Rassegna Stampa Dolomiti UNESCO | Febbraio 2024

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Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis

R A S S E G N A S T A M P A

FEBBRAIO 2024

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2 PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI FEBBRAIO: CRISI CLIMATICA 3 CRISI IDRICA E CLIMATICA: RIPERCUSSIONI SUL COMPARTO SCIISTICO 12 LA MEMORIA DEL GHIACCIO: INTERVISTA AL RICERCATORE JACOPO GABRIELI 16 PRUDENZA IN MONTAGNA............................................................................................................................... 17 OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI.................................................................................................................... 21 PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI ............................................................................................................. 26 STARLIGHTR ROOM: GLI AGGIORNAMENTI 41 FLUSSI E GESTIONE DEI FLUSSI 51 COLLEGAMENTO COMELICO – PUSTERIA 52 UNA NUOVA CARTA GEOLOGICA: IL FOGLIO LONGARONE 53 DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI.......................................................................................................... 53 NOTIZIE DAI RIFUGI.......................................................................................................................................... 55 NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALIPINISTICHE 57 EDITORIALI E INTERVISTE 57 DOLOMITI IN TV 60

CRISI CLIMATICA

Alto Adige | 1 febbraio 2024

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Il Servizio meteo: «In archivio un gennaio mite»

bolzano

Secondo il report mensile stilato dall'Ufficio meteorologico e di prevenzione valanghe dell'Agenzia per la Protezione civile, il mese di gennaio ha registrato un clima molto mite in Alto Adige.«Il mese di gennaio che si conclude oggi è stato molto mite su gran parte del territorio altoatesino», riassume il meteorologo Dieter Peterlin, dell'Ufficio Meteorologia e prevenzione valanghe tracciando il consueto bilancio mensile. «Solamente in Val Pusteria le temperature hanno mantenuto la media del periodo».La temperatura più bassa è stata misurata a Sesto il 20 gennaio con meno 22 gradi. La temperatura più alta è stata registrata a Merano, il 27 gennaio, con 19 gradi. Un valore anomalo, questo, dovuto al vento di Föhn.Le precipitazioni durante il mese di gennaio hanno fatto registrare valori in linea con le medie del periodo.Nei prossimi giorni, soprattutto nel fine settimana, il clima sarà eccezionalmente mite in montagna. Nella giornata di oggi, 1 febbraio, la nuvolosità aumenterà da nord nel corso della giornata, con possibilità di lievi precipitazioni sulla cresta principale delle Alpi nel corso del pomeriggio; previsto Föhn nelle vallate a nord. Per la giornata di domani, venerdì 2 febbraio, previsto tempo variabile, con aumento della nuvolosità. Nel fine settimana il tempo sarà prevalentemente soleggiato con nubi velate.Le informazioni sulle temperature e sulle precipitazioni per Bolzano, Ora, Merano, Silandro, Bressanone, Vipiteno, Brunico e Dobbiaco si trovano nei diagrammi climatici: questi sono aggiornati quotidianamente alla voce Meteo Alto Adige sul sito web e mostrano se i dati attuali sono superiori o inferiori alla media a lungo termine.Le informazioni sulla situazione meteorologica generale e sull'ulteriore evoluzione del tempo in Alto Adige sono costantemente aggiornate sul portale online Meteo Alto Adige sul sito della Provincia di Bolzano.

Corriere delle Alpi | 4 febbraio 2024

p. 23

Da dicembre solo quattro giorni di vero inverno

Il ricercatore Cnr: tutta responsabilità dell'uomo

L'intervista

Francesco Dal Mas / BELLUNO

«Da dicembre abbiamo avuto solo quattro, forse cinque, giorni di vero inverno: è drammatico». E ancora: «Tempo quindici anni e il ghiacciaio della Marmolada sarà come quello dell'Antelao. È meglio non parlare di cambiamenti meteo, ma di crisi climatica. Anche per quanto riguarda questo strano inverno, con giorni di alte temperature che si susseguono. Nevicherà ancora, ma sempre di meno e, comunque, la pioggia sale a quote sempre più alte».

Jacopo Gabrieli, di Belluno, è uno dei più accreditati glaciologi del Cnr, opera per l'Istituto di Scienze Polari. Istituto che da una decina d'anni dispone di un osservatorio climatico sul Col Margherita, sopra il passo San Pellegrino. Mentre parliamo sta rientrando dalle Valle d'Aosta. Sono le 13, qual è la temperatura?

«Sedici gradi. Nei giorni della merla, pensi. Mi dicono che a Cortina ci sono 14 gradi. Lo sa che abbiamo battuto, l'anno scorso, il record del caldo detenuto dal 2016? E la tendenza continua in queste prime settimane dell'anno».

Come studioso del clima che cosa la preoccupa di più?

«Le precipitazioni, scarse di pioggia e di neve sono state accompagnate da uno zero termico elevato. Dall'inizio dell'inverno meteorologico, convenzionalmente il 1° dicembre, la neve è inferiore del 40% rispetto alle medie. E di pioggia ne è arrivata pochina». Lei conosce molto bene la montagna di casa, il Nevegal. Quanto l'avete sospirata, questa neve?

«Sì. Ma ad interrogarci, problematicamente, è il limite della neve su tutto l'arco alpino. Questo limite si alza ogni anno di cinque metri, sull'arco Alpino, il che significa 200 metri in 40 anni. Secondo uno studio dell'Università di Padova riguardante gli anelli di accrescimento delle piante di ginepro, per ricostruire la durata della neve al suolo negli ultimi seicento anni, ne esce che a 2000 metri, la durata della neve al suolo è diminuita di oltre un mese».

Sarebbe saggio, a questo punto, porsi qualche riflessione anche per le attività sciistiche.

«Come fa la Francia, che non garantisce nessun contributo pubblico alle società di impianti a fune che investono sotto i 1.500 metri. Non è che da un giorno all'altro cesserà di nevicare. Ma dobbiamo pianificare attività per la montagna che facciano il conto con questa evoluzione climatica. Tra l'altro, proprio quest'inverno abbiamo registrato condizioni di clima che spesso, alle quote anche alte, hanno trasformato la neve in pioggia», Che cosa sta succedendo?

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«Sa qual è stata l'anomalia climatica dell'anno appena trascorso? Quello 0,60° C di aumento rispetto alla media del trentennio 19912020. Ma non possiamo dimenticare che, rispetto all'era preindustriale, il dato arriva a 1,48°C di scarto, terribilmente vicino al limite di 1,50°C, che ci eravamo proposti di non raggiungere».

Quello sul piano globale. E sulle Dolomiti?

«Nello scorso mese di dicembre, l'anomalia termica sulle Dolomiti è stata i 3,2°C (quasi 5°C nella seconda metà), rispetto al periodo 1991-2020».

Lei ha raccontato un dato inquietante in un'analisi fatta per la Fondazione Dolomiti Unesco. Riguarda le oscillazioni di quota dello zero termico.

«I colleghi di Meteoswiss hanno studiato la quota dello zero termico degli ultimi decenni e si sono resi conto di un altro aspetto preoccupante: in estate (luglio e agosto) la quota media dello zero termico è di 300 metri più alta rispetto al periodo preindustriale e in inverno si arriva a 500-600 metri».

Questo vuol dire che non c'è proprio futuro per i nostri ghiacciai?

«L'estate scorsa sono salito a Punta Penia, la cima della Marmolada. Non immaginavo di trovare solo la nuda terra. Credevo che ci fosse ancora un velo di ghiaccio. Il ghiacciaio della Marmolada non esisterà più fra dieci o quindici anni. Resteranno chiazze di ghiaccio come sull'Antelao. Possono venire anche 6 metri di neve come nel 2021, ma che cosa rimarrà con queste temperature? Niente. Conversando con gli amici della Fondazione Dolomiti ho detto che salire sulla Marmolada è come andare al capezzale di un familiare che ami con tutto il cuore, ma che ormai si sta spegnendo. Questo, però, non deve deresponsabilizzarci, dobbiamo anzi agire con più forza e pensare al futuro, con una prospettiva al 2100 e quindi non tanto per noi quanto per i nostri figli e per i nostri nipoti». In definitiva, quale è l'origine del cambiamento climatico?

«La comunità scientifica è concorde: è la conseguenza delle attività umane. Esclusivamente. E lo riscontriamo soprattutto in montagna, dove la temperatura sta cambiando, in quota, il doppio rispetto al fondovalle, soprattutto alla pianura». L'inversione termica di questi giorni lo dimostra.

«Taluni obiettano: quest'inversione è sempre esistita. È vero. Ma è altresì vero che non ci sono mai stati campi di alta pressione così lunghi, così costanti, così frequenti per tutto l'inverno come da qualche anno a questa parte».

Corriere delle Alpi | 4 febbraio 2024

p. 23

Sul Col Margherita l'osservatorio per il meteo e l'inquinamento

il punto

L'osservatorio di alta quota del Col Margherita (Mrg), realizzato e gestito dal Cnr, questa primavera sarà rinnovato. È attivo da una decina d'anni, anche con la collaborazione della Società che gestisce la ski area San Pellegrino Falcade. Anzi, Renzo Minella ne trae vanto.

«Il sito si trova all'interno delle Dolomiti, patrimonio Unesco, ed è considerato strategico in quanto, nonostante l'altitudine non particolarmente elevata, è rappresentativo della condizione sinottica del versante sud-orientale della Alpi dove non sono presenti analoghe infrastrutture», precisa Jacopo Gabrieli. Bellunese, Gabrieli ha studiato chimica all'Università di Padova, ottenuto dottorati in Scienze Ambientali alle Università di Venezia e Grenoble ed è ricercatore all'Istituto di Scienze Polari del Cnr. Da anni si occupa dello studio di archivi climatici in carote di ghiaccio.

La struttura al Col Margherita è dotata di una stazione meteorologica completa: temperatura, umidità, velocità e direzione del vento, pressione atmosferica, radiazione solare incidente e riflessa, sensori per la misura della precipitazione atmosferica e dell'altezza del manto nevoso. Dispone pure di un analizzatore di mercurio, di un deposimetro per l'analisi del mercurio nelle precipitazioni e di deposimetri bulk per l'analisi di composti organici, inorganici e isotopi stabili.

«In questi dodici anni di attività abbiamo potuto rilevare tracce di inquinanti che arrivano dalla pianura, dalle città. L'aria a queste quote è purissima, ma, per esempio, si comincia a notare la presenza di mercurio», dice Gabrieli.

Con l'Università Ca' Foscari di Venezia e l'Istituto Scienze Polari del Cnr, Gabrieli sta portando avanti anche il progetto Ice Memory. Il team di cui fa parte ha effettuato nel 2023 una missione alle isole Svalbard e una sul Monte Rosa. «Che cosa abbiamo trovato? Alle Svalbard, le temperature nei giorni della missione erano intorno ai –25°C, dato apparentemente confortante anche se, poco dopo, sono salite drasticamente. Ma la cosa sorprendente è che, a trenta metri di profondità, abbiamo trovato qualcosa di inaspettato, ovvero dell'acqua liquida. Sembra impossibile, ma non lo è: quell'acqua si era immagazzinata negli strati profondi e proveniva dalla fusione massiva degli strati superficiali, avvenuta nel periodo estivo. Immergervi le mani in è stato come immergerle nel cambiamento climatico; è un'immagine che spiega molto bene la differenza tra meteorologia e climatologia. Sul Monte Rosa – continua Gabrieli – abbiamo prelevato campioni dal ghiacciaio del Colle del Lys, notando come, in pochi anni, il ghiaccio, da una temperatura di –8°C, –10°C sia arrivato ormai vicino allo zero».

fdm

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Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

p. 19

Tre giorni con la neve oltre i 1400 metri Arpav: «Ma non sarà un evento intenso»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Ultimi giorni di Carnevale col maltempo, ma senza l'asprezza dell'emergenza. Ritorna, dunque, la neve. Domani intorno ai 1700-2000 metri sulle Prealpi, e dai 1500-1700 metri sulle Dolomiti. Sabato, invece, la quota scenderà fino ai 1400-1600 metri, mentre domenica risalirà. In tre giorni, secondo l'Arpav, potrebbero cadere complessivamente dai 35-50 centimetri, ma, attenzione, oltre i 2000 metri. «I quantitativi saranno modesti alle quote inferiori, fino ai 1400 metri», preannuncia, Gianni Marigo, direttore dell'Arpav di Arabba. Che conferma pure il ritorno del freddo, ma non al limite del gelo.

«Dopo un lungo periodo di tempo stabile, caratterizzato negli ultimi giorni, anche da temperature elevate soprattutto in quota, siamo in vista», spiega Marigo, «a partire da venerdì, di un cambiamento significativo. Transiterà una circolazione ciclonica che manterrà condizioni di tempo per lo più perturbato dal pomeriggio e verso sera fino almeno alla giornata di domenica».

Si tratterà di un cambiamento significativo – a sentire il responsabile della stazione Arpav di Arabba - ma non eccezionale e non particolarmente intenso. La quota della neve? «Ad oggi è difficile quantificarlo. Ma non aspettiamoci grandi nevicate. In questo momento, da un punto di vista meteorologico, l'evento non appare particolarmente intenso». Marigo prova a dettagliare. I quantitativi potranno essere più abbondanti sui settori prealpini e sulle Dolomiti meridionali – specificae decisamente meno sulle Dolomiti centro-settentrionali. In ogni caso – aggiunge - l'episodio sarà caratterizzato da masse d'aria comunque più fredde di quelle attuali, tuttavia non particolarmente gelide. Che cosa significa questa specifica previsione? «In questo momento ci sembra di poter escludere la possibilità di neve a bassa quota», spiega ancora il direttore di Arabba. «Sarà un po' più alto il limite neve sui settori aperti prealpini e più basso, in funzione dell'intensità, all'interno delle valli dolomitiche».

Da domenica in avanti? «Siamo incerti su quello che succederà dopo. Di sicuro in questo weekend, che poi sarà anche di festa, avremo un po' di brutto tempo».

Gli operatori turistici, specie a Cortina, si aspetterebbero uno scenario natalizio per le ulteriori settimane bianche. «Ad Arabba forse sì, perché è più in quota. A Cortina è difficile, così pure a Falcade. In queste cittadine saremo al limite. Si tenga conto che lo zero termico nei tre giorni oscillerà fra i 1700 e i 1900 metri, quindi saremo ancora con temperature superiori alla media».

L'Arpav prevede per oggi tempo sempre più nuvoloso con le temperature minime al rialzo nelle valli. Domani «probabilità crescente di precipitazioni già dalle prime ore a partire dalle zone prealpine occidentali, in estensione anche alle Dolomiti», dove saranno «deboli e modeste» mentre da moderati a consistenti sulle Prealpi. Tempo diffusamente perturbato nella giornata di sabato, con precipitazioni diffuse ma di intensità debole. Domenica la neve si ripresenterà, ma sopra i 1500-1700 metri. E la pioggia? Tra i 50 e i 90 mm con punte di 100/110 sulle Prealpi e Dolomiti meridionali e tra i 30 e i 50 mm sulle Dolomiti centro-settentrionali.

Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

p. 19

Dal Centro Cadore al Mis i laghi sono in sofferenza

E la riserva nivale è scarsa

il focus

Il lago di Centro Cadore è al 28 per cento di riempimento, ben sotto la media storica (-52%). Si prepara a ricevere l'acqua dello scioglimento delle nevi. In alpago, il lago di Santa Croce, invece, è al 74 per cento, sopra la media (+21 per cento). A Sopsirolo, anche il Mis è in rapido calo come è successo altre volte a gennaio; in sostanza è riempito al 41 per cento di capacità, sotto la media (-34%). Spostandoci al confine con la provincia di Vicenza, sul serbatoio del Corlo (Brenta) il volume invasato, in lieve incremento a gennaio, contiene 25 milioni di metri cubi d'acqua, pari ad un riempimento del 65% e prossimo alla media del periodo (-2%).

È la situazione registrata al 31 gennaio dal Rapporto sulle risorse idriche dell'Arpav. In sostanza, nei principali serbatoi del Piave i volumi invasati risultavano in calo nel mese trascorso. Rispetto a dicembre mancavano all'appello 13,5 milioni di metri cubi (il volume complessivo a fine gennaio risultava infatti di 91 milioni. Tradotto in termini di riempimento, siamo complessivamente al 54 per cento, quindi sotto la media storica.

Ma di quanta acqua, cioè neve in scioglimento, sono in attesa i bacini? In gennaio sono caduti dai 30 ai 50 cm a fondovalle (1200 m circa), 70-80 oltre i 1600 m di quota, sulle Dolomiti. Nelle Prealpi bellunesi dai 25 ai 45 cm. Le temperature miti della terza decade del mese, associate a venti anche di föhn, hanno determinato – spiega l'Arpav – una importante fusione della neve lungo i versanti al sole, mentre in ombra la fusione è stata limitata. A fine gennaio, la copertura nevosa sulla montagna veneta era di 2300 chilometri quadrati con oltre l'80% dei pendii innevati oltre i 1600 metri di quota. Ebbene, la risorsa idrica nivale, al 31 gennaio, veniva calcolata in 133 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, 82-90 milioni nel bacino del Cordevole e di 90-102 milioni nel bacino del Brenta. Di neve, dunque, non ce n'è proprio tanta.

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È pur vero che fortunatamente è piovuto di più. Il surplus pluviometrico sul bacino del Piave è stato infatti del +16% sul Piave. Le precipitazioni dell'anno idrologico 2023-24 (da ottobre a gennaio) sono mediamente di 436 mm; la media del periodo 1994-2023 è di 383 mm. In sostanza da ottobre, in regione, è piovuto per un quantitativo di 8028 milioni di metri cubi di acqua.

Corriere delle Alpi | 18 febbraio 2024

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Emergenza idrica

Neve, meno del 63%

Paola Dall'Anese

L'emergenza idrica torna a farsi sentire. Lo dimostrano i dati relativi alla quantità di neve scesa quest'inverno in alta quota. Ma a preoccupare ancora di più è che la poca neve riduce le riserve idriche cioè la quantità di acqua a disposizione dei cittadini per le loro esigenze primarie ma anche dell'agricoltura.

Il bel paesaggio innevato non è solo sinonimo di una stagione sciistica molto promettente e di un richiamo turistico per le aree montane da copertina di rotocalco, ma cosa ben più importante è la cartina di tornasole di come saranno i mesi più produttivi per il settore primario, cioè la primavera e l'estate.

Purtroppo, secondo lo studio della Fondazione Cima che sta monitorando le condizioni dello Snow Water Equivalent (Swe), ossia l'acqua contenuta nella neve che rappresenta un'indicazione preziosa sulla quantità di riserva idrica su cui potremo contare in primavera ed estate, a febbraio di quest'anno il deficit Swe nazionale è pari a -64% (era di - 39% soltanto il mese precedente). I dati peggiori si registrano per gli Appennini, ma la situazione di scarsità di neve caratterizza tutta la penisola e, sulle Alpi (fondamentali anche per l'approvvigionamento idrico del bacino del Po), il deficit è del -63%, paragonabile a quello dello scorso anno.

«Questa condizione va fatta risalire al tempo mite e secco, soprattutto nella seconda metà di gennaio, che ha aggravato un deficit preesistente: secondo le nostre stime, hanno portato a una fusione anticipata dell'ordine di 1 miliardo di metri cubi di acqua in neve nella seconda metà di gennaio. Purtroppo, la scarsità di neve ha caratterizzato i nostri monti per tutti gli ultimi tre anni», spiega Francesco Avanzi, ricercatore dell'ambito Idrologia e Idraulica di Fondazione Cima.

Sulle Alpi

Sulle Alpi il deficit complessivo (-53%) è solo di poco meno marcato rispetto a quello nazionale e molto simile a quello dello scorso anno in questo stesso periodo. «Vale la pena ricordare che la neve alpina è particolarmente importante per l'approvvigionamento idrico italiano, perché alimenta anche il bacino del Po», commenta Avanzi. Bacino che, attualmente, registra un deficit di Swe di -63% rispetto agli ultimi 12 anni.Insomma, le scarse nevicate degli ultimi mesi non sono state minimamente sufficienti a risollevare il deficit. «Statisticamente, il periodo di fusione inizia a marzo, ed è la mancata fusione una delle cause principali della siccità del 2022», dice Avanzi.

I consorzi di bonifica

E proprio alle risorse idriche a disposizione guardano con preoccupazione gli 11 Consorzi di bonifica (Anbi) del Veneto. «Guardiamo con apprensione alla neve presente in quota, anche se la quantità di acqua presente attualmente nei corsi d'acqua veneti un po' di tranquillizzano», precisa Francesco Cazzaro, presidente veneto dell'Anbi, «visti i cambiamenti climatici in corso, comunque, importante sarebbe creare delle cisterne naturali: il sottosuolo è ricco di serbatoi naturali: dobbiamo pensare di riempirli di acqua piovana per tenere cariche le falde acquifere, cosa oggi difficile con l'utilizzo dell'irrigazione puntuale che non permette un surplus idrico che scenda nel sottosuolo». Per Cazzaro, che anticipa di aver già proposto alla Regione i rimedi da mettere in atto per contrastare la siccità, «sarebbe il caso di passare dalle parole ai fatti: bisogna iniziare a realizzare qualcosa come gli invasi multifunzionali dove posizionare anche gli impianti fotovoltaici galleggianti che garantirebbero un controllo della temperatura dell'acqua ma anche degli stessi pannelli». Le società idriche

Anche le società che gestiscono il servizio idrico integrato, come la bellunese Bim Gsp, sono al lavoro per contenere le perdite negli acquedotti intervenendo direttamente sulla manutenzione o sul cambio delle tubature ma anche su sistemi di rilevazione e monitoraggio digitale che possono in tempo reale individuare la perdita nella rete idrica in gestione.

Corriere delle Alpi | 18 febbraio 2024

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Dolomiti, perso mezzo metro di manto Livello dei fiumi sotto le medie storiche

Il focus sul Veneto

i dati

Risorse nivali e idriche in calo in Veneto.

A dirlo sono i dati del bollettino dell'Arpav riferito ai mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024.

E anche se nei fiumi e torrenti l'acqua è presente e in alcuni casi è nella norma, l'allarme c'è.

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Infatti, se i vari corsi d'acqua in Regione hanno delle portate ancora buone, è perché "beneficiano" dello scioglimento precoce delle riserve nivali a media quota.

Riserve nivali

A fine gennaio, il cumulo di neve fresca dal primo ottobre al 31 gennaio 2024 era inferiore al 20% (-50 cm di neve fresca in quota) rispetto alla media nelle Dolomiti e di oltre il 40% (-80 cm) nelle Prealpi.

In media, da ottobre a dicembre 2023 il cumulo di neve fresca era pari a 130-160 cm a 2000 metri nelle Dolomiti (-29% rispetto alla media) e di 30-65 cm nelle Prealpi a 1.600 metri (-50% rispetto alla media degli ultimi 15 anni).

L'indice di spessore del manto nevoso al 31 gennaio 2024 nelle Dolomiti era basso ma nella norma con i suoi 69 centimetri (norma 50 -104 cm) e così anche nelle Prealpi con 28 cm (media 26-67 cm).

La copertura nevosa della montagna veneta l'ultimo giorno di gennaio era di 2.300 km² con oltre l'80% dei pendii innevati oltre i 1600 metri di quota. La densità della neve in quota era mediamente di 280-300 gkm³.

La risorsa idrica nivale, al 31 dicembre 2023, era di circa 52-54 Mm³ nel bacino del Piave, di 41-45 Mm³ nel bacino del Cordevole e di 28-32 Mm³ nel bacino del Brenta.

Falda

Se si esclude l'alta pianura veronese, dove il deficit rispetto alla media è in calo ma ancora consistente, a fine gennaio 2024 si registra una situazione con livelli nella media per il periodo.

In particolare: nel settore occidentale (alta pianura veronese) nel mese di gennaio, si registrano livelli in calo anche se con ritmi leggermente inferiori a quelli usuali; nel settore centrale (alta pianura vicentina e padovana), la situazione risulta abbastanza stazionaria +17%. Nel settore orientale (alta pianura trevigiana) le stazioni monitorate presentano incrementi talora anche significativi. La portata dei fiumi

Lo scioglimento delle nevi in fase precoce ha portato invece in alcune zona a far salire la portata dei fiumi. Ma nel complesso si registra una diminuzione.

Al 31 gennaio scorso le portate dei maggiori fiumi veneti, registravano un calo dalla seconda decade di gennaio. Nel complesso erano ormai prossime o inferiori alle medie storiche su tutti i principali corsi d'acqua.

Il deflusso medio mensilie risultava essere compreso tra il 75 e il 95% sull'Adige, tra 50 e 75% sul Brenta e sul Bacchiglione, e compreso tra il 25 e il 50% sul Po.

Rispetto alla media storica mensile i confronti sui volumi defluiti nel mese sono +45% sull'Adige a Boara Pisani, +26% sul Brenta a Barziza, +3% sul Bacchiglione a Montegalda e del -12% sul Po a Pontelagoscuro.

Corriere delle Alpi | 18 febbraio 2024

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Chiara Bettega (Muse) sui cambiamenti climatici: «Effetti su tutti noi» La montagna di “scalda” velocemente

Nicola Maschio

C'è un tema che, nel contesto di grandi cambiamenti climatici che stiamo attraversando, secondo alcuni esperti non sta venendo affrontato con la dovuta attenzione: le conseguenze di questi ultimi nelle zone di alta montagna e, in particolare, gli effetti sulla vita di flora e fauna di quelle aree. Ne è convinta la studiosa dell'ambiente e naturalista (esperta proprio degli ambienti montani più "elevati") del Muse di Trento Chiara Bettega, che ha spiegato nel dettaglio proprio queste argomentazioni.Dottoressa Bettega, cosa sta succedendo in alta montagna e quali sono gli effetti del cambiamento climatico?Rispetto alle pianure circostanti, questi cambiamenti stanno avendo una influenza decisamente maggiore: la montagna si sta riscaldando ad un ritmo molto veloce e questo, purtroppo, lo possiamo constatare ogni giorno. Nevica poco oppure, di contro, nevica in modo eccessivo. E non dobbiamo dimenticarci della siccità, che negli ultimi anni ha impattato soprattutto sui mesi estivi. I ghiacciai si stanno ritirando e le montagne, considerate le "torri d'acqua" del mondo e dalle quali dipendiamo, sono in grande sofferenza.L'impatto di queste nuove condizioni climatiche è visibile però anche all'interno della cosiddetta "fascia alpina": in che modo?In quella che è la zona al di sopra della linea degli alberi notiamo che le praterie, spesso ricche di fiori e specie animali differenti, si stanno restringendo e assottigliando. Per effetto delle evoluzioni del clima, certamente, visto che le piante tendono a "salire" sempre più in alto trovando condizioni favorevoli. Ma pesa anche l'abbandono dei pascoli d'alta quota, che erano un tipo di allevamento tradizionale del nostro territorio che, in passato, ha contribuito a creare una ricca biodiversità.Sembra esserci però un pensiero comune da parte dei cittadini, cioè quello che si stia parlando di zone troppo alte e isolate e che dunque, di conseguenza, ciò che accade al loro interno non si rifletta sulle nostre vite: per lei, tuttavia, è esattamente il contrario...Certamente: i cambiamenti in alta quota si riflettono direttamente su chi vive nel fondovalle. Pensiamo semplicemente alle tante specie di fiori che vengono utilizzate all'interno della farmacopea: molte di queste vengono dall'alta quota, come per esempio l'arnica alpina. Ma gli effetti sono a cascata su tutto il sistema: se aumenta il bosco aumentano gli animali che lo popolano e tra loro, oltre a cervi, caprioli e camosci, ci sono anche i grandi carnivori.Oltre alla flora, anche la fauna è al centro di questi mutamenti. Come impatta il cambiamento climatico sugli animali e, soprattutto, quali sono i rischi?Gli animali, per adattarsi, modificano i loro ritmi di vita. Pensiamo al letargo dell'orso: le temperature elevate stanno spingendo questi animali ad abbandonare l'esigenza di riposare durante i mesi più freddi. Ma anche alla pernice bianca, che tendenzialmente diventa di questo colore per l'inverno e che ora si ritrova ad essere un punto bianco in un mondo che non lo è più.

Il T | 20 febbraio 2024

p. 8

Crisi climatica, neve in calo del 41%

I dati Fondazione Cima. Avanzi: «Le temperature alte vanificano le precipitazioni»

Simone Casciano

Siccità, una parola che un anno fa di questi tempi era stata sulla bocca di tutti, tanto che il governo nominò un commissario straordinario per affrontare l'emergenza. Chissà se lo scenario si ripeterà anche quest'anno, a giudicare dai dati il problema rimane tanto grave quanto lo era 12 mesi fa. A certificarlo è il più recente report pubblicato dalla Fondazione Cima (Centro internazionale monitoraggio ambientale). L'ente come parametro di riferimento usa lo «snow water equivalent» (Swe) nei suoi calcoli. «È una stima di quanta acqua recupereremmo dalla neve se essa si sciogliesse tutta», spiega il ricercatore della Fondazione Francesco Avanzi. Questo dato dice che in Italia la neve accumulata fino ad oggi è pari a -64% rispetto alla media calcolata a partire dal 2010. Nello specifico del TrentinoAlto Adige e del suo fiume più importante il dato è pari rispettivamente a -41% per quel che riguarda l'accumulo nivale in regione e a -42% per la previsione di acqua nell'Adige. Un anno fa la situazione era rispettivamente di -49% e -52%. Si tratta di dati in tutto e per tutto simili a quello di un anno fa, anche se sono differenti le zone in maggiore sofferenza. «Diciamo che la situazione rispetto a 12 mesi fa è per certi versi simile, per altri differente commenta Avanzi Simile perché l'accumulo di neve è in generale molto più basso della media come era stato sia nel 2023 che nel 2022. Differente perché ad essere maggiormente colpite sono zone diverse rispetto ad un anno fa».

L'emergenza al Centro-Sud

Scriveva Tolstoj in Anna Karenina che «ogni famiglia infelice è infelice a modo suo». Allo stesso modo ogni siccità che ormai da tre inverni si abbatte sull'Italia ha il suo particolare epicentro di drammaticità. Quest'anno è la volta del Centro-Sud e degli Appennini. Come sono lontane le immagini di un anno fa che mostravano il centro Italia ricoperto da una bianca coltre di neve mentre le Alpi, da est a ovest, rimanevano completamente asciutte. «Quest'anno nel centro sud la stagione nivale non è nemmeno iniziata - spiega Francesco Avanzi - È un esempio di come ogni anno ci sia grande variabilità di precipitazioni, ma la costante rimane la grande diminuzione». L'assenza totale di accumulo nivale accende un campanello di allarme per lo stato di salute di alcuni fiumi la cui acqua

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L’Adige | 20 febbraio 2024

è fondamentale. Il Po, innanzitutto, ma ad essere in particolare sofferenza è il Tevere. «Il bacino del Tevere, che corrisponde alle zone dell'Umbria e alla parte montana del Lazio mostra un deficit del 90%», specifica Avanzi.

La situazione in Trentino e Triveneto Rispetto ad un anno fa la situazione in regione è leggermente migliore, ma c'è poco di cui rallegrarsi. Le precipitazioni sono state maggiori, rispetto ad un anno fa, ma le temperature alte non hanno permesso di costruire accumuli nivali importanti. La neve in montagna infatti funziona un po' come la banca dell'acqua per il Trentino-Alto Adige e il Nordest in generale. I bacini nivali trattengono l'acqua in quota nei mesi freddi per poi restituirla in primavera ed estate quando ce n'è più bisogno, soprattutto per l'agricoltura. I ghiacciai poi, restando in questa metafora, sono come i bond a lunga scadenza, di grande valore, ma una volta incassati non ci sono più. E con accumuli nivali sempre inferiori anche i ghiacciai si stanno deteriorando. A metà febbraio il deficit per il Trentino-Alto Adige è del 41%. «Il Triveneto è un caso da manuale - commenta Avanzi - Perché in questi mesi comunque la neve, da novembre a gennaio, non è mancata. Ma le alte temperature vanificano le precipitazioni. L'accumulo di neve sta già fondendo. Non fa sufficientemente freddo per mantenere la neve in quota».

Deficit relativo

Se i dati sono già di per sé preoccupanti va aggiunta una tara: il report della Fondazione Cima mette a confronto le precipitazioni dell'anno in corso con la media dal 2010 ad oggi, perché questi sono i dati a disposizione dell'ente. Probabile quindi che, se si estendesse il parametro della ricerca ad un orizzonte temporale più lungo, il deficit sarebbe ancora più importante. Basti pensare alla ricerca effettuata un anno fa da Università di Trento ed Eurac che certificava un calo delle precipitazioni nevose in regione negli ultimi 40 anni che andava dal 15% fino a picchi del 75%. «Uno studio del Cnr ha mostrato che il 2022 e il 2023 sono stati gli anni con meno neve in assoluto da quando si raccolgono i dati ed è probabile che il 2024 si piazzerà lì vicino. Un podio drammatico», dice Avanzi. Gli scenari

Lo scenario è di una nuova primavera siccitosa per i fiumi. «La situazione è molto simile a quella del 2022, come quantitativo di neve a terra». Le previsioni parlano di possibile neve in arrivo a fine mese, ma con queste temperature difficilmente riuscirà a rimanere in quota. «Il 2023 ci ha insegnato che è complicato fare previsioni troppo in avanti - conclude Avanzi - Un anno fa a compensare l'inverno secco ci fu una primavera estremamente piovosa che risolse, in parte, il problema della siccità». Una primavera di piogge che però, per la loro intensità in un tempo relativamente ristretto, ebbe gravi conseguenze in varie zone d'Italia.

Il T | 20 febbraio 2024

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«In montagna imparate a dire no»

Il cambiamento climatico, le insidie: «Senza le condizioni, si deve rinunciare»

Eva Martinelli

Riva

Basta alzare lo sguardo sulle cime dello Stivo o del Baldo. La neve quest'anno è poca o assente. Sapere quando arriverà è sempre più difficile, e mentre ghiacciai e nevai si ritirano, la montagna diventa più imprevedibile, e non solo per praticare gli sport invernali. La guida alpina Giampaolo Calzà, nato e cresciuto a Riva del Garda, socio Sat fin da bambino, ha appena concluso il corso di sci d'alpinismo offerto dalla sezione. Organizzare le gite domenicali con poca neve significa avere meno punti di riferimento, e più sforzo di valutazione, ha spiegato Calzà: «Le cose sono cambiate, la quantità di neve è diminuita e i periodi di precipitazione sono cambiati, non più nei periodi autunnali. Una volta ad inizio stagione, sui ghiacciai cadevano anche sette metri di neve. Adesso comincia a nevicare ad aprile o maggio, quando ormai non ci sono le temperature adatte per la neve di mantenersi. Bisogna avere umiltà. Andare in montagna in inverno è uno dei momenti più difficili per valutare i rischi, e bisogna essere disponibili ad annullare quando le condizioni di uscire non sono giuste». Giampaolo Calzà ha iniziato il suo percorso nel mondo dell'arrampicata da ragazzo. Dall'anno scorso è vice presidente del Gram, il Gruppo Rocciatori e d'Alta Montagna, che frequenta da quando ha diciotto anni, dopo aver fatto la formazione del soccorso alpino e frequentato la Scuola di Alpinismo di Arco per diventare istruttore. La montagna è un ambiente difficile e pericoloso, ma che dona esperienze che ti cambiano la vita, ha spiegato Giampaolo raccontando il suo percorso per diventare guida alpina: «In una uscita sul Campanil Basso, ero in cordata con un amico che da poco è venuto a mancare, e una volta arrivati in cima, mi ha abbracciato e ringraziato piangendo, dicendomi che da tantissimi anni desiderava arrivare su questa cima. Questo momento mi ha dato un'emozione enorme, ed è diventata la motivazione per diventare guida alpina». Per dieci anni, condividendo l'amore per la montagna, Giampaolo Calzà ha collaborato come volontario al progetto “Sopra i mille” con i ragazzi di centri di salute mentale della zona, in collaborazione con il dottor Carpineta: «Con i percorsi di accompagnamento in montagna, volevamo permettere ai ragazzi di mettersi in gioco, di affrontare una sfida. Siamo andati in falesia ad arrampicare, percorso sentieri e anche un ghiacciaio, per coltivare il rapporto con se stessi, con la montagna e con il gruppo di persone che partecipavano. Quando si tornava a casa eravamo tutti felici di aver affrontato quel momento di sfida. La consapevolezza di riuscire a fare delle cose che non ci aspettavamo aumenta la nostra autostima, e questo vale per la salute mentale di tutti. Le giovani generazioni fanno fatica ad affrontare le difficoltà, e fare questi percorsi può essere di aiuto. La montagna è una scuola di vita, un modo di pensare che ti può servire in qualsiasi momento della giornata». Ma avventurarsi in montagna, specialmente in inverno, richiede attenzione e soprattutto un accompagnamento di percorso, ha spiegato Giampaolo Calzà: «Con il lock down, ci siamo resi conto del valore di poterci muovere, della libertà dell'aria aperta. Ma bisogna fare un percorso per potersi muovere in montagna, perché improvvisare delle gite ha dei costi per tutte le persone

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coinvolte, anche nel momento del soccorso. Bisogna essere consapevoli e conoscere dove ci sono i pericoli, altrimenti i rischi aumentano enormemente. Se una persona affronta un ghiacciaio senza capacità tecniche, come l'utilizzo dei ramponi o la piccozza, o sapersi legare in cordata e trattenere una caduta in un crepaccio, è meglio non tentare. Le basi di un corso di arrampicata o di sci d'alpinismo sono proprio la sicurezza». La formazione non basta mai, ha spiegato Giampaolo Calzà, e se andare in montagna significa vincere le proprie paure e timori, restando coscienti dei pericoli, il cambiamento dei ritmi della neve e l'aumento delle temperature richiedono ancora più allerta.

