive la montagna si interroghi sul futuro, ne parli e gestisca con equilibrio eventuali nuove installazioni in montagna, ed è legittima la posizione di chi, come Messner, ci richiama ad una sacralità delle vette che dovrebbe lasciarle libere da ogni manufatto. La polemica sollevata per alcune dichiarazioni in quel senso da parte di un esponente del Cai è strumentale, perché non una sola persona ha mai immaginato di “togliere” le croci esistenti». Poi la stilettata: «Del resto, a occhio, se chi oggi, dai palazzi della politica di Trento, Bolzano o Roma, si straccia le vesti usando questo tema per farsi paladino della cristianità, fosse venuto a correre in Brenta con me sabato con 2000 metri di dislivello per godere di quelle croci, avrebbe probabilmente dovuto usufruire dell’elisoccorso per rientrare a casa».
Netti, infine, gli Schützen altoatesini: «Non lasciamoci privare delle nostre tradizioni e costumi religiosi e culturali tuona Martino Robatscher comprese le croci di vetta. Soprattutto non da esponenti del Cai, che farebbero meglio a ripercorrere la storia imperialista e nazionalista, che incontriamo in innumerevoli nomi di rifugi e nomi inventati e fascisti nel nostro mondo montano».
L’Adige | 29 giugno 2023
p. 15
Cai e croci: ancora bufera
Non si placa la polemica sulle croci dalle vette delle montagne, che partita dal Club alpino italiano è riuscita a superare i confini nazionali. Prima le dimissioni di Marco Albino Ferrari, direttore editoriale della rivista "Lo Scarpone", poi quelle di Pietro Lacasella, il curatore del portale online. E ancora, lo sciopero dei collaboratori del web che durerà «finché il Cai non assumerà una posizione chiara e trasparente, libera da ingerenze politiche e travisamenti».Se da una parte il club alpinistico si trova nell'occhio del ciclone, dall'altra non sono mancate le manifestazioni di supporto, dal mondo politico - con il Movimento 5 stelle del Trentino - fino a coinvolgere l'Alpenverein, il club alpino austriaco, che è stato duramente criticato dal partito popolare Oevp del cancelliere Karl Nehammer. Qualche passo indietro. La scintilla è scattata lo scorso fine settimana durante un convegno all'Università Cattolica di Milano: il tutto per un'incomprensione partita da alcune dichiarazioni di Ferrari, strumentalizzate a livello politico. Ciò che, quanto pare, non sembra essere stato digerito dai ministri Matteo Salvini e Daniela Santanchè, assieme ad alcuni governatori regionali, è stata la possibilità di togliere le croci esistenti in quota. Per meglio dire: durante il convegno si è evidenziata l'opportunità di non installarne di nuove, ma il
dibattito si è acceso sull'ipotesi di eliminare quelle che già ci sono. In questo cortocircuito mediatico, il presidente del Cai si è scusato pubblicamente con il Governo. Da qui le dimissioni di Ferrari e la reazione dei collaboratori della rivista del Cai.Le reazioni, dunque. Subito quella del Movimento 5 stelle, che esprime «il proprio pieno e convinto sostegno al direttore editoriale della rivista "Lo Scarpone" Marco Albino Ferrari, vittima dell'ennesima guerra ideologica a base di armi di distrazione di massa, scatenata contro di lui dalla destra e dalla ministra del turismo Daniela Garnero in Santanché - evidenzia il consigliere provinciale Alex Marini che parla di «polemica velenosissima, basata su un evidente falso, al solo scopo di rilanciare quella religiosità di plastica che tanto piace agli "atei devoti" nostrani»: «La verità è una sola e chiunque non sia ottenebrato dall'odio può comprenderla: Ferrari non vuole togliere le croci dalle montagne. Chi lo sostiene dice il falso sapendo di mentire e in tal modo fa esattamente l'opposto di quello che proprio i valori rappresentati dalle croci che svettano sulle cime italiane vorrebbero rappresentare».Ma la questione è uscita dai confini nazionali ed è arrivata in Austria. L'Alpenverein, il club alpino austriaco, condivide la proposta di uno stop a nuove croci, lanciato in un primo momento dal Cai, mentre critiche arrivano dal partito popolare Oevp del cancelliere Karl Nehammer. Il presidente dell'Alpenverein austriaco, Andreas Ermacora, ha in un'intervista all'emittente di stato Orf, ha ricordato che la sua associazione già "100 anni fa aveva deciso di non costruire nuovi sentieri e rifugi" per tutelare l'ambiente e paesaggio alpino. "Per lo stesso motivo, negli anni '80 e '90, la commissione competente decise di non erigere nuove croci di vetta. Ce ne sono già abbastanza. Le croci di vetta sono un bene culturale e ognuno ha un rapporto diverso con esse. Per noi lo sfondo religioso è secondario». Critiche alle parole di Emacora sono arrivate dal capogruppo della Oevp nell'assemblea tirolese, Jakob Wolf, che ha definito le croci di vetta «parte della identità tirolese».
Corriere del Trentino | 30 giugno 2023
p. 6
Il Club alpino spegne le polemiche. «Malintesi, si riprenda il lavoro di rinnovamento dell’area cultura»
TRENTO
Il Club alpino italiano cerca di ricucire lo strappo e spegnere le polemiche dopo la bufera scoppiata in seguito alla nota diffusa dal presidente del Cai Antonio Montani di domenica sulla controversa questione delle croci di vetta.
Il Comitato centrale di indirizzo e controllo parla di «notizia falsa», ricordando «di non aver mai trattato la questione né, men che meno, di aver mai emanato alcun atto in materia», si legge in una nota, riferendosi all’articolo, apparso sul sito, nel quale si garantiva il mantenimento delle croci già esistenti in quota, frenando su nuovi manufatti. Una posizione che aveva scatenato un vero terremoto salito agli onori della cronaca nazionale con dure prese di posizione sia da parte di politici che di esponenti del mondo dell’alpinismo. Poi domenica il presidente Montani era intervenuto per placare le polemiche precisando che «quanto pubblicato è frutto di dichiarazioni personali espresse dal direttore editoriale Marco Albino Ferrari durante la presentazione di un libro». La dichiarazione, però, aveva scatenato l’immediata reazione del direttore editoriale Marco Albino Ferrari e del curatore del sito internet Pietro Lacasella (il primo chiamato in causa dallo stesso presidente Montani, il secondo autore di un articolo sul web proprio sul tema delle croci di vetta) che avevano presentato le proprie dimissioni. Mentre i collaboratori de «Lo Scarpone » (il portale online del Cai) avevano proclamato lo sciopero in segno di protesta.
Ieri il Club è tornato sull’argomento e con una nuova nota tenta di rimettere insieme i cocci e ribadisce «piena fiducia nell’operato, oltre che del presidente generale Antonio Montani e del Comitato direttivo centrale, del direttore editoriale Marco Albino Ferrari del direttore responsabile de La Rivista del Club Alpino Italiano Andrea Greci e del responsabile de Lo Scarpone Pietro Lacasella». Il Cai auspica che «i malintesi che si sono creati e che hanno portato all’annuncio di dimissioni dei responsabili dell’area cultura e comunicazione si possano considerare chiariti». Poi guardando al futuro: «In questo modo tutti gli interessati potranno proseguire l’importante lavoro di rinnovamento dell’area cultura e comunicazione avviato nei mesi scorsi».
Corriere delle Alpi | 8 giugno 2023
p. 28, segue dalla prima
Fa un bagno di sole in Conchiglia: a Cortina arriva il "turismo cafone"
Non è passato inosservato, ieri mattina, quel ragazzo che a Cortina, a petto nudo e con addosso un pantaloncino-costume, si è disteso sul lastricato della Conchiglia di piazza Angelo Dibona per schiacciare un pisolino, ristorato dal sole che pure di questi tempi rappresenta una felice eccezione anche in montagna.
Una scena prontamente immortalata dai passanti e rimbalzata per tutta la giornata sui social, accompagnata da messaggi di contestazione per l'iniziativa intrapresa nel cuore di Cortina da colui che sembrerebbe essere un turista straniero.
Via gli abiti, probabilmente dopo un'escursione. Via anche gli scarponi, appoggiati ordinatamente. Addosso solo un pantaloncino di colore azzurro, simile ad un costume da bagno, e di fianco un grosso zaino.
Il ragazzo, biondo e dal fisico imponente, si è soffermato per un po' a leggere un libro prima di coricarsi, pancia a terra, fino ad addormentarsi.
Incurante degli altri, turisti e residenti, che per una mezz'oretta buona hanno assistito alla scena.
«Saremo mica sul set di un film?» si sono chiesti ad un certo punto i passanti, compreso il netturbino in servizio nel turno del mattino. Qualche sorriso c'è stato di fronte all'inedito bagno di sole in pieno centro, certo, ma alla lunga a prendere il sopravvento è stato quel sentimento di sconcerto che da qualche tempo a questa parte accompagna il proliferare del cosiddetto "turismo cafone".
Già, proprio quello, caratterizzato da iniziative estreme, poco inclini al rispetto dei presenti e, soprattutto, dei luoghi. Cortina come Venezia, insomma, la montagna come la città lagunare. Nessuno si salva.
«Perché non sono stati chiamati i vigili urbani?», si interrogano indispettiti i commentatori sui social network di fronte alle fotografie del ragazzo sdraiato o seduto a petto nudo che nel frattempo spopolavano fuori controllo a suon di condivisioni. Qualcuno, a dire la verità, si è mostrato anche preoccupato di fronte alla stessa immagine: «Magari non si sarà sentito bene». Ipotesi presto smentita dall'abbigliamento o, meglio, dal non abbigliamento da spiaggia.