Alto Adige | 28 febbraio 2024

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«Ghiacciai, ora servono 30 anni senza emissioni»

bolzano. «I ghiacciai sono attualmente tutti a rischio, ma quelli più piccoli li vediamo di anno in anno fratturarsi e perdere volume, riducendosi sempre di più. Anche se riuscissimo a fermare le emissioni climalteranti dall'oggi al domani, servirebbero 30 anni per tornare indietro». Ad annunciarlo è il presidente della Commissione glaciologica della Società degli alpinisti tridentini (Sat), Cristian Ferrari, a margine della conferenza stampa di presentazione del monitoraggio annuale dei ghiacciai trentini. «Quello che abbiamo visto è che qualsiasi azione presa a livello globale può rallentare la fusione, ma ormai quello che possiamo fare è sul lungo periodo, e tra diversi anni potremmo trovarci senza ghiacciai», afferma Ferrari. I ghiacciai maggiormente in sofferenza sono quelli più piccoli, che in poco tempo si fratturano e subiscono dei crolli circolari interni o l'infiltrazione d'acqua di fusione, che ne accelera il processo di riduzione. Il fenomeno però interessa anche i più grandi. In dieci anni, il ghiacciaio principale della Marmolada si è ridotto ai 72,2 ettari registrati lo scorso anno, a fronte dei 126,8 del 2015. Stessa situazione sulla Presenella, dove dai 245 ettari di dieci anni fa si è passati ai 149 del 2023. «Il ghiaccio contribuisce a una parte significativa del bilancio idrico in Trentino, ma l'acqua ci sarà sempre perché nel nostro territorio vi sono fenomeni carsici e precipitazioni. Tuttavia, come abbiamo visto nel 2022, anno con scarse precipitazioni, ci saranno delle zone che soffriranno più di altre», conclude Ferrari

L’Adige | 28 febbraio 2024

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L’agonia dei ghiacciai: persi altri 65 ettari

Le foto del ghiacciaio di Lares com'era nel 2016 (sopra) e come appariva nel 2023 (sotto) fanno capire più delle parole quanto il riscaldamento globale stia mettendo a rischio i ghiacciai. Ieri la Sat ha illustrato i risultati dell'indagine sullo stato di salute dei ghiacciai trentini e c'è poco da stare allegri. In un anno si sono persi 65 ettari di superficie ghiacciata, l'equivalente di 90 campi da calcio. Dal 2015 ad oggi in Marmolada il ghiacciaio principale si è quasi dimezzato, passando da 127 a 72 ettari.f. peterlongo a pagina11

Ghiacciai: in un anno persi 65 ettari

Fabio Peterlongo

«Nei quattro anni dal 2020 al 2024, lo spessore del ghiacciaio Adamello si è ridotto di 24 metri, quanto un palazzo di otto piani». Con questo esempio impressionante il glaciologo Cristian Ferrari, presidente della Commissione Glaciologica Sat, ha delineato quanto sia massiccia e veloce la fusione dei ghiacciai, con gravi, quando non catastrofiche, conseguenze per l'ambiente. È uno dei risultati emersi dall'indagine condotta da Sat sullo stato di salute dei ghiacciai trentini, presentata ieri alla Casa della Sat. Una salute a dir poco precaria, come dimostrano i dati: la fronte del ghiacciaio Adamello Mandrone nel 2023 è arretrata di 103 metri, che si sommano ai 139 metri del 2022. Ciò che è allarmante è l'accelerazione rispetto al passato anche recente: nel 2021 il ghiacciaio aveva perso "solo" 23 metri, nel 2020 12 metri, nel 2019 7 metri. Anche le superfici coperte dai ghiacci si sono ridotte in misura importante: in un anno i ghiacciai trentini hanno perso 65 ettari di copertura glaciale, pari a novanta campi da calcio. Sono le conseguenze del surriscaldamento climatico globale, causato dall'emissione di gas serra dovuto alle attività umane. Questo è un fatto su cui la comunità scientifica è unanimemente concorde: ed è bene ricordarlo, in questa fase in cui vanno di moda le tesi che mettono in dubbio il ruolo dell'uomo e che danno la "colpa" a presunti cicli naturali. Ma quel che è peggio, forse è troppo tardi per correre ai ripari: «Anche se cessassimo immediatamente le emissioni clima-alteranti - ha detto Ferrari - ci vorrebbero trent'anni per vedere un miglioramento. Nel frattempo, il rischio è che i ghiacciai scompaiano del tutto». Ad essere a rischio immediato non sono probabilmente i "giganti" di ghiaccio come l'Adamello, che pure non se la passa bene, ma i ghiacciai di dimensioni minori e che si trovano a quote più basse. Il ghiacciaio del Lares è passato dai 400 ettari del 2015, agli attuali 282 ettari, perdendo in un solo anno 23 ettari di superficie. La parte superiore della Presanella passa da 245 ettari del 2015 agli attuali 149 ettari. Quasi dimezzata la Marmolada: dal 2015 il ghiacciaio principale è passato da 127 ettari agli attuali 72 ettari. Un'ecatombe. «I ghiacciai più piccoli si spezzettano in tanti ghiacciai minori che si fondono più velocemente. Il ghiacciaio del Lares si è spezzettato in tre o quattro ghiacciai», ha spiegato Ferrari. Lo si vede molto bene dalle

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immagini satellitari: laddove il ghiacciaio si spezzetta in tronconi, il ghiaccio passa dal colore bianco, tipico del ghiaccio intatto, ad un grigio scuro, quello che gli esperti chiamano "ghiaccio morto". Al netto dell'allarme globale, la fusione dei ghiacciai ha anche conseguenze sul territorio. C'è il rischio idrogeologico: «La sparizione dei ghiacciai compatti favorisce frane e crolli», ha evidenziato Ferrari. Ma soprattutto compromette le risorse idriche per il consumo umano: l'acqua da bere ovviamente, ma anche l'acqua nei bacini per la produzione idroelettrica o quella per uso agricolo. Su questo Ferrari rassicura, in qualche misura: «I ghiacciai non sono l'unica fonte d'acqua, la pioggia e la neve che stanno cadendo in questi giorni vanno comunque a ricaricare le falde. Ma non c'è dubbio che l'acqua dei ghiacciai sia una fonte importante che va attenzionata». Si può infatti immaginare la riserva idrica immagazzinata nei ghiacciai come una sorta di "banca" dell'acqua: una riserva che per secoli è stata lassù più o meno costante e che ora con il progressivo decremento delle precipitazioni nevose e le temperature medie sempre più alte si svuota progressivamente ed inesorabilmente.

Corriere del Trentino | 28 febbraio 2024

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«A rischio tutti i ghiacciai» L’arretramento di un anno pari a 90 campi da calcio

Massimiliano Cordin

TRENTO «I ghiacciai sono tutti a rischio. Se quelli più grandi, però, anche nel 2023 hanno evidenziato perdite di svariati ettari, i più piccoli hanno subito delle ulteriori contrazioni che li hanno portati o a separarsi dai ghiacciai maggiori o ad arrivare alle misure minime». Si esprime così il presidente della commissione glaciologica della società degli alpinisti tridentini, Cristian Ferrari, analizzando i dati emersi dall’indagine condotta in collaborazione con Acqua Surgiva.

Da decenni Sat misura gli arretramenti frontali dei più grandi ghiacciai del Trentino e, dallo scorso anno, monitora anche le variazioni di area con dati satellitari, attraverso l’utilizzo o di dati telerilevati o acquisiti sul campo mediante droni e laser. Ciò che emerge è chiaro: nell’ultimo anno si sono persi 65 ettari di ghiacciai, pari quasi a 90 campi da calcio. E questo nonostante le intense precipitazioni di carattere piovoso che hanno caratterizzato la tarda primavera-estate dello scorso anno. «Nella ricerca scientifica le fonti sono indispensabili spiega la presidente della Sat, Anna Facchini Siamo orgogliosi di poter presentare i dati che provengono dai monitoraggi frutto del lavoro di una parte dei nostri volontari componenti la commissione glaciologica». Analizzando i singoli ghiacciai si può osservare come l’area dell’Adamello Mandrone sia passata dai 1.474 ettari del 2015 ai 1.362 del 2022 sino ad arrivare agli attuali 1.339. «L’arretramento di quest’anno, per quanto riguarda questo ghiacciaio, è inferiore a quello record dell’estate 2022 analizza il presidente della commissione glaciologica della Sat, Cristian Ferrari Ma è comunque ben superiore alle medie di arretramento degli anni precedenti». Stessa situazione si riscontra anche nel ghiacciaio della Lobbia che è passato dai 577 del 2015 ai 490 del 2022 sino ad arrivare agli attuali 462 ettari totali. Il trend non cambia neppure per quanto concerne le porzioni superiori del ghiacciaio della Presanella, passate dai 245 del 2015 ai 158 del 2022 sino ad arrivare ai 149 ettari del 2023. «Questa zona ha visto la parte basale, avente una superficie superiore ai 30 ettari, sconnettersi da quella a monte prosegue Ferrari – E questo ha comportato un allontanamento delle zone di accumulo che ha portato alla loro fusione, così come sta avvenendo anche alla parte basale del ghiacciaio di Lares che, per la sua conformazione e posizione, è uno dei ghiacciai più in sofferenza in tutto il Trentino. Lo stesso, infatti, ha perso circa 20 ettari di superficie dal 2022 e quasi 110 ettari dal 2015, registrando preoccupanti arretramenti anche nella parte più alta. E riprova ne è che, a causa dei vistosi crepacci e dell’instabilità dei passaggi in roccia, i Comuni di Massimeno e Valdaone sono stati costretti a chiudere il Passo di Cavento che collega il ghiacciaio di Lares con la Vedretta della Lobbia».

Le importanti rilevazioni condotte da Sat con dati satellitari sono sostenute da Acqua Surgiva – Gruppo Lunelli: «Il lavoro della commissione glaciologica Sat ha una triplice valenza: oltre al valore scientifico del dato e all’importanza dell’attività di sensibilizzazione portata avanti, troviamo magnifico che un progetto di tale entità derivi esclusivamente da un impegno su base volontaria commenta la direttrice della comunicazione e delle relazioni esterne del gruppo, Camilla Lunelli Questo conferma, ancora una volta, come Trento meriti di essere capitale italiana ed europea del volontariato». Sebbene sia difficile immaginare, spiegano gli esperti, un cambio di rotta, appare però sempre più importante attuare le buone pratiche per il risparmio e la valorizzazione delle risorse esistenti. «Dobbiamo partire dalla divulgazione conclude Facchini E cercare di sensibilizzare tutti ad attuare piccoli accorgimenti che possono risultare determinanti. L’aspetto che ci fa ben sperare è che, in questo, le nuove generazioni, sono molto più attente».

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CRISI IDRICA E CLIMATICA: RIPERCUSSIONI SUL COMPARTO SCIISTICO

Corriere delle Alpi | 1 febbraio 2024

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Senza neve sotto i 1500 metri «Lo sci da solo non dà futuro»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Versanti a sud verdi, senza neve. Nello Zoldanoeyewear, ma non solo, perfino ad Arabba. Arriva la settimana di carnevale a Cortina, con gli alberghi strapieni, le piste perfette, ma il panorama, intorno alla città non è certo quello invernale. Colonnina del mercurio sotto zero, al mattino presto, anche 10 gradi sopra, a mezzogiorno. E la neve? Ai 1200 metri di Falcade, da ottobre ne sono arrivati solo 56 centimetri, quasi un terzo dell'anno scorso, otto volte di meno rispetto al 2021. E dal 2009 si sono succeduti otto inverni con neppure un metro di coltre bianca. Situazione quasi analoga, ad Alleghe. Per non dire dello Zoldano. Bisogna salire ai 1600 metri di Arabba per trovare un metro e 61 cm di neve in quattro mesi. Ma attenzione, anche nella seconda stazione sciistica più importante delle Dolomiti Bellunesi, negli ultimi 16 inverni, ne abbiamo avuti quattro con meno di un metro di neve. Chi frequenta il Civetta, sa bene che a Natale e Capodanno non si scendeva con gli sci fino in paese. Ai 1900 metri di Col dei Baldi, la precipitazione ha raggiunto i 236 centimetri, quando nel 2021 aveva accumulato 6,23 metri, nel 2020 più di 4 metri, nel 2014 aveva battuto il record con 649 centimetri.

Per ritrovare, quest'inverno, più di due metri bisogna salire ai 1960 metri di Casera Coltrondo, in Comelico. Ai 2250 metri dei Monti Ornella, sopra Arabba,quanto meno ai 1735 metri di Malga Losch. E sulle Prealpi? Ai 1500 metri della Val Palantina, in Cansiglio, sopra Tambre, sono caduti soltanto 78 cntimetri, meno della metà dell'anno scorso. «In Cansiglio? Solo 5 centimetri», risponde un disperato Franco Della Libera, che per la prima volta non è riuscito neppure a tentare di battere le piste di fondo.

Lionello Gorza, presidente del Consorzio turistico Dolomiti Prealpi, gestisce anche il comprensorio sciistico Monte Avena e Croce d'Aune. «Che fatica», ammette. «Siamo intorno ai 1500 metri e le piste con la neve programmata per fortuna tengono bene, per le temperature basse della notte. Manca, però, la neve naturale; lo scenario è dunque quello primaverile. È evidente che i cambiamenti climatici ci impongono di ripensare quest'attività. Lo so, è difficile sostituire lo sci, allo stesso modo le altre attività invernali, ma ci dobbiamo provare, di anno in anno. Bisogna investire in nuove offerte. I privati lo fanno. A Croce d'Aune, per esempio, l'albergo si è dotato di una sauna e in queste settimane si è difeso molto bene». Ma, sottolinea Gorza, anche il pubblico deve osare di più. «Noi ci aspettiamo, ad esempio, che i Comuni, arrivino finalmente con l'acquedotto», insiste Gorza. E il problema delle alternative lo pone soprattutto per il Nevegal.

Risaliamo la provincia e approdiamo ad Arabba. Qui sono aperti 55 km di pista su 60. «Siamo tranquilli, per la neve», ammette il sindaco Leandro Grones. «Ma è evidente che, come amministratori pubblici e come operatori turistici dobbiamo avere visione. Quindi significa prendere atto dei cambiamenti climatici e porci il tema della trasformazione progressiva delle attività». Grones porta l'esempio dell'Austria, dove ci sono località alpine attrezzate di impianti di arroccamento, che magari salgono dal paese, privi di piste, per raggiungerle in quota, oltre i 1800 metri. Quindi? «Quindi», spiega il sindaco, «le società impiantistiche per prime, ma anche noi pubblici amministratori, non possiamo spendere ulteriori fondi in nuovi impianti, ma riqualificare quelli che ci sono. E magari adattarli ad attività nuove; è vero, più facili d'estate, ad esempio con la mountain bike, meno d'inverno. Ma una razionalizzazione alle basse quote va ripensata». E poi Grones si concede una provocazione. «Le società impiantistiche riescono a ricevere dalla Regione o meglio ancora dallo Stato tutto quello che chiedono. Sarà opportuno razionalizzare al meglio questi interventi». Dall'altra parte della provincia, ad Auronzo, sul Monte Agudo finalmente si scia. Siamo a poco più di 1500 metri. «Abbiamo perso il ponte dell'Immacolata, il Natale e Capodanno. Ma adesso», informa Fabio Da Vià, presidente della società di gestione, «abbiamo neve sufficiente per arrivare almeno fino a metà marzo. Semprechè si mantengano le temperature di queste mattine gelide». Ogni inverno, però, è una scommessa. Lo ammette anche Da Vià: «I cambiamenti climatici? Per la verità ricordo che quand'ero bambino ci sono stati degli inverni senza neve. Ma non possiamo dare nulla per scontato. Dobbiamo studiare le possibili alternative. Possono essere le escursioni con le ciaspe o il fuoriposta? Bene, ma questi appassionati chiedono sempre il servizio di trasporto per salire o scendere». Quindi? «Un futuro senza impianti, parlo almeno per salire in quota, mi sembra improponibile». Ma se dobbiamo considerare i cambiamenti climatici, si tenga conto – consiglia Da Via – che in questi giorni stiamo registrando forti escursioni termiche, il gelo nei fondo valle, temperature miti in quota. «E anche queste escursioni debbono far ripensare tutta una serie di attività».

Corriere delle Alpi | 1 febbraio 2024

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Anef: «Noi ci siamo adeguando trasportando escursionisti e mtb»

Il punto

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A quando la prossima neve? Senz'altro non prima della fine della prossima settimana. «Il modello europeo di previsioni meteo, a 240 ore, non vede nessuna precipitazione nevosa», informa Robert Luciani Thierry, previsore dell'Arpav di Arabba. «E fino a giovedì prossimo, neppure il modello americano vede qualcosa. Solo un piccolo calo termico nella seconda parte della prossima settimana, ma nel frattempo il meteo può cambiare 10 volte. E le previsioni, si sa», aggiunge Luciani, «si fanno a 3-4 giorni. Comunque il cambiamento eventuale di cui si diceva non porterebbe la neve sulle Prealpi sotto i 1400-1500, dove arriverebbe solo acqua». Sulle piste, in quota, quindi sopra i 1500 metri, la neve comunque c'è. Lo assicura Marco Grigoletto, presidente di Anef, l'associazione delle società degli impianti a fune. «Le piste, grazie alle temperature, si mantengono in condizioni perfette. Temperature», spiega, «che ci permettono di ‘sparare' nei casi in cui abbiamo bisogno di integrazione».

Ma non è il caso, nelle condizioni date, di cominciare a programmare non tanto la neve, quanto le possibili attività alternative?

«Abbiamo già cominciato a farlo», risponde il presidente regionale di Anef, «adeguando il trasporto a fune alle esigenze dei cicloturisti, quella della mountain bike in particolare. Ma da tempo siamo attivi nel trasporto degli appassionati di fuoripista, scialpinismo, ciaspolatori».

Anef ammette che il cambiamento climatico è una realtà, ormai sotto gli occhi di tutti. Ma Grigoletto ricorda che già negli inverni 1989 e 1990 gli impianti furono costretti a chiudere per mancanza di neve. «Le precipitazioni vanno e vengono. Si pensi alle enormi nevicate del 2021. I cambiamenti», spiega, «si vedono piuttosto nei fenomeni estremi: nevicate concentrate che portano magari il doppio della neve prevista. Nevicate cui segue il rialzo delle temperature, fenomeno anche questo in parte nuovo. Come quello delle raffiche di vento sempre più forti».

L'acqua che gli impianti a fune trasformano in neve ammonta a 3 milioni di metri cubi l'inverno. «Acqua che noi conserviamo e restituiamo a primavera, dando un forte contributo contro la siccità».

Quindi la carenza d'acqua che si riscontra in taluni ambienti della pianura non porta la colpa dell'innevamento piste. «Noi consumiamo (per poi restituire) solo una parte contenuta di prelievi. La sola industria del Veneto usa risorse idriche molto più abbondanti delle nostre».

Nel mese di dicembre 2023 – ultimo dato Arpav disponibile - erano caduti mediamente in Veneto 63 mm di precipitazione; la media del periodo 1994-2022 è di 82 mm (mediana 80 mm). Gli apporti meteorici mensili sul territorio regionale sono stati dunque inferiori alla media (-23%) e sono stimabili in circa 1166 milioni di m3 di acqua.

Corriere delle Alpi | 1 febbraio 2024

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Rescue permafrost in Tofana il progetto piace agli svizzeri

il caso

Fa scuola il progetto Rescue permafrost, che ha permesso di consolidare la stazione di monte della funivia Pian Ra Valles – Ra Valles – Bus Tofana raffreddando lo strato sotterraneo di permafrost con un circuito frigorifero alimentato solo da energia rinnovabile, per fermarne lo scioglimento e garantire che resti solido.

La soluzione tecnica all'avanguardia messa in funzione l'estate scorsa dalla società Tofana ha infatti conquistato rilevanza internazionale.

«Siamo stati contattati dal comprensorio di Corviglia Piz Nair, in Svizzera», spiega Mario Vascellari, presidente di Tofana Srl, «poiché una loro stazione a 3.500 metri presenta la stessa problematica: è nato un interessante scambio di opinioni».

«Certo, la tematica è molto simile alla nostra a causa dei cedimenti strutturali», sottolinea Norbert Klammsteiner di Energytech Srl, tra i tecnici che hanno elaborato l'impianto in Tofana, «ma il sottosuolo è molto diverso e non uniforme dato da un miscuglio di ghiaia, ghiaccio e aria che modifica maggiormente la dinamica totale ma la soluzione da noi adottata può essere senz'altro presa come modello vincente per tutti».

Il problema alla base della stazione di monte della seggiovia ampezzana era legato al permafrost, lo strato di circa 15 metri di spessore situato proprio al di sotto dell'impianto di risalita, costituito da una matrice rocciosa intrisa d'acqua ghiacciata, che stava gradualmente cedendo a causa delle elevate temperature estive, provocando l'abbassamento della stazione.

«Per ovviare al problema», spiega Vascellari, «avevamo ipotizzato soluzioni "passive", ancorando la stazione a micropali di circa 17 metri verso la roccia sottostante ma, nei primi due anni di esercizio, i continui micro assestamenti dovuti allo scioglimento rappresentavano un problema sempre più evidente dal punto di vista funiviario. Parlando con i tecnici che avevano studiato l'ancoraggio con i micropali, è emerso che il calore accumulato d'estate dalle superfici si diffondeva nella profondità aggredendo il permafrost per cui abbiamo dovuto invertire il paradigma: se il sole è la causa principale dello scioglimento del permafrost allora sarà il sole stesso a inibire tale scioglimento».

Corriere delle Alpi | 9 febbraio 2024

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«Questa crisi idrica non può essere risolta con il federalismo»

l'intervista

Gennaio 2024 è stato il più caldo mai registrato a livello globale, piove con il contagocce, non nevica e l'acqua si conferma ancora una volta un bene di cui non si dispone più in abbondanza. Lo scorso anno la stagione irrigua è stata salvata per un soffio e anche la prossima estate i problemi saranno gli stessi. La crisi idrica preoccupa regioni come Veneto e Trentino, che sempre più spesso finiscono per litigare quando si parla di rilascio di acqua o di nuovi invasi. «Ma attenzione, l'idrogeologia non può essere considerata una materia regionale», mette in guardia Nicola Dell'Acqua, veronese di 58 anni, ex direttore di Veneto Agricoltura e dallo scorso mese di maggio commissario straordinario per la crisi idrica. «Il federalismo non può essere applicato né all'acqua, né all'aria. Bisogna ragionare a livello di distretti. La Comunità europea ha fatto un regolamento che ha un senso».

La Provincia autonoma di Trento ha votato all'unanimità una mozione che boccia il progetto di realizzazione della diga del Vanoi, un serbatoio d'acqua da 33 milioni di metri cubi che darebbe soluzione alla grande sete della pianura. Cosa ne pensa?

«Sul Vanoi non mi esprimo, prima voglio vedere i dati».

Quali dati?

«Voglio avere prima un bilancio idrico preciso e tracciato nei minimi particolari».

Intanto però un territorio ha messo nero su bianco un veto sopra cui sarà difficile passare.

«È chiaro che tutti gli invasi saranno osteggiati dalle popolazioni residenti. E questo meccanismo di monte idraulico contro valle idraulica è quello che sta ingessando il Paese».

E lei, con il suo ruolo, come si pone di fronte a questa contrapposizione?

«Questa estate ci saranno sicuramente decisioni sovraregionali da prendere. È mia facoltà intervenire in caso di necessità. Ma ripeto: prima voglio vedere bene qual è la situazione».

È vero che si è dotato di uno staff?

«Ho ingaggiato un tecnico dalla Protezione civile, uno dalla Presidenza del Consiglio, uno dalla Corte dei Conti e un avvocato dello Stato».

Come mai due giuristi?

«Perché se dovrò intervenire ho bisogno dell'avvocato dello Stato e della Corte dei Conti accanto: le mie azioni comporteranno certamente danni economici a qualcuno».

Ne è certo?

«Per dare acqua a qualcuno la togli a qualcun altro. Non c'è via di scampo».

Prima faceva riferimento ai distretti come area da prendere in considerazione, a discapito delle regioni. Quali sono i distretti di cui parla?

«Una direttiva europea individua 6 distretti: Alpi orientali, Fiume Po, Appennino settentrionale, Appennino centrale, Appennino meridionale, Isole (Sardegna e Sicilia). Sono coordinati dal Ministero dell'Ambiente e sono dotati di comitati con membri ministeriali e regionali».

Quali sono le sue priorità in questa fase?

«Mi sto focalizzando sugli invasi che già esistono ma che, purtroppo, non hanno avuto la giusta manutenzione: la diga che non è messa a posto, quella che è piena di fango, quella a cui manca il collaudo o che ha la paratia rotta. Ho già consegnato una relazione al Consiglio dei ministri».

È un fenomeno così importante in Italia?

«Senza ombra di dubbio: insabbiamento, mancanza di collaudi, movimenti franosi che hanno fatto abbassare le dighe. Sa qual è la verità?».

Quale?

«Che noi, da Roma in su, non abbiamo mai avuto problemi di acqua. E quindi non abbiamo mai pensato a organizzare i sistemi. Se un bacino costruito per 300 milioni di metri cubi d'acqua ne perdeva 50 per l'insabbiamento, non era un problema. Adesso però c'è il cambiamento climatico. Siamo in febbraio e c'è poca neve, i ghiacciai si restringono e d'estate non c'è più il contributo d'acqua di una volta».

Qual è la situazione in Veneto?

«Il Veneto non è messo malissimo. Ci sono problemi di interramento nell'invaso di Santa Croce. Complessivamente stiamo investendo 170 milioni in questa regione. Ma ciò che più mi preoccupa è il cambio di paradigma: dobbiamo passare dall'essere un paese che aveva tanta acqua, a un paese che non ne ha più. Ora dobbiamo copiare da Spagna e Israele».

Quindi prima le manutenzioni e poi?

«Le operazioni di ricarica della falda. È il lago più grande che abbiamo e nessuno sta facendo nulla».

Secondo lei, vista la situazione, quando potrà arrivare il momento più critico quest'anno?

«Se non piove a luglio avremo notevoli difficoltà».

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Corriere delle Alpi | 9 febbraio 2024

p. 12

Corriere delle Alpi | 19 febbraio 2024

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Stagione bianca formato maxi cannoni per sciare fino ad aprile

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Le settimane bianche? «Proseguiranno ad oltranza, quanto meno sino a metà marzo, ma anche oltre», risponde Marco Grigoletto, presidente regionale di Anef, l'associazione degli impiantisti. Quasi un paradosso: in un'annata particolarmente povera di neve, con gran parte delle piste che sono aperte solo grazie ai cannoni, la stagione si allunga. E gli albergatori ringraziano. «Il brand Dolomiti ha cominciato a tirare. A tutte le latitudini del mondo. Lo stiamo constando, lo ripeto, con sorpresa. E' un fenomeno nuovo», ribadisce Grigoletto.

Prossime nevicate

«Incrociamo le dita, per favore: speriamo nella neve di giovedì e venerdì prossimi. Così arriveremo tranquilli alla chiusura della stagione, ai primi di aprile». La fiducia di Cristian Moretti, direttore di Alleghe Funivie, è la stessa di Renzo Minella, per la ski area Falcade San Pellegrino, di Sonia Menardi, dell'Ista a Cortina, di Grigoletto, appunto. «La stagione sta andando al meglio, anche se la pioggia di fine carnevale ci ha abbassato la media: viaggiavamo con un +7-8%, siamo scesi al 3%. Ma almeno ci ha portato un po' di neve – sospira Menardi -. Certo, alle quote più basse abbiamo bisogno di un nuovo supplemento: se non è di neve, almeno di freddo, per spararla».

La chiusura della stagione è rimandata ad aprile. La domanda resta alta: «Benissimo gli stranieri, quasi una sorpresa per stazioni caratterizzate dagli italiani, come la nostra di Alleghe – dice Moretti -. Bene anche le settimane bianche degli italiani. Qualche sofferenza l'abbiamo registrata ad inizio stagione per l'impossibilità di innevare le piste del rientro». Metro alla mano

Ma ad oggi quanta neve manca? A Cortina la neve a valle è di 30 cm, in quota sui 70, così pure a San Vito di Cadore, ad Auronzo, e poca è la differenza a Misurina. A Padola, invece, si sale dai 32 cm ai 93. Assolutamente meglio sta Arabba, che parte da 80 cm per ascendere fino ai 120. Falcade oscilla tra i 25 ed i 90, così pure Alleghe, leggermente inferiore la Val di Zoldo. Le alte temperature stanno sciogliendo definitivamente le ultime nevi del Nevegal e del monte Avena.

L'ultima nevicata ha recato un apporto sui 30 cm di media in quota, ma il mese di gennaio si era chiuso con un bilancio negativo rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Basti sapere che la risorsa idrica nivale, a fine mese, era di 133 milioni di metri cubi nel bacino del Piave, contro i 180 del gennaio 2023 e una media degli ultimi 30 anni intorno ai 250-300 mln di metri cubi): di 82-90 milioni

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di metri cubi nel bacino del Cordevole, contro i 100 dell'anno scorso; di 90-102 Mm3 nel bacino del Brenta (ben 150 milioni nel gennaio 2023).

Coppa del mondo

Ma ritorniamo alle settimane bianche. Falcade ed il San Pellegrino sono in grande spolvero. Nel fine settimana ospiteranno le gare di Coppa del mondo femminile. Una straordinaria boccata d'ossigeno per tutta la Valle del Biois, come ammette Antonella Schena, presidente degli Albergatori.

Condivide Fulvio Valt, maestro di sci e delegato provinciale. «E' il regalo che mi sono fatto andando in pensione», sorride Minella, alla cui azione si deve questo successo. «La verità è che l'intero territorio delle Dolomiti si merita questa credibilità, per cui, mai come quest'anno, abbiamo visto tanti stranieri», continua Minella.

Lo conforta con i numeri il presidente Grigoletto. «Avremmo registrato una percentuale d'aumento a due cifre – ammette il presidente Anef – se non ci fossero statui quei tre-quattro giorni di Carnevale col maltempo. Giorni strategici, per noi; giorni che fanno statistica. E che, purtroppo, ci hanno abbassato la media. Ma siamo ancora in territorio più che positivo».

Sino a maggio

Lo conferma anche Marco Zardini, presidente di Cortina skiworld. «Aspettiamo la neve di questo fine settimana. E se non sarà sufficiente – afferma – potremo contare su una nuova fase di temperature rigide, per cui partiremo con la programmata». Per cui? «Siamo sicuri di arrivare sino ad aprile; il Faloria sino al 1° maggio. E ci arriveremo – aggiunge – con la gratificazione di un aumento quasi inatteso di primi passaggi». Quasi a dire che l'aumento dei prezzi non ha fatto la differenza? «Nelle nostre stazioni abbiamo registrato della clientela diversa. Quest'anno, più di sempre, lo sci si è rivelato come una disciplina interclassista, praticata proprio da tutti; verrebbe da dire per tutte le tasche», conclude Grigoletto.

LA MEMORIA DEL GHIACCIO: INTERVISTA AL RICERCATORE JACOPO GABRIELI

Alto Adige | 6 febbraio 2024

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La memoria del ghiaccio per capire il futuro

Dolomiti

Il record, finora detenuto dal 2016, è stato battuto dal 2023, l'anno più caldo dal 1850, secondo i dati pubblicati da Copernicus, il programma di osservazione della Terra dell'Unione europea, dedicato al monitoraggio del pianeta e del suo ambiente. Un dato purtroppo prevedibile, per chi studia la criosfera, come il glaciologo del Cnr Jacopo Gabrieli, a cui il team di Dolomiti Unesco ha chiesto di collocare le indicazioni meteorologiche di questa prima parte dell'inverno, nel contesto climatico generale e di spiegarci le ragioni e l'importanza di Ice Memory, il progetto internazionale riconosciuto dall'Unesco, che vede come capofila l'Istituto di Scienze Polari del Cnr e Università Ca' Foscari di Venezia, assieme alla Ice Memory Foundation.Che inverno stiamo attraversando sulle Dolomiti?I dati di precipitazione di questo primo mese e mezzo d'inverno meteorologico (che, lo ricordiamo, inizia con il primo dicembre), ci dicono che la quantità accumulata di precipitazione è leggermente inferiore alla media; ma il vero problema è la mancanza di neve: siamo sui livelli dell'anno scorso, ovvero un 40% in meno rispetto alle medie alle quali eravamo abituati. Le precipitazioni, infatti, sono state accompagnate da uno zero termico elevato. Venendo al trend, possiamo dire che il limite della neve sull'arco alpino, stando a uno studio pubblicato nel 2020, si alza ogni anno di 5 metri, il che significa 200 metri in 40 anni. L'Università di Padova ha studiato gli anelli di accrescimento delle piante di ginepro, alcune in vita, altre fossili, per ricostruire la durata della neve al suolo negli ultimi seicento anni: se consideriamo i dati dell'ultimo secolo, risulta che, a 2000 metri, la durata della neve al suolo è diminuita di oltre un mese».Unire questi due dati consente di vedere chiaramente in quale tendenza climatica si inseriscano i dati meteorologici di un anno, come il 2023, che secondo lo studio del programma Copenicus, è stato il più caldo dal 1850, per l'intero Pianeta. E per la montagna?Che il 2023 sarebbe stato l'anno più caldo lo sapevamo, purtroppo, già a novembre e questo la dice lunga. A livello globale, l'anomalia è stata di 0,60°C rispetto alla media del trentennio 1991-2020, ma rispetto all'era preindustriale il dato arriva a 1,48°C di scarto, terribilmente vicino al limite di 1,50°C, che ci eravamo proposti di non raggiungere. Nel mese di dicembre 2023, l'anomalia termica sulle Dolomiti è stata i 3,2°C (quasi 5°C nella seconda metà), rispetto al periodo 1991-2020. I colleghi di Meteoswiss hanno studiato la quota dello zero termico degli ultimi decenni e si sono resi conto di un altro dato inquietante: in estate (luglio e agosto) la quota media dello zero termico è di 300 metri più alta rispetto al periodo preindustriale e in inverno si arriva a 500-600 metri.Veniamo alla condizione dei ghiacciai: al Lagazuoi Expo Dolomiti è possibile visitare la mostra «Buonanotte Ghiacciai», realizzata in collaborazione con la Fondazione Università Ca' Foscari di Venezia e l'Istituto Scienze Polari del Cnr e dedicata ad Ice Memory. Perché è importante, per l'adattamento alla crisi climatica, studiare le informazioni custodite nel ghiaccio? Il progetto Ice Memory parte da due presupposti. Il primo: i ghiacciai sono degli archivi ambientali straordinari; negli strati dei ghiacci polari e di quelli montani troviamo informazioni preziosissime sul clima, sull'ambiente del passato e sull'impatto delle attività umane nel corso dei secoli. Il secondo presupposto è che la loro repentina fusione ci sta privando, tra le altre cose, proprio di questa memoria; è come un incendio che distrugge una biblioteca. Durante le nostre missioni preleviamo carote di ghiaccio, alcune vengono analizzate subito, altre conservate nel frigorifero naturale dell'Antartide.Veniamo alle Dolomitii: il loro destino è ormai segnato? Sì, il destino dei piccoli corpi glaciali è segnato. Andare in Marmolada è come andare al capezzale di un familiare che ami con tutto il cuore, ma che ormai si sta spegnendo. Questo, però, non deve deresponsabilizzarci, dobbiamo anzi agire con più forza e pensare al futuro, con una prospettiva al 2100 e quindi non tanto per noi quanto per i nostri figli e nipoti. Il titolo della mostra, "Buonanotte ghiacciai", è provocatorio, ma dopo la notte ci può essere un risveglio, un raggio di luce e di speranza, se sapremo essere protagonisti di un cambiamento vero».

PRUDENZA IN MONTAGNA

Gazzettino | 15 febbraio 2024

p. 2, edizione Belluno

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Il T | 18 febbraio 2024

p. 29

Settimana della prudenza sulle piste della Paganella

Paganella Si svolgerà sulle piste di sci della Paganella, giovedì prossimo, 22 febbraio, il primo appuntamento della «Settimana della prudenza in montagna», promossa dall'Associazione Gestori rifugi del Trentino, il Collegio guide alpine del Trentino, il Collegio dei maestri di sci, il Soccorso alpino e speleologico trentino, la Sat, la Fondazione Dolomiti Unesco e Trentino Marketing.