Nessuna richiesta di soccorso comunque. I testimoni raccontano di un ragazzo tranquillo. Nessuna parola scambiata con i passanti, nessun gesto tale da generare preoccupazione o da richiedere l'intervento delle forze dell'ordine o di un'ambulanza. Difficile comprendere, anche a mente fredda, un tale comportamento. Anche perché, a poche decine di metri dal luogo dove il ragazzo ha deciso di sdraiarsi, non mancano le panchine. Che, in un assolato mercoledì di inizio giugno, alle 11 del mattino, si presentano peraltro tutte o quasi tutte vuote.
C'è poi, inevitabilmente, chi passa e "guarda" oltre. «Ci si indigna per così poco, ma nessuno dice che Cortina è già piena di turisti, soprattutto stranieri, ma la maggior parte degli esercizi commerciali lungo corso Italia sono chiusi». Punti di vista.
L’Adige | 16 giugno 2023
p. 10
Rifugi, riecco gli stranieri
ugo merlo
Inizia la stagione della montagna e tornano gli stranieri. Lo dicono le prenotazioni, per ora ottime, nei rifugi del Trentino, oltre 150, che stanno aprendo tutti. Resteranno aperti, meteo e risorse idriche permettendo, almeno fino a settembre.Gruppo del Cevedale.Il rifugio Mantova, con i suoi 3535 metri di quota, sotto la vetta del Vioz è il più alto dei rifugi Sat. Il gestore Mario Casanova: «Apriamo il 20. Ora per arrivare al rifugio dalla quota di 2800 metri c'è neve, per fortuna. Gli impianti da Peio aprono domani e si può salire al Vioz sia dal Dos dei Cembri che dalla funivia Peio 3000». Il Guido Larcher al Cevedale, a 2607 m, nel cuore del Parco dello Stelvio aprirà invece martedì: «Stiamo ultimando la sistemazione del rifugio, al quale si arriva senza problemi di neve, che si trova invece poco sopra, ma con il caldo si scioglierà presto». Il Silvio Dorigoni, in alta Val di Rabbi, a 2436 m nell'alta valle di Saent: «Sabato apriamodice - Cecilia Iachelini - questo è un rifugio diventato strategico per il trekking d'alta quota del Gruppo Ortles Cevedale, che abbiamo creato coinvolgendo le strutture della Val d'Ultimo val Martello e il Vioz e Cevedale. C'è poi l'alta via E5 che da Oberstdorf, passando per Merano, il Gruppo del Cevedale e il Gruppo Brenta, porta al lago di Garda. Un itinerario molto bello e apprezzato dagli escursionisti del nord dell'Europa. Le prenotazioni di questi itinerari alpinistici sono in crescita, soprattutto da Germania e Austria, ma arriveranno anche gli americani».Gruppo Brenta. L' Alimonta, ai 2580 m alla Vedretta degli Sfulmini è pronto: «Apriamo sabato - dice Ezio Alimonta - la situazione neve è buona ci sono circa 70 cm. Abbiamo molte prenotazioni. Speriamo nel meteo e di avere abbastanza acqua». Il Pedrotti alla Tosa ai 2500 metri poco sotto la Bocca di Brenta, è gestito dalla famiglia Nicolini. «Apriamo sabato - dice Franco, guida alpina di Molveno - la neve che è arrivata in primavera si va sciogliendo rapidamente, penso che entro fine mese le Bocchette centrali saranno percorribili. Ci sono molte prenotazioni». Ai rifugi Tuckett e Sella, a 2271 metri all'ombra dei Castelletti «siamo aperti da giovedì - dice il gestore Alberto Angeli - si arriva al rifugio, per chi sale da Vallesinella, senza calpestare neve. Per chi arriva dal Grostè c'è ancora qualche tratto innevato e consiglio ramponcini e bastoni». Come va con l'acqua? «La neve di aprile - maggio ha calmierato l'emergenza, ma bisogna stare sempre molto vigili sui consumi idrici e a breve creare accumuli più consistenti». Al Maria e Alberto a 2280 m ai Brentei, del Cai di Monza gestito dalla famiglia Leonardi si apre domani: «Il sentiero di accesso da Vallesinella è percorribile - dice il giovane Gabriele - nel tratto del vallone innevato abbiamo fatto una larga traccia nella neve. Per ora acqua ne abbiamo, speriamo in bene». Al Giorgio Graffer a 2261 m sotto il passo del Grostè, il rifugio «è aperto da tempo nelle quattro stagioni - dice il gestore Roberto Manni - noi continuiamo a dare un servizio ad escursionisti e alpinisti che in questa parte del Brenta ci sono tutto l'anno ed ora inizia il grosso della stagione con la riapertura degli impianti del Grostè. C'è ancora un po' della neve di aprile e maggio, che ci ha salvati dalla siccità». Il Silvio Agostini a 2410 m in alta Val d'Ambiez Sat è gestito da Roberto Cornella: «Da sabato scorso siamo aperti - dice Cornella - abbiamo fatto delle anteprime per alcuni fine settimana dalla fine di maggio. Al rifugio si arriva senza
calpestare neve, che resiste sopra i 2700 metri». Il Fratelli Garbari a 2500 m ai XII Apostoli, noto per la chiesetta alla base della cima XII Apostoli, dedicata ai caduti della montagna, di cui a luglio si celebreranno i 70 anni. «Sabato - dice il gestore Aldo Turri - saremo aperti, siamo saliti da qualche giorno per preparare. La situazione neve è buona si arriva attraversando solo qualche tratto innevato».Gruppo Adamello Presanella.Al Francesco Denza a 2298 m al cospetto della nord della Presanella, c'è Mirco Dezulian: «Abbiamo aperto - dice - da maggio nei fine settimana. Da giovedì siamo a regime. Neve ne abbiamo, ma si scioglierà presto». Il Segantini a 2373 m in alta val d'Amola. «Abbiamo aperto il primo giugno - dice la gestrice Carmela Caola - La neve c'è solo dai 2500 metri in su per chi sale alla vetta della Presanella». Il Città di Trento ai 2449 m del Mandron, gestito da Davide Galazzini, ha l'incognita della centralina idroelettrica, che in primavera non funzionava perché il lago Scuro si era abbassato di 18 metri ha ripreso a produrre energia elettrica. «Non ho ancora verificato. Il lago si è alzato di un metro, ma è ghiacciato. Con lo scioglimento della neve del suo bacino e del ghiaccio, non tornerà normale, ma dovremo far funzionare la centralina».Lagorai.All'Ottone Brentari ai 2473 m del lago di Cima d'Asta: «Abbiamo aperto da una settimana, - dice Emanuele Tessaro - grazie alla collaborazione di molti volontari del Tesino. È stato un buon inizio e speriamo sia di buon auspicio per quest'estate. Non c'è neve se non negli ultimi 50 metri per l'accesso al rifugio dai lastroni, mentre per la Cima d'Asta è necessaria l'attrezzatura alpinistica: ramponi e piccozza. L'alta via del granito è tutta percorribile con una piccola variante». Il Sette Selle a 2000 m in alta val del Laner è una meta facile da raggiungere in un ambiente particolarmente suggestivo «Il meteo - dice Lorenzo Ognibeni - in questi giorni ci regala tutti i giorni acqua al pomeriggio. Vediamo il lato positivo, recuperiamo dalla siccità».Gruppo del Catinaccio.Al Gardeccia a 1949 m dell'omonima località. «La nostra stagione l'abbiamo iniziata il primo giugno - dice Marco Desilvestro - Fino ad ora il meteo non ci ha aiutati: tutti i giorni abbiamo avuto il nostro acquazzone, ma va bene così, ne avevamo bisogno». Al Principe ai 2.600 m dell'omonimo passo, sono in corso lavori di ristrutturazione, quindi avrà qualche limitazione per tutta la stagione, ma - dice Sergio Rosi - è aperto. All'Antermoia ai 2496 m dell'omonimo lago «Apriamo oggi - dice Martin Riz - in questa settimana abbiamo preparato il rifugio e spalato un po' di neve, che c'è anche sul percorso. Per fare questo tracciato servono scarponi, ramponcini e bastoni». Al Roda di Vael ai 2283 m della Sella de Ciampaz gestito da Roberta Silva, presidente dell'Associazione rifugi del Trentino. «Abbiamo aperto, da tre settimane - dice la Silvanel rispetto di una tradizione di una stagione lunga e che andrà fino a metà ottobre. Le condizioni nevose sono nella media stagionale, che ci permetterà di stare tranquilli per un po' con l'acqua. Ma sono mancate le precipitazioni nevose invernali. Vedremo come va la stagione. Noi rifugisti stiamo dialogando con la Provincia per aumentare le nostre riserve idriche, costruendo nuovi serbatoi. Una buona notizia per tutti è che la fase pandemica è superata e registriamo il ritorno di alpinisti ed escursionisti stranieri, specie tedeschi. E arrivano pure prenotazioni da oltre oceano».Gruppo del SellaAl Boè ai 2873 del Col Turond, c'è lo storico gestore Lodovico Vaia. «Quassù c'è ancora molta neve -ma la stiamo spalando e per domani il Boè è aperto. Stiamo poi sistemando alcune procedure per far funzionare al meglio gli impianti tecnolgici». La linea elettrica dalla val Lasties è attiva. «La linea è stata posata, mancano solo gli allacciamenti e a giorni il Boè sarà collegato alla rete elettrica pubblica».Pale di S. Martino.Al Pedrotti alla Rosetta ai 2578 dell'Altopiano delle Pale, gestito da Mariano Lott, si apre domani: «Abbiamo un pò più di neve rispetto al 2022, ma rispetto alle norma direi che è poca. Siamo pronti per una nuova stagione sulle Pale facendo rete con gli altri rifugi». Al Velo della Madonna a 2333 m alla base dell'omonima cima. «Domani, come le altre strutture in quota delle Pale - dice Elisa Bettega che lo gestisce - apriamo. Il sentiero principale è perfettamente agibile, c'è ancora qualche tratto di neve da attraversare, ma nulla di particolarmente impegnativo». Il Pradidali a 2278 m in val Canali. «Apriamo domani - dice il gestore Duilio Boninsegna - in rete con le altre strutture delle Pale di S. Martino. Venerdì 23, nell'ambito della campagna prudenza in montagna abbiamo in programma un incontro per i nostri ospiti: "Lasciati guidare con il gestore e le guide alpine"».
L’Adige | 16 giugno 2023
p. 11
Cantieri dal Principe al Caré Alto
Al Principe è in corso una ristrutturazione da 900 mila euro: «Abbiamo iniziato i lavori per una ristrutturazione - dice Sergio Rosi, che con il figlio Daniele è proprietario della struttura - e un ampliamento. Passeremo dagli attuali 25 posti letto a 40. Adegueremo i servizi igienici: bagni e docce ed i locali per il personale. Inoltre faremo un ampliamento del magazzino. Preciso, che il profilo del rifugio rimarrà pressoché invariato e sempre rivestito in legno». Però niente teleferica: «Non faremo la teleferica perchè il suo tracciato dovrebbe correre a lato del sentiero e modificherebbe, in negativo, il panorama».Ma non c'è solo il Principe. Molti i lavori in vista in alcuni dei 35 rifugi della Sat. Ce ne parla Sandro Magnoni, presidente della commissione rifugi. «Al rifugio Pernici alla Bocca di Trat abbiamo implementato il fotovoltaico ora ha un picco di 8 Kw e rinnovato la condotta dell'acqua, oltre ad aver rinnovato e a ampliato le cisterne di accumulo, più piccoli lavori per di adeguamento dell'antincendio. Al Fratelli Garbari ai XII Apostoli abbiamo realizzato 3 nuove vasche di accumulo per un totale di 80 mila litri. Faremo poi: la grigliatura dei reflui ed il nuovo locale asciugatura e deposito zaini. Il Segantini alla Presanella diventerà fossil free. Stiamo lavorando per la realizzazione la nuova centralina idroelettrica con la nuova vasca di carico, una nuova condotta forzata ed il locale turbina un nuovo generatore con una potenza di 20 kw. Ne consegue l'adeguamento della cucina il cui funzionamento sarà con l'energia elettrica. Al Dante Ongari al Carè Alto stiamo sostituendo la vecchia teleferica con una nuova, sempre ad un carrello. E' previsto il rifacimento della stazioni: a valle e a monte, la sostituzione di un sostegno e dell'argano». E sui progetti futuri: «Stiamo terminando la progettazione della nuova centralina idroelettrica del Brentari alla cima d'Asta; degli impianti fotovoltaici dell'Antermoia e del Pedrotti alla Rosetta; della nuova centralina idroelettrica del Denza alla
Presanella. Inoltre è in atto l'iter per le autorizzazioni della ristrutturazione del Pedrotti alla Tosa, un lavoro importante che dovrebbe partire nel 2024 e poi si farà il concorso di idee per la progettazione dei lavori al rifugio Graffer al Grostè». U.M.
Corriere delle Alpi | 26 giugno 2023
p. 17, segue dalla prima
Giornata d'assalto (pacifico) ieri, nei rifugi alpini d'alta montagna. «In una domenica come questa, consumiamo dai 2.500 ai 3.000 litri d'acqua», confessa Sebastiano Zagonel, il gestore del Rifugio Mulaz, ai piedi del Focobon, sopra Falcade. Ed ecco il tema del giorno: basteranno le sorgenti in quota e la riserva nivale per evitare la siccità che l'estate scorsa si è manifestata fin da metà luglio, con il ricorso agli elicotteri per i rifornimenti? «Per un mese, quest'estate, probabilmente sì» rispondono Valter e Paola Belenzier, al Rifugio Tissi da 25 anni. Ieri, lassù a quota 2.250, si sono conclusi i festeggiamenti per i 60 del rifugio. Con un concerto di ottoni. E tutti i presenti ad ammirare "la parete delle pareti", quella del Civetta.
C'è ancora un canalone coperto di neve e ghiaccio. «Se qualcuno si fosse mai chiesto come arriva l'acqua al rifugio… ecco, da quasi vent'anni ad ogni inizio stagione un gruppo di ragazzi ogni anno scava metri e metri di neve per attaccare il tubo alla piccola vasca di raccolta» racconta Paola. «Quest'anno abbiamo scavato, con tutte le precauzioni del caso, per ben otto metri, per ritrovare la vasca di raccolta dove attingere». Ma la neve, si sa, con le temperature che si alzano va a sciogliersi. E quindi? «Grazie alla sezione Cai di Belluno sono state interrate, intorno al rifugio, ben sei vasche di raccolta, un intervento messo in cantiere proprio a seguito della siccità dell'anno scorso. Quest'estate, dunque, dovremmo forse cavarcela. La disponibilità immagazzinata è di 120 metri cubi».
Dall'altra parte della parete opera il rifugio Vazzoler. La famiglia Corazza, che lo gestisce, non è preoccupata come lo scorso anno. «Di pioggia ne è arrivata fino a due giorni fa. E l'ultima neve riesce a mantenersi, grazie alle temperature notturne che anche nelle ultime notti si sono mantenute intorno allo zero». Un anno fa una delle due sorgenti s'era inaridita. «Un anno fa? L'estate 2022 la ricordiamo come un incubo – ammette dal Mulaz il gestore Zagonel -, non solo perché ai primi di luglio non c'era il filo di neve, ma anche perché portare l'acqua con l'elicottero ci poteva costare dai 300 ai 400 euro a chiamata e a "rotazione". E, si badi, a causa del caldo, la macchina non era in grado di trasportare più 850 litri al giro». L'acquedotto del Mulaz, come da sempre, attinge dalla neve percolante. E per fortuna in questi giorni i nevai sono ancora abbondanti.
«Quando le scorte cominceranno ad esaurirsi, attiveremo le tre vasche gonfiabili da 50 mila litri. Mi rendo conto che l'impatto visivo è forte, ma qui non possiamo interrare delle cisterne, il costo sarebbe spropositato. In ogni caso, all'interno del rifugio abbiamo un deposito di tremila litri in caso di emergenza» riferisce Zagonel. La stagione è partita da una quindicina di giorni. Siamo sull'Alta Via
numero 2. Tantissimi gli stranieri. «L'avvio, debbo ammetterlo, è stato come una "bomba". La preoccupazione è, appunto, quella di una seconda ondata di siccità».
Sono 38 i rifugi alpini del Cai in Veneto, 54 quelli privati. L'an no scorso il Cai ha promosso un bando, a livello nazionale, con tutte le risorse a disposizione, 300mila euro. Ovviamente è andato esaurito. «La scorsa primavera noi rifugisti temevamo di dover limitare l'apertura estiva, quindi quanto meno non destagionalizzare rispetto alle date classiche di avvio e chiusura, il 20 giugno e il 20 settembre – racconta Mario Fiorentini, del "Città di Fiume", ai piedi del Pelmo, e presidente regionale dell'Associazione dei gestori –Per il momento, invece, di acqua ce n'è, ma, attenzione, in alcuni rifugi è già razionalizzata. Si cerca insomma di risparmio, ad esempio chiudendo i bagni non strettamente necessari».
Il Dal Piaz, sulle Vette Feltrine, l'estate scorsa ha dovuto farsi rifornire con piccole autobotti. Piccole perché la pista forestale di accesso non permette il transito di grossi mezzi.
Il Città di Fiume, nell'alta Val Fiorentina, è al centro di ampi pascoli: le sorgenti non mancano, ma c'è sempre il rischio che le mucche riservino qualche sorpresa. Ecco, dunque, gli uomini del rifugio scendere a valle, quasi ogni giorno, col pick up per fare il carico di grandi taniche. Come dire? «Ci si arrangia».