L'iniziativa, il cui programma prevede, dal 22 al 26 febbraio, cinque uscite tematiche in ambiente montano in diverse località del Trentino, accompagnati da guide alpine, maestri di sci, e istruttori del Soccorso alpino, mira a diffondere la cultura della montagna e della prudenza nella frequentazione delle terre.

Durante l'attività in Paganella, saranno fornite indicazioni e consigli su come comportarsi e affrontare le piste di sci, tra le quali, traiettoria e velocità in pista; come e quando sorpassare; dove fare le soste; rispetta la segnaletica; cosa fare quando si cade; dove stare quando deve salire o scendere a piedi; la chiamata al soccorso piste; assicurazione.

Il ritrovo dei partecipanti (8 posti) è previsto ad Andalo, alle 8.45, al parcheggio partenza telecabina 2001 già muniti di skipass. R.F.

L’Adige | 20 febbraio 2024

p. 18

Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

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Con la neve torna l'allerta valanghe Fuoripista sconsigliati fino a lunedì

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Torna la neve. Questa mattina saranno possibili deboli precipitazioni che col passare delle ore diventeranno più diffuse e soprattutto assumeranno quantità significative in serata. «Tra giovedì e venerdì sono attesi 35-60 centimetri sulle Dolomiti oltre i 1500 metri e 5070 sulle Prealpi oltre i 1900 metri», specifica dall'Arpav Fabrizio Tagliavini, che ieri ha redatto il bollettino valanghe. «La neve fresca poggerà su una superficie dura e liscia e saranno pertanto possibili valanghe spontanee a debole coesione, che in alcuni casi potranno essere anche di grandi dimensioni».

Meglio, dunque, evitare il fuoripista e lo scialpinismo in questi giorni. E fino a domenica, anzi a lunedì. Le nevicate, infatti, saranno accompagnate da venti tesi e forti da sud ovest che ridistribuiranno la neve fresca e, pertanto, si formeranno nuovi depositi di neve ventata, il cui distacco sarà possibile già con debole sovraccarico.

A partire da domani – conferma Tagliavini – il rischio valanghe salirà dal grado 1 al grado 3. I punti più pericolosi saranno localizzati lungo i pendii ripidi e alla base delle balze rocciose a tutte le esposizioni, così come in prossimità di creste, forcelle e nei ripidi canali sottovento. Ad oggi il manto nevoso è per lo più stabile con una superficie di neve umida rappresentata da una crosta spesso portante fino in alta quota. Nei versanti in piena ombra la struttura del manto nevoso presenta ancora strati fragili persistenti i cui cristalli, sempre

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a causa delle temperature miti, sono però in via di arrotondamento. «Gli strati deboli persistenti e la neve umida anche per oggi rappresentano i problemi valanghivi principali e il pericolo di valanghe è stimato debole», puntualizzava ieri Tagliavini.

Da oggi, dunque, cambia tutto. In questi giorni il collega di Tagliavini, Robert Luciani Thierry è impegnato nelle previsioni, ora per ora, nella Valle del Biois, più precisamente sul Passo San Pellegrino, in relazione alla Coppa del Mondo di sci femminile. «La saccatura in arrivo dalla Francia avrà degli effetti già oggi in mattinata con un po' di neve. Il tempo peggiorerà col prosieguo della giornata, fino a diventare perturbato nel pomeriggio sulla zona dolomitica».

Sulle Prealpi fioccherà dai 1600 metri in su. Forse in serata il limite si abbasserà ai 1400 metri. «Sulle Dolomiti, invece, la situazione sarà un po' diversa perché potremo avere già un po' di freddo nella notte e a quel punto, se il cielo rimane velato, il limite delle nevicate», prevede Luciani, «potrebbe scendere ai 1100-1200 metri. Questo entro la mattinata di oggi. Poi in giornata tenderà a rialzarsi sui 1300, forse anche sui 1500».

Seguirà il peggioramento decisamente più marcato, di cui si diceva, con delle precipitazioni abbondanti, «ancora però da definire nei quantitativi perché la situazione è abbastanza delicata». Sotto i 1400, i 1500 metri? «Potremo trovare la neve localmente, nelle valli più chiuse, anche a 900-1000 metri nella mattinata di venerdì», mette in conto Luciani. «Più in generale, sotto i 1200 metri probabilmente pioverà».

Questo fino a domani mattina. E nel pomeriggio di venerdì? «Il modello operativo ci dà pochissimi centimetri di neve, mentre altri scenari suggeriscono nevicate fino a 20 centimetri».

E nella giornata di sabato come evolverà il meteo? «Avremo un piccolo fronte settentrionale, senza grandi effetti nella notte con un leggero abbassamento della neve, sui 1000-1100 metri un po' ovunque. Seguirà della variabilità. Domenica, invece, potrebbe andare un po' meglio», dice Luciani. Il quale non vorrebbe deludere gli operatori turistici che invece si fanno marcate illusioni. «Arrivasse anche mezzo metro di neve, a 1800 metri durerà una settimana, poi via. Se il suolo non è freddo, sparisce. Anzi, la neve che arriva così tardi accelererà la fusione di quella che era a terra precedentemente. Poi basta pensare che qui ad Arabba fino sui 1700 i versanti a sud sono senza neve, si sono riscaldati».

Corriere del Veneto | 22 febbraio 2024

p. 10, edizione Treviso - Belluno

Scarpe nuove e il cellulare ben carico «Anche gli escursionisti siano attenti»

BELLUNO Ciaspolate, scialpinismo, escursioni: aumenta la voglia di esperienze da brivido in alta montagna. L’innalzamento della quota-neve e le temperature miti favoriscono anche l’escursionismo che, se praticato in inverno, richiede accorgimenti specifici. Alex Barattin, responsabile del Soccorso Alpino sulle Dolomiti Bellunesi, spiega come comportarsi bene. «Notiamo ammonisce Barattin in un’intervista rilasciata a Dolomiti Unesco che molti escursionisti affrontano la montagna, anche in inverno, con leggerezza, senza considerare la severità dell’ambiente. E senza attrezzatura adeguata, ad esempio con vestiti troppo leggeri e con scarpe troppo vecchie».

Le richieste di intervento che arrivano al Soccorso Alpino scoprono una realtà che fa riflettere. «Ai primi posti delle motivazioni spiega Barattin sempre impreparazione, incapacità di proseguire, malori e perdita dell’orientamento. Fattori che, in inverno, possono risultare più problematici che in estate. Da attenzione anche per le basse temperature e la riduzione delle ore di luce».

Gli errori più comuni riguardano spesso le calzature. «Per esempio specifica la mancanza di consapevolezza del fatto che i ramponcini, le cosiddette «catenelle», sono adatti a percorrere sentieri con poca pendenza, non all’attività alpinistica. Sarebbe sempre opportuno avere con sé veri ramponi.

La presenza di ghiaccio l’insidia maggiore. «Può capitare di trovarsi su un versante in ombra e d’incontrare un tratto, anche di soli 4 o 5 metri, che richiede queste dotazioni. Senza, è meglio tornare indietro ».

Dulcis in fundo le batterie dei telefonini. «Bisogna disattivare bluetooth wi-fi chiude Barattin quando scarseggia la carica. Inoltre le reti 4G e 5G vanno attivate solo per la geolocalizzazione. Determinante, poi, la collocazione del telefono: va tenuto nello strato più interno dell’abbigliamento» . © RIPRODUZIONE RISERVATA

Corriere dell’Alto Adige | 23 febbraio 2024

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Torna l’inverno: allerta per la neve. Lo sci respira: avanti fino a Pasqua Oggi nevicate anche sotto i mille metri. La protezione civile: «Altissimo rischio di valanghe»

Enzo Coco BOLZANO

Da una possibile allerta gialla per rischio di incendi dovuti alla siccità emanata ieri, a quella di oggi che invece espone disco giallo per le nevicate e le possibili valanghe nelle zone antropizzate. Sono gli scherzi di un meteo sempre più bizzarro che ieri dava un’allerta

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per possibili incendi boschivi nella zona della val d’Adige e per la giornata di oggi prevede invece nevicate sopra i 600-1000 metri soprattutto nell’alta val Pusteria, in alta val d’Isarco, in Venosta da Naturno in su fino a Passo Resia.

«Il mese di febbraio è stato più caldo dal 1850 con temperature superiori di 4 gradi alla media stagionale» segnala il direttore del servizio meteo Dieter Peterlin annunciando le abbondanti nevicate del finesettimana

«A causa del potenziale di rischio per i movimenti di massa e le colate detritiche, per la giornata di venerdì 23 febbraio è previsto lo stato di allerta giallo su diversi territori della provincia: è importante monitorare con attenzione le condizioni meteo, adattando il proprio comportamento» ha sottolineato il direttore del Centro funzionale provinciale Willigis Gallmetzer, evidenziando come frane e crolli potrebbero registrarsi anche in valle Isarco, val d’Adige e nel Burgraviato.

«Con le abbondanti nevicate previste per oggi riferisce a sua volta Lukas Rastner, dell’Ufficio Meteorologia e prevenzione valanghe

il rischio valanghe aumenterà notevolmente su tutto il territorio provinciale». Livello di allerta 4 (forte) in alta valle Isarco e in tutta la Pusteria il livello di allerta Bravo (il terzo livello su quattro) di emergenza, è previsto nelle altre zone montane della provincia. Una situazione meteorologica che si è modificata nel volgere di 24 ore e da respiro portando acqua in fondovalle dove i valori delle polveri sottili stavano pericolosamente salendo e nello stesso tempo porta neve per gli impianti sciistici i cui gestori stavano cominciando a preoccuparsi per il progressivo calo del manto nevoso sulle piste. Non è un problema per la Val Senales: «Attendiamo neve in questi giorni (si parla di 60 centimetri ndr) dice Stefan Hütter direttore marketing di Alpin Arena Senales ma comunque non abbiamo problemi di innevamento. Abbiamo iniziato tardi per via della costruzione della nuova funivia, ma siamo contenti dell’affluenza della stagione. Chiuderemo comunque il 7 di aprile, dopo i campionati italiani assoluti maschili e femminili delle discipline tecniche, slalom gigante e speciale, perché il giorno dopo ricominceranno i lavori della costruzione della stazione a valle che termineranno entro l’anno».

Andreas Zanier, presidente di Merano 2000 saluta l’arrivo della neve «perché fa bene soprattutto all’occhio e alla voglia di andare a sciare, ma sulle piste – dice – non abbiamo problemi perché quella artificiale tiene e andremo a concludere una stagione quasi da record per Pasqua, come programmato».

L’Adige | 26 febbraio 2024

p. 11

Il monito del soccorso alpino «Sempre arva, pala e sonda»

Francesca Cristoforetti«Ci vuole prudenza e rispetto verso la montagna e ciò che si sta andando ad affrontare. In un mondo “mordi e fuggi” è venuta a mancare quella conoscenza e consapevolezza nei confronti dell’ambiente montano che va rispettato ma anche temuto». È questo il commento di Sandro De Zolt, istruttore del soccorso alpino e guida alpina all’indomani delle tre valanghe in tre località distinte (la prima nel Primiero, le altre due nelle valli Fiemme e Fassa) e che hanno coinvolto, a distanza ravvicinata, ben cinque persone. Tutti sopravvissuti, nonostante la tragedia sfiorata. «Tutti fuori pista, senza arva pala e sonda, strumenti necessari in questi casi per potersi muovere in sicurezza in un ambiente montano innevato», ha detto l’esperto. «Le immagini e i video diffusi sui social, per quanto ammalianti, possono essere fuorvianti. A questo si aggiungono inverni sempre più asciutti con manti nevosi più instabili, e persone invece, che hanno sempre più “fame” di neve. Questa combinazione di elementi può creare una tempesta perfetta». Quali sono le “false sicurezze” più comuni e diffuse?La prima è pensare che il rischio sia minore per il fatto che ci sia poca neve in quota. Basta un solo “strato debole” nel manto nevoso e la giusta pendenza perché si crei un distaccamento. La seconda è sentirsi sicuri muovendosi in prossimità di impianti e piste, rimanendo fuori dal tracciato, come accaduto ieri (l’altro ieri per chi legge, ndr) per i 5 freerider. Gli impiantisti mettono in sicurezza l’area: se ci muoviamo al di fuori entriamo in una zona non più gestita e il rischio aumenta notevolmente. Nessuno dei cinque era dotato di arva, pala e sonda. Strumenti che per esempio, nello scialpinismo non possono mai mancare. Come è necessario comportarsi e quali strumenti avere in questi casi?Innanzitutto è necessario comprendere l’ambiente in cui ci troviamo. Il fuori pista non è controllato e va affrontato con la necessaria prudenza. Essere dotati della corretta attrezzatura, tra cui i dispositivi come arva, pala e sonda sia per la propria incolumità che per quella dei soccorritori, per permettere loro di trovare chi è sepolto dalla neve nel minor tempo possibile senza rimanere esposti troppo tempo in una zona con un alto potenziale di rischio. Leggere in modo accurato il bollettino meteo e valaghe. Sabato, con un grado di pericolo 3 “marcato”, sono stati descritti tutti gli scenari che si sono poi verificati. Informarsi bene: una regola che vale sempre, che sia estate o inverno.Il bollettino valanghe non sembra migliorare nei prossimi giorni con le nuove precipitazioni in arrivo.La caduta di neve e i successivi episodi di vento andranno ad aggiungere altri strati “delicati”. È probabile che il grado 3, che è alto come livello di pericolo, rimanga. Significa che basta la sola presenza di uno sciatore per innescare un distaccamento, anche a distanza.Cosa significa che manca una cultura della montagna?L’idealizzazione della montagna, amplificata dai social, non è andata di pari passo con una cultura consapevole e responsabile di ciò che è l’ambiente montano. Manca sensibilità nel capire anche che la montagna è più forte di noi. L’ignoranza, intesa come non conoscenza, forse il limite più grande. Ci sono tantissimi professionisti ed esperti con cui imparare e a cui poter fare sempre riferimento.

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OLIMPIADI: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 1 febbraio 2024

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Oltre 800 milioni di opere da avviare entro fine anno

L'azzeramento dei vertici di Simico – la Società Infrastrutture Milano Cortina – deciso dal governo mette di nuovo sotto i riflettori il cronoprogramma delle opere da realizzare nel Bellunese in vista delle Olimpiadi. Un piano, già in ritardo, da 833 milioni di euro, di cui un terzo (variante di Cortina e partenariato pubblico-privato a Cortina) riguarda opere che si completeranno dopo i Giochi. Simico deve sbloccarlo da metà febbraio ed entro fine anno.

Villaggio Pizzarotti

La prima struttura a vedere la luce, a questo punto sarà un'opera strumentale, il villaggio prefabbricato, e removibile, dell'impresa Pizzarotti, per le maestranze che lavoreranno alla pista da bob. In località Socol, all'ingresso di Cortina, è questione di un mese. Pizzarotti ha poi chiesto a Simico di prendere possesso dal 15 febbraio del cantiere della pista per realizzare il "Lotto 2", da 81,6 milioni, intervento da chiudere entro novembre 2025, con impianto praticabile già da marzo del prossimo anno, per le pre omologazioni. Michele Titton, direttore dei lavori, ha assicurato che, con due turni di lavoro e 5 giorni alla settimana, l'involucro sarà disponibile a fine gennaio 2025, pronto per essere gelato e utilizzato.

Strada Lungo Boite

Il Lotto 0 della Variante di Cortina – cioè sistemazione del corpo stradale di Lungo Boite, raddoppio del ponte Corona e riqualificazione di via Cesare Battisti – sarà "cantierato" ad aprile e verrà concluso entro giugno 2025. L'importo dei lavori è di 29 milioni e 138 mila euro.

Olympic Satdium

Apertura cantiere a maggio 2024, conclusione a novembre 2025. Progetto da 20 milioni e 415 mila euro (di cui 6 milioni della Regione) per ampliare gli spogliatoi, consentendone l'uso anche agli atleti paralimpici. Per questo ne sarà migliorata l'accessibilità.

Altri interventi: upgrade tecnologico e impiantistico, e manutenzione straordinaria della copertura. Quanto alla riqualificazione degli immobili, compreso l'ex panificio, i cantieri saranno tra agosto 2024 e novembre 2025. Riqualificazione dell'ex mercato, da 15 milioni di euro: tra luglio 2024 e novembre 2025.

Il cantiere per la Bretella di penetrazione sud di Cortina – dal 51,8 milioni – inizierà a ottobre 2024, con ultimazione entro agosto 2026.

Sliding Center-Lotto 3, ovvero il memoriale: circa 3 milioni di euro e un anno di cantieri, da ottobre.

Partenariato pubblico-privato

Il cantiere del sistema integrato di mobilità intermodale sarà aperto a novembre 2024 e completato a dicembre 2025, relativamente all'impianto a fune (Apollonio-Socrepes, da 2400 persone all'ora) e a un piano del parcheggio interrato. Il progetto prevede un investimento di 127 milioni e 484 mila euro. A carico del privato, la quota più importante: 95 milioni e 696 mila euro. Mentre la Regione interverrà con poco meno di 7 milioni.

Villaggio Olimpico

Concluse le analisi, costerà 39 milioni. Gara e assegnazione entro l'anno; realizzazione nel 2025, con una decina di mesi di cantieri. La struttura, removibile, ospiterà 1.300 atleti. La Medal Plaza di Cortina sarà l'ex trampolino di Zuel. Dieci milioni di spesa a carico della Regione, con lavori al via a ottobre 2024 e che si concluderanno a settembre 2025. Quanto alla pista Olimpya delle Tofane, la Regione metterà a disposizione un milione e 380 mila euro per l'upgrade di strutture e dotazioni. Cantiere la prossima estate.

Stazioni ferroviarie

Sono previsti 56 milioni di lavori, alcuni già in corso come a Ponte nelle Alpi. I prossimi i cantieri a Belluno e a Longarone. Per la variante di Longarone, la spesa sarà di 395 milioni e 928 mila euro. Entro l'autunno dovrebbe partire il cantiere. Regione, Comune di Cortina e fiera di Longarone hanno chiesto a Simico di fare l'impossibile per arrivare, entro le Olimpiadi, almeno alla Fiera di Longarone (7 km di ). Ma difficilmente si arriverà a Longarone per i Giochi.

Quanto infine alla variante-tunnel che attraverserà Cortina, è stata rinviata a dopo le Olimpiadi.

Corriere delle Alpi | 6 febbraio 2024

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I giochi olimpiaci della rincorsa

Mancano due anni esatti all'accensione del braciere olimpico, allo stadio Meazza a San Siro. Pochi, pochissimi, visti nell'ottica dei lavori che devono essere fatti sugli impianti. Nella migliore nelle situazioni, i cantieri sono appena iniziati. Nella peggiore devono ancora essere fatte le gare. In mezzo un dedalo di appalti, rinunce, piani B.

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È il caso del pattinaggio velocità e delle gare di hockey femminile: non si svolgeranno, rispettivamente, a Baselga di Pinè (Trentino) e al Palasharp (Milano), ma alla fiera di Rho (Milano), con strutture temporanee. Non c'erano più i tempi per riuscire a realizzare gli impianti che erano stati precedentemente indicati come sedi delle gare.

Ma è anche il caso della pista da bob di Cortina: il contratto con la ditta Pizzarotti è stato firmato, il cantiere è dato in partenza per il 19 di febbraio ma il Cio ha sollecitato in più occasioni il Comitato Organizzatore a predisporre fin da subito un piano B, ovvero un altro sliding centre dove disputare le gare di bob, skeleton e slittino, qualora a Cortina non si riesca a completare l'intervento in tempo per i test eventi di marzo 2025. La storica Eugenio Monti è stata demolita e sono state fatte le operazioni di bonifica. La ricostruzione deve ancora iniziare.

Bisogna correre. L'orologio ticchetta lungo tutto l'arco alpino per completare le opere che valgono, complessivamente, 3,6 miliardi di euro.

TRENTINO

La riqualificazione del centro per il fondo a Tesero arriverà a costare 18 milioni e mezzo di euro. Anche per quest'opera, come per quasi tutte quelle olimpiche, gli importi sono lievitati rispetto alle previsioni. Il cantiere, afferma il Responsabile unico del procedimento per la Provincia di Trento, Marco Gelmini, «sta proseguendo nei tempi prefissati». È praticamente completata la struttura interrata che ospiterà gli spogliatoi degli atleti, è stato aggiudicato l'appalto per il rifacimento di due edifici nelle vicinanze e i lavori inizieranno questa settimana. Fra maggio e giugno prenderà il via il cantiere per l'adeguamento dei tracciati di gara (fine lavori in autunno) e dell'impianto di innevamento (termine a primavera 2025).

Le gare di salto si svolgeranno invece sul trampolino a Predazzo. Anche qui due lotti di intervento: per il primo, da 20 milioni, è in corso la progettazione esecutiva da parte dell'appaltatore. È il lotto più delicato, perché riguarda la ricostruzione del trampolino. La struttura precedente è stata demolita lo scorso autunno. Sono già in corso alcune opere di cantieramento: «La ricostruzione del trampolino partirà in marzo», assicurano dalla Provincia di Trento.

Il secondo lotto prevede la costruzione degli impianti di risalita. La gara è in corso, scade a fine mese. I lavori inizieranno nella primavera 2025.

A Predazzo sorgerà anche il villaggio olimpico, nella scuola sci della Guardia di Finanza. Sono previsti lavori per 50,3 milioni di euro. Cinque lotti, perché sono interessati diversi edifici. Per il primo (adeguamento del padiglione Nicolaucich) i lavori sono stati consegnati il 30 gennaio. Sono previsti 150 giorni naturali e consecutivi per completare l'opera. Altri due lotti sono in fase di aggiudicazione, per un quarto la gara è in corso, le offerte vanno presentate entro fine febbraio. I lavori inizieranno fra marzo e aprile. A breve l'appalto anche del quinto lotto.

ALTO

ADIGE

Sono a buon punto i lavori nella Südtirol Arena ad Anterselva, che sarà sede delle gare di biathlon. Il cantiere è iniziato a luglio dell'anno scorso, dopo le difficoltà dovute a un ricorso che aveva portato a una prima sospensione. Le ditte che erano arrivate seconde nella gara di appalto (Gasser Srl e Ploner Srl) avevano fatto ricorso al Tar, perdendolo. Iniziò quindi i lavori la UnionBau, che la gara l'aveva vinta: la ditta altoatesina ha già completato il nuovo poligono di tiro, le sale e le batterie di tiro sotterranee che dopo i Giochi diventeranno un fitness centre. I lavori sono stati sospesi per permettere alla Sudtirol Arena di ospitare le gare di Coppa del mondo, riprenderanno in primavera.

Ma chi sarà all'opera? Le imprese Gasser e Ploner hanno fatto appello al Consiglio di Stato, vincendolo. L'assegnazione dell'appalto è cambiata. Ma Unionbau probabilmente ricorrerà. Secondo il presidente del Coni Alto Adige Alex Tabarelli, non ci saranno problemi: saranno al lavoro le imprese Gasser e Ploner. Restano da ultimare la modifica del tracciato, che aumenterà la spettacolarità delle prove, e le cabine per i commentatori. Finiture, insomma. La conclusione lavori è data per autunno 2024.

VALTELLINA

A Bormio si disputeranno le gare di sci alpino maschile, sulla mitica Stelvio, e di scialpinismo. La pista va allargata nella parte finale. La conferenza dei servizi decisoria è stata fatta il 5 dicembre. L'intervento prevede anche la sistemazione dei tracciati di gara, la realizzazione di un nuovo tracciato di slalom speciale e il miglioramento delle zone di partenza, al fine di rendere la pista fruibile in maniera facile e veloce dagli atleti e dai visitatori. Devono anche essere demolite le tribune perché in quello spazio nascerà Ski Stadium, con le aree Hospitality e accrediti. I lavori sono previsti dalla primavera. Nello stesso periodo inizierà l'intervento per ristrutturare il polifunzionale Pentagono e per il rifacimento degli impianti sparaneve.

Sempre in primavera inizierà il cantiere a Livigno per l'allestimento della pista per le prove di snowboard nella zona del Mottolino, mentre sul versante Carosello c'è da migliorare il rush finale per il freestyle. A Mottolino, sul monte Sponda, sarà realizzato un nuovo bacino per l'innevamento artificiale a servizio delle aree di gara. La conferenza dei servizi si è svolta pochi giorni fa, il 18 gennaio, e i lavori devono ancora iniziare.

In Valtellina non è previsto un villaggio olimpico: gli atleti saranno ospitati in hotel a Bormio e Livigno.

MILANO

È addirittura in anticipo il cantiere per il villaggio olimpico a Milano, che sta sorgendo nell'ex scalo di Porta Romana. I lavori sono in capo a un raggruppamento di imprese coordinato da Coima. Ospiterà 1.500 atleti, terminati i Giochi diventerà uno studentato e sarà pronto per luglio 2025. È completo al 90%.

Al Forum di Assago, che ospiterà short track e pattinaggio di figura, vanno allestite le piste. La Fiera di Rho, invece, ha fatto da parafulmine per le gare di hockey femminile e pattinaggio velocità: anche qui i lavori nei due padiglioni procedono. Le strutture saranno consegnate alla Fondazione Milano Cortina entro l'estate 2025. Il progetto prevede l'unificazione dei padiglioni 13 e 15, una tribuna da 6500 posti, una pista lunga di allenamento, spogliatoi. Nei padiglioni sono già presenti biglietteria, sale riunioni, bar e ristorante self service. Va realizzato, in un altro padiglione, il media center.

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Per il PalaItalia a Santa Giulia progettato da David Chipperfield, che sarà teatro dell'hockey su ghiaccio maschile, sono state gettate le fondamenta. Le autorità assicurano che l'Arena sarà terminata entro fine 2025. La prima previsione parlava di estate. Il quarto trimestre 2025 è il limite tassativo messo dalla Nhl, la lega hockey di Usa e Canada, per inviare i suoi atleti, che devono familiarizzare con il ghiaccio in vista del torneo olimpico. I costi sono lievitati da 180 a 250 milioni.

Il T | 7 febbraio 2024

p. 36

Meno due anni alle Olimpiadi Malagò: «Siamo a buon punto»

In Piazza della Scala a Milano sono spuntati i cinque cerchi olimpici e i tre Agitos simbolo delle Paralimpiadi, a ricordare che il countdown recita 'meno due anni'. Più che le installazioni scenografiche, utili per i milanesi e i turisti, è la recente notizia del via libera ufficiale di Simico all'apertura del cantiere per la realizzazione della pista di bob, skeleton e slittino a Cortina d'Ampezzo ad aver cambiato il clima che si respira attorno alle Olimpiadi della neve in programma in Italia tra due anni esatti, il 6 febbraio 2026. «Siamo a buon punto, stiamo recuperando moltissimo, la macchina sta andando a pieno regime, sono confidente e ottimista. Il tema è infrastrutturale ma faticosissimamente ha trovato la sua soluzione, ma siamo nel pieno della genetica del Paese, è un dato di fatto. Finalmente siamo arrivati alla conclusione e io sostengo con cognizione che alla fine sarà la migliore olimpiade invernale di sempre», ha sottolineato il presidente del Coni e della Fondazione Milano-Cortina Giovanni Malagò. Un ottimismo e un entusiasmo condiviso anche dalle istituzioni locali, a cominciare dal governatore della Lombardia Attilio Fontana. «Siamo a buon punto. Per quanto riguarda le opere regionali siamo assolutamente in linea e forse siamo un po' in anticipo. Abbiamo superato il problema legato alla pista di bob di Cortina - ha spiegato - ora tutti di corsa verso l'inizio di queste Olimpiadi invernali. Un evento che certamente sarà un grande successo».

L'uscita di pochi giorni fa del ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, che diceva di essersi «quasi pentito» di aver sostenuto i Giochi di Milano-Cortina è stata minimizzata. «Secondo me è stata solo una battuta - ha evidenziato il sindaco di Milano Beppe Sala - Conosco bene il ministro che ogni tanto è uso a queste battute e forse poteva evitarla. Lui è abituato e sa che fare il nostro mestiere comporta up&down continui». Per Malagò il ministro «è il primo che fa il tifo» e a proposito della pista di bob a Cortina «persone serie sia all'interno del ministero sia nell'azienda si sono impegnate e lo garantiscono». L'alternativa - che risponde al nome di Saint Moritz - al momento resta tale, anche se i tempi di costruzione sono serratissimi e un primo collaudo è in programma già nel marzo 2025 per certificare gli standard di sicurezza del budello. «È chiaro che monitoreremo giorno dopo giorno la situazione e si verificherà nel giro di poco tempo lo stato dell'arte - ha sottolineato Malagò - Già nel contratto c'è una scadenza molto chiara, che è giugno, e ovviamente in quel caso il famoso piano B bisognerà applicarlo». Anche se nessuno spera di dover traslocare lontano dalla Perla delle Dolomiti. «Siamo a buon punto, stiamo recuperando moltissimo, la macchina sta andando a pieno regime, sono confidente e ottimista. Il tema è infrastrutturale ma faticosissimamente ha trovato la sua soluzione, ma siamo nel pieno della genetica del Paese, è un dato di fatto. Finalmente siamo arrivati alla conclusione e io sostengo con cognizione che alla fine sarà la migliore olimpiade invernale di sempre», ha poi ribadito Malagò in collegamento via streaming al Simposio di Fondazione Roma ‘Sport, Calcio e Calciomercato'.

Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

p. 10

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p. 27

Gli attivisti bellunesi in corteo domani a Milano «Giochi insostenibili»

Fabrizio Ruffini / cortina

Andrà in scena sabato, a Milano, un corteo contro le Olimpiadi invernali, definite «le più insostenibili di sempre», al quale aderiranno anche comitati e partiti della provincia di Belluno.

«Rifondazione comunista e Unione popolare parteciperanno al corteo, ma l'adesione è molto vasta, perché a tanti è chiara la follia di ciò che ci si ostina a realizzare a Cortina, come in Trentino e in Lombardia, ossia uno sperpero di denaro pubblico che non porterà nulla al territorio», spiega Gino Sperandio, «la popolazione della montagna sta invecchiando molto velocemente e i giovani se ne vanno da un territorio senza servizi e senza alcuna prospettiva lavorativa concreta. Come dovrebbero invertire questa tendenza gli investimenti messi in campo per le olimpiadi? ».

Il corteo di sabato, quindi, chiederà di ripensare la struttura stessa dell'organizzazione dei Giochi, in modo da essere più sostenibili e anche più utili a chi li ospiterà: «I cambiamenti climatici, l'aumento delle temperature, i lunghi periodi di siccità, interrotti da devastanti bombe d'acqua, hanno prodotto sempre più spesso morti e ingenti danni, specialmente in un territorio fragile come la montagna, attanagliata dallo spopolamento, che certo non si cura con una pista da bob o con altre grandi opere inutili», continua Sperandio, «invece i vari Governi nazionali (Conte 1, Conte 2, Draghi e adesso Meloni), così come quelli regionali, continuano ad ignorare il problema e a favorire la costruzione di queste opere, con dispendio energetico e consumo di territorio».

Sempre sabato, ma a Venezia, alle 14 si terrà un presidio "contro il cemento delle Olimpiadi" sotto la sede della Regione a Palazzo Balbi, organizzato da Venice climate camp, Fridays for future e Extinction rebellion . Sigla quest'ultima che, a Milano, si è vista sequestrare uno striscione che intendevano affiggeredavanti alla Regione Lombardia per protesta contro i Giochi. I nove attivisti sono stati sorpresi dalle forze dell'ordine poco dopo le tre di notte e multati di 2.400 euro.

In questo contesto, ieri il prefetto di Trento, Filippo Santarelli, ha convocato una riunione preliminare del Comitato per l'ordine pubblico per le misure di sicurezza da adottare in vista dei Giochi. Come ha già fatto nei giorni scorsi il prefetto di Belluno, con l'indicazione di attenzionare i cantieri olimpici.

Corriere dell’Alto Adige | 11 febbraio 2024

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Monta la protesta contro i Giochi «Milioni per progetti insostenibili»

Alfreider: si accelerano interventi da tempo richiesti dai Comuni

Ma il fronte ambientalista insorge «La promessa era impatto zero»

Aldo De Pellegrin

BOLZANO Mentre da una parte la Provincia di Bolzano, annuncia tramite il vecchio e nuovo assessore alle infrastrutture

Daniel Alfreider il via ai prossimi interventi altoatesini in vista delle Olimpiadi invernali 2026, sottoscrivendo con l’ad della Società pubblica infrastrutture Milano Cortina (SiMiCo) le convenzioni per sette opere stradali connesse alle Olimpiadi 2026, dall’altra parte sono i protezionisti altoatesini dell’Heimatpflegeverband a far sentire la loro voce critica, profetizzando un futuro assai fosco, quantomeno sul piano della tanto sbandierata sostenibilità, per la grande manifestazione sportiva mondiale in calendario a febbraio 2026.

Si aprono ben sette cantieri per altrettanti interventi stradali circa 234 milioni di euro gli investimenti, 143 del Ministero Infrastrutture attraverso SiMiCo e 91 della Provincia di Bolzano che si riassumono nella tratta stradale di Valparola, nell’eliminazione del passaggio a livello con sottopasso ferroviario a San Candido, nel collegamento alla stazione e connesso miglioramento della viabilità di Dobbiaco per arrivare ai tratti di ampliamento della Ss 49 della Val Pusteria con lo svincolo a due piani d’accesso ad Anterselva e Valdaora nonché la demolizione e ricostruzione del ponte in comune di Rasun Anterselva oltre alla circonvallazione di Perca già in corso d’opera.

«Si tratta di interventi per strade sicure e facilmente percorribili e per il miglioramento dei collegamenti con il trasporto pubblico, da tempo auspicati e già programmati dai Comuni e che possiamo realizzare in questa occasione e con i fondi olimpici di Roma» ha affermato l’assessore alla mobilità Daniel Alfreider, ringraziando Luigivalerio Sant’Andrea, ad di SiMiCo per la piena collaborazione, e gli uffici tecnici provinciali per il buon lavoro svolto.

«Le sbandierate prospettive di sostenibilità dell’evento sportivo appaiono davvero poco rosee» ribatte invece dal fronte protezionista l’Heimatpflegeverband, che in un suo comunicato ricorda come: «Già nel 2017 il presidente Arno Kompatscher, dando parere positivo alle Olimpiadi in Alto Adige, aveva posto la condizione che non si continui a gravare sulla natura, non si costruiscano nuovi impianti sportivi o altre strutture e che fosse sufficiente ciò che era già presente. In caso contrario, lo stesso governatore Kompatscher avrebbe visto nero». Parole che, secondo l’Heimatpflegeverband, non stanno trovando riscontro nei fatti viste le alte spese e il consumo di

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Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

territorio. Nel mirino anche anche la pista da bob di Cortina d’Ampezzo: «Che per lo stesso CIO non risulta nemmeno necessaria, potendo far riferimento per le gare agli impianti già esistenti di Igls o Sankt Moritz».

L’Heimatpflegeverband Südtirol rileva ancora come tali scelte minino alla base ogni prospettiva di sostenibilità futura, sia per Cortina, dove l’opera rappresenta una massiccia incisione nel suo paesaggio, che mai sarà ripagata dall’uso che ne sarà poi fatto, ma anche per il centro di biathlon di Anterselva e le infrastrutture circostanti, per cui solo nel 2021 si parlava ancora di 28 milioni di costi, e si diceva che: «Non sarebbero stati necessari ulteriori grandi investimenti o infrastrutture». Invece ne costerà quasi 52 milioni per l’aggiunta tra le nuove strutture di un bacino di stoccaggio idrico, costruito in una zona a rischio valanghe, motivo per cui sarà necessario un ulteriore muro di protezione nel bel mezzo di un bosco, in una zona nella quale i progettisti stessi affermano che gli interventi avranno “un notevole impatto paesaggistico e ecologico”. Il 2 febbraio 2024, conclude l’Heimatpflegeverband: «Non è stato davvero un buon giorno per tutti quelli che auspicano o promettono giochi olimpici sostenibili!».

Corriere delle Alpi | 17 febbraio 2024

p. 30

Furbi, veloci e timidi: gli ermellini bellunesi che nessuno ha visto

Due ermellini? E chi li ha mai visti? Ma dove stanno? Le mascotte delle Olimpiadi invernali di Milano e Cortina, Tina e Milo, già spopolano sui social ed entro il 2026 si saranno professionisti dei selfie, ma alla loro apparizione hanno stupito più di qualcuno perché non sono esattamente un simbolo della fauna dolomitica e certamente non di quella metropolitana. Anche il bellunese più esperto di natura locale confesserà di non aver mai visto un ermellino, se non sulla toga dei giudici della Cassazione. Questo perché gli ermellini sono furbi, timidi e sfuggenti e non si fanno vedere nemmeno dalle fototrappole, forse perché per decenni sono stati cacciati per la loro preziosa pelliccia, soprattutto nella muta invernale color bianco candido con una macchietta nera sulla punta della coda. Gli esperti assicurano che nel Bellunese gli ermellini ci sono eccome e ne abbiamo le prove, ma tutte indirette: essenzialmente ciuffi di peli, escrementi e carcasse. È grazie a questi ritrovamenti che gli studiosi sono riusciti a elaborare una mappa della distribuzione degli ermellini nel Veneto, dove si nota che vivono anche a Cortina, oltre che in Comelico e nell'alto Agordino.