Francesco Dal MasAlto Adige | 28 giugno 2023
p. 19
Un'estate «calda» anche in alta quota Prezzi alle stelle per rifugi e impianti
davide pasquali bolzano
Un'estate calda in città, un'estate calda anche in alta quota, per il livello raggiunto dai prezzi, sia di pasti e pernottamenti nei rifugi alpini, sia delle corse sugli impianti di risalita. I gestori lamentano costi di gestione sempre più elevati, ma il rischio, concreto, è che una buona fetta della popolazione, specie locale, ora faccia davvero fatica a potersi permettere una giornata in montagna per godersi il fresco e la natura. «Diventerà difficile, per le famiglie», ammette lo stesso presidente dell'Unione albergatori e pubblici esercenti, Manfred Pinzger. Insomma, sempre più turisti internazionali, benestanti, e meno locali?La testimonianzaFra i molti ad essersi accorti di cosa stia accadendo, l'assessore comunale Stefano Fattor, che in un post su Facebook racconta: «Mi ero dimenticato perché una decina di anni fa avevo deciso di non andarci più a fare una passeggiata, ma oggi, causa dolore al ginocchio, l'Alpe di Siusi pareva una meta ideale». Funivia per due persone e un cagnolino, precisa Fattor, 52 euro. «Malga con coda tipo aeroporto e cameriera che alzava la corda per far passare due alla volta. Pasta rossa 14 euro e würstel 11. Pochissime le famiglie, nessun avventore locale (noi a parte)». I sociologi, questa la lettura dell'assessore, «parlerebbero di gentrificazione (anche se si riferisce in genere al contesto urbano) ovvero quel processo in cui si verifica una crescente attrazione verso un'area da parte di persone con redditi più elevati (in questo caso da tutto il mondo) espellendo di fatto chi c'era prima». Gli impiantisti, ricorda Fattor, «tre settimane fa nella loro assemblea si sono lamentati che sempre meno popolazione locale usa gli impianti; chiedetevi il perché».Il punto sui prezziNei rifugi di Cai e Alpenverein si spende meno. Al Bolzano al monte Pez, in cima allo Sciliar, il pernottamento con sacco a pelo costa 50 euro, 40 se soci Cai; chi desidera il piumone paga 60 euro, 50 se socio; per i bimbi sconto di 10; i cani pagano 10; la doccia (finché ci sarà acqua) costa 3,50. Allo Schlernbödele ai piedi dello Sciliar, dormire costa 27 euro, 15 per soci Avs. Un ragazzo ne paga 19 (7). Con colazione si sale a 39 (27) per gli adulti, a 31 (19) per i ragazzi. La mezza pensione è 57 euro (45), la doccia 3.Tutto un altro paio di maniche nei rifugi privati. Al nuovo Passo Santner la mezza pensione in stanza da due costa 95 euro a testa, 190 a coppia; 85 in stanza da 4-6. Bevande escluse. All'Alpe di Tires la mezza pensione in stanza da 2-4 con doccia e biancheria costa 108 euro a testa; 79 euro il prezzo per dormire e colazione. I cani pagano 10 euro. Sconto del 20% per gli under 12. Non ci sono sconti per soci Cai, Avs, residenti in provincia, over 65. Idem accade sugli impianti di risalita (si veda sotto), dove invece esiste una scontistica per i turisti che soggiornano in valle.Costi esplosiI due rifugi privati citati sopra costituiscono solo un esempio, ma assolutamente pertinente, dato che sono gestiti dalla stessa società, che fa capo al presidente dei rifugisti privati in seno all'Hgv, Stefan Perathoner. Il quale non si nasconde certo dietro a un dito: «Tutti noi stiamo facendo i conti, ognuno per conto proprio. Vediamo che la carne è aumentata del 20%, la frutta e la verdura più o meno altrettanto, l'energia costa quel che costa. Con gli aumenti dei prezzi praticati l'anno scorso, circa il 10%, non siamo riusciti a coprire i rincari reali dei costi di bevande e alimenti, e men che meno dell'energia. Quest'anno abbiamo ritoccato di un ulteriore 5-10%». Una necessità di bilancio. «Altrimenti lavori tutta l'estate e chiudi a zero. Lo puoi fare un anno, non di più». Poi tocca chiudere. A pesare sono anche i trasporti in quota, sempre più cari. «Con la guerra in Ucraina è rincarato tutto: gasolio, gas, corrente». Solo nel 2022 c'è stata un'inflazione del 12%, «mentre i nostri aumenti sono stati circa del 10%. Non abbiamo di certo raddoppiato i prezzi o peggio». Qualcuno, va oltre, «l'anno scorso ci ha rimesso e ha dovuto tirare i prezzi un po' di più quest'anno». In tutto ciò, in questo inizio stagione mancano un poco i germanici, ma va a gonfie vele con gli americani e gli asiatici. «Non so dire se siano ricchi o meno», conclude Perathoner, il quale fa notare che i turisti italiani e locali non paiono mancare.L'ipercosto del personaleI rincari delle materie prime, fa notare il presidente Hgv Manfred Pinzger, hanno inciso più dell'inflazione, stiamo parlando circa del 2030%. Ma non c'è solo questo. «Mancano collaboratrici e collaboratori». Specie nei rifugi in quota, dove si lavora lontani da casa, sette giorni su sette. «Come in molti altri settori manca personale», e quello che accetta di lavorare in quota «non lo possiamo certo trattare in base agli accordi nazionali». Tradotto: per attirare collaboratori, occorre pagarli di più. Anzi, molto di più. Questo ovviamente si
ripercuote sui costi di gestione e a cascata sui prezzi al consumo. Pinzger se ne rende perfettamente conto: «Da una parte fornire i servizi che offriamo ci costa, per cui dobbiamo adeguare i prezzi; dall'altra parte sono pienamente d'accordo: per le famiglie diventerà molto difficile». Questo però, a detta del presidente, «non dovrebbe succedere. Dobbiamo trovare delle soluzioni. Noi dobbiamo rispettare il nostro ruolo sociale: possiamo fare turismo e gastronomia solo con il consenso della popolazione locale. Dal nostro punto di vista deve rimanere più netto in busta paga, per consentire a tutti di partecipare alla vita». Secondo Pinzger ora è il momento di trovare immediatamente delle soluzioni a livello nazionale: «Sono pienamente d'accordo che agli operai, ai lavoratori, alle famiglie, resti più netto in tasca. Sarà fondamentale intervenire sulle imposte, in squadra, e lo dico come vicepresidente nazionale di Confcommercio. A Roma stiamo trattando con i sindacati su questi punti particolari».Rincari sugli impianti di risalitaPer quanto riguarda gli impianti, ottenere un quadro completo è estremamente difficile, perché ogni comprensorio agisce a modo suo. Come cartina di tornasole ci si può però rivolgere al Dolomiti Superski. Il direttore Marco Pappalardo spiega: «Per il prossimo inverno a marzo abbiamo già anticipato che ci sarà un rincaro medio dell'8%. Per l'estate abbiamo due card, una pensata per chi con la bike si dedica ai trail, l'altra per gli escursionisti, anche se d'estate la maggior parte dei turisti prende andata e ritorno per un solo impianto al giorno». Gli aumenti? «Ci sono stati, ma in linea con l'inflazione o anche inferiori. Il giornaliero è passato da 51 a 55 euro, la nostra card 3 giorni su 4 è salita da 113 a 120 euro, quella 5 su 7 giorni da 150 a 160, lo stagionale da 370 a 390. I punti, che contrariamente a skipass e card sono cedibili, sono invece rimasti invariati».
Alto Adige | 29 giugno 2023
p. 19
Cai e Avs: «Nei nostri rifugi prezzi a misura di famiglia»
Bolzano
Prezzi insostenibili, nei rifugi alpini e sugli impianti di risalita altoatesini in questa estate 2023. Il presidente Hgv Manfred Pinzger ha ammesso: «Per le famiglie diventerà molto difficile». Si rischia che il turismo diventi d'élite. Cai e Alpenverein Südtirol concordano in pieno e invitano da una parte gli escursionisti a frequentare i loro rifugi, le cui tariffe sono ancora a misura di famiglia, e dall'altra chiedono alla Provincia di intervenire sugli impiantisti perché, almeno per i residenti, le tariffe vengano calmierate.«In certi rifugi privati - commenta il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella - non ti fanno solo dormire, devi per forza pagare la mezza pensione, come al Santner, a 95 euro a testa. I rifugisti privati sono sovvenzionati e poi fanno quello che vogliono, non è molto rispettoso verso gli altri rifugi. Noi, fra Cai e Avs, riceviamo solo 600 mila euro l'anno per la manutenzione di ben 25 edifici. Ora la Provincia ha stanziato 10 milioni per i prossimi 10 anni per i lavori più grossi e dobbiamo dire un bel grazie al presidente Arno Kompatscher. Ma son soldi che se ne vanno in fretta».Nei rifugi Cai e Avs, «tutto l'incasso viene reinvestito nelle strutture, non lucriamo. I privati giustamente vogliono guadagnare ma sinceramente non riusciamo a capire come facciano: queste megastrutture... noi facciamo fatica a tirare a campare. Al Santner pare si stia già pensando a una ferrata per cima Catinaccio, vanno avanti come rulli compressori». Sulla questione impianti cari, Zanella racconta: «Si parla tanto di mobilità sostenibile, ma poi se da Selva vuoi salire al Sella in quattro ci lasci 100 euro, mentre con 10 di benzina e altrettanti di parcheggio te la cavi». Non molti, gli impianti in provincia dove ti fanno lo sconto Cai o Avs o residenti o over 65. Manca una politica comune. A parere di Zanella, la Provincia dovrebbe dare un segnale preciso: «Anziché finanziare nuovi impianti, riducano i biglietti, quanto meno per i residenti. Ci si lamenta che i locali non frequentano più certe località; per forza, con quello che costa». Zanella trova che l'Alto Adige sia diventato troppo caro: «C'è il rischio di perdere turisti. E poi molta gente comincia a stufarsi di questi piatti chic in quota. Non dimentichiamoci che in Alto Adige il turismo è nato nei rifugi, nelle malghe, nelle pensioncine, nei garnì. Oggi solo 4-5 stelle. Per forza che al massimo la gente rimane tre giorni, di più non se lo può permettere. Non si può pagare un piatto di Schlutzkrapfen 13 euro, una birra 5-6 euro». Numerosi gestori dei rifugi Cai si sono già lamentati coi vertici associativi, «perché viene loro imposto un prezzo calmierato per la pasta, mentre gli altri praticano tutt'altri prezzi». Secondo Zanella sui rifugi c'è poco da fare, sugli impianti occorrerebbe un intervento della politica: «Non trovo giusto soprattutto che le funivie vengano sovvenzionate dalla mano pubblica e poi si tengano gli incassi». È una sorta di questione morale: gli altoatesini contribuiscono, ma poi non ne traggono vantaggi diretti, che hanno invece spesso gli ospiti, grazie alle card turistiche e annessa scontistica. Zanella propone: «Facciamo lo sconto ai residenti, anziché sovvenzionare nuovi impianti. Si mettano a disposizione dei fondi, facendo dimezzare i prezzi dei ticket agli impiantisti; la differenza la pagherà la Provincia. Nessuno contesterebbe: gli impiantisti non ci perderebbero, la gente viaggerebbe più volentieri, l'ambiente ci guadagnerebbe e l'ente pubblico spenderebbe sicuramente molto meno di oggi».Sui rincari interviene anche il presidente dell'Alpenverein Südtirol, Georg Simeoni: «Sui prezzi dei rifugi posso solo dire che nelle strutture Avs e Cai i prezzi sono giusti, vengono aumentati il minimo indispensabile. Sono ancora a misura di famiglia». Gli altri rifugi, quelli privati «possono ovviamente fare quello che vogliono. L'unico suggerimento che possiamo dare è invitare gli escursionisti ad evitare i posti costosi e a venire da noi. Di più non possiamo fare». Si è anche tentato, di fare di più, ma pare abbia pesato l'opposizione dell'Hgv: «Avevamo chiesto che anche i rifugi della Provincia adottassero i nostri prezziari, quelli dei club alpini che valgono sull'intero arco alpino, ma i rifugisti Hgv si sono opposti, dicendo che così si sarebbe fatta concorrenza "sleale" ai privati».Per quanto riguarda gli impianti di risalita, così Simeoni, «abbiamo tutti quanti i nostri bei problemi. La Provincia dovrebbe venire incontro ai sudtirolesi, obbligando gli impiantisti ad adottare dei prezzi calmierati. Sarebbe il caso di cominciare a pensare anche ai locali, non solo ai turisti». Qualcuno fa ben degli sconticini, anche se spesso bassi, per residenti, soci Avs o Cai, manca però una politica omogenea. «Gli impiantisti ricevono sostanziosi contributi», tiene a rimarcare Simeoni. Sui contributi provinciali agli impiantisti
per calmierare i prezzi il presidente Avs sarebbe d'accordo, «ma soprattutto non vedo il motivo di prezzi così alti per gli impianti di risalita». DA.PA
Gazzettino | 29 giugno 2023
p. 8, edizione Belluno
Sentinella di vallata: il Dal Piaz fa 60 anni
Di vedetta sulla vallata feltrina. Sin dalla sua inaugurazione avvenuta il 22 settembre 1963, quest'anno si festeggiano i suoi 60 anni di attività, il Rifugio Giorgio Dal Piaz sulle Vette feltrina è meta di moltissimi escursionisti. Ogni anno sono in migliaia a scegliere durante la stagione questo rifugio tranquillamente abbarbicato a una quota di 1993 metri sul livello del mare. Arrivarci è facile, ma si tratta sempre di montagna e ogni precauzione va presa quando si sale. L'accesso è semplice attraverso sentiero o strada sterrata, diverse le distanze, rimangono comunque da colmare i mille metri di dislivello dal punto di partenza di Croce d'Aune fino alla porta della struttura pochi passi prima della forcella delle Vette Grandi. Dallo scorso anno il rifugio ha nuovi gestori: Giorgio Da Rin Puppel Gadetta e Stefania Da Rin Bettina. Per il resto, bellezza del luogo compresa, tutto è rimasto uguale e pronto ad accogliere chi sale al rifugio o chi vi arriva attraverso percorsi alternativi.
LA STRUTTURA
Dal 1. giugno il rifugio è aperto tutti i giorni e fornisce, come tutte le strutture in quota, il servizio necessario. «Tutti i giorni - spiega Stefania Da Rin, che aiuta nella gestione il compagno Giorgio - siamo aperti al pubblico. Il rifugio è una struttura di accoglienza e su questa base mettiamo a disposizione la cucina e il servizio per il pernotto che va prenotato, salvo in caso di reale necessità. Ci sono, come in tutti i rifugi, posti letto per emergenze». I posti letto a disposizione sono 22 e ogni tipo di informazione si può avere attraverso il numero di cellulare 345 3562326 oppure usando la mail info@rifugiodalpiaz.com. Viene sottolineato anche il grande aiuto fornito nel "mandare avanti" la struttura dato da Ambra, una sorta di braccio destro.
Chi arriva al rifugio troverà tutti i giorni aperta la cucina che propone piatti realizzati con prodotti locali, lo spiega la gestrice: «Abbiamo fatto una scelta importante per la nostra proposta di cucina. I prodotti che vengono utilizzati per la preparazione sono tutti locali: farina e orzo dell'Azienda agricola e biologica Luciano Fagherazzi di Sedico, legumi della Società agricola Gesti alpestri di Vignui, speck e salumi dell'Azienda agricola Tenuta delle Alpi di Colderù, le carni dell'Agriturismo Cascina Dolomiti di Cesiomaggiore, formaggi e sopressa dell'Agriturismo casera dei boschi del Monte Avena, carni della Valcarne di Pedavena e schiz, yogurt e formaggi di Matteo Vettorata dell'Azienda agricola Lamen. Non manca la Birra Pedavena». Un occhio di riguardo alla natura: «Mettiamo a disposizione dei clienti prodotti naturali come succhi di frutta e dolci fatti in casa. Anche i piatti sono compostabili, questo ci permette anche di ridurre lo spreco di acqua».
I SENTIERI
Ci sono svariate possibilità per salire al rifugio. Quelle più classiche prevedono la salita lungo la strada militare realizzata durante la Grande guerra con una lunghezza di circa 11 chilometri oppure sul sentiero con segnavia Cai numero 801 con lunghezza di poco inferiore ai 5 chilometri. Dal rifugio le escursioni sono molte: la Busa delle Vette, il Monte Pavione o l'attraversata delle Vette Feltrina dal Dal Piaz al rifugio Boz e altro ancora. Stefania Da Rin conclude: «Ringrazio il Cai di Feltre, proprietario della struttura, il suo presidente Renzo Zollet che con la sua squadra è sempre presente e ci aiuta a risolvere ogni piccolo problema che come gestori incontriamo. Sarebbe molto difficile se non ci fosse una realtà come la loro». Ancora de definire nel dettaglio il programma della festa prevista per il 60. di fondazione, ma il presidente Zollet anticipa che comunque prima della chiusura invernale qualcosa lassù si farà.