Questi piccoli mammiferi però sono abbastanza diffusi anche più a sud. «Nel Parco nazionale delle Dolomiti Bellunesi», fa presente il presidente Ennio Vigne, «la specie è presente. Abbiamo segnalazioni nelle zone delle Vette Feltrine, Erera Brendol, Pramper, Van de Zità. L'ultimo Atlante dei mammiferi del Veneto lo segnala nel bellunese a nord della Valbelluna fino al Comelico e in Alpago». Fuori provincia, gli ermellini si sono stabiliti anche nella montagna vicentina, sul Pasubio e sull'altopiano dei sette Comuni.

L'Atlante risale al 2017 ma si stima che non ci siano stati sconvolgimenti nella popolazione, anche se un dato preciso della sua consistenza non c'è. La verità, però, è che a nessun residente sarebbe venuto in mente di scegliere come mascotte gli ermellini e infatti ci hanno pensato due bambini calabresi dell'Istituto comprensivo di Taverna (Catanzaro), autori di Tina e Milo, sorella e fratello, che hanno fatto il loro ingresso trionfale all'Ariston. Tina ha il manto chiaro ed è la mascotte delle Olimpiadi Invernali 2026, è nata in montagna ma ama anche vivere in città. Milo ha il manto scuro ed è la mascotte delle Paralimpiadi Invernali 2026, è nato senza una zampetta, ma con un po' di ingegno e tanta forza di volontà, ha imparato a usare la coda e a superare ogni ostacolo facendo della sua diversità una forza. Gli ermellini, con la loro vivacità e rapidità, sono "gli animali ideali per incarnare al meglio lo spirito italiano che guida i Giochi Olimpici e Paralimpici Invernali di Milano Cortina 2026. Curiosi per natura, sorprendenti per la capacità di cambiare il colore della pelliccia in base alle stagioni, resilienti nell'adattarsi ad un habitat sfidante come quello montano, sono simili ma non identici e hanno in sé un forte messaggio di inclusione e resilienza", recita la narrazione ufficiale. La scelta delle mascotte è partita da un concorso tra le scuole italiane, con ben 1600 bozzetti ricevuti da 681 classi e 82 istituti. Una commissione di esperti ha contribuito all'individuazione delle coppie finaliste: gli ermellini disegnati dall'Istituto Comprensivo di Taverna e una coppia di fiori (una stella alpina e un bucaneve in viaggio dalla montagna alla città) disegnata dagli studenti dell'Istituto Comprensivo A.B. Sabin di Segrate (Milano). Il ballottaggio si è svolto con un sondaggio online, lanciato lo scorso anno dal palco di Sanremo e per votare il pubblico doveva iscriversi al Fan Team di Milano Cortina 2026. Stavolta però non c'è stata una giuria tecnica che ha capovolto l'esito del televoto.

Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

p. 3, segue dalla prima

«Il Cio insisteva sui tempi Abbiamo rassicurato tutti»

Soddisfazione: è questo il sentimento espresso trasversalmente da tutti i partecipanti all'incontro con il Cocom, il gruppo di verifica dell'avanzamento lavori del Comitato olimpico internazionale ieri a Cortina, gruppo che esprimerà il proprio commento ufficiale solo domani. Bocca cucita anche per il presidente della Fondazione Milano Cortina 2026, Giovanni Malagò.

«La riunione è andata bene», commenta la presidente di Simico, Veronica Vecchi al termine del vertice. «Ci siamo focalizzati sullo stato di avanzamento degli interventi per Cortina previsti dal Piano delle opere olimpiche», prosegue insieme all'amministratore

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delegato, Fabio Saldini. «Ho tranquillizzato il Cio sul fatto che la nuova governance di Simico ha portato professionalità con un forte background tecnico, elemento che consentirà di dare una ulteriore accelerazione ai progetti. La presenza poi di due funzionari del ministero delle Infrastrutture è servita a dare maggiore rassicurazione rispetto al piano degli investimenti».

Gli ispettori Cio hanno chiesto di poter accedere a tutti i dati per il monitoraggio «cosa che abbiamo già predisposto». La presidente di Simico ha sottolineato inoltre che si sta «procedendo secondo la tabella di marcia», evidenziando però che «quando si vede un cantiere aperto non bisogna dimenticare che dietro ci sono attività di progettazione e di autorizzazioni che sono meno evidenti agli occhi di tutti», ma che sono parte integrante dell'iter. «Si lavora senza sosta per rispettare il cronoprogramma e raggiungere nei tempi previsti gli obiettivi del Piano olimpico», hanno concluso Saldini e Vecchi.

Soddisfatto anche il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi che ha parlato di riunione molto costruttiva. «Abbiamo fatto il punto dei lavori su tutte le location dei Giochi, con un focus su quelli del nostro Comune», dichiara. «L'amministratore delegato di Simico ha risposto in maniera puntuale alle richieste del Cio evidenziando che non ci sono ritardi. E l'attività partita a Ronco lo dimostra», sottolinea Lorenzi evidenziando che non c'è tempo da perdere. «Dobbiamo procedere speditamente», commenta escludendo che a Ronco si possa parlare di "scempio" in merito al taglio dei larici per far posto alla pista da bob. «Nel progetto era stato definito precisamente quanti alberi sarebbero stati tagliati. Ora il numero è diminuito visto anche l'approccio dell'ad di Simico. E sono contento che si veda la concretezza delle opere. Adesso è il momento di dire basta alle polemiche e di guardare avanti. Il 2024 per Cortina sarà l'anno dei cantieri, quindi invito tutti ad avere pazienza».

Anche il presidente della Fondazione Cortina, Stefano Longo esprime soddisfazione per il vertice. Già prima di entrare all'Alexander Hall, offrendosi ai giornalisti, Longo si era detto fiducioso sull'esito dell'incontro, evidenziando però anche la necessità di avviare un «piano di comunicazione adeguato» per coinvolgere le persone e dare le giuste informazioni sul progetto. E le sue previsioni si sono, a suo dire, avverate. «Siamo molto soddisfatti di questo incontro», rivela. «Ci sono state molte domande da parte dei membri del Cio a cui è stata data risposta adeguata», dice precisando che presenti, qualcuno anche da remoto, c'erano gli esponenti degli altri siti olimpici da Anterselva a Bormio fino alla Val di Fassa.

Longo non dimentica poi di evidenziare lo sforzo che sta compiendo la Fondazione Cortina da lui presieduta in vista delle Olimpiadi e anche per il post evento. «Abbiamo già costituito tre comitati di sviluppo : uno per le tre specialità olimpiche (bob, skeleton e slittino), uno per l'ambito paralimpico e uno per il curling. Ogni comitato sta sviluppando una serie di iniziative sportive a cui aggiungeremo anche il parabob e l'amatoriale: quindi questa pista potrà avere cinque funzioni».

PISTA DA BOB: GLI AGGIORNAMENTI

Gazzettino | 1 febbraio 2024

p. 11, edizione Belluno

“Si metta fine a questo teatrino”

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Corriere delle Alpi | 2 febbraio 2024

p. 27

Pizzarotti accelera sul bob: cantiere dal 19 Confronto in prefettura sulla sorveglianza

Francesco Dal Mas / CORTINA

L'impresa Pizzarotti di parma ha fretta di mettersi al lavoro, non vuole perdere un giorno di tempo. Ha chiesto a Simico di prendere possesso del sito della pista da bob dal 15 febbraio, per cominciare a lavorare lunedì 19. Intanto ha affittato dalle regole l'area di Socol dove installare il villaggio prefabbricato per le maestranze. In attesa che a ore venga ufficializzata l'assegnazione dell'appalto, con la firma del contratto tra Simico e Pizzarotti, ieri mattina in Prefettura a Belluno si è tenuto un vertice sulla sicurezza dei lavori. Vi hanno partecipato il prefetto Mariano Savastano, il questore, i comandanti delle Forze dell'ordine, i rappresentanti di Simico e della Pizzarotti, il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi ed i suoi collaboratori.

Il cantiere per realizzare la nuova Monti sarà aperto il 19 febbraio, quando saranno già avanti i lavori per gli alloggi dei duecento lavoratori. Al vertice è stata condivisa la necessità di una particolare vigilanza, intorno ai due siti, ma pure in città, per prevenire eventuali proteste o atti di contestazione. Tra i primi interventi compare, infatti, quello più discusso: il taglio di centinaia di piante, affidato a ditte locali del subappalto. «Non temiamo azioni dimostrative, di forza. Fino ad oggi le proteste sono state civili, oltre che legittime – commenta il sindaco Gianluca Lorenzi – L'importante è che si proceda secondo i tempi prestabiliti».

Il cantiere si svilupperà nei primi mesi su due turni, cinque giorni alla settimana. Non dovesse bastare si sfrutteranno anche i sabati e le domeniche. Oltre ai lavoratori ampezzani e cadorini del subappalto, la Pizzarotti ne ha ingaggiati addirittura dalla Norvegia, esperti nelle particolari lavorazioni tecnologiche di impianti sportivi come questi ed attrezzati anche per lavorare di notte, a temperature non proprio miti.

Se oggi arriverà la firma del contratto, ne sarà subito informata la Fondazione Milano Cortina che lo comunicherà in tempo reale al Comitato olimpico internazionale. Da Losanna la Fondazione si attende una presa d'atto. Il Cio non ha cambiato posizione, continua a ribadire che in Europa, anzi nel mondo, ci sono piste a sufficienza per quel che è il movimento delle tre discipline, ma che non può impedire all'Italia di costruirsene una. Pure avvisa che sarà molto rigida nel rispetto delle scadenze e nella verifica delle caratteristiche della Monti.

Cortina non si aspetta un no, al limite la richiesta di palesare il piano B, su cui la Fondazione sta lavorando guardando all'estero. È infatti chiaro che il Cio preferisce una pista esistente e funzionante e strappare anche sull'alternativa a Cortina potrebbe essere un azzardo troppo grosso. Al governo c'è chi spinge ancora su Cesana, a partire da Tajani e da Abodi, ma l'alternativa plausibile al momento resta quella di St. Moritz.

Lo stesso Cio ha sempre chiesto anche le garanzie per quanto riguarda la legacy. Il piano lo ha predisposto il Comune, che avrà in carico la pista dal 2026, e il sindaco Lorenzi, come ripetutamente anticipato, ha auspicato di po ter contare almeno su 400 mila euro della Regione, sui 100 mila promessi dalle Federazioni nazionali, nonché su sponsor privati, oltre che sul contributo delle Province di Trento e Bolzano, come originariamente promesso. La Regione non ha quantificato la cifra, ma con una delibera ha assicurato che si farà carico della gestione futura della struttura, insieme al Comune. E proprio ieri il sindaco Lorenzi si è dichiarato fiducioso, «Stiamo lavorando anche su quel fronte, siamo a buon punto» ha assicurato, rivelando un umore più rassicurante di quello di qualche settimana fa.

A Cortina, intanto, è arrivata una Tv russa per una ricognizione sui lavori preparatori dei Giochi. Luigi Casanova, voce critica, ha evidenziato «la inaffidabilità purtroppo delle nostre autorità in tema di rispetto della tempistica – come lui stesso ha informato -, sulla scorta di quanto già anticipato anche a Tv tedesche e svedesi».

Gazzettino | 2 febbraio 2024

p. 7, edizione Belluno

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p. 13

«Bob, Cortina avrà le gare Il Cio ci darà ascolto I tempi saranno rispettati»

Ministro Andrea Abodi, avanti con Cortina come prima e più di prima?

«Certamente sì, anche se non si possono negare le problematiche di questi ultimi mesi, ormai risolte. Il cantiere si aprirà in un paio di settimane e già questo è un punto dirimente: si stringono i tempi e aumentano le possibilità di realizzazione. Quindi, alla domanda che molti mi rivolgono, per sapere quali e quante sono le chance che le gare di bob, skeleton e slittino si svolgano a Cortina, io rispondo molte».

Purtroppo, il Cio ha ribadito, anche in questi giorni, che la decisione è presa e che per quelle competizioni l'Olimpiade si trasferirà a Saint Moritz.

«Il Cio non ha deciso, anche perché, in via ordinaria, la scelta spetta alla Fondazione Milano-Cortina 2026, che lunedì scorso si è espressa positivamente sulla pista a Cortina. D'altro canto, noi abbiamo profondo rispetto nei confronti del Comitato olimpico internazionale, ma anche fiducia che valuti nel giusto modo la sottoscrizione del contratto da parte della ditta costruttrice. Siamo altrettanto convinti dell'opera di interlocuzione che la Fondazione Milano-Cortina porterà avanti nei confronti del Cio e delle due federazioni internazionali interessate alla pista».

Il problema è nei tempi di fattibilità.

«Mi rendo conto che a due anni dall'inizio dei Giochi, la preoccupazione sia di rispettare i tempi dell'omologazione, delle cento discese di prova e dei test event. Tuttavia, sono più che certo che verrà considerata la posizione del governo. Nessuno vuole prevaricare nessuno, ma, come detto, anche la Fondazione Milano-Cortina si è espressa positivamente sulla pista cortinese e questo è sicuramente un segnale importante».

Esiste un piano B che non sia Saint Moritz?

«Fino a che ci sarà la possibilità tecnica di realizzare la pista a Cortina, il nostro obiettivo non cambierà. Il piano B, comunque, è sempre italiano e si chiama Cesana. Almeno fin quando i tempi lo consentiranno. A questo proposito mi sento di ringraziare la Regione Piemonte, la Città metropolitana di Torino e la Fondazione 2006 per il grande lavoro svolto con l'obiettivo di garantire un'opzione italiana, quando sembrava profilarsi la soluzione straniera».

Ma l'impianto di Cesana è chiuso dall'Olimpiade di Torino 2006. Perciò è esistente, ma non funzionante, i due requisiti reclamati dal Cio.

«Cesana ha chiuso i battenti più di cinque anni dopo i Giochi del 2006 e, in ogni caso, per la rifunzionalizzazione della pista torinese la tempistica massima è di otto mesi. È chiaro che parleremo di Cesana solo nel caso in cui le opere per realizzare la pista di Cortina incontrassero delle difficoltà. Ma sui lavori faremo verifiche sistematiche e siamo molto fiduciosi».

Il rischio di arrivare tardi c'è.

«Ritengo sia un rischio molto esiguo. I ritmi saranno sostenuti. Non solo il cantiere aprirà fra pochi giorni, ma c'è la disponibilità a raddoppiare o triplicare i turni, lavorando anche il sabato e la domenica».

Crede che sull'Olimpiade di Milano e Cortina ci si giochi anche la reputazione del Paese?

«I Giochi olimpici e paralimpici - non mi piace che si dimentichino - implicano necessariamente una valutazione della nazione che li ospita. Purtroppo, vedo che per l'edizione italiana del 2026 si parla solo della pista di Cortina, senza considerare quanto di positivo sia stato già fatto e si stia facendo. Mi auguro che adesso ci sia più spazio per una narrazione corretta, frutto del grande lavoro che sta facendo la Fondazione MiCo».

Anche il tema dei costi per strutture e infrastrutture è un tasto dolente.

«Esattamente. Voglio ricordare a tutti che l'Olimpiade e Paralimpiade hanno un budget di un miliardo e seicento milioni e che quasi un terzo è coperto dai ricavi del Cio. Il resto dei ricavi provengono da biglietteria e sponsorizzazioni. Tre miliardi e seicento milioni, invece, sono relativi agli investimenti in opere pubbliche, strade, autostrade e rete ferroviaria, che saranno utili anche per i Giochi, ma, prioritariamente, migliorano la qualità della vita dei territori interessati, ben oltre l'Olimpiade»

Quindi, tornando alla pista, si può dire che lei è moderatamente ottimista?

«Sono pragmatico e realista. Visto il progetto, sentiti la società Infrastrutture Milano Cortina e i tecnici che vi lavoreranno, credo che il rischio di non essere pronti sia estremamente contenuto».

E la questione ambiente?

«Comprendo e rispetto tutte le preoccupazioni, ma mi preme dire che la nuova elaborazione progettuale della pista ha prodotto un alleggerimento molto significativo delle infrastrutture, non solo per i costi, ma anche in termini ambientali. Comune, Regione, Federsci, Simico sono tutti convinti che l'opera avrà una sua utilità nel tempo e non produrrà alcun fallimento, né ambientale, né finanziario. Perciò, anche se non si scioglieranno i dubbi e non verranno mitigate le polemiche, noi crediamo che la struttura che si andrà a realizzare faccia registrare un significativo abbattimento degli impatti rispetto alle ipotesi precedenti».

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Corriere delle Alpi | 3 febbraio 2024

Corriere delle Alpi | 4 febbraio 2024

p. 16

Bob, il Cio prende atto del nuovo progetto «Ma rispettate i tempi»

Alessia Forzin / Cortina

Lo scetticismo del Cio sul bob a Cortina resta, ma dopo il rinnovato impegno di Governo e Fondazione e la firma del contratto per ricostruire la pista, da Losanna si mettono alla finestra. Il Comitato Olimpico Internazionale «ha preso atto della decisione delle autorità italiane di proseguire» con Cortina, ma avvisa che sarà scrupoloso nel verificare il rispetto dei tempi. Lo dice al Corriere delle Alpi un portavoce del Cio.

IL NODO DEI TEMPI

Primo nodo, i tempi molto stretti. La data di marzo 2025 è tassativa: «Per il Cio la sicurezza degli atleti e degli spettatori è fondamentale. A tal fine, devono essere rispettate le tempistiche fissate dalle Federazioni internazionali di questi sport (bob, slittino e skeleton, ndr ) per omologare e svolgere gli eventi di prova su qualsiasi tracciato nuovo o rinnovato».

È proprio in quest'ottica, continua il portavoce, che il Comitato Olimpico Internazionale «nutre forti preoccupazioni in merito alla consegna di questo progetto entro la scadenza richiesta di marzo 2025, necessaria per convalidare e omologare l'impianto, poiché nessuna pista è mai stata completata in un lasso di tempo così breve». Una preoccupazione «condivisa dalle Federazioni Internazionali di bob e skeleton e di slittino».

Pertanto, il Cio ha chiesto al Comitato organizzatore di Milano Cortina 2026 di predisporre un piano B come emergenza in caso di ritardi, per garantire che le gare olimpiche possano svolgersi.

PREOCCUPAZIONI SUL NUOVO PROGETTO

Il Cio conferma poi la sua posizione, nota, sul tema dello sliding centre ampezzano: «La costruzione o la ricostruzione di un impianto non è ritenuta essenziale per le competizioni di Milano Cortina 2026». Inoltre, «in linea con le raccomandazioni dell'Agenda Olimpica 2020», il Cio è stato inequivocabile sul fatto che «nessuna sede permanente dovrebbe essere costruita senza un piano di eredità chiaro e fattibile». E «il nuovo progetto per la pista di Cortina non affronta questi problemi».

I motivi? «Non include alcun uso sostenibile praticabile o eredità dopo i Giochi, e non fornisce una sede che soddisfi tutti i requisiti tecnici, aumentando significativamente i costi e la complessità per il Comitato Organizzatore che dovrà colmare le lacune».

Da Losanna ribadiscono quindi che il numero esistente di piste, a livello globale, è «sufficiente per l'attuale numero di atleti e competizioni negli sport di bob, slittino e skeleton. Inoltre, come affermato durante la sessione del Cio a Mumbai, dovrebbero essere prese in considerazione solo le piste esistenti e già operative a causa dei tempi molto stretti che rimangono». La posizione non è cambiata, ma la presa d'atto del progetto di Cortina dà la possibilità all'Italia di procedere e dimostrare ciò che può fare.

APERTURA

È il governo che paga, è il governo che decide se fare o meno l'impianto. «È fondamentale ribadire che la potenziale realizzazione di uno sliding centre, insieme a tutte le opere infrastrutturali, affonda le sue radici nell'investimento pubblico, esulando dalle competenze del Comitato Organizzatore di Milano Cortina 2026», ricorda il portavoce. Che conclude tendendo la mano. «Il Cio riconosce i progressi compiuti dal Comitato Organizzatore in altre aree del masterplan, e apprezza la sua collaborazione e partnership».

Corriere del Veneto | 4 febbraio 2024

p. 5, edizione Treviso – Belluno

Bob, ora scatta la guerra dei ricorsi «Pista light ancora più impattante»

Italia Nostra va al Tar.

La Regione muove i primi passi per la gestione futura dell’impianto

Stefano Bensa

VENEZIA

Sul sito ufficiale di «Milano-Cortina» il conto alla rovescia indicava, ieri, i 734 giorni che mancano alle Olimpiadi invernali, al via il 6 febbraio 2026. Ma la pagina che sintetizza la distribuzione delle varie discipline sportive fra Veneto, Trentino Alto Adige e Lombardia resta incompleta. Tre i capitoli ancora vuoti: quelli relativi a bob, skeleton e slittino. Che dovrebbero svolgersi a Cortina d’Ampezzo se la nuova pista «Eugenio Monti» sarà pronta. In teoria. Perché se il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e quello dello Sport Andrea Abodi, con l’affidamento dell’appalto da 81 milioni a Pizzarotti, confidano di farcela, il Comitato Olimpico Internazionale è di tutt’altro avviso. Ed un altro ostacolo potrebbe presto frapporsi fra la riformulata tabella di marcia (lavori dal 19 febbraio 7 giorni su 7, collaudo preliminare nel marzo 2025 e ultimazione a ridosso dell’evento) e la potenziale apertura alle gare: il ricorso al Tar (il terzo, dopo i primi due depositati a fine settembre 2023) di Italia Nostra, che reputa la struttura - sia pure in forma «light» - «forse perfino più impattante dell’originale, venendo a mancare quella mitigazione a verde annunciata a suo tempo». A parlare è Giovanna Ceiner, presidente di Italia Nostra Belluno, che ammette: «Abbiamo allo studio un nuovo ricorso, i legali stanno valutando come muoversi. Chiaramente - spiega - sarebbe un ricorso per motivi aggiunti essendo cambiato il progetto. I nostri timori, comunque, sono stati

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confermati». La capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera, Luana Zanella, ha fatto un calcolo: «La superficie di bosco che verrà distrutta, come emerge dai documenti di gara, è di 19.980 metri. Piccole pianticelle sostituiranno 500 larici secolari che verranno presi a picconate per la follia di Salvini e Zaia», ha dichiarato ieri. Ad ogni modo, una eventuale sospensiva del Tar avrebbe effetti devastanti sul cronoprogramma, mettendo - quasi certamente - del tutto fuori gioco il bob a Cortina. Dove si disputerebbero, di fatto, solo le gare di sci alpino e curling. E le parole pronunciate venerdì dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti («Comincio a essere pentito di aver promosso l’evento, ormai è quasi impossibile rispettare il calendario») aggiungono un’ulteriore zavorra al bastimento olimpionico. Il governatore Luca Zaia al momento preferisce non commentare, sebbene abbia più volte sostenuto che la pista da bob, senza Olimpiadi, sarebbe stata inutile.

Ed al tutto si aggiunge un’altra incognita: quella relativa ai costi di mantenimento. Il 30 gennaio scorso la giunta regionale del Veneto ha deliberato un atto di indirizzo per la formulazione di un «Piano di legacy delle opere olimpiche». In pratica, un documento con il quale Regione Veneto, province autonoma di Trento e Bolzano e il Comune di Cortina si impegnano «a garantire il sostegno alla gestione post olimpica dell’impianto». Obiettivo ufficiale, come si legge nella delibera, «far divenire l’impianto un centro di riferimento europeo per le Federazioni Nazionali che non dispongono di piste proprie». Versione ufficiosa: c’è bisogno di qualcuno che garantisca almeno i soldi per la manutenzione, all’incirca 1,5 milioni all’anno per evitare un altro caso Cesana, dove la pista ultimata nel 2006 per le Olimpiadi di Torino giace in abbandono dal 2011. Onere che non potrebbe gravare sulle sole casse municipali di Cortina. Ma nonostante tutto nella Regina delle Dolomiti il clima appare sereno: ieri la presidente di Confindustria Belluno Lorraine Berton ha promosso la firma del contratto e l’annuncio dei lavori: «È prevalsa finalmente la linea della responsabilità. Ora - ha affermatodobbiamo concentrarci sull’obiettivo finale e garantire Olimpiadi vere al territorio e al Paese. Tifare per il bob a Cortina significa tifare per l’Italia. Bene la determinazione dimostrata dal governo, ai disfattisti dimostreremo con i fatti che le Olimpiadi sono una opportunità straordinaria per le Dolomiti bellunesi». Ed anche la città stessa festeggia, letteralmente: il 6 febbraio, a due anni esatti dall’avvio delle competizioni, Cortina darà luogo ad una serie di iniziative che coinvolgeranno residenti e turisti, da un maxi aperitivo alla «temporary lounge» di Fondazione Cortina (alle 18), alla fiaccolata dei maestri di sci che scenderà dalla «Drusciè A», alla proiezione dei 5 cerchi su Col Drusciè (fino al 19 marzo). Quasi ad esorcizzare l’incubo di una potenziale figuraccia.

Corriere delle Alpi | 6 febbraio 2024

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Pista da bob, Pizzarotti ci mette la faccia «L'impianto di Cortina pronto in tempo»

L'impresa Pizzarotti interviene, per la prima volta, e assicura che costruirà la pista nei tempi programmati. Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ricorda che «sono stretti»: metà marzo del prossimo anno. Il suo collega, Matteo Salvini, Mit, si dice certo che anche il Cio – che si sa perplesso – se ne farà una ragione. Ma, appunto, non bisogna perdere un giorno di tempo. Proprio oggi scatterà il countdown: mancano due anni alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Celebrazioni si terranno in vari siti olimpici, compresa Cortina, mentre si preparano delle contromanifestazioni. Amadeus ha assicurato che ne parlerà a Sanremo. Ma il sindaco ampezzano, Gianluca Lorenzi, raccomanda «pancia a terra» e, soprattutto, «cantierizzare in silenzio». Ieri l'impresa Grigolin si è vista ufficializzare i subappalti programmati, in particolare la predisposizione del sedime per il villaggio a Socol e di quello della pista, a Ronco. La consegna del cantiere è per il 18, i lavori dovrebbero partire il 19, ma usiamo il condizionale perché le proteste potrebbe consigliare a posticipare di qualche giorno. Proteste che prendono di mira anche la spesa lievitata da 2,8 a 3,6 miliardi di euro.

È stato lo stesso ministro Abodi ieri a fare luce. «È un dato che va chiarito. Ci sono due macro-voci: 1,6 miliardi per l'organizzazione dei Giochi, nelle disponibilità della Fondazione Milano-Cortina, di cui circa un terzo direttamente dal Cio. E poi ci sono i 3,6 miliardi per le opere pubbliche, per le quali più del 90% è dedicato a infrastrutture di collegamento su gomma e su ferro che torneranno utili a tutto il territorio olimpico».

Di queste cifre la pista ha un costo di 124 milioni, per l'intero complesso, di cui 81,6 per il lotto assegnato alla Pizzarotti. «Siamo convinti di poter realizzare questa opera nei modi e nei tempi previsti nel bando di gara», ha dichiarato dunque Paolo Pizzarotti, titolare dell'impresa di Parma, «pur essendo consapevoli della sfida che ci attende, la storia centenaria della nostra impresa è costellata da realizzazioni altrettanto complesse, anche in ambito sportivo, che abbiamo sempre portato a termine con successo».

La commessa prevede 625 giorni di cantiere per la realizzazione complessiva dell'opera. La pista da bob, cuore del progetto, avrà una lunghezza di 1.650 metri (comprensiva di outrun), su un dislivello di 110 metri.

L'azienda – come si legge in una nota – lavorerà prevalentemente con ditte nazionali e del territorio. Nei momenti di picco, nel cantiere saranno occupati fino a 200 operai. È in questa fase che entreranno in azione anche lavoratori specializzati provenienti dalla Norvegia. Il cantiere continuerà fino a novembre 2025 per completare gli edifici "partenze" e "arrivi", gli impianti di corredo alla pista e le opere di finitura. Sono previsti due turni di lavoro al giorno per cinque giorni a settimana.

A questo punto, il vicepremier Salvini consiglia al Cio di mettersi il cuore in pace. «Se il Cio è perplesso gli passeranno le perplessità», ha detto ieri, «finalmente è stata aggiudicata la g ara senza costi aggiuntivi. Abbiamo avuto le Olimpiadi come Milano-Cortina, quindi le Olimpiadi saranno soprattutto fra Milano e Cortina e per questo lavoriamo. Ci saranno miliardi di telespettatori collegati e milioni di turisti in Italia, quindi il mio dovere è mantenere tutti gli impegni presi».

In Regione, intanto, si attende la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del recente decreto che modifica la governance di Simico. Dalla data della Gazzetta non dovranno trascorrere più di 15 giorni per l'indicazione dei nomi dei 5 componenti, di cui uno da parte del

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Veneto. Una volta formalizzate le candidature, si riunirà l'assemblea dei soci per la nomina degli amministratori. Il che dovrebbe avvenire entro una settimana. A quel punto si saprà se l'ad Luigi Valerio sant'Andrea sarà confermato o no. Quindi le novità matureranno nell'ultima decade del mese. Due mesi, invece, per l'aggiornamento del Dpcm sull'assegnazione di cinque cantieri in Lombardia al commissariamento di Anas.

Corriere delle Alpi | 6 febbraio 2024

p. 2

«Ci leghiamo agli alberi» Collettivi e ambientalisti preparano la protesta

CORTINA

C'è Cio e Cio, Da una parte quello che tutti conosciamo, il Comitato olimpico internazionale; l'altro è il Cio di recentissima costituzione: il "Comitato insostenibili Olimpiadi", che si prepara a contrastare i più diversi cantieri, a cominciare da quello della pista da bob di Cortina. Ne fanno parte collettivi sociali di Milano e lombardi, tra i quali Offtopic, Zam, Transiti, Boccaccio, Baraonda, Cambiare Rotta, Folletto. Hanno aderito – a dire dello stesso Cio (il secondo) – movimenti come Mountain Wilderness e Comitati ampezzani e bellunesi. L'altro Cio propone contro-celebrazioni a quelle ufficiali previste oggi. E non è escluso che il 19 si presenti a Ronco, dove verrà avviato il cantiere del bob; o a Socol, sede del villaggio Pizzarotti. «Ostacoleremo in tutti i modi (civili, non violenti, ma rigorosi e insormontabili), con i nostri corpi e le nostre presenze, i lavori della pista da bob», si legge in una nota dell'alpinista Alberto Peruffo (Cai e di Mw), «siamo pronti a legarci agli alberi secolari e a fare un campo base di climattivisti e alpinisti. È assolutamente necessario "occupare" il lariceto secolare di Ronco, stabilire un grande e strutturato presidio nei pressi dello stesso e altri, avanzati, nei vari cantieri, per ritardare in modo creativo e rigoroso il passaggio di mezzi e operatori. Il tempo è dalla nostra parte; non passeranno sui nostri corpi». La prefettura, convocando giorni fa il vertice sulla sicurezza, si è preparata in anticipo a blindare Cortina.

Corriere delle Alpi | 9 febbraio 2024

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Pista, a Cortina un conto da 1,4 milioni l'anno

Il cantiere della pista da bob aprirà solo il 19 febbraio. E i primi a verificare l'area saranno gli ispettori del Cio attesi a Cortina per il giorno successivo. Accompagnati dai tecnici della Regione, oltre che dal sindaco Gianluca Lorenzi e dai suoi collaboratori. Ma per la pista si sono già spesi 6,1 milioni, «comprensivi anche di costi sostenuti per studi, rilievi, sondaggi, progettazioni, pratiche amministrative, monitoraggio».

Lo ha detto il ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, rispondendo nel Question time al Senato a una interrogazione della senatrice Barbara Floridia (Misto-Avs) che, tra le tante osservazioni critiche, ha rilanciato il tema della legacy, cioè della gestione post Giochi. In Aula, Giorgetti ha confermato, dati di Simico alla mano, che l'onere sarà di 1,4 milioni l'anno, 200 mila euro in più di quelli inizialmente previsti. La cifra è stata fornita dal Commissario Luigi Valerio Sant'Andrea, ha spiegato Giorgetti, e comprende anche «2, 8 milioni per la demolizione della vecchia pista».

Per l'intervento generale è previsto un costo totale di 118 milioni di cui 81,6 per la realizzazione delle opere. Il ministro dell'Economia ha pure ricordato che la copertura di questi oneri è, per la quota di 117,484 milioni, a carico di risorse statali e, per 470.000 euro a testa, a carico del Comune di Cortina e della Provincia di Belluno».

Alla senatrice di Avs che chiedeva conto delle spese extra, Giorgetti ha risposto che le risorse «sono state ritenute sufficienti in fase di razionalizzazione progettuale, in cui sono state ridotte tutte le infrastrutture fisse non necessarie all'utilizzo della pista successivo ai Giochi, riducendo costo di costruzione, impatto sul territorio e costo di gestione».

Per quanto riguarda invece la futura sostenibilità economica dell'impianto, il cosiddetto "Piano di legacy", il ministro ha ricordato che «già in fase di candidatura la Regione Veneto, il Comune di Cortina e le Province di Trento e di Bolzano hanno sottoscritto il 29 marzo 2019 una lettera di intenti».

Lettera, dunque, che resta valida per cui l'Amministrazione di Cortina non dovrebbe avere la preoccupazione di doversi fare carico di tutto l'onere. Il ministro ha tenuto anche a far sapere che lo stesso Comune ampezzano «ha già formalmente identificato gli asset sui quali costruire il "Piano di legacy" richiesto e ha individuato nella SeAm il veicolo societario gestore del relativo piano».

L'appalto è stato aggiudicato «sulla base di un computo metrico che considera le opere da realizzare, con riferimento ai costi di demolizione della vecchia pista il consuntivo del quadro economico dell'intervento ha un importo di 2, 8 milioni, a fronte di un importo finanziato di 3,8 milioni». Insoddisfatta per la risposta la senatrice Florida. Così pure hanno reagito esponenti del M5S. I deputati del Pd, dal canto loro, hanno chiesto, come i colleghi al Senato, che il ministro Abodi venga in audizione alla Camera per spiegare «l'incredibile vicenda della pista da bob a Cortina».

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Corriere delle Alpi | 9 febbraio 2024

p. 29

Vertice in Procura dopo l'esposto Sopralluoghi e raccolta di atti

IL PUNTO

Gigi Sosso / CORTINA

Vertice in Procura tra magistrato e polizia giudiziaria sulla vecchia pista da bob. Punto della situazione con il procuratore Paolo Luca e il maggiore Emanuele Meleleo, comandante del Nucleo Carabinieri tutela patrimonio culturale di Venezia, a proposito dell'esistenza o meno del vincolo paesaggistico sulla struttura demolita lo scorso anno. I militari lagunari avrebbero effettuato due sopralluoghi nell'area, su impulso arrivato dall'esposto presentato dall'associazione ambientalista Italia Nostra. Mentre dalla Soprintendenza si aspetta di capire se questo vincolo ci fosse o meno, di conseguenza se sia stato violato oppure no. Nel primo caso, committente ed esecutore materiale dei lavori avrebbero commesso un reato, diversamente sarebbe tutto regolare.

Non risulta che siano state richieste autorizzazioni, al momento di abbattere la vecchia "Eugenio Monti", per fare posto al nuovo tracciato, in vista delle Olimpiadi di Milano Cortina 2026, ma «è tutto ancora in fase di verifica», fa sapere Luca, «stiamo acquisendo documenti e raccogliendo informazioni nelle sedi più opportune e il livello è ancora quello dell'indagine conoscitiva, senza indagati. Non posso dire altro, in questo momento, se non che tutto ha preso effettivamente il via dall'esposto di Italia Nostra». Quanto all'investigatore, non è autorizzato a parlare.

Non ci sono stati sequestri e non ce ne dovrebbero essere, anche perché i lavori del nuovo budello per bob, slittino e skeleton dovrebbero partire il prossimo 19 febbraio. È anche vero che si tratta di un'opera d'interesse pubblico, che ha già sofferto ritardi poco meno che irrimediabili e la speranza di addetti ai lavori e appassionati è che sia stata seguita l'intera procedura necessaria. In ogni caso non è in pericolo la costruzione della pista.

Nelle stanze del palazzo di giustizia di Belluno, si discute anche di rispetto delle norme per la sicurezza, negli ambienti di lavoro. Cortina è stata uno dei teatri della prima guerra mondiale, c'è rischio di imbattersi in residuati inesplosi? Di certo non c'è stata la bonifica bellica sul sito della pista, l'operazione che serve a liberare un'area di cantiere dalla presenza di eventuali ordigni: uno screening preliminare, fatto sulle carte, ha infatti segnalato un rischio trascurabile.

Il sindacato Fillea Cgil, che raggruppa i lavoratori delle costruzioni ha comunque chiesto certezze al prefetto Mariano Savastano, mentre non è ancora arrivato nulla di scritto negli uffici giudiziari, al di là del già ricordato esposto ambientalista.

Nel piano per il cantiere, si specifica che «il rinvenimento di ordigni bellici inesplosi appare poco probabile e si ritiene il rischio bellico residuo modesto, accettabile», ma il sindacato chiede con forza che sia fatta una verifica, in maniera da eliminare qualsiasi fattore di rischio. Non ci sono stati incidenti su lavoro, durante le operazioni di smantellamento, ma a giudizio del sindacato il rischio può esserci.

Corriere delle Alpi | 10 febbraio 2024

p. 28

Bob, oggi scende in pista la protesta E Mw chiede la bonifica dei terreni

Francesco Dal Mas / CORTINA

Mobilitazione a tutto campo contro la pista di bob. Oggi sono in programma due proteste, a Milano e a Venezia, mentre il movimento Mountain Wildernes ha scritto ieri una lettera al sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi, per fermare i lavori a Ronco.

La lettera

«Gli abbiamo scritto», fa sapere il presidente onorario Luigi Casanova, « che è necessario sospendere subito ogni attività sul cantiere della prevista pista di bob olimpica di Cortina fino a quando non sarà bonificato tutto il territorio, oltre sei ettari. Non si dovesse procedere alla preventiva e necessaria bonifica, ogni istituzione in caso di incidente si assumerà le sue responsabilità anche e specialmente personali». Facendo propria la preoccupazione della Cgil e della Fillea, MW ricorda che «la gran parte dei residuati bellici» nel sottosuolo di alcune località ampezzane «sono ancora attivi. Li si potrebbero incrociare, in modo inconsapevole, nello svolgersi dei lavori. Dovesse accadere una simile situazione, o moltiplicarsi in più casi, al di là dei danni materiali che eventuali esplosioni possono provocare, la scrivente associazione», informa Mountain Wilderness, «affianca l'organizzazione sindacale nel denunciare il grave rischio al quale vengono sottoposti i lavoratori impegnati nel cantiere». Casanova chiede dunque «l'immediata sospensione dell'iter dei lavori appaltati e l'avvio di un'operazione di bonifica totale e vasta che non può che spettare al Genio militare di Belluno. La bonifica dovrà garantire l'assoluta certezza che sul cantiere non si verifichino incidenti, quali esplosioni, che mettano a rischio la salute e la vita stessa dei lavoratori».

i flash mob

Intanto il "Comitato insostenibili Olimpiadi" ha promosso una settimana di flash mob e di altre iniziative nei territori dei diversi cantieri olimpici «per contestare un modello sbagliato, costoso e impattante». Oggi l'appuntamento lombardo è il corteo che si svolgerà a Milano sud, in una delle zone della città più interessate dai progetti urbanistici messi in cantiere in vista delle Olimpiadi. In concomitanza con il corteo milanese, sono previste sia un'iniziativa pubblica in Valtellina contro la "tangenziale sud" nel Comune di Montagna in

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Valtellina e sia un presidio a Venezia sotto la Regione Veneto, convocato da Venice climate camp, Fridays for future ed Extinction rebellion. «A motivare gli attivisti è la presa d'atto che la decantata sostenibilità delle Olimpiadi di Milano Cortina 2026 sia un'illusione, sia sulle montagne e sia in città».

Fondazione&promozione

Per contro la Fondazione Milano Cortina continua con il pressing promozionale dei Giochi. Dopo la presenza al festival di Sanremo, le mascotte delle Olimpiadi hanno fanno tappa ieri a Palazzo Chigi: la premier Meloni ha infatti accolto quelli che saranno i simboli dei Giochi, "Tina" e "Milo" , insieme al 15 enne Federico, ex alunno del Comprensivo di Taverna, in provincia di Catanzaro, tra gli ideatori proprio delle mascotte. E il Coni, dal canto suo, ha lanciato il primo corso di management olimpico, che si terrà dal 6 maggio al 16 ottobre, e che svolgerà le proprie attività negli ambiti del management e della scienza dello sport, in un progetto declinato in varie iniziative di alto livello, rivolto alle diverse professioni che contribuiscono al successo della squadra olimpica e alla divulgazione dei valori dei "cinque cerchi". Sono arrivati i complimenti di Thomas Bach presidente del Cio. E a questo riguardo si sa che è confermata la visita degli ispettori del Comitato a Cortina, il 20 febbraio, giusto all'indomani dell'avvio del cantiere della pista di bob a Ronco.

Gazzettino | 9 febbraio 2024

p. 3, edizione Belluno

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p. 11

Gli ambientalisti: “Zaia come Vaia”

No alle Olimpiadi e alla pista da bob

Luca Zaia sorride, il colletto della camicia bianca ha poco a che fare con la tuta da sci della sportiva sopra cui è stata appiccicata dagli ambientalisti che ieri si sono radunati sotto il palazzo Grandi Stazioni, sede della Regione, per dire no alla pista da bob. Scala a pioli e rullo imbevuto di colla, gli attivisti hanno incollato la testa del presidente sul banner promozionale dei Giochi Invernali Milano-Cortina 2026, insieme alla scritta «le Olimpiadi dell'insostenibilità».

È questo il loro grido, partito dalla montagna e arrivato in laguna, con il presidio organizzato da Fridays for future Venezia, Venice Climate Camp, Extinction Rebellion, Mountain Wilderness e Italia Nostra Belluno.

Protestano, nonostante i dadi siano ormai tratti, visto che il 2 febbraio con una nota del Ministro alle Infrastrutture Matteo Salvini è stato reso noto l'accordo per costruire la pista da bob dove ora sorge la vecchia pista Eugenio Monti, che verrà demolita. Confermati anche gli 81,6 milioni di euro per realizzarla, ma gli ambientalisti non demordono, sono arrivati in cento a Venezia, nonostante la pioggia, le previsioni di acqua alta, la ressa per il Carnevale. Con loro, anche il consigliere regionale del Pd Andrea Zanoni. «Continuare a protestare è importantissimo» esordisce, «perché poi ci saranno le incognite dei cantieri, come era successo nel caso della Pedemontana, dove i sequestri avevano causato ritardi» spiega, per poi gettare un occhio agli attivisti con i loro cartelli colorati e i cappucci sollevati per proteggersi dalla pioggia. «Fanno bene a protestare, perché queste Olimpiadi sono un inno di spreco alle risorse pubbliche».

Uno spreco, come quello del Bosco dello Sport a Mestre, come ricorda Italia Nostra Venezia, chiamando in causa i 28 milioni per realizzare il palazzetto sportivo, progetto bocciato a suo tempo dall'Ue, che non ha stanziato i fondi richiesti dal sindaco Luigi Brugnaro. «Le Olimpiadi sono l' alibi perfetto per portare avanti un progetto di consumo di suolo» commenta Andrea Berta, del Venice Climate Camp, «i benefici non ricadono direttamente sul territorio, è un modo per incentivare il turismo mordi e fuggi in una zona sempre più sguarnita di servizi».

Ed è proprio il fatto che la pista da bob interesserà solo poche persone ad essere motivo di contrarietà. «È una questione di giustizia sociale» spiega Eleonora Sodini, sempre del Venice Climate Camp, aggiungendo che «le Olimpiadi sono una grande opera di cui non si ha bisogno, soprattutto in un momento in cui la crisi climatica è sempre più evidente». Anche Margherita Vita, di Extinction Rebellion, sottolinea come l'emergenza climatica sia spesso trattata come qualcosa di astratto, «quando invece ha una ripercussione diretta sui nostri territori, non serve concentrarsi sui Paesi lontani, si deve partire da qua».

La pioggia si fa insistente, ma gli ambientalisti non accennano ad andarsene, tra i loro compaiono delle maschere di cervi e orsi «quelli che verranno mandati via dai boschi, dove si interverrà» spiegano.

«Zaia peggio di Vaia» gridano i manifestanti, «medaglia d'oro alla devastazione» si legge sui cartelli, «ancora cemento sulle Dolomiti, non in mio nome» dicono gli striscioni.

Intanto, anche a Milano si sta levando il no alle Olimpiadi, troppo insostenibili dicono i 500 manifestanti, contrari al villaggio olimpico allo Scalo Romano, «Operazione squalo romana, 200 mq di cemento per i ricchi» dicono gli striscioni. Stesse grida, stessi discorsi, per difendere - o almeno provarci - l'ambiente e chi lo abita.

Corriere delle Alpi | 11 febbraio 2024

p. 11

Malagò: messi bene per i Giochi Sliding center, vicenda risolta cortina

«Per Milano-Cortina siamo messi abbastanza bene, sapete tutti cosa significa organizzare un grande evento in sei anni scarsi, di cui due fortemente penalizzati dal Covid, nel terzo è successa la qualunque con guerre e altro, ma la prua della barca è nella giusta direzione. Dal punto di vista delle strutture, ci sono stati seri problemi sull'identificazione del famoso "Sliding center", ma ora anche questo è risolto, per cui pancia a terra».

Lo ha detto ieri il presidente del Coni, Giovanni Malagò, intervenendo nel corso della trasmissione di Radio 24 "In campo con Pardo". Il numero uno del Coni ha anche parlato delle prossime Olimpiadi, quelle di Parigi, dichiarando che quanto alle medaglie possibili «abbiamo una proiezione addirittura superiore: e questo da un lato è bello, dall'altro ci preoccupa. Devo dire – ha proseguito Malagò – che bisogna qualificare il più possibile le persone che hanno fatto risultati quest'anno e che, però, ancora non hanno avuto il pass. In particolare, seguiamo con grande attenzione il Settebello e il Setterosa, poi ci saranno basket e pallavolo. A Tokyo, abbiamo preso medaglie in specialità non proprio tradizionali del nostro palmares sportivo, ma, da allora, abbiamo vinto coppe del mondo e competizioni continentali in discipline mai vinte prima. Tanto che nel 2022-23 nel medagliere di Olimpiadi, Mondiali ed Europei siamo la prima nazione, di tutta Europa. E questo dice tutto».

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Corriere delle Alpi | 11 febbraio 2024

p. 27

Raffica di esposti sulla pista: si è mossa anche la politica

Marina Menardi

Gigi Sosso / cortina

Pista da bob di Cortina: sul tavolo del procuratore di Belluno, Paolo Luca si aggiunge un altro esposto e si apre un ulteriore fascicolo, dopo quello presentato di Italia nostra sulla demolizione della vecchia Monti per la verifica del vincolo paesaggistico.

A firmarlo quattro esponenti di Alleanza Verdi e Sinistra: i deputati Angelo Bonelli e Luana Zanelli, la senatrice Aurora Floridia e la consigliera regionale del Veneto Cristina Guarda, che lo scorso 9 febbraio hanno presentato «denuncia con ipotesi di reato di distruzione e deterioramento di beni paesaggistici e disastro ambientale riferito al bosco di Ronco».

L'atto fa riferimento alla determina con cui il commissario straordinario di Simico, Luigi Valerio Sant'Andrea, ha affidato i lavori per il taglio del bosco nell'area dove sorgerà il nuovo tracciato per le Olimpiadi 2026, propedeutici all'intervento di costruzione dell'impianto.

Sant'Andrea ha scelto l'affidamento diretto, individuando in Lgb Forestal Service di Luca Ghedina "Broco" (fratello del campione di sci alpino Kristian), «l'operatore economico di comprovata esperienza nel settore» per effettuare l'intervento, per un importo dei lavori è di 98.780 euro più Iva.

Scrivono i quattro sulla carta intestata della Camera dei Deputati: «L'intervento prevede il taglio di 500 larici secolari ai piedi delle Tofane in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico ambientale per il quale è necessaria l'acquisizione della relativa autorizzazione. Apprendiamo da organi di stampa che la Procura ha aperto un fascicolo per verificare la possibile distruzione di elemento protetto da vincolo paesaggistico a seguito della demolizione della vecchia pista. Chiediamo che si compiano tutte le necessarie indagini per verificare se per le imminenti attività di taglio dei 500 larici sia stata acquisita l'autorizzazione necessaria». Chiedono inoltre di «valutare l'eventuale rilevanza penale degli atti posti in essere, a partire dalle ipotesi di distruzione e deterioramento di beni paesaggistici e disastro ambientale».

L'esposto chiede anche «di valutare se esistono le condizioni per il sequestro preventivo dell'area onde potere evitare che l'imminente avvio dei lavori possa comportare conseguenze irreversibili per il bene tutelato».

Qualche giorno fa un'iniziativa analoga era stata presa da Mountain Wilderness, Pfas. land ed Ecoistituto del Veneto Alex Langer, sempre allo scopo di evitare che si avvii il taglio degli alberi secolari. Le associazioni chiedevano di verificare la regolarità dell'affidamento diretto dei lavori di disboscamento alla Lgb Forestal Service. In particolare, sostengono che l'azienda – costituita nel 2019 e registrata a maggio 2022 nell'albo delle imprese forestali del Veneto – abbia un capitale sociale di 500 euro, non sufficiente considerate le garanzie da offrire sui potenziali danni se la verifica dei requisiti non sarà completata positivamente.

Le associazioni contestano che, se la pista è stata dichiarata "opera essenziale e indefettibile", si possa dire altrettanto dell'intervento propedeutico consistente nel taglio dei larici. E sulla determina di assegnazione, pubblicata sul sito di Simico, non c'è alcun riferimento a licenze e progetti di disboscamento.

Per questo l'esposto chiede alla Procura, al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Treviso e alla direzione difesa del suolo della Regione, di verificare se si tratterà di un intervento su una superficie estesa e continua oppure dell'ampliamento di una fascia attorno all'impianto già esistente.

La fase è quella degli accertamenti e dell'acquisizione di documenti, anche tramite i carabinieri forestali.

Non ci sarà alcun sequestro, tanto meno a pochi giorni dall'inizio dei lavori che porteranno alla realizzazione della nuova struttura.

Corriere delle Alpi | 16 febbraio 2024

p. 27

Da lunedì a Ronco il presidio ambientalista

Associazioni ambientaliste dell'Alto Bellunese e cittadini che si battono contro la costruzione della nuova pista da bob di Cortina daranno vita ad un presidio lunedì mattina alla pista di Ronco, nell'area del bob bar.

La mobilitazione, che punta il dito contro l'insostenibilità ambientale ed economica delle Olimpiadi, è stata annunciata da Peraltrestrade ed è in programma a partire dalle 9, con l'avvio del presidio all'ex pista Monti.

Tra i temi, le future spese di gestione dell'impianto e sull'esbosco: «Benché ridotto col progetto cosiddetto "light", è pari a m 19.980 metri quadrati (4-500 piante per la maggior parte larici secolari) a compensazione dei quali è previsto un rimboschimento di soli 4.276 metri quadrati in altre zone».

«Il danno ambientale e paesaggistico risulta evidente dagli scarsi rendering divulgati (l'immagine in alto è quella della pista di Cesana per le Olimpiadi 2006, analoga a quella proposta a Cortina)», fa sapere Peraltestrade, «si ricorda a tale proposito che il progetto non è stato mai pubblicamente illustrato ai cittadini come invece era stato promesso».

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Corriere delle Alpi | 16 febbraio 2024

Corriere delle Alpi | 19 febbraio 2024

p. 9

Bob, protesta per l'avvio dei lavori Delegazione Cio in arrivo a Cortina

Francesco Dal Mas / CORTINA

Gli ambientalisti che alle 9 di questa mattina saliranno a Ronco, dove inizierà il cantiere dell'impresa Pizzarotti per costruire la pista di bob, abbracceranno i larici prossimi all'abbattimento. E lo faranno davanti alle telecamere della Tv tedesca e di quella svizzera. Un messaggio pacifico, ma simbolico.

«Non ci si venga a dire che per ogni albero abbattuto se ne pianteranno altri 12 – protesta Gigi Casanova, uno dei leader del movimento contrario alla nuova pista di Cortina -. Un larice di 100 anni trattiene una quantità di Co2 che un alberello prossimo alla piantagione dovrà crescere almeno per 60 anni prima di catturare altrettanta anidride carbonica».

Il cantiere è già stato recintato. I lavoratori incaricati da Pizzarotti si sono adoperati venerdì e sabato per mettere in sicurezza l'area. Entrare significa correre il rischio di essere denunciati per violazione di proprietà privata. In ogni caso il sito sarà presidiato dalle forze dell'ordine. Essendo giorno lavorativo, i manifestanti saranno probabilmente una cinquantina.

In cantiere dovrebbero arrivare i tecnici di Simico e della Pizzarotti, ma non è prevista nessuna cerimonia. Per oggi è atteso il primo colpo di motosega, ma difficilmente ci sarà. Come è stata sconsigliata la posa della prima pietra, così pure l'impresa Ghedina è stata invitata a posticipare l'intervento, a quando chi protesta avrà tolto l'assedio. Con solerzia gli operai della Grigolin stanno preparando il campo base per alloggiare il personale della Pizzarotti. L'impresa di Parma è stata incaricata anche della bonifica bellica. Il Comune di Cortina ha concluso la parte di competenza, liberando un alloggio, alla curva Antelao, chiudendo il bar e svuotando alcuni magazzini. Domani l'area sarà visitata da una delegazione del Cio, che sarà accompagnata a Cortina sia dal presidente della Fondazione Mico Giovanni Malagò, sia dai vertici di Simico, la presidente Veronica Vecchi e l'ad Fabio Massimo Saldini, che proprio da aggi assumerà il nuovo incarico, precedentemente svolto da Luigivalerio Sant'Andrea. E che in settimana sarà a chiamato a concludere la conferenza dei servizi decisoria sulla rigenerazione dell'ex panificio di Cortina e di altri edifici. Dalla Pizzarotti, intanto, si conferma quanto recentemente dichiarato, cioè che l'opera sarà consegnata entro marzo 2025.

La pista avrà una lunghezza di 1.650 metri (comprensiva di outrun) e si snoderà in 16 curve per un dislivello di 110 metri. Nei momenti di picco, nel cantiere saranno occupati fino a 200 operai. I lavori continueranno fino a novembre 2025 per completare gli edifici partenze e arrivi, gli impianti di corredo alla pista e le opere di finitura. Il tutto sarà utilizzabile nell'inverno successivo, in occasione dei prossimi Giochi invernali. Sono previsti fino a due turni di lavoro al giorno per 6 giorni a settimana. L'investimento è di 81 milioni.

Corriere del Veneto | 20 febbraio 2024

p. 3, edizione Treviso - Belluno

In cento contro lo Sliding Centre: «Saranno i Giochi del cemento»

Cortina

«Dopo Vaia, la tempesta Zaia», lo striscione più visibile. Poi ancora altri: «Dalla laguna alla montagna contro le Olimpiadi del cemento» firmato dal Venice Climate Camp, «Le Olimpiadi dell’insostenibilità». Doveva essere una manifestazione in tono minore, a detta degli stessi organizzatori, e così è stato per numero di partecipanti: un centinaio non di più che si sono dati appuntamento ieri mattina alle 9 nel piazzale d’arrivo dell’ex pista Eugenio Monti. Mattina tranquilla, anche perché di ruspe e di operai, nel giorno dell’annunciato inizio dei lavori per la realizzazione dello Sliding Centre, nemmeno l’ombra. Forze dell’ordine a presidiare l’area, ma l’atmosfera porta a socializzare piuttosto che a scontrarsi. Si vedono anche volti noti del Bob Club Cortina che, dopo mesi a masticare amaro, ora sono pronti a brindare e s’intrufolano a filmare i volti degli ultimi resilienti. Unica scintilla al passaggio di un’automobilista che si premura di abbassare il finestrino per rivolgere un invito ai manifestanti: «Andate a lavorare». Qualche «buuuh», un paio di fischi e molte risate, un po’ come se ci si aspettasse quel che è accaduto. «Adesso ci vorrebbe una bella nevicata» gufano gli ambientalisti. Per rallentare il procedere dei lavori, rendere vana la realizzazione dell’opera in prospettiva competizioni olimpiche, anche se tutto questo non fermerebbe il disboscamento di centinaia di larici. Prevale l’amarezza. Il rimandato inizio dei lavori è forse l’ultima concessione a chi fino a un paio di mesi era convinto dello scampato pericolo.

Di certo le cose da fare sono tante. Ancora nulla si muove a Pian Da Lago dove sarà realizzato il villaggio per le abitazioni e gli uffici della Pizzarotti, qualche paletto e poche reti nella zona pista ai piedi delle Tofane. Di certo dovrà esserci un’accelerazione, ma ambientalisti e comitati civici vigileranno. Uno dopo l’altro si alternano al microfono e ribadiscono le ragioni del dissenso: una pista che snatura un’area boschiva, un progetto partorito tra mille difficoltà che ha un costo annunciato di 120 milioni di euro e costi di manutenzione a carico del Comune pari a 1,5 milioni all’anno; non ultimo, il forte dubbio che i giorni restanti non siano sufficienti a ultimare la pista in tempo utile per i Giochi. Luigi Casanova di Mountain Wilderness ribadisce gli sprechi di denaro pubblico non solo a Cortina, ma per tutte le opere realizzate in vista delle Olimpiadi. Lo confermano gli attivisti giunti dalla vicina Val Pusteria, che portano ad esempio l’impianto per il biathlon di Anterselva. Italia Nostra ricorda gli esposti in Procura in attesa di una risposta, piangono lacrime amare i cortinesi residenti nella zona che vedranno radicalmente trasformarsi un’ampia area dove la precedente pista stava per essere

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riassorbita dalla natura. La consigliera regionale dei Verdi Cristina Guarda annuncia di non voler rinunciare a dar battaglia, i rappresentanti delle liste civiche, Cortina Bene Comune in testa, ricordano anche come per far spazio al tracciato light sarà azzerato il parco giochi per bambini realizzato meno di un anno fa con un investimento superiore al milione di euro. E proprio sul nuovo tracciato, il quarto, emergono forti dubbi e perplessità: sottopassaggi, strade di servizio, l’ampia struttura da realizzare in zona partenza sono opere importanti e delicate.

Ne parleranno, certamente, due figure apicali del Cio che da questa sera saranno ospiti della Conca per la quinta «Coordination Commission» sulle Olimpiadi di Milano-Cortina 2026: sono in arrivo la presidente della commissione Kristine Kloster e Christophe Dubi, che per il Cio è Executive Director. Nei successivi tre giorni, fra tavole rotonde, sopralluoghi, confronti tecnici e appuntamenti istituzionali, visiteranno i siti prescelti per ospitare gare e atleti. Un passaggio che arriva in contemporanea - benché l’eventualità non fosse prevista – con avvio dei lavori e proteste. Non certo per toccare con mano i cantieri dato che, quello più significativo, è appena accennato mentre tutte le altre venue non hanno molto da mostrare: piste da sci per le gare femminili, palaghiaccio per il curling (prossimo cantiere in procinto di essere affrontato), villaggio olimpico, medal plaza e trampolinosono le opere indifferibili, quelle senza le quali i Giochi non si possono fare, e sulle quali c’è la maggiore attenzione per tempi e impatto ambientale.

L’ultimo appuntamento del «CoCom» era stato sei mesi fa a Milano e ora tocca al Veneto ospitare il Comitato Olimpico: padroni di casa saranno il presidente della Fondazione Giovanni Malagò e l’Ad Andrea Varnier, la presidente di Simico Veronica Vecchi e forse anche il nuovo Ad Fabio Massimo Saldini. Venerdì mattina a Venezia Kloster e Dubi faranno una sintesi di ciò che hanno visto, raccolto e analizzato sul campo. La loro opinione, di questi tempi (e con queste polemiche) è molto attesa. E importante.

Corriere del Veneto | 20 febbraio 2024

p. 3, edizione Treviso e Belluno

«Taxi bob, badili e gommoni da lì possono scendere tutti»

Cortina

Trent’anni, primo italiano a vincere una medaglia mondiale nella storia dello skeleton nel 2020, bellunese, Mattia Gaspari fa parte del progetto giovani della Fondazione Cortina, braccio operativo territoriale delle Olimpiadi 2026 per organizzare e gestire gli eventi sportivi in Ampezzo. Ma Cortina oggi è soprattutto la «casa» del tanto atteso quanto contestato Sliding Centre per bob, skeleton e slittino. «La popolarità di questi sport olimpici, non minori ma poco conosciuti, sta crescendo anche grazie alle Olimpiadi e la pista di Cortinaafferma -. Raccolgono centinaia di appassionati. Negli anni Novanta il bob era molto seguito, poi è uscito dai canali tivù. Stiamo combattendo, con la Federazione internazionale, per avere più visibilità».

Gaspari, come si sta preparando Cortina?

«Sono già stati portati avanti tanti progetti, infrastrutture, strade, impianti, piste. Per non parlare del mondo privato: vedo molti cantieri a Cortina, hotel, case, l’interesse è palese. Si sente nell’aria, il fermento».

L’intervento più sensibile è la pista. Gli ambientalisti contrari, il Cio che preferirebbe una pista esistente. Cosa pensa di questi dubbi?

«Magari sono di parte ma, e rispondo al Cio, a Cortina la pista esisteva già nei primi del Novecento, è stata chiusa nel 2007 e da lì i nostri sport hanno fatto fatica, non avendo più una casa. Pesa soprattutto per i giovani». Non c’è solo il costo iniziale. Per le manutenzioni si parla di un milione all’anno. Ne vale la pena?

«I business plan di molte piste vanno in pari, la differenza sta in chi le gestisce: guadagna chi è bravo».

Che potenzialità commerciali e sportive ha?

«Molte. C’è chi offre il taxi-bob, un pilota davanti e dietro le persone che vogliono provare l’esperienza. C’è chi mette a disposizione dei “gommoni” da 8-10 persone, un po’ più lenti ma ti fanno vivere la discesa nel tubo ghiacciato. In Lettonia, ogni anno fanno le gare con i badili. E ci sono i mondiali di wok, come la pentola ma un po’ più grande. Si possono fare tante cose».

Solo la pista costa 80 milioni. Qualcuno dice che i praticanti sono meno di una quarantina e spendiamo 2 milioni ad atleta…

«Non è vero, solo per bob e skeleton siamo più di quaranta, senza contare lo slittino. Ma diciamolo: senza piscine quanti nuotatori ci sarebbero? Anche le strutture determinano la passione e la diffusione di uno sport. Una pista di questa qualità può attirare persone e delegazioni tutto l’anno».

Anche dopo i Giochi?

«Eccome. Ci sono i circuiti di Coppa del mondo, ogni settimana facciamo una tappa diversa, girano 4-500 persone. Nei giorni scorsi, in Germania, eravamo 250 solo per gli allenamenti».

Il rischio è su tempi e soldi. Lei, è preoccupato?

«Se servisse ad accelerare i tempi, andrei anch’io a scavare. Ma ospitare un’Olimpiade in casa è un onore per Cortina, per la Nazione e per chi userà la pista. Sono fiducioso, andrà bene». (s.ma.)

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Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

p. 2, segue dalla prima

Requiem per i larici

Motoseghe in azione ieri mattina alle 7 in località Ronco per abbattere i larici presenti sul percorso della nuova pista da bob che dovrà essere realizzata per i giochi olimpici.

È partito, quindi, il cantiere per un'opera che ha sollevato tante polemiche in questi ultimi anni e contro la quale lunedì scorso molti cittadini e ambientalisti hanno manifestato. L'avvio del cantiere, guarda caso come in molti hanno notato, è arrivato proprio nella giornata in cui si è svolta la visita ispettiva della delegazione del Comitato olimpico internazionale. Mentre iniziava il taglio dei larici, alle 9 ieri mattina, il famoso violoncellista Mario Brunello ha eseguito un requiem tra i boschi. Il musicista è arrivato accompagnato dalla consigliera regionale di Europa Viva, Cristina Guarda.

A vigilare sui lavori di disboscamento, però, già di primo mattino c'erano alcuni residenti di Cortina oltre ad esponenti di associazioni ambientaliste che hanno fatto notare alle forze dell'ordine, al primo colpo di motosega, la mancanza di segnaletica afferente al cantiere e quindi la sua pericolosità. Così la ditta incaricata ha sospeso i lavori per sistemare i segnali per poi riprendere l'attività. Cittadini e di ambientalisti, insieme anche alla consigliera Guarda che ha denunciato lo spreco di risorse per quest'opera e ha evidenziato che «qualora non venisse realizzata nei tempi si configurerebbe un danno erariale di cui chiedereremo conto», hanno vigilato tutto il giorno sull'area anche in attesa del gruppo del Comitato olimpico a cui hanno riservato grida di proteste e qualche "vergogna".

La riunione

Esponenti del Cio, insieme a quelli della Fondazione Milano Cortina 2026, della Fondazione Cortina, di Simico e alcuni funzionari del ministero delle Infrastrutture si sono dati appuntamento ieri all'Alexander Hall dove ad attenderli c'era anche il sindaco di Cortina, Gianluca Lorenzi. Un incontro che tutti hanno definito molto costruttivo in cui «i commissari del Cio sono stati rassicurati sul rispetto dei tempi di consegna delle opere». I protagonisti, circa una sessantina, sono arrivati a bordo di due pullman.

I mezzi hanno parcheggiato su una via laterale rispetto all'ingresso principale lontano da occhi indiscreti. A guidare il gruppo in prima fila, c'era il presidente della Fondazione Milano Cortina 2026, Giovanni Malagò.

La riunione è stata l'occasione per fare il punto sull'avanzamento dei lavori nei cantieri cortinesi. Il ritardo, infatti, sull'avvio delle opere non è certo sfuggito al Cio che proprio su questo ha interrogato i presenti.

Il vertice, che rappresenta il quinto appuntamento per il Comitato olimpico nei luoghi dei Giochi 2026, è durato quasi due ore al termine del quale è stato poi offerto a tutti un pranzo a buffet organizzato e curato dallo chef stellato, Graziano Prest del ristorante Tivoli.

Il tour tra i cantieri

Al termine del pranzo, tutta la delegazione internazionale si è spostata a piedi verso lo stadio olimpico dove a porte chiuse è stato illustrato il piano degli interventi dell'impianto. Da qui poi il gruppo è salito sui pullman per fare un giro a Zuel, luogo deputato ad accogliere il villaggio olimpico, e da qui poi è arrivato a Ronco dove il progettista delle strutture temporanee dei siti di gara, Sebastiano Dabalà ha illustrato il progetto della pista da bob.

A chiedere di essere presente a Ronco alla spiegazione dei lavori per la pista da bob è stata la consigliera Guarda che ha potuto parlare con il direttore esecutivo dei giochi per il Cio, Christophe Dubi. «Ho fatto presente al direttore esecutivo le mie perplessità non solo in merito alla sostenibilità sociale e ambientale della pista da bob, ma anche il timore di una sua utilizzazione soprattutto dopo i giochi. E su questo il direttore Dubi mi ha confermato che gli obiettivi del Comitato olimpico internazionale restano quelli della sostenibilità e legacy dell'opera», dice la consigliera che è intenzionata a non mollare su questa vicenda.

Da qui i due pullman hanno poi proseguito la visita a Socrepes per poi scendere verso Venezia dove il gruppo rimarrà fino a domani quando gli ispettori del Cio tireranno le somme di questa visita e faranno sapere il loro giudizio sui cantieri.

Corriere del Veneto | 23 febbraio 2024

p. 3, edizione Treviso-Belluno

«Pista da bob a Cortina i contestatori erano in sette. Ma le opere sono un calvario» Malagò: il Cio ha compreso gli sforzi degli ultimi mesi

Camilla Gargioni

VENEZIA

«A Cortina c’erano sette persone con i cartelli contro la pista da bob, quattro di loro non erano nemmeno di Cortina: ma tutto questo, alla fine, è un investimento. Vi prego di andare a vendere i ruderi della pista da bob, casca a pezzi, è deficitaria: almeno facciamo una cosa nuova. E torniamo all’importanza di creare posti di lavoro». Giovanni Malagò, presidente del Coni e della Fondazione Milano Cortina 2026, ieri si è tolto qualche sassolino dalla scarpa parlando di fronte agli studenti di Ca’ Foscari, alla facoltà di Economia di San Giobbe. Pur non volendo entrare nei dettagli, che verranno discussi oggi a palazzo Grandi Stazioni, il tema Olimpiadi era inevitabile in un panel dedicato allo «sport ed economia», moderato da Jan Van der Borg, docente di Economia applicata. «Siamo a due terzi delle giornate con la coordination commission , l’impressione è che ci sia consapevolezza per il lavoro che si sta facendo, degli sforzi che sono stati fatti negli ultimi mesi e i progressi», spiega Malagò. Ci sono infatti ottanta persone all’Hilton Molino Stucky,

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l’albergo alla Giudecca, metà della fondazione Milano Cortina 2026, metà degli uffici del Cio. «Fino a poco fa ero con Federica Pellegrini – racconta Malagò –, è venuta a lavorare con noi, portando anche la piccola Matilde. Federica è affezionata a queste terre». Incalzato dalle domande di docenti e studenti, Malagò non nasconde che la parte infrastrutturale è quella che dà più filo da torcere. «Pare che si parli più della pista da bob che di Sanremo – dice con ironia – Ieri (mercoledì, ndr) abbiamo trovato la quadra, siamo andati in commissione a Cortina: certo, la parte costruttiva è un calvario». Numeri alla mano, per la fondazione gli impianti già esistenti ammontano al 92 per cento. «Qualcuno va ristrutturato, penso allo stadio di San Siro a Milano. Poi c’è l’Arena di Verona, che sarà cruciale per la chiusura delle Olimpiadi e l’inizio delle ParaOlimpiadi. Tutto questo determina un’accelerazione di investimenti –sottolinea –. Bisogna ricordare che, come presidente del comitato organizzatore, mi occupo di sport, non costruisco. E rispetto alla nuova legge che prevede che il presidente del Coni non si possa ricandidare… sarebbe giusto prendere in considerazione una proroga, visto che la mia carica scade a ridosso di Milano Cortina». Ca’ Foscari, dalla sua, ha riproposto l’indagine elaborata nel 2019 che mostra l’impatto che avranno le Olimpiadi sul territorio: oltre un miliardo di euro, tra spese e investimenti, e quasi 14 mila posti di lavoro.

Corriere delle Alpi | 24 febbraio 2024

p. 13

Il Cio: «Il bob qui ha un futuro» Ma il piano B è una pista estera

enrico ferro

Il Comitato olimpico internazionale fa tappa in Veneto e dopo una serie di verifiche sullo stato dell'arte pone sostanzialmente due punti fermi. Il primo è che lo sliding center in via di realizzazione avrà un futuro, anche a prescindere dal prossimo appuntamento olimpico. Il secondo è che il piano B rispetto alla pista da bob di Cortina sarà certamente un impianto all'estero. Un bel risultato per il Veneto di Luca Zaia, ma allo stesso tempo anche una grande responsabilità. Se per qualche motivo i lavori dovessero protrarsi oltre la deadline di marzo 2025 sarebbe l'Italia a perdere questa specialità olimpica. «Il collaudo è a marzo 2025. Considerando che si dovranno mettere in moto gli impianti di refrigerazione 20 giorni prima, direi che i lavori dovranno essere conclusi a febbraio». «Il rispetto dei tempi per la consegna è la cosa più importante, per questo monitoriamo le scadenze», ha ribadito più volte la presidente della Commissione Cio, Kristin Kloster. «Anche un giorno di lavoro perso è un rischio. Le nostre preoccupazioni per lo sliding center sono note e sono state ribadite. Ecco perché è fondamentale il piano B».

Giovanni Malagò, presidente del Coni, ha voluto dare un messaggio di positività, forse anche nell'ottica di sciogliere la tensione rispetto a questo conto alla rovescia che sarà la realizzazione della pista da bob. «La relazione della presidente è stata dettagliata e analitica. Questa sarà l'Olimpiade dei territori. Non dobbiamo essere ipocriti, ci sono cantieri aperti e una tempistica stretta. È una novità per il nostro paese? No». Quindi avanti tutta, senza paura. È questa la sintesi di Malagò, che ricorda come l'evento olimpico possa incidere su occupazione, Pil e gettito. «Noi monitoreremo quel che fa Simico», ha ribadito il presidente del Coni.

Kloster è stata ferma nella sua ricostruzione dell'intera vicenda. «La posizione del Cio sulla pista da bob è nota» ha detto. «Noi non abbiamo raccomandato la costruzione di nuovi impianti ma le autorità italiane volevano questa sede e quindi abbiamo rispettato la loro decisione». Ma dopo questa premessa va dritta al punto. «Per noi la sicurezza degli atleti è la cosa più importante. Dunque seguiamo le tempistiche e le scadenze. Ovviamente con il piano B pronto».

Ma secondo il direttore del comitato olimpico Christiphe Dubi la pista da bob di Cortina avrà un futuro svincolato dalle Olimpiadi. «Siamo sicuri che le competizioni si realizzeranno lì», ha assicurato. Quello che abbiamo capito è che questa sede avrà un futuro e ci sarà piano dettagliato: la legacy (il piano di gestione) ed è in fase di formulazione. A prescindere dal completamento o meno a marzo 2025, c'è un futuro».