Daniele MammaniAlto Adige | 11 giugno 2023
p. 23
Rifugio Santner, Bandiera Nera di Legambiente
Bolzano
Ogni anno Legambiente assegna Bandiere Verdi e Bandiere Nere a progetti particolari per l'impatto positivo e negativo sull'ambiente: Alla Provincia di Bolzano viene rimproverata la vendita di un terreno sul Catinaccio e l'ampliamento del rifugio di Passo Santner. Invece, la più grande organizzazione ambientalista italiana elogia l'iniziativa di Baumgart per la valorizzazione dei frutteti
altoatesini.Nell'ambito della campagna Carovana degli Alpi, ogni anno vengono premiati progetti particolarmente lodevoli ed esemplari, per la salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio, e iniziative particolarmente incoraggianti nell'arco alpino italiano. Legambiente premia per l'anno 2023 l'iniziativa Baumgart in Alto Adige. Viene portata avanti da otto organizzazioni molto diverse tra loro: Bioland Alto Adige, Federazione dei Protezionisti Sudtirolesi, Eurac Research, Heimatpflegeverband, Gallo Rosso (Südtiroler Bauernbund), Sortengarten Südtirol, Museo della Frutticoltura dell'Alto Adige e Ufficio Natura della Provincia autonoma di Bolzano. L'obiettivo dell'Iniziativa Baumgart è quello di valorizzare nella nostra provincia la frutticoltura sparsa nei prati, in tutte le sue sfaccettature, in termini di valore culturale, culinario, estetico, economico ed ecologico. L'Iniziativa Baumgart, ad esempio, seleziona i frutteti sparsi più belli della provincia e fornisce consulenza ai comuni e ai privati.Quest'anno Legambiente assegna anche una Bandiera Nera alla provincia di Bolzano. La Bandiera Nera è sinonimo di attacco all'ambiente, al paesaggio e di scarsa lungimiranza. Secondo Legambiente la vendita a privati di un terreno di 900 metri quadrati sul Catinaccio e l'ampliamento del rifugio al Passo Santner sono esempi così negativi da far meritare una bandiera nera alla provincia di Bolzano. Il vecchio rifugio è stato demolito e ricostruito circa otto volte più grande. Inoltre la Provincia ha concesso un contributo di fondi pubblici di quasi 900.000 euro. L'anno scorso la Bandiera nera era stata assegnata congiuntamente alla Provincia di Bolzano e alla Tierser Seilbahn SpA, per il collegamento funiviario da Tires alla malga Frommer (nel Comune di Nova Levante). Fin dall'inizio, la Federazione Ambientalisti Alto Adige, l'Avs, il Cai Alto Adige, l'Heimatpflegeverband e Mountain Wilderness avevano criticato con forza la costruzione della funivia denunciando un danno all'ambiente e al paesaggio ai piedi delle Dolomiti, patrimonio naturale dell'umanità dell'Unesco. Inoltre, le associazioni hanno criticato il finanziamento di undici milioni di euro da parte della Provincia, ritenendolo uno spreco di denaro pubblico e un contributo incomprensibile per un operatore privato. DA.PA
Alto Adige | 15 giugno 2023
p. 22
Guide alpine: stop ai rifugi di lusso e ai nuovi impianti
Bolzano
Assalto indiscriminato alla montagna, a partire dalle due Bandiere nere ricevute per il Catinaccio, l'anno scorso per la nuova funivia di Tires, quest'anno per il nuovo rifugio Santner.Le guide alpine dicono stop. L'Associazione delle guide alpine sciatori dell'Alto Adige richiama l'attenzione sulla tendenza a un massiccio ampliamento delle infrastrutture nelle montagne altoatesine, soprattutto nelle Dolomiti. «Comprendiamo che la modernizzazione sia necessaria, ma non c'è motivo di espandere rifugi e impianti di risalita ben oltre il necessario, anche perché le nostre montagne sono un'area particolarmente sensibile», afferma il presidente Thomas Zelger. Inoltre, nella maggior parte dei casi le ragioni per le nuove costruzioni sono prevalentemente private, «ma vengono poi finanziate in larga misura da noi cittadini», dice il presidente delle guide alpine.«La tendenza verso la montagna e la natura è evidente e fondamentalmente positiva; anche per noi guide alpine e accompagnatori di media montagna, che ne traiamo un certo beneficio», sottolinea Zelger.Ma anche in questo caso ci sono dei limiti alla crescita e rispondere alla tendenza all'outdoor con rifugi più grandi, nuovi impianti di risalita e nuove vie ferrate, è la strada sbagliata e attira in montagna un numero maggiore di persone, tante completamente inesperte. «Le conseguenze sono parcheggi, rifugi, vie ferrate e sentieri affollati», afferma il presidente delle guide alpine, il quale pronostica che a un certo punto sarà necessario adottare misure per regolamentare l'accesso agli hotspot. «Ce lo dimostrano già i parchi nazionali negli Stati Uniti, dove ciò funziona», dice Zelger.Le guide alpine altoatesine riconoscono il fatto che le infrastrutture stiano invecchiando e debbano essere adattate alle esigenze attuali. «Anche noi apprezziamo e utilizziamo rifugi e impianti di risalita», afferma Zelger. «Per questo è importante creare condizioni ottimali per i gestori dei rifugi, affinché possano svolgere il loro lavoro».Gli esempi attuali nell'area del Catinaccio o la discussione sul rinnovo dell'impianto di risalita della Forcella del Sassolungo mostrano però che la tendenza va in un'altra direzione. «Non è accettabile che i rifugi vengano ampliati in modo massiccio e dotati di tutti i lussi con il pretesto della ristrutturazione, e che le modernizzazioni tecniche degli impianti di risalita vengano usate come pretesto per costruire impianti completamente nuovi, sempre più grandi e massicci», dichiara il presidente. Per Zelger la richiesta che ne segue è semplice: «Sì a una modernizzazione moderata, no al sovradimensionamento e al lusso! Le montagne sono un bene comune e non appartengono ai privati».Gli ultimi progetti infrastrutturali sulle montagne dell'Alto Adige dimostrano inoltre che non si tiene conto né della necessità alpina né delle conseguenze quando si concedono le autorizzazioni. «Si parla sempre di sostenibilità, ma questa non sembra essere un argomento quando si tratta di interventi massicci nel paesaggio alpino», afferma Zelger. Con esplosioni, trivellazioni e massicci movimenti di terra il paesaggio alpino viene rimodellato in modo permanente, sono necessari centinaia di voli in elicottero durante la costruzione e in seguito per i rifornimenti, l'infrastruttura attira altre masse in un habitat sensibile che sta cambiando e la crescente carenza d'acqua è un problema che viene ignorato.Anche quello che resta dei lavori di costruzione è diventato un problema per le montagne, dice Zelger. «Anche se è stato assicurato che saranno rimossi, i piedi della Croda di Re Laurino e la parete stessa, ad esempio, sono ancora inquinati da rifiuti e scarti di costruzione che sono stati spazzati via dal vento quando è stato costruito il rifugio nel Gartl», spiega il presidente delle guide alpine dell'Alto Adige, che chiede quindi che la sostenibilità - sia alpina che ecologica - diventi il criterio più importante nell'approvazione dei progetti infrastrutturali in montagna. «Se non lo
facciamo, causeremo danni permanenti e irreparabili alle nostre montagne», dice Zelger, che conclude: «Conservare e rinnovare, ma non espandere! Le risorse e il paesaggio hanno una capacità di carico limitata, abbiamo raggiunto il limite da tempo». DA.PA
Elicottero taxi? In tre anni fatture per 1,3 milioni di euro, ma il 30% non paga e il recupero crediti è un'impresa quasi impossibile. Il caso sollevato nell'agosto scorso da Il Gazzettino, è stato al centro di una interrogazione del consigliere regionale del Pd Veneto, Andrea Zanoni (nella foto), che ha ottenuto una risposta scritta dalla giunta regionale, in cui vengono forniti i dati che danno una fotografia di quanto accaduto negli anni 2020, 2021, 2022. «Ammontano a 404mila euro - fa sapere il consigliere Zanoni - i mancati introiti registrati nel triennio 2020-2022, derivanti dal pagamento degli interventi di soccorso nelle montagne venete da parte di chi viene salvato. Un buco pari al 30% del fatturato totale e che vede insolventi tanto i cittadini italiani (per oltre 141mila euro) quanto quelli esteri (per quasi 263mila euro). Un problema che va urgentemente risolto».
IL RECUPERO CREDITI
La Regione ha spiegato che «per il recupero delle insolvenze nei confronti dei cittadini italiani è stato mandato un sollecito e in caso di mancato pagamento, la riscossione sarà affidata a una società di recupero crediti individuata con apposita gara». Per gli stranieri invece «è stato inviato sollecito con raccomandata A/R per l'estero e in caso di mancato pagamento si valuteranno tutte le possibili opzioni per il recupero del dovuto compatibilmente con i costi che tale procedura comporta». L'esponente dem sottolinea che «dalla risposta della Giunta emerge una sostanziale impossibilità di procedere al recupero dei crediti. Per quanto riguarda gli italiani viene annunciato che verrà indetta una gara per incaricare una società di riscossione. Cosa che lascia perplessi perché era lecito attendersi fosse già stata fatta». Zanoni ritiene «necessario rivedere i meccanismi di pagamento. Questo prevedendo in primis di imporre un versamento immediato, almeno parziale rispetto al totale ma comunque sostanzioso. In questo modo si riuscirebbe a limitare i danni e a sconfiggere questa forma di evasione».
I COSTI
Va ricordato che per gli interventi non sanitari in montagna, ovvero in assenza di ricovero si paga l'uso dell'elicottero da 86,76 al minuto, fino a un massimo di 7.500 euro. Con sole squadre a terra la spesa è di 200 euro per ciascuna squadra (fino a tre soccorritori), ai quali vanno sommate 50 euro per ogni ora aggiuntiva di operazioni oltre la prima per ciascuna squadra, fino a un importo massimo di 1.500 euro. La giunta rileva nella risposta che nonostante gli insoluti (per l'esattezza il 30,48%) «le tariffe applicate agli utenti (diverse per i cittadini italiani, residenti in Veneto e cittadini stranieri) tengono in considerazione i costi complessivi del servizio e in ogni caso gli importi incassati dall'Azienda coprono interamente i costi vivi sostenuti per le ore di volo dell'elicottero necessarie per l'esecuzione delle missioni in oggetto»
I DATI
I dati riportano che nel 2020 sono arrivate fatture per l'elicottero a italiani per euro 360.777,00, stranieri per euro 247.844,00 (totale 608.621,00) Nel 2021: italiani euro 141.783,00, stranieri euro 174.620,00, totale 316.403,00. Nel 2022: italiani euro 275.042,00 stranieri euro 125.225,00 totale 400.267,00. Del totale di 404.630,00 euro di insoluti 262.946,00 euro sono dovuti da escursionisti stranieri (il 65% del totale). «Relativamente alle insolvenze degli stranieri (per il 30% provenienti dalla Germania) la sensazioneprosegue Andrea Zanoni - è che si alzi bandiera bianca. Infatti viene spiegato che per il recupero mancato anche dopo sollecito verrà valutato il costo delle procedure da attivare. Come a dire che non conviene».
GLI INTERVENTI
«Si tratta di interventi del Soccorso Alpino e Speleologico che, quando il trasportato risulta illeso, sono a carico totale dell'utentericorda in conclusione il consigliere dem -. Le cause che determinano l'esigenza di soccorso sono dovute a cadute (36,2%), perdita di orientamento (28%) o malori (11,5%). Mentre, per quanto riguarda le attività in cui erano impegnate le persone soccorse, balza in testa l'escursionismo (50%), seguito da alpinismo, sci in lista ferrate e mountain bike, voci comprese tutte tra l'8 e il 6%»
Olivia BonettiAlto Adige | 25 giugno 2023
p. 21
Soccorso Alpino, un'altra estate calda bolzano.