Dunque avanti tutta con l'impianto per il bob, lo skeleton e lo slittino: un moderno sliding center che sorgerà sulle ceneri della vecchia "pista Monti", in località Ronco, a Cortina. Andrea Varnier, amministratore delegato di Milano-Cortina ha voluto rassicurare circa la sostenibilità dell'opera sulle casse del Comune di Cortina. «Esisteva piano di legacy per la struttura precedente», ha detto l'ad. «La Regione ha comunicato nei giorni scorsi un nuovo piano. Attendiamo di presentarlo al Cio».

Il Cio ha voluto esaltare la filosofia che sta alla base dell'organizzazione di queste Olimpiadi: l'utilizzazione e la conseguente valorizzazione di impianti già esistenti. «Sembrava impossibile mettere in piedi una candidatura con un'unica opera da realizzare (quella di Cortina)», ha ricordato Malagò. «Useremo San Siro, lo stadio con la più alta capienza al mondo, per l'apertura. E poi useremo lo stadio più antico, l'A rena di Verona, per la chiusura. Sarà una grande pubblicità per il Veneto e per l'Italia».

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Corriere delle Alpi | 24 febbraio 2024

p. 13

“Un danno per l’ambiente e per i conti pubblici. Pronti a bloccare i lavori”

Continuano le proteste per la costruzione della nuova pista da bob a Cortina. Ieri mattina, in occasione dell'incontro finale a Venezia della delegazione del Comitato Olimpico Internazionale in vista delle Olimpiadi invernali 2026, è stato organizzato un presidio ambientalista pacifico.

Al grido di "basta", i manifestanti hanno agitato i cartelloni "le olimpiadi dell'insostenibilità", "non bastava Vaia… adesso tempesta Zaia". Alla protesta hanno preso parte Comitato Civico Cortina, Venice Climate Camp, Extinction Rebellion Venezia, Mountain Wilderness, Ecoistituto del Veneto Alex Langer e altre associazioni del territorio. «Dal momento che ci hanno negato di partecipare all'incontro, abbiamo organizzato qui fuori una contro-conferenza per esprimere dissenso e preoccupazione. Verranno abbattuti centinai di larici secolari per far spazio a un'opera inutile e dannosa», ha dichiarato Eleonora Sodini di Venice Climate Camp, «siamo assolutamente contrari a questo investimento pubblico. Chiediamo che tutti i milioni stanziati per questo progetto vengano donati alle comunità per realizzare qualcosa di cui ci sia veramente bisogno. I precedenti di queste grandi strutture parlano chiaro: non vogliamo che la storia si ripeta, soprattutto in un periodo di grave crisi climatica come il nostro. L'ambiente deve essere preservato. Contrari a questa dinamica di spreco di denaro, siamo pronti a salire sulle montagne e a bloccare i lavori».

Oltre ai comitati, sono intervenuti anche gli stessi ampezzani. «Non accettiamo che venga abbattuto un bosco per creare un ecomostro e causare un debito dannoso al nostro comune per un'opera non necessaria», ha commentato Pietro Gaspari Bandion, «per altro, fino ad ora non ci è stato presentato alcun progetto e nessuno ci ha mai detto cosa accadrà a livello territoriale».

I partecipanti hanno espresso la preoccupazione per le possibili ricadute economiche. «I precedenti delle piste da bob parlano chiaro: sono cadute in disuso dopo breve tempo e la manutenzione promessa non è mai stata rispettata», ha aggiunto Giovanni Di Capua, «a Cortina non c'è ancora stato un impegno formale per mantenere la pista che verrà a costare circa 1 milione e mezzo di euro all'anno».

Costanza Valdina

Gazzettino | 24 febbraio 2024

p. 9, edizione Belluno

La demolizione e l'abbattimento dei larici verso l'archiviazione il fascicolo sui lavori

L'INCHIESTA

BELLUNO Una bolla di sapone: va verso l'archiviazione l'indagine della Procura della Repubblica di Belluno partita dall'esposto di alcune associazioni ambientaliste sulla "demolizione selettiva" della pista da bob di Cortina per far posto al nuovo impianto che servirà ali Giochi olimpici e paralimpici invernali del 2026. Tutto era nato dal sospetto che quell'abbattimento "chirurgico" di pezzi del vecchio impianto fosse stato eseguito senza le richieste autorizzazioni. Il sito di Ronco infatti si trova in area soggetta a rigidi vincoli della Soprintendenza ai beni ambientali.

IL PASSAGGIO

Per metterci mano a qualsiasi titolo, anche solo per impiantarvi una tabella esplicativa, serve chiedere il permesso. E ottenerlo. Dalla presunzione che questo passaggio non fosse stato effettuato è stato presentato un esposto, legato anche alla possibilità che pure il taglio dei larici eseguito in questi giorni, fosse senza autorizzazione. Così la Procura aveva aperto un "fascicolo informativo" affidando ai carabinieri del nucleo tutela ambientale di Venezia, guidati dal Maggiore Emanuele Meleleo, gli accertamenti del caso. In particolare sono stati effettuati alcuni sopralluoghi a Ronco dove si trova la pista, per verificare che il sito del cantiere combaciasse con l'area vincolata. L'indagine in realtà non è formalmente chiusa, ulteriori passaggi sono ancora da espletare, ma l'ipotesi di reato di abuso edilizio si starebbe dissolvendo anche per l'effettiva presenza delle richieste autorizzazioni. "Demolizione selettiva", taglio degli alberi, ma non solo: nel mirino era finita anche la prevista bonifica bellica del sito prima di procedere con il nuovo progetto. Anche in questo caso pare che sul piano penale sia tutto in regola. Alle associazioni ambientaliste resta la possibilità di ricorrere al Tar per chiedere la sospensione dei lavori in nome di sostenibilità ambientale ed economica dell'opera. La partita è ancora aperta, ma sotto il profilo penale i giochi sembrano invece chiudersi qui.

IL COMMENTO

Soddisfatto il sindaco di Cortina Gianluca Lorenzi: «È la conferma che Simico si è sempre mossa bene e la scelta della Procura se viene confermata, ci sprona a proseguire su questa strada. Nulla viene lasciato al caso, ora avanti perchè il tempo stringe, Cortina si merita questo».

Proprio il tempo che stringe rischia di essere ora il fattore critico: Roberta de Zanna esponente in Consiglio comunale di Cortina bene comune, all'opposizione, prende atto dell'esito dell'esposto che era stato promosso da Italia Nostra, ma non ha nessuna intenzione di deporre le armi. «Dal punto di vista della mobilitazione quello che c'era da fare è stato fatto, ora la nostra attenzione si sposta sul fronte della vigilanza, sul fatto che vengano scrupolosamente osservate tutte le prescrizioni, sul numero di alberi che verranno abbattuti, sul rispetto della delle pertinenze dei privati». Ma l'incubo è il tempo. Ieri su Ronco sono caduti 40, 50 centimetri di neve bloccando di fatto le operazioni che erano state aviate mercoledì con decine di larici segati e in attesa di essere portati via per far

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posto alla pista. «Il cantiere di fatto si fermerà appena partito -spiega de Zanna- stringendo ancor più la forbice del tempo che resta per consegnarla entro la scadenza concordata con il Cio, questo rischia di incidere sui turni di lavoro, sulla sicurezza dei tecnici, vedremo». Giovanni Longhi

Gazzettino | 24 febbraio 2024

p. 9, edizione Belluno

Tar del Lazio: un altro no allo stop del cantiere

IL RICORSO

VENEZIA Per il Tar del Lazio possono nuovamente andare avanti i lavori per la pista da bob a Cortina d'Ampezzo. È il secondo pronunciamento in tal senso nel giro di pochi giorni, sempre sul ricorso di Italia Nostra contro una lunga serie di istituzioni, fra cui quelle promotrici delle Olimpiadi 2026. Il contenzioso era iniziato ancora lo scorso anno, ma nel corso del tempo è stato integrato da motivi aggiunti, man mano che l'allora commissario straordinario Luigivalerio Sant'Andrea, il Comitato tecnico regionale Via, la Soprintendenza per il paesaggio e la direzione regionale per la Pianificazione territoriale hanno emanato i vari atti relativi all'opera bandita da Simico. L'ultima richiesta di sospensiva è stata presentata dall'associazione mercoledì, cioè nel giorno in cui sono state accese le motoseghe per il taglio dei 500 larici. Secondo il Tribunale amministrativo, però, «non sussistono le condizioni per disporre l'accoglimento dell'istanza anzidetta nelle more della celebrazione della camera di consiglio, che si fissa al 20 marzo 2024». Dunque se ne riparlerà in sede collegiale, ma intanto l'abbattimento potrà proseguire. (a.pe.)

Gazzettino | 26 febbraio 2024

p. 32

«C'è un cimitero di larici tagliati senza tener conto delle più semplici regole»

CORTINA

Un cimitero di larici e una disgrazia per il bilancio dello Stato. Ancor prima di nascere la pista da bob di Cortina lascia una pesante eredità. Nei giorni scorsi Andrea Zanoni, consigliere regionale del Pd Veneto, è salito nella conca ampezzana per un sopralluogo, al cui termine ha tuonato con l'opera e chi l'ha fortemente voluta. «Uno scempio di larici secolari e cantiere dei lavori non segnalato a norma di legge affonda l'esponente del Pd, anticipando che chiederà l'accesso agli atti . Tagli fatti in fretta, senza rispettare le procedure utili a recuperare il prezioso legno di larice, con schianti non mirati e disordinati, che comportano la lesione dei tronchi caduti a terra rendendoli difficili da lavorare». Il consigliere regionale non alcun dubbio: quello che si è trovato di fronte è stato un paesaggio simile ad una delle tante aree colpite, nel 2018, da Vaia. «Non solo continua . Lungo tutto il percorso della strada asfaltata non c'è alcuna indicazione, tramite cartellonistica, dei lavori in corso e degli estremi delle autorizzazioni di legge. Tant'è che nessuno ha ancora fornito ai richiedenti il progetto definitivo dell'opera. Alla faccia della tanto sbandierata trasparenza sempre osannata da Luca Zaia. Farò un accesso agli atti per avere i documenti mancanti e depositerò un'interrogazione per chiedere come la Regione sia riuscita a dare le autorizzazioni per compiere questa distruzione naturale». Il resoconto sintetizza la perlustrazione effettuata nella zona di disboscamento per la realizzazione della nuova pista da bob a Cortina. «È stato un colpo al cuore commenta Andrea Zanoni vedere decine di larici abbattuti dalle motoseghe. Alberi che le norme regionali del Veneto considerano monumentali e degni di massima tutela. La distruzione di questo lariceto, che era composto da circa 500 alberi, e la spesa di 125 milioni di euro per costruire la pista da bob, che forse non si riuscirà a terminare per tempo, rappresentano un esempio di sperpero di denaro pubblico e di distruzione insensata di un inestimabile patrimonio naturale. Un insulto a chi piantò quegli alberi per abbellire e rendere più vivibile questo lembo di montagna». Inevitabile l'appunto conclusivo sulla viabilità travolta dalla neve, venerdì scorso, in una normale precipitazione invernale. «Per coprire poche centinaia di metri c'è voluta un'ora di coda, a causa del traffico andato in tilt per la neve conclude il consigliere regionale . Mi chiedo come il Comune di Cortina, che non è nemmeno in grado di gestire gli effetti di una nevicata, riuscirà a gestire una pista da bob». Yvonne Toscani

STARLIGHTR ROOM: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 5 febbraio 2024

p. 17

Le starlight rooms vanno ai voti Il Veneto ne autorizzerà fino a 172

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il caso

Ci sono coppie che stanno aspettando di sposarsi per trascorrere la luna di miele nella "camera di vetro", meglio conosciuta come "starlight room", in faccia alle Tofane, sul Col Gallina. Da domani potrebbero trovare soddisfazione. In Consiglio regionale, infatti, sarà portato ai voti il progetto di legge 164 che prevede "modifiche alla legge regionale 14 del giugno 2013" sullo sviluppo e sostenibilità del turismo veneto.

La norma è di iniziativa della giunta ed è stato licenziato l'8 novembre scorso dalla 6° Commissione, con i voti contrari non solo del centrosinistra ma anche del leghista Marzio Favero, molto vicino al presidente Luca Zaia. Il relatore in aula sarà Silvia Cestaro, la consigliera regionale di Selva di Cadore, della Lega.

Strutture ecosostenibili

Le stanze panoramiche – chiarisce il testo – sono "stanze di vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto, collocate stabilmente sul suolo, caratterizzate da un elevato rapporto tra superficie finestrata e quella del pavimento". Consentono al turista ospite di osservare in modo particolarmente ampio sia il paesaggio circostante, sia il movimento degli astri nel cielo, grazie alle superfici vetrate proporzionalmente più grandi rispetto alle finestre dei normali locali di pernottamento delle altre strutture ricettive. "Si tratta di una struttura ricettiva in ambiente naturale, che, come le altre, ha l'obiettivo di far vivere emozioni intense e durature al viaggiatore attraverso esperienze per lo più personalizzate nell'ambito di quello che si è oggi affermato come turismo emozionale". Il progetto di legge prevede che questi manufatti siano realizzati in forma appunto ecosostenibile o comunque di basso impatto e collocati stabilmente sul suolo, con particolare attenzione all'ambiente ed al paesaggio circostante.

Due per Comune

Le "camere di vetro" possono essere realizzate – "al pari delle malghe, dei rifugi alpini e dei bivacchi, anche oltre l'altitudine di 1600 metri" limite posto dalla normativa urbanistica regionale, fatto salvo comunque il rispetto del "Codice dei beni culturali e del paesaggio" e sempre che siano osservate queste precise condizioni: numero massimo complessivo di due strutture nell'ambito del territorio comunale interessato; capacità ricettiva massima di due posti letto per ciascuna struttura.

L'autorizzazione compete ai Comuni, che possono prevedere ulteriori limitazioni anche dimensionali. Ovviamente debbono approvare una variante al proprio strumento urbanistico finalizzata alla perimetrazione e alla puntuale disciplina degli ambiti naturali interessati dalla realizzazione delle nuove strutture ricettive.

L'apripista al col gallina

Ad introdurre le starlight rooms nell'area veneta delle Dolomiti è stato Raniero Campigotto, storico gestore del Rifugio Col Gallina, che ad oltre 2000 metri di quota ha installato sperimentalmente due di queste strutture, una nel 2017 e l'altra l'anno successivo. «Si tratta di stanze, di sobria eleganza, ecosostenibile al 100%. Sono fissate a terra, ma di fatto removibili. Gli scarichi non sono a terra, ma interni alla struttura. Per l'elettricità vengono utilizzati pannelli solari. Il riscaldamento è a pellet. Nel mio caso le strutture erano collocate sulla sommità delle piste da sci, in posti già antropizzati. Inoltre si inseriscono bene nell'ambiente circostante con materiali consoni. Per i disabili o le persone che hanno necessità di essere trasportate utilizziamo mezzi elettrici».

172 strutture

Sarebbero 172 le "stanze panoramiche" che potrebbero entrare in attività sulle montagne venete. Ed il mondo dell'alpinismo e dell'ambientalismo è per lo meno perplesso, se non contrario. «Comprendiamo le ragioni del turismo esperienziale o emozionale –afferma Renato Frigo, presidente regionale del Cai -, ma non riteniamo che sia questa la scelta più saggia di praticarlo. Intravvediamo il rischio che tutto diventi un parco divertimenti, e la montagna non può essere Disneyland. La montagna è fatta di sensazioni fisiche. Vanno percepiti il caldo ed il freddo, il vento, la pioggia, la neve. Vanno annusati i profumi. L'aria fresca è tutta da vivere. Insomma bisogna cercare di mantenere quel rapporto stretto con l'ambiente naturale». E poi, secondo Frigo, si rischia di banalizzare il tema della sicurezza.

I rischi secondo il Cai

«Non possiamo nasconderci il pericolo di incentivare i turisti anche meno attrezzati, banalizzando la salita in montagna in inverno, cosa che invece non è semplice e bisogna prestare molta attenzione. Noi dobbiamo insegnare alle persone a rispettare la montagna, dove i pericoli si percepiscono meno, evitando che venga snaturata».

La raccolta di firme

Andrea Zanoni, consigliere regionale del Pd, ha avviato una raccolta di firme. «La montagna è un luogo dove chi la frequenta desidera passarvi qualche ora in santa pace, silenzio, a contatto con la natura. Invece rischiamo scoprire nuovi cantieri con costruzioni vetrate che saranno un pugno sullo stomaco solo a vederle, col rumore dei gruppi elettrogeni al posto del canto degli uccelli, con bagliore di questi edifici al posto di un cielo stellato, con i rumorosi fuoristrada dei cacciatori che ti sorpassano in stretti percorsi di montagna invece di poter scorgere qualche animale in santa pace».

Corriere delle Alpi | 6 febbraio 2024

p. 21

Pass auto ai cacciatori e starlight rooms: mille firme per dire no

Francesco Dal Mas / BELLUNO

In soli 5 giorni di petizione on line, Andrea Zanoni, consigliere regionale Pd, ha raccolto più di mille firme contro le "camere di vetro" installate ad oltre 1600 metri di quota (due per Comune). Potrebbero risultare 172 sulle montagne del Veneto, la maggior parte sulle

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Dolomiti. Il progetto di legge, relatrice la bellunese Silvia Cestaro, consigliere Lega, sarà discussa oggi a palazzo Ferro Fini. Le firme rilanciano anche la contrarietà al pdl che apre ai cacciatori di selezione e ad altri volontari la viabilità silvo pastorale in alta quota, in interventi di rilievo pubblico.

«Domani mattina», anticipava ieri Zanoni, «mi presenterò con le firme raccolte e ribadirò che questa legge e quella dei fuoristrada in alta montagna non devono essere approvate. Le montagne devono essere salvaguardate e non sfruttate autorizzando deroghe alle leggi che le tutelano». Provvedimenti, secondo l'esponente Dem, che sfregeranno montagne e ambiente. «Gli alberghi panoramici», così li chiama Zanoni, «anche se il pdl prevede stanze da soli due posti letto, anziché otto come previsto inizialmente, potranno essere realizzati sopra il limite dei 1.600 metri in deroga alle norme vigenti per un massimo di due in ogni comune. Mentre i permessi concessi ai cacciatori per usare i fuoristrada in alta montagna saranno addirittura gratuiti, diversamente da quanto previsto per altri soggetti. Per consentire ai cittadini di farsi sentire e dichiarare la contrarietà alle leggi contro le montagne, lo scorso mercoledì ho lanciato una raccolta firme online che in poco tempo ha superato le 1.000 sottoscrizioni. Anche molti veneti non sono d'accordo con queste leggi della Regione».

«Trattare le nostre montagne come fossero dei musei per l'élite o dei safari è una tentazione che questa giunta regionale sta portando a nuove vette», afferma Cristina Guarda, consigliera regionale di Europa Verde, «rischia di generare un vulnus per il patrimonio montano della nostra Regione, perché riduce le nostre cime a luoghi del turismo luxury, accessibili per un selfie o un aperitivo in alta quota. Le conseguenze di questa filosofia, secondo cui tutto può essere trasformato in turismo, non rende onore a quel patrimonio naturale e storico che le nostre alture ci consegnano».

Guarda ricorda il dibattito serrato nelle audizioni in Commissione. «Se prendiamo in considerazione il Bellunese, lo spopolamento in atto non trova rimedio nell'effetto che scaturirebbe dalla presenza di turisti con i quali riempire dei box con vista. Le nostre montagne meritano qualcosa di più di scatole in vetro e legno. Potenziare il servizio di trasporto pubblico delle nostre montagne non rientra nell'agenda politica del Veneto; ciò che conta è solo vedere arrivare turisti in più, magari in auto».

Corriere del Veneto | 6 febbraio 2024

p. 3, edizione Treviso – Belluno

Paradiso o sfregio?

Le casette di vetro sulle Dolomiti infiammano i partiti

M.Za

Venezia

Si chiamano «starlight room», stanze a 5 stelle, in vetro e legno, incastonate oltre quota 1.600 metri sulle Dolomiti immerse nella luce delle stelle: un’immagine paradisiaca. Ma la loro approvazione in consiglio regionale sarà un inferno. Dal solo consigliere del Pd, Andrea Zanoni, arriveranno 34 emendamenti.

In discussione andrà il progetto di legge di iniziativa della giunta regionale che punta sul turismo «emozionale» fresco di consacrazione alla Bit, la Borsa italiana del Turismo di Milano, a cui ha partecipato l’assessore regionale Federico Caner. In realtà, dal febbraio dello scorso anno la creazione di queste strutture è già possibile se «agganciate» a strutture già esistenti come, ad esempio, al rifugio Col Gallina sul Falzarego. Cubi di legno d’abete e larice le cui pareti e soprattutto il soffitto sono completamente in vetro per poter dormire letteralmente sotto le stelle. Prezzo a notte, in questo caso, 700 euro. Palazzo Ferro Fini, però, dovrà esprimersi sulla possibilità di «starlight room» edificate ex novo. Due per Comune. Quindi potenzialmente, dice Zanoni: «Ci sono 86 comuni sopra i 1.600 metri in Veneto quindi parliamo, potenzialmente, di 172 nuove strutture». Per la precisione: 56 in provincia di Belluno, 18 a Vicenza, nove a Verona e tre a Treviso. Da palazzo Balbi fanno sapere che si tratta di blocchetti di due stanze con due letti, poco impattanti, l’opposizione ribatte che non basta un letto sotto le stelle, serviranno anche fognature e probabilmente strade per far giungere i turisti vip in quota, Zanoni ipotizza che si arriverà a piazzole per far atterrare gli elicotteri disturbando la fauna e le migrazioni degli uccelli «e, senz’altro, fra elicotteri e gruppi elettrogeni per illuminare le nuove strutture, chi cammina due-tre ore per godere del silenzio e dei suoni della natura, avrà una brutta sorpresa. Peraltro non sono specificate le dimensioni massime delle strutture». Preoccupazioni che la maggioranza respinge al mittente sottolineando che la ratio della proposta di legge invece è incentrata sull’impatto zero. Concretamente si modificherebbero la norma dello scorso anno «Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto» ma, soprattutto, la legge urbanistica regionale che, a oggi, impone il divieto assoluto di nuove edificazioni sopra il 1.600 metri con deroghe soltanto per malghe, rifugi e bivacchi alpini. «Questa proposta di legge delinea ancora una volta un’idea di montagna “cartolina” nella quale è più importante investire su un certo tipo di turismo per pochi benestanti, rispetto ad investimenti sull’accessibilità e la sopravvivenza dei territori montani nel lungo periodo, per tutti» attacca Elena Ostanel (Veneto che Vogliamo) che è relatrice di minoranza. L’opposizione è granitica nel suo no. «Trattare le nostre montagne come fossero dei musei per le élite o dei safari è una tentazione che questa giunta regionale sta portando a nuove vette» dice Cristina Guarda, (EV). Il tema, apparente di nicchia, si sta trasformando in un nuovo fronte su cui battagliare coltello fra i denti. Zanoni ha lanciato anche una petizione on line su change.org sottoscritta in cinque giorni da oltre mille persone: «Qui la maggioranza cerca di aprire un varco, si parte così e poi chissà dove arriveremo». Il dato ulteriore è che in Commissione turismo ha votato no al pdl anche il leghista Marzio Favero convinto dalle audizioni di associazioni come il Cai che si sono spese contro le starlight room. Se ci aggiungiamo movimenti tellurici in seno alla maggioranza dopo la spartiacque sul Fine vita, non è da escludere che ci possano essere altri insospettabili contrari. Sullo sfondo resta la profonda incertezza su come saranno i rapporti di forza interni al centrodestra dopo le Europee e se un Terzo mandato vedrà la luce o, come appare più probabile, no.

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Sancendo così la fine dell’era Zaia. E, quindi, il voto compatto su impulso della giunta a qualche consigliere del Carroccio comincia a essere indigesto. In serata l’assessore Caner ha comunicato d’essere malato al presidente del consiglio regionale Roberto Ciambetti. Il voto è stato, quindi, rimandato. La battaglia, invece, infuria già.

Corriere delle Alpi | 7 febbraio 2024

p. 15

Starlight room sindaci perplessi «Alla terre alte servono servizi»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

Chi non ambirebbe a trascorrere una notte stellata in una camera di vetro ai piedi delle Tre Cime o delle Tofane, piuttosto che sul monte Zovo in Comelico, in faccia al Civetta o al Piz Boè. Ma i sindaci, che dovrebbero dare le autorizzazioni sono perlomeno prudenti, in alcuni casi nettamente contrari.

Livinallongo

Tuona, infatti, Leandro Grones, sindaco di Livinallongo. «Questi non sono i problemi della montagna», afferma. «La politica pensi a come migliorare i servizi pubblici essenziali quali i trasporti pubblici, l'istruzione, la sanità, la viabilità ma anche a come erogare incentivi concreti alle famiglie e soprattutto alla natalità e affronti il tema dei costi ormai proibitivi della casa che proprio il boom turistico ha generato. Abbiamo bisogno di fondi per contrastare lo spopolamento, non di norme per permettere a qualche magnate di guardar le stelle in quota».

Per Grones, la starlight room sarebbe un altro sfregio alle Dolomiti patrimonio dell'Umanità e uno schiaffo a chi vive la montagna 365 giorni l'anno. «Non possiamo costruire una stalla sopra i 1.600 metri, ma una "ciofeca" del genere si. Ormai per giustificare qualsiasi discutibile iniziativa o opera da realizzarsi in ambienti delicati si abusa oltremodo il termine ecosostenibilità, credendo che tutti se la bevano».

La montagna bellunese ha la fortuna di avere tra le vette delle Dolomiti rifugi alpini molto accoglienti, in alcuni casi completamente accessibili a tutti con l'aiuto della funivia, in altri con una salutare scarpinata, dove chiunque vi può trascorrere qualche giornata e ammirare tutte le stelle che vuole. «E se proprio si decide di incentivare la possibilità di dormire in una stanza di vetro, si diano finanziamenti ai rifugisti - che eroicamente garantiscono ricettività in quota – per migliorare la struttura, magari anche per realizzare un oggetto completamente in vetro per metterci dentro un letto».

Colle Santa Lucia

«Si tratta di una proposta miope che mira a un modello di sfruttamento a fini turistici di un territorio fragile, a favore di pochi. La montagna si deve vivere e rispettare in armonia con quanti la abitano 360 giorni all'anno». Sono le parole indignate di Paolo Frena, sindaco di Colle Santa Lucia: «Il turismo in provincia di Belluno ha ben altre esigenze a partire dalla mancanza di servizi ai cittadini, che si ripercuote sulla percezione che hanno i turisti del nostro territorio». Frena sottolinea come Colle Santa Lucia sia al decimo posto fra i comuni della provincia di Belluno per tasso di turisticità, nell'area dell'Agordino si contano sei comuni nelle prime dieci posizioni, «ma a questi numeri non corrispondono servizi adeguati», conclude Frena. «Parlare di stanze panoramiche in questo contesto pare una pura azione di marketing slegata dalla realtà, come voler vendere una bicicletta senza i pedali».

Val di Zoldo

È pronto il sindaco di Val di Zoldo a rilasciare due autorizzazioni di altrettante camere di vetro in faccia al Civetta o sotto il Pelmo? «Non sono contrario, per principio. Ma sarei prudente. Parto dalla considerazione», risponde Camillo De Pellegrin, «che le Dolomiti, come Patrimonio dell'Umanità, sono un punto di riferimento turistico sempre più globale, con migliaia di persone che si muovono per ammirare la bellezza, magari anche nei contesti di maggiore suggestione, di più singolare spettacolarità. Quindi le stanze panoramiche rispondono a queste nuove esigenze. Attenzione, però, ci vuole equilibrio in questo approccio. Le Dolomiti non sono La Vegas, cioè un centro di divertimento. Hanno una storia, una cultura, esprimono dei valori, quindi un'identità; tutti elementi da rispettare con puntualità. Siamo sicuri che questa nuova iniziativa valorizza un tale patrimonio, preservandolo dalla banalizzazione?». Per il primo cittadino di Val di Zoldo è necessaria, pertanto, tanta prudenza, nel rilascio delle autorizzazioni, perchè – a suo dire – il primo valore da difendere è l'identità del Patrimonio Unesco piuttosto che le nuove opportunità di mercato turistico»

Cibiana

«Non sono contrario per principio», sono le parole del sindaco Mattia Gosetti, «tuttavia mi sembra una proposta molto esclusiva e lussuosa, che va nei confronti di una clientela con alte possibilità economiche. Io amo il tipo di ospitalità semplice e sincera che danno i nostri borghi (quella che in questi anni abbiamo tanto promosso anche qui a Cibiana). Oggi con tutti gli host che stanno nascendo nei nostri borghi», aggiunge Gosetti, «è bello vedere ospiti che girano anche le stradine dei paesi e non solamente le vette. Io per esempio dei paesi di montagna amo storia e identità e non mi piace pensare a una montagna senza i popoli che la vivono».

Vigo di Cadore

Né si né no, a priori. Questa la posizione di Silvia Calligaro, sindaco di Vigo di Cadore sulle stanze panoramiche oltre i 1600 metri. «In certi contesti la stanza panoramica potrebbe essere un'opportunità turistica, in altri no. Perché dico che bisogna valutare per bene ogni richiesta? Perché», afferma Calligaro, «le nostre montagne sono sottoposte a una molteplice serie di vincoli di tutela, che vanno evidentemente rispettati. Tra l'altro intervengono più enti di protezione. E con tutti costoro bisogna rapportarsi». Quindi difficilmente una starlight room potrebbe vedere la luce, pardon le stelle, sul monte Tudaio o a Casera Razzo? «Cosa risponderebbe la

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Soprintendenza? È a loro che bisognerebbe chiederlo per primi. Certo, però, che nelle situazioni possibili, questa iniziativa potrebbe risultare una carta da giocare».

Corriere delle Alpi | 7 febbraio 2024

p. 15

Lorenzoni: «La montagna è di tutti non di chi ha i soldi per esagerare» le reazioni

Mancava l'assessore regionale al turismo, Federico Caner, e la discussione del progetto di legge della giunta regionale sulle "stanze panoramiche", a Palazzo ferro Fini, è stata rinviata al 20 febbraio. E non è detto che in quella data sia confermato. Nel centrodestra e in particolare nella Lega vengono coltivate perplessità sempre più consistenti. Il consigliere Marzio Favero, leghista appunto, si è pronunciato contro e sta raccogliendo consensi. «Immagino che le osservazioni siano il sale della democrazia, cercheremo di capire quale sarà la soluzione migliore», ha commentati il presidente della regione, Luca Zaia. «Penso, comunque, che bisogna tutelare fino in fondo la montagna non è che possiamo pensare di fare dei grattacieli. Credo che 80 anni fa, se tutto si fosse risolto nell'ottica dell'estrema tutela e della conservazione dello status quo, oggi non avremo rifugi, alberghi e case, ma la montagna senza turismo non ha chance».

Per il consigliere Andrea Zanoni, del Pd, l'assenza di Caner è stata «probabilmente strategica: di sicuro, il mal di pancia all'interno del centrodestra è ormai innegabile. È la prima volta che assisto ad un dissenso così marcato su un progetto di legge della giunta regionale. La contrarietà a viso aperto del leghista Favero, infatti, è solo la punta dell'iceberg di un malessere ampio tra le fila della maggioranza. Evidentemente il lavoro di sensibilizzazione e riflessione sulle conseguenze del provvedimento svolto dalle associazioni ambientaliste, e le oltre mille sottoscrizioni da me raccolte per dire no agli alberghi panoramici, hanno fatto breccia e hanno convinto non pochi consiglieri a rivedere le loro posizioni».

Secondo Arturo Lorenzoni, portavoce dell'opposizione in consiglio regionale, le stanze panoramiche «rappresentano proprio l'esatto contrario di uno sviluppo sostenibile in alta quota, ovvero, la montagna usa e getta. Con questa nuova norma, giustamente osteggiata dal Cai e dalle associazioni ambientaliste, viene autorizzato un turismo di lusso che niente ha a che vedere coi valori fondanti le Terre Alte quali la lentezza e, soprattutto, il rispetto dell'ambiente circostante».

Camere di vetro a due letti. E due per Comune. «Personalmente, le interpreto così», chiosa Lorenzoni. «Uno va lassù con il proprio partner e ci passa la notte assieme. Stop. Ma la montagna è di tutti, non solo di chi ha i soldi per queste esagerazioni che peraltro sono fuori luogo. Niente gruppi di amici o altro, saranno ammesse unicamente le coppie. Siamo messi male se queste sono le politiche progettate per salvare le nostre terre alte».

Fdm

Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

p. 20

Caner: «Starlight room avanti tutta Un'opportunità per gli operatori»

L'intervista

Francesco Dal Mas

Starlight room o microalberghi d'alta montagna? «Ma scherziamo? Quali alberghi? Sono stanze emozionali, da due posti, removibili. E comunque sottoposte alle autorizzazioni del Comuni». Federico Caner, assessore regionale al turismo, in una breve pausa della febbre che lo ha colpito, chiarisce la proposta delle "stanze panoramiche".

Intanto, assessore, il 20 febbraio se ne discuterà e si voterà in consiglio regionale?

«Immagino di sì. Dipende dal consiglio, non certo dalla Giunta, tanto meno dal sottoscritto. Se non è stato sufficiente il chiarimento in sede di commissioni, proveremo ulteriormente ad approfondire. Non sono sufficienti gli emendamenti già approvati? Avanti con nuove garanzie. Mi lasci dire che le polemiche mi paiono strumentali».

Il consigliere Andrea Zanoni parla di microalberghi. In verità erano stati ipotizzati non due ma otto posti letto, quindi strutture ampie, non una sola camera di vetro.

«Il testo che verrà sottoposto al voto prevede due posti letto, quindi una singola stanza, di piccola cubatura, la struttura portante in legno, il resto in vetro: ha la funzione di poter godere di una esperienza emozionale, magari ammirando le stelle e la luce».

Un impianto ancorato a terra, quindi con manomissione del sottosuolo?

«No. Verrà solo appoggiato perché in verità è removibile. I servizi di cui dispone sono tutti interni, quindi non interferisce col terreno».

Dove può essere collocata?

«Vicino a malghe o rifugi, dove gli ospiti possono trovare la ristorazione ed altri servizi. Quindi non immaginiamoci chissà quali destinazione. E, attenzione, queste installazioni non andranno in deroga ai vincoli, alla normativa comunale».

La concessione è del sindaco?

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«Sì, è del sindaco, che può autorizzare solo due stanze panoramiche. Ma il sindaco, ovviamente, non potrà procedere a sua discrezione. Dovrà osservare ogni altro vincolo esistente sul territorio. Nel caso di Cortina, ci sono le Regole, c'è il Parco, interviene anche la Fondazione Dolomiti Unesco, non mancano i limiti europei, da Natura 2000 a Sic, ad altri strumenti ancora. Ha il suo ruolo anche la Soprintendenza. E, quanto ai Comuni, il progetto di legge prevede esplicitamente che, "ferma la possibilità di prevedere ulteriori limitazioni anche dimensionali", ci sia il pieno rispetto della legge regionale del 2004 relativa alle Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio».

Ci sono Comuni che non dispongono ancora del Piano di assetto del territorio.

«Pochi, per la verità. Per i Comuni non dotati di Pat si procederà con quanto prevede la legge regionale n. 61 del 1985 sulle "Norme per l'assetto e l'uso del territorio". Quindi dovranno approvare una variante al proprio strumento urbanistico finalizzata alla perimetrazione e alla puntuale disciplina degli ambiti naturali interessati «dalla realizzazione di queste nuove strutture ricettive. Insomma le procedure sono puntualmente blindate».

E' improbabile, quindi, una proliferazione di alberghetti?

«La prego, non chiamiamo piccoli alberghetti. Sono delle soluzioni turistiche che l'operatore turistico o pastorale di alta montagna può richiedere per l'integrazione della propria attività».

Non può succedere che, magari in vista delle Olimpiadi, i cosiddetti ricconi si presentino in Corso Italia e convincano le autorità municipali a concedere questi sfizi?

«Assolutamente no. La richiesta dev'essere avanzata da chi già opera nel sito e vuole ampliare la sua offerta con un'opportunità per il turismo emozionale, esperenziale».

Riserve nei confronti dell'iniziativa arrivano, per la verità, anche dall'interno del suo partito, la Lega, anche dalla maggioranza di centrodestra.

«Forse perché non si è compresa la dimensione, molto ristretta, particolare, dell'opportunità che vogliamo garantire. E mi fa specie che qualche amministratore si chieda se non abbiamo nient'altro a cui pensare. Stiamo portando in provincia di Belluno oltre un miliardo e mezzo di investimenti, al traino delle Olimpiadi. Forse che non è stata la Regione, attraverso il suo presidente Zaia, a lanciare questa prospettiva di rinascimento? Mi chiedo, in verità, se qualcuno proprio non voglia coglierla, questa opportunità. Salvo poi criticare».

Corriere delle Alpi | 8 febbraio 2024

p. 20

Campigotto rilancia «La mia camera è ecosostenibile»

«Ma quale albergo? La mia è una strlight di 12 metri quadrato, un'unica stanza in legno e vetro, appoggiata per terra, priva di sottoservizi che affondano nel terreno». Raniero Campigotto, gestore del Rifugio Col Gallina, il pioniere delle "stanze panoramiche" ha preso il telefono e ha chiamato consiglieri regionali, esponenti del Cai e dell'ambientalismo, per spiegare come quest'iniziativa non abbia nulla a che vedere con l'abuso turistico. «In nemmeno due ore la ‘camera di vetro', realizzata da artigiani veneti, la si smonta e viene portata vita con l'elicottero, per dire quanto ha una massa contenuta. Viene installata poco distante dall'arrivo della seggiovia, quindi vicina al rifugio al quale si appoggia. Inoltre è ecosostenibile. L'energia è data dai pannelli solari». Campigotto non ha ampliato di un metro il rifugio preso in consegna dal Parco nel 1995. All'interno, invece, è riuscito a trovare il modo di portare le camere da 8 posti letto a 33. «Il riscaldamento lo ottengo da una caldaia a biomasse. Io stesso macino gli alberi schiantati che trovo nel bosco. I panelli solari installati nel rifugio mi aiutano a scaldare mille litri d'acqua al giorno, che mi consentono di alimentare una dozzina di docce». «Con questo voglio dire che anche la starlight si muove nella stessa logica di sostenibilità ambientale. Quanto all'impatto, è invisibile da una certa distanza, perché si confonde con il territorio, i colori della roccia, del bosco.

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Gazzettino | 9 febbraio 2024

p.11, edizione Belluno

Corriere del Veneto | 11 febbraio 2024

p. 10, edizione Treviso – Belluno

«Starlight room», le Regole d’Ampezzo vanno all’attacco Il segretario Lorenzi: «Occupazione predatoria e abusiva del territorio»

Ugo Cennamo

cortina d’ampezzo

Un esempio di «atteggiamento predatorio nei confronti del territorio senza rispetto della normativa» nonché il «regno della volgarità». Nel mirino le «Starlight room» e a spendere parole così dure sono rispettivamente Stefano Lorenzi, segretario generale delle «Regole d’Anpezo» e Francesco Accardo, direttore dell’Hotel «Boite» a Borca di Cadore.

Le camere criticate sono stanze in legno, con pareti di vetro, poste soprattutto in montagna ad alta quota che consentono di provare un’esperienza unica: dormire sotto le stelle immersi nella natura e vedere l’alba stando a letto.

L’occasione per giudizi così perentori l’ha offerta il secondo appuntamento della rassegna «Le nuove Dolomiti», organizzata da «Welcome Dolomiti» con l’Hotel «Boite» e il patrocinio del Comune di Borca. Stavolta l’appuntamento era dedicato al tema «Il nuovo lusso».

A scatenare la tempesta sono stati una ricerca e un video promozionale presentati dalla Fondazione «Dmo Dolomiti Bellunesi» e, in particolare, dalla direttrice Valentina Colleselli, ospite chiamata a intervenire e a rispondere alle domande dell’editrice Francesca Cresta e, a seguire, del pubblico.

Valentina Colleselli ha parla di una concezione diversa del lusso rispetto al passato, meno portato all’ostentazione perché «l’unicità ha sostituito l’elitarietà» e a prediligere «luoghi sorprendenti, non abituali, non comuni».

Poi ha citato «la proposta di legge regionale per le “Starlight room” sopra i 2100 metri» e ci si rammarica della mancata presenza dell’assessore regionale al Turismo Federico Caner che si dice favorevole alla creazione di questi ambienti «vicino a rifugi e malghe». Quanto basta per scatenare Francesco Accardo, direttore del «Boite». «Questo è il regno dell’omologazione ha attaccato dal mio hotel passano 30 mila turisti all’anno e nessuno chiede questo tipo di esperienza. Vogliono sciare d’inverno e vedere le Tre Cime di Lavaredo d’estate. Poi le “Starlight”, queste camere calate dall’alto sono il regno della volgarità, non del lusso. Sono l’omologazione, adesso la montagna la si può vedere solo dalle panchine giganti, dalle altalene e da queste volgari Starlight. Parliamo di numeri, parliamo che si deve andare alle fiere e fare contratti». Calato il gelo in sala, più per i modi che per i contenuti condivisi da molti. Pacato, ma ancora più tranchant, il segretario delle Regole d’Anpezo Stefano Lorenzi. «C’è chi porta avanti i temi della sostenibilità, i valori di un turismo lento chiarisce ma trovo poi un atteggiamento predatorio del territorio e si parla di luoghi fuori dal comune. Poi però si torna sempre alle Tre Cime, alle Cinque Torri… mi piaceva l’idea di una Fondazione Dolomiti Bellunesi che uscisse da questo schema. Le Starlight rappresentano al meglio questo atteggiamento predatorio, sono un’occupazione abusiva del territorio, almeno fino a quando non ci sarà una legge per sistemare gli abusi realizzati in questi ultimi anni: luoghi esclusivi dove chi può pagare cifre da capogiro può stare sotto le stelle in sfregio ai proprietari del territorio e alle normative, con strade e accessi abusivi. Questa è la realtà».

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Corriere delle Alpi | 16 febbraio 2024

p. 19

Starlight rooms: il progetto di legge non va in consiglio

BELLUNO

Il Consiglio regionale del 20 febbraio non affronterà il discusso tema delle stanze panoramiche. «Il progetto di legge è sparito dai radar: non risulta infatti inserito all'ordine del giorno delle prossime sedute del consiglio», fa notare Andrea Zanoni, consigliere regionale del Pd, che nelle settimane scorse aveva raccolto ben 3mila firme in calce ad una petizione. «Un dato di fatto che ha il sapore del ripensamento da parte della giunta».

Anche l'assessore Federico Caner, titolare del turismo, in una intervista al nostro giornale si era dichiarato disponibile ad accogliere degli emendamenti. Oltre all'opposizione del centrosinistra, ha pesato sugli orientamenti della maggioranza il no deciso del leghista Marzio Favero, molto vicino al presidente Luca Zaia. Dopo essere passato al vaglio della Consiglio delle autonomie locali e delle Commissioni sesta e seconda, il provvedimento era approdato in aula il 6 febbraio per poi essere subito sospeso per l'assenza per malattia dell'assessore Caner che doveva esprimere il parere della giunta in merito agli emendamenti presentati, di cui 35 a prima firma di Zanoni.

«La petizione online di cui mi sono fatto promotore e che chiede proprio di non proseguire con l'esame del progetto di legge, ha ormai raggiunto 3.072 firme», ricorda l'esponente dem. «Una forte sollecitazione popolare che spero venga ascoltata». Nei giorni scorsi lo stesso Zanoni aveva proposto al capogruppo regionale della Lega Alberto Villanova un confronto pubblico sui provvedimenti della Regione che riguardano la montagna. Ovvero, pista da bob a Cortina, alberghi panoramici in alta quota e uso dei fuoristrada nei sentieri di alta montagna da parte dei cacciatori.

«Gli alberghi panoramici e i fuoristrada in alta quota, se saranno autorizzati, rappresenteranno uno sfregio per le nostre montagne. E la pista da bob comporterà uno spreco di soldi oltre che un aumento del consumo di suolo», conclude.

Fdm

Corriere delle Alpi | 21 febbraio 2024

p. 20

Stanze panoramiche: maxi emendamento per accontentare tutti

BELLUNO

E alla fine – le malelingue dicono per evitare lo strappo interno pure su questo argomento – la Lega arriva a più miti consigli. Fa mezzo passo indietro sulle stanze panoramiche ad alta quota. E, con il capogruppo Alberto Villanova, fa sapere di avere «quasi pronto un maxi emendamento» con firma della giunta regionale. Non se ne conoscono ancora i dettagli, ma già si sa che servirà a rendere il testo più digeribile anche a quella frangia del partito più sensibile ai temi ambientali. Con più attenzione alla sostenibilità e chiarimenti sulla distanza che queste "stanze" dovranno tenere dalle strutture già esistenti.

L'accordo è stato raggiunto ieri mattina, nel corso di un'infuocata riunione di partito. Una sorta di "one woman show": Silvia Rizzotto –strenua sostenitrice delle stanze panoramiche e pure presidente della commissione competente, la Seconda – contro tutti. Volendo dare nomi e volti alle due fazioni, dall'altra parte della Lega si schiera il "filosofo" Marzio Favero, che già in Commissione aveva votato contro il provvedimento del suo stesso partito – quasi un unicum nella storia del Parlamentino veneto, non fosse per quel precedente chiamato "fine vita".

La decisione è stata presa in una riunione interna, quindi, e poi comunicata in sede di Capigruppo. Quest'ultima, convocata al termine di un pesantissimo botta e risposta tra Rizzotto e Andrea Zanoni, il barricadero consigliere dem, che da sempre osteggia il provvedimento, e che in sede di discussione si è ritrovato persino a sollevare la "questione personale", ritenendosi offeso dalle parole della consigliera di maggioranza.

Il capitolo successivo si è consumato nella Capigruppo, dove – dopo un acceso scontro con il presidente Ciambetti, con tema l'ordine del giorno in aula – le colleghe di opposizione Vanessa Camani (Pd) ed Elena Ostanel (Vcv) hanno lamentato la gestione autoritaria della stessa Seconda Commissione, da parte di Rizzotto. La quale, chiamata dal suo capogruppo Villanova su invito di Ciambetti, ha deciso di disertare l'incontro. L'esito ulteriore? Il Consiglio regionale chiuso anzitempo.

Scaramucce da quotidianità politica, certo, che però sono un buon termometro della tensione che continua a stare di casa al FerroFini, sponda Lega.

Almeno, guardando alle stanze panoramiche, il caso dovrebbe essere rientrato. E, dopo i due rinvii consecutivi, la discussione del progetto di legge è finalmente stata calendarizzata per martedì prossimo; presenza dell'assessore Caner, permettendo.

La minoranza ha ottenuto che il testo venga depositato entro le 12.30 di lunedì, così da potere a sua volta proporre delle ulteriori modifiche. «Per me è imprescindibile il fatto che non vengano costruite nuove infrastrutture o strade a servizio delle casette panoramiche» dice Ostanel. Mentre Zanoni spera in un ridimensionamento che elimini qualsiasi rischio ambientale, «in termini di inquinamento luminoso e acustico».

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Ed è lo stesso Villanova ad assicurare: «Ho comunicato all'opposizione la nostra disponibilità a rivalutare le modifiche di buonsenso. E ho chiesto che vengano mantenuti gli emendamenti della minoranza».

Appuntamento in Consiglio per martedì, si dice.

Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

p. 13

Stanze a impatto ridotto Il maxi emendamento che mette d'accordo tutti

il progetto

S tanze panoramiche a non più di 100 metri di distanza dalle strutture già esistenti. Il divieto di costruire nuove strade – tanto, saranno sufficienti quelle già utilizzate per gli edifici "principali". E l'attenzione all'ecocompatibilità dei materiali.

È questo il cuore del maxi emendamento di giunta, che entro le 12.30 di lunedì sarà presentato in sede di Consiglio regionale, in vista del voto del giorno dopo.

Rischiava di essere l'ennesimo dardo all'interno della Lega consiliare. Si è preferito smussare gli spigoli della nuova legge, per mettere d'accordo tutti ed evitare una nuova spaccatura, con ferite ancora aperte, dopo il voto sul fine vita.

«C'è stato un dibattito sereno e alla fine abbiamo trovato la quadra. Voteremo tutti a favore del testo, così ci convince» conferma il leghista Marzio Favero, che in sede di Commissione si era invece espresso contro il vecchio testo, nella sua prima formulazione.

La discussione del pdl era già slittata due volte: la prima, ufficialmente, per indisposizione dell'assessore deputato Federico Caner; la seconda, per approfondire l'argomento. Ma martedì prossimo dovrebbe finalmente essere la volta buona. E il Consiglio regionale si esprimerà sulla proposta di legge, per costruire delle casette panoramiche ad alta quota. Un turismo immersivo – ma, dicono i detrattori, impattante – che per questo non piace per niente alla maggioranza.

La proposta di legge sarà accompagnata dal maxi emendamento di giunta – di cui si conoscerà l'esatto contenuto solo al suo deposito –, ma anche da uno stuolo di proposte di modifica presentate dalla minoranza. «E che verranno mantenute. Ho detto che siamo aperti alle modifiche di buonsenso» assicura Villanova.

Tante provengono dal consigliere del Partito Democratico Andrea Zanoni, che aveva chiesto una revisione sul piano dell'inquinamento luminoso e acustico.

E altre provengono da Elena Ostanel, consigliera regionale del Veneto che vogliamo, che ieri commentava: «Vedremo se la telenovela sulle stanze panoramiche arriverà davvero a termine martedì. E vedremo soprattutto se la giunta vorrà prendere in considerazione gli emendamenti già depositati da tempo per mettere un minimo di correzione a un provvedimento che rischia di deturpare l'alta montagna». Queste le proposte della consigliera, in parte accolte con l'emendamento di giunta: «Non costruire nuove strade o nuove infrastrutture a servizio delle stanze panoramiche, come bagni o impianti; l'obbligo di autorizzazione della soprintendenza o forestale, nel caso di interventi in boschi o foreste; la movibilità delle casette, senza modifiche al suolo o all'ambiente circostante».

E conclude la consigliera: «La giunta propone una visione della montagna-cartolina, invece che investire davvero sulla sua tutela e sui servizi per chi la abita».

Corriere delle Alpi | 28 febbraio 2024

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Stanze di vetro, si parte

Alla fine, le stanze panoramiche s'hanno da fare. Emblema di un turismo montano immersivo, «turismo cartolina» denunciano le minoranze. Totalmente in legno e in vetro, queste strutture potranno essere costruite oltre i 1.600 metri di quota, in deroga alla legge, negli 86 comuni montani del Veneto. Ma con un paio di limitazioni importanti, sulla localizzazione, che hanno fatto trovare convergenze in aula: entro cento metri da rifugi o altre strutture esistenti e servite da una strada.

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Stanze panoramiche c'è l'okay dell'Aula con meno posti letto e maggiori divieti

Laura Berlinghieri

Alla fine, le stanze panoramiche s'hanno da fare. Emblema di un turismo montano immersivo, «turismo cartolina» denunciano le minoranze. Totalmente in legno e in vetro, queste strutture potranno essere costruite oltre i 1.600 metri di quota, in deroga alla legge, negli 86 comuni montani del Veneto. Per dare l'impressione ai turisti di essere realmente immersi nella natura circostante: tutta intorno, appena oltre il vetro. Il via libera è arrivato ieri pomeriggio in Consiglio regionale: 35 voti a favore e 9 contrari. E le notizie sono due. La prima è che la maggioranza si è ricompattata: in sede di prime riunioni di Sesta Commissione, il leghista Marzio Favero aveva fatto

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sapere che avrebbe votato contro il progetto di legge. La seconda è che, per ricompattarsi, sono state necessarie tre settimane di riunioni, suggellate da un maxi emendamento di giunta, e pure dal recepimento di alcune richieste di modifica avanzate dai consiglieri di minoranza. E ricucire non era una facoltà, in un Consiglio regionale che non più di due mesi fa si è spaccato sul fine vita. Quello che ne è uscito ieri è un progetto di legge decisamente meno impattante, rispetto a quello che era stato presentato in un primo momento. «Si è passati dall'ipotesi iniziale di quattro stanze di lusso, per un totale di otto posti letto, a un massimo di due camere, che devono servire anche per attività didattiche e di osservazione» dice Favero. «È un provvedimento che riconsegna alle nuove generazioni la possibilità di vedere il cielo e ammirare la Via Lattea». Mentre per Andrea Zanoni, più che punti di osservazione di un manto incontaminato, le stanze panoramiche rischiano comunque di trasformarsi «in luoghi dall'elevato impatto ambientale, mete di ragazzotti arricchiti, che vogliono solo fare festa». Anche ieri la discussione è stata accesa, con protagonisti soprattutto i dem e i Fratelli d'Italia, accusati di non avere partecipato alle riunioni della Sesta Commissione, dove sono stati discussi gli emendamenti. «Ma se c'era Lucas Pavanetto...» replica Enoch Soranzo. Gli emendamenti, in ogni caso, sono stati approvati, e hanno pure una certa importanza. Le stanze potranno essere al massimo due per comune, con non più di due posti letto per stanza. Dovranno essere realizzate in «vetro e legno o altro materiale, anche innovativo, ecosostenibile o comunque di basso impatto». Saranno collocate stabilmente sul suolo, ma dovranno essere «facilmente rimovibili». Potranno essere collocate sopra i 1.600 metri, in deroga ai limiti di edificabilità posti dalla legge urbanistica, purché non distino più di 100 metri in linea d'aria da una stazione di impianto a fune o da una struttura ricettiva esistente, compresi rifugi alpini, bivacchi e malghe, raggiungibili tramite la viabilità già esistente. E poi – su proposta delle opposizioni, recepita dall'aula – le strutture dovranno estendersi su un unico piano, viene introdotto il divieto di abbattere alberi e piante per la loro realizzazione e l'informativa annuale sulle strutture autorizzate. Non sono stati accolti, invece, gli emendamenti che intendevano limitare superficie e altezza delle strutture panoramiche, vietarne la collocazione nelle aree protette e nei parchi regionali e nazionali, e normarne in modo stringente l'impatto luminoso, acustico, ambientale e su fauna e avifauna. Via libera, dunque. «Saranno le amministrazioni degli 86 Comuni ad autorizzare le nuove strutture, in deroga alla normativa urbanistica» fa presente la leghista Silvia Cestaro, relatrice del progetto, «Per loro, è un'opportunità, con un impatto ambientale minimo». Ma le opposizioni non sono d'accordo. Con la chiosa della correlatrice Elena Ostanel (Vcv): «Con questa legge il Veneto sarà l'unica regione a derogare al limite dei 1.600 metri previsto dal Codice nazionale di tutela del paesaggio. Proprio il Veneto, che non ha un piano paesaggistico».

Corriere delle Alpi | 28 febbraio 2024

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Caner: «Sono strutture amovibili Completano l'offerta turistica»

«L'approvazione in Consiglio del progetto di legge regionale sulle stanze panoramiche temporanee completa l'offerta turistica in alta quota, nel pieno rispetto delle montagne, del piano paesaggistico e dell'ambiente». Lo afferma in una nota l'assessore al Turismo del Veneto, Federico Caner. «Questi piccoli manufatti sostenibili ed ecologici, amovibili e green - prosegue Caner - consentiranno di fruire il territorio in maniera diversa, completando l'offerta turistica esperienziale. Non si tratta di lusso in alta quota, ma di una esperienza unica, sostenibile e accessibile, tra le nostre cime venete. Questa modifica introduce innovazione nelle nostre destinazioni montane, che potranno offrire quello che già può essere vissuto in altri luoghi in alta quota, in Italia e all'estero. Non vogliamo essere secondi a nessuno, e senza imporre nulla alle destinazioni crediamo che le stanze panoramiche siano una opportunità di crescita e valorizzazione del turismo slow, sostenibile, ma soprattutto inclusivo, anche in prospettiva dei Giochi Olimpici e Paralimpici di Milano Cortina 2026».

Corriere delle Alpi | 28 febbraio 2024

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Campigotto esulta da Col Gallina «Offriamo turismo esperienziale»

Le reazioni

Via libera, dunque, alle stanze panoramiche. Dal rifugio Col Gallina, il gestore Remigio Campigotto tira un profondo sospiro di sollievo. È stato lui, due anni fa, a brevettare le camere di vetro – removibili – da collocare sotto il cielo stellato. «Sono soddisfatto che il progetto sia stato capito, anche nei suoi aspetti di piena sostenibilità. Il mio intento non era promuovere un turismo elitario, di serie A, a vantaggio solo dei "ricconi". Più semplicemente mi ripromettevo, e mi riprometto, di offrire nuove opportunità di un turismo emozionale, esperienziale».

Tanti e severi i limiti posti. La palla rimbalza dalla Regione ai sindaci. «Comprendiamo che l'offerta turistica si deve evolvere, anche verso nuovi stili. E questa delle "stanze panoramiche" è una versione interessante. Anzi, lo sarà in misura tale», prevede il sindaco di

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Cortina, Gianluca Lorenzi, «che avremo numerose richieste. Non solo dai rifugisti, ma anche dagli impiantisti, dalle malghe e da altri esercizi. Quindi, disponendo un Comune di solo due concessioni, servirà un bando, con il rischio di scontentare qualcuno»

Ogni sede di arrivo di funivia, di seggiovia, di altro impianto, dunque, sarà dotato di una starlight room? «Non è detto», risponde Marco Grigoletto, presidente degli impiantisti Anef. «Le nostre società sono sì attrezzate per gestire attività di ristoro, ma non la ricettività, soprattutto di notte. Poi, è vero, ci si potrà evolvere nell'offerta. Giustamente la Regione ha posto dei limiti, molto severi, da rispettare. Sia nel numero sia nella compatibilità ambientale».

A suo tempo il sindaco di Livinallongo, Leandro Grones, era stato severo nell'esprimere le sue riserve: «Rilancio le mie riserve, anche se ho constatato che sono stati introdotti precisi limiti». Grones anticipa che «il Comune sarà puntualissimo nel fissare il rispetto delle norme, anzitutto quello ambientali». Anzi, aggiunge, «non so veramente dove potranno essere autorizzate le camere di vetro con tutti i vincoli paesaggistici che ci sono». Fdm

FLUSSI E GESTIONE DEI FLUSSI

Corriere dell’Alto Adige | 15 febbraio 2024

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Turismo, un’impennata continua. L’anno scorso otto milioni di arrivi

Carmelo Salvo

BOLZANO

Dicembre da record per il turismo altoatesino con 723.103 arrivi (+5,7% rispetto a dicembre 2022) e 2.540.407 presenze (+4,8%). I numeri, anche se provvisori, sono stati forniti dall’Astat (l’istituto provinciale di statistica), che certifica nel 49,2% la quota degli italiani: in testa Lombardia, Veneto e Emilia Romagna.

L’ultimo mese dello scorso anno conferma come tutto il 2023 sia stato positivo: otto milioni e 421 mila e 89 arrivi (7.941.298 nel 2022) e 36 milioni e 90 mila e 778 presenze (34.409.397 nel 2022). Soddisfatto il presidente dell’Unione albergatori Manfred Pinzger. «Nessun problema dice per overtourism e qualità dei servizi». Ma per Martin Huber dell’Associazione turistica della val Pusteria «non bisogna costruire più alberghi se non nei piccoli Comuni). E il presidente del Cai, Carlo Alberto Zanella, lancia l’allarme: «Rischiamo di implodere».

Continua insomma a macinare numeri su numeri positivi il turismo dell’Alto Adige, che in 13 anni, dal 1990 (3.605.904) al 2023 ( 8.421.08), è cresciuto di ben quattro milioni e 815 mila e 172 arrivi e di 12 milioni e 923 mila e 632 presenze: erano 23.167.146 nel 1993 contro i 36.090.778 dello scorso anno. La fotografia di questo boom fornita dall’istituto provinciale di statistica racconta come da «premiare» pur con dati ancora provvisori sia anche l’ultimo mese rilevato, quello di dicembre 2023 : sono stati registrati 723 mila e 103 arrivi (+5,7% rispetto a dicembre 2022) e due milioni e 540 mila e 407 presenze (+4,8%). La quota più consistente si registra dall’Italia, con il 49,2% di ospiti (417.278 arrivi e 1.248.624 presenze): al primo posto la Lombardia con 100.198 arrivi e 289.149 presenze, seguita dal Veneto (77.535 arrivi e 209.815 presenze) e dall’Emilia Romagna (56.274 arrivi e 162.355 presenze). L’Italia a dicembre, così come a gennaio e ad agosto, ha superato la Germania che, invece, si aggiudica i restanti otto mesi dell’anno. In sostanziale pareggio quello di novembre.

Nella comunità comprensoriale della val Pusteria si registrano un milione e 43 mila e 766 presenze, in pratica quasi la metà dell’intera provincia, che ha altri sette comprensori.

«I numeri di dicembre spiega Manfred Pinzger, presidente dell’Hgv (l’Unione albergatori e pubblici esercizi) sono positivi sia per la presenza di neve che per i mercati. Siamo all’altezza di questa crescita e le nostre strutture continuano a essere di grande qualità». Ma tra gli operatori del settore non tutti predicano ottimismo. Tra questi Martin Huber, presidente del comprensorio della val Pusteria. «Basta costruire alberghi dove il territorio è saturo sottolinea Bisogna farlo nei piccoli Comuni, dove ancora il turismo non è cresciuto così tanto. C’è malcontento tra la popolazione e la causa è soprattutto chi affitta le case ai turisti. Serve un’ulteriore stretta, ma anche una maggiore tutela per i proprietari per evitare che gli inquilini morosi rimangano negli appartamenti».

Chi invece è davvero preoccupato è il presidente altoatesino del Club alpino italiano, Carlo Alberto Zanella. «Rischiamo davvero di implodere rimarca Ci sono problemi di sovraffollamento e molti turisti esprimono malcontento. Siamo a un punto per cui non riusciremo più ad accogliere bene e in molti preferiranno altre mete, come ho già notato parlando con delle persone in provincia di Belluno. Io non sono contro il turismo, ma sono per valorizzare le nostre bellezze e non per un Alto Adige meta solo perché fa moda». Zanella teme, poi, che questa spinta alla crescita del settore turistico si traduca in una «maggiore richiesta di costruire alberghi e ampliare il numero di camere».

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COLLEGAMENTO COMELICO – PUSTERIA

Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

p. 33

«Necessario più entusiasmo attorno al collegamento»

Stefano Vietina

comelico superiore

L'iter delle procedure per il collegamento turistico e sciistico fra Comelico e Pusteria sta andando avanti regolarmente, secondo i tempi previsti, ma è ora che tutti si mettano in moto affinché il progetto possa essere finalmente attuato.

«Mi sembra di vedere troppo lassismo, troppa attesa, un po' di indifferenza, qualche scetticismo», spiega il sindaco di Comelico Superiore, Marco Staunovo Polacco, «come se, per mettersi in moto, per investire, i miei concittadini aspettassero il taglio del primo albero o la posa della prima pietra. Non è così. Noi stiamo correndo per avere tutte le carte a posto, ma ciascuno di noi poi deve fare la sua parte in modo che, per i nostri paesi, questa sia una vera ed unica occasione di sviluppo. È il classico treno che passa una sola volta, questo del collegamento: farsi trovare impreparati sarebbe un vero delitto».

Eliminare i dubbi

Così per rispondere alle domande ancora inespresse, per ragguagliare i più dubbiosi, per motivare gli scettici, ieri sera il sindaco ha aperto le porte della sala consiliare.

«Non una vera riunione pubblica», ha spiegato, «perché di novità vere e proprie non ce ne sono. Mi sono piuttosto messo a disposizione solo per smentire alcune dicerie e per rispondere alle domande, in primis, dei componenti del comitato Sì al collegamento che tanto hanno fatto in questi anni per portare avanti la nostra causa comune e dai quali mi aspetto proprio adesso, nel momento decisivo, un apporto ancora più convinto e determinato».

Un anno fa

Ma a che punto siamo dal via libera della Soprintendenza annunciato all'inizio dello scorso anno? Fu proprio il sindaco Marco Staunovo Polacco a comunicare che il 27 gennaio 2023 era pervenuto al Comune «il parere favorevole, con prescrizioni, della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio di Venezia, sul progetto Stacco, ovvero di strategia per l'accessibilità del sito Unesco e per uno sviluppo equilibrato del Comelico. Un Progetto integrato per lo sviluppo turistico, culturale e socio-economico della Val Comelico». Come a dire, che non si tratta solo di un paio di impianti di risalita e di un paio di nuove piste nel comprensorio, ma di un «progetto costruito integrando ambiente, cultura, storia, sviluppo con una visione verso il futuro, inserendo anche elementi di studio riferibili alle peculiarità del sito Dolomiti Unesco e alla neutralizzazione delle emissioni di carbonio».

In attesa della Via

La richiesta di parere era stata trasmessa a metà dicembre 2022, dopo oltre un anno di lavoro per la rielaborazione del progetto in base a quanto emerso durante gli incontri a Roma alla Direzione paesaggio del ministero, durante la fase finale della procedura di Vas (Valutazione ambientale strategica) e da ultimo in base alle intense interlocuzioni con la struttura ministeriale di Venezia, «che ha contribuito a migliorare significativamente la proposta», dice il sindaco, «facendolo diventare un progetto pilota».

«Il parere positivo», commenta, «era soggetto appunto a prescrizioni da ottemperare prima dell'avvio vero e proprio del cantiere. Ed è su questo che stiamo lavorando così da poter avere la necessaria Valutazione di impatto ambientale dalla relativa commissione regionale».

Gli impianti di risalita

All'interno del progetto si sviluppano in maniera integrata gli impianti di risalita in quota, le piste per la pratica dello sci alpino, la riqualificazione delle opere del Vallo Alpino, la messa in rete di tutti i luoghi di conservazione storico-culturale della Val Comelico, da Comelico Superiore a San Pietro, passando per Danta, San Nicolò e Santo Stefano, la razionalizzare degli accessi in quota, soprattutto nell'area Unesco ed altro ancora.

«Stiamo lavorando alacremente», conclude Staunovo Polacco, «in questa fase operativa del progetto, finalizzata a raggiungere l'obiettivo della attivazione di tutte le sue misure in maniera coordinata. Ed è per questo che mi aspetto che tutti i miei concittadini, come pure i residenti degli altri Comuni del Comelico, siano esercenti commerciali, albergatori, operatori economici, professionisti, artigiani, singoli cittadini facciano ciascuno la loro parte, così da essere pronti e poter sviluppare tutte le potenzialità del collegamento. Insomma, se fino ad oggi si doveva lavorare 8 ore al giorno in questa direzione, adesso se ne dovranno lavorare 12, perché il successo del collegamento non piove dal cielo, ma sarà il risultato di un lavoro comune e dobbiamo essere pronti, dare il meglio di noi e sentirci tutti responsabili della sua buona riuscita».

Corriere delle Alpi | 22 febbraio 2024

p. 33

«Un progetto indispensabile per il rilancio»

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Il progetto è fortemente voluta dalla popolazione, che in massa era scesa in piazza, e ovviamente anche dall'amministrazione comunale e dall'imprenditore altoatesino Franz Senfter, presidente della Tre Cime Dolomiti/Drei Zinnen Dolomites, che gestisce gli impianti sciistici di San Candido, Monte Elmo, Croda Rossa, Signaue e Padola, in Comelico Superiore. Senfter è convinto che il nuovo collegamento garantirà benefici per il turismo in ambedue le vallate. Un progetto, però ostacolato per anni dagli ambientalisti, in quando le piste e gli impianti lambiscono l'area di protezione Unesco. Ed ecco il motivo per cui la telecabina non arriverà sul monte Colesei, dove inizialmente previsto, ma ad una quota più bassa, verso il passo Monte Croce Comelico, collegato con un semplice impianto di risalita. Anche la pista di rientro verso la Valgrande e, quindi, Padola, sarà tale da recare il minor danno ambientale possibile. Paola Perini, ristoratrice, anima del fronte pro collegamento, alla vigila dell'incontro di ieri non tratteneva la sua soddisfazione: la speranza è quella dell'avvio del cantiere già quest'anno. «Il collegamento è indispensabile per un definitivo rilancio turistico della valle», spiega Davide Zandonella Necca, referente di Confcommercio, «che passa però, come sostengono gli ambientalisti, anche per un incremento del cicloturismo, dell'escursionismo, della valorizzazione culturale del nostro vasto patrimonio identitario. E, se mi è permesso, anche della rigenerazione delle Terme». Daniele Zandonella è albergatore a Dosoledo e condivide la necessità del nuovo investimento. «Sono sicuro», dice, «che il progetto, elaborato per tanti anni, non porterà nessun attacco all'ambiente». (fdm)

UNA NUOVA CARTA GEOLOGICA: IL FOGLIO LONGARONE

Corriere delle Alpi | 11 febbraio 2024

p. 25

Da Longarone fino ad Agordo la geologia ha una nuova carta

Gianni Santomaso / AGORDO

È stata l'aula magna Antonio Favretti dell'Istituto Follador a tenere ieri a battesimo il "foglio numero 046 Longarone", una carta geologica 1:50000 frutto di vent'anni di lavoro che diventerà la base per ulteriori indagini e uno strumento per la prevenzione. La presentazione è avvenuta al convegno organizzato dal Servizio geologico e attività estrattive della direzione difesa del suolo e della costa della Regione.

Un evento che ha visto la partecipazione di oltre cento geologi, sia professori universitari che liberi professionisti. I saluti sono stati portati dall'assessore regionale Gianpaolo Bottacin (che ha ricordato i danni portati al territorio sia da Vaia che da altri eventi meteorologici avversi pre e post Vaia), da Maria Siclari direttrice generale dell'Ispra (che ha spiegato l'attività dell'istituto), dal sindaco di Agordo, Roberto Chissalè, e dalla dirigente scolastica del Follador, Antonella Pacieri, onorata di ospitare un convegno così importante.

L'intervento centrale è stato quello di Piero Gianolla, del dipartimento di fisica e scienze della terra dell'Università di Ferrara, che ha presentato il "foglio Longarone". Gianolla ha evidenziato come il lavoro, durato circa vent'anni, sia stato complicato sia per il fatto che le squadre dei rilevatori sono cambiate nel corso del tempo, sia perché il territorio esaminato, che riguarda una bella fetta della provincia da Longarone ad Agordo, presenta una serie stratigrafica molto complessa che comprende da rocce molto antiche ad altre più recenti. La carta (una delle poche di questo genere in Veneto) va dunque ad arricchire la cartografia geologica italiana offrendo ai professionisti una serie di informazioni da cui partire per approfondimenti.

Il focus ieri è stato incentrato sull'Agordino, considerata un'area molto complessa da un punto di vista geologico, stratigrafico e sismico. Il convegno è stato però l'occasione anche per una serie di altri significatici interventi.

Adriano Zanferrari (Università di Udine) ha parlato del basamento metamorfico agordino, l'unico nelle Alpi dove sono stati ritrovati dei fossili: sia quelli trovati all'inizio degli anni ‘80 da lui e dalla sua equipe, sia quelli (coralli e graptoliti) rinvenuti dal geologo Danilo Giordano (insegnante al Follador) nel 2000, importantissimi per la datazione delle rocce.

Maria Teresa Lettieri del dipartimento per il servizio geologico d'Italia dell'Ispra e Giulio Fattoretto del servizio geologico regionale hanno parlato della cartografia geologica in Italia e in particolare del progetto Carg, Marcello Caggiati e Alberto Riva (Università di Ferrara) si sono soffermati rispettivamente sulla stratigrafia e sulla tettonica e geomorfologia dei depositi, Gianluca Piccin di Dolomiti Project sull'evoluzione quaternaria e frane, Bruno Monopoli di Land Technology&Services sui dati geologici.

Infine, Giorgio Giacchetti, presidente dell'ordine dei geologi del Veneto e perito minerario, ha parlato del concetto di rischio e della sua accettazione, sostenendo che se non esiste un rischio zero dal punto di vista pratico, non esiste neppure dal punto di vista normativo.

DIGA DEL VANOI: GLI AGGIORNAMENTI

Corriere delle Alpi | 5 febbraio 2024

p. 21

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«Tunnel e due ponti per erigere la diga» Tollardo fa luce sul piano per il Vanoi

LAMON

La pur capace sala del Centro Amo di Lamon non è riuscita a contenere tutti coloro che volevano assistere alla prima iniziativa pubblica sulla questione della diga dal Vanoi. È stato necessario aprire anche la seconda sala per accogliere in totale duecento persone. "Vanoi, il perché di un no", il titolo dell'incontro organizzato dal Pd bellunese, con una presenza importante anche del partito democratico del Trentino.

Dopo i saluti del sindaco di Lamon Loris Maccagnan e del sindaco di Canal San Bovo Bortolo Rattin e dopo gli interventi del segretario provinciale del Pd Alessandro Del Bianco e del membro della segreteria del Pd trentino Antonio Zanetel, è toccato al geologo Alfonso Tollardo spiegare come è fatta la valle del Vanoi dove si vorrebbe costruire la diga e quali conseguenze ci saranno anche solo per la costituzione del cantiere. E qui sono emersi dei dati finora poco noti.

«Sarà una diga massiccia, per la quale saranno utilizzati 250mila metri cubi di calcestruzzo: alta 116 metri, cioè più di tre volte quella di Ponte Serra. Sarà imponente anche il cantiere per realizzarla. Sulla sponda sinistra del Vanoi, quindi in territorio trentino, verranno realizzati un ponte di 200 metri e una galleria lunga 700 metri sotto il monte Totoga per arrivare alla spalla sinistra della diga e poter lavorare. Sulla sponda destra, cioè quella lamonese, sotto l'abitato dei Bellotti, verrà fatto un ponte stradale al posto della attuale passerella pedonale. Saranno poi costruiti dei terrazzamenti alti 20-30 metri e lunghi duecento dove ci sarà il cantiere: una vera devastazione».