Con l'arrivo del sole e del caldo, anche le montagne altoatesine si sono riempite di escursionisti. E contemporaneamente, è salito il numero degli interventi del Soccorso Alpino Alto Adige. Lo scorso weekend sono stati una decina, tra Trafoi, l'Alta Badia, Merano,
Bressanone e Funes. Il personale delle 21 stazioni di soccorso alpino e della stazione di soccorso speleologico è pronto ad affrontare un'estate "caldissima". Conclusa la stagione invernale, infatti, uomini e donne del Cnsas hanno iniziato l'addestramento in vista dei mesi caldi. Si tratta di 615 soccorritori alpini volontari e guide alpine di madrelingua tedesca, italiana e ladina, suddivisi in 44 aspiranti, 312 soccorritori, 100 tecnici di elisoccorso, 38 medici, 22 istruttori, 8 unità cinofile e 91 soci non operativi/emeriti. «A livello nazionale, nel 2022 - rivela Giorgio Gajer, che del soccorso alpino altoatesino è il presidente - ben il 50 per cento dei 10.367 interventi del Cnsas si è concentrato nei mesi di giugno (9.5%), luglio (14.6%), agosto (16%) e settembre (10,1%). L'attività più praticata dagli infortunati è stata l'escursionismo (50,2% dei casi), cui segue proprio la mountain bike (9,0%). Quest'ultima ha un trend in forte crescita negli ultimi cinque anni, in particolare le biciclette favorite dalla pedalata assistita. Consentono anche a chi non ha una grande preparazione di raggiungere zone particolarmente impervie, che non riuscirebbe mai a raggiungere con una bici normale».Un'impreparazione che, troppo spesso, non è solo fisica. Ancora molte persone, infatti, continuano a salire in montagna senza l'attrezzatura adatta, cimentandosi su sentieri o tracciati fuori dalla loro portata, senza un'attenta programmazione, iniziando l'escursione all'ora sbagliata, senza verificare le condizioni meteo o incapaci di capire quando è il caso di fermarsi e tornare indietro. C'è poi chi non ha grande dimestichezza con la montagna, ma, rapito dalla bellezza dei panorami, ignora i pericoli che essa nasconde anche in situazioni apparentemente non rischiose e in zone "alla portata di tutti". «Come sempre - prosegue Gajer - noi cerchiamo di promuovere nei riguardi dei tanti frequentatori della montagna il giusto equilibrio tra passione e prudenza, rimarcando che la sicurezza assoluta non esiste, ma l'incolumità deve essere ricercata attraverso la responsabilità personale. In occasione dei nostri tanti interventi di soccorso emerge la scarsa percezione dei rischi, in particolare da parte di chi ha poca esperienza anche su terreno facile». Soccorso Alpino, chi sono? E quando scatta l'allarme, si muovono gli specialisti del Soccorso Alpino. Chi sono queste persone? «Parlando dei nostri volontari - continua Gajer - voglio ricordare che il percorso per far parte del Cnsas è molto impegnativo. Dedicano una parte importante del loro tempo non solo agli interventi, ma anche alla formazione, agli addestramenti, ai numerosi aggiornamenti. Noi siamo sempre alla ricerca di nuovi volontari anche se questo non è facile. I giovani, e non solo loro, vanno motivati e seguiti non solo dal punto di vista tecnico, ma rendendoli consapevoli del fatto che offriamo a loro un grande patrimonio ricco di valori, obiettivi e conoscenze. Dal loro impegno e passione avranno in cambio un qualcosa di inestimabile: portare soccorso alle persone. Che è il valore più grande».
Corriere delle Alpi | 8 giugno 2023
p. 14, segue dalla prima
Il Fondo comuni confinanti resta a Belluno Calderoli conferma l'uscente Dario Bond
Un altro mandato per Dario Bond. È annunciata per oggi la firma del ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, per la nomina di Bond quale suo delegato a presiedere il Comitato paritetico del Fondo dei Comuni Confinanti. Dopo una lunga attesa, dunque, è finalmente giunto il momento di tornare alla piena operatività per il Fondo che, dopo l'insediamento del governo Meloni, era rimasto in stand-by con la possibilità di operare solo per l'ordinaria amministrazione.
In questi mesi c'è stata un'ampia interlocuzione politica sulla presidenza (delegata) del Fondo, che in molti avrebbero voluto portare fuori dal Bellunese. L'ipotesi di un esponente lombardo ha tenuto banco a lungo, così come sembrava altamente probabile che la nomina sarebbe andata ad un leghista, visto che in passato tutti i presidenti sono stati direttamente collegati all'appartenenza del ministro competente. Lo stesso Dario Bond fu nominato dal ministro Mariastella Gelmini, quando entrambi erano ancora nelle file di Forza Italia e così fu per i Dem Roger De Menech e il leghista Paolo Saviane. Inoltre, ma non è una regola, in passato sono stati nominati dei membri del Parlamento, mentre Bond non è più a Roma.
Con tutta evidenza, nella trattativa ha avuto la meglio Fratelli d'Italia, il partito al quale Bond si è avvicinato dopo aver lasciato gli azzurri, e negli ultimi giorni è arrivata la decisione.
Ad annunciarla è stata proprio il ministro Calderoli, ieri pomeriggio, dopo aver presieduto una seduta del Comitato paritetico per la gestione dell'intesa sul Fondo Comuni Confinanti: «Ho convocato il Comitato per procedere allo sblocco immediato delle risorse destinate ai 48 Comuni lombardi e veneti che confinano con i territori delle Province Autonome di Trento e di Bolzano. Saranno disponibili un totale di 24 milioni, ben 500.000 euro per ciascun ente. Un supporto doveroso che proseguiamo convintamente, nell'interesse dei Comuni e dei cittadini che vi abitano», ha dichiarato il ministro, che in seguito all'approvazione della delibera e in conclusione della riunione ha altresì anticipato che oggi procederà alla nomina di Dario Bond quale suo delegato a presiedere il Comitato.
La conferma di Bond è una buona notizia per i Comuni bellunesi di confine, non solo perché la presidenza resta in provincia, ma anche per la conoscenza che l'ex deputato ha del Fondo, dei suoi meccanismi e dei progetti da portare avanti.
«È un bene che sia nominato ancora un bellunese. E un bene che sia una persona che conosce le dinamiche del Fondo, dato che Bond ha lavorato con schiettezza e competenza nell'ultima presidenza Fcc», dichiara il consigliere provinciale delegato al Fondo, Mario De Bon. «Il territorio bellunese ha nel Fondo Comuni Confinanti una risorsa importante ed è doveroso utilizzarla nella maniera più efficace possibile. Proprio per questo speriamo che il confermato presidente Bond convochi al più presto una riunione del Comitato
per affrontare i tanti temi ancora fermi. Ci si chiede però che senso ha avuto aspettare 6/7 mesi per confer mare in ruolo la stessa persona: misteri romani».
Corriere delle Alpi | 9 giugno 2023
p. 18
Bond: «Più benefici per tutti i territori Solo così potremo rivedere le regole»
l'intervista
Irene Aliprandi
È stato firmato ieri il decreto di nomina di Dario Bond, confermato alla guida del Comitato paritetico del Fondo Comuni Confinanti in qualità di delegato del ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli. Nel darne comunicazione a Bond, il ministro ha incoraggiato a una ripartenza immediata dell'operatività del Fondo, anche se formalmente dovrebbero passare 20 giorni.
Presidente Bond, la sua nomina non era per niente scontata, anzi, e per la provincia di Belluno è una buona notizia, ma gli altri territori non si sono messi di traverso.
«Sì, è la conferma di un lavoro apprezzato perché fatto con il cuore per il territorio, senza guardare le appartenenze politiche. In questi anni ho avuto tante soddisfazioni anche dai sindaci del veronese e del vicentino. Non dovrei dirlo io, ma credo che stavolta non saremmo riusciti a riportarci a casa questa presidenza senza un lavoro ben fatto».
In questi mesi molti hanno lamentato il ritardo nella nomina, ipotizzando che non fosse considerata importante, è così?
«No. Ho trovato in Calderoli un ministro esperto che conosce bene il fondo, anche perché lo ha creato lui assieme all'ex ministro Brancher. Calderoli sa di cosa si parla, conosce le dinamiche del fondo, capisce i territori sia i nostri sia quelli autonomi e sa quanto sia importante un accordo fra tutti. Le cose che si fanno devono avere un riverbero anche nelle zone autonome con un meccanismo che porti beneficio reale anche ai comuni confinanti di Trento e di Bolzano».
Considerate le tensioni emerse qualche mese fa, questo beneficio reciproco è anche un modo per far sopravvivere il Fondo il più a lungo possibile?
«Creare condizioni di beneficio anche per loro è una garanzia in più per il fondo ma su questo c'è una partita aperta secondo me. Nel momento in cui si realizzerà il progetto di autonomia differenziata, ormai depositato in Parlamento e spinto dal governo, cambierà tutto anche dal punto di vista delle attuali differenze tra una zona autonoma e una zona non autonoma, sia dal punto di vista della disponibilità finanziaria che dei modelli di sviluppo. Il fondo ha sicuramente un orizzonte, ma essendo legato ad un obiettivo di armonizzazione delle risorse finanziarie tra territori diversi, prima o poi sarà meno determinante. Il concetto di autonomia è lasciare che i territori facciano le cose che sanno fare bene e sulle quali hanno esperienza diretta. Molto spesso lo stesso servizio ha un costo differente a seconda di chi lo eroga e quella differenza deve aiutare a dare ulteriori servizi ai cittadini. Noi viviamo in una Regione che ha già una grossa esperienza e con l'autonomia dovrebbe migliorare parecchio perché avremo più risorse».