Il geologo ha anche illustrato lo stato delle pareti di roccia e di terra che sovrastano il futuro bacino. «Ci sono molti dissesti e ci sono state alcune frane, la più grossa di 25.000 metri cubi. È indispensabile realizzare uno studio di compatibilità sui versanti della valle che è non facile da fare, è complesso, faticoso e costoso. Non si tratta solo di costruire la diga in un luogo sicuro ma di avere sponde sicure».

Tollardo non è però d'accordo su chi paragona il Vanoi con il Vajont: ci sono misure totalmente diverse, sia come quantità d'acqua contenuta, 33 milioni di metri cubi al Vanoi e 150 milioni di metri cubi al Vajont, che come grandezza delle possibili frane. Ma i distacchi potrebbe provocare comunque qualche problema alla diga.

In merito alle dimensioni del cantiere, il consigliere regionale Andrea Zanoni ha calcolato, mentre ascoltava la relazione di Tollardo, che per portare il calcestruzzo necessario, servirebbero 20mila camion.

Da remoto è intervenuto Cesare Lasen, esperto di natura, che ha puntato soprattutto sui temi etici, sulla biodiversità di quell'area è ricca, e sulle ricadute sociali in un territorio «che ha già dato moltissimo».

Anche Arturo Lorenzoni, docente di economia dell'energia a Padova e consigliere regionale, è intervenuto via web per presentare una delle tante alternative che ci sono per aumentare l'accumulo idrico, le aree di infiltrazione forestale: tecniche semplici, che fanno la cosa più logica, alimentare le falde sotterranee. «Possiamo spendere un centesimo rispetto alla costruzione della diga e ottenere lo stesso risultato».

I temi più politici sono stati posti dalle parlamentari Rachele Scarpa e Sara Ferrari e dal consigliere regionale Andrea Zanoni. Sia a livello ministeriale che a livello regionale sono state presentate delle interrogazioni, che non hanno ottenuto risposta e sono stati anche dati suggerimenti e indicazioni su come risparmiare acqua con sistemi meno impattanti e meno costosi. In apertura di incontro Del Bianco ha letto alcuni passaggi di uno degli studi di fattibilità, sono ben sei, fatti in merito alla diga del Vanoi. In uno di essi si elencano i benefici per Bassano e la pianura padovana, e si ammette che gli unici effetti negativi saranno a carico dei comuni di montagna dove la diga dovrebbe essere costruita.

L’Adige | 7 febbraio 2024

p. 29

La Provincia dice "no" alla diga

Andrea Orsolin

CANAL SAN BOVO

Una pronuncia forte, decisa, che prova a mettere a tacere le velleità dei "vicini" veneti, e a rassicurare le persone che vedono l'opera come grande fonte di timore. A Trento nel primo pomeriggio di ieri il consiglio provinciale ha espresso con chiarezza la contrarietà alla costruzione della diga del Vanoi, l'opera che la Regione Veneto vuole costruire in val Cortella, sbarrandola con un muro alto 116 metri (nel territorio bellunese di Lamon) che andrebbe a formare un enorme bacino d'acqua (sul territorio di Canal San Bovo e Cinte Tesino) da 33 milioni di metri cubi di acqua.L'approvazione della mozione presentata dal Pd, con il consigliere Alessio Manica primo firmatario, assume ancora più vigore considerato che è stata votata all'unanimità: tutti i consiglieri presenti ieri in aula, di ogni fazione politica, sono cioè convinti che costruire la diga sia una decisione sbagliata. Un chiaro segnale alla Regione Veneto e alle necessità irrigue della pianura : «No pasarán!».La mozione è stata approvata nella forma emendata concordata con l'assessora Giulia Zanotelli. L'impegno è a confermare, in tutte le sedi, le rilevanti criticità sotto l'aspetto ambientale, geologico, paesaggistico, idraulico ed energetico del progetto dell'invaso, con l'obiettivo di individuare soluzioni diverse al fabbisogno idrico ed irriguo cui il progetto vorrebbe sopperire.«Abbiamo confermato la posizione della giunta provinciale, già espressa nella scorsa legislatura, mettendo in atto tutto quello che era nelle nostre possibilità, consapevoli delle criticità che un'opera del genere porterebbe sul territorio - ha detto l'assessora

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Zanotelli - Ci siamo rivolti all'autorità di bacino. Abbiamo chiesto al ministero di Roma di poter accedere agli atti del progetto, ma ci hanno respinto».Zanotelli ha poi dato la disponibilità a mettere in campo la progettualità degli istituti di ricerca trentini rispetto ad impianti di efficientamento nell'utilizzo dell'acqua a beneficio dei veneti.Soddisfazione emerge dal gruppo consiliare del Pd. «Viene ribadita l'incompatibilità del progetto, con il quadro territoriale e normativo statutari, ed esplicitata la volontà di procedere con atti formali nelle deputate sedi. Siamo convinti che l'avvio della progettazione dello sbarramento da parte della Regione Veneto ed il suo prosieguo rappresentano una sfida alle prerogative dell'Autonomia che nei propri strumenti di governo del territorio ha da tempo recepito la non realizzabilità di questo intervento. Prerogative che, come gruppo consiliare, difenderemo sempre. E con questo atto il Consiglio si mette a fianco dei comuni e dei cittadini che si stanno mobilitando contro il progetto».

NOTIZIE DAI RIFUGI

Corriere delle Alpi | 12 febbraio 2024

p. 14

Rifugisti a caccia di stagionali estivi «C'è concorrenza È sempre più dura»

Francesco Dal Mas / BELLUNO

La grande paura: della concorrenza del mare. Mancano ancora due mesi dalla conclusione della stagione sciistica, e albergatori, ristoratori, società degli impianti a fune e i gestori dei rifugi in particolare temono di non trovare personale. Gli operatori dei litorali, infatti, sono già alla caccia di bagnini, magari da formare, e di collaboratori nella ricettività e nella ristorazione.

«Per l'estate, in montagna, si fatica più che d'inverno a reperire gli stagionali, che preferiscono la stagione marina perché più remunerativa, non fosse altro perché è più lunga», conferma Walter De Cassan, presidente provinciale di Federalberghi. «Di solito li cerchiamo tra fine febbraio e marzo, ma quest'anno dobbiamo anticipare il reperimento. Anche perché avremo un'estate ulteriormente in espansione, e quindi dovremmo contare su più personale».

Sono circa 3 mila i prestatori d'opera stagionale in provincia. Molti sono fidelizzati, soprattutto coloro che possono contare su periodi di assunzione più lunghi. Ma una quota di 600 di loro pone sempre in fibrillazione i settori caratterizzati da maggiore flessibilità. Per cui gli operatori turistici sono costretti a ricorrere anche ai "flussi" governativi di extracomunitari.

È stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il decreto ministeriale del 19 gennaio scorso con la programmazione dei Flussi d'ingresso legale in Italia dei lavoratori non comunitari per il triennio 2023-2025. Il decreto serve per prorogare le date dei cosiddetti "click day", ovvero i giorni in cui presentare delle richieste di nulla osta all'ingresso. Le precedenti date erano state fissate per il 5, 7 e 12 febbraio e il Dpcm le sposta invece alle 9 del 18, 21 e 25 marzo 2024.

«Proprio qualche istante fa ho riscontrato il supplemento di richieste che ci ha concesso il Governo sul 2023. È di appena 2 unità? Non so se è da ridere o da piangere», commenta il presidente De Cassan. Ed ecco che a muoversi sono anche i gestori dei rifugi alpini. Ce ne sono più di 100 sulla montagna veneta, 35 appartengono al Cai. «I nostri gestori dispongono solidamente di personale fidelizzato», ammette Renato Frigo, presidente regionale del Cai. «Ma avvertendo anche noi qualche problema, ci siamo premurati di organizzare dei corsi di formazione: in particolare di preparazione alla specifica accoglienza di cui bisogna essere capaci quando si è in quota».

Tema, questo, da portare avanti con le università, suscitando l'interesse degli studenti per un'attività tipicamente stagionale. Il fatto è che dall'inizio dell'anno, anche i più noti rifugi delle Dolomiti, dal Locatelli all'Auronzo, stanno cercando personale: da giugno in avanti. E lo fanno con sei mesi di anticipo. «Cerchiamo cuochi, persone che aiutino in cucina o che facciano i camerieri e diano una mano in sala», sintetizza Mario Fiorentini, gestore del rifugio Città di Fiume e presidente regionale dell'Associazione Rifugisti, Agrav. «Le difficoltà non sono rappresentate dai carichi di lavoro, ma solitamente dalla location, che è quasi sempre un luogo straordinario, ma richiede il più delle volte la stabilità residenziale. Quando si ha il giorno di riposo, infatti, difficilmente si riesce a raggiungere casa, magari per i lunghi percorsi a piedi». Senza contare che in taluni casi ci sono difficoltà anche di sistemazione logistica: convivere nella stessa stanza giovani e adulti, infatti, è un problema. «Lavorare in un rifugio», insiste Fiorentini, «è un'esperienza appagante, indimenticabile, ma impegnativa, perché si svolge lontano dalle comodità quotidiane».

Tra l'altro, si parla sempre più spesso di destagionalità turistica. Ma trovare personale che salga in rifugio nei fine settimana autunnali è davvero un problema. Si potrebbero aumentare gli stipendi? L'incertezza del reddito derivante dall'incertezza della stagione (si pensi solo al meteo) non permetterebbe di andare oltre i vincoli contrattuali. In ogni caso, secondo il presidente di Agrav, la stessa contrattualistica va aggiornata alle esigenze richieste dalla maggiore flessibilità.

Gli stagionali operano anche in altri settori, ad esempio nelle aziende di impianti a fune. «Per quanto riguarda l'impiantistica disponiamo di personale specializzato, spesso dipendente, o comunque in stagionalità consolidata, che ritroviamo puntuale agli appuntamenti», conferma Marco Grigoletto, presidente regionale Anef. «D'estate, in ogni caso, abbiamo necessità ridotte rispetto all'inverno. Invece il problema si pone per i nostri rifugi, come per gli altri».

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L’Adige | 15 febbraio 2024

p. 26

Frana sopra la strada [che conduce al Rifugio Croz dell’Altissimo]

Angelo Zambotti

MOLVENO

La mattinata di ieri a Molveno è stata caratterizzata da un'ingente frana che si è fermata poco sopra la strada che dal lago e dalla zona sportiva sale verso la Baita Ciclamino, a poco più di un chilometro dal centro abitato. Stando al boato risuonato sull'Altopiano e alla nube di fumo alzatasi in zona, si può senza dubbio affermare che in fondo è andata bene, in quanto non sono state coinvolti persone o mezzi: certo, il percorso è particolarmente battuto soprattutto nei mesi più caldi, ma visto il timido inverno di quest'anno pure in questo periodo c'è chi si addentra verso la Valle delle Seghe. «La vegetazione presente sopra la strada - spiega il sindaco Matteo Sartori - ha contribuito ad attenuare gli effetti dell'evento, salvando di fatto la strada, che non è stata toccata dai massi». Per ovvi motivi di sicurezza, però, il primo cittadino molvenese ha ben presto emesso un'ordinanza urgente e contingibile per chiudere l'arteria che da località Sant'Antonio porta al rifugio Croz dell'Altissimo. L'area è stata analizzata già nella giornata di ieri da un geologo della Provincia, che ieri ha iniziato le prime valutazioni per capire come mettere in sicurezza la zona. Oggi è in calendario un altro incontro tra l'amministrazione comunale e il Servizio prevenzione rischi della Provincia: la prima cosa da capire è la possibilità di intervenire con la cosiddetta "somma urgenza", pratica che velocizzerebbe il tutto e che garantirebbe al Comune di Molveno gli immediati finanziamenti. «Per noi quella è la principale porta verso il Gruppo del Brenta - sottolinea Sartori - quindi la priorità è fare in modo che il tutto sia messo in sicurezza entro la bella stagione». Non c'è quindi tempo da perdere.

Corriere delle Alpi | 29 febbraio 2024

p. 27

Scarpa-Gurekian, la gestione a Marinello «Il rifugio manterrà la sua identità alpina» il colloquio

Francesco Dal Mas

«Il rifugio deve essere un rifugio. Ho partecipato a vari bandi su tutto l'arco alpino. La nostra prima scrematura è stata quella di scartare i ristoranti in quota. Sono un alpinista e mi piacerebbe che il rifugio mantenesse la sua identità alpina. L'abbiamo scritto nel progetto presentato alla sezione Cai di Agordo».

Si presenta così, nella sua autenticità, Alessandro Marinello, 50 anni, istruttore regionale di alpinismo del Cai di Montecchio Maggiore, che, affiancato dalla compagna Lucia Melison gestirà il rifugio Scarpa – Gurekian ai piedi dell'Agnèr, in Comune di Voltago Agordino.

L'incarico l'ha ricevuto dalla sezione agordina del Cai, proprietaria della struttura. È la prima volta di Marinello sulle Dolomiti bellunesi. «Fino a poco tempo fa», racconta, «ho lavorato in un rifugio, in Val Formazza. Ho diretto vari corsi di alpinismo e ho sempre collaborato all'interno della sezione con le varie attività. Ma il sogno nel cassetto, prima o dopo, era il rifugio. Mi sono preparato anche dal punto di vista di tutti gli attestati che servono perché non basta avere la passione per la montagna. Quindi già da tempo ho iniziato a mettere da parte questo curriculum. L'altro giorno mi si è presentata questa opportunità: di un rifugio in un luogo a me amato con la speranza di riuscire a portare il nostro contributo per la montagna e riuscire a legare bene con la valle, con le persone che hanno fatto già la sua storia».

Marinello racconta di essersi sentito con il gestore precedente: «Voglio portare avanti la sua impostazione a sostegno di una montagna un po' più nascosta, direi quasi segreta delle Dolomiti e quindi va preziosamente custodita. Questa è la nostra idea: cercare di mantenere una montagna di valore, non ci interessa il Locatelli o l'Auronzo, il nostro non sarà un rifugio di massa. Il Gurekian deve mantenere la sua identità, con le sue caratteristiche, deve portare avanti la storia delle persone che l'hanno costruito. La volontà nostra è quella di farci ascoltatori di chi ha portato avanti questo percorso».

L'idea di Marinello è quella di aprire il prima possibile e di chiudere a stagione avanzata, «soprattutto perché c'è un autunno da anni veramente splendido. Voglio dire che di là di quella che può essere la classica stagione invernale e la classica stagione estiva, ci sono le altre due stagioni di mezzo che vanno valorizzate e che trovano ampio spazio per vivere la montagna. Non dico per usare, dico proprio per vivere la montagna».

«Avremo le chiavi il primo di giugno», conferma Marinello, «poi ci sarà un periodo di avvio, però l'idea nostra è quella di ampliare il più possibile il periodo di apertura».

In un'ora e mezza a piedi si raggiunge il rifugio, sotto l'Agner, con la ferrata Stella alpina, piuttosto che con eventuali salite alpinistiche. «Il mio alpinismo è quello classico. È chiaro che questa», afferma il nuovo gestore del rifugio Scarpa - Gurekian, «è una montagna segreta, è una montagna nascosta, non è la Moiazza che conosciamo molto di più, anche perché ha un'accessibilità più facile. Quindi anche la ristorazione, in rifugio avrà un menù tradizionale, un menù da rifugio all'insegna della sobrietà. È nostra intenzione utilizzare come ingredienti prodotti a km zero, e quindi proseguire il percorso che ha iniziato Marco, il gestore precedente».

Il compito di Lucia? Ha fatto un master gestionale sul turismo, è laureata in lingue, quindi ci sarà un'attenzione particolare anche alla cultura. «Vorrei insomma rassicurare», conclude Alessandro Marinello, «che la strada sterrata rimane, non ne facciamo un'autostrada».

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Da parte del Cai di Agordo si fa sapere che le cinque manifestazioni di interesse per la nuova gestione pervenute alla sezione, sono state attentamente valutate dal consiglio direttivo, attraverso i vari curriculum e l'incontro diretto con gli aspiranti gestori. Quindi è stata fatta la scelta.

NOTIZIE DALLE ASSOCIAZIONI ALIPINISTICHE

L’Adige | 10 febbraio 2024

p. 36

«Rifugi, non si può fare solo cassa»

GIULIANO BELTRAMIGIUDICARIE

Due rifugi in cerca di gestori. Evento isolato o segnale d'allarme? «Sono due rifugi che ho nel cuore - confida il presidente della sezione Sat Caré Alto Matteo Motter - perché sono gestiti da due famiglie (Bosetti al Carè Alto, Gallazzini al Mandron, ndr) che hanno dato tanto alla Sat. E poi dobbiamo fermarci a riflettere su un concetto: la montagna sta cambiando, a livello turistico, imprenditoriale e naturalistico. È ora e tempo (l'ho già detto più volte) che ci si sieda attorno ad un tavolo per parlare».Fa una pausa Motter, poi sbotta: «È emblematico un fatto. Lunedì apro il giornale e leggo dei 90 minuti di coda per fare il ponte tibetano sopra Mezzocorona. Se escludiamo i pochissimi che vanno a piedi, è tutta gente che sale con la funivia. È indicativo del modo di avvicinarsi alla montagna oggi. Vuole altri esempi? Escursionisti che dopo due ore di camminata pretendono di farsi la doccia».Perfetto. E i rifugi? «Sono presìdi del territorio: chi li gestisce ha anche i sentieri di accesso da controllare per il soccorso. Se affrontiamo il problema con gli aumenti degli affitti e con i repentini cambi di gestione non andiamo da nessuna parte. Sono aumenti che poi si riflettono su chi va in montagna».Matteo Motter ha il tono morbido, ma la sostanza è dura come il granito. «La Sat - osserva - negli ultimi anni ha investito molto nelle ristrutturazioni, cioè nei muri, ma si è persa la bussola rispetto alle relazioni umane. Ho chiesto espressamente alla presidente una fotografia della situazione. In quell'ambito ci ha comunicato la decisione di andare di cinque anni in cinque anni per la gestione: alla fine del quinquennio, asta. Ci ha pure detto che c'è la coda di aspiranti gestori dei rifugi».Vero? «Sì, per l'amor di Dio, ma sa cosa rischiamo? Che ci sia la corsa di chi scappa dall'asfissia della città senza avere esattamente la dimensione dei problemi che si troverà di fronte. Gestire un rifugio potrà apparire idilliaco, ma spesso è questione di lacrime e sangue. Perché va riconosciuto ai gestori che si è in quota, dove un anno va bene e un anno va male. Intendiamoci, non ho mai visto un rifugista dormire sotto un ponte, ma nemmeno dei miliardari».Il pensiero di Matteo Motter va alla famiglia Gallazzini del Mandron, «quando sono rimasti su nei mesi del lock-down, accollandosi le spese. E l'anno scorso? Con il livello dell'acqua troppo basso la centralina non funzionava, così le spese di gestione sono aumentate».Ciò detto, che fare? I gestori contestano il cambio di comportamento della Sat. Fino ad ora i rifugi godevano di un contratto annuale così articolato: gestione d'estate, custodia d'inverno. Alla fine dell'anno il contratto si rinnovava tacitamente, a meno che una delle due parti non desse disdetta. Se non c'erano lamentele, se il pagamento del canone era regolare, si rinnovava automaticamente. Ora, dopo cinque anni, si va a gara. «Perché?», si chiede Matteo Motter. «Il fatto è che perdiamo il controllo del territorio. Il tetto ci ripara dalla tempesta, ma il consiglio dato da un gestore ci salva la vita».I rifugisti... «Quando se ne andrà Mario Casanova dal Vioz, voglio vedere chi andrà a gestirlo, con i problemi di acqua e con la sofferenza del permafrost. Non sono albergatori: sono custodi». E invita a riflettere con un pizzico di provocazione: «Avreste tolto il rifugio a Bruno Detassis, a Egidio Bonapace? Si parla di cambio generazionale, ma se non dai garanzie di futuro, i giovani vanno».E la Sat? «Non la capisco più: è una sentinella del territorio, ma sta cambiando. Non può fare cassa su chi lavora nei rifugi. Il mondo sta cambiando, ma non per questo dobbiamo smarrire la nostra identità».

EDITORIALI E INTERVISTE

Corriere delle Alpi | 12 febbraio 2024

p. 15

Barmasse: «Lo sci alpino non basta più Il turista chiede esperienze alternative»

L'Intervista

Gianluca De Rosa

Non solo sci. L'alpinista Hervé Barmasse "benedice" la montagna ampezzana, conosciuta e apprezzata in tutto il mondo non più solo come paradiso delle piste, ma anche come località dove l'attività outdoor, sia in inverno che d'estate, offre al turista una gamma sempre più vasta di alternative. Alla luce della ormai cronica carenza di precipitazioni nevose, logica e più stretta conseguenza dei cambiamenti climatici in atto, tutto questo rappresenta una «nuova via da perseguire in ottica futura».

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Proprio da Cortina dove si trova in questi giorni come testimonial degli Ice Days firmati dal noto marchio Scarpa, il 46enne alpinista aostano Hervé Barmasse promuove l'arrampicata su ghiaccio, il cui appeal tra i frequentatori della montagna ad esempio è in vertiginosa ascesa, ma anche lo scialpinismo. Soprattutto, l'occasione è ghiotta per affrontare il tema più caldo del momento (a dispetto delle temperature): le Olimpiadi di Milano-Cortina 2026 con annessa pista da bob Eugenio Monti. Hervé, si parla di nuova fruizione della montagna. Cosa c'è di vero?

«La gente ha voglia di scoprire cose nuove e da parte dei turisti c'è sempre più una propensione a vivere esperienze più autentiche, immersi nella natura. Non dico che si stia abbandonando lo sci su pista, ma in tanti desiderano un'alternativa. Ricordo perfettamente che la scalata su ghiaccio fino a poco tempo fa era vista come una disciplina da fuori di testa, mentre oggi fa parte dell'offerta di molte località delle Alpi. In questi giorni trascorsi a Cortina ho avuto la possibilità di tastare con mano come la gente cerchi negli sport cosiddetti alternativi nuove opportunità di fruizione della montagna. Testimonianza più diretta che anche a Cortina, in quella che storicamente è considerata il paradiso della montagna, qualche cambiamento, non solo climatico, è in atto».

Non solo sci alpino, quindi...

«Non esiste più solo lo sci alpino, ci sono tante altre cose da fare e sperimentare anche quando non splende il sole. Aggiungo, con una visione turistica maggiormente europea. Questo è un dettaglio importante a mio avviso, perché noi italiani siamo abituati, di fronte a condizioni meteorologiche incerte, a fermarci subito, trovando riparo magari all'interno di una baita. I turisti provenienti da altri paesi d'Europa invece si muovono sempre; l'obiettivo per loro è divertirsi garantendosi quotidianamente una bella esperienza outdoor, anche solo una passeggiata sotto la neve rappresenta una valida alternativa».

Da ambasciatore della sostenibilità, quanto pesano le condizioni climatiche in un'ottica di cambiamento della fruibilità della montagna?

«Non siamo ancora pronti a un cambiamento radicale della fruibilità della montagna se non altro perché lo sci alpino domina la scena da più di sessant'anni, rappresentando anche un punto di forza a livello di indotto economico per tutto il paese. Dobbiamo però sforzarci, provare a muovere i primi passi. Ogni cambiamento prevede una fase di transizione, è ora di agire. Ci sarà sempre meno neve e sarà sempre più difficile produrre neve artificiale. Servono alternative. La montagna non si fermerà allo sci alpino, che è e resta importante, la vacanza outdoor è diventata una certezza. Oggi dobbiamo affrontare la crisi climatica, partendo dalla causa, che si chiama impronta carbonica».

Che idea si è fatto delle prossime Olimpiadi invernali, presentate come evento sostenibile? Lo saranno davvero?

«Cortina è al centro della discussione quotidiana per la pista da bob, di cui, questo lo dico tra le righe, non sono a favore. A mio avviso sarebbe servito, da parte delle istituzioni coinvolte nell'organizzazione dell'evento, fare un passo indietro per poter guardare al futuro con rinnovata fiducia, ma questo non è successo ed è un peccato. Sarebbe stato un messaggio forte e chiaro di chi ha a cuore la montagna. Cortina è sempre bellissima, con o senza olimpiadi. Con o senza pista da bob. In realtà la cosa più importante, in questo contesto, è che il territorio da un evento come le prossime olimpiadi possa ritrovarsi infrastrutture che rappresentino un lascito per il territorio e non un fardello. Io per natura sono ottimista, ho fiducia che la comunità di Cortina saprà gestire al meglio l'evento olimpico ma soprattutto il post olimpiadi».

Olimpiadi che nel frattempo hanno portato discussione, a tratti particolarmente accesa, nella comunità locale: c'è un messaggio a suo avviso utile a rasserenare l'ambiente?

«Gli estremismi non vanno mai bene e noi italiani siamo maestri del divisionismo, rinfocolato da un utilizzo a volte sconsiderato dei social che pure rappresentano per tutti una straordinaria opportunità di comunicazione. Il problema sta nel no a prescindere, a cui troppo spesso non fa seguito nessuna proposta concreta. Nel resto del mondo sono sempre più richiesti i mediatori ambientali. Figure professionali che valutano costi, benefici, svantaggi di ogni situazione da cui poi nascono proposte concrete, condivise dalla popolazione e successivamente portate sul tavolo di chi ha potere decisionale. Da noi mancano determinate competenze, non fanno parte del nostro percorso, soprattutto politico. Le soluzioni alternative ci sono ma bisogna discuterne in maniera costruttiva».

Corriere del Veneto | 14 febbraio 2024

p. 5, edizione Treviso – Belluno

Montagne veloci

Contro gli elogi della lentezza, contro la retorica della montagna slow. Quattro cantieri per altrettante sgommate verso il progresso. Sulla Statale 51, nelle Dolomiti, sono cominciati i lavori per le lungamente attese circonvallazioni / bypass / varianti di San Vito, Valle, Tai di Cadore. Si vedono già le sagome delle future gallerie che sottrarranno il passaggio dei tir e degli autoarticolati dalla soglia di casa dei cadorini che hanno la sventura di abitare lungo l’Alemagna. Perché bisogna sempre scriverlo e ricordarlo: se uno si mette in auto a Bressanone e attraversa tutti i novanta chilometri della Val Pusteria e il passo di Cimabanche, le prime case che vede a bordo strada sono quelle di Cortina: tutti i paesi dell’Alto Adige sono risparmiati dal traffico veicolare, da decenni, da altrettante tangenziali. Ora con la prospettiva delle Olimpiadi il ritmo accelera. A San Vito i lavori sono per una bretella in trincea, che correrà lungo il Boite, sotto il paese. A Valle e Tai due tunnel stradali salteranno i centri abitati. E infine c’è il cantiere di Longarone, del quale si sta completando la conferenza dei servizi e che dovrebbe partire a fine anno, con la futura variante di 11 km che farà un po’ da completamento o da sostituta a quello che tanti anni fa avrebbe dovuto essere il prolungamento della A27, lungo la vallata (molto disabitata e molto depressa) di Castellavazzo e Termine di Cadore, dove si raccorderà con un viadotto ai tunnel già esistenti. A cosa volge, tutto questo? Va ricordato bene, ai residenti prima che ai turisti. Non solo alleggerisce la pressione del traffico sui centri abitati, che vengono liberati, resi finalmente vivibili. Ma fa sì che un abitante del Cadore che debba ricorrere a una visita, a un esame, a dei

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trattamenti periodici nel principale ospedale della zona, quello di Belluno, un domani non impieghi più un’ora e quaranta minuti per raggiungerlo, ma quarantacinque. Che per i pendolari, un’ambulanza, il corriere che deve consegnare un pacco, il viaggio nell’alto Veneto non sia un’avventura. Siamo, in fondo, l’Italia dei manifesti marinettiani a favore della velocità, del circuito di Maranello, ma anche di una funivia, quella delle Tofane, che negli anni Sessanta con audacia venne battezzata «Freccia nel Cielo». E allora, i comunicati sussiegosi e le pubblicità della «montagna slow» promosse da agenzie un po’ in crisi di idee, per una volta possiamo lasciarli da parte. Gli elogi della lentezza riserviamoli a chi vuole, legittimamente, andare lento .

Corriere delle Alpi | 25 febbraio 2024

p. 10

Matteo Righetto «La montagna così non sopravvive Stop a caroselli e nuovi impianti»

PAOLO CAGNAN

"Come è cambiata la montagna negli ultimi 5 anni? "

Seduto a un tavolino di Porta Portello a Padova, lo scrittore e presidente del CAI di Livinallongo-Colle partecipa al nostro sondaggio e non ha difficoltà a rispondere, anzi.

«Fa sempre più caldo? Sì, certo. Ma è una analisi dilatata nel tempo, 'che poi in queste ore nevica e i vostri lettori si mettono a ridere».

Eh, però la differenza tra meteo e climatologia ormai dovremmo conoscerla tutti… Il sondaggio chiede: sempre più gente in montagna?

«Sì, assolutamente, e sai perché? È l'effetto post pandemia. La ricerca della qualità dell'aria, il richiamo della natura, la voglia di vivere gli sport outdoor, di evadere dal finto verde delle città. Sono tutte tacite richieste, a volte persino inconsapevoli. Il problema è che spesso queste richieste trovano le risposte sbagliate, e la politica dovrebbe capirlo».

Il sondaggio chiede se abbia senso diversificare.

«Io ho quasi smesso di sciare, ma faccio altro. Sono nato con la monocultura dello sci negli anni Ottanta, quando sembrava quasi che con la montagna avremmo potuto fare ciò che volevamo. Provocando danni enormi alla biodiversità. Ora faccio scialpinismo, ciaspole, passeggiate».

Rispondi anche alle altre domande?

«Pranzo al sacco, perché no. Vuoi mettere mangiarti un bel panino su una forcella? Poi, certo, anche io contribuisco all'economia locale, ci mancherebbe. Ma serve equilibrio».

Nuovi impianti.

«No, basta impianti. Così come basta caroselli. Quel modello di sviluppo non ha più senso. Sono ormai idee anacronistiche. Posso capire l'ammodernamento impianti in funzione della sicurezza, ma se si tratta di raddoppiare o triplicare una portata oraria, proprio no».

Una posizione iconoclasta, obietterà qualcuno.

«Ma no, al contrario. È insensato il turismo di massa in montagna. Se ci pensi, così facendo non si fa che trasferire il modello cittadino in alta quota. Partendo dal punto di vista quasi sociologico: la frenesia, la fretta, l'arroganza, l'impazienza: queste cose, sino a qualche tempo fa, in montagna non si vedevano».

Non è facile parlare di riconversione...

«È però imprescindibile. Questo modello, ripeto, non sta più in piedi. È anche un concetto di spazi: siamo pieni di vallate dimenticate, di economie disagiate vittime dello spopolamento, ma perché non ripartire da quelle?»

Sì, ma lo sviluppo diversificato presenta notevoli complessità, figlie di fattori storici, economici, logistici. E i nuovi turisti cercano le località di grido.

«I nuovi turisti cercano in montagna quello che hanno già in città: il tutto pronto per non fare fatica, il divertimento, il parcheggio per i figli, l'effetto luna park. È tutto profondamente sbagliato. E non cogliamo i molti paradossi». Me ne dici un altro?

«Se hai un tumore ai polmoni cerchi sigarette con meno nicotina o smetti di fumare? Se non nevica più sotto certe quote non ha senso ripensare l'offerta turistica? Macché, noi sfoderiamo cannoni che possono innevare a temperature più alte, et voilà. Capisci?» Ah, in Austria sparano coi cannoni anche su un paio di ghiacciai. Ma per contro hanno anche stazioni che si sono riconvertite «Vero, anche in Svizzera. Investono su scialpinismo, ciaspole, eventi culturali, camminate all'alba, osservazioni della fauna selvatica, cucina e artigianato locali».

La politica, dicevi. Ma il Veneto vuole le starlight room, forse farebbe meglio a occuparsi dell'harakiri del fondo, o delle piste del Nevegal o di Asiago…

«Servono idee ma anche tempo. Certo, se la politica rincorre solo il consenso immediato non si va da nessuna parte. Ci vuole uno sguardo lungo, la transizione richiede pazienza».

Vaglielo tu a spiegare alle famiglie che vivono dell'economia dello sci…

«Certo che glielo spiego. Anzi, dico loro che il futuro sta nella riconversione, non c'è un piano B. Si ritroveranno presto disoccupati. Pensa solo all'automazione degli impianti di risalita, altro che omino che ti aiuta a entrare in cabina… I loro figli, tra vent'anni, di cosa vivranno, dello sci d'erba? Non è ambientalismo, è economia».

Stavamo dimenticandoci delle starlight.

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«Ovvio che sono contrario, perché sono figlie di una concezione tossica, frutto di edonismo ed egoismo. Così ci si isola, creando un neo avulso dal paesaggio. E poi magari, sai com'è, serve una strada per arrivarci con un Suv, e poi questo e poi quello…»

Ah Savonarola, diranno.

«Bisogna voltare pagina. Rigoni Stern e Langer parlavano del senso del limite. Eccolo qui. Il bene comune».

Il bob è bene comune?

«Ma dai… Qui mancano i medici di famiglia, l'assistenza agli anziani, le scuole».

Verissimo, ma non è benaltrismo, questo?

«No che non lo è. I soldi pubblici si spendono per il progresso e la coesione sociale, non mi pare che la pista da bob assicuri una vita migliore a chi vive in montagna. E già che ci siamo, smettiamola anche con la favoletta dei nuovi impianti che tolgono il traffico motorizzato. Perché se un biglietto costa 20 euro, una famiglia ne spende 80. E allora continua a salire in macchina».

Il conflitto tra economia e ambiente, al solito?

«No, se l'economia considera l'ambiente».

Com'è il tuo rapporto con i turisti?

«Nel corso degli anni si sono moltiplicati gli atteggiamenti irrispettosi, approssimativi, scriteriati, figli di un approccio alla montagna caratterizzato da uno stile di vita che non si inserisce naturalmente in un ambiente e in una comunità viva e portatrice di preziose culture. A volte molti turisti appaiono come corpi estranei che vengono qui e vivono la superficie delle cose. Serve più rispetto».

DOLOMITI IN TV

Corriere del Trentino | 23 febbraio 2024

p. 11

Mr&Mrs Smith la serie La troupe sulle Dolomiti

Su Prime Video, una puntata è ambientata in Alta Badia

Francesca Negri

C’è un po’ di Trentino-Alto Adige nella nuova serie Mr & Mrs Smith in streaming su Prime Video, liberamente ispirato al celebre film del 2005 con Brad Pitt e Angelina Jolie. L’Alta Badia e il Dolomiti Wellness Hotel cinque stelle di lusso a San Cassiano, sono nella terza puntata della serie, intitolata Prima vacanza , in cui la storia si snoda tra i panorami mozzafiato delle montagne altoatesine e le scene più intime nelle suite Natura Loft del Dolomiti Wellness Hotel e nell’elegante Fanes Spa by Caveau Beauté. «È stato un onore per noi ospitare il cast e la troupe di Mr & Mrs Smith . Con le riprese di questa serie internazionale, l’hotel acquisisce ulteriore fascino cinematografico senza dimenticare le nostre origini e la nostra filosofia. Siamo orgogliosi del fatto che il Fanes e l’Alta Badia siano stati scelti per rappresentare le Dolomiti», commenta Reinhold Crazzolara, proprietario della struttura. Nell’episodio Prima vacanza , la coppia di killer protagonisti della serie, John e Jane Smith, in veste di neo sposi in luna di miele, hanno il compito di investigare sul ricco imprenditore Gavol Martine e la moglie Parker, in un periodo molto delicato della loro relazione sentimentale. Entrambe le coppie si trovano in vacanza al cinque stelle Dolomiti Wellness Hotel Fanes di San Cassiano, in Alto Adige. Mentre continuano le liti e le tensioni tra i Martin, accoccolati nel letto della lussuosa Suite Nature Loft gli Smith riflettono sul loro rapporto e sui sentimenti che iniziano a provare l’uno per l’altra. La mattina seguente, dopo la colazione all’Hotel Fanes, i coniugi Martine si dirigono verso le piste da sci, ma la situazione si complica quanto un gruppo di mercenari chiede un riscatto all’imprenditore dopo il rapimento della moglie. Gli Smith si trovano quindi a decidere se intervenire per salvare il loro bersaglio o lasciarlo nelle mani dei rapitori. In un susseguirsi di azioni all’interno delle suite, tentativi di clonaggio dei dispositivi elettronici tra gli chalet della ski area e la Fanes Spa e sparatorie in quota sotto una copiosa nevicata, il terzo episodio si conclude con il ritrovato amore tra Gavol e Parker, che decidono di continuare la loro relazione, nonostante i rischi e i segreti che li circondano. La coppia di killer, invece, riparte alla volta di una nuova avventura ad alto rischio.

Nella serie Mr & Mrs Smith gli attori Donald Glover e Maya Erskine interpretano la coppia di killer John e Jane Smith, che lavora per una misteriosa agenzia e compie missioni di spionaggio ad alto rischio. In ogni episodio, i due seguono un nuovo incarico che li spinge a spostarsi in giro per il mondo facendo tappa , in questo caso, anche tra gli scenari della montagna altoatesina.

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