Lei parla dell'importanza dei servizi, ma il fondo può fi nanziare solo investimenti in conto capitale. È possibile un cambiamento?
L'esperimento di Unico Studenti va considerato chiuso?
«Bisogna inventare modelli di utilizzo del denaro utili a noi ma anche alle zone a statuto speciale. Mettiamoci a lavorare su questo tema, credo ci possa essere una nuova sperimentazione in un ragionamento ancora più ampio perché altrimenti non sta in piedi». Il suo primo incarico risale al 2021, quali sono state le problematiche maggiori in questi due anni?
«I tempi morti delle procedure per la messa a terra dei progetti, la burocrazia e l'impossibilità di aumentare il personale nei Comuni, costretti a una gran mole di lavoro. Ma abbiamo assistito anche a dei cataclismi: 6 – 7 mesi fa ci siamo trovati con un 30% in più dei prezzi su un'opera di un anno prima e abbiamo dovuto creare elasticità nell'utilizzo dei 500 mila euro assegnati ai Comuni di prima fascia. C'è stato il rischio che le opere avviate non venissero finite. Ci si è trovati in una coincidenza astrale tra Pnrr, bandi regionali e nazionali e Fondi di confine con un riparto sostanzioso, ma che ha messo a dura prova gli uffici. Nel prossimo futuro dovremo essere più pronti nell'individuare le priorità, perché opere ferme da troppo tempo forse non hanno più senso. Ad esempio, bisogna capire se una scuola da 10 milioni di euro serve ancora. Parlo della scuola di Lamon, che ha tanti soldi impegnati ancora sui fondi Odi. Il Comune è andato avanti, ha fatto progetti e un gran lavoro, ma quello che era prioritario 10 anni fa lo è ancora o sarebbe più utile qualcos'altro? Non si possono fare inversioni a U, dico che serve una grandissima collaborazione tra i Comuni e le strutture del fondo. Noi in provincia abbiamo due persone perché abbiamo la maggior quota del fondo e si fanno in quattro anche rispondendo alle sollecitazioni di altri territori».
Quando intende riunire il Comitato?
«Il messaggio che voglio dare è di operatività immediata, si comincia con le segreterie tecniche e poi il Comitato nella seconda metà di giugno. Ringrazio il ministro Calderoli per la fiducia ma anche la presidente del Consiglio Meloni, il ministro Lollobrigida e tutto il governo, oltre al mio amico Luca Carlo».
L’Adige | 9 giugno 2023
p. 32, segue dalla prima
Le trasformazioni della montagna di fabrizio torchio
«Cantieri d'alta quota» è un'associazione che da oltre dieci anni favorisce dibattiti e condivisione di informazioni sulle strutture ricettive in quota. «Siamo piccolissimi e marginali», premette il presidente Luca Gibello. «Tuttavia, cerchiamo di sviluppare riflessioni» «Tuttavia, cerchiamo di sviluppare riflessioni, raccogliere informazioni e organizzarle, favorire gli scambi tra addetti ai lavori, appassionati e pubblico generalista, sensibilizzando quest'ultimo al valore patrimoniale dei rifugi e bivacchi. Abbiamo rapporti con la Commissione centrale rifugi e opere alpine del Cai. Insomma, siamo a disposizione di chiunque, comprese le varie sezioni del Cai, per la divulgazione culturale (con mostre e conferenze), oppure per supporti consultivi di vario tipo, nonché per sviluppare ricerche storiche, come da tempo sta avvenendo con Accademia della Montagna del Trentino». Gibello, laureato in architettura al Politecnico di Torino, dove ha conseguito il dottorato in Storia dell'architettura e dell'urbanistica, è docente, storico, direttore de "Il Giornale dell'Architettura" e autore di volumi, saggi critici e storici. Sul tema dei rifugi gli abbiamo posto alcune domande. Iniziando dalla crisi climatica.Le conseguenze delle rapide trasformazioni dell'alta montagna sono ormai quotidianità: in un articolo su "Cantieri d'alta quota", a margine delle emergenze, tra scarsità d'acqua e riduzione del permafrost, lei si è chiesto se non occorra cambiare i paradigmi: può esemplificare il concetto? «La montagna mostra in modo evidente, quasi come delle stigmate, i segni del cambiamento climatico, e i rifugi ne rivelano le drammatiche ripercussioni. Il problema principale riguarda la stabilità stessa delle strutture, soggette a possibili cedimenti differenziati delle fondazioni, per via della riduzione del permafrost. Uno scenario in continua e rapida evoluzione. Le minacce ce le si trova dunque "sotto i piedi" ma, anche, "sopra la testa", nel senso che aumenta il rischio di crolli e distacchi rocciosi che incombono sui manufatti. Quando, peggio ancora, non c'è il rischio che il crollo riguardi tutto il sito su cui essi sorgono, come nel caso del bivacco Alberico-Borgna al col de la Fourche, avvenuto l'anno scorso nel gruppo del Monte Bianco. Dall'altra parte, la scarsità d'acqua impone alti costi per realizzare depositi o per l'approvvigionamento ma, talvolta, la siccità impone anche la chiusura anticipata del rifugio, come sta avvenendo da ormai un paio d'anni al Gonella, lungo la via italiana al Monte Bianco. Il tutto, mentre il rifugio diventa una "macchina" sempre più energivora: perchè non sia mai che l'ospite, giungendovi, non possa rinunciare a ricaricare tutti i propri dispositivi elettronici ed elettrici (come le biciclette). Mi chiedo allora se non occorra cominciare ad ascoltare i segnali che ci manda il pianeta, e fare qualche passo indietro. Dal punto di vista edilizio, di fronte alle necessità di riqualificazione, significa porsi la domanda se sia opportuno intervenire, e in quali entità. Magari si può pensare a strutture più piccole, dotate di minori servizi. Talvolta, si potrebbe addirittura giungere a valutare l'ipotesi di non ricostruzione. Una sorta di "decrescita felice" per i rifugi potrebbe significare anche il ritorno a sistemi di gestione più basici, che facciano ridiventare primaria l'oggi ancor più preziosa funzione di presidio dell'alta quota, a discapito della fornitura di servizi da albergo e ristorante quasi stellato. Infine, occorre ragionare su una diversa calendarizzazione delle aperture e chiusure di diverse strutture. In molti luoghi, quelle legate alla stagione scialpinistica e a quella estiva non hanno più senso, sono state completamente stravolte».Fra le ipotesi c'è quella - presumiamo si parli dei rifugi alle quote più elevate - di forme di gestione diverse, ad esempio con la cooperazione degli alpinisti che vi giungono: ci sono già esempi in tal senso? Se no, lo riterrebbe possibile?«Il rifugio è sempre stato un "laboratorio di sperimentazione", uno spazio di convivenza e di condivisione. Tali forme di conduzione alternativa dovrebbero andare in una simile direzione. Qualcosa di analogo avviene già in quelle strutture gestite da volontari, perchè di proprietà di associazioni private o di piccole sezioni dei Club alpini. Nell'era digitale vedo queste azioni almeno in parte possibili anche per rifugi più grandi, gestiti "managerialmente": perché non pensare a un'economia della condivisione dove l'ospite, al momento della prenotazione, è invitato a trasportare in quota alcuni generi, soprattutto alimentari, godendo magari così di alcune agevolazioni? Cerchiamo di innovare i procedimenti, le mentalità, e non solo le tecnologie e le merci».Rifugi come meta, più che come punti di sosta per ascensioni o traversate: dal suo osservatorio come vede questo fenomeno ampiamente diffuso sulle Alpi?«Una tendenza al momento in netta e inarrestabile crescita, ma non per questo da demonizzare. Significa che un numero maggiore di persone vuole approcciare la montagna, anche senza l'idea di arrivarvi in cima (concetto tardo ottocentesco che, comunque, non nascondeva la sua buona dose di protervia: il dominio, la conquista. Di che cosa, poi?). L'importante è che il rifugio diventi un'occasione per rendere quelle persone più consapevoli del luogo in cui ci si trova e delle limitazioni che questo, per via naturale, impone. Non dobbiamo concepire l'alta quota come un terreno d'espansione di una "città che sale" e colonizza tutto quanto le capita a tiro, applicando le sue modalità di ragionamento.Bivacchi, altro tema dibattuto: quali sono, secondo lei, i parametri che ne giustificano la realizzazione/esistenza?«I bivacchi sono stati concepiti come infrastrutture di stretta necessità, quasi di emergenza, legati a precise esigenze alpinistiche. E tali devono rimanere. Non ha alcun senso la proliferazione dei bivacchi a bassa quota a uso escursionistico, lungo tragitti tranquillamente percorribili in giornata andata e ritorno. Il rischio d'installare nuove strutture in luoghi relativamente accessibili è quello di richiamare in quota camminatori inesperti, attratti dall'idea d'un pernotto "esotico". Quando addirittura il bivacco non diventa meta di uscite per feste goliardiche alternative, con le ferali conseguenze inerenti la pulizia e manutenzione che sono sotto gli occhi di tutti